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Segni

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Segni

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Designverso: una collana dedicata ai designer della comunicazione immaginata come allegato alla rivista Multiverso, Università degli Studi di Udine.

Facoltà del DesignA.A. 2015-2016Lab. Fondamenti del progetto - Sezione C2

Docenti:Daniela Calabi, Cristina Boeri, Raffaella Bruno

Cultori della materia:Margherita Facca, Lia Prone

Studenti:Federico GardoniMoreno MaioGianluca MistoAlessandro Picenoni

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Giancarlo Iliprandi è stato docente alla Società Umanitaria, all'ISIA di Urbino, all'Istituto Europeo di Design, al Politecnico di Milano, dove, tuttora, dirige un corso di alta forma-zione in Type Design. Ha percorso la storia della progettazione grafica lasciando ovunque tracce del suo procedere controcorrente. At-teggiamento provocatorio che ha cercato di stemperare nell'ironia. Innamorato del segno, ha usato spesso il disegno per raccontare le proprie metafore. Il suo archivio professiona-le, faticosamente riordinato negli ultimi anni, è stato dichiarato di interesse storico partico-larmente importante dalla Soprintendenza Ar-chivistica per la Lombardia. Vincitore di quat-tro premi Compasso d'Oro ADI, uno dei quali alla carriera, più numerosi altri riconoscimen-ti in Italia e all'estero, vanta una Laurea ad Honorem in disegno industriale, conferitagli dal Politecnico di Milano nel 2002.

Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, Milano, 2015.

Segni è il nome dato alla collana di riviste dedicata ai più grandi designer della co-municazione.

Questo numero ripercorre i segni che il pro-gettista grafico Giancarlo Iliprandi ha realiz-zato nella sua carriera, sia che fossero segni di ricerca, segni di dissenso, segni di evasione. Un’ultima sezione è dedicata ai suoi interessi al di fuori del design della comunicazione, per conoscere il più possibile la figura di questo importante designer italiano.La rivista non è solo da sfogliare. Alcuni manifesti e progetti di Iliprandi si ani-mano sotto gli occhi del lettore, attraverso la tecnologia della realtà aumentata.Posizionando infatti il proprio smartphone, con installata l’applicazione di “Designverso”, sulle immagini segnalate con il codice “AR” è possibile vedere degli effetti speciali e sorpren-denti.

A cura di Federico Gardoni, Moreno Maio, Gianluca Misto e Alessandro Picenoni.

Editoriale

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Segni di dissenso

Oltre i segni

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Impegno e Disimpegno

Il Disimpegno di Giancarlo Iliprandi

La scrittura come riflessione attiva: I diari

La grafica nel segno della libertà

Basta un poco di zucchero e la pillola va giù

Le soluzioni per Brera. Accademia, Museo e Polo Culturale

Gli esordi da giornalista e la passione per la scenografia

Un grande amore per il teatro

L’esperienza al Salzburg Seminar

L’insegnamento: una carriera lunga più di quarant’anni

Il kendo

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Indice

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Segni di ricerca

Segni di evasione

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A proposito del colore

Design e pubblicità, divani e cucine

Il lettering questo sconosciuto

Fotografia e design, dalla pittura alle arti applicate

Disegnare in Sahara

Tutti gli orizzonti della comunicazione

Viaggio in Sahara

Viaggio in Namibia

Iris Colombo

In principio era il diario

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Segni di ricercaTi sei costruito un metodo di lavoro?Per prima cosa studio il mercato, guardo la concorrenza. Poi comincio a pensare all’idea, che è la cosa più picco-la di un progetto, il momento creativo. Lì puoi fare un disegno o farne mille. È più facile farne mille. Se ti man-cano gli stimoli, guardi che cosa hanno fatto gli altri. Sfogli ‘Graphis’ e hai delle sollecitazioni visive. Poi crei un progetto con delle alternative.

Giancarlo Iliprandi, “Note”, Milano, Hoepli, 2015.

Conversazione con Alberto Saibene

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A proposito del colore

contare il proprio tempo, per quanto lo giudi-chi deformato e/ o addirittura dannoso. Resta in noi almeno il dovere della cronaca.

L’impiego di un secondo colore nella stampa tipografica può ovviare all’eccessiva regolarità di una composizione. Evidentemente non esi-stono parametri per determinare quando la re-golarità cessa di essere ordine, equilibrio, puli-zia, funzionalismo, per trasformarsi in ovvietà, in rigidità, in formalismo se non addirittura in monotonia. D’altro canto pare sia difficile pre-tendere un continuo sforzo creativo, quando questo sforzo, partendo da basi irrazionali, non può approdare che a esperimenti di fanta-sia assai poco attendibili. E’ vero che la grafica istintiva, come l’architettura spontanea, pos-sono spesso approdare a soluzioni molto simi-li a quelle della progettazione programmatica, ma si tratta per lo più di pura intuizione se non di coincidenza fortuita e comunque l’epoca di questi naîfs pare ormai terminata. Non si può del resto pretendere una reale ingenuità, con i mezzi dei quali si avvale attualmente la diffu-sione dell’immagine.

Lei pensa in qualche modo di testimonia-re un periodo ambiguo di transizione at-traverso certe forme e certi colori?

Certamente, anche con gli spigoli acuti e con il colore violento. Occupandosi di comunica-zione visiva e affrontando i problemi della co-municazione di massa non si può essere liberi, bisogna essere solo responsabili. E la respon-sabilità è il primo atto di una coscienza critica. Ho già scritto anche troppo sulla crisi del mito del comunicare, non vorrei ripetermi.

Ma perché il colore violento?Perché la violenza è diventata la voce più sen-tita della espressione contemporanea. Non si assiste alla violenza altrui, alla reazione, alla repressione, alla coercizione, al sopruso, soffo-cando il naturale bisogno di sopravvivere. La volgarità della comunicazione in quattricro-mia grida dai muri coperti di manifesti e dalle pagine intasate dei giornali; non serve restar-ne fuori o chiudersi nelle torri d’avorio della tradizione tonale. Occorre essere interpreti di questo momento e documentario anche con il colore. Nessuno può sottrarsi al dovere di rac-

Segni di ricerca

Giancarlo Iliprandi

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Fonte dell’articolo:Progettazione visiva 2, dalla lettera al lettering.

A lato: una copertina di Serigrafia da Letterando/Lettering.

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Design e pubblicità, tra divani e cucine

Divani, poltrone e cucine

Arflex nata nei primi anni cinquanta lega il suo nome fin dagli inizi a qualificati proget-tisti: Marco Zanuso, per i prodotti, Albe Stei-ner, per l’immagine. Negli anni sessanta, sotto la guida del fondatore Alberto Burzio, amplia la sua organizzazione aziendale, la gamma dei prodotti e il numero delle collaborazioni artistiche. Iliprandi interviene nella dimensio-ne comunicativa, su due livelli: quello della pubblicità e della promozione alla vendita e quello che lo stesso Iliprandi definisce come propaganda di prestigio, quello che oggi de-finiremmo il territorio valoriale del brand. Questi due livelli, come scrive lo stesso Ili-prandi (1973), non si incontrano mai, anche se procedono verso il medesimo obiettivo. […] Protagonista il prodotto, da una parte, la sua forma ed il suo perché; dall’altra l’industria con il suo aspetto formale ed il suo percome.Quello che in precedenza era una intuizione ora diventa una strategia comunicativa. At-tore di questo processo è il grafico, come re-gista del sistema visivo aziendale. È lui che è in grado di gestire il procedere parallelo dei livelli, ma anche e soprattutto a farli collimare. Così Iliprandi progetta con spigliatezza una stimolante campagna pubblicitaria, mol-to ragionata e condotta a tavolino, dove la società di allora interagisce col prodotto.

Iliprandi verso la fine degli anni sessanta assu-me il ruolo di un polistrumentista. È grafico, illustratore, fotografo, art director, product

designer e attivista disciplinare e professiona-le. Già questo elenco è illuminante. Mentre il-lustra padiglioni fieristici col fior fiore degli ar-chitetti milanesi e fa reportage fotografici per neonate e fiere riviste, come l’Abitare di Piera Peroni, guida i momenti cruciali di due impor-tanti aziende del settore: Arflex e RB Rossana.

Segni di ricerca

Mario Piazza

Link dell’articolo: http://www.aisdesign.org/aisd/la-grafica-per-il-made-in-italy

Nella pagina affianco: Poster per l’Arflex,1970a sinistra un logo da

Progettazione visiva 3, dal testo alla pagina grafica.

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anonima serialità, bensì per il coordinamento totale del-la comunicazione visiva. [1]

Con la stessa determinazio-ne programmatica e lo stes-so approccio metodologico Iliprandi sviluppa un lungo progetto visivo per RB Ros-sana, azienda che dal 1960 si è specializzata nel settore delle cucine. Con questa col-laborazione, Iliprandi azzera fino in fondo gli steccati dei comparti professionali ri-affermando la centralità di quello che è stato definito il ruolo del designer-designer.Non solo è l’artefice della co-municazione ‘multicanale’ di RB Rossana , una cucina che si fa amare a prima vista, ma ne progetta modelli e speri-

Un teatro di figure reali che giocano con il fuori-luogo della loro persona professio-nale. Con registro ironico, il claim sediamoci… ogni tanto, invita ad accomodar-si sui divani e sulle poltrone Arflex postini stanchi, bal-lerine spossate, bersaglieri a riposo, vigili bianco vestiti. E in parallelo allestisce una co-municazione dove il prodotto non c’è e lascia il posto ad una sorta di super-grafica, di nobilizzazione delle subcultu-re e degli slang che la strada comincia a produrre: e quin-di una ‘X’ può rappresenta-re paradossalmente Arflex!Però questi livelli comunica-tivi non vivono accanto uni-camente inerti, sono il sup-

porto, la strada ferrata per un convoglio di ipotesi commer-ciali e culturali che avanza per il loro verso, in virtù di un terzo binario che sta accanto.Il lavoro più grosso e più modesto, la forza motrice, la funzione, il corredo infor-mativo è la terza rotaia. [1]

Questa è la sostanziale diffe-renza con il ruolo emergente delle agenzie pubblicitarie. Informare non è persuadere. Informare richiede un atto di accettazione delle responsabi-lità e dei limiti del comunica-re. Annota ancora Iliprandi:[...] Per immagine coor-dinata di una azienda, o meglio per coordinamento dell’immagine aziendale di una organizzazione produtti-va si intende un metodo pro-gettuale inteso a risolvere un rapporto tra individuazione e consumo, il quale tenga in debito conto: la chiarezza del messaggio, la convenienza di utilizzazione, la semplicità d’uso, la versatilità di ingegno, la razionalità realizzativa, la facilità di identificazione. E poiché il design grafico è la ricerca di un processo metodologico atto a risol-vere problemi connessi con tematiche di carattere indu-striale, […] esso è un preciso metodo che stabilisce regole normative non solo per una

[1] Annotazioni di Giancarlo Iliprandi del 1973In alto: due loghi da Progettazione visiva 3, dal testo alla pagina grafica.A lato: RB Rossana poster 1971 a sinistra e La Rinascente Uomo Estate a destra.

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menta nuove tipologie di prodotto. Nel 1968 disegna il modello Isola, un monoblocco in ac-ciaio inossidabile che è diventato un classico del design. L’orizzonte sperimentale, il fuoco utopico del designer, Iliprandi lo fa divampare anche nella comunicazione, modulando e al-ternando i linguaggi. In particolare con giochi di contrasto visivo e verbale, a slogan facili e gratificanti, associa immagini solarizzate e dai colori non naturali, fluorescenti. A campagne fotografiche impeccabili nelle inquadrature di Ballo e Masera, affianca manifesti e cartel-le serigrafiche sull’uso pop di forme tipiche e parole chiave del mondo domestico e femmi-nile. Esemplare, è infine il manifesto del 1977, ‘Stiamo in casa’, che sembra essere il conden-sato delle controculture giovanili, stampato iridescente come le riviste underground e con un testo (tormentone) che è un parallelo dell’e-pica beat e dell’affabulazione reiterata della canzone di protesta.

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Il lettering, questo sconosciuto

quella che qui si limita è solo una certa fan-tasia, definita un tempo estro creativo, molto lontana dalla posizione intellettuale della crea-tività moderna. Si verifica piuttosto, e questo è vero, una frattura tra l’uomo ed i suoi mezzi di assimilazione, cioè un’interruzione del ritmo tra il pensiero elaborato, il pensiero trascritto in codice, ed il pensiero percepito. Ma questo è un caso di esaurimento mentale collettivo, del quale la tipografia è corresponsabile solo come quantità produttiva e non come qualità. Anzi la qualità è l’unica garanzia dell’esatta trasposizione grafica. Quando però la tipo-grafia, che è sempre e comunque immagine, tende ad essere immagine soltanto, possia-mo arrivare a scritte aleatorie, ambigue, o addirittura illeggibili, purché diventi-no leggibili in altro modo, cioè siano un nuovo linguaggio. È chiaro come il carattere sia in questo caso una materia non inerte, da coinvolgere in una dinamica nuova. Quando Tovaglia scrive AMORE sovrap-ponendo alcuni lineari nerissi-mi, oppure fotografando di costa lo spessore delle grandi lettere che compongono la scritta, noi non la leggia-mo ma la sentiamo, ed è più importante, a que-sto punto, sentirla.

Che il carattere tipografico avesse un valore non solo semantico ma pure estetico-formale è cosa della quale si

erano resi conto anche gli antichi, certo è che il lettering nasce in questi anni soltanto come de-finizione e spesso gli autori specialisti, nel ten-tativo di spiegarne il significato, vanno com-plicando il termine oltre misura. In sostanza per lettering si intende quello che è il valore segnico di una scritta nell’ambito pubblicita-rio, o meglio nell’ambito grafico, e questo cor-risponde esattamente ai canoni della buona composizione. La composizione tipografica ha delle regole puramente meccaniche e manua-li, ma concettualmente è una delle attività più libere e liberatorie dell’immaginazione; dif-ficile quindi accettare di dimenticare il carat-tere, condizionato dal tipo di configurazione e proprietà strutturali, in favore delle regole fisiologiche della percezione visiva. Il carattere contempla entrambe le possibilità. Poi di quale carattere si parla? Vi sono migliaia di tipi con caratteristiche simili o opposte, quindi vi sono i modi di combinare le lettere per formare le parole, successivamente modi di accostare le parole per costruire le frasi. Infine con le frasi si fanno i periodi.Quando si parla di periodi, cioè di testi più lunghi, possiamo anche ammettere che le esi-genze del messaggio limitino l’immaginazione, però se ci accordiamo sul termine; perché forse

Segni di ricerca

Giancarlo Iliprandi

Fonte dell’articolo:da Progettazione visiva 3 dal testo alla pagina grafica.Qui a destra un logo dallo stesso libro, nella pagina affianco una copertina per Serigrafia.

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Cioè la percezione modifica sé stessa in conti-nuazione, e quando usa soltanto uno dei sensi quasi coinvolge anche gli altri quattro. Rias-sumendo: il gesto rimane sempre un gesto del comunicare, l’immagine tipografica è sempre immagine anche involontariamente e, nella composizione, il messaggio non è che il conte-nuto di una forma determinata.

Il problema non può essere quindi solo estetico o etico, o neppure, a livello più modesto, lirico o pratico, il problema è meramente creativo, cioè investe la possibilità di formare, o di tro-vare, nuove strutture tra entità separate, la ca-pacità di porre nuovi parametri o di insegnare agli uomini nuove convenzioni di lettura.

Manifesto per il font Forma della Nebiolo.Nella pagina a destra da Letterando/Lettering.

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Fotografia e design: dalla pittura alle arti applicate

THE CONCERNED PHOTOGRAPER

Copertina per Popular Photography Italiana. Ottobre 1969Sono stato art director dell’edizione italiana di Popular Photography dal 1966 al 72, curando una serie del tutto indipendente dalla pubbli-cazione americana sia come testi ed immagini sia come impostazione grafica. La copertina riprodotta si riferisce ad una grande mostra con opere di Robert Capa, Werner Bischof, David Seymour, Leonard Freed, Dan Weiner, ma anche ad un momento di particolari ten-sioni sociali. Il lavoro a Popular Photography mi ha dato modo di venire a contatto con i più importanti autori del momento, consentendomi di appro-fondire il linguaggio delle immagini fotografi-che sia dal punto di vista della tecnica che da quello dei contenuti.

La divaricazione fra pittura e arte appli-cata raggiunge l’apice alla fine degli anni ’60. Iliprandi smette di dipingere e si

concentra su design, illustrazione, fotografia, grafica e tipografia, e arrivano gli anni della Rinascente. Il grande magazzino milanese si fa motore del gusto italiano degli anni ’50-’60. Una certa borghesia milanese, di cui le fami-glie proprietarie Brustio e Borletti fanno parte, si impegna a esportare il suo stile e il suo mo-dello di consumo nel Belpaese, in primis con la comunicazione. Viene allestito uno spetta-colo su più piani, dalle vetrine che affacciano sulla strada alle mostre di carattere esotico su in cima. Protagonisti di quella stagione, oltre a Iliprandi, sono Lora Lamm e Amneris La-tis, svizzere entrambe, seguite dagli americani Bruce e Penny Hopper. Gli uffici “Stile” e “Propaganda” vivono anni di gloriosa bellezza che finiscono solo alla fine dei ’60 quando gli studenti scendono in piaz-za, tramonta il sogno borghese, la Fiat compra la Rinascente e tutto cambia.

Segni di ricerca

Giancarlo Iliprandi

Link dell’articolo:http://www.panorama.it/cultura/libri/note-la-biografia-di-giancarlo-iliprandi/A lato: copertina per Popular Photography Italiana.

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UOMO lR Manifesto per il reparto moda maschile de la Rinascente (1964)Ho collaborato con l’ufficio pubblicità del-la Rinascente dal 1955 al 1967 progettando vetrine, reparti, manifesti, opuscoli, giornali, cataloghi, annunci pubblicitari,manifestazioni che coinvolgevano interi piani. In particolare mi sono dedicato al settore uomo dal 1962. (lavorando con Giorgio Armani stilista del re-parto). Il manifesto riprodotto ha suscitato un certo scalpore in un’epoca abituata ai figurini della Facis. Poco è concesso ai vestiti molto all’espressione maschile, o maschilista, con la quale i due ragazzi guardano la modella. Lo scatto è di Serge Libiszewsky, uno dei miei fotografi preferiti. In quegli anni ho usato mol-to l’immagine fotografica lavorando spesso con Aldo Ballo, Oliviero Toscani, Federico Pa-tellani, Carlo Orsi, Mauro Masera, Ezio Frea ed altri.

Dall’alto veso il basso: Manifesto per il reparto moda maschile de la RinascenteOlivetti adv Aldo BalloMilano, di Carlo Orsi, impaginato da Iliprandi.

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Progettavo le sei copertine che servivano ad una annata della rivista Serigrafia ogni anno a gennaio. Immaginando la sequenza, scrivendo un commento, aggiungendo le note tecniche per lo stampatore. Poi ogni due mesi aspettavo, quasi mai con ansia evidente, l’uscita del numero.Giancarlo Iliprandi

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Segni di dissenso

Allo scoccare degli anni Settanta sei fotografo, impagini, sei grafico, fai i libri, le rivista, le pubblicità: insomma hai imparato a fare tutto.Sì, l’unica cosa che non ho imparato è a fare i soldi.

Conversazione con Alberto Saibene

Giancarlo Iliprandi, “Note”, Hoepli, Milano 2015.

Non sapevi chiederli? Te ne sei pentito?No, il problema è che facevo le cose a modo mio. Dicevo al cliente come avrei fatto le cose. Insomma non li ascoltavo e così ho perso molti clienti. Non me ne sono pentito. Preferivo, non so, fare la campagna per gli anticoncezionali.

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Giancarlo Iliprandi chiama una parte del suo lavoro professione e una parte, cer-to non la più irrilevante, disimpegno.

Con un atto di orgoglio, naturalmente, perchè Giancarlo sa bene che quel disimpegno proprio disimpegnato non è; lambisce e invade l’altro campo, quello serio, della professione. Iliprandi è sempre stato in trincea, non si è mai fermato nei paradisi delle anime belle progettuali. Certo, è stato sistematico tra i sistematici, milanese tra i milanesi, designer tra i designers, impegnato che più non si può nella professione, con i suoi limiti, le sue grandezze e i suoi compromessi, ma non si è certo fermato qui. Una natura pro-gettuale attenta che lo ha portato, tra l’altro, alla sperimentazione artistica (le serigrafie) e alla grafica di pubblica utilità (quando non se ne parlava proprio, o perlomeno, se ne parlava pochissimo).Quando, con un pizzico di civetteria, Giancarlo Iliprandi ci parla di disimpegno, lo fa proprio mettendo a fuoco questo concetto, per lui es-senziale: la professione stessa, con le sue sfac-cettature quotidiane, è l’impegno (quello con la I maiuscola!) e il resto dell’attività è in qualche misura sovrastrutturale, se non superfluo.Però da aggiungere, e questo Iliprandi lo sa as-

sai bene, che tutto, per un designer di tale li-vello, è professione, che non esistono campi di azione residuali, e che quindi l’impegno è quoti-diano e costante. Impegno nella progettazione, scorrendo la biografia professionale del nostro, impegno all’interno delle associazioni di grafi-ca e di design, impegno nella società civile. Di più: nell’opera di Iliprandi si può leggere uno spaccato importante della storia e cronaca del novecento, di cui Giancarlo è stato testimone e attore; ogni progetto va a occupare il suo spa-zio storico ideale, ognuno ci dice di una neces-sità espressiva e intellettuale, ognuno risponde alla domanda fondamentale per ogni progetti-sta; perché?Iliprandi non riduce, infatti, la sua esperienza ad una elencazione arida e autoreferenziale del come si produce grafica, né ci sottopone una lista di clienti illustri e di occasioni visibilmente gratificanti. Ci fa penetrare nelle sue epoche di intervento progettuale e ci spiega di quale sto-ria e storie ogni progetto sia stato espressione necessaria. Ci racconta il perché delle cose e chiama anche noi a testimoniare.Mi si consentirà un ricordo personale. Il primo numero di ‘Popular Photography Italiana’ che comprai, nell’ottobre del 1969, aveva in coper-

Andrea Rauch

Impegno e disimpegno

Segni di dissenso

A lato: Giancarlo Iliprandi, Basta, Aprile 2013.Link dell’articolo: http://principieprincipi.blogspot.it/2013/01/maestri-39-giancarlo-iliprandi.html

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tina una foto drammatica, di Leonard Freed salvo il vero, un volto in bianco nero che urlava disperazione, dolore, protesta. L’interno della rivista era modulato con un’impaginazione or-dinata e razionale ma al tempo stesso libera-mente creativa. Bellissima. Vi si sentiva l’influenza del Twen di Willy Fleckhaus, forse la lezione di impaginazione più libera, elegante e intelligente di quegli anni. Fu come la folgorazione di Saulo/Paolo sulla via di Damasco (si parva licet...). Mi innamorai all’istante di quella grafica e il nome di quell’autore, che allora non avevo mai sentito nominare, mi divenne familiare e caro. Lo ritrovai poi continuamente, quel nome, in tutte le iniziative più serie e importanti della grafica di quegli anni, dai manifesti per il con-trollo delle nascite a quelli per la difesa dell’am-biente.Proprio per questo Iliprandi è una delle figure fondamentali di quella scuola milanese della grafica che coniugava con naturalezza, nella propria opera, etica e comunicazione, cultura e imprenditorialità. Per quei milanesi la commer-cial art, la comunicazione di prodotto, come vogliamo chiamarla, era comunicazione e grafi-ca anche, e forse soprattutto, d’impegno civile. Parlava di merci e di servizi ma anche di idee, di produzione ma anche di etica e di convivere civile. Disimpegno?, avrebbe detto Totò; ...ma mi fac-cia il piacere, signor Iliprandi!

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Monica Fumagalli

Per un professionista l’impegno si iden-tifica con la routine quotidiana. Queste opere non commerciali, nate fuori da

una committenza precisa, pubblicate a fatica o addirittura inedite, talvolta pretenziosamen-te sociali o di contestazione velleitaria, sono quelle che ironicamente definisco il mio disim-pegno. È con queste parole che Giancarlo Iliprandi in-troduce la mostra, a lui dedicata, che inaugu-rerà negli spazi di via Ventura il prossimo 27 ottobre. Quello di Iliprandi, uno dei maggiori grafici italiani che da cinquant’anni si occupa di progettazione grafica e comunicazione visi-va, è un percorso nel mondo dei segni: segni di ricerca, segni di evasione, segni di dissenso. Ogni uscita dalla pratica quotidiana del segno può dirsi evasione. Ed è proprio questo lo spi-rito della produzione esposta per l’occasione, che comprende circa duecento tra opere stori-che, inediti e nuovi lavori, tutti con una loro storia più o meno breve che meriterebbe di es-sere raccontata. La libreria Art Book Milano accoglie le ripro-duzioni di alcuni dei progetti più rappresen-

tativi realizzati nel corso della sua decennale carriera ed una serie di serigrafie sperimenta-li progettate per le Grafiche Nava nelle quali viene approfondito il discorso sulla struttura-zione, la scomponibilità e la leggibilità dell’al-fabeto. Presso il Box Corraini saranno esposte le tavole del libro Letterando-Lettering edito quest’anno da Corraini, nel quale alcune con-siderazioni sulla composizione tipografica e il lettering sono l’occasione per far dialogare scrittura e grafica. Sono visibili nell’atrio della rivista ‘Abitare’ una serie di disegni di viaggio, espressione massima del disimpegno, dell’eva-sione dalla quotidianità, che si mescolano ad una sequenza di simboli e marchi nei quali la prima lettera dell’alfabeto gioca il ruolo di protagonista in omaggio alla rivista ospitante. Infine la Scuola Politecnica di Design ospita una serie di manifesti di contestazione prodot-ti negli anni ‘60, noti anche come la segnaleti-ca del basta, dei quali l’immagine più nota è senz’altro ‘Basta una pillola’ manifesto pirata del 1967 che incitava all’uso del noto anticon-cezionale, ai tempi ancora vietato.

Il disimpegno di Giancarlo Iliprandi

Segni di dissenso

A lato: Giancarlo Iliprandi, Basta, Aprile 2013.Link dell’articolo: http://guide.supereva.it/illustrazione_e_grafica/interventi/2005/10/228526.html

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Marta Sironi

I diari scolastici

Un esempio per tutti, che dimostra come uno stesso motivo venga replicato in momenti ed esperienze anche molto di-

versi tra loro, sono i suoi ‘Basta’: dal manifesto ‘Basta con i rumori’ contenuto nel 1965 nel numero 8 del rivista Imago a quello realizzato per l’Associazione italiana educazione demo-grafica nel 1967 – ‘Basta una pillola’ – reso pubblico solo nel 1974, fino alle più recenti variazioni in alcuni comunicati di protesta che Iliprandi invia per mail ad amici e collabora-tori.1 Non si tratta qui di analizzare il ruolo della scrittura e la complessità del suo uso nei pro-getti del designer, quanto piuttosto di indivi-duarne le ragioni germinali attraverso l’appro-fondimento di un nucleo di scritti e diari degli anni scolastici che dimostrano come la scrittu-ra sia stata la prima essenziale forma espressi-va di Iliprandi, poi mai più abbandonata, non

solo a livello professionale, ma soprattutto sul piano privato: dal resoconto di viaggio all’an-notazione diaristica.Siamo nel marzo 1941 quando insieme ad al-cuni compagni del liceo scientifico Longone di Milano inizia la stesura di un diario scolastico – ‘Il giornale di tutti2’ – che continuerà fino al gennaio 1942 durante le prime peregrinazio-ni in seguito allo sfollamento in provincia di Varese. In quegli anni i suoi scritti e disegni sembrano avere quale modello prevalente i contemporanei fogli umoristici, in particola-re il ‘Bertoldo’, praticamente l’unica testata del genere con il romano Marc’Aurelio dopo le restrizioni censorie del gennaio 1925, con chiari riferimenti stilistici alle vignette di Carlo Manzoni, Giovanni Mosca e Walter Molino. Allo stesso periodo risalgono altri diari,3 con-notati da un’efficace integrazione fra scrittu-ra e disegno, dove si entra non solo nella sua

La scrittura come riflessione attiva: i diari

Immagine: Giancarlo Iliprandi, Manifesto ambientale, Aprile 1970.Link dell’articolo: http://www.aisdesign.org/aisd/la-scrittura-come-riflessione-attiva-i-diari-scolastici-di-giancarlo-iliprandi-1941-19531. Alcuni esempi in Iliprandi, 2015, p. 258. Si veda anche Iliprandi, 2011.2. Il giornale di tutti, 1941-42. Una copia del diario è stata depositata alla Fondazione Archivio diaristico nazionale di Pieve Santo Stefano, ricevendo il Premio speciale Giuseppe Bartolomei, attribuito dalla Commissione di lettura nella trentesima edizione del 2014.

Segni di dissenso

La scrittura è un aspetto preponderante dell’opera del designer Giancarlo Iliprandi; una scrittu-ra dove confluiscono l’aspetto grafico e tipografico, l’impegno politico e la riflessione personale. Questo articolo non intende analizzare il ruolo della scrittura nei progetti del designer, indivi-duandone piuttosto le ragioni germinali attraverso l’approfondimento di un nucleo di scritti e diari inediti degli anni scolastici che dimostrano come la scrittura sia stata la prima essenziale forma espressiva di Iliprandi. Si prenderanno in esame i due resoconti dei soggiorni di studio all’estero durante gli studi all’Accademia di belle arti di Brera – al Salzburg Seminar in American Studies e alla HBK di Berlino – e le due tesi per i diplomi in pittura e scenografia che introdu-cono all’interesse per il teatro predominante nell’autore in quegli anni. Da ultimo si accenna al primo incontro con Bruno Munari e al coinvolgimento di Iliprandi nel MAC (Movimento arte concreta), passaggio tra il mondo dello studio e le prime applicazioni professionali.

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3. Cartoballes, maggio 1941-novembre 1941; Acta Diurna festiva, dicembre 1941; Tiger Rag, febbraio 1942; Die Lanterne, marzo 1942-gen-naio 1943; The New Cartoballes, novembre 1943 – febbraio 1944; Farevell blues, marzo 1944 – dicembre 1944; Over the Rainbow, marzo 1945 – dicembre 1945 (tutti collezione Giancarlo Iliprandi).4. Eva Tea (Biella 1886-Milano 1970) è stata una storica e critica dell’arte d’indirizzo cattolico, apprezzata insegnante all’Accademia di Brera e all’Università Cattolica di Milano. Autrice di numerosi volumi e articoli che spaziano dai profili di alcuni tra i massimi artisti italiani – Giotto, Veronese, I Bellini, Tiziano, Raffaello – a rassegne tematiche – si ricordano Virgilio nell’arte figurativa del 1931 e La Vergine nell’arte nel 1953. Autrice nel 1935 della guida della Pinacoteca Ambrosiana, negli anni quaranta scrive un profilo storico dell’Accademia di Brera ancora oggi principale fonte sull’istituzione milanese.5. Questa e le citazioni precedenti sono tratte dalla tesi di diploma in pittura (Iliprandi, 1949).A lato: Giancarlo Iliprandi, Dichiarazione personale, 1965-1995.

vita scolastica ma nell’atmosfera del tempo. Sfogliando questi primi diari si avvertono ten-denze e mode più diffuse (con gli adattamenti del caso), i principali fatti storici e privati ma soprattutto i tanti riferimenti alla musica: dal pezzo jazz ‘Tiger Rag’ alla canzone tedesca ‘Das Mädchen unter der Laterne’, allora sulla bocca di tutti nella versione comunemente co-nosciuta come ‘Lili Marlene’. Dalle loro pagine si possono seguire i passi di Iliprandi – che non manca di autoritrarsi com’è nella tradizione umoristica –, soprat-tutto dopo l’8 settembre 1943, quando anche i più giovani, precipitati come tutti nel caos, sono costretti a nascondersi. Sono i mesi pas-sati a Caglio (Lecco), nei quali l’interazione con i coetanei locali avviene soprattutto gra-zie a messe in scena teatrali – da Pirandello a Thornton Wilder – coordinate dal giovane Vittorio Santagostino, responsabile anche di qualche incontro con un altro giovane del luo-go appassionato d’arte e di teatro, Giovanni Testori (allora a Sormano, paese originario del padre).Dal 1943 Iliprandi è iscritto alla Facoltà di medicina dell’Università degli Studi di Milano, poi abbandonata a favore degli studi artistici presso l’Accademia di Brera ai quali approda, a guerra conclusa, dopo essersi preparato pri-vatamente dal pittore Augusto Colombo. Si di-

plomerà in pittura nel 1949, proseguendo poi con i corsi di scenografia, conclusi nel 1953: le due tesi finali sono i primi esempi di una scrittura critica e di elaborazione personale, realizzati parallela-mente alle iniziali collaborazioni giornalistiche. Sono soprattutto gli insegnamenti di Eva Tea4 a determinare gli orientamenti critico-culturali del giovane, indirizzandolo a percepire e interpretare la storia dell’arte in senso ampio, sia cronologica-mente sia in termini di una lettura personalizzata. Tali prospettive lo portano verso una ricerca di tesi per il diploma di pittura intitolata ‘Psicologia di un Santuario’ e incentrata su tutto quel com-plesso di valori estranei al tangibile che aleggia at-torno ad un definito luogo. Si tratta del Santuario di Santa Maria del Monte sopra Varese, al quale Iliprandi era legato da frequentazioni durante le villeggiature estive e soprattutto nel periodo bel-lico, facendolo teatro prima dei miei giochi, poi delle mie meditazioni e dei miei esperimenti pitto-rici. Nella tesi, Iliprandi ricostruisce le principali tappe storiche dell’intervento umano, seguendo i cambiamenti strutturali e ambientali della vita del santuario dall’epoca romana fino alla contempo-raneità, lasciando nell’ultima parte immaginare il luogo come fonte solitaria e autonoma di una propria vita interiore, profana e naturale,5 e illu-strandola con acquerelli atmosferici capaci di co-gliere la fisionomia e il genius loci delle singole cappelle.

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Giancarlo Iliprandi è insieme un grafico dalla carriera brillante - tre Compassi d’ Oro, un Gran Premio Internazio-

nale alla XIII Triennale, una laurea honoris causa in Disegno Industriale al Politecnico - e un intellettuale dai molteplici interessi: da più di cinquant’anni dal suo studio milanese sono usciti libri, manifesti e soprattutto idee sempre incentrate sul mondo dei segni. Oggi la parte più significativa della sua produzione è espo-sta in una mostra articolata in quattro sedi in via Ventura a Lambrate consentendo anche al pubblico dei non addetti ai lavori di scoprire l’ inventiva e la forza espressiva del lavoro di Iliprandi. La libreria Art Book raccoglie il nu-cleo centrale delle opere: ci sono una piccola serie comprendente i dieci miglior interventi personalmente selezionati dallo stesso autore (da un manifesto per la Rinascente al bellissi-mo ‘Non mi avrete mai’), le serigrafie contro la guerra e la violenza di immutata attualità, i manifesti per il Derby, mitico locale del ca-baret milanese ai tempi di Gaber e di Beppe Viola. Nelle bacheche si trovano autentici te-soretti come ‘I travestiti’, coraggioso libro del-la fotografa Lisetta Carmi, un libriccino con le canzoni in milanese di Enzo Jannacci, le riviste fotografiche ‘Popular Photography Italiana’ e ‘Il diaframma’.

Della omonima galleria che Lanfranco Co-lombo aprì in via Brera nel 1967, Giancarlo Iliprandi era il grafico e si deve a lui anche il logo, un diaframma a iride stilizzato. Art Book espone anche le serigrafie per le Grafiche Nava sulla scomposizione dell’alfabeto, discorso che continua idealmente al Box Corraini con le ta-vole di ‘Lettering’, un raffinatissimo libro con cui Iliprandi ci insegna a giocare con i segni e le parole. Se nell’atrio della sede della rivi-sta ‘Abitare’ sono esposti i disegni a matita ricavati dai suoi taccuini di viaggio, bisogna spostarsi al numero 15 di via Lambrate per trovare, alla Scuola Politecnica di Design, una nuova serie di manifesti che sembrano antici-pare la creatività e la combattività che si sareb-bero poi trovati negli atelier degli studenti del maggio francese. Caustico, talvolta sarcastico (soprattutto quando mostra un suo manifesto dove la silhouette della Dama del Pollaiolo è attraversata dalla scritta Speriamo che i pros-simi anni ottanta siano anni migliori per la cultura), Iliprandi definisce disimpegnati que-sti suoi lavori perché non dettati da una com-mittenza lavorativa ma sa bene che la parola impegno ha un significato diverso: non a caso ha realizzato quel ‘Non mi avrete mai’, raffi-nato esercizio di stile grafico e insieme nitida dichiarazione di libertà poetica.

Roberto Mutti

La grafica nel segno della libertà

Segni di dissenso

A lato: Libertà, Giancarlo Iliprandi, Disimpegno, Corraini Editore, 2006.Link dell’articolo: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/12/03/la-grafica-di-iliprandi-nel-segno-della.html

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Armando Borrelli

Basta un poco di zucchero e la pillola va giù

Nell’Italia degli ultimi anni Sessanta uno dei problemi più scottanti era quello legato alla politica di controllo delle

nascite.Nel 1967 – quando la pubblicità degli anticon-cezionali era ancora vietata e un anno prima del ’68 che consacrerà all’amore libero – il giornale ‘PARETI’ farà illustrare un articolo su questo argomento da Giancarlo Iliprandi che realizzerà un’immagine propagandistica a fa-vore della pillola, dove una singola compressa si contrappone a un piccolo esercito di bambo-lotti dall’aspetto lugubre, degno di Profondo Rosso. Sopra, una sola parola: Basta.Sotto, lo slogan (così si chiamava il claim pri-ma del politicamente buonista) si completa con Basta una pillola; si riferisce infatti alla pasti-glia rosa messa come punto in basso, e suffi-ciente a evitare concepimenti indesiderati.L’illustrazione di Iliprandi fu scoperta nel 1973 da una collaboratrice dell’AIED stessa (asso-ciazione per l’educazione demografica) e venne finalmente affissa ai muri nel 1974 quando fu “liberalizzata” la pubblicità degli anticonce-zionali e prese piede il movimento femminista.Ovviamente nella bigotta Italia questo mani-festo apparve per poco tempo. Infatti del caso (vedi Panorama 424 del 1974) si occuperà un gruppo di giovani pubblicitari democratici che credono che la “controinformazione” sia una volontà di contenuti nuovi da travasare

entro vecchi schemi e le vecchie forme di per-suasione pubblicitaria.E pur essendo nel 2014 mi è capitato di sentire analoghi discorsi fatti da colleghi o sedicenti tali.

Segni di dissenso

A lato: Basta una pillola, Giancarlo Iliprandi,1967. Manifesto per l’ AIED. Fotografia di Toni Nicolini.Sopra: Fermati Adamo, Giancarlo Iliprandi, 1967.Link dell’articolo: http://www.tiragraffi.it/2014/07/basta-un-poco-di-zucchero-e-la-pillola-va-giu/

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Si riparla di Brera, del futuro della scuola, del progetto di rilancio del Grande mu-seo. Il Corriere rilancia l’idea di un’isola

d’arte nel quartiere. Bene. Ma cosa rimane di quella stagione straordinaria per Milano che aveva al centro l’Accademia? Poco o niente. Brera non è più la nostra Brera. Quella di Car-pi e Carrà. Quella di Marini e Messina. Quella di Reina e Kaneclin. Quella di Soldati e Reg-giani (chiedendo scusa a coloro che non si ci-tano poiché sarebbero troppi). Quanti erano gli studenti che ogni anno riempivano le fred-dissime aule, tra il 1945 e il ‘53? Non ricordo. Forse non arrivavamo a trecento. Oggi, dico-no, sarebbe tremila. Quanti i corsi? Quattro naturalmente. Pittura, scultura, scenografia, decorazione. Chi insegnava oltre ai «maestri» veramente tali? Guido Ballo ed Eva Tea, storia dell’arte.

Il passato

Chi ha presieduto il Consiglio di facoltà degli studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera? Scusandoci per il titolo pomposo, noi. Noi, Cavaliere, Iliprandi, Robaudi, uno a seguire l’altro. Cosa chiedevamo alla presidenza? Ri-conoscimento del titolo di studio, aule aperte, i famosi calchi piazzati nei corridoi invece che nelle cantine, la restituzione dell’isola Comaci-na. Più qualche dettaglio.

Cosa sono le Accademie oggi? Delle fucine di talenti o, forse, delle impastatrici di artisti senza futuro? Gillo Dorfles è, al solito, tan-to esatto quanto impietoso. Parlando di cer-ti studenti, che ha avuto modo di avvicinare: Non hanno neanche l’idea di apprendere una disciplina, ma vogliono diventare artisti. Fare la carriera dell’artista, quindi, e vogliono im-mediatamente quantificare economicamente il loro lavoro. Non sarei così drastico. Credo cie-camente nei giovani, che sono il Futuro con la effe maiuscola. E credo che a noi sia riservato l’onore, e l’onere, di doverli aiutare a costruire questo Futuro.

Tornare alle discipline storiche

Vi sono tuttavia cose che non capisco. Ad esempio: per quale motivo debbano lasciare il quartiere di Brera, per installarsi in una lon-tana ex caserma? A pochi passi dal palazzo, gloriosa sede storica, abbiamo un’altra ca-serma. Sia assegnata, questa, all’Accademia. Traslochino i militari, non gli studenti (come ha scritto Giangiacomo Schiavi su questa pa-gina). Altra realtà incomprensibile: perché mai

Giancarlo Iliprandi

Le soluzioni per Brera: accademia, museo e polo culturale

Segni di dissenso

Lo scenario attuale

A lato: Locandina e programma per il teatro di piccola Brera.Link dell’articolo: http://milano.corriere.it/notizie/cronaca/14_gennaio_06/accademia-museo-polo-culturale-soluzioni-brera.html

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tutti questi corsi che ricalcano, più o meno, in-segnamenti congeniali ad altre sedi? Brera do-vrebbe tornare ai quattro insegnamenti stori-ci. Pittura, scultura, scenografia, decorazione. Ammettendo circa ottocento studenti. Come, da anni, avviene per la Scuola del Design, del Politecnico di Milano.

Apertura al mondo esterno

Tutti i corsi di Brera dovrebbero porsi lo scopo di rompere il guscio ai pulcini. Tutti i corsi dovrebbero anteporsi codesta missione. Soprattutto la scuola di decorazione la quale dovrebbe, da subito, prendere accordi con le industrie tessili, le industrie ceramiche e quelle manifatturiere. Scoprendo che il vero prodotto italiano è lo spirito che anima questi ragazzi. Il loro bisogno di esprimersi e di comunicare con i segni, le forme, i colori, le immagini e i linguaggi della loro continua ricerca. Se non apriremo i nostri cuori, e le nostre teste, alla loro necessità di credere in un futuro migliore, allora prepariamoci a celebrare i funerali so-lenni dell’Accademia di Brera.

Se Giulio Regeni fosse stato un giovane ricercatore americano, barbaramente trucidato al Cairo, a quest’ora avremmo almeno tre portaerei USA all’ancora davanti Alessandria d’Egitto.

E noi?

Noi abbiamo il problema di Elton John che potrebbe inquinare il festival di Sanremo.

Complimenti al capo del governo.

A lato: E noi? Giancarlo Iliprandi, 2016.

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Segni di evasione

Parliamo di un’altra cosa che ha fatto dopo i settant’anni: i viag-gi nel deserto, che ti hanno portato a tornare a dipingere. Sono anch’essi, come le discipline orientali, una forma di autodiscipli-na? [...] Quando la mamma è mancata, nell’88, ho fatto il primo viaggio. A partire dal secondo viaggio ho cominciato a dise-gnare a pastello e a matite, poi sono passato all’acquarello, più pratico. Prima i paesaggi, poi la persona umana.

Giancarlo Iliprandi, “Note”, Milano, Hoepli, 2015.

Conversazione con Alberto Saibene

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Sopra: acquarello raffigurante tuareg del Sahara tratto da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

Disegnare in Sahara

Giustificando, qualora ve ne fosse bisogno, un certo ritorno alle origini.In un’epoca nella quale il progresso tecnico ha aperto a tutti infinite possibilità di documen-tarsi autonomamente. Trasforman do ognuno di noi in un, più o meno consapevole, narra-tore.Pare superfluo andare a scomodare Euge-ne Delacroix, Paul Gaugin e J.M.W. Turner per giustificare questo fiorire di appunti vi-sivi. Merito indiscusso della Biennale inter-nazionale del Carnet de Voyage di Clermont Ferrand, giunta alla sua tredicesima edizio ne. Contagiando altre valide, seppur sporadi che, iniziative in diverse città italiane.Cosa contraddistingue un carnet de voya ge da una qualsiasi illustrazione di genere? Questo suo essere anzitutto diario. Quindi racconto di un’esperienza personale, tradotta in immagini che si accompagnano a un testo. Dunque una sorta di libro, o di manuale, composto giorno per giorno, da appunti, da istantanee manua-li, da momenti di tranquilla riflessione. Perché proprio qui sta la differen za con il cosiddetto safari fotografico, nella diversità del mezzo. Il quale condiziona l’ap proccio. Dove la foto-grafia cerca l’immedia tezza delle situazioni, il disegno trova il senso dell’immutabile. Alla velocità contrappone il ricordo, alla quantità il pezzo unico, al peso dell’attrezzatura la legge-rezza di una matita.Alla doverosa tirannia dell’inquadratura, pro-pone l’assenza di margini. In un’imma gine manuale si entra man mano che la si costru-isce. Più la si osserva più se ne per cepiscono i dettagli. Quelli che puoi, al mo mento stesso,

Da quando ha iniziato a viaggiare in manie ra sistematica, fosse per diletto piuttosto che per finalità mercantili,

l’uomo si è preoccu pato anche di documen-tare il proprio percor so. Portando con sé te-stimonianza di quanto aveva avuto modo di osservare e sperimenta re. Fossero tessuti, or-namenti, armi, altri ma nufatti, oppure pagine di minute descrizioni. Spesso accompagnate da disegni. Riferiti a semplici annotazioni ge-ografiche, via via fat tesi più descrittive. Sino a connotare precisi paesaggi e anche gli abitato-ri di questi luoghi remoti. Con precisi accenni al loro abbiglia mento, alle suppellettili, alla cosmesi, quin di, in definitiva, ai loro modi di vita.Questi appunti, scritti o disegnati che fossero, andavano, col tempo, assumendo un valore più quantificabile rispetto alla tra dizionale narrazione orale. Perché testimo niavano il vissuto al di sopra delle capacità oratorie, sfoltendo le iperbole fantasiose. Poi perché, quando si avvalevano dei segni, apri vano lo sguardo alla scoperta di nuovi pano rami. Sem-pre più suggestivi, quando capaci di suggerire altro. Perché questa è una prero gativa tipica della comunicazione visiva. La capacità di tra-valicare la semplice descrizio ne illustrativa, suggerendo una fruizione in terpretativa. Di fronte all’immagine lo spet tatore diventa com-plice dell’autore. Carican dola di sensazioni, razionali oppure emotive, che ne modificano i margini percettivi.Tutto questo noioso preambolo vorrebbe solo ricordarci quanto la nostra cultura del viag-gio sia debitrice alle memorie dei pre decessori.

Segni di evasione

Giancarlo Iliprandi

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enfatizzare oppure ignorare. Perché sei dentro uno spazio percettivo che ti appartiene.Se riesci a sentirti a tuo agio, anche se ter-rorizzato, davanti al foglio bianco, il più è fat-to. Puoi metterti a segnare e non hai bisogno di avere prima studiato. L’uomo sa scrivere da circa cinquemila anni, forse settemila, però è l’unico animale che disegna da al meno tren-tacinquemila. Ed è l’unico che ha saputo te-stimoniare di sé con l’intelligenza visiva. Cer-chiamo di non deludere quelli che ci hanno preceduto.

Cosa portare

Per disegnare in bianco e nero: un al bum di 16x12 cm circa, di carta attorno ai 100 gram-mi, rilegato a spirale e di formato tascabile. Aperto permette di abbracciare un buon pa-norama. Sopporta macchie di colore. Non si deforma. Ci si può disegnare a matita, pure se il segno tende a sporcarsi. Il mezzo ideale è una Bic medium, nera.Per usare il colore: una scatola di plastica bian-ca con dodici colori a pastiglia (mezzi godets)

per acquerello. Due pennelli di se tola n. 8 con il manico tagliato, cioè lunghi 12 cm al massi-mo. Un qualsiasi ciotolino o bicchiere. Il tutto tascabile. Più acqua pulita della borraccia. Al-bum di carta da acquerello di 200 grammi cir-ca, formato compreso tra il 10x15 e il 25x35. Naturalmente esistono sca tole a 24 colori con tavolozze, vaschette, im pugnature. Nonché pennelli di varie misure e carte molto pregia-te. Ci siamo limitati al minimo indispensabile che, volendo, potreb be essere persino ridotto.Aggiungiamo due consigli generici: in viaggio, l’acquerello serve ad appuntare co lori e forme in modo rapido. Cinque minuti, persino meno, invece di venti, non fanno dif ferenza. Impor-tante sarebbe poter fermare un’emozione, una luce, uno spazio.La realtà è sempre banale. Il disegno ri chiede più tempo, soprattutto quando si fa analitico, cessa di essere uno schizzo di pre parazione o di ricerca. Poi potrebbe richiede re una mezza-tinta, a macchia oppure a trat teggio. Anche se certe volte basta scriverci sopra come erano i colori e come saranno alla prossima elabora-zione. In ogni caso non scoraggiatevi se non riuscirete a fare qualco sa che vorreste definire bella.Il bello è come l’isola di Utopia.

Racchiudere in un libro e di conseguenza in una recensione di poche righe quello che Giancarlo Iliprandi rappresenta per il mondo della grafica è impossibile. Moleskine ha deciso di provarci comunque racco-gliendo nel volume dall’appropriatissimo titolo ‘Sketch, Think, Draw’, schizzi, appunti, riflessioni, progetti, disegni di questo artista considerato uno dei più importanti e apprezzati graphic designer della nostra epoca. Dalla grafica per il grande magazzino milanese La Rinascente ai lavori commissionati da aziende del calibro di FIAT, Olivetti, RAI, Roche per citarne solo alcune; dalle copertine delle riviste di sport a quelle per gli album della casa discografica militante i Dischi del Sole, dai poster alle locandine di spettacoli te-atrali e fiere per arrivare ai bellissimi disegni fatti durante i suoi molteplici viaggi in giro per il mondo: la piccola città Punta Arenas in Patagonia, le vette del Monte Bianco, i sultani di Oman, le donne nigeriane o più semplicemente gli schizzi dei diversi tipi di piante e uccelli che colorano l’isola di Socotra, nell’Oceano Indiano. Un libro pieno di dettagli, sfumature, ricordi che continueresti a sfogliare per vedere se ti sei perso qualcosa o per ritrovare quel pensiero, quello schizzo, quel disegno che permette di capire qualcosa in più di Giancarlo Iliprandi.http://www.onprintedpaper.com/?p=384

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Fonte dell’articolo: Pier Paolo Rossi, Vivere il Sahara, guida al deserto più bello del mondo, Hoepli, Milano, 2013.A lato: disegno tratto da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

Da “Segno & disegno”, catalogo della mostra tenutasi al Chiostro di Voltorre, Gavirate (VA), primavera 2009.

Ecco, tra segno e disegno, non esistono reali diversità tecniche, piuttosto che concettuali. Entrambi si eviden-ziano con metodi e mezzi di rappresentazione, identici. Entrambi si esprimono mediante un linguaggio. Che noi abbiamo codificato e che la semantica ci aiuta a classi-ficare. La differenza tra segno e disegno sta solo nell’uso di due termini, forse dovrei dire di due sostantivi. Cioè delle sostanze che noi vorremmo differenti. Per disegno si intende un uso artistico, oppure pseudo artistico, del segno. Un uso superiore o superfluo. Qualcosa, abitual-mente, di figurativo. Una esercitazione scolastica tipica del Liceo Scientifico. Ritenuta inutile nel Classico. Eppu-re i migliori studenti della facoltà di architettura sono ragazzi che vantano la maturità classica. Perché mai? Perché il disegno è metodo, perché il disegno è cultu-ra, perché il disegno si accompagna alla capacità di analisi e di sintesi? Alle qualità evidenti dell’in-telligenza? L’uomo medio è “comunque” un buon animale disegnante? Diamo quindi per scontato, pronti ad ogni verifica “sul segno”, che ogni uomo ha la possibilità di dise-gnare. Così come ha la possibilità di scrivere. E volutamente non scrivo capacità.

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Tutti gli orizzonti della comunicazione

colore tenue dell’acquerello; volti che riporta-no dolcemente a quel luogo lontano rendendo-lo improvvisamente meno distante. Sono uo-mini e donne, vecchi e bambini coi lineamenti appena accennati colti durante il loro cammi-no verso il mercato del sale con le pesanti ca-nestre di paglia intrecciata portate sulla nuca. Sembra per un attimo di sentire il loro vocio, come un eco lontano; l’impressione è quella di un ricordo di cui non si vuole perdere memo-ria, ma del quale non si vuole raccontare trop-po. Chi deve disegnare un volto deve entrare nel profondo di questa persona, non è come per il fotografo, all’artista serve più tempo per vedere tutti i dettagli spiega Iliprandi entrare intensamente per poi ricostruire con una mati-ta, una penna sul proprio quaderno di viaggio senza aver dimenticato nulla. Le pagine del suo diario sono adagiate su ta-vole di legno grezzo o su fogli di juta sottili e curvi.

Diario di viaggio

Un’incursione pacifica che stravolge e travolge è quella di Giancarlo Iliprandi al Chiostro di Voltorre. Un grande pro-

getto espositivo elaborato in un allestimento suggestivo e coinvolgente. L’artista e il suo doppio, Iliprandi fa una mostra a se stesso, l’organizza in ogni dettaglio, la auto-sponso-rizza e la auto-pubblicizza. Mettere in mostra le proprie opere non era sufficientemente ap-pagante per un maestro della comunicazione visiva come lui; bisogna anche sapersi vendere, vendere un prodotto comunicando, aggiunge. Proporsi quindi come oggetto di mercato da una parte e rivelarsi nella propria fragilità d’uomo dall’altra. Nella sezione del Disegno dedicata al suo viaggio in Sahara racconta una delle tante escursioni compiute in più di vent’anni d’avventure nel deserto. Una grafia fuggevole e ripetuta alla quale si aggiunge il

Segni di evasione

Laura Orlandi

Un percorso intenso alla scoperta di un grande maestro della comu-nicazione visiva. Il Chiostro di Voltorre trasformato da Giancarlo Ili-prandi che ci racconta il suo lungo viaggio, tra mete reali e orizzonti possibili.

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A lato: disegno tratto da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

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L’opera d’arte è emozione

L’artista trasmette attraverso i suoi disegni l’a-more che prova per il deserto, la sua passio-ne per quell’immensa distesa di sabbia che ti fa sentire vivo, ti lascia il tempo per pensare davvero spiega Iliprandi il tempo e lo spazio si annullano e puoi davvero sentirti libero di riflettere, lasciando la mente libera pronta a recepire tutti i pensieri. Iliprandi al Chiostro di Voltorre si scopre artista, senza sentirsi dav-vero tale: non sono abituato a fare mostre e non so fino a che punto servano, è meglio stare a casa a disegnare. Io sono un insegnante, è questo il ruolo che sento più mio dichiara con fermezza. Dalla sua casa di Velate, dove risiede ormai dal 1957, si dedica per diletto all’arte che, secondo lui: non è frutto di un talento, ma di una necessità di comunicare, l’opera d’arte ha un valore finché provoca un emozione.

Maestro di comunicazione visiva

Il viaggio, vissuto, immaginato, ricordato, di-viene metafora e punto cardine anche per la sezione del Segno, dove Iliprandi espone il proprio percorso professionale quello compiu-to negli ultimi cinquant’anni, fatto di manife-sti, opere di progettazione grafica, serigrafie. Un’altra forma di comunicazione al servizio dell’espressione delle proprie idee. Dal caldo tratto e dai tenui colori del Sahara si passa al freddo delle cromie dei manifesti. Tinte piatte e forme geometriche, tutto è più statico, meno poetico, ma la forza dei messaggi spezzano subito quest’apparente immobilità. Un mani-chino mutilato in bianco e nero che parla di violenza dell’uomo sull’uomo, una scritta che incalza un Basta che si oppone stridente alle ingiustizie sociali. Tante bamboline stereotipa-te e una piccola pillola rosa sul fondo. Ilipran-di con le sue opere di comunicazione visiva non è mai andato per il sottile: le sue opere grafiche realizzate su commissione o meno, hanno sempre avuto un valore sociale reso at-traverso espedienti comunicativi, dal lettering, ai colori, alla composizione, che l’hanno reso un maestro in questo campo.

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Ripartire, continuare a viaggiare

Gigantografie di manifesti, poster ed elabo-razioni originali appese sui muri si alternano a grandi teli sospesi con riprodotti i lavori di comunicazione visiva realizzati da Iliprandi; lo spazio dei corridoi del Chiostro è ridotto, manipolato, affascinante e nuovo. Volevo che i mie lavori dialogassero con quest’ambiente meraviglioso ha tenuto a sottolineare Iliprandi all’inaugurazione volevo però anche riuscire a stravolgere l’ambiente, senza deturparlo, in maniera invadente, ma rispettosa.L’artista ha inoltre deciso di allestire una pic-

cola sala video dove viene proiettata una inter-vista che gli è stata fatta proprio al Chiostro nella quale parla di sè, delle sue esperienze, del suo cammino professionale, della sua vita. Ili-prandi non vuole che questa sia la fine di un percorso, ma solo una tappa e un nuovo punto di partenza, come scriveva Kerouac nel suo ce-lebre romanzo ‘Sulla strada’: le nostre valigie erano di nuovo ammucchiate sul marciapiede; avevamo molta strada da fare. Ma non impor-tava, la strada è la vita.

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Link dell’articolo: http://www.artevarese.com/av/view/news.php?sys_tab=40018&sys_docid=3357&sjl=1A lato e in alto: disegni tratti da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

Page 28: Segni - designverso.it fileSegni di dissenso Oltre i segni 22 64 39 78 Impegno e Disimpegno Il Disimpegno di Giancarlo Iliprandi La scrittura come riflessione attiva: I diari La grafica

Il deserto è bello

perché è essenziale, ci si sente liberi di riflettere

e si sogna tantissimo.

Giancarlo Iliprandi, “Note”, Hoepli, Milano, 2015.

Viaggio in Sahara

tra touristes e terroristes. Così abbiamo scelto un titolo tranquillo, che vorrebbe dire tutto e niente. Perché se il Sahara è soltanto la più grande distesa desertica del mondo il viaggio potrebbe sottintendere spazi, geografici piut-tosto che temporali, persino maggiori. Come fossero un certo sguardo, proprio quel certain regard, non sui vicini di intenti ma dentro di noi. Questo, per fortuna, altro non è stato, almeno apparentemente se non un viaggio in una zona del Sahara centrale, beneficiata da una faticosa e fascinosa serie di cordoni di dune. Là dove l’Erg du Tenere va a innestarsi dans le grand Erg de Bilma. Nel silenzio di cer-ti tramonti gonfi di sabbia ed in quello, ancora più impressionante, di certe albe a zero gradi. Quando anche il freddo pare sorriderti cantic-chiando per suo conto, Freude, Freude, l’inno alla gioia. Et similia. Scusandomi per l’enfasi tardo-romantica.

Difficile introdurre l’ennesimo diario sul Sahara, spazio che non ama troppo farsi confinare tra certe pagine angu-

ste, cercando diligentemente di evitare tutti i luoghi comuni che aggrediscono la sua essen-zialità. Una volta a questi tour, a questi giri fuori dalle normali rotte, si attribuiva il titolo vagamen-te romantico di spedizione. Quando non di esplorazione, presupponente il fascino di qual-siasi ignoto. Addirittura sulle carte che ci ac-compagnavano, lasciapassare o salvacondotti che fossero, compariva il termine mission. Mai nessuno avrebbe anche solo accennato al turismo. Con tutta la sottovalutazione della parola ed in più il rischio di confusioni, ma-lintendimenti ed equivoci. Come quella volta, la sera prima di arrivare a Bardai, con le canne dei kalà puntate alla gola, noi che ci dichiaria-mo turisti, loro che insistono a imbastardire

Segni di evasione

Giancarlo Iliprandi

Degno di nota il suo ultimo libro ‘Viaggio in Sahara’ dal quale trae spunto la grande mostra ‘segno&dise-gno’ allestita al Chiostro di Voltorre, a cura di Cristina Taverna nota editore/gallerista, alla quale spetta il merito di avere fatto conoscere al mondo della cultura i massimi pittori/illustratori del secolo. L’autore ha preso parte, con un gruppo abbastanza ristretto ed omogeneo di amici, a piccole spedizioni nell’Hoggar e nei Tassili algerini, nell’Acacous libico, nel Gran mare di sabbia egiziano, in Mauritania, in Tibesti, Ennedi, Mar Mar, Circo di Ouri, Zouarke ed altre realtà in Tchad, oltre che nell’altopiano di Jado, nel Termit, nel Ténéré di Tafassasset, in Niger, alla ricerca di carovane, graffiti e reperti. E’ autore di una guida sull’Oman edita da Polaris. Per proprio conto, ha attraversato Alaska, Patagonia, Terranova, Tibet, Namibia, Botswa-na, Laddak, Laos, Cambogia, Islanda, Australia e persino posti tranquilli.http://www.nuages.net/autori.asp?autore=36

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Link dell’articolo: http://www.artevarese.com/av/view/news.php?sys_tab=40018&sys_docid=3357&sjl=1A lato: acquarello tratto da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

Page 29: Segni - designverso.it fileSegni di dissenso Oltre i segni 22 64 39 78 Impegno e Disimpegno Il Disimpegno di Giancarlo Iliprandi La scrittura come riflessione attiva: I diari La grafica

La casa alla Torre di Velate. Costrui-ta per i miei genitori, con i muratori del paese, su un terreno isolato. Una serie di balze dalle quali godevi il tramonto del sole dietro al Monte Rosa. Un sito dove ero stato a disegnare quando non sape-vo ancora tenere in mano i pastelli. Ado-ravo quel posto perché non passava ani-ma viva. Era solo spazio. Delimitato dalle gobbe del Campo dei Fiori, a Nord, a Sud dalle colline che andavano a bagnarsi nel lago. Se riguardo quelle foto capisco, con riprovevole ritardo, il mio bisogno di solitudine. Ritrovo il senso di tranquillità con il quale mi accompagnavo nel deser-to. Nessuna vicinanza reale se non quella del vuoto. Dopo tanti anni, cinquanta-sette per l’esattezza, la casa è stata in-globata nella globalità. Circondata da alberi, siepi, finestre, tetti, terrazzi. Lo spazio è scomparso, tutto ha assunto un aspetto urbano. Il progetto in sé pare an-cora valido, pure se si tratta della casa di uno scenografo. Costruita con pochi mezzi. Però solida, almeno in apparenza, per via dei muri di pietra che richiamano i contrafforti della Torre. Dentro ci sono ancora i mobili della nonna, reperti di viaggio, disegni a pacchi. Anche ricordi di quel terribile inverno dell’anno 1944. Il più freddo di tutti. Giancarlo Iliprandi, “Note”, Hoepli, Milano, 2015.

A lato: fotografia tratta da Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, Milano, 2015.

In questa pagina acquarelli tratti da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

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Viaggio in Namibia

Soprattutto personali.Sanno sorprenderti solo gli animali. Il loro procedere ora guardingo ora impulsivo, la len-tezza del gesto, lo scarto improvviso. Questo continuo offrirsi come modelli astratti, con-traddetto dalla tangibile presenza nella realtà quotidiana. Vissuta tra spensierato brucare, folli corse, fissità irreali, gerarchie mai scritte poiché comunque inevitabili nel profumo sel-vatico.Occhi umidi sbarrati a prevedere il guizzo nel-le fessure feline. Poi questa bellezza dei mantimorbidi, dei muscoli nascosti, del contrasto tra docilità e sopraffazione, mai per interesse ocattiveria, solo perché così era stato deciso. Molto molto prima che noi ci mettessimo in viaggio.

Un deserto traversato da dune rosse, ol-tre alle quali immagini un mondo privo di questi turisti mordi e fuggi. Un’aria

di cristallo. Strade che solcano il bush per ore, indicibilmente diritte. E rischiose, per quel brutto vizio d’attraversarti la strada che pa-rebbe privilegio delle taglie più robuste.Montagne nate per dar vita a leggende e rac-conti di guerre all’ultima zagaglia. Insegne in carattere gotico-fraktur che fanno tanto colo-re. Purchè lasciate in preda al folclore locale. Una costa bellissima trapuntata di relitti svuo-tati. Ognuno con una propria tragica storia di naufragio e naufraghi, cancellati come i nomi che ostentavano a poppa. Spazio dove torna-re solo quando meditare sulla ineluttabilità di certe tempeste.

Segni di evasione

Giancarlo Iliprandi

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Link dell’articolo: http://www.giancarloiliprandi.net/Namibia/n1bis.htmlA lato: acquarello raffigurante un tramonto in Namibia tratto da Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, Milano, 2015.

Quando ci si trova davanti ad un tramonto il tempo è talmente breve che bisogna entrare nell’atmosfera, coglierne l’aspetto più profon-do e poi disegnare. Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, milano, 2015

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Iris Colombo

oltretutto, accessibili a basso prezzo. Così pen-sai alla storia di un colombo grigio che, prima di fissarsi sulle pagine, immaginavo potesse chiamarsi Evaristo colombo tristo. Costretto a mescolarsi con i merli grassi, che beccavano il prato davanti allo studio, sinché non spicca il volo. Traversando un mondo di colori, natu-ralmente sia primari che complementari, che gli si macchiavano addosso. L’idea piacque, Bruno suggerì il titolo e scrisse quella breve presentazione nella quale l’autore, e illustrato-re, del libretto è un progettista grafico autore anche di libri più seriosi. Pubblicato nel 1971 il libretto è la rappresentazione, simbolica, di un periodo della mia vita, gonfio di temporali, nel quale cercavo un arcobaleno che non fos-se unicamente metafora. Come lo furono tutti quelli disegnati, attraverso quei mesi, su ogni superficie che me ne desse lo spazio.

A proposito di un libro. ‘Iris Colombo’ fa parte di uno dei più disarticolati pro-getti di Bruno Munari. Una collana

editoriale che prevedeva l’uscita di racconti, illustrati dall’autore o da altri aderenti. Pagine 16, formato cm 23x24, quattro colori, sprezzo basso, buona diffusione, editore di prestigio. Subito al lavoro. Perché ‘Tantibambini’ era un progetto destinato a tutti i bambini poi, confesso, mi lusingava l’idea di essere stato pubblicato dalla Einaudi. Quella vera, con il signor Einaudi che faceva l’editore come si usava una volta. Non è che uno pubblicato da Einaudi si senta compagno di strada di Italo Calvino ma un poco di luce riflessa se la sen-te addosso. Poi si trattava di dimostrare, alle altre case editrici, che era possibile parlare ai bambini con un linguaggio nuovo. Anzi con tanti linguaggi differenti ma tutti nuovi, tutti,

Segni di evasione

Giancarlo Iliprandi

È un progettista grafico, autore anche di libri sul linguaggio grafico. Lavora a Milano, dove è nato sotto il segno dei pesci. Però dal suo stu-dio vede solo colombi e merli. Pare che uno di questi colombi grigi gli abbia ispirato, in un giorno di temporale, il libretto che avete in mano.Giancarlo Iliprandi,” Iris Colombo”, Corraini Edizioni, Verona, 2009.

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Fonte dell’articolo: Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, milano, 2015. A lato: illustrazione tratta da Giancarlo Iliprandi, Iris Colombo, Corraini Edizioni, Verona, 2009.

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In principio era il diario

eventi importanti, e non solo personali. Queste le motivazioni della Commissione di lettura del premio:Dalle riflessioni sull’amicizia e sull’amore al dramma dell’8 settembre 1943 e della scelta più difficile da prendere. È l’evoluzione che caratterizza il diario di Giancarlo Iliprandi, liceale milanese che nel 1942 comincia a riem-pire di considerazioni personali un album da disegno scolastico, arricchendolo di vignette e di disegni che contribuiscono a rendere unica la testimonianza nella forma come nei conte-nuti. Quelle pagine diventano il luogo dove trasferire le suggestioni sulla vita scolastica, dove “scarabocchiare” i sentimenti che fiori-scono per le ragazze. Un documento figurativo che racchiude il significato di un romanzo di formazione [...]. Un’ulteriore prova della compresenza paral-lela di intenzioni di scrittura e di progetto nei designer italiani (al rapporto tra design e letteratura sarà dedicato il prossimo numero di ‘A/I/S/design Storia e Ricerche’, la rivista dell’associazione italiana degli storici del de-sign). La premiazione avviene nel corso delle manifestazioni del premio che si tengono a Pieve Santo Stefano dal 18 al 21 settembre.

Giancarlo Iliprandi, graphic designer e presidente dell’ADI dal 1998 al 2001, ha vinto un premio. Non sarebbe una

notizia (dato il medagliere dell’interessato) se non si trattasse di un premio letterario: il Pre-mio speciale Giuseppe Bartolomeis, che viene assegnato nell’ambito del Premio Pieve Save-rio Tutino destinato a un genere letterario par-ticolare: la diaristica.Il premio è arrivato alla trentesima edizione e fa parte delle attività condotte nella città are-tina come “capitale del diario”: Pieve Santo Stefano è infatti sede della Fondazione Archi-vio Diaristico Nazionale, istituita nel 1984 per iniziativa del giornalista Saverio Tutino. La fondazione raccoglie e valorizza il patrimo-nio di “letteratura inedita” (ma gli organizza-tori tengono a sottolineare che non si tratta di un premio letterario) e di storia autentica costituito dai diari autobiografici – di persone celebri o ignote – che fanno confluire nell’ar-chivio le proprie esperienze consegnate alla scrittura personale.Iliprandi riceve un premio nell’edizione 2014 per il suo Il giornale di tutti, diario 1942-1945. Non un diario di viaggio, ma un diario di scuola di un periodo particolarmente fitto di

Segni di evasione

ADI

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Link dell’articolo: http://www.adi-design.org/blog/giancarlo-iliprandi-in-principio-era-il-diario.html

Inserto

The important thing, if you want to draw, is to be curious. You need to constantly look around and gradually absorb every-thing. You might not even notice, but forms, shapes and marks stay with you, and you can then use them at any given moment. The bigger this repository, the better your chances of choosing the right pieces to put togheter.

Queste poche pagine possono essere riempite con schizzi, disegni e appunti.

Basta avere una matita o una penna in mano e seguire i preziosi insegnamenti di Giancarlo Iliprandi.

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When you draw landscapes you have to feel the depth of field. Zooming in and out, like a camera, brings things closer, and pushes them back. You have to have a certain sense of space.

To be able to draw well, you must be humble. Arrogant people cannot draw well: it takes self-criticism.

Page 34: Segni - designverso.it fileSegni di dissenso Oltre i segni 22 64 39 78 Impegno e Disimpegno Il Disimpegno di Giancarlo Iliprandi La scrittura come riflessione attiva: I diari La grafica

Drawing is a wonderful medicine. It spoils you without you realizing it. It helps you enter into the landscape by deepening your point of view. It helps reveal people, as you try to grasp their hidden lives. Chasing fragments, details, sketches, before they escape from your thoughts.

Le frasi scritte da Giancarlo Iliprandi sono state tratte da Giancarlo Iliprandi, Sketch, Think, Draw, Moleskine, 2015.

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Oltre i segni

E l’esperienza di Urbino, dell’ISIA (Istituto Superiore Industrie Artistiche), quando comincia?Nel 1974 vengono riaperte alcune scuole di design, chiuse dopo il ‘68. Io sono andato come esperto di grafica pubblicitaria e ho chiamato con me Bob Noorda. Non eravamo pagati, ma siamo andati avanti e indietro per 10 anni. Era interessante, anche entusiasmante. Portavamo con noi l’esperienza dell’Umanitaria, anche se eravamo un po’ limitati dal contesto provinciale.

Giancarlo Iliprandi, “Note”, Milano, Hoepli, 2015.

Conversazione con Alberto Saibene

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Gli esordi da giornalistae la passione per il teatro

lista così improvvisa, questo scrivere per altri, dopo aver scritto per anni e anni unicamente per me solo, ovviando alla mia persona con un discorso quasi generico e sempre anonimo. Servirà questa nuova esperienza.Del viaggio Iliprandi redige nell’agosto del 1949 un diario dattiloscritto – ‘Danimarca e Norvegia’ –, diviso in dodici capitoli tematici corrispondenti agli argomenti trattati sul quo-tidiano anche se, per gli articoli, la scrittura e i disegni subiranno una significativa sintesi, ab-bandonando quella ricchezza di percezione di-retta avvertibile nelle descrizioni e nei disegni – vedute e “tipi umani” colti con freschezza grafica – che nel diario denotano la disposizio-ne del giovane all’osservazione e all’immediata traduzione in parole e immagini. Dove possi-bile s’intuisce la ricerca di appigli a soggetti più vicini ai propri interessi, com’è evidente nell’undicesimo capitolo sull’architettura dove le considerazioni su tecniche e materiali di co-struzione risentono delle contemporanee pri-

A Brera Iliprandi approfondisce l’inte-resse per il teatro ed il vivace dibattito culturale connesso, di cui Eva Tea era

figura trainante, e per la rivista ‘Palcoscenico’, fondata nel 1947 dal regista Enrico D’Alessan-dro, principale fulcro. Le occasioni d’incontro e di prime applicazioni pratiche sono rese pos-sibili dal Centro culturale Piccola Brera, nato sotto gli auspici di Pierantonio Berté: un salot-to culturale ospitato per lo più da Laura Mar-cucci Tessadri, e un teatro, quello della Basilica Sant’Eufemia in corso Italia, diretto da Arardo Spreti e Giuseppe Luigi Mele.In questo ambito si colloca l’esordio giornali-stico del giovane Iliprandi: una serie di articoli riguardanti un viaggio estivo in Danimarca e Norvegia, tra il 2 e il 24 agosto 1949, destinati alla terza pagina del quotidiano cattolico ‘L’I-talia’ e commissionati per tramite di Berté che ne era capo redattore. A proposito di questi articoli, sostiene: Ciò che più mi stupisce rileg-gendoli, è questa mia trasformazione a giorna-

Marta Sironi

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Oltre i segni

Fonte dell’articolo:http://www.aisdesign.org/aisd/la-scrittura-come-riflessione-attiva-i-diari-scolastici-di-giancarlo-ili-prandi-1941-1953 A lato: un angolo dello studio di Iliprandi.

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me prove di scenografo. La ricerca di esempi e confronti tra modelli costruttivi che possa-no essere applicati in ambito scenotecnico è attestata dai primi, contemporanei, artico-li illustrati che Iliprandi pubblica tra 1950 e 1951 in ‘Palcoscenico’; una rivista che faceva da riferimento tecnico per i professionisti del teatro – l’unica rivista che realmente aiuti: l’at-

tore, il regista, l’organizzatore, lo scenografo, il direttore di scena, lo studioso, l’amatore di teatro riprendendo una campagna per gli ab-bonamenti del 1948 – con pezzi che vedevano in prima linea lo stesso D’Alessandro per la recitazione e la messa in scena, Anton Giulio Bragaglia sulle più recenti sperimentazioni tea-trali ed Eva Tea per scenografia e costumi.

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Sopra: uno studio di Iliprandi sui movimenti di scena di due attori.A lato: uno dei bozzetti di scena realizzati da Iliprandi, vincitore del Premio San Fedele per la scenografia.

Per me fare il pittore è un lavoro un pò no-ioso. La scenografia mi ha sempre affa-scinato di più, biso-gna confrontarsi con un testo, con un’o-pera teatrale con la musica, entrare in contatto e restituir-ne la vera essenza.Giancarlo Iliprandi, “Note”, Hoepli, Milano,

2015.

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Un grande amore per il teatro

narrata e messa in scena dallo stesso D’Ales-sandro, prima prova della neonata compagnia teatrale sorta attorno alla rivista. Il teatro e l’avvicinamento al MAC costituiscono gli atti conclusivi del passaggio dagli studi alla pro-fessione, esordi ricostruibili da numerosi diari che continueranno a costituire un esercizio in-trospettivo mai interrotto, sia in occasione di viaggi e vacanze sia, in forma più sintetica, in continui e costanti appunti quotidiani che rac-colgono riflessioni, letture, fino a diventare un esercizio di pura sistematizzazione dello scor-rere delle giornate. Un materiale che affascina per la sua componente memorialistica e per la sua portata storico-documentaria.

Ancora prima della fine degli studi, Ili-prandi aveva maturato una varia espe-rienza professionale, allora indirizzata

soprattutto al teatro. Il diploma in scenogra-fia conseguito a Brera nel 1953, con una tesi intitolata ‘L’allestimento scenico, elementi es-senziali di scenotecnica normale e particolare’, è pertanto il risultato di numerose esperienze applicative già condotte. Prima al teatro della Basilica poi al teatro San Fedele, fino al vero e proprio debutto, con la realizzazione dei costu-mi e delle scene per gli spettacoli con la regia di D’Alessandro: ‘Il sacro mimo di Gerardo dei Tintori’ (1950), scritto da Eva Tea, e soprattut-to ‘La leggenda di Flavia Teodelinda’ (1952),

Marta Sironi

Oltre i segni

Fonte dell’articolo: http://www.aisdesign.org/aisd/la-scrit-tura-come-riflessione-attiva-i-diari-scolastici-di-giancar-lo-iliprandi-1941-1953 Qui e a lato, due bozzetti di scena realizzati da Iliprandi per due spettacoli teatrali: Il Sacro Mimo di Gerardo dei Tintori e La leggende di Flavia Teodolinda.

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La passione maggiore rimane il teatro, un mondo che si apre e richiude rapidamente come certi fiori carnivori. Profumatissimi. Tutto ti affascina, a partire dal testo alla sua prima lettura. Che rivela un paesaggio, persino ignoto, nel quale immergerti. Il teatro è anzitutto un progetto. Un testo da rivoltare come un guanto per scoprirne le cuciture. Poi verranno le voci, le musiche, le prospettive. I gesti enfatizzati dai colori, infine le luci a proiettare le nostre emozioni nell’inconscio. Il teatro è tutte queste troppe cose, poi, forse, tante altre ancora. Che vivono ogni volta lo spazio di una sera. Aprendosi ai sensi quando la scena si affaccia a divorare la platea. Chiudendosi, al calare del sipario, come uno sguardo spento. Nel quale sopravvivono ricordi che si vanno sovrapponendo. A nulla serve riguardare le foto di scena, riascoltare musiche o voci, apprezzare il cromatismo tonale. Il teatro è vita. Vive quando è vivo.Giancarlo Iliprandi, “Note”, Hoepli, Milano, 2015.

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L’esperienza al Salzburg Seminar

sull’arte italiana che avrebbe dovuto tenere.La portata dei mesi di preparazione al viaggio non va sottovalutata perché costituirà per il giovane un’occasione unica per informarsi sul-le più recenti qualificate pubblicazioni e galle-rie così come per un primo incontro con Bruno Munari che lo accoglie a casa propria metten-dogli a disposizione una variegata documenta-zione sul proprio lavoro. Iliprandi contatterà, tra gli altri, il Ministero degli affari esteri, che nega qualsivoglia competenza, mentre l’Archi-vio storico d’arte contemporanea della Bien-nale di Venezia, per cui risponde il direttore Umbro Apollonio, pone limitazioni al prestito dei materiali, vincolati dalla consultazione in sede, rendendosi però disponibile alla loro ri-produzione. Tra i volumi, Iliprandi porta con sé due tra le più notevoli pubblicazioni recenti sull’arte italiana del Novecento - ‘Pittori italia-ni contemporanei’, a cura di Giuseppe Unga-retti (Orango Turat Editori, Torino 1949) e la ‘Pittura moderna italiana’ introdotta da Gino Ghiringhelli (Cappelli, Bologna 1950) –, sei monografie di scultori italiani forniti da Gio-vanni Scheiwiller (edite da Hoepli di Milano), nove numeri di Domus ricevuti da Lisa Ponti; immagini e cataloghi dalle gallerie Il Milione, Galleria del Naviglio, Cairola e Annunciata; e infine documentazione sugli astrattisti ricevuta da Gianni Monnet.D’altra parte, gli appunti di auditore e parteci-

Uno dei punti di forza della cultura del giovane Iliprandi era la solida prepara-zione linguistica, data dalla frequenta-

zione della scuola tedesca – dove non solo si leggevano abitualmente libri in caratteri gotici ma si era avvezzi a traduzioni dal tedesco in francese e in inglese – e dal successivo appro-fondimento dell’inglese al Circolo filologico di Milano. Tali competenze lo rendono il candi-dato ideale per rappresentare l’Accademia di Brera al Salzburg Seminar in American Studies in una prima sessione del maggio 1950 dedi-cata ad ‘Art, Music and Literature’ e in una più generale tra luglio e agosto dello stesso anno, presso la sede dello storico Schloss Leopold-skron di Salisburgo, allora gestito dall’Uni-versità di Harvard. Il seminario, condotto da Denys Sutton – lettore alla Yale University e autore del volume American Painting (1948) –, svolgeva il tema, in venti lezioni, dei ‘Prin-cipal 20th Century Movements and their In-fluence on American Art’. A testimonianza della partecipazione di Ili-prandi al seminario rimane oggi un diario manoscritto che raccoglie il resoconto degli incontri ma anche molte annotazioni diari-stiche ed anche lettere a genitori ed amici; un diario al quale è anteposta la documentazione burocratica e le varie lettere di risposta alle ri-chieste di materiale bibliografico avanzate da Iliprandi a editori e istituzioni per la relazione

Marta Sironi

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Oltre i segni

Fonte dell’articolo: http://www.aisdesign.org/aisd/la-scrittura-come-riflessione-attiva-i-diari-scola-stici-di-giancarlo-iliprandi-1941-1953 A lato: la copertina del dattiloscritto 3 convegni (1. Salisburgo, 2. Salisburgo, 3. Berlino)” scritto da Iliprandi nel 1952.

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pante al seminario sono rivelatori dell’impor-tanza di questo momento formativo per l’af-finamento delle facoltà critiche del giovane e l’avvicinamento alle principali questioni teo-riche affrontate, tra le quali la differenza tra critica e storia dell’arte, il rapporto tra arte e Stato, il confronto tra le metodologie d’inse-gnamento delle varie nazioni, ed infine la com-parazione e l’analisi della contemporanea pro-duzione d’arte in Europa e America. Le lezioni prendono avvio dalla definizione di critica an-che per l’urgenza di stabilire una terminologia il più possibile comune, necessaria per il con-fronto linguistico ma anche per limitare lettu-re troppo personali e ideologiche. Una pratica che permette, secondo le riflessioni del giovane Iliprandi, di superare quella fumosa termino-logia critica piena di definizioni sonanti, paro-le composte, tolte da fraseologie forensi a altre esagerazioni più gravi. Tanto che pare essersi perso il senso di una serena presentazione. La discussione terminologica sulle avanguardie si incentrava allora sulla definizione di “astrat-to”, con una comune proposta di adozione del termine “concreto”, sulla base dell’originario uso del termine da parte di Wassily Kandinsky, consolidato proprio in questi stessi anni in Ita-lia da Bruno Munari e

dal MAC (Movimento Arte Concreta). Sut-ton inoltre, scoperti gli interessi teatrali di Ili-prandi, dedica un momento del seminario del maggio 1950 al rapporto tra le arti figurative e il teatro, che vedrà Iliprandi intervenire in prima persona, secondo una personale pro-spettiva già ben delineata. Il suo obiettivo pri-mario è quello di una più chiara definizione e distinzione dellecomponenti scenotecniche (contro l’idea generica di adottare dei quadri come fondali), nella direzione di sempre nuo-ve applicazioni meccaniche e tecniche, per le quali sono portate ad esempio certe proie-zioni cinematografiche e il caso della cupola Fortuny al Teatro alla Scala di Milano (in-stallata nel 1922 in occasione della messa in scena del ‘Parsifal’ di Wagner). Si arriva così alla questione dell’applicazione della pittura al cinema come una delle occasioni per l’arte di partecipare maggiormente alle espressioni anche commerciali del nostro tempo. Questi i principali punti d’interesse di Iliprandi, che tornano anche nel confronto tra i metodi pe-dagogici e gestionali di Brera e quelli adottati nelle accademie europee, soprattutto grazie ad un approfondimento su Bauhaus, del quale Iliprandi apprezza il modello di “fabbrica” in senso rinascimentale, con la diretta relazione tra insegnanti e allievi.

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In questa pagina, due bozzetti del diario manoscritto realizzato da Iliprandi durante l’esperienza al Salzburg Seminar.A lato: Iliprandi firma uno dei testi da lui scritti.

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L’insegnamento: 40 anni di carriera

tistiche) di Urbino, del quale è stato anche uno dei fondatori. Ha svolto il ruolo di professore di grafica editoriale (1984-1987) e di grafica di pubblica utilità presso l’Istituto europeo di design. Da ultimo, è stato docente del labora-torio di comunicazione visiva della Scuola del design presso il Politecnico di Milano (1999 al 2007) per poi passare alla direzione di un corso di alta formazione di Type Design.

La prima esperienza di Iliprandi come insegnante è avvenuta presso la Società Umanitaria di Milano, dove ha tenuto un

corso per assistenti di grafica tra il 1961 e il 1968. È stato successivamente professore pres-so la Scuola superiore di Tecnica Pubblicitaria Davide Campari per un periodo compreso tra il 1965 al 1973. Dal 1974 al 1984 ha insegnato all’ISIA (Istituto Superiore per le Industrie Ar-

Giancarlo Iliprandi

Incaricato di un corso di cultura grafica, alla scuola diurna della Società Umanitaria, ho sentito la necessità di un qualsiasi testo di riferimento. I quaderni di Linguaggio grafico nacquero, in quella occasione, sfruttando gli impianti di una serie di artico-li pubblicati sul «Poligrafico italiano». Gli stessi quaderni, rispolverati con l’aiuto di due colleghi docenti, divennero testi di base per il laboratorio di teoria e pratiche del design al Politecnico. Il manuale numero sei raccoglie invece dodici articoli sulla co-municazione visiva commissionatimi da Marussi per la rivista «le Arti» nel 1972. Testi riassuntivi di tutte le esperienze professionali, associative e didattiche di quegli anni. È stato un pretesto per segnare la fine di un’epoca, anche nella vita privata, prima dell’inizio di un diverso modo di sopravvivere. Molto più faticoso. Venti anni difficili che, probabilmente, si leggono nelle immagini come fossero soltanto rughe del tempo. Giancarlo Iliprandi, “Note”, Hoepli, Milano, 2015.

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Fonte dell’articolo: http://www.giancarloiliprandi.netA lato: il diploma di cintura nera di judo ottenuto da Iliprandi nel 1963.

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Il kendo e il kata

sette costellazioni tutte uguali. Il Kata è come un recipiente dalla forma precisa che contie-ne una quantità esatta di liquido ben definito. Questo recipiente ha una forma esterna pale-se, e una forma interna da scoprire. La forma interiore è altrettanto importante di quella esteriore, ognuna essendo reciprocamente sia positivo sia negativo dell’altra. Prima di ver-sare la quantità esatta del liquido ben definito dobbiamo sapere di che liquido si tratta, quale è la quantità, se entrerà nella forma, e come vi si adatterà. Questa è metodologia di pen-siero, ogni movimento del Kata va analizzato scientificamente. Il Kata siamo noi. Noi siamo una musica che si chiama vita e che pretende di essere eseguita secondo ritmi armonici. Noi possiamo essere raffrontati al vento, alle onde, al mare, ai satelliti e ai grandi circoli che rego-lano le rotazioni celesti, perché noi siamo una parte del tutto.

Possiamo spiegare il Kata1 come qualcosa di concreto, la similitudine che ci condu-ce verso pensieri e riflessioni più astratte

o metaforiche. Il Kata è un ritmo. Un modo di muoversi, ora lento ora più veloce, intercalato a pause lunghe oppure brevi che fanno pensare alla musica, oppure al susseguirsi delle onde che si frangono in riva al mare. Il ritmo dei movimenti è fondamentale, deve essere fluido, continuato, le pause non sono mai interruzione ma preparazione, dunque si muovono anch’es-se. Sono stasi dinamiche. Il Kata è un cerchio, una forma geometrica chiusa, priva di angoli e di linee rette. Quando la tracciamo partiamo da un punto, facciamo perno sull’idea centrale poi torniamo a quel punto. Poi tracciamo il prossimo cerchio, poi il susseguente, ed è come se disponessimo questi sette cerchi in circolo a formare una grande ruota che non ha un prin-cipio né una fine. I sette momenti sono come

Giancarlo Iliprandi

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Sono arrivato al kendo dal judo. A me le arti marziali hanno fatto bene. ero molto sbandato. Ero uscito di casa e avevo bevuto troppo per tre anni, al ritmo di quasi una bottiglia di Ballantine’s al giorno.

Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, 2015

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Fonte dell’articolo: Giancarlo Iliprandi, Note, Hoepli, milano, 2015. [1] Il kata è un combattimento immaginario che si esegue senza avversario, un mix di concentrazione, respirazione ed esplosività, in una serie di tecniche di gambe e di braccia abbinate tra loro. Kata in giapponese significa forma ed, in-sieme al Kihon (le basi) e al Keiko (la pratica) è una delle componenti di cui si costituisce il Kendo. l’arte marziale della scherma giapponese.

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