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Indice Presentazione 7 PRIMA PARTE Ho bisogno di un padre autorevole Capitolo primo Alla ricerca di un padre autorevole 15 Capitolo secondo Come costruirsi padre autorevole 41 SECONDA PARTE Fare il padre autorevole, dall’attesa all’adolescenza Capitolo terzo L’attesa insieme alla madre 83 Capitolo quarto Il bambino è soggetto attivo nell’evento nascita 95 Capitolo quinto Nei primi mesi di vita del bambino 99 Capitolo sesto Dopo il primo anno di vita 109 Capitolo settimo L’ingresso nella scuola dell’infanzia 111 Capitolo ottavo L’età della scuola primaria 119 Capitolo nono La difficile preadolescenza 131

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Indice

Presentazione 7

Prima Parte Ho bisogno di un padre autorevole

Capitolo primo Alla ricerca di un padre autorevole 15

Capitolo secondo Come costruirsi padre autorevole 41

Seconda Parte Fare il padre autorevole, dall’attesa all’adolescenza

Capitolo terzo L’attesa insieme alla madre 83

Capitolo quarto Il bambino è soggetto attivo nell’evento nascita 95

Capitolo quinto Nei primi mesi di vita del bambino 99

Capitolo sesto Dopo il primo anno di vita 109

Capitolo settimo L’ingresso nella scuola dell’infanzia 111

Capitolo ottavo L’età della scuola primaria 119

Capitolo nono La difficile preadolescenza 131

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Capitolo decimo Le prove dell’adolescenza 139

terza Parte Alcuni consigli

Capitolo undicesimo Alcuni consigli per fare il padre: dall’infanzia all’adolescenza 145

Conclusioni 189

Bibliografia 195

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Presentazione

La funzione del padre è opera grandiosa per la crescita dei figli. Questo volume è dedicato a lui, perché impari a offrirsi a loro come presenza rassicurante, protettiva, autorevole, comprensiva, come valido «aiuto alla vita».

L’uomo ha a disposizione due ruoli diversi e gode il privilegio di assolvere entrambi: il primo come padre, il secondo come membro della società del suo tempo, partecipe attivo del miglioramento della comunità di appartenenza.

Il più importante e soddisfacente è quello che l’uomo, come padre, assolve come sostegno dei figli per due ragioni:

1. sviluppa a contatto con i bambini i più alti e nobili sentimenti;2. offre il suo contributo significativo al futuro dell’umanità e

all’evoluzione della specie: infatti, il fattore principale del mante-nimento della specie è l’amore degli adulti per i piccoli, guidato dall’intelligenza della natura.

«Essere e fare il padre» è dunque una componente essenziale della vita umana, il modo più significativo con cui l’adulto di sesso maschile realizza se stesso, come soggetto attivo e consapevole, mediante la dedizione ai figli e la partecipazione attiva all’evoluzione progressiva dell’umanità. È una pienezza interiore che molti uomini del nostro tempo hanno imparato a vivere consapevolmente, appropriandosi delle relazioni con i figli e offrendo loro un apporto insostituibile alla formazione della personalità e dell’intelligenza.

La funzione privilegiata fino ad ora assolta dalla madre nella cura e nell’educazione dei figli, soprattutto nei primi mesi di vita,

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negli ultimi tempi è messa in discussione da molti studi che tendono a rivalutare il ruolo del padre nell’educazione dei figli. Negli ultimi decenni del Novecento si è giunti a denunciare la «morte del padre» — la «società senza padre», come ha affermato Mitscherlich — dopo un lungo percorso storico che ha preso le mosse dalle tesi freudiane di Totem a tabù (l’adolescente uccide il padre dentro di sé per farsi uomo) e dall’analisi di Gorer sullo spodestamento del padre e della sua autorità nella civiltà occidentale.

Il padre è stato messo in difficoltà, privato del suo ruolo e della sua autorità, da una serie complessa di fenomeni: crisi dell’autori-tarismo e del rispetto dell’autorità in genere, emancipazione della donna, modificazione delle leggi sulla famiglia, invasione dei modelli comportamentali imposti dai media, modificazione dei ruoli sessua-li, esigenze economiche della società industriale e post-industriale, ecc. Ha conseguentemente perduto la solidità e la sicurezza del suo tradizionale ruolo di guida e di espressione dell’autorità in seno alla famiglia: alla struttura familiare verticale centrata sulla «potestà» del padre, tipica della famiglia del passato, si è sostituita una famiglia paritaria, che incide su una società a struttura orizzontale di fratelli in competizione, nella quale scompare il prestigio del padre insieme al suo ruolo educativo e sociale. Mendel ha parlato addirittura di «rivolta contro il padre».

Nel nostro tempo assistiamo a un’inversione di tendenza. Molti studi di psicologia, sociologia, antropologia hanno dimostrato l’im-portanza del ruolo paterno nell’equilibrio psico-sociale dei figli. Molte ricerche sono state condotte sulla connessione fra l’assenza del padre e le alterazioni comportamentali dei figli. Lo scarso rendimento scola-stico, il blocco delle capacità creative, le difficoltà nell’apprendimento della matematica, l’aumento dell’aggressività, la scarsa identificazione sessuale nei figli di entrambi i sessi sembrano fenomeni determinati dalla mancanza del padre o dall’indebolimento della sua figura all’in-terno della famiglia. D’altronde un padre debole o assente provoca indirettamente l’iperprotezione della madre con tutte le conseguenze negative: sono comunemente conosciuti i numerosi disturbi provocati dal cosiddetto «mammismo».

Al contrario la partecipazione attiva e consapevole del padre alle cure e all’educazione dei figli fin dalla primissima infanzia sembra

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rafforzare la virilità dei figli maschi e la femminilità nelle bambine, la sicurezza di sé e lo spirito di iniziativa in entrambi i sessi, la capa-cità di avere buoni rendimenti scolastici, soprattutto nelle discipline matematiche, scientifiche, tecniche.

Ogni bambino è «padre dell’uomo»: porta dentro di sé fin dalla nascita un proprio progetto di sviluppo che guida il suo lavoro di costruzione della personalità nel corso di tutta l’età evolutiva. La sua vita è un processo verso la perfezione, che può avvenire solo con la presenza del padre e della madre, due punti di riferimento, solidi, precisi, diversi, che lo sostengono e lo promuovono.

Il ragno, dotato di una stupefacente intelligenza costruttiva, sceglie due punti ben precisi nel luogo dove vuole installarsi e ad essi collega i due fili portanti della sua tela. Poi, secondo impeccabili leggi matematiche e geometriche, tesse la sua rete perfetta, che è al tempo stesso la sua casa, il suo ambiente, il suo mezzo di caccia e di sopravvivenza. Analogamente il bambino, nel periodo della costru-zione della sua personalità, ha bisogno di due punti di riferimento a cui sostenersi, attorno ai quali tessere la tela delle sue relazioni per farsi persona: del padre insieme alla madre.

Emergono così i temi centrali ricavati dal lavoro con i bambini e con i padri, insieme alle idee portanti di questo libro che possiamo sintetizzare come segue.

1. Il bambino è «persona» a pieno titolo fin dall’inizio della vita, soggetto attivo e protagonista del suo sviluppo e della costruzione di identità, competenze, saperi. Nella fase prenatale si è munito di un corredo biologico e di un potenziale di risorse psichiche che immediatamente lo abilitano a intrecciare le sue relazioni e ad avviare i processi di apprendimento nel mondo che lo cir-conda, purché entrambi i genitori riescano a entrare in relazione correttamente con lui e gli preparino un ambiente-casa motivante all’esplorazione.

2. Nella vita del bambino l’apprendimento, il lavoro esplorativo, l’adempimento del dovere recano gioia e felicità come il gioco; con la sua operosità egli amplia ed espande i propri orizzonti e la visione del mondo, insieme alla propria personalità, si fa più forte, più capace, più intelligente, a condizione che il padre sappia assecondare e sostenere il suo lavoro di crescita.

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3. Ogni bambino è unico e diverso. Questa meraviglia dell’intelligenza della vita è il motivo centrale del nostro lavoro di genitori. La sua diversità è il suo valore essenziale e caratterizza le sue risposte alle cure della madre e del padre, influenzandone i comportamenti. In questo senso la relazione padre-figlio, come quella madre-figlio è a doppio binario: ciascun componente influisce costantemente sull’altro. Ne consegue una rete complessa di rapporti a tre, che spetta al padre gestire all’interno della famiglia, con amore e te-nerezza, ma anche con consapevolezza e autorevolezza.

4. Nel campo di esperienza del bambino le intromissioni e le inter-ferenze sono controproducenti: né il padre, né la madre possono sostituirlo nel lavoro di costruzione della persona che sarà; nessuno dei due genitori può crescere per lui.

5. La vita del bambino è un asse simbolico che congiunge due genera-zioni: parte dall’adulto e finisce dall’adulto, crea ed è creata. Ogni bambino è la cerniera fra il passato e il futuro dell’umanità. È dotato di potenzialità immense e sconosciute che possono condurre a un avvenire luminoso per lui, per noi padri, per l’intera comunità.

6. Possiamo essere un «buon padre» in tanti modi diversi. Come ogni bambino è portatore di una propria individualità, così ogni padre ha una sua personalità e un suo modo di rapportarsi con il figlio e con la madre. Non esiste un’unica ricetta magica, valida per tutti i padri e per tutti i figli. Decisiva per favorire la crescita è una relazione soddisfacente, una corrispondenza dinamica fra le esigenze del bambino da un lato e gli atteggiamenti, le aspettative, gli interventi del padre dall’altro.

Su queste idee il libro intende aiutare tutti i padri a instaurare una relazione più intensa con i figli, considerando le risposte che possiamo trovare e i problemi che possono insorgere alle seguenti domande:

– Che cosa possiamo imparare dalle più recenti ricerche sul ruolo del padre?

– Che cosa sappiamo delle sue influenze sullo sviluppo dei figli e sulla formazione della loro personalità?

– Quali atteggiamenti possono aiutare meglio il bambino per la sua vita presente e futura?

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– Quali esperienze attivano un più positivo e produttivo rapporto padre-figlio?

– Quale ruolo può assumere il padre nelle diverse fasi della crescita, dalla nascita all’adolescenza?

La Prima parte, «Ho bisogno di un padre autorevole», vuole offrirsi a ciascun padre come un aiuto a individuare la propria identità e a prendere coscienza della necessità di farsi presenza attiva, consa-pevole, autorevole, affettuosa, comprensiva, diversa da quella della madre. Lo guida a scoprire che con il suo ruolo incide profondamente sui figli: regola la distanza con la madre e incoraggia i rapporti sociali con il mondo esterno; rafforza l’autostima, la sicurezza di sé, l’identità sessuale; alimenta la costruzione dell’intelligenza e sostiene il rendi-mento scolastico; facilita la riuscita e il conseguimento del successo nella vita; sviluppa la creatività e consolida l’equilibrio psichico.

Nella Seconda parte, «Fare il padre autorevole, dall’attesa all’ado-lescenza», vengono proposte le varie modalità per favorire lo sviluppo dei figli durante la crescita. Il ruolo e le funzioni del padre si evolvono insieme alla crescita dei figli e in rapporto ai problemi sempre diversi delle relazioni familiari, per i quali offriamo suggerimenti utili affinché il padre possa aiutare tutti i componenti della famiglia.

I consigli, le indicazioni operative, il che cosa fare e il come fare, sono argomento della Terza parte, «Alcuni consigli». Permettono ad ogni padre di svolgere positivamente le sue funzioni nel riconosci-mento e nel rispetto dei figli come persone. Intendono aiutarlo ad essere e fare il padre autorevole a vantaggio dei figli, della madre, di se stesso. Ecco perché il libro è dedicato ai padri, ma è bene che sia letto anche dalle madri.

Nel corso del libro viene usato il genere maschile per riferirsi ai figli di entrambi i sessi, pur con la consapevolezza che oltre la metà dei bambini è di sesso femminile. Soltanto quando è necessario, viene fatta un’esplicita distinzione fra figli maschi e figlie femmine. L’uso del maschile è stato scelto per una comunicazione più facile e immediata, secondo la consuetudine linguistica della tradizione. Si sarebbe potuto ricorrere a suffissi e pronomi di entrambi i sessi (figlio/a, lui/lei, bambino/a…) ma questa scelta è parsa troppo artifi-ciosa e lontana dal modo di pensare e parlare comune. Per l’autore, i

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vocaboli «bambino», «figlio», «bambini», «figli» indicano sia i maschi sia le bambine e, con questo significato, vanno interpretati per tutto il volume.

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Capitolo nono

La difficile preadolescenza

Durante la preadolescenza nostro figlio, come tutti i suoi coetanei, rivela comportamenti contraddittori, apparentemente assurdi, che talvolta ostacolano la nostra possibilità di compren-derlo e di aiutarlo. Si dà arie di essere molto più autosufficiente di quanto non sia veramente. Con l’arroganza della sua età si vanta di non aver bisogno di noi, dichiarando che «non gli importa nulla se lo disapproviamo», ma subito dopo si aspetta che lo proteggiamo come un neonato.

Mette in discussione i nostri modelli di vita e pretende al tempo stesso che continuiamo a garantirgli tutti gli agi e i privilegi conquistati con quegli stessi modelli. Disprezza i nostri valori e non si rende conto che proprio questi gli permettono di criticarli impunemente, poiché ci impediscono di cadere nell’autoritarismo. Si considera indipendente quando segue acriticamente le mode dei suoi coetanei e non capisce di mostrare in tal modo una totale dipendenza.

Grida: «Io voglio essere padrone della mia vita! Voglio uscire da solo!» e pretende che noi lo accompagniamo con l’automobile dovunque desidera.

Seppure contraddittori, questi sono i tanti modi in cui nostro figlio cerca di trovare se stesso. Se i suoi comportamenti fossero meno instabili e contrastanti sarebbe più facile per noi capire che si tratta di un processo positivo, necessario alla costruzione della personalità.

Ma al cospetto di mutamenti così improvvisi, restiamo perplessi, confusi, talvolta spaventati.

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Non lasciarsi sopraffare

Nel nostro tempo si riscontra un capovolgi mento nei rapporti padre-figlio rispetto al passato: ai figli timorosi dei padri si sono sostituiti i padri timorosi dei figli.

Molte volte i loro atteggiamenti puerili e arroganti insieme ci procurano angoscia e senso di impotenza, ma sarebbe un errore gravissimo lasciarsi sopraffare. I nostri figli hanno ancora bisogno di noi, di trovare nella nostra sicurezza un punto di riferimento, comprensione, serenità, protezione. La loro condotta, seppure apparentemente priva di coerenza, riflette la ricerca interiore della propria personalità, del proprio sé, della propria identità.

È difficile riuscire a capire come nostro figlio, ormai grande e forte come noi, stia cercando se stesso anche quando si comporta da bambino. Il fatto è che ha bisogno di affermare a gran voce la propria indipendenza proprio per usufruire della nostra protezione, del nostro affetto, delle nostre cure, senza perdere il rispetto di sé.

Le sue esigenze sono mutevoli e contrastanti come lui: per di-ventare se stesso e dare un senso alla propria vita, egli ha bisogno di provare cose diverse, di solitudine e di coinvolgimento nel gruppo fino all’annullamento di sé, di passività e di attività fino alla frenesia.

Purtroppo i suoi tempi, i ritmi, le alternanze fra solitudine e rapporti sociali, fra passività e attività, non coincidono con i nostri e con quelli di una corretta convivenza. Può essere preso da un turbine iperattivo proprio quando siamo convinti che gli farebbe bene il riposo. Quando noi ci preoccupiamo per i suoi silenzi e l’eccessivo isolamento, egli vive il bisogno irrefrenabile di chiudersi in se stesso.

Quando appare immaturo sta lavorando per la sua maturità

Non è facile accettare con la dovuta serenità i suoi cambi di umore, ma ancora più difficile per noi padri è comprendere e accogliere i suoi atteggiamenti regressivi e puerili. Le madri possono ricevere qualche gratificazione quando riscontrano che il «loro bambino» è rimasto lo stesso e ha ancora bisogno di loro, ma noi padri no.

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Nostro figlio, durante la fanciullezza (7-11 anni), si comportava da «ometto» maturo, responsabile, equilibrato, capace di portare a termine i compiti che si assumeva. Ma ora non lo riconosciamo più: anziché maturare, sembra regredire ai capricci dell’infanzia. Era educato, consapevole dei suoi diritti e dei suoi doveri, capace di concentrarsi responsabilmente in ogni occupazione; ora ha perso ogni interesse per lo studio, passa ore e giornate con le sue fantasticherie o in giochi puerili, non si concentra su nulla, è diventato sciatto, disordinato, irresponsabile.

Sono proprio questi cambiamenti esterni che gli permettono di dedicarsi al suo compito di crescita: egli è impegnato a rielaborare dentro di sé, a un nuovo livello, le fasi precedenti della crescita e i problemi irrisolti. Ha bisogno di rivivere le insicurezze dell’infanzia e della fanciullezza per superarle.

Fino ad ora i suoi rapporti con la realtà e con gli adulti erano quelli di un «bambino piccolo», inadeguato e bisognoso della dipen-denza dal padre e dalla madre. Ora tutto cambia: il suo corpo è adulto e ha il compito di imparare a fare tutto ciò che fa un adulto. Sente il bisogno di ripetere le esperienze passate per costruire il proprio modo di rapportarsi con il mondo, da solo, in piena autonomia, rompendo tutti i legami e le dipendenze con i genitori.

È un lavoro grandioso, molto impegnativo, che non lascia spazio ad altre cose, neppure a noi, e ci aiuta a capire perché è così trascurato, disattento, addirittura intrattabile. Sarebbero guai per lui se non vivesse questa crisi di crescita e dovremmo preoccuparci seriamente. Non deve preoccuparci, invece, neppure il suo rifiuto nei riguardi delle cure del proprio corpo o il suo eccessivo controllarsi allo specchio, la mancanza di igiene o l’eccessiva pulizia del corpo: nella fanciullezza aveva raggiunto una certa tranquillità nei riguardi del proprio corpo, mandata in frantumi dalla rapida crescita fisica che lo mette a disagio e lo costringe a rivivere le insicurezze dell’infanzia che si uniscono alle nuove da affrontare.

Perché accettare le regressioni infantili

Seppur con comportamenti puerili, nostro figlio sta crescendo e progredendo: i problemi del passato vengono rielaborati a un livello

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superiore e assumono, seppure faticosamente, nuovi significati nella formazione della personalità. Se egli riuscirà a realizzare questa nuova integrazione, i suoi problemi del passato formeranno, matureranno e arricchiranno la sua personalità. Se, al contrario, egli eviterà i vecchi problemi, questi finiranno per bloccare la sua personalità tenendola legata all’immaturità delle fasi precedenti.

In sintesi, se nostro figlio non rivive e non rielabora problemi e sentimenti della sua vita passata, si troverà questi problemi come recinti interiori, come barriere del passato in una matrice progredita: restano elementi estranei della nuova personalità, creano vuoti, ferite, smagliature che la rendono fragile, facile a cedere nei momenti di crisi e di difficoltà.

È difficile ricordare tutto questo quando nostro figlio, già preadolescente, fa i capricci come quando era piccolo, si ingozza di cibo o si rifiuta di mangiare, è sporco e disordinato, si veste in modo da farci vergognare. Eppure il ritorno ai comportamenti infantili è il modo più sicuro che conosce, il più sperimentato, per affermare il suo bisogno di indipendenza. Tenta di risolvere i suoi problemi su basi nuove e di rompere i legami di dipendenza da noi.

Questa complessa attività, che procede per tentativi ed errori, per soluzione di problemi, per imitazione, lo aiuta a superare antichi traumi, problemi irrisolti, a costruire il suo atteggiamento autonomo di persona verso il proprio corpo, l’immagine di sé, i nuovi rapporti con gli altri, con il mondo esterno, con noi genitori, la propria identità personale.

Ha bisogno della nostra presenza comprensiva, della nostra accettazione e, a seconda delle situazioni, delle nostre risposte chia-re, sincere, esaurienti, anche se per i padri questo è molto difficile. Quando era piccolo eravamo disposti ad accettare che scagliasse un oggetto a terra con un gridolino di gioia; ora, quando scaglia il piatto a terra con la speranza che noi siamo disposti a raccoglierlo come allora, non riusciamo a reagire allo stesso modo e a porgergli i cocci con atteggiamento comprensivo.

Eppure nostro figlio ha bisogno anche di questo, ha bisogno di un padre su cui contare pienamente proprio quando rivela la sua immaturità e le sue incomprensibili tendenze a distruggere le cose e, talvolta, se stesso.

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Capire e accettare le sue opposizioni

Durante la preadolescenza nostro figlio, per affermare la sua identità, deve rompere i legami parentali e opporsi ai modelli di com-portamento forniti dai genitori. In questa fase estremamente critica ha bisogno di trovare un padre fermo, coerente, fedele ai propri valori, anche se comprensivo. Un modello di sicurezza, coerenza, maturità gli è particolarmente utile per costruire la personalità su solide basi e su chiari punti di riferimento.

La spiegazione di questa apparente contraddizione è semplice: nostro figlio costruisce se stesso riferendosi ai nostri «modelli» e all’im-magine che ha di noi, alla nostra approvazione, ma anche contro di noi e i nostri modelli, perché deve staccarsi e farsi autonomo. In questa contraddittoria tendenza alla crescita vive il timore che siamo noi genitori e non la sua volontà individuale a determinare le sue scelte, per cui ha bisogno di opporsi alla nostra figura di padre (e alla madre) per avere la certezza di essere quello che «vuole essere», e si comporta come non vogliamo. È il modo più sicuro che ha a disposizione per costruire dentro di sé la certezza di essere indipendente.

I suoi sentimenti sono spesso contraddittori e ambivalenti, gli rendono la vita difficile e lo inducono a rapporti conflittuali con noi. A questi conflitti interiori e alle discussioni in famiglia egli aggiunge nuovi bisogni che rendono la sua vita ancora più complessa: quello di entrare in relazione con se stesso e quello di rapportarsi con il mondo sempre più vasto e, conseguentemente, quello di definire la propria identità in funzione di esso. Ecco perché sente la necessità di vivere nel gruppo dei coetanei, che spesso è improntato su modelli molto diversi da quelli familiari e sociali.

Il ruolo del papà in questa situazione è delicato. Se incoraggia il figlio con troppa insistenza a cimentarsi con il mondo, egli potrà interpretare i suoi interventi non come un sostegno ma come un tentativo di cacciarlo di casa e liberarsi di lui. Questo fraintendi-mento avviene più facilmente con il figlio maschio, perché spesso i padri investono su di lui le loro attese e i loro desideri insoddisfatti, caricandolo di un peso superiore alle sue forze.

Per avventurarsi nel mondo, nostro figlio ha invece bisogno di sentire che suo padre è sempre quello di prima, a sua completa

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disposizione, come la sua casa che resta accogliente per lui, il suo rifugio sicuro, come nell’infanzia. Il padre e la casa (simboleggiata dalla madre) sono il punto di riferimento rassicurante nei momenti difficili. Come nell’infanzia nostro figlio aveva bisogno di un oggetto fisico (l’orsacchiotto, la bambola, il ciuccio, la coperta di Linus) al quale tenersi stretto nei momenti di turbamento, nell’adolescenza ha bisogno di tenersi aggrappato al padre e al focolare domestico, di sentirlo accessibile e sempre pronto ad accoglierlo: è il luogo in cui può ritornare alla sua infanzia e «sentirsi bambino» quando e come vuole, per rivivere il suo passato e farsi «grande», adeguato al vasto mondo.

Quando lo stimoliamo eccessivamente a cimentarsi con questo, egli perde il suo «porto di quiete» e le sicurezze che lo aiutano a farsi adulto.

Non pretendere troppo

Può essere sbagliato imporre ai figli l’indipendenza se non l’ab-biamo preparati fin dai primi anni: cercare di dirigere con i nostri interventi il loro processo di crescita è una forma di violenza, che non li riconosce come soggetti dotati di pensiero e capacità decisio-nali, con il diritto di fare le loro conquiste verso l’identità e costruire autonomamente la propria maturità.

Nel caso che in nostro figlio ci sia anche soltanto il dubbio di non essere stato lui a ottenere una certa conquista, vivrà quella par-ticolare esperienza come la prova della sua dipendenza dai genitori e della sua inadeguatezza a fare da solo.

Le sue crisi e le sue ribellioni possono derivare da questa perce-zione; perciò meritano di essere accettate, insieme agli atteggiamenti antagonistici e stravaganti. Nostro figlio ha bisogno del «suo spazio» per fare le sue sperimentazioni e i suoi errori: solo così si accorgerà se le sue scelte e i suoi comportamenti corrispondono o meno alle sue esigenze e alla sua personalità. La nostra presenza comprensiva può condurlo a rinunciare da solo agli atteggiamenti indesiderabili, con la convinzione di aver fatto una scelta autonoma e non per aver subito le nostre pressioni.

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Rispetto e riservatezza

Nostro figlio ha diritto alla riservatezza e ha bisogno di un pa-dre che non si intrometta nelle sue faccende, senza fargli mancare la sicurezza della nostra presenza e del nostro appoggio. Nei momenti più critici, quando è più urgente il suo bisogno di sperimentazione, quando la conflittualità è più intensa, non è facile mantenere l’equi-librio. Siamo costretti a far leva su tutte le riserve di pazienza, calma, tolleranza, per evitare di difendere a oltranza noi stessi e i nostri «modelli» fino a imporli, o di cedere all’irruenza dei suoi attacchi adolescenziali. Forse è consigliabile mantenersi coerenti con i propri valori, continuare a comportarsi come sempre, senza cadere in atteg-giamenti di superiorità o in giudizi negativi nei suoi riguardi.

Ogni nostro atteggiamento è più costruttivo se si basa su una solida fiducia verso nostro figlio, verso la correttezza dei suoi intenti nonostante le apparenze dimostrino il contrario, verso le sue capacità di scegliere il meglio per sé e per noi. Questa nostra fiducia consape-vole è necessaria a nostro figlio per non farsi travolgere dalle proprie emozioni contraddittorie, per cimentarsi con successo in altri stili di vita, per riflettere sui nostri modelli, che potrà adottare solo quando non avrà più timore di diventare una copia acritica dei genitori.

Non imporsi e non cedere per non lasciare spazio alla debolezza, in noi e in lui

La nostra coerenza è utile anche perché nostro figlio, come ogni preadolescente, ha bisogno di opporsi a qualcosa: è il suo modo per sentirsi qualcuno e ricercare il senso della propria identità. Quanto più il muro cui si oppone è solido e resistente, tanto più solida sarà la costruzione di sé.

Molti padri compiono l’errore di cedere, per stanchezza o debolezza, alle provocazioni del figlio e di cadere nell’incoerenza, pericolosa per lui e per le relazioni all’interno della famiglia. La torre dei nostri principi non può cedere ad ogni pressione, perché a nostro figlio non resterebbe nulla con cui confrontarsi per affermare la sua diversità. Il crollo dei nostri modelli di vita mette sicuramente

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in pericolo la sua personalità in formazione, come i nostri tentativi troppo insistenti di fargli adottare i nostri valori comportamentali. Nel primo caso lo priviamo di qualsiasi punto di riferimento, nel secondo lo poniamo di fronte al muro insormontabile delle nostre imposizioni. Gli stiamo rivelando che lo consideriamo incapace di elaborare propri valori accettabili e approvabili da noi, e quindi dagli altri, frantumando la fiducia nelle sue capacità e la sicurezza di cui ha bisogno per cimentarsi nella realtà sociale e per costruirsi come persona capace di autodeterminarsi.

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Capitolo undiCesimo

Alcuni consigli per fare il padre:dall’infanzia all’adolescenza

Essere se stessi

È molto difficile essere se stessi, «ma ancora più difficile è scoprire in che cosa consista essere se stessi, riconoscere quali siano le com-ponenti essenziali della propria personalità e quali quelle accessorie. Tuttavia, solo se sappiamo discriminare fra di esse, possiamo dire di aver conquistato la nostra identità».

Con questa riflessione Bruno Bettelheim (1977) ci aiuta a capire come conoscere se stessi sia un’impresa difficile, perché tutti portiamo dentro elementi che non ci piacciono e rifiutiamo di riconoscere. Non a caso fin dalle origini del pensiero filosofico occidentale, il motto «Conosci te stesso» è stato considerato il primo passo per avviarsi alla conoscenza della verità. «Conosci te stesso» era scritto sul tempio di Delfi, dedicato ad Apollo, il dio dell’oracolo in grado di rivelare la verità divina e assoluta, e fu assunto da Socrate come pilastro del proprio messaggio.

Nostro figlio possiede una sua soggettività individuale che lo rende «persona» diversa da tutte le altre persone apparse su questo pianeta nel passato e nel presente. È questa la sua grandezza. Egli è un soggetto di vita, con una propria identità che ha in progetto di costruire e perfezionare. Gli occorrono anni di vita e di esperienze con la nostra presenza di padre, con il nostro aiuto positivo per favorire il suo tentativo di conoscersi, affermarsi, mettersi alla prova, definirsi. Egli ha bisogno dell’atmosfera creata dalla nostra affettuosa parteci-pazione alla crescita, della nostra fiducia in lui per costruirsi identità vitale e indipendente, sicura e coerente, capace di far fronte alla vita

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con autenticità e consapevolezza. Anche nei momenti più difficili e irritanti necessita di un padre pronto alla rispettosa condivisione, capace di tradurre i propri sentimenti in gesti di affetto e di fargli sentire il suo sostegno rassicurante e stimolante.

Quando nostro figlio sente e si convince che quello che è e che fa viene condiviso dal padre, si sente importante, ratificato, felice e rafforza la fiducia in se stesso. La nostra approvazione lo aiuta a riconoscersi e costruirsi come individuo, diverso da tutti gli altri, capace di amare perché si sente amato e apprezzato.

In uno strano paradosso questa unicità comincia a prendere forma quando nostro figlio ci imita nei primi giochi, quando ripete le azioni che fanno piacere a noi e a lui stesso, quando fa scattare i primi processi di identificazione con la nostra figura di padre sicuro, autorevole, rassicurante. Sceglie alcune caratteristiche della nostra personalità, insieme ad alcune della madre e le inserisce nella propria facendone forze motivanti interiori che determinano il carattere.

Quali aspetti della nostra personalità assorbe nostro figlio? Quali caratteristiche interiorizza? Non sempre quelle che desideria-mo; anzi spesso fa proprie quelle indesiderabili, perché il bambino è influenzato maggiormente dalle nostre emozioni che dalle nostre scelte coscienti.

Cerchiamo di capire questi processi con un esempio. Può suc-cedere a noi, come a tanti genitori, di ritornare dal lavoro depressi o arrabbiati. A casa cerchiamo di controllare queste emozioni per non turbare la serenità della famiglia. Nostro figlio, che capta intensa-mente le emozioni, assorbe la nostra collera o la depressione più che il tentativo di autocontrollo.

Il processo di assimilazione cambia, tuttavia, a seconda dei momenti e dell’età. Può anche succedere che nostro figlio risponda positivamente al controllo e negativamente alla collera, per particolari dinamiche psichiche di quel momento.

Il corpo è gioia

La formazione della personalità di nostro figlio inizia dai primi giorni di vita, quando i nostri comportamenti di genitori esprimono

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il nostro interesse per il suo corpo (comprese le sue funzioni fisiolo-giche) come qualcosa di prezioso, di degno del nostro amore.

Su questi nostri atteggiamenti egli sviluppa i propri e può vedere il proprio corpo come fonte di gioia o come causa di disgu-sto. Su di essi egli costruisce quello che gli studiosi chiamano il «sé corporeo», elemento costitutivo della sua identità, pilastro della sua personalità.

Il sé del neonato è tutto nel suo corpo; perciò gli atteggiamen-ti che egli sviluppa nei confronti di esso rivestono un’importanza fondamentale.

A determinarli e a gettare le basi del suo sé contribuiscono le esperienze che vive nel corso della poppata, durante il bagno, nel cambio dei pannolini, quando viene vestito e svestito, messo a letto e cullato.

In questi momenti egli vive esperienze positive se a noi piace veramente occuparci del suo corpo, toccarlo, maneggiarlo, giocare con lui. Vive pericolose esperienze negative quando troviamo fastidioso lavarlo, pulirgli il sederino, curarci dei suoi bisogni corporei: in questo caso lo priviamo della possibilità di costruire un buon rapporto con il proprio corpo, con le sue funzioni e quindi con se stesso.

Il nostro ruolo di padre è importantissimo. La madre può stan-carsi delle continue cure da prestare al bambino e abbandonarsi ad atteggiamenti sbrigativi. Se tutte le cure dell’allevamento ricadono su di lei, la stanchezza può provocare anche atteggiamenti di rifiuto. Quando il padre partecipa a queste cure, riesce ad alleggerirle l’im-pegno, a rasserenarla, offrendo a lei e al figlio la possibilità di entrare in relazione positivamente con il corpo, sviluppando una relazione più ricca per tutti.

Il nostro apprezzamento per il suo corpo viene richiesto dal nostro bambino in ogni momento della giornata: durante il bagno, mentre lo cambiamo, quando lancia un oggetto fuori dalla culla e aspetta che lo raccogliamo per lui, pronto a gettarlo di nuovo per mettere alla prova le proprie capacità di provocare qualcosa e la nostra disponibilità. Egli cerca di verificare se, nonostante i suoi dubbi, è davvero in grado di agire nel mondo. E noi, da bravi padri, siamo pronti a confermarglielo con la nostra accettazione e con la nostra approvazione, dettate dall’affetto.

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Il gioco è vita

«Il bambino impegnato nel gioco — scrive Freud — si comporta come un poeta, in quanto si costruisce un proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo». Il gioco è la vita stessa del bambino, l’essenza della sua crescita. Il bambino è veramente se stesso solo quando gioca; come l’uomo, del resto. Il gioco è la sua attività più seria e impegnativa, quella che serve per padroneggiare i problemi e per comprendere il mondo. La bambina che si prende cura della bambola come la mamma fa con lei, il ma-schietto che gioca a «guidare l’automobile» come fa il padre, stanno cercando di capire, attraverso l’imitazione dei gesti, i loro genitori e le rispettive attività di adulti.

I bambini che per gioco imitano i fratelli maggiori cercano di rendersi conto di che cosa significhi «diventare grandi».

I giochi dei nostri figli sono importanti per lo sviluppo dell’in-telligenza, delle competenze cognitive e dell’intera persona: nel corso dei giochi imparano a padroneggiare se stessi, a organizzare le attività in piena libertà, a costruirsi persone libere e indipendenti. Purtroppo troppi genitori si sentono autorizzati a interferire e a interromperli, privando i figli di occasioni vitali per lo sviluppo.

Noi padri al contrario riconosciamo il loro diritto di giocare, poiché anche quando sembrano dedicarsi a giochi privi di senso e ripetitivi, compiono attività mentali significative. Quando nostro figlio può dedicare al gioco il tempo di cui ha bisogno, ripeterlo tutte le volte che lo desidera, assimila meglio le esperienze e costruisce relazioni più solide con gli oggetti e con gli altri. Apparentemente sembra ripetere gli stessi gesti; in realtà a una osservazione attenta scopriamo cambiamenti impercettibili che rivelano una nuova sco-perta, una mutata strutturazione mentale, una visione delle cose più precisa. Se ripete il gioco senza variazioni, significa che sta lottando con un problema importante: non avendo trovato una soluzione soddisfacente, non si arrende e continua a cercarla con tutto se stesso, fino al punto da ignorare qualsiasi altro gioco, come quando vuole ascoltare ripetutamente la stessa fiaba senza che vari neanche una parola, poiché si trova a misurarsi con le proprie dinamiche psichiche o con le sue paure.

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Il piacere di giocare con il corpo

Nostro figlio, come tutti i bambini, gioca per il piacere di giocare, fa per il piacere di fare. Il gioco è un piacere in sé. Questo sembra così ovvio da rendere inutile qualsiasi considerazione; eppure il piacere di misurarsi con il proprio corpo è tra i più rari e i più importanti che ci siano concessi. Esprime una «contentezza muscolare», come la definisce Pavlov, che i bambini manifestano con un’esuberanza così coinvolgente da costringerli a esprimerla con risate, esclamazioni, urli, a seconda dell’età e dei giochi.

Fin dai primi giorni di vita nostro figlio ha bisogno di giocare con il proprio corpo: è il suo primo giocattolo e ha bisogno di esercitarlo per conoscerlo, per capirlo, per imparare a guidarlo e dominarlo. Vive quello che gli esperti definiscono «il piacere della funzione»: il piacere che egli prova nel sentire che corpo e mente entrano in funzione, rispondono alle sue richieste e gli procurano benessere.

Tutte le competenze che sviluppa passano attraverso i suoi giochi con il corpo: il gioco solitario con «il piacere della funzione» pone le basi degli apprendimenti futuri; il gioco insieme ad altri (noi o coetanei) gli procura il piacere di funzionare in relazione con gli altri e favorisce la socializzazione. Questa gioia si rafforza se viene confermata dalla nostra gioia, dal nostro piacere di giocare con lui e di essere in relazione con lui.

Amare nostro figlio significa saper giocare con lui, saper condivi-dere e rafforzare la gioia di misurarci con il movimento nella scoperta delle sue e delle nostre possibilità fin dai primi mesi di vita.

Affrontare i problemi senza ansia

Nel corso della crescita di nostro figlio incontriamo molti problemi, ma tutti si riconducono a un’unica questione: il nostro rapporto con lui. È questo il vero problema e al tempo stesso la sua soluzione, anche quando le circostanze esterne sembrano sfuggire a qualsiasi controllo.

Con la nostra presenza di padre non influiamo solo sull’evento (la cosa), ma anche sul modo in cui l’evento viene vissuto da nostro