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Scenari futuri del welfare

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Scenari futuri del welfare

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Fondo per la Modernizzazione 2010-12 della Regione Emilia-RomagnaArticolazione B "Progetti di Ricerca/Valutazione

riguardanti nuove proposte di cambiamento clinico, organizzativo e gestionale"

PROGETTO

GLI SCENARI FUTURI (2020) DEL SETTORE SOCIALE E SOCIO-SANITARIO NELLA CRISI DEL WELFARE:

QUALI LOGICHE DI PROGRAMMAZIONEE QUALI MODELLI DI SERVIZIO NELLE AREE VASTE

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La redazione di questo volume è stata curata da Michele Baccarini e Monica Minelli della Direzione Attività Socio Sanitarie dell’Azienda USL di Bologna.

Alla sua stesura hanno contribuito:

Francesco Longo, Andrea Rotolo e Stefano Tasselli, CERGAS Bocconi

Si ringraziano per la collaborazione i membri del Tavolo di Lavoro che ha coordinato il Progetto:

Francesco Bertoni e Anna Del Mugnaio, Provincia di Bologna

Nadia Benasciutti, Barbara Celati, Monica Franceschi

e Cristiano Guagliata, Provincia di Ferrara

Gabriele Cavazza, Azienda USL di Bologna

Angela Morsiani e Andrea Rossi, Azienda USL di Imola

Maria Chiara Bongiovanni, Paola Castagnotto e Felice Maran, Azienda USL di Ferrara

Eno Quargnolo, Gianni Sgaragli e Chris Tomesani, Comune di Bologna

Augusta Nicoli e Fabrizia Paltrinieri, Agenzia sanitaria e sociale regionale dell’Emilia-Romagna

Giovanni Fosti, CERGAS Bocconi

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SOMMARIO

PREMESSA 7

1. OBIETTIVI 9

2. FASI E TEMPI 112.1. Analisi di coerenza 11 2.2. Costruzione degli scenari futuri 11 2.3. Definizione del ruolo della P. A. e logiche di programmazione 122.4. Mappatura delle buone pratiche di innovazione sociale 122.5. Elaborazione dei risultati e presentazione del lavoro nelle sedi istituzionali 12

3. SINTESI DEI CONTENUTI 13

4. FOTOGRAFIA DEL WELFARE ATTUALE 174.1. Dati demografici 174.2. Principali criticità del sistema di welfare regionale 234.3. Servizi offerti e tassi di copertura 254.3.1. Servizi per le persone non autosufficienti 254.3.2. Servizi educativi (0-3 anni) 284.4. Risorse del sistema 30

5. RACCOLTA DEI DATI PRIMARI TRAMITE QUESTIONARI 33

6. EVIDENZE EMERSE DAI QUESTIONARI 356.1. Giovani coppie con figli 356.2. Anziani non autosufficienti 396.3. Giovani 18-30 anni 44

7. CONFRONTO FRA DATI PRIMARI E LETTERATURA 49

8. COSTRUZIONE E VOTAZIONE DEGLI SCENARI FUTURI 53 8.1. La società, la famiglia e gli individui 54 8.2. La missione e le risorse del sistema di welfare 558.3. La geografia dei committenti e dei produttori 568.4. I profili di consumo e i meccanismi di riproduzione sociale 57

9. INDICAZIONI DI POLICY PER IL CAMBIAMENTO DEL SISTEMA 599.1. Verso un sistema universalista 599.2. Ricomposizione della domanda di servizi 609.3. Creazione di nuove reti e welfare comunitario 609.4. Welfare di iniziativa 619.5. Tecnologie connettive e nuovi profili di consumo 61 9.6. Riallocazione della spesa 629.7. Evoluzione del ruolo di committenti e produttori 629.8. Centralità dei professionisti nel settore sociale 63 9.9. Possibili driver di cambiamento 63

10. MAPPATURA DELLE BUONE PRATICHE DI INNOVAZIONE SOCIALE 65 10.1. Criteri per l’individuazione delle buone pratiche 6510.2. Progetti selezionati 66

11. BIBLIOGRAFIA 69

CONTRIBUTI E RINGRAZIAMENTI 73

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PREMESSAAll’inizio del mandato da Direttore Generale, circa un anno fa, Monica Minelli, Michele Baccarini ed il prof. Longo mi mostrarono il percorso ed i principali risultati di questo progetto, che andava concludendosi dopo tre anni di attività.

Questa ricerca, coordinata dall’Azienda sanitaria di Bologna, ha la qualità di mostrare in modo luci-do e preciso quanto i fenomeni sociali ed economici possano incidere sulla salute della popolazio-ne e, di conseguenza, sui bisogni sanitari della stessa. Il rapporto tra welfare e sanità è un punto decisivo nella ricerca di una visione generale degli scenari futuri e in questo accurato lavoro viene esposta l’importanza del legame tra i due ambiti, sociale e sanitario.

L’obiettivo dei ricercatori poi non è quello di limitarsi esclusivamente alla descrizione di questa re-lazione: il documento ha la caratteristica di riunire una molteplicità di soggetti sensibili, annodati in un’unica grande rete di rapporti causa-effetto. Lo sguardo è rivolto a Comuni, Province, Regione, associazioni sindacali e datoriali, produttori di servizi sociali e socio-sanitari e rappresentanti del mondo accademico. Chi ricopre un ruolo pubblico, amministrativo ed istituzionale, ha il compito di tenere in considerazione che ciò che viene fatto oggi determinerà la situazione futura, cercando di agire ed operare in modo da far fronte ai continui cambiamenti degli scenari. Per raggiungere risultati consistenti non si può limitare l’impegno al proprio ambito svolgendo il compito particola-re, ma è necessario condividere lo sforzo quotidianamente, cercando di raggiungere una fruttifera collaborazione. Il lavoro comune stimola la ricerca di nuove soluzioni e strade alternative: grazie al continuo confronto si ha la possibilità di ricevere dati ed informazioni provenienti da ambiti differen-ti e mettere a disposizione le rispettive competenze risulta efficace ed arricchente. La futura qua-lità della vita della popolazione dipende dai movimenti di questo corpus, sempre orientati verso la stabile definizione di ciò che sarà, a partire dalle azioni presenti. Prevedere è fondamentale e, per farlo, è necessario adottare strategie che risultino efficaci sulla lunga durata, rese meno rischiose da analisi come quella proposta in questo volume.

Finanziando il progetto, la Regione dimostra di saper utilizzare le proprie risorse con lungimiranza, in linea con la proposta di modernizzazione rivolta principalmente ad innovazioni di stampo assi-stenziale. La ricerca offre la possibilità di tracciare delle linee guida utili per affrontare la natura dinamica della vita collettiva, in modo da ricacciare il pericolo rappresentato da un’attesa passiva dei mutamenti e potendo affrontare il futuro con maggior consapevolezza.

Chiara GibertoniDirettore Generale

Azienda USL di Bologna

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1. OBIETTIVIIl progetto, " Gli scenari fututri (2020) del settore sociale e socio-sanitario nella crisi del welfare" è stato finanziato dal Fondo per la Modernizzazione 2010-12 della Regione Emilia-Romagna ( DGR n° 1165/2012) e coordinato dall’Azienda USL di Bologna ( Direzione Attività Socio-Sanitarie) come capofila per il territorio dell'area vasta del centro Emilia1. Il progetto, che ha visto la partecipazione delle Aziende USL di Ferrara e Imola, delle Province di Bologna e Ferrara, è stato condotto con la consulenza scientifica del Centro di Ricerche sulla Gestione dell’Assistenza Sanitaria e Sociale (CeRGAS) dell’Università Bocconi e con il contributo attivo dell’Agenzia sanitaria e sociale regio-nale e del Comune di Bologna. L’obiettivo è stato quello di analizzare e rappresentare la fotografia attuale del settore sociale e socio-sanitario dell’area vasta di riferimento e, sulla base di una dia-gnosi della situazione esistente, di:

■ costruire possibili scenari prospettici futuri all’interno di un orizzonte temporale 10-15 anni;

■ impostare e ridefinire le logiche di programmazione e pianificazione strategica e i modelli di servizio del welfare.

Nello specifico gli obiettivi sono stati:

■ analizzare e rappresentare quantitativamente i profondi cambiamenti nei meccanismi di ripro-duzione sociale in essere (chi gestisce e finanzia la conciliazione famiglia-lavoro, chi gestisce e finanzia prevalentemente l’assistenza all’autosufficienza, quali sono le dinamiche di integrazio-ne sociale degli immigrati in assenza di politiche pubbliche robuste ed esplicite) per interrogarsi sul ruolo necessario e possibile delle P.A., alla luce delle risorse pubbliche date e di quelle disponibili nella società;

■ costruire setting di analisi e discussione a rete, sia rispetto la dimensione territoriale (le 5 Unità Operative partecipanti al Progetto afferiscono all’area vasta del centro Emilia, corrispondente ai territori delle province di Bologna e Ferrara) sia rispetto la natura degli stakeholder (program-matori, committenti, produttori, esperti, amministratori locali) creando tavoli tematici sistema-tici e strutturati di diagnosi ed elaborazione di possibili visioni prospettiche;

■ costruire possibili scenari prospettici futuri all’interno di un orizzonte temporale 2020-2025 e sui quali re-impostare i ruoli esercitabili dalle P.A. nei meccanismi di riproduzione sociale e sperimentare logiche innovative di costruzione di reti sociali e di modelli di servizio;

■ valutare l’adeguatezza degli strumenti di programmazione e monitoraggio in essere e l’incisivi-tà delle relative strutture di governance rispetto agli scenari prospettici emergenti, soprattutto in termini di capacità ricompositiva delle risorse diffuse nella società e di creazione di reti di riproduzione sociale auto-sostenentesi, pur in un quadro regolato, indirizzato e caratterizzato da una significativa presenza di iniziativa pubblica;

■ mappare ed analizzare le principali esperienze innovative già sperimentate in ambito socia-le e socio-sanitario, non limitando l’osservazione alla sola area vasta del centro Emilia ma estendendola all’intero territorio regionale, con la possibilità di raccogliere anche esperienze extra-regionali se valutate di particolare interesse per il loro contenuto di innovazione.

1. Area Vasta Emilia Centrale è altro, associazione per servizi/acquisti unificati cui partecipano le sei Aziende sani-tarie presenti sui territori delle province di Bologna e Ferrara.

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2. FASI E TEMPIIl progetto si è articolato in 5 fasi principali, nell’arco dei 34 mesi di svolgimento secondo le indi-cazioni regionali (24 mesi di durata originaria, 4/9/2012 – 3/9/2014, e 10 mesi di proroga, 4/9/2014 – 30/6/2015).

2.1. ANALISI DI COERENZATale fase ha previsto lo svolgimento delle seguenti attività:

■ Analisi desk del contesto socioeconomico nazionale e locale;

■ Analisi dati di spesa delle famiglie per l’assistenza sociale e sociosanitaria;

■ Analisi dati sulla struttura di offerta sociale e sociosanitaria locale;

■ Analisi dei flussi finanziari relativi al sistema di offerta sociale e sociosanitario pubblico;

■ Raccolta dati primari su aree di bisogno caratterizzate da scarsa disponibilità di dati.

■ La fase 1, della durata di 3 mesi, si è svolta tra settembre 2012 e novembre 2012.

2.2. COSTRUZIONE DEGLI SCENARI FUTURITale fase ha previsto lo svolgimento delle seguenti attività:

■ Elaborazione dei possibili scenari per ciascuna area critica del settore sociale e sociosanitario, sulla base della rappresentazione e dei dati raccolti e validati nella fase 1;

■ Condivisione e validazione degli scenari con gli attori coinvolti nel gruppo di progetto (rappre-sentanze delle 5 Unità Operative partecipanti al progetto);

■ Discussione e votazione degli scenari utilizzando la tecnica della Nominal Group Technique (NGT). Nello specifico: discussione delle implicazioni strategiche in termini di bisogni e servizi e valutazione di impatto/probabilità e di costi/benefici per le policy pubbliche;

■ Costruzione di una diagnosi condivisa per il futuro del welfare di area vasta, discutendo, con-dividendo e sistematizzando le evidenze emerse dalla votazione degli scenari, arrivando ad ipotizzare le traiettorie di policy per governare il cambiamento atteso del sistema di welfare.

I risultati delle due prime fasi di lavoro sono state presentate in occasione del convegno “Scenari futuri del welfare” che si è tenuto a Bologna in data 28 novembre 2013 e ha coinvolto, oltre alle Dirigenze delle Istituzioni partecipanti al Progetto, le rappresentanze delle Amministrazioni comu-nali, dei Produttori di servizi e degli “opinion leader” dell’area vasta di riferimento.

La fase 2, della durata di 12 mesi, si è svolta tra dicembre 2012 e novembre 2013.

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2.3. DEFINIZIONE DEL RUOLO DELLA P.A. E LOGICHE DI PROGRAMMAZIONE

Tale fase ha previsto lo svolgimento delle seguenti attività:

■ Discussione del possibile ruolo delle P.A. negli scenari prospettici futuri, per ottenere il pooling delle risorse pubbliche e private, per mettere in rete famiglie e utenti di servizi simili;

■ Definizione di possibili modelli innovativi di servizi;

■ Discussione delle logiche di programmazione aziendali e di area vasta necessarie nel setting sociale e di welfare emergente.

La fase 3, della durata di 7 mesi, si è svolta da dicembre 2013 a giugno 2014.

2.4. MAPPATURE DELLE BUONE PRATICHE DI INNOVAZIONE SOCIALE

Tale fase ha previsto lo svolgimento delle seguenti attività:

■ Emissione di un bando per la mappatura dei progetti rispondenti a specifici requisiti per l’indi-viduazione di buone pratiche di innovazione sociale;

■ Raccolta dei progetti candidati, verifica dei requisiti richiesti, sintesi e schedatura dei progetti ammessi alla mappatura;

■ Selezione dei progetti maggiormente innovativi e potenzialmente replicabili, in quanto esempi di buona pratica già concretamente sperimentata.

La fase 4, della durata di 5 mesi, si è svolta da luglio 2014 a novembre 2014.

2.5. ELABORAZIONE DEI RISULTATI E PRESENTAZIONE DEL LAVORO NELLE SEDI ISTITUZIONALI

Tale fase ha previsto lo svolgimento delle seguenti attività:

■ Raccolta, elaborazione e sistematizzazione dei materiali raccolti e risultati ottenuti;

■ Presentazione dei risultati del progetto nelle sedi istituzionali dell’area vasta del centro Emi-lia: Conferenze Territoriali Sociali e Sanitarie di Bologna, Imola, Ferrara in seduta unificata e dedicata (11 dicembre 2014), approfondimenti richiesti in sede locale (Provincia di Ferrara, 27 febbraio 2015);

■ Stesura della relazione finale di progetto;

■ Organizzazione di un convegno conclusivo per la presentazione dei risultati del progetto.

La fase 5, della durata di 7 mesi, si è svolta da novembre 2014 a giugno 2015.

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3. SINTESI DEI CONTENUTIIl welfare nazionale è attraversato da profondi cambiamenti che impongono un ripensamento del sistema e, quindi, una profonda analisi preliminare del suo posizionamento attuale per poter agire nella direzione del cambiamento. I mutamenti demografici e gli effetti di una crisi economica che ormai si protrae da parecchi anni stanno cambiando radicalmente la struttura della società e la vecchia architettura del sistema non è più in grado di dare risposta ai bisogni emergenti, che non corrispondono più a quelli cui il sistema cerca di rispondere da tempo. Le condizioni dovute ad una profonda crisi economica storicamente hanno avuto un effetto contradditorio: hanno in alcuni casi facilitato l’adozione di nuove riforme, mentre in altri hanno esasperato le tensioni politiche e sociali spingendo i policy-makers a rimuovere una riforma del settore sociale dall’agenda politica (Maino et al. 2011).

Per questo è necessario fare una fotografia dello stato del sistema di welfare, per capire quali siano gli spazi di manovra e come rendere politicamente rilevante il cambiamento dello stesso, che deve necessariamente partire dal livello locale. È infatti il livello locale, a partire dai Comuni, il principale attore del sistema di welfare italiano, con il compito di programmare e gestire i servizi assistenziali.

Guardando brevemente ai cambiamenti demografici in Italia, sono proprio l’invecchiamento e la bassa fecondità a farne uno dei Paesi più «vecchi». Si vive infatti sempre più a lungo: gli uomini in media 79,4 anni e le donne 84,5. Dal 1992 a oggi gli uomini hanno guadagnato 5,4 anni di vita media e le donne 3,9 anni, soprattutto grazie alla riduzione della mortalità nell’età adulta e senile.

Continuano a nascere pochi bambini, nonostante la lieve ripresa osservata dalla metà degli anni Novanta. L’Eurostat stima che nel 2030 gli ultraottantenni nel nostro Paese costituiranno circa l’8% della popolazione, contro una media europea del 6,5%. E parallelamente all’invecchiamento crescono sia il numero di persone che si dichiarano affette da malattie croniche (dal 35,9% del 2001 al 38,4% del 2011, secondo un recente rapporto di Confartigianato) sia la domanda di assi-stenza (la quota di anziani trattati in assistenza domiciliare integrata è passata dal 2% nel 2001 al 4,1% nel 2010, come mostrano i dati Istat). Se si pensa che i consumi sanitari di un settantenne sono circa il doppio di quelli di un quarantenne, e quelli di un novantenne addirittura il triplo, il fatto che nel 2025 in Italia avremo 2 milioni di anziani in più di oggi e che il tasso di non autosufficienza nella popolazione totale aumenterà dal 4% al 6% circa è destinato a creare enormi problemi finan-ziari, organizzativi e sociali.

La crisi, poi, ha aumentato la pressione sulle donne, chiamate a incrementare il reddito familiare con l’ingresso nel mercato del lavoro, determinando così significativi mutamenti negli equilibri delle famiglie e, insieme, conseguenze nel processo di revisione del welfare state tradizionale. Un sistema studiato per la tutela del male breadwinner non si adatta più alla configurazione occupa-zionale attuale e all’odierna struttura delle famiglie.

L’immagine di nuclei familiari stabili retti da un unico lavoratore non è più rappresentativa. È ne-cessario che i policy-makers adottino nuove strategie che consentano alle donne di conciliare vita lavorativa e vita familiare, in un’ottica di crescita e sviluppo della società.

Tra i principali impatti prodotti dalla globalizzazione troviamo poi la nuova connotazione assunta dal fenomeno della povertà e le sue conseguenze sulla vita quotidiana delle famiglie, il primo vero ammortizzatore sociale del nostro sistema di protezione sociale (Fosti et al. 2013:19). Tale povertà si manifesta in diversi ambiti della vita quotidiana delle famiglie: la disoccupazione raggiunge ormai livelli molto alti, i giovani sono coloro che più faticano a trovare lavoro, il fenomeno dei NEET (Not in education, employment or training) è sempre più forte ed emergono anche indicatori, quale ad

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esempio quello relativo agli sfratti (per morosità o altro motivo), che presentano un trend in rapida crescita. È in veloce espansione anche il problema della conciliazione tra vita e lavoro, soprattutto nelle grandi città dove le donne raggiungono tassi di occupazione elevati rispetto al resto del Pa-ese. Questo è poi aggravato dall’evoluzione demografica sfavorevole: le reti di parentela stanno diventando sempre più lunghe e strette, aumentando gli oneri a carico della componente fem-minile delle famiglie. Aumentano i giovani anziani, ovvero coloro che hanno dai 65 ai 79 anni (+ 28,3 % tra il 1992 e 2012) e gli anziani con almeno 80 anni (+75,8%). Questa popolazione anziana presenta diversi livelli di criticità a cui dovrebbero essere associate risposte di intensità e tipologia adeguate. La popolazione immigrata ha sempre più un ruolo centrale nel cambiamento demografi-co del nostro Paese e assistiamo ad un mutamento e arricchimento di nuove forme di famiglia che portano con sé esigenze specifiche e richiedono risposte non convenzionali del nostro sistema di protezione sociale (Fosti et al. 2013).

È necessario quindi un ripensamento del sistema nel suo complesso, partendo da una profonda analisi dello status quo per fornire agli attori pubblici impegnati nel welfare la consapevolezza di un cambiamento non più rimandabile.

La Regione Emilia-Romagna è da sempre riconosciuta in Italia come una delle Regioni più attente ad allineare il sistema di welfare regionale ai bisogni espressi dalla società e a sviluppare soluzioni volte alla riduzione del progressivo gap tra bisogni emergenti e offerta di servizi, nonché al rispetto concreto dei principi di universalismo e welfare comunitario. Per questo motivo è nato il progetto sugli scenari futuri del welfare, grazie al quale la Regione, le Aziende USL e le Province dell’area vasta del centro Emilia (Bologna, Imola e Ferrara), con la consulenza scientifica di CERGAS Boc-coni, hanno cercato di tracciare la strada per soluzioni di policy che rendano il sistema di welfare coerente con i continui cambiamenti della società, in una prospettiva di medio-lungo periodo.

Partendo da questo obiettivo si è deciso di analizzare anche dati primari raccolti nel territorio dell’area vasta, attraverso questionari specifici sottoposti a target di popolazione direttamente interessata dai fenomeni emergenti di carattere socio-demografico ed economico.

La relazione che segue prevede un approfondimento preliminare sulla situazione attuale della area vasta (capitolo 4) per capire come si sta evolvendo la società nel suo complesso, anche grazie all’analisi della letteratura sul welfare locale. Questo approfondimento ricomprende il quadro de-mografico di riferimento, le principali criticità che sembrano emergerne, la descrizione dei princi-pali servizi sociali e socio-sanitari con i relativi tassi di copertura ed infine l’analisi delle risorse di cui il sistema di welfare di area vasta dispone. Si presenta poi il metodo di ricerca utilizzato per raccogliere i dati primari, tramite questionario, e si descrivono i target di popolazione di riferimento (capitolo 5). Nel capitolo 6 si espongono i risultati e quindi le statistiche descrittive che sintetiz-zano le evidenze emerse dai questionari, mentre nel capitolo 7 si ri-analizzano i dati primari alla luce della letteratura e delle evidenze presentate nel capitolo 4.

Il capitolo 8 è dedicato alla descrizione della fase di lavoro in cui sono stati elaborati e discussi, sulla base dei dati raccolti, i possibili scenari futuri per il welfare dell’area vasta. L’obiettivo è quello di intercettare i trend di cambiamento in atto e prevedere quali potrebbero essere gli scenari futuri di maggiore impatto e criticità per il settore sociale e socio-sanitario locale. A tal fine gli scenari individuati sono stati analizzati e valutati all’interno di cinque focus group, composti da circa 100 dei principali attori del sistema di welfare dell’area vasta del centro Emilia, che hanno votato gli scenari (più probabili, più critici e più auspicati) attraverso la tecnica denominata Nominal Group Technique (NGT).

Si procede quindi con le indicazioni di policy (capitolo 9) emerse nel corso di tutto il lavoro sugli scenari futuri del welfare: si espongono le possibili linee guida utili per allineare la vecchia architet-tura del sistema con i bisogni emergenti, confermati anche dai dati primari.

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Si conclude, infine, con la descrizione della mappatura delle buone pratiche di innovazione sociale (capitolo 10), ossia di quelle esperienze che non solo a livello di area vasta, ma anche regionale ed extra-regionale, costituiscono esempi concreti e già agiti di come sia possibile ideare nuove forme di servizio in grado di rispondere ai bisogni emergenti della popolazione.

Ci pare opportuno, infine, fare brevemente cenno alla ratio che caratterizza la struttura dell’intero lavoro. Nel capitolo 4 vengono presentati i dati secondari provenienti dalla letteratura e dalla fonte ISTAT per analizzare lo stato del sistema regionale così come descritto dai dati ufficiali. Ci si è però chiesti quanto la letteratura e i dati ISTAT fornissero una fotografia reale del posizionamento del welfare locale e, soprattutto, se la percezione dei fruitori dei servizi fosse la stessa di coloro che invece la studiano. Anche per questo motivo si è deciso di impostare le ricerche primarie tramite questionario su campioni di popolazioni target: un modo per chiedere ai cittadini di quali servizi effettivamente usufruiscano e se i loro bisogni vengano soddisfatti nel perimetro dell’offerta pub-blica, nella misura in cui è raccontato dai dati generali e dalla letteratura, o sei i gap esistenti siano ancora più ampi. L’utilizzo di dati primari, raccolti appositamente ai fini di questa ricerca, ha quindi permesso di avere un riscontro reale e inedito dello stato del sistema, aspetto che ci è sembrato doveroso ricordare ancor prima di passare all’esposizione dei risultati.

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4. FOTOGRAFIA DEL WELFARE ATTUALEL’Emilia-Romagna è una delle Regioni più importanti d’Italia da un punto di vista economico (in termini di ricchezza e PIL pro-capite) e rappresenta un laboratorio privilegiato per osservare i principali trend di trasformazione del contesto sociale. Per questo si è scelto di analizzare i dati di questa regione e nei seguenti paragrafi si presentano alcuni dati significativi raccolti dalla letteratu-ra circa i cambiamenti demografici e socio-economici che interessano il territorio regionale. I dati demografici sono stati raccolti principalmente da fonti ISTAT e dalla “Fotografia del Sociale” pub-blicazione dalla Regione Emilia-Romagna che, a marzo 2014, ha tracciato un quadro dettagliato ed esaustivo del welfare emiliano-romagnolo. Si parte da un’esposizione delle statistiche generali della popolazione quali la numerosità e l’età di coloro che vivono nel territorio regionale, il numero di donne e stranieri presenti nei territori con un focus particolare sull’area vasta che comprende i territori di Bologna, Imola e Ferrara, ossia quelli direttamente coinvolti da questo progetto di ricerca. Seguono i dati sulla disoccupazione e in particolare quella giovanile che negli ultimi anni, caratterizzati dalla profonda crisi economica, è stato il segmento più colpito anche in Emilia-Ro-magna: il fenomeno dei NEET, i giovani tra i 15 e 29 anni che non lavorano e che non sono inseriti in percorso formativo è in espansione soprattutto tra le giovani donne. Si mostrano poi alcuni dati che descrivono la composizione delle famiglie che sta cambiando e per questo emergono nuovi bisogni come quello della conciliazione della vita familiare con i tempi lavorativi. Tutti questi dati evidenziano delle criticità che saranno approfondite nei paragrafi successivi. Si descrivono quindi i tassi di copertura derivati da stime sul bisogno elaborate da CERGAS Bocconi riguardo i servizi tradizionali dei sistema di welfare: i servizi per gli anziani, per i disabili e i servizi educativi per i bambini tra 0 e 3 anni. Come si potrà notare, tali tassi sono molto bassi: i servizi offerti non supe-rano tassi di copertura del 30%. In chiusura di capitolo 4 si presenta una breve fotografia delle risorse a disposizione del sistema e di come queste siano utilizzate per rispondere ai bisogni degli utenti. E’ infatti importante sottolineare come nel periodo di crisi economica attraversato oggi dal nostro Paese difficilmente le risorse dedicate al sociale aumenteranno, e bisognerebbe piuttosto pensare ad un’allocazione più efficiente delle risorse disponibili.

4.1. DATI DEMOGRAFICILa numerosità complessiva della popolazione emiliano-romagnola all’ultimo censimento (2011), come evidenziato dalla Figura 1, è di 4.342.135 unità con un incremento rispetto al censimento precedente del 9% (incremento maggiore rispetto all’Italia la cui popolazione totale è cresciuta del 6,4%). Tale incremento è dovuto al saldo migratorio con l’estero particolarmente positivo e in grado di compensare il calo di popolazione dovuto al saldo naturale negativo.

Figura 1 - Andamento del numero di censiti in Emilia-Romagna, 1861-2011 (migliaia)

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lerisorsededicatealsocialeaumenteranno,ebisognerebbepiuttostopensareadun’allocazionepiùefficientedellerisorsedisponibili.

4.1Datidemografici

Lanumerositàcomplessivadellapopolazioneemiliano‐romagnolaall’ultimocensimento(2011),comeevidenziatodallaFigura1,èdi4.342.135unitàconunincrementorispettoalcensimentoprecedentedel9%(incrementomaggiorerispettoall’Italia lacuipopolazionetotaleècresciutadel6,4%).Taleincrementoèdovutoalsaldomigratorioconl’esteroparticolarmentepositivoeingradodicompensareilcalodipopolazionedovutoalsaldonaturalenegativo.

Figura1‐AndamentodelnumerodicensitiinEmilia‐Romagna,1861‐2011(migliaia)

Ingenerale,il16%dellapopolazioneècostituitodaunder18,il61%ècompostodallafasciadietàcompresatrai18e64annimentreil23%ècostituitodagliover65.

Si può constatare quindi un invecchiamentodella popolazionedell’EmiliaRomagna: l’indice divecchiaia inEmilia‐Romagnanel2013 risultapari a168,9, cioè ci sonoquasi169anzianiogni100 giovani; questo valore si attesta superiore al valore dimedia italiano (147,2 nel 2012). Èprevistoinoltreunincrementodel32%dellapopolazioneanziananeiprossimi20anniafrontediunincrementodel4%deibambinidietàcompresatrazeroecinqueanni.InEmilia‐Romagnanel 2013 l’indice demografico di dipendenza (Figura 2) presenta un valore pari al 56,9%, ciòsignifica che 100 persone in età attiva, oltre a dover far fronte alla proprie esigenze, hanno

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In generale, il 16 % della popolazione è costituito da under 18, il 61 % è composto dalla fascia di età compresa tra i 18 e 64 anni mentre il 23 % è costituito dagli over 65.

Si può constatare quindi un invecchiamento della popolazione dell’Emilia Romagna: l’indice di vec-chiaia in Emilia-Romagna nel 2013 risulta pari a 168,9, cioè ci sono quasi 169 anziani ogni 100 gio-vani; questo valore si attesta superiore al valore di media italiano (147,2 nel 2012). È previsto inoltre un incremento del 32 % della popolazione anziana nei prossimi 20 anni a fronte di un incremento del 4 % dei bambini di età compresa tra zero e cinque anni. In Emilia-Romagna nel 2013 l’indice demografico di dipendenza (Figura 2) presenta un valore pari al 56,9 %, ciò significa che 100 per-sone in età attiva, oltre a dover far fronte alla proprie esigenze, hanno teoricamente “in carico” circa altre 57 persone, che risultano quindi dipendenti. Nel confronto nazionale l’Emilia-Romagna si pone tra le regioni con l’indice demografico di dipendenza più elevato, dato caratteristico delle regioni settentrionali (nel 2012 il valore medio nazione si attestava al 53,1%).

Figura 2 - Indice di dipendenza totale, senile e giovanile. Emilia-Romagna, periodo 2002-2013

Il trend regionale dal 2002 al 2013 mostra un aumento del grado teorico di dipendenza economi-co-sociale tra le generazioni fuori e dentro il mercato del lavoro, ciò a causa dell’aumento delle persone in carico per ciascun soggetto in età attiva. C’è da rilevare, in positivo, che nella variazione dell’indice ha avuto maggior peso l’incremento della popolazione giovanile, da collegarsi all’incre-mento delle nascite e dei flussi migratori rilevati negli ultimi anni.

Il numero di donne residenti in Emilia-Romagna è pari a 2.301.132, più degli uomini quindi, mentre gli stranieri rappresentano circa il 12 % della popolazione residente nella regione. La popolazione straniera è giovane, con un’età media che all’inizio del 2013 era di 32,1 anni rispetto all’età media della popolazione nel suo complesso che era di 45,2 anni.

Per quanto riguarda invece l’area vasta del centro Emilia, la popolazione residente (al 2011) nella provincia di Bologna, comprendendo anche Imola, risulta pari a 991.924 unità, di cui il 10,4% è straniera mentre la popolazione della Provincia di Ferrara è pari a 359.994 unità, di cui il 7,6% sono stranieri.

All’inizio del 2013, in Emilia-Romagna risiedevano 547.552 stranieri, pari al 12,2% della popolazione residente, continuando il trend in crescita che caratterizza il fenomeno migratorio sin dal suo inizio.

Nel corso degli anni si è verificata una femminilizzazione dei flussi: nel 2009 l’ammontare di don-ne ha raggiunto la componente maschile, superandola negli ultimi anni (nel 2013 il rapporto tra maschi e femmine stranieri è stato pari al 92,4%), dato complessivo che tuttavia nasconde alcune specificità legate a singole cittadinanze. Gli ambiti distrettuali con più alta percentuale di stranieri residenti sul totale della popolazione si concentrano a nord delle province di Piacenza, Parma, Mo-dena e Reggio Emilia, con Comuni che si attestano su valori ben oltre la media regionale (12,2%) raggiungendo in alcuni casi il 20%.

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teoricamente “in carico” circa altre 57persone, che risultanoquindi dipendenti.Nel confrontonazionale l’Emilia‐Romagna si pone tra le regioni con l’indice demografico di dipendenza piùelevato, dato caratteristico delle regioni settentrionali (nel 2012 il valore medio nazione siattestavaal53,1%).

Figura2‐Indicedidipendenzatotale,senileegiovanile.Emilia‐Romagna,periodo2002‐2013

Il trend regionale dal 2002 al 2013 mostra un aumento del grado teorico di dipendenzaeconomico‐socialetralegenerazionifuoriedentroilmercatodellavoro,ciòacausadell’aumentodellepersone in caricoper ciascun soggetto in età attiva. C’è da rilevare, inpositivo, chenellavariazione dell’indice ha avuto maggior peso l’incremento della popolazione giovanile, dacollegarsiall’incrementodellenasciteedeiflussimigratoririlevatinegliultimianni.

Il numero di donne residenti in Emilia‐Romagna è pari a 2.301.132, più degli uomini quindi,mentre gli stranieri rappresentano circa il 12% della popolazione residente nella regione. Lapopolazionestranieraègiovane,conun’etàmediacheall’iniziodel2013eradi32,1annirispettoall’etàmediadellapopolazionenelsuocomplessocheeradi45,2anni.

Perquantoriguardainvecel’areavastadelcentroEmilia,lapopolazioneresidente(al2011)nellaprovinciadiBologna,comprendendoancheImola,risultaparia991.924unità,dicuiil10,4%è

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Per quanto riguarda poi i flussi migratori nella città di Bologna tra il 2007 a il 2012, più di 78.400 abitanti hanno lasciato Bologna, di cui più di 55 mila italiani. Inoltre si sono registrati quasi 108 mila nuovi residenti tra il 2007 e il 2012, di cui più di 48 mila stranieri (Figura 3).

Figura 3 - Flussi migratori nel Comune di Bologna (2007-2012)

Questo dimostra un’accresciuta mobilità geografica (un quarto della popolazione di Bologna è cambiata in soli 5 anni) che indebolisce il radicamento e le reti sociali che devono essere ricostru-ite sia da chi arriva sia da chi lascia.

A questo proposito è importante sottolineare l’età media di coloro che lasciano Bologna: del totale di coloro che sono emigrati da Bologna nel 2012 (11.545) il 72 % ha meno di 44 anni. Inoltre, il 51 % di coloro che emigrano rimangono comunque nella provincia di Bologna e l’8 % emigra all’este-ro. Sono quindi le giovani famiglie che si allontanano dalla città troppo costosa per poter abitare con i figli in spazi adeguati.

Sempre nel Comune di Bologna, interessanti sono anche i dati sulle nuove generazioni di bambini di cui sono disponibili serie storiche dal 1992 al 2010. Come si può notare nel grafico seguente, la percentuale di bambini nati da genitori stranieri (sia da coppie miste sia da coppie solo straniere) è passata dal 7,4% nel 1992 al 32,6% nel 2010 (Figura 4).

Figura 4 - Nati a Bologna dal 1992 al 2010

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stranieramentrelapopolazionedellaProvinciadiFerraraèparia359.994unità,dicuiil7,6%sonostranieri.

All’inizio del 2013, in Emilia‐Romagna risiedevano 547.552 stranieri, pari al 12,2% dellapopolazioneresidente, continuando il trend increscitachecaratterizza il fenomenomigratoriosindalsuoinizio.

Nel corso degli anni si è verificata una femminilizzazione dei flussi: nel 2009 l’ammontare didonneharaggiuntolacomponentemaschile,superandolanegliultimianni(nel2013ilrapportotramaschie femmine stranieri è statopari al92,4%),dato complessivo che tuttavianascondealcunespecificitàlegateasingolecittadinanze.GliambitidistrettualiconpiùaltapercentualedistranieriresidentisultotaledellapopolazionesiconcentranoanorddelleprovincediPiacenza,Parma, Modena e Reggio Emilia, con Comuni che si attestano su valori ben oltre la mediaregionale(12,2%)raggiungendoinalcunicasiil20%.

PerquantoriguardapoiiflussimigratorinellacittàdiBolognatrail2007ail2012,piùdi78.400abitantihannolasciatoBologna,dicuipiùdi55milaitaliani.Inoltresisonoregistratiquasi108milanuoviresidentitrail2007eil2012,dicuipiùdi48milastranieri(Figura3).

Figura3‐FlussimigratorinelComunediBologna(2007‐2012)

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Figura4‐NatiaBolognadal1992al2010

Unbambinosutrehaalmenoungenitorestranieroedèrilevantenotarecomel’8%deibambinisianofiglidicoppiemiste.

Un altro dato importante riguarda il percorso formativo che seguono gli stranieri. Nell’annoscolastico2012‐2013gli alunnidi cittadinanzanon italiana sono stati il 15,9%del totaledegliiscrittisiaallascuolaprimariasiaallascuolasecondariadiIgrado.IldatodellasecondariadiIIgrado è inferiore (12,1%). Come si può vedere dal grafico (Figura 5), gli stranieri iscritti allescuoleprofessionaliraggiungonoil24,4%,quindiquasiunquartodeltotale.

Figura5–Percentualediiscrittinonitalianiperordinediscuolaneglia.s.dal2010/11al2012/13

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Un bambino su tre ha almeno un genitore straniero ed è rilevante notare come l’8% dei bambini siano figli di coppie miste.

Un altro dato importante riguarda il percorso formativo che seguono gli stranieri. Nell’anno scola-stico 2012-2013 gli alunni di cittadinanza non italiana sono stati il 15,9% del totale degli iscritti sia alla scuola primaria sia alla scuola secondaria di I grado. Il dato della secondaria di II grado è infe-riore (12,1%). Come si può vedere dal grafico (Figura 5), gli stranieri iscritti alle scuole professionali raggiungono il 24,4%, quindi quasi un quarto del totale.

Figura 5 – Percentuale di iscritti non italiani per ordine di scuola negli a.s. dal 2010/11 al 2012/13

Questo dato poi va associato a quello relativo al ritardo scolastico degli stranieri: nella scuola se-condaria di II grado gli stranieri che sono in ritardo di un anno sono il 36 % mentre quelli con due o più anni di ritardo sono il 27,7 %, percentuali molto alte rispetto agli studenti di cittadinanza italiana dove solo il 4,9 % è in ritardo di più di 2 anni. Questo significa che il 63,7% degli stranieri che frequentano la scuola secondaria di II grado sono in ritardo di uno o più anni (Figura 6).

Figura 6 – Percentuale di alunni in ritardo per anni di ritardo, cittadinanza e ordine di scuola nell’a.s. 2012-2013

Questi dati aiutano a spiegare la bassa potenzialità di occupazione dei giovani stranieri, soprattutto con riferimento a quelle tipologie di lavoro che richiedono una qualifica scolastica.

Anche i dati sulla disoccupazione sono rilevanti: infatti il tasso di disoccupazione che nel 2012 era del 7,1%, nel 2013 è salito all’8,45%. Nello stesso tempo il tasso di occupazione è diminuito pas-sando dal 70,2% nel 2008 al 66,3% nel 2013 (Figura 7).

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Figura4‐NatiaBolognadal1992al2010

Unbambinosutrehaalmenoungenitorestranieroedèrilevantenotarecomel’8%deibambinisianofiglidicoppiemiste.

Un altro dato importante riguarda il percorso formativo che seguono gli stranieri. Nell’annoscolastico2012‐2013gli alunnidi cittadinanzanon italiana sono stati il 15,9%del totaledegliiscrittisiaallascuolaprimariasiaallascuolasecondariadiIgrado.IldatodellasecondariadiIIgrado è inferiore (12,1%). Come si può vedere dal grafico (Figura 5), gli stranieri iscritti allescuoleprofessionaliraggiungonoil24,4%,quindiquasiunquartodeltotale.

Figura5–Percentualediiscrittinonitalianiperordinediscuolaneglia.s.dal2010/11al2012/13

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Questo dato poi va associato a quello relativo al ritardo scolastico degli stranieri: nella scuolasecondariadiIIgradoglistranierichesonoinritardodiunannosonoil36%mentrequellicondue o più anni di ritardo sono il 27,7 %, percentuali molto alte rispetto agli studenti dicittadinanzaitalianadovesoloil4,9%èinritardodipiùdi2anni.Questosignificacheil63,7%deglistranierichefrequentanolascuolasecondariadiIIgradosonoinritardodiunoopiùanni(Figura6).

Figura6–Percentualedialunni in ritardoperannidi ritardo, cittadinanzaeordinedi

scuolanell’a.s.2012‐2013

Questi dati aiutano a spiegare la bassa potenzialità di occupazione dei giovani stranieri,soprattuttoconriferimentoaquelletipologiedilavorocherichiedonounaqualificascolastica.

Anche idati sulladisoccupazionesonorilevanti: infatti il tassodidisoccupazionechenel2012eradel7,1%,nel2013èsalitoall’8,45%.Nellostessotempoiltassodioccupazioneèdiminuitopassandodal70,2%nel2008al66,3%nel2013(Figura7).

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Figura 7 - Tasso di occupazione e disoccupazione in Emilia Romagna dal 2004 al 2013 (valori%)

Inoltre, si possono evidenziare le differenze per genere: il tasso di disoccupazione femminile nel 2011 si è attestato al 6,3 % ed è cresciuto al 9,7 % in due anni, mentre il tasso di disoccupazione maschile è passato dal 4,5 % del 2011 al 7,4 % del 2013. Possiamo confrontare questi dati con la media nazionale che nel 2011 era dell’8,4 %, nel 2012 era del 10,7 % e nel 2013 è arrivata al 12,2 % (Figura 8).

Figura 8 - Tasso di disoccupazione per genere e classe di età 15-29 anni in Emilia Romagna dal 2004 al 2013 (valori percentuali)

È importante guardare anche alla disoccupazione giovanile, riguardante i giovani di età compresa tra 15 e 24 anni, che in Emilia-Romagna ha avuto un picco nel 2010 arrivando al 22,4% e scen-dendo al 21,9% nel 2011. Negli ultimi due anni la situazione è notevolmente peggiorata: nel 2012 il tasso si è attestato al 26,4 % e nel 2013 il dato diventa ancora più preoccupante toccando la soglia del 33,3 %. La provincia di Bologna si trova sopra la media, con un tasso del 29,2% nel 2010 che scende al 23,2% nel 2011, ma anche qui negli ultimi due anni c’è stata una forte crescita della disoccupazione giovanile, arrivata al 45,7% nel 2013.

I NEET, popolazione in età 15-29 anni né occupata e né inserita in un percorso di istruzione o formazione, sono un fenomeno emergente che ha riguardato nel 2012 il 15,9% della popolazione regionale di riferimento, una percentuale preoccupante anche rispetto al dato italiano del 23,9%. Nel 2012 le giovani donne che non erano né occupate né inserite in alcun programma formativo erano il 19,3%, mentre i giovani uomini raggiungevano una percentuale del 12,5%.

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Figura7 ‐Tassodi occupazione edisoccupazione in EmiliaRomagnadal2004 al2013

(valoripercentuali)

Inoltre,sipossonoevidenziareledifferenzepergenere:iltassodidisoccupazionefemminilenel2011sièattestatoal6,3%edècresciutoal9,7%indueanni,mentreiltassodidisoccupazionemaschileèpassatodal4,5%del2011al7,4%del2013.

Possiamoconfrontarequestidaticonlamedianazionalechenel2011eradell’8,4%,nel2012eradel10,7%enel2013èarrivataal12,2%(Figura8).

Fonte:ISTAT,RilevazioneContinuadellaForzediLavoro(RCFL).

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Figura8‐Tassodidisoccupazionepergenereeclassedietà15‐29anniinEmiliaRomagna

dal2004al2013(valoripercentuali)

Èimportanteguardareanchealladisoccupazionegiovanile,riguardanteigiovanidietàcompresatra 15 e 24 anni, che in Emilia‐Romagna ha avuto un picco nel 2010 arrivando al 22,4% escendendoal21,9%nel2011.Negliultimidueannilasituazioneènotevolmentepeggiorata:nel2012iltassosièattestatoal26,4%enel2013ildatodiventaancorapiùpreoccupantetoccandolasogliadel33,3%.LaprovinciadiBolognasitrovasopralamedia,conuntassodel29,2%nel2010chescendeal23,2%nel2011,maanchequinegliultimidueannic’èstataunafortecrescitadelladisoccupazionegiovanile,arrivataal45,7%nel2013.

INEET,popolazione inetà15‐29anninéoccupataené inserita inunpercorsodi istruzioneoformazione,sonounfenomenoemergentechehariguardatonel2012il15,9%dellapopolazioneregionalediriferimento,unapercentualepreoccupanteancherispettoaldatoitalianodel23,9%.Nel2012legiovanidonnechenoneranonéoccupatenéinseriteinalcunprogrammaformativoeranoil19,3%,mentreigiovaniuominiraggiungevanounapercentualedel12,5%.

Fonte:ISTAT,RilevazioneContinuadellaForzediLavoro(RCFL).

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La serie storica (Figura 9) mostra come il fenomeno sia in forte crescita negli ultimi anni ed è quin-di necessario un intervento per far fronte a questo problema.

Figura 9 - Incidenza dei NEET in Emilia-Romagna per genere dal 2004 al 2012. (Valori percentuali)

La composizione delle famiglie è cambiata: abbiamo assistito ad un aumento del numero assolu-to delle famiglie superiore a quello della popolazione complessiva, ad una riduzione del numero medio di componenti e ad una diversa composizione in tipologie familiari. Le tipologie più diffuse sono le famiglie unipersonali che a Bologna sono aumentate di circa il 70% nel periodo 1986-2012 e i nuclei composti da due persone, mentre già le famiglie di tre persone fanno registrare un sen-sibile calo (Figura 10).

Figura 10 - Famiglie per numero di componenti a Bologna città

Un bisogno emergente più prettamente femminile è poi la conciliazione tra vita e lavoro. In Emi-lia-Romagna, infatti, il 61,9% (+1% rispetto al 2011) delle donne sono occupate, una percentuale maggiore rispetto alla media nazionale del 46,5%. Ciò implica quindi la nascita di un bisogno da parte delle famiglie di conciliare la vita familiare con gli impegni lavorativi. Il tasso di copertura del bisogno che si esplicita nell’erogazione di servizi educativi per i bambini nella fascia di età 0–3 anni è ancora basso e si attesta in un range compreso tra il 29% e il 35%. In particolare, nella città di Bologna le famiglie con almeno un minore, quindi coloro che manifesterebbero il bisogno di una conciliazione, sono pari al 16,5 % di cui il 13,7% hanno figli in età prescolare. Inoltre circa il 27% della famiglie con un minore sono mono-genitoriali: il 18% sono madri sole con figli, il 2,9% sono padri soli con i figli e il 5,9% sono composte da un solo genitore con altri familiari.

Dal censimento della popolazione del 2011 si può estrarre anche il dato sulle separazioni familiari. Le serie storiche mostrano un forte incremento del numero delle separazioni in Emilia-Romagna: nel 2011 si sono registrate 528 separazioni ogni 1.000 matrimoni con un tasso di separazione del 52,8%. Questo dato è molto importante perché evidenzia un bisogno emergente di sostegno alla genitorialità cui il sistema pubblico potrebbe rispondere offrendo servizi ad hoc che potrebbero essere pagati su base reddituale occupando uno spazio di mercato ancora vuoto.

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La serie storica (Figura9)mostracome il fenomeno sia in forte crescitanegliultimianniedèquindinecessariouninterventoperfarfronteaquestoproblema.

Figura9‐IncidenzadeiNEETinEmilia‐Romagnapergeneredal2004al2012.(Valoripercentuali)

Lacomposizionedellefamiglieècambiata:abbiamoassistitoadunaumentodelnumeroassolutodelle famiglie superiore a quello della popolazione complessiva, ad una riduzione del numeromediodicomponentieadunadiversacomposizioneintipologiefamiliari.Letipologiepiùdiffusesono le famiglieunipersonali cheaBologna sonoaumentatedi circa il 70%nelperiodo1986‐2012einucleicompostidaduepersone,mentregiàlefamiglieditrepersonefannoregistrareunsensibilecalo(Figura10).

Figura10‐FamigliepernumerodicomponentiaBolognacittà

Fonte: Dati comune Bologna 31 Dicembre 2012

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La serie storica (Figura9)mostracome il fenomeno sia in forte crescitanegliultimianniedèquindinecessariouninterventoperfarfronteaquestoproblema.

Figura9‐IncidenzadeiNEETinEmilia‐Romagnapergeneredal2004al2012.(Valoripercentuali)

Lacomposizionedellefamiglieècambiata:abbiamoassistitoadunaumentodelnumeroassolutodelle famiglie superiore a quello della popolazione complessiva, ad una riduzione del numeromediodicomponentieadunadiversacomposizioneintipologiefamiliari.Letipologiepiùdiffusesono le famiglieunipersonali cheaBologna sonoaumentatedi circa il 70%nelperiodo1986‐2012einucleicompostidaduepersone,mentregiàlefamiglieditrepersonefannoregistrareunsensibilecalo(Figura10).

Figura10‐FamigliepernumerodicomponentiaBolognacittà

Fonte: Dati comune Bologna 31 Dicembre 2012

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4.2. PRINCIPALI CRITICITÀ DEL SISTEMA DI WELFARE REGIONALE

Una delle principali criticità per l’Emilia-Romagna, come si può notare dai dati del paragrafo prece-dente, è la disoccupazione, fenomeno caratterizzato da una forte variabilità infra-regionale. Ferra-ra, Rimini, Forlì-Cesena sono le Province più in difficoltà, con tassi di disoccupazione dell’11,1% a Ferrara e 9,8% a Rimini nel 2012, rispetto ad un dato medio regionale del 7,1%.

Connesso al problema della disoccupazione, un altro problema prioritario è quello dei NEET: il 15,9 % dei giovani tra i 15 e i 29 anni non è inserito professionalmente né in programmi educativi, con forti differenze tra giovani uomini e donne e tra aree territoriali nella Regione. Le giovani donne sono coloro che più ne soffrono raggiungendo la percentuale del 19,3% rispetto al 12,5% degli uomini. Emergono poi nuove povertà dovute alla riduzione del reddito reale disponibile, causata dalla crisi che ancora esplica i suoi effetti e dal diradarsi di legami sociali che indebolisce le fa-miglie. La conciliazione vita-lavoro è un altro bisogno emergente non ancora preso in carico dal sistema ma sempre più rilevante: l’occupazione femminile nella Regione si attesta al 61,9 % a fronte di un basso tasso di copertura del bisogno di cui può essere una proxy il tasso di copertura per i servizi educativi per i bambini 0-3 anni. La mancata conciliazione fra occupazione retribuita e vita privata preclude troppo spesso alle donne la possibilità di contribuire alla crescita del reddito familiare. Le conseguenze si ripercuotono non solo sulla realizzazione della donna ma anche, e soprattutto, sul benessere dei figli. Un nucleo familiare che si regge su un’unica fonte di reddito espone maggiormente i minori al rischio di povertà. I bambini svantaggiati soffrono non solo dal punto di vista cognitivo, ma anche a livello comportamentale e sociale, in quanto è più facile che in futuro rientrino fra i cosiddetti working poors, lavoratori con basse qualifiche, occupazioni precarie e poco retribuite, destinati con molta probabilità a essere pensionati poveri e non autosufficienti (Maino, 2013).

Ci sono poi alcune categorie di potenziali utenti non coperti dall’offerta di servizi che possono es-sere invece risorsa per il sistema, come ad esempio i cosiddetti silver age. I giovani anziani (nella fascia d’età compresa tra 65 e 75 anni) ormai in pensione ma ancora in buono stato di salute pos-sono infatti dare un contributo positivo al sistema di welfare. La maggior parte di costoro non ha bisogno di trasferimenti diretti o indiretti di risorse da parte del sistema di welfare, ma, piuttosto, di incontrare una trama sociale che dia loro senso, valore e li supporti a integrarsi costantemente gli uni con gli altri, con la società (Fosti et al. 2013). Il sistema pubblico infatti potrebbe incentivare l’incontro di queste persone promuovendo la creazione di centri di aggregazione dove possono passare il tempo libero e contemporaneamente svolgere un’attività con un impatto sociale positi-vo, per esempio facendo volontariato per le persone fragili o aiutare a titolo gratuito le famiglie che hanno problemi di conciliazione vita-lavoro (potrebbero fare i “nonni in affitto”). I benefici della loro attività sarebbero duplici: in primo luogo si risolverebbe il problema della “noia” che questi anziani ormai in pensione spesso soffrono e dall’altra nel lungo periodo la loro attività potrebbe portare benefici sociali positivi ad un costo minimo per il sistema di welfare pubblico.

L’innalzamento delle aspettative di vita e l’aumento di patologie croniche tra la popolazione anziana pone il sistema di fronte ad una richiesta di migliore gestione dei servizi e presa in carico delle persone. La combinazione di più fenomeni sociali ed epidemiologici ha, infatti, reso la “questione non autosufficienza” un tema centrale per la gestione del sistema socio assistenziale italiano. I dati di spesa e servizi per la non autosufficienza e la disabilità mostrano infatti un’apparente in-congruenza: per quanto riguarda le risorse a disposizione, l’Italia si classifica ultima nel confronto con gli altri Paesi, con 558 euro pro capite per singolo residente (7,91% della spesa per il welfare) contro 963 euro nel Regno Unito (13,19%), 912 euro in Germania (10,13%) e 841 euro in Francia (8,4%). Ma se ci si concentra sui beneficiari degli interventi (in-kind o cash), l’Italia si colloca al

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primo posto con 2.165.070 beneficiari (il dato include indennità di accompagnamento, anziani in-seriti in strutture residenziali e semi-residenziali), contro 1.377.000 nel Regno Unito, 2.041.800 in Germania e 1.200.000 in Francia.

Il dato diventa ancora più significativo se si confronta con la stima epidemiologica del numero tota-le dei possibili anziani non autosufficienti e dei possibili disabili che necessitano di assistenza: l’Ita-lia offre infatti una risposta a oltre il 95% degli anziani non autosufficienti e disabili stimati, contro il 44% di Regno Unito, 65% di Germania e 49% di Francia. L’Italia è il Paese che investe in percen-tuale meno risorse in servizi reali e più risorse in benefit monetari (l’indennità di accompagnamen-to): all’aiuto monetario alle famiglie è destinato il 52% delle risorse totali per non-autosufficienza e disabilità, contro il 46% di Regno Unito, 31% di Germania e 39% di Francia. Ma ognuno degli oltre 1.933.000 cittadini che beneficiano dell’indennità di accompagnamento in Italia riceve un ammon-tare esiguo di risorse (499 euro al mese, dati 2013), per lo più impiegate come integrazione al red-dito per la famiglia che si prende cura dell’anziano o come integrazione alla pensione dell’anziano per finanziare il mercato delle assistenti familiari. In sintesi estrema: gli anziani non autosufficienti nel nostro Paese hanno molte più probabilità di ottenere “qualcosa” dal sistema pubblico rispetto a quelli francesi, tedeschi o britannici. Di converso, l’intensità assistenziale media di cui godono gli utenti presi in carico negli altri Paesi è molto più elevata rispetto a quanto accada in Italia. Emerge una correlazione evidente: dove maggiore è la propensione a offrire servizi, l’intensità per caso trattato è maggiore, il welfare è più locale; al contrario, dove prevalgono i trasferimenti finanziari, si diluisce l’intensità assistenziale e il welfare fa capo soprattutto alle amministrazioni centrali. Agli estremi di queste due polarità si collocano il modello italiano e quello tedesco. Se questo sia rap-presentativo di una virtù italiana “egualitaria” o l’ennesima dimostrazione del dramma di un Paese che non sa scegliere, è una questione che resta aperta (Bonanomi et al. 2013).

È altresì importante l’integrazione dei nuovi italiani nella società data l’alta percentuale di stranieri nel territorio (12.2 % dei residenti della regione è straniero) e la presa di coscienza dell’aumento della mobilità geografica della famiglie, sia infra-regionale che inter-regionale che indebolisce le reti e il capitale sociale disponibile.

Il settore sociale ha inoltre avuto fino ad oggi un orientamento prevalentemente a favore dei grandi fragili con servizi gratuiti, con il rischio di un progressivo allontanamento da una visione universa-listica. Il settore sociale infatti, all’opposto di quello scolastico e quello sanitario, non ha sviluppa-to una logica universalistica, non adottando nessun principio redistributivo interno. Il sistema di welfare come oggi configurato rischia pertanto di risultare carente nella capacità di dare risposta ai bisogni emergenti, come per esempio i NEET, la conciliazione vita-lavoro, l’integrazione dei nuovi italiani, i silver age, le separazioni e la mobilità della famiglie. Ciò deriva principalmente dalla sua natura prevalentemente riparatoria, ovvero dalla tendenza ad intervenire laddove i problemi sono già emersi anziché operare in una logica di iniziativa con finalità preventive o promozionali. Questa evidenza contrasta con la crescente disponibilità di dati prodotti dai sistemi informativi aziendali (Aziende USL) e regionali che consentono di individuare le categorie più fragili e a rischio di esclusione sociale, come ad esempio i giovani stranieri, le coppie separate e gli anziani non au-tosufficienti. Tali problematiche sono rese più critiche dall’elevato livello di frammentazione delle risorse a disposizione del sistema, con oltre due terzi delle risorse (provenienti da indennità di accompagnamento INPS per la non auto-sufficienza e dalla compartecipazione di famiglie/utenti) a gestione diretta della famiglie senza alcuna regia pubblica. Tali dinamiche finanziarie spingono verso la prevalenza del mercato individuale e informale della cura (esempio assistenti familiari), con una ulteriore riduzione della possibilità di regia pubblica sulla geografia dei servizi.

Tali criticità, connesse all’impostazione del sistema, generano a valle criticità nel disegno e nell’e-rogazione dei servizi: nel complesso, i servizi che il sistema di welfare offre sono rigidi e standar-dizzati, focalizzati sulla fragilità estrema. Manca quindi l’attenzione per la media e bassa soglia di bisogno, con rischi di riduzione della vocazione universalistica del sistema di welfare. Inoltre

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prevalgono servizi a soluzioni individuali che isolano utenti e famiglie, che rafforzano il diradarsi dei legami sociali (es. assistente familiare o “baby-sitter” per singolo anziano o bambino) e rischiano di generare ulteriori sacche di esclusione sociale isolando la fragilità dal contesto che la circonda, aumentando quindi la percezione del bisogno. Queste riflessioni si collocano in un quadro di ero-gazione di servizi che tocca pochi beneficiari rispetto al totale del bisogno stimato: i servizi offerti hanno tassi di copertura modesti nelle aree tradizionalmente forti come anziani e disabili, dove si raggiungono percentuali di copertura massime del 30 %, mentre nelle altre aree come famiglie, conciliazione vita-lavoro, supporto a separazioni, i tassi sono decisamente più bassi e l’iniziativa è interamente lasciata nelle mani delle famiglie con rischi crescenti di iniquità.

Vi sono poi delle criticità in termini di policy rappresentate dall’elevato livello di frammentazione del sistema: l’attuale impostazione di fatto favorisce le famiglie competenti o gli individui/utenti con forti reti sociali determinando elevate iniquità tra chi è in grado di ricomporre individualmente i servizi e chi invece non è in grado di farlo. L’evidenza che le policy pubbliche sono rivolte esclu-sivamente al 25% del sistema di riproduzione sociale disincentiva inoltre l’imprenditorialità dei produttori verso il mercato delle famiglie. Un esempio in questo senso è quello relativo al mecca-nismo di accreditamento: la competizione tra produttori avviene prevalentemente “per il mercato” dei bandi pubblici e non “nel mercato” dei servizi per le famiglie.

4.3. SERVIZI OFFERTI E TASSI DI COPERTURAIn questo paragrafo si vuole illustrare una sintesi dei principali servizi offerti oggi dal sistema di welfare regionale e si mostrano i tassi di copertura calcolati per le aree di bisogno selezionate. Sono state infatti prese in considerazione le aree tradizionalmente più ricche in cui opera il sistema di welfare regionale: gli anziani non autosufficienti, i disabili e i servizi educativi per i bambini nella fascia di età 0-3 anni. Tale target di indagine è stato scelto poiché si vuole mostrare che il sistema, così come oggi configurato, non sia in grado di rispondere neanche ai bisogni che sono chiara-mente visibili all’attore pubblico e per questo è necessario un ripensamento generale del welfare.

È importante sottolineare sin dall’inizio che i tassi di copertura dei servizi sono modesti: nelle aree ritenute tradizionalmente forti come quelle di anziani e disabili infatti si attestano, infatti, tra il 25% e il 35% mentre sono ancora più deboli nelle aree dei bisogni emergenti come famiglie, concilia-zione vita-lavoro, supporto alle separazioni.

4.3.1. SERVIZI PER LE PERSONE NON AUTOSUFFICIENTII servizi per la long term care e l’invalidità previsti dal sistema di welfare nazionale possono essere suddivisi in due grandi macro-categorie: le prestazioni cash e i servizi reali. Le prestazioni cash pre-vedono un trasferimento monetario all’utente che viene valutato idoneo sulla base di alcuni requisiti; tale trasferimento può essere vincolato o meno a uno specifico utilizzo. Esistono diverse tipologie di prestazione cash per la non autosufficienza, erogate da soggetti diversi e che seguono iter e proces-si di valutazione diversi. Il più importante beneficio monetario erogato per la non autosufficienza è l’indennità di accompagnamento che viene erogata dall’INPS e può essere attribuita sia agli anziani ultra 65enni non autosufficienti sia agli invalidi di età inferiore ai 65 anni. In termini monetari essa consiste in un ammontare mensile fisso che per il 2013 era corrispondente a circa 500 euro. Ci sono poi altri benefici di tipo monetario che vengono erogati da Comuni e/o Aziende USL, sotto forma di “assegni di cura” o “voucher” a seconda della Regione di riferimento, variano nell’ammontare e hanno lo scopo di sostenere l’assistenza e la cura al domicilio delle persone non autosufficienti. Il secondo tipo di macro categoria riguarda i servizi reali: in Italia sono numerosi e ne esistono diver-se tipologie. Nella maggior parte dei casi tali servizi possono essere sommati ai benefici monetari descritti di sopra. Riconosciamo in particolare tre tipologie di servizi: servizi domiciliari, servizi

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semi-residenziali e servizi residenziali. I servizi domiciliari fanno riferimento alle ASL e ai Comuni che in collaborazione organizzano l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) che consente alle per-sone non autosufficienti di essere assistite da infermieri al proprio domicilio, evitando il ricovero in ospedale. C’è poi il Servizio di Assistenza Domiciliare (SAD o AD) che si caratterizza e distingue dall’ADI per un contenuto della prestazione a maggiore rilevanza sociale. Quando l’assistenza a domicilio non è possibile o risulta non appropriata, esistono servizi residenziali e semi-residenziali le cui modalità di accesso, caratteristiche specifiche e i relativi costi variano in base alle disposizio-ni normative regionali e ai regolamenti emanati dai Comuni di appartenenza. I servizi residenziali sono strutture con caratteristiche alberghiere, che ospitano il non autosufficiente in via tempora-nea o definitiva mentre i servizi semi-residenziali sono servizi erogati in strutture di tipo diurno, che sostengono gli anziani che sono solitamente in condizioni di parziale autosufficienza.

Per quanto riguarda nello specifico la Regione Emilia-Romagna, il Fondo Regionale per la Non Autosufficienza (FRNA), istituito per finanziare servizi dedicati a persone non autosufficienti o a rischio di non autosufficienza e a persone con gravi disabilità, e avviato concretamente nel 2007 con la DGR n. 509, ha consentito di ampliare la rete dei servizi socio-sanitari, ed è stato fondamentale nel momento in cui, con il passare degli anni, le difficoltà economiche del Paese sono sensibilmente aumentate. L’Emilia-Romagna con il FRNA non solo ha garantito negli anni l’impegno economico ma ha, in primo luogo, sostenuto lo sviluppo di una rete di servizi messa in campo per rispondere alle diverse tipologie dei bisogni con l’obiettivo prioritario, laddove possibile, di tenere la persona non autosufficiente o a rischio di non autosufficienza al proprio domicilio. La rete su cui si sono basati gli interventi è composta sia da una rete di strutture residenziali e semi-residenziali per anziani e disabili sia dai servizi per l’assistenza domiciliare, compreso l’assegno di cura per entrambe le tipologie di beneficiari. Una rete che possiamo definire “strutturale” che si è andata consolidando negli anni ampliando il numero di beneficiari per rispondere alla necessità di interventi socio-sanitari complessi e continuativi. Su questa rete si è poi innestata una rete di servizi innovativi, a più bassa soglia di intervento, a supporto delle famiglie per ridurre il carico assistenziale a domicilio.

ANZIANI

Per quanto riguarda questa area, si considerano in questo paragrafo i servizi residenziali, semiresi-denziali e domiciliari nei territori dell’area vasta del centro Emilia. Come illustrato in tabella (Figura 11), i tassi di copertura complessivi nel territorio della province di Bologna e Ferrara sono pari al 37% se si guarda al totale della spesa sommando quella pubblica e delle famiglie e al 28% se si considerano solo i servizi con finanziamento pubblico.

Figura 11. - Tassi di copertura dei servizi per gli anziani non autosufficienti

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residenziali e semiresidenzialiper anziani edisabili siadai serviziper l’assistenzadomiciliare,compreso l’assegno di cura per entrambe le tipologie di beneficiari. Una rete che possiamodefinire“strutturale”chesièandataconsolidandoneglianniampliandoilnumerodibeneficiariperrispondereallanecessitàdiinterventisocio‐sanitaricomplessiecontinuativi.Suquestaretesièpoiinnestataunaretediserviziinnovativi,apiùbassasogliadiintervento,asupportodellefamiglieperridurreilcaricoassistenzialeadomicilio.Anziani

Per quanto riguarda questa area, si considerano in questo paragrafo i servizi residenziali,semiresidenziali e domiciliari nei territori dell’area vasta del centro Emilia. Come illustrato intabella (Figura 11), i tassi di copertura complessivi nel territorio della province di Bologna eFerrara sono pari al 37% se si guarda al totale della spesa sommandoquella pubblica e dellefamiglieeal28%sesiconsideranosoloiserviziconfinanziamentopubblico.

Figura11.‐Tassidicoperturadeiserviziperglianzianinonautosufficienti

La stimadeglianzianinonautosufficientinellaprovinciadiBolognaèdi42.926unitàe ipostiletto totali(1) in strutture residenziali e semi‐residenziali autorizzati sono 8.006. Quello che èinteressantesottolineareècometalenumerodiposti lettocomplessivisiripartisca inmaniera

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La stima degli anziani non autosufficienti nella provincia di Bologna è di 42.926 unità e i posti letto totali(1) in strutture residenziali e semi-residenziali autorizzati sono 8.006. Quello che è interessan-te sottolineare è come tale numero di posti letto complessivi si ripartisca in maniera pressoché omogenea tra posti letto in strutture residenziali e semi-residenziali pagati prevalentemente dalle famiglie (4.056) e posti letto in strutture residenziali e semi-residenziali con finanziamento pubbli-co (3.950) (Figura 12).

Figura 12 - Posti letto nelle strutture residenziali e semiresidenziali nella provincia di Bologna

Per quanto riguarda il care giving informale, si stima che in Emilia-Romagna vi siano circa 100 mila assistenti familiari con una spesa complessiva di 1,2 miliardi di euro all’anno. Per esempio nella provincia di Bologna dove si stima una popolazione di anziani non autosufficienti di 42.926 persone sono presenti circa 23.100 assistenti familiari per una spesa complessiva di 280 milioni di euro all’anno. Nella provincia di Ferrara invece, dove sono stimanti circa 16.934 anziani non au-tosufficienti sono presenti circa 9.100 assistenti familiari per una spesa complessiva di 110 milioni di euro all’anno. Nella province di Bologna e Ferrara il rapporto è pressoché identico: si può quindi contare un'assistente familiare ogni 2 anziani (1,86), una proporzione maggiore rispetto alla media italiana di uno a dieci, come è tipico dei contesti metropolitani più ricchi.

DISABILI

Si stima che nel territorio della provincia di Bologna vi sia una popolazione di disabili (secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, la condizione di disabilità consiste nella “riduzione o perdita di capacità funzionale conseguente ad una menomazione”, sia quest’ultima di tipo anatomico, psicologico o fisiologico) in età adulta (18-64 anni) di 7.689 persone di cui 1.021 fanno parte del territorio di competenza della Azienda USL di Imola, mentre nella provincia di Fer-rara vi sono 2.980 disabili. I servizi residenziali e semiresidenziali hanno una capacità di 1473 posti nella provincia di Bologna mentre nella provincia di Ferrara i posti sono 427. I tassi di copertura del servizio sono quindi molto bassi e si attestano al 19 % nell’area di Bologna e al 15 % nell’area di Ferrara, mentre nell’area di Imola il tasso è ancora più basso (10 %). Un altro dato che ci permette di capire quale sia la copertura del bisogno in questa area è l’intensità di AD (Assistenza Domici-liare) più alta nel territorio di Bologna con un valore di 6 ore medie settimanali per singolo utente, mentre nella provincia di Ferrara ogni disabile usufruisce in media solo di 2,7 ore alla settimana di AD. In generale per quanto riguarda i disabili il tasso di copertura è del 32 % nelle province di Bologna e Ferrara mentre nel territorio della AUSL di Imola il tasso è del 34 % (Figura 13).

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pressoché omogenea tra posti letto in strutture residenziali e semi‐residenziali pagatiprevalentementedalle famiglie(4.056)eposti letto instruttureresidenzialiesemi‐residenzialiconfinanziamentopubblico(3.950)(Figura12).

Figura12‐PostilettonellestruttureresidenzialiesemiresidenzialinellaprovinciadiBologna

Perquantoriguarda ilcaregiving informale,sistimache inEmilia‐Romagnavisianocirca100milabadanticonunaspesacomplessivadi1,2miliardidieuroall’anno.

Per esempio nella provincia di Bologna dove si stima una popolazione di anziani nonautosufficientidi42.926personesonopresenticirca23.100badantiperunaspesacomplessivadi280milionidieuroall’anno.NellaprovinciadiFerrarainvece,dovesonostimanticirca16.934anzianinonautosufficientisonopresenticirca9.100badantiperunaspesacomplessivadi110milionidieuroall’anno.NellaprovincediBolognaeFerrarailrapportoèpressochéidentico:sipuò quindi contare una badante ogni 2 anziani (1,86), una proporzionemaggiore rispetto allamediaitalianadiunoadieci,comeètipicodeicontestimetropolitanipiùricchi.

(1)Questonumerocomprendeancheipostolettonellecasediriposo.

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pressoché omogenea tra posti letto in strutture residenziali e semi‐residenziali pagatiprevalentementedalle famiglie(4.056)eposti letto instruttureresidenzialiesemi‐residenzialiconfinanziamentopubblico(3.950)(Figura12).

Figura12‐PostilettonellestruttureresidenzialiesemiresidenzialinellaprovinciadiBologna

Perquantoriguarda ilcaregiving informale,sistimache inEmilia‐Romagnavisianocirca100milabadanticonunaspesacomplessivadi1,2miliardidieuroall’anno.

Per esempio nella provincia di Bologna dove si stima una popolazione di anziani nonautosufficientidi42.926personesonopresenticirca23.100badantiperunaspesacomplessivadi280milionidieuroall’anno.NellaprovinciadiFerrarainvece,dovesonostimanticirca16.934anzianinonautosufficientisonopresenticirca9.100badantiperunaspesacomplessivadi110milionidieuroall’anno.NellaprovincediBolognaeFerrarailrapportoèpressochéidentico:sipuò quindi contare una badante ogni 2 anziani (1,86), una proporzionemaggiore rispetto allamediaitalianadiunoadieci,comeètipicodeicontestimetropolitanipiùricchi.

(1)Questonumerocomprendeancheipostolettonellecasediriposo.

(1) Questo numero comprende anche i posto letto nelle case di riposo.

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Figura 13 - Servizi per disabili e tassi di copertura

4.3.2. SERVIZI EDUCATIVI (0-3 ANNI)In Emilia-Romagna, i servizi educativi per la prima infanzia sono rappresentati per la maggior parte dai Nidi d’infanzia tradizionali, che costituiscono l’82% dei servizi educativi totali e coprono il 93% dei posti totali; la rimanente parte di servizi e posti (circa il 17% di servizi per un 7% di posti) è costituita da altri servizi educativi (integrativi o sperimentali) che rappresentano una pluralità di offerte per rispondere alle diverse esigenze delle famiglie e dei bambini, tipologie che la Regione Emilia-Romagna ha individuato nel corso degli ultimi anni. Il trend complessivo dei servizi e dei posti totali nei servizi per la prima infanzia risulta in crescita nell’ultimo quinquennio considerato, per tutte le tipologie di servizio, sia per i Nidi che per gli altri servizi educativi (Figura 14).

Figura 14 - Trend servizi prima infanzia e posti Regione Emilia-Romagna (Anni 2007-08/2011-12)

I tassi di copertura di questi servizi sono molto alti in tutti i territori dell’area vasta.

Nella provincia di Bologna il tasso di copertura si attesta all’89%, nel territorio di Imola al 94 % e nella provincia di Ferrara all’84 %. I tassi però sono calcolati in base al numero delle domande che vengono presentate per usufruire di questo servizio ma, se si guarda al reale bisogno, essi si riducono notevolmente.

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Figura13‐Serviziperdisabilietassidicopertura

ProvinciaBologna DicuiImola Provincia

Ferrara

POPOLAZIONE18‐64 610.693 81.053 222.318

Stimapersonedisabiliadulte(18‐64) 7.689 1.021 2.890

Postiinstruttureresidenziali 443 70 173Postiinstrutturesemiresidenziali 1.030 31 254TASSODICOPERTURASTRUTTURE 19% 10% 15%

UtentiAD 322 98 175OrecomplessiveAD 100.661 8.290 24.386

IntensitàAD(oremediesettimanalipersingoloutente) 6 1,6 2,7

UtentiSAD 223 99 132Assegnidicura 413 45 188

TASSODICOPERTURACOMPLESSIVO 32% 34% 32%

Fonte:rielaborazioneCERGAS2012sudatiRegione,AziendeUSLeComuni4.3.2 Servizieducativi(0‐3anni)

InEmilia‐Romagna, i servizi educativi per laprima infanzia sono rappresentati per lamaggiorparte dai Nidi d’infanzia tradizionali, che costituiscono l’82% dei servizi educativi totali ecopronoil93%deipostitotali;larimanentepartediservizieposti(circail17%diserviziperun7%diposti)ècostituitadaaltriservizieducativi(integrativiosperimentali)cherappresentanounapluralitàdiofferteperrispondereallediverseesigenzedellefamiglieedeibambini,tipologiechelaRegioneEmilia‐Romagnahaindividuatonelcorsodegliultimianni.

Il trend complessivo dei servizi e dei posti totali nei servizi per la prima infanzia risulta increscitanell’ultimoquinquennioconsiderato,pertutteletipologiediservizio,siaperiNidicheperglialtriservizieducativi(Figura14).

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Figura 14 ‐ Trend servizi prima infanzia e posti Regione Emilia‐Romagna (Anni 2007‐

2008/2011‐2012)

I tassi di copertura di questi servizi sono molto alti in tutti i territori dell’area vasta. NellaprovinciadiBolognailtassodicoperturasiattestaall’89%,nelterritoriodiImolaal94%enellaprovinciadi Ferrara all’84%. I tassi però sono calcolati inbase al numerodelledomande chevengono presentate per usufruire di questo servizioma, se si guarda al reale bisogno, essi siriducono notevolmente. Ci sono infatti cittadini che, come in questo caso, sono portatori diesigenze per le quali i servizi sono stati progettati, ma, per varie ragioni, non riescono adesprimere il lorobisogno con il linguaggio formalizzatodel sistema, e chequindi restano al difuoridell’areadi interventopubblico,senzaarrivarenemmenoadesprimereladomanda(Jung,2010). Infatti molte persone che avrebbero necessità di usufruire di questi servizi nonpresentanoneanchedomanda inquantononpossonopermettersidipagare le rettedeiNidiosanno preventivamente che i loro figli non riusciranno ad entrarvi, e trovano direttamentesoluzioni alternative. Tenendo conto di alcune stime del bisogno, si ritiene che il tasso dicoperturanellaprovinciadiBolognapossaesseredel35%edel29%nellaprovinciadiFerrara,contandoinentrambiicasiancheipostineiNidiprivati(Figura15).

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Ci sono infatti cittadini che, come in questo caso, sono portatori di esigenze per le quali i servizi sono stati progettati, ma, per varie ragioni, non riescono ad esprimere il loro bisogno con il linguag-gio formalizzato del sistema, e che quindi restano al di fuori dell’area di intervento pubblico, senza arrivare nemmeno ad esprimere la domanda (Jung, 2010). Infatti molte persone che avrebbero necessità di usufruire di questi servizi non presentano neanche domanda in quanto non possono permettersi di pagare le rette dei Nidi o sanno preventivamente che i loro figli non riusciranno ad entrarvi, e trovano direttamente soluzioni alternative. Tenendo conto di alcune stime del bisogno, si ritiene che il tasso di copertura nella provincia di Bologna possa essere del 35% e del 29% nella provincia di Ferrara, contando in entrambi i casi anche i posti nei Nidi privati (Figura 15).

Figura 15 - Tassi di copertura dei servizi educativi per i bambini 0-3 anni

Analizzando poi l’indice di copertura dei posti, ovvero il numero dei posti disponibili su 100 bam-bini residenti 0-2 anni, si può notare che in Emilia Romagna tale indice è cresciuto passando dal 28% del 2007 al 32,7% del 2012 (Figura 16).

Figura 16 - Indice di copertura posti (posti/popolazione 0-2 per 100). Regione Emilia-Romagna. Anni 2007-2008/2011-2012

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Figura15‐Tassidicoperturadeiservizieducativiperibambini0‐3anni

PROVINCIABOLOGNA

DICUIIMOLA

PROVINCIAFERRARA

Numerobambini0‐3anni 26.853 3.799 8.342

Numerobambiniinseritiinasilinido(pubblico+convenzionato) 9.015 1.168 2.028

Numerobambiniinseritiinlistad'attesaperasilinido(pubblico+convenzionato) 1.137 73 465

Numeropostiprivatiasilinidoprivati0‐3anni 229 nd 425Numerobambini0‐3inseritiinservizisperimentali

(es.educatricedomiciliare/familiare) 109 40 5Numerobambiniinseritiinserviziintegrativi

(es.spaziobambini) 608 55 222TASSODICOPERTURADOMANDA

(SERVIZIPUBBLICIOCONVENZIONATI) 89% 94% 81%

TASSODICOPERTURADOMANDA(SERVIZIPUBBLICI,CONVENZIONATI,PRIVATI) 89% 84%

TASSODICOPERTURA“BISOGNO”(SERVIZIPUBBLICIOCONVENZIONATI) 34% 32% 24%

TASSODICOPERTURA“BISOGNO”(SERVIZIPUBBLICI,CONVENZIONATI,PRIVATI) 35% 29%

Fonte:RielaborazioniCERGAS2012sudatiRegione,AziendeUSLeComuni.Analizzando poi l’indice di copertura dei posti, ovvero il numero dei posti disponibili su 100bambiniresidenti0‐2anni,sipuònotarecheinEmiliaRomagnataleindiceècresciutopassandodal28%del2007al32,7%del2012(Figura16).

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Figura 16 ‐ Indice di copertura posti (posti/popolazione 0‐2 per 100).Regione Emilia‐

Romagna.Anni2007‐2008/2011‐2012

4.4Risorsedelsistema

InEmilia‐Romagnalerisorsedelsistemadiwelfareammontanoa1.121europrocapitecomesipuòevinceredallafigurasottostante(Figura17).

Figura17‐RisorseprocapitedelsistemadiwelfareEmiliano‐Romagnolo

Fonte:RapportoOASI2013–CERGASBocconi.In particolare, 774 euro pro capite sui 1.121 complessivi del sistema di welfare sono gestitidirettamentedaicittadini(69%dellerisorsecomplessive),mentre347euro(31%dellerisorse)sonomessi in gioco dai soggetti pubblici nel loro complesso (nella Figura 18, a seguire, sonoriportatiindettaglioicontributideisingoliattori/Enti).

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4.4. RISORSE DEL SISTEMAIn Emilia-Romagna le risorse del sistema di welfare ammontano a 1.121 euro pro capite come si può evincere dalla figura sottostante (Figura 17).

Figura 17 - Risorse pro capite del sistema di welfare Emiliano-Romagnolo

In particolare, 774 euro pro capite sui 1.121 complessivi del sistema di welfare sono gestiti diret-tamente dai cittadini (69% delle risorse complessive), mentre 347 euro (31% delle risorse) sono messi in gioco dai soggetti pubblici nel loro complesso (nella Figura 18, a seguire, sono riportati in dettaglio i contributi dei singoli attori/Enti).

Figura 18 - Le fonti del sistema di welfare

Le risorse gestite direttamente dagli attori pubblici si ripartiscono prevalentemente tra Regione e Comuni, mentre le risorse predominanti sono lasciate direttamente alla gestione dei cittadini (tra-sferimenti INPS a famiglie), senza possibilità di governo di tali risorse da parte degli attori pubblici.

Come già accennato, la maggior parte dei trasferimenti consiste in assegni di cura: nel 2012 le per-sone che hanno ricevuto un assegno di cura sono 16.090, di cui 14.527 anziani (90,3%) e 1.563 disabili (9,7%); dati in diminuzione (-18,2%) rispetto al 2011 (Figura 19).

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Figura 16 ‐ Indice di copertura posti (posti/popolazione 0‐2 per 100).Regione Emilia‐

Romagna.Anni2007‐2008/2011‐2012

4.4Risorsedelsistema

InEmilia‐Romagnalerisorsedelsistemadiwelfareammontanoa1.121europrocapitecomesipuòevinceredallafigurasottostante(Figura17).

Figura17‐RisorseprocapitedelsistemadiwelfareEmiliano‐Romagnolo

Fonte:RapportoOASI2013–CERGASBocconi.In particolare, 774 euro pro capite sui 1.121 complessivi del sistema di welfare sono gestitidirettamentedaicittadini(69%dellerisorsecomplessive),mentre347euro(31%dellerisorse)sonomessi in gioco dai soggetti pubblici nel loro complesso (nella Figura 18, a seguire, sonoriportatiindettaglioicontributideisingoliattori/Enti).

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Figura 16 ‐ Indice di copertura posti (posti/popolazione 0‐2 per 100).Regione Emilia‐

Romagna.Anni2007‐2008/2011‐2012

4.4Risorsedelsistema

InEmilia‐Romagnalerisorsedelsistemadiwelfareammontanoa1.121europrocapitecomesipuòevinceredallafigurasottostante(Figura17).

Figura17‐RisorseprocapitedelsistemadiwelfareEmiliano‐Romagnolo

Fonte:RapportoOASI2013–CERGASBocconi.In particolare, 774 euro pro capite sui 1.121 complessivi del sistema di welfare sono gestitidirettamentedaicittadini(69%dellerisorsecomplessive),mentre347euro(31%dellerisorse)sonomessi in gioco dai soggetti pubblici nel loro complesso (nella Figura 18, a seguire, sonoriportatiindettaglioicontributideisingoliattori/Enti).

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Figura18‐Lefontidelsistemadiwelfare

Tipologiadifonte Valoreassoluto Valore%

Regione €151 13,47%Comuni €179 15,97%Province €9 0,80%TrasferimentiINPSafamiglie €720 64,23%Compartecipazioneutenti €54 4,82%FondoNazionalePoliticheSociali €8 0,71%Totalecomplessivo €1.121 100%Fonte:RielaborazionedalRapportoOASI2013–CERGASBocconi.

LerisorsegestitedirettamentedagliattoripubblicisiripartisconoprevalentementetraRegioneeComuni, mentre le risorse predominanti sono lasciate direttamente alla gestione dei cittadini(trasferimenti INPSa famiglie), senzapossibilitàdigovernodi tali risorsedapartedegliattoripubblici.

Comegiàaccennato, lamaggiorpartedei trasferimenti consiste inassegnidi cura:nel2012 lepersone che hanno ricevuto un assegno di cura sono 16.090, di cui 14.527 anziani (90,3%) e1.563disabili(9,7%);datiindiminuzione(‐18,2%)rispettoal2011(Figura19).

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Figura19‐Personechehannousufruitodell’assegnodicura.Anni2002‐2012

Perquantoriguardapoigliimpieghiditalirisorse,dallatabellaseguentesipuònotarecomepiùdellametàdellerisorse(circail53%)èimpiegatoperiserviziaglianzianieil35%èimpiegatoperiserviziaidisabili.Questeduetipologiedibisognoquindicorrispondonoacircail90%degliimpieghi.Ciòsignificacheilsistemadiwelfaredell’Emilia‐Romagnasioccupaprincipalmentediquestecategoriementrelealtresonomarginali(Figura20).

Figura20‐Gliimpieghidelsistemadiwelfare

Tipologiadiimpiego Valoreassoluto Valorepercentuale

Famigliaeminori €107 9,50%Disabili €392 35%Dipendenze €2 0,20%Anziani €593 52,90%Immigrati €4 0,40%Disagioadulti €11 1%Multi‐utenza €12 1,10%Spesacomplessivaimpieghi €1.121 100%Fonte:RielaborazionedalRapportoOASI2013–CERGASBocconi.

Figura 19 - Persone che hanno usufruito dell’assegno di cura. Anni 2002-2012

Per quanto riguarda poi gli impieghi di tali risorse, dalla tabella seguente si può notare come più della metà delle risorse (circa il 53 %) è impiegato per i servizi agli anziani e il 35 % è impiegato per i servizi ai disabili. Queste due tipologie di bisogno quindi corrispondono a circa il 90 % degli impieghi. Ciò significa che il sistema di welfare dell’Emilia-Romagna si occupa principalmente di queste categorie mentre le altre sono marginali (Figura 20).

Figura 20 - Gli impieghi del sistema di welfare

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Figura19‐Personechehannousufruitodell’assegnodicura.Anni2002‐2012

Perquantoriguardapoigliimpieghiditalirisorse,dallatabellaseguentesipuònotarecomepiùdellametàdellerisorse(circail53%)èimpiegatoperiserviziaglianzianieil35%èimpiegatoperiserviziaidisabili.Questeduetipologiedibisognoquindicorrispondonoacircail90%degliimpieghi.Ciòsignificacheilsistemadiwelfaredell’Emilia‐Romagnasioccupaprincipalmentediquestecategoriementrelealtresonomarginali(Figura20).

Figura20‐Gliimpieghidelsistemadiwelfare

Tipologiadiimpiego Valoreassoluto Valorepercentuale

Famigliaeminori €107 9,50%Disabili €392 35%Dipendenze €2 0,20%Anziani €593 52,90%Immigrati €4 0,40%Disagioadulti €11 1%Multi‐utenza €12 1,10%Spesacomplessivaimpieghi €1.121 100%Fonte:RielaborazionedalRapportoOASI2013–CERGASBocconi.

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5. RACCOLTA DEI DATI PRIMARI TRAMITE QUESTIONARI

Alla luce delle osservazioni fatte nel paragrafo precedente, si è deciso di raccogliere alcuni dati pri-mari per verificare empiricamente lo stato del welfare della Regione Emilia-Romagna. Dopo aver presentato una sintesi di dati secondari, quindi già presenti e raccolti nella letteratura, è sembrato opportuno e utile raccogliere i dati primari che saranno descritti nel capitolo 6 e che verranno discussi alla luce della letteratura nel capitolo 7. Per la raccolta di dati primari si sono privilegiate tre aree: quella della non autosufficienza e in particolare della long term care, quella delle famiglie con figli e i servizi educativi dei quali usufruiscono e, infine, quella dei giovani. Queste sono infatti alcune delle aree critiche dalle quali si potrebbe iniziare a ripensare il sistema nella direzione del cambiamento. Come già sottolineato, le aspettative di vita si stanno allungando, il numero di an-ziani aumenta e il sistema non è in grado di rispondere efficacemente ai bisogni di questo target con i servizi tradizionali. Sta cambiando la struttura delle famiglie e sempre più emerge il bisogno di un aiuto esterno alla famiglia per permettere alle donne di lavorare e nello stesso tempo gestire i figli, perché nonostante ci sia stato un grande cambiamento culturale, la donna è ancora il care giver principale della famiglia. I giovani sono la parte della popolazione che più soffre gli effetti delle crisi economica: la maggior parte non trova una occupazione, molti sono scoraggiati e non cercano più lavoro e l’espansione del fenomeno dei NEET ne è una dimostrazione. La raccolta di dati primari, in questo senso, ci aiuta a capire quali siano le aspettative e le aspirazioni dei giovani, nell’ottica in cui il sistema potrebbe cercare di intervenire per occupare gli spazi di intervento finora non presidiati.

Sono state quindi costruite tre indagini, una per ogni area individuata, su campioni di popolazione residente nell’area vasta: un questionario per gli anziani non autosufficienti, uno per le famiglie con almeno un figlio di età massima di 10 anni e uno per i giovani tra i 18 e i 30 anni.

Il motivo per il quale sono stati presi in considerazione questi target è chiaramente intuibile dall’a-nalisi presentata nel capitolo 4.

Dai dati della letteratura è emerso che per questi target i tassi di copertura dei relativi bisogni sono molto bassi: meno di un cittadino su tre è coperto dai servizi pubblici e spesso la risposta al biso-gno è parziale o insufficiente (basti pensare, per esempio, che sono inclusi nei tassi di copertura anche gli anziani che usufruiscono di qualche ora alla settimana di assistenza domiciliare, servizio sicuramente non sufficiente per coprire il bisogno dell’anziano non autosufficiente). Per questo motivo si è ritenuto utile procedere con una raccolta di dati primari, finalizzata a testare la veridicità di questi dati statistici e soprattutto a comprendere quale sia la percezione rispetto all’offerta e alla qualità dei servizi pubblici da parte dei cittadini/utenti del territorio di riferimento.

Si è quindi deciso di creare dei questionari ad hoc da sottoporre ai target sopra citati:

■ le famiglie con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 10 anni, per capire come cercano di conciliare la vita familiare con le esigenze lavorative, quali siano le dinamiche familiari più diffu-se e di quali servizi pubblici usufruiscano attualmente;

■ gli anziani non autosufficienti ultra 75enni, per capire di quali servizi effettivamente usufruisca-no, il grado di copertura reale dei servizi e infine la soddisfazione rispetto ai servizi offerti dal sistema pubblico e i possibili margini di miglioramento;

■ i giovani in età compresa fra i 18 e i 30 anni, per capire quali siano le loro aspirazioni e la loro percezione dei servizi che il sistema attualmente offre.

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I questionari destinati a famiglie e anziani sono stati sviluppati sulla piattaforma Cergas Survey: gli intervistati sono stati invitati a compilare il questionario online grazie alla collaborazione delle Aziende USL (questionario anziani) e dei Comuni (questionario famiglie) dei territori di riferimento, tramite l’invio di comunicazione postale contenente l’invito alla compilazione per i cittadini facenti parte del campione oggetto di studio.

Il questionario per le famiglie è stato strutturato in tre parti: nella prima si sono chiesti i dati anagra-fici della coppia, nella seconda si è indagato circa la vita familiare e nella terza si è chiesto di quali servizi per le famiglie usufruissero i rispondenti.

Il questionario per gli anziani invece è stato strutturato in modo diverso in quanto si è tenuto in conto di due fattori importanti: in primo luogo si è pensato che in molti casi non fosse lo stesso anziano a compilare il questionario date le sue condizioni di non autosufficienza, in seconda istanza si era prevista la possibilità che l’anziano o i familiari non fossero in grado di utilizzare il computer o non avessero la connessione internet necessaria per compilare il questionario online. Per que-sto è stato fornito anche un contatto telefonico utilizzabile qualora non vi fosse la possibilità per i familiari dell’anziano o per chi se ne prende cura di poter accedere al questionario on line. Si vuole anticipare in questa sede che, dalle chiamate ricevute, è emerso un forte il bisogno di ascolto da parte delle persone che si prendono cura di anziani non autosufficienti: questo bisogno spesso non trova nessun riscontro nell’offerta dei servizi del sistema di welfare.

Il questionario si compone di quattro parti: le prime due riguardano la raccolta dei dati anagrafici dell’anziano e del suo care giver, segue poi una domanda generale che riguarda la condizione di non autosufficienza dell’anziano e infine si sono impostate delle domande specifiche sulle esigen-ze dell’anziano e sui servizi di cui usufruisce per far fronte alla non autosufficienza.

Per quanto riguarda i giovani si è invece deciso di diffondere il link per accedere al questionario attraverso i social network, in particolare con la creazione di una pagina ad hoc su Facebook. Nella pagina intitolata “Hai tra i 18 e 30 anni e abiti in Emilia-Romagna?” si è cercato di interagire con il target definito inserendo messaggi (post) coerenti con l’obiettivo per cui è nata la pagina, in modo da raggiungere il più alto gradimento (numero di “mi piace”) e quindi anche il maggior numero di adesioni al questionario pubblicizzato tramite apposito link.

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6. EVIDENZE EMERSE DAI QUESTIONARIIn questo paragrafo si descrivono le evidenze emerse dalle risposte che sono fornite date ai que-stionari. Si incomincia con i risultati del questionario rivolto alle famiglie (6.1) attraverso un focus sulla conciliazione della vita familiare con i tempi lavorativi, ci si concentra poi sul questionario costruito per gli anziani non autosufficienti (6.2) e si conclude con l’analizzare comportamenti/esperienze dei giovani nella fascia 18-30 anni (6.3). Si anticipa fin d’ora che le evidenze ricavate dai questionari sono sembrate molto interessanti e capaci di evidenziare quali siano i segmenti attualmente meno presidiati dal sistema di welfare, a fronte dei bisogni emergenti sul territorio.

6.1. GIOVANI COPPIE CON FIGLIIl primo questionario riguarda la gestione dei tempi familiari e la conciliazione tra la famiglia e il lavoro. Questa esigenza è particolarmente sentita in Emilia Romagna, dove il 69% delle donne è occupato e ha quindi necessità di conciliare il lavoro con la gestione della famiglia: nonostante la società stia cambiando, infatti, il ruolo assegnato alla donna prevede ancora maggiori responsabi-lità in ambito domestico, soprattutto nella cura dei figli.

A tal fine è stato inviato un questionario ad un campione, selezionato in modo casuale, di 2.000 famiglie con almeno un figlio di età compresa tra 0 e 10 anni. Il sondaggio si articola in tre parti: la prima comprende domande per raccogliere i dati anagrafici dei componenti della famiglia (quali età, titolo di studio, cittadinanza); la seconda pone agli intervistati domande più specifiche circa i servizi educativi di cui i figli usufruiscono; l’ultima cerca di indagare come si svolga la vita del nucleo, quali siano i comportamenti/le abitudini prevalenti per delineare il tessuto sociale familiare.

L’indagine condotta può essere considerata significativa in quanto il 15% del campione ha rispo-sto: più in dettaglio 294 famiglie su 2.000 hanno risposto all’indagine compilabile su internet, ossia il 14,7% delle persone a cui era stata inviata apposita comunicazione postale grazie alla collabo-razione dei Servizi demografici/Uffici anagrafe dei Comuni coinvolti. Questi i 9 Comuni coinvolti nell’indagine, così suddivisi per ambito territoriale e numerosità del campione:

■ ambito bolognese, 1.200 famiglie: Bologna (900 famiglie), Casalecchio di Reno (150 famiglie), San Giovanni in Persicelo (100 famiglie), Vergato (50 famiglie);

■ ambito imolese, 250 famiglie: Imola (200 famiglie), Castel San Pietro Terme (50 famiglie);

■ ambito ferrarese, 550 famiglie: Ferrara (400 famiglie), Cento (100 famiglie), Migliarino (50 fa-miglie).

I risultati emersi dall’indagine ci mostrano in primo luogo le caratteristiche della coppia di rispon-denti: la maggior parte degli intervistati sono italiani (solo il 5% del campione è di nazionalità stra-niera) e il 65 % vive nel Comune maggiore di ciascun ambito territoriale (Bologna, Ferrara e Imola rispettivamente per il 37%, il 18% e il 10%).

Un dato importante da sottolineare è sicuramente l’età dei rispondenti, che conferma la tendenza a formare le famiglie quando si è ormai adulti. Infatti il 42% del campione ha un’età compresa tra i 30 e 40 anni, mentre il 39 % si colloca nella fascia tra 40 e 50 anni. Un campione non troppo giovane quindi, dato che si tratta di famiglie con figli di età massima di 10 anni. Questo dato im-portante riflette anche il fenomeno dello spostamento dell’età di concepimento dei figli: solo il 5 % del campione infatti ha un’età compresa tra 20 e 30 anni (Figura 21).

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Figura 21 - L’età del genitore che ha compilato il questionario

La maggior parte di coloro che hanno risposto al questionario dichiarano di essere sposati (61%) mentre il 17% dichiara di convivere con il rispettivo partner. Il 78% del campione è quindi compo-sto da famiglie “tradizionali” anche se non formalmente registrate. Il 6% degli intervistati dichiara di essere separato anche se non formalmente e il 4 % ha dichiarato di essere single.

Inoltre, è utile guardare alla risposta che è stata data alla domanda: “da quanto siete una coppia?”: il 76% ha risposto di esserlo da più di 2 anni. Questo dato conferma che si tratta di famiglie ormai consolidate ma che per il 63% hanno solo un figlio. Il 94 % del campione è infatti composto da famiglie con al massimo 2 figli.

Per quanto riguarda poi la situazione economica della coppia, è possibile notare come il campione sia composto nella maggior parte da famiglie di ceto medio-alto: infatti il 43% del campione è laureato e il reddito mediano lordo dichiarato nel questionario risulta essere tra i 50 e gli 80 mila euro lordi annui (Figura 22).

Figura 22 - Istruzione e reddito della coppia intervistata

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Figura21‐L’etàdelgenitorechehacompilatoilquestionario

Lamaggiorpartedicolorochehannorispostoalquestionariodichiaranodiesseresposati(61%)mentre il 17% dichiara di convivere con il rispettivo partner. Il 78% del campione è quindicompostodafamiglie“tradizionali”anchesenonformalmenteregistrate.Il6%degliintervistatidichiaradiessereseparatoanchesenonformalmenteeil4%hadichiaratodiesseresingle.

Inoltre, è utile guardare alla risposta che è stata data alla domanda: “da quanto siete unacoppia?”: il 76%ha rispostodi esserlo dapiùdi 2 anni.Questodato conferma che si tratta difamiglieormaiconsolidatemacheperil63%hannosolounfiglio.Il94%delcampioneèinfatticompostodafamiglieconalmassimo2figli.

Per quanto riguarda poi la situazione economica della coppia, è possibile notare come ilcampione sia composto nella maggior parte da famiglie di ceto medio‐alto: infatti il 43% delcampioneèlaureatoeilredditomedianolordodichiaratonelquestionariorisultaesseretrai50egli80milaeurolordiannui(Figura22).

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Figura22‐Istruzioneeredditodellacoppiaintervistata

Lasecondapartedelquestionarioèstatadedicataaiservizieducatividicuiusufruisconoi figlidelle famiglie intervistate. Possiamo vedere come il campione si divida quasi a metà: il 54%dichiaracheiproprifiglifrequentanoiservizieducativi0‐5,annimentreil44%dichiaradinonusufruirne.Scendendopiùneldettaglio,ilcampioneèstatodivisotralefamiglieconunsolofiglioelefamiglieconpiùfigli(Figura23).

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Famiglie con figli 0-10 anni"

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Famiglie con figli 0-10 anni"

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La seconda parte del questionario è stata dedicata ai servizi educativi di cui usufruiscono i figli del-le famiglie intervistate. Possiamo vedere come il campione si divida quasi a metà: il 54% dichiara che i propri figli frequentano i servizi educativi 0-5, anni mentre il 44 % dichiara di non usufruirne. Scendendo più nel dettaglio, il campione è stato diviso tra le famiglie con un solo figlio e le fami-glie con più figli (Figura 23).

Figura 23 - La frequenza dei servizi educativi

Come si può vedere dai grafici sopra riportati, per entrambi i sotto-campioni, i bambini frequenta-no sia la scuola d’infanzia sia la scuola elementare. C’è invece una differenza rispetto all’uso degli asili nido: la famiglie con un figlio al primo anno di vita, nella maggior parte dei casi (68%), non mandano il proprio figlio all’asilo nido, mentre la tendenza è inversa per la famiglie con più di un figlio. Questo può essere spiegato dal fatto che sia più facile gestire in casa un solo figlio, mentre diventa più difficile qualora i figli siano due o più. Da notare però come, per quanto riguarda il totale delle famiglie con più figli, sia maggiore il numero delle famiglie che non usufruisce del servizio nido rispetto al totale delle famiglie con una solo figlio. Possiamo trovare una spiegazione a questo comportamento se si considera che le rette degli asili nido in genere sono cospicue: chi ha più figli cerca quindi un modo alternativo, meno dispendioso, per conciliare la vita con il lavoro.

A seguire questa domanda è stato chiesto a coloro che non usufruiscono dei servizi educativi come si siano organizzati per gestire i figli in modo alternativo. Sia nelle fasce quotidiane sia nelle fasce serali dei giorni feriali i figli vengono gestiti dagli stessi genitori e i nonni hanno un ruolo di care giver molto importante perché spesso sono loro ad accudire i nipoti quando i genitori lavo-rano o sono impegnati. Ma anche durante le vacanze estive il ruolo dei nonni risulta importante: come si può vedere dal grafico sotto riportato, la maggior parte dei bambini trascorre le vacanze estive in parte con i genitori e in parte con i nonni, i quali svolgono anche un’importante funzione di back-up. Infatti, quando i bambini si ammalano, se i genitori devono lavorare e non sanno come accudire i figli, fanno affidamento sui nonni poiché anche se i bambini frequentano il nido il servizio non copre i periodi di malattia (Figura 24).

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Figura23‐Lafrequenzadeiservizieducativi

Come si può vedere dai grafici sopra riportati, per entrambi i sotto‐campioni, i bambinifrequentanosia la scuolad’infanzia sia la scuolaelementare.C’è inveceunadifferenzarispettoall’usodegliasilinido:lafamiglieconunfiglioalprimoannodivita,nellamaggiorpartedeicasi(68%),nonmandanoilpropriofiglioall’asilonido,mentrelatendenzaèinversaperlafamiglieconpiùdiunfiglio.Questopuòesserespiegatodalfattochesiapiùfacilegestireincasaunsolofiglio,mentrediventapiùdifficilequaloraifiglisianodueopiù.Danotareperòcome,perquantoriguarda il totale delle famiglie con più figli, sia maggiore il numero delle famiglie che nonusufruiscedelservizionidorispettoaltotaledellefamiglieconunasolofiglio.Possiamotrovareunaspiegazioneaquesto comportamentosesi considerache le rettedegliasilinido ingeneresonocospicue:chihapiùfiglicercaquindiunmodoalternativo,menodispendioso,perconciliarelavitaconillavoro.

A seguire questa domanda è stato chiesto a coloro che non usufruiscono dei servizi educativicomesisianoorganizzatipergestireifigliinmodoalternativo.Sianellefascequotidianesianellefasceseralideigiorniferialiifiglivengonogestitidaglistessigenitorieinonnihannounruolodicare giver molto importante perché spesso sono loro ad accudire i nipoti quando i genitori

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Famiglie con figli 0-10 anni"

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Figura 24 - Dove e con chi i bambini trascorrono le vacanze estive

Si è poi interrogato il campione su quale sia il motivo per il quale i propri figli non frequentino i servizi educativi e la maggior parte dei rispondenti ha dichiarato che si preferisce trovare metodi alternativi ai servizi educativi ed affidare i figli ad altre persone come per esempio la baby-sitter o un familiare, i nonni nella maggior parte dei casi. Bisogna però sottolineare che alcuni (il 12%) dichiarano di non usufruirne per gli alti costi e per la scarsa flessibilità degli orari dei servizi. Dall’in-dagine emerge poi che solo il 10% degli intervistati fruisce di una baby-sitter: il comportamento di consumo è indipendente dal reddito familiare per un utilizzo del servizio come soluzione tam-pone nel caso di orari lasciati scoperti dai servizi scolastici (fino a 300 euro al mese, ossia 8 ore la settimana, tipicamente la fascia feriale ore 16.00-18.00). Le famiglie benestanti utilizzano invece la baby-sitter più estensivamente (fino a 25 ore la settimana), spendendo tra 600 e 800 euro al mese. È stato poi chiesto agli intervistati quali attività ricreative i figli svolgano e le risposte sono state sintetizzate nel seguente grafico (Figura 25).

Figura 25 - Le attività ricreative

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comportamento di consumo è indipendente dal reddito familiare per un utilizzo del serviziocomesoluzionetamponenelcasodiorarilasciatiscopertidaiserviziscolastici(finoa300euroalmese, ossia 8 ore la settimana, tipicamente la fascia feriale ore 16.00‐18.00). Le famigliebenestanti utilizzano invece la baby‐sitter più estensivamente (fino a 25 ore la settimana),spendendotra600e800euroalmese.

Èstatopoichiestoagliintervistatiqualiattivitàricreativeifiglisvolganoelerispostesonostatesintetizzatenelseguentegrafico(Figura25).

Figura25‐Leattivitàricreative

Come si può notare, nellamaggior parte dei casi i bambini svolgono attività sportive, circa lametàdelcampione,mentrelealtreattivitàpresentanopercentualiabbastanzabasse.Inoltre,perquanto riguarda le risorse che le famiglie dedicano alle attività ricreative dei figli, la spesamedianaperfiglioperattivitàricreativeèdicirca600euroannui,anchesepiùdiunterzodellefamigliespendepiùdi1.000euroannui.Questoevidenziachelefamigliesonodisposteapagareperusufruirediservizi,mapreferisconocomunquespenderenelmercatoprivatopiuttostocheacquistareservizipubblici,inquantotaliritenutiscandenti.Èinfattidiffusalaconvinzionechei

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lavorano o sono impegnati. Ma anche durante le vacanze estive il ruolo dei nonni risultaimportante: come si può vedere dal grafico sotto riportato, la maggior parte dei bambinitrascorre levacanzeestiveinparteconigenitorie inparteconinonni, iqualisvolgonoancheun’importante funzionediback‐up. Infatti,quando ibambinisiammalano,se igenitoridevonolavorareenonsannocomeaccudireifigli,fannoaffidamentosuinonnipoichéancheseibambinifrequentanoilnidoilserviziononcopreiperiodidimalattia(Figura24).

Figura24‐Doveeconchiibambinitrascorronolevacanzeestive

Sièpoiinterrogatoilcampionesuqualesiailmotivoperilqualeiproprifiglinonfrequentinoiservizieducativielamaggiorpartedeirispondentihadichiaratochesipreferiscetrovaremetodialternativiaiservizieducativiedaffidareifigliadaltrepersonecomeperesempiolababy‐sitterounfamiliare,inonninellamaggiorpartedeicasi.Bisognaperòsottolinearechealcuni(il12%)dichiaranodi nonusufruirneper gli alti costi e per la scarsa flessibilità degli orari dei servizi.Dall’indagine emerge poi che solo il 10% degli intervistati fruisce di una baby‐sitter: il

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Famiglie con figli 0-10 anni"

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Famiglie con figli 0-10 anni"

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Come si può notare, nella maggior parte dei casi i bambini svolgono attività sportive, circa la metà del campione, mentre le altre attività presentano percentuali abbastanza basse. Inoltre, per quanto riguarda le risorse che le famiglie dedicano alle attività ricreative dei figli, la spesa mediana per figlio per attività ricreative è di circa 600 euro annui, anche se più di un terzo delle famiglie spende più di 1.000 euro annui. Questo evidenzia che le famiglie sono disposte a pagare per usufruire di servizi, ma preferiscono comunque spendere nel mercato privato piuttosto che acquistare servizi pubblici, in quanto tali ritenuti scandenti. È infatti diffusa la convinzione che i servizi pubblici siano progettati per accogliere gli utenti che non sono in grado di pagare per i servizi offerti dal privato e proprio per questo si crede che la qualità del servizio non sia adeguata per i propri figli. Per questo motivo molte famiglie decidono di pagare per usufruire di servizi educativi offerti dal privato, la cui qualità è percepita più elevata rispetto a quella del servizio pubblico.

Un dato di particolare interesse emerso dal questionario riguarda la maggioranza delle coppie rispondenti: non escono senza figli e coloro che lo fanno, al massimo escono da soli una volta al mese. Questa statistica è indicativa del fatto che le coppie non coltivano la propria relazione fuori dalla vita genitoriale e questo può contribuire a spiegare l’alto tasso di separazione che interessa soprattutto le grandi città. Il dato medio dell’Emilia-Romagna nel 2011 (rilevazione ISTAT, Rapporto sulla coesione sociale 2013) indica come ogni 1.000 matrimoni ci siano 528 separazioni. (più del 50% dei casi, quindi). Inoltre, un problema che non permette alla coppia di uscire per qualche ora dal ruolo genitoriale è che spesso non si ha nessuno cui affidare i figli per uscire da soli. Per questo, come ha evidenziato il questionario, escono solo le coppie che possono contare sui nonni come care giver, fruendo così di una funzione di backup molto importante. Non esistono infatti servizi ad hoc per rispondere a questo bisogno: solo le baby-sitter possono colmare questo vuoto. Questo spazio però potrebbe essere occupato dall’attore pubblico, a patto che si decidesse di puntare sull’offerta di servizi di backup a pagamento per le coppie che volessero uscire da sole senza figli: si potrebbero estendere gli orari degli asili nido e renderli più flessibili creando, per esempio, dei piani ad hoc per ciascuna famiglia, modellati in base alle rispettive esigenze.

L’indagine mette inoltre in evidenza l’isolamento delle famiglie: vivono da sole, senza avere alcuna relazione con altre famiglie con cui potrebbero condividere il tempo e creare un network di soste-gno in caso di bisogno. In media ogni famiglia trascorre tra 1 e 3 ore alla settimana con altre fa-miglie: ore che coincidono con il momento dell’attività sportiva o ricreativa dei figli, senza ulteriori occasioni di condivisione del tempo libero. L’isolamento è poi confermato anche dal fatto che le famiglie vanno in vacanza da sole. Questo fenomeno è sempre più diffuso e porta alla disgrega-zione di un potenziale capitale sociale che potrebbe invece giovare alla società intera. In questo senso il settore pubblico potrebbe giocare un ruolo importante di facilitatore nella creazione di un network che favorisca una connessione tra nuclei famigliari capace di rispondere al bisogno emergente di conciliazione tra vita e lavoro. L’ultima domanda del questionario chiede alla famiglie di esprimere un desiderio su quali nuovi servizi possano favorire la conciliazione dei tempi e delle esigenze della famiglia, della casa e del lavoro. Le famiglie ritengono che una maggiore flessibilità negli orari lavorativi e la possibilità di potersi spostare fra abitazione e luogo di lavoro in modo più veloce possano facilitare la conciliazione, proprio perché l’organizzazione ottimale del proprio tem-po resta il fattore più significativo.

6.2. ANZIANI NON AUTOSUFFICIENTIIl questionario per gli anziani non autosufficienti ha ricevuto meno adesioni rispetto al questionario per le famiglie e questo può essere spiegato dal metodo di diffusione dell’indagine. Il questionario era infatti accessibile solo online e sono stati pochi coloro che hanno contattato telefonicamente il numero di riferimento per l’assistenza, tramite il quale si poteva compilare il questionario sotto forma di intervista grazie ad un operatore dedicato. Dalle chiamate è emerso infatti che non tutti

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gli anziani selezionati avevano la possibilità di connettersi alla rete Internet poiché residenti in pic-coli paesi non ancora dotati della connessione ad alta velocità. Altri invece, data l’età avanzata, non erano in grado di utlizzare gli strumenti informatici necessari per la compilazione.

L’invito alla compilazione del questionario online è stata inviata ad un campione di 2.000 anziani e sono state raccolte 204 risposte in totale, alcune delle quali largamente incomplete. Per questo, dopo un’analisi preliminare del dataset, si è scelto di utilizzare solo le 154 risposte più complete, al fine di rendere più significativa l’analisi dei dati.

E’ utile ricordare che per favorire la compilazione del questionario era stata inviata apposita comu-nicazione postale da parte delle tre Aziende USL di area vasta (Bologna, Imola, Ferrara), ciascuna delle quali aveva selezionato in modo casuale un campione di cittadini residenti ultra 75enni iscritti all’Anagrafe Sanitaria. Il campione, composto proporzionalmente alla popolazione ultra 75enne residente dagli anziani di ciascun Comune compreso nei rispettivi territori aziendali, è risultato così numericamente composto:

■ Azienda USL di Bologna: 1.200 anziani;

■ Azienda USL di Imola: 250 anziani;

■ Azienda USL di Ferrara: 550 anziani.

Nella prima parte del questionario sono stati raccolti i dati anagrafici degli anziani. Nei grafici se-guenti sono riassunte le statistiche riguardanti genere ed età dei rispondenti (Figura 26).

Figura 26 - Dati anagrafici degli anziani intervistati

Come si può evincere dai grafici sopra riportati, la maggior parte dei rispondenti sono donne (72%) e hanno più di 85 anni (41%). Il 70% dei rispondenti ha più di 85 anni: si tratta quindi di un campione di età abbastanza avanzata che conferma il trend di invecchiamento della popolazione nell’area vasta e l’aumento del numero di anziani presenti sul territorio.

L’anziano vive nella sua casa con il coniuge, senza figli (20%) o con l'assistente familiare (20%), oppure vive con i figli senza coniuge (19%). Un altro 19 % vive fuori dalle mura domestiche nelle strutture residenziali (case di riposo, Case Residenza Anziani - CRA, strutture per Alzheimer, centri per anziani, case famiglia, etc…). La maggior parte degli anziani coinvolti nell’indagine possiede la licenza elementare (il 72%) mentre solo il 7 % possiede una laurea. Quasi tutto il campione ha dei figli, più precisamente l’89% dichiara di avere almeno un figlio, mentre il 65% dichiara di essere ormai vedovo (il 26% dice di essere sposato).

La maggior parte dei rispondenti risulta residente nel territorio del Comune di Bologna (39%) o in altri Comuni della Provincia di Bologna (34%), mentre il 15 % è residente nel Comune di Imola e il 12 % nei Comuni della Provincia di Ferrara (di cui 7% nel capoluogo). Il 53 % dei rispondenti, più della metà quindi, vive in casa di proprietà e solo il 10 % in affitto; gli altri sono invece ospiti in strutture come case di riposo o Case Residenza Anziani - CRA.

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ciascunadellequaliavevaselezionato inmodocasualeuncampionedi cittadini residentiultra75enniiscrittiall’AnagrafeSanitaria.Ilcampione,compostoproporzionalmenteallapopolazioneultra75enneresidentedaglianzianidiciascunComunecompresoneirispettiviterritoriaziendali,èrisultatocosìnumericamentecomposto:

− AziendaUSLdiBologna:1.200anziani;

− AziendaUSLdiImola:250anziani;

− AziendaUSLdiFerrara:550anziani.

Nellaprimapartedel questionario sono stati raccolti i dati anagrafici degli anziani.Nei graficiseguentisonoriassuntelestatisticheriguardantigenereedetàdeirispondenti(Figura26).

Figura26‐Datianagraficideglianzianiintervistati

Come si può evincere dai grafici sopra riportati, lamaggior parte dei rispondenti sono donne(72%)ehannopiùdi85anni(41%).Il70%deirispondentihapiùdi85anni:sitrattaquindidiun campione di età abbastanza avanzata che conferma il trend di invecchiamento dellapopolazionenell’areavastael’aumentodelnumerodianzianipresentisulterritorio.

L’anzianovivenella sua casa con il coniuge, senza figli (20%)o con labadante (20%), oppurevive con i figli senza coniuge (19%). Un altro 19 % vive fuori dalle mura domestiche nelle

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Anziani ultra-75enni"

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Sono stati poi raccolti i dati anagrafici di chi ha compilato il questionario, facendo quindi le veci dell’anziano: il 74% di coloro che hanno compilato il questionario sono i figli dell’anziano non au-tosufficiente; per la maggior parte sono donne (64%) che hanno prevalentemente un’età media di 60 anni. Il 72% dichiara di essere sposato e il 15% di essere nubile o celibe. Inoltre, il 46% del campione possiede la licenza media superiore e il 30% possiede anche una laurea.

Il 69% di coloro che hanno risposto non convive con l’anziano: solo il 31% dichiara di convivere con l’anziano non autosufficiente.

La maggior parte, il 52%, dichiara di essere un lavoratore dipendente, il 23% dichiara di essere in cerca di occupazione o inattivo, il 15 % dichiara di essere casalinga/o e solo il 10 % svolge un lavoro autonomo. Il dato del 23% di disoccupati potrebbe essere distorto: qualcuno già in pensio-ne potrebbe aver optato per questa risposta, considerata l’età media dei rispondenti. Questo è confermato dalla domanda di controllo in cui è stata chiesta la professione e dalla quale risulta che la maggior parte dei rispondenti sono o pensionati o impiegati (non disoccupati).

Alla domanda generale sulle condizioni dell’anziano, il 60 % del campione ha dichiarato che l’an-ziano si trova in totale non autonomia, mentre il 25% si trova in parziale non autosufficienza e il 15 % risulta ancora autonomo.

Si è quindi voluto indagare chi si prende cura dell’anziano nei giorni feriali e nelle diverse fasi della giornata. La mattina dei giorni feriali l’anziano è accudito nella maggior parte dei casi dall'assisten-te familiare (sempre di nazionalità straniera: rumena, ucraina e moldava quelle più numerose) ed in misura minore dai figli o da altri familiari conviventi. Anche nel pomeriggio e durante la situazione non cambia: nella maggior parte dei casi è la stessa persona che si occupa dell’anziano durante la mattina ad accudirlo anche nel pomeriggio e durante la notte, con una leggera prevalenza del care giver familiare relativamente alla fascia notturna. Per quanto riguarda il fine settimana prevale il care giving familiare: l’anziano è nella maggior parte dei casi assistito dai figli non conviventi e sono molto meno numerosi i casi di coloro che sono affidati ad un'assistente familiare durante il weekend.

Dall’indagine emerge anche che più di una persona partecipa contemporaneamente alla cura dell’anziano: il 70 % degli intervistati dichiara che due o tre persone si occupano dell’anziano non autosufficiente (queste persone sono in genere l'assistente familiare e i figli). C’è quindi spesso un care giver esterno, l'assistente familiare, che viene aiutato dai familiari, in genere i figli dell’anziano non autosufficiente.

Il questionario prevedeva inoltre una sezione dedicata al tema dell'assistente familiare che, come evidenziato dai dati riportati nel capitolo 4, sono numerose (solo 23 mila nella Provincia di Bolo-gna, dove si stima che ci sia un'assistente familiare ogni 2 anziani): nella maggior parte dei casi i rispondenti hanno dichiarato di usufruire del servizio di assistenza di un'assistente familiare a tempo parziale o a tempo pieno. Sono invece molto poche le famiglie che fruiscono di più di un'as-sistente familiare per la cura dello stesso anziano. Nel 65% dei casi l'assistente familiare convive con l’anziano non autosufficiente mentre nel restante 35% si prende cura dell’anziano ma non vive insieme a lei/lui.

Il dato relativo al numero di ore che l'assistente familiare passa quotidianamente con l’anziano conferma il dato delle domande precedenti: il 50 % dei rispondenti dichiara infatti di usufruire del servizio dalle 4 alle 8 ore giornaliere. A conclusione di questo focus sulle assistenti familiari si è sondata la disponibilità dei rispondenti di usufruire di un servizio di “care giving” condiviso, quale per esempio una badante di condominio (Figura 27).

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Figura 27 - Disponibilità a condividere un'assistente familiare

Il 76 % ha risposto negativamente, probabilmente in ragione delle condizioni di salute degli anziani che richiedono la presenza costante di una persona per assisterli. Tra coloro che invece hanno dato una risposta positiva, le motivazioni che li spingerebbero a condividere l'assistente familiare con altre famiglie sono risultate equamente divise tra le opzioni che il questionario proponeva: un terzo per condividere le spese, un terzo perché l’anziano abbia maggiori occasioni di incontro e socialità, un terzo per creare sostegno e mutuo aiuto tra famiglie che si trovano in situazioni simili.

Si è poi passati ad indagare i servizi di cui gli anziani usufruiscono, in particolare è stato chiesto se usufruiscono di servizi di assistenza domiciliare sociale, assistenza domiciliare sanitaria, assegno di cura, tele-assistenza, telesoccorso. Il 43% ha dichiarato di usufruire di servizi di assistenza do-miciliare sanitaria, come per esempio i servizi infermieristici a domicilio, il 20% riceve un assegno di cura, mentre il 22 % dichiara di non usufruire di nessuno dei servizi elencati nel questionario (Figura 28).

Figura 28 - I servizi di cui usufruiscono gli anziani intervistati

Alla domanda se si è mai pensato di ricoverare l’anziano in una strutture residenziale in ragione della sua non-autonomia il 75% ha risposto negativamente. Il principale motivo è che per scelta affettiva della famiglia (58% dei casi) si preferisce curare il proprio caro non autosufficiente in un ambiente familiare. Anche per quanto riguarda i cosiddetti ricoveri di sollievo (ricovero dell’anziano in struttura residenziale durante i periodi di ferie del care giver principale) le risposte sono in linea con la precedente domanda: due terzi degli intervistati dice di non avere mai pensato di inserire l’anziano in un centro o per scelta affettiva (un terzo) o perché non hanno proprio mai preso in con-siderazione l’idea (un terzo). Una domanda cruciale che conferma i dati statistici della letteratura è quella sull’indennità di accompagnamento. Il 97% degli intervistati ha infatti dichiarato di ricevere l’indennità di accompagnamento da parte dell’INPS.

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Ildatorelativoalnumerodiorechelabadantepassaquotidianamenteconl’anzianoconfermaildatodelledomandeprecedenti: il50%deirispondentidichiarainfattidiusufruiredelserviziodalle 4 alle 8 ore giornaliere. A conclusione di questo focus sulle badanti si è sondata ladisponibilità dei rispondenti di usufruire di un servizio di “badantaggio” condiviso, quale peresempiounabadantedicondominio(Figura27).

Figura27‐Disponibilitàacondividereunabadante

Il 76 % ha risposto negativamente, probabilmente in ragione delle condizioni di salute deglianzianicherichiedonolapresenzacostantediunapersonaperassisterli.Tracolorocheinvecehannodatounarispostapositiva, lemotivazioni che li spingerebberoacondividere labadanteconaltrefamigliesonorisultateequamentedivisetra leopzionicheilquestionarioproponeva:unterzopercondividerelespese,unterzoperchél’anzianoabbiamaggiorioccasionidiincontroe socialità,un terzopercrearesostegnoemutuoaiuto tra famigliechesi trovano insituazionisimili.

Sièpoipassatiadindagareiservizidicuiglianzianiusufruiscono,inparticolareèstatochiestose usufruiscono di servizi di assistenza domiciliare sociale, assistenza domiciliare sanitaria,assegno di cura, tele‐assistenza, telesoccorso. Il 43% ha dichiarato di usufruire di servizi di

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assistenza domiciliare sanitaria, come per esempio i servizi infermieristici a domicilio, il 20%riceveunassegnodicura,mentreil22%dichiaradinonusufruiredinessunodeiservizielencatinelquestionario(Figura28).

Figura28‐Iservizidicuiusufruisconoglianzianiintervistati

Alladomandasesièmaipensatodiricoverarel’anzianoinunastruttureresidenzialeinragionedellasuanon‐autonomiail75%harispostonegativamente.Ilprincipalemotivoèchepersceltaaffettivadellafamiglia(58%deicasi)sipreferiscecurareilpropriocarononautosufficienteinunambiente familiare. Anche per quanto riguarda i cosiddetti ricoveri di sollievo (ricoverodell’anziano in struttura residenziale durante i periodi di ferie del care giver principale) lerispostesonoin lineacon laprecedentedomanda:dueterzidegli intervistatidicedinonaveremaipensatodiinserirel’anzianoinuncentroopersceltaaffettiva(unterzo)operchénonhannopropriomaipresoinconsiderazionel’idea(unterzo).

Una domanda cruciale che conferma i dati statistici della letteratura è quella sull’indennità diaccompagnamento. Il 97% degli intervistati ha infatti dichiarato di ricevere l’indennità diaccompagnamentodapartedell’INPS.Comeprecedentementeaccennato ilproblemaèche tale

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Anziani ultra-75enni"

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Anziani ultra-75enni"

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Come precedentemente accennato il problema è che tale contributo da solo non è sufficiente a coprire le spese per l’anziano non autosufficiente: il 50% dichiara che è necessaria un’integrazio-ne sia con il contribuito di risorse provenienti dall’anziano (la sua pensione), sia con il contribuito di risorse aggiuntive da parte dei familiari. Solo il 9% dichiara che l’ammontare dell’indennità è sufficiente a coprire le intere spese. Si è poi chiesto da parte di quale Ente provenisse il sostegno economico per le spese dell’anziano non autosufficiente: il 49 % sostiene di non ricevere nessun contributo né dall’INPS né dal Comune di residenza, mentre il 44 % dichiara di ricevere un contri-buto da parte dell’ente previdenziale.

Il 58% dei rispondenti all’indagine ha poi dichiarato di essersi rivolto allo sportello sociale del Co-mune di residenza, ma non vi sono risposte complete circa la risposta che questo servizio ha dato al bisogno espresso dall’utente.

È stato anche chiesto agli intervistati quale sia la loro opinione sui servizi offerti dagli enti pubblici per rispondere ai bisogni legati alla non autosufficienza: il 70% ha risposto che i servizi sono in-sufficienti e il 14 % ha dichiarato che tali servizi sono parzialmente insufficienti. Prevale quindi una generale insoddisfazione per i servizi offerti dal sistema del welfare pubblico rispetto alle proble-matiche legate alla non autosufficienza.

La principale criticità sottolineata dagli intervistati è stata identificata in un sostegno economico insufficiente, come si può vedere dal grafico sottostante (Figura 29). Le altre criticità evidenzia-te riguardano soprattutto l’auspicabile allargamento degli orari di fruizione dei servizi offerti che spesso sono troppo limitati e rigidi e la carenza di informazione riservata spesso agli utenti. Anche a causa della frammentazione dei servizi generalmente gli utenti non sono a conoscenza di tutti i possibili servizi dei quali potrebbero usufruire, magari contemporaneamente e in forma integrata.

Figura 29 - Le principali criticità dell’attuale configurazione di servizi per gli anziani non autosufficienti

A conclusione del questionario è stata data ai rispondenti l’opportunità di suggerire apertamente che cosa potrebbe essere fatto per migliorare la rete dei servizi esistenti. Maggiori risorse eco-nomiche, servizi e sostegno alle famiglie (insieme ad una maggiore professionalità e motivazione degli operatori) sono state le principali richieste espresse, come si può vedere dal grafico seguen-te (Figura 30).

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Figura29‐Leprincipalicriticitàdell’attualeconfigurazionediserviziperglianzianinon

autosufficienti

Aconclusionedelquestionarioèstatadataairispondentil’opportunitàdisuggerireapertamenteche cosa potrebbe essere fatto per migliorare la rete dei servizi esistenti. Maggiori risorseeconomiche, servizi e sostegno alle famiglie (insieme ad una maggiore professionalità emotivazionedeglioperatori)sonostate leprincipali richiesteespresse, comesipuòvederedalgraficoseguente(Figura30).

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Anziani ultra-75enni"

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Figura 30 - Cosa può essere fatto per migliorare l’attuale sistema?

Tutti questi aspetti, e il manifestarsi dei bisogni ad essi corrispondenti, evidenziano i gap che l’at-tuale sistema di welfare dovrebbe cercare di colmare e della cui esistenza dovrebbe ormai essere abbastanza cosciente per iniziare ad agire in tale direzione.

6.3. GIOVANI 18-30 ANNIIl questionario sui giovani ha avuto un’ampia adesione: è stato infatti compilato online sulla piatta-forma Cergas Survey da 395 ragazzi. In generale si può anticipare che i dati raccolti mostrano per-sone con poche aspirazioni soprattutto sul piano lavorativo, ma che coltivano le relazioni con i loro coetanei: sembra che si accontentino della situazione in cui si trovano e che accettino il perdurante momento di crisi economica. La maggior parte dei rispondenti sono donne (74%) e l’83% ha un’età compresa tra i 21 e 30 anni. Si dividono tra coloro che possiedono il diploma di scuola media supe-riore e coloro che sono laureati, tutti giovani con un livello istruzione medio-alto, quindi. I giovani che hanno risposto al questionario non hanno figli e sono nella maggior parte non coniugati. Un dato interessante riguarda la loro occupazione: attualmente circa il 30% ha terminato gli studi, non ha un’occupazione ma sta cercando lavoro. Come si può evincere dal grafico che segue (Figura 31), la risposta che prevale è appunto la prima, anche se non bisogna trascurare il dato relativo a chi frequenta l’università: prendendo in considerazione sia coloro che lavorano sia coloro che non la-vorano durante il percorso universitario, si arriva a circa il 33% degli intervistati.

Figura 31 - Situazione attuale dei giovani intervistati

Rispetto a coloro che hanno un’occupazione, il 32% ha un contratto a tempo indeterminato men-tre gli altri hanno un contratto a tempo determinato, o sono impiegati in stage, o hanno contratti di collaborazione a progetto (cosiddetti co.co.pro.).

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Figura30‐Cosapuòesserefattopermigliorarel’attualesistema?

Tutti questi aspetti, e ilmanifestarsi dei bisogni ad essi corrispondenti, evidenziano i gap chel’attuale sistema diwelfare dovrebbe cercare di colmare e della cui esistenza dovrebbe ormaiessereabbastanzacoscienteperiniziareadagireintaledirezione.

6.3Giovani18‐30anni

Il questionario sui giovani ha avuto un’ampia adesione: è stato infatti compilato online sullapiattaforma Cergas Survey da 395 ragazzi. In generale si può anticipare che i dati raccoltimostrano persone con poche aspirazioni soprattutto sul piano lavorativo,ma che coltivano lerelazioniconilorocoetanei:sembrachesiaccontentinodellasituazioneincuisitrovanoecheaccettinoilperdurantemomentodicrisieconomica.

Lamaggiorpartedei rispondenti sonodonne (74%)e l’83%haun’età compresa tra i 21e30anni. Si dividono tra coloro che possiedono il diploma di scuolamedia superiore e coloro chesono laureati, tutti giovani con un livello istruzione medio‐alto, quindi. I giovani che hannorispostoalquestionariononhannofigliesononellamaggiorpartenonconiugati.

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Un dato interessante riguarda la loro occupazione: attualmente circa il 30% ha terminato glistudi,nonhaun’occupazionemastacercandolavoro.Comesipuòevinceredalgraficochesegue(Figura31), larispostacheprevaleèappuntolaprima,anchesenonbisognatrascurareildatorelativo a chi frequenta l’università: prendendo in considerazione sia coloro che lavorano siacoloro che non lavorano durante il percorso universitario, si arriva a circa il 33% degliintervistati.

Figura31‐Situazioneattualedeigiovaniintervistati

Rispetto a coloro che hanno un’occupazione, il 32% ha un contratto a tempo indeterminatomentre gli altri hanno un contratto a tempo determinato, o sono impiegati in stage, o hannocontrattidicollaborazioneaprogetto(cosiddettico.co.pro.).

Altrodatodaevidenziareèche il63%deirispondentiviveancoracon igenitori:sesi tiene inconsiderazioneche lamaggiorpartedei rispondentiha tra i 21e i30annidiventaancorapiùrilevante perché questo dato è proxy della poca indipendenza dei giovani che non possonoprobabilmentepermettersidipagareunaffittoeviveredasoli.

Questatendenzaèconfermatadal fattocheil48%deigiovanirispondentiriceveregolarmentesoldidagenitorioaltrifamiliari.Comeevidenziailgraficosuccessivo(Figura32),il60%dichiaradi ricevere fino a 300 euro al mese, un aiuto importante che conferma ancora una voltal’impossibilitàperigiovanidiessereindipendentieconomicamente.

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Anziani ultra-75enni"

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Giovani 18-30 anni"

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Altro dato da evidenziare è che il 63% dei rispondenti vive ancora con i genitori: se si tiene in con-siderazione che la maggior parte dei rispondenti ha tra i 21 e i 30 anni diventa ancora più rilevante perché questo dato è proxy della poca indipendenza dei giovani che non possono probabilmente permettersi di pagare un affitto e vivere da soli.

Questa tendenza è confermata dal fatto che il 48% dei giovani rispondenti riceve regolarmente soldi da genitori o altri familiari. Come evidenzia il grafico successivo (Figura 32), il 60% dichiara di ricevere fino a 300 euro al mese, un aiuto importante che conferma ancora una volta l’impossibi-lità per i giovani di essere indipendenti economicamente.

Figura 32 - Contributi economici che i giovani ricevono dai genitori

La grande maggioranza dei giovani non dedica nessuna parte del proprio tempo settimanale ad attività di volontariato, mentre circa metà ha svolto attività di volontariato in passato e questo può essere sintomo di un decremento dell’interesse per questo tipo di impegno.

Il 79% dichiara poi di non far parte di nessuna associazione culturale e il 94% non partecipa a nes-sun tipo di attività politica. Coloro che frequentano l’università dichiarano di non studiare quasi mai da soli e questo è un dato importante perché indica che i giovani non trascorrono da soli neanche le ore di studio ma preferiscono studiare con i compagni. Inoltre, coloro che hanno risposto al questionario praticano attività sportiva e utilizzano regolarmente internet per circa 2 ore al giorno. Escono spesso con gli amici, ma passano molto tempo in famiglia, anche se questo ultimo dato potrebbe essere “viziato” dal fatto che vivono ancora con i genitori. Per quanto riguarda gli spo-stamenti in città, è emerso che i giovani utilizzano abbastanza la bicicletta e i mezzi pubblici, ma l’automobile è il mezzo prevalente.

Come si può vedere dal grafico sottostante (Figura 33), ai giovani che hanno risposto al questio-nario piace leggere: il 71% legge almeno un libro al mese e il 13% legge addirittura 3 o più libri al mese. Questo è un segnale importante di interesse culturale da parte dei giovani.

Figura 33 - Quanti libri i giovani leggono al mese

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Figura32‐Contributieconomicicheigiovaniricevonodaigenitori

Lagrandemaggioranzadeigiovaninondedicanessunapartedelpropriotemposettimanaleadattivitàdivolontariato,mentrecircametàhasvoltoattivitàdivolontariato inpassatoequestopuòesseresintomodiundecrementodell’interesseperquestotipodiimpegno.

Il79%dichiarapoidinonfarpartedinessunaassociazioneculturalee il94%nonpartecipaanessuntipodiattivitàpolitica.

Coloro che frequentano l’universitàdichiaranodinonstudiarequasimaida soli equestoèundatoimportanteperchéindicacheigiovaninontrascorronodasolineancheleoredistudiomapreferiscono studiare con i compagni. Inoltre, coloro che hanno risposto al questionariopraticano attività sportiva eutilizzano regolarmente internetper circa2ore al giorno.Esconospessocongliamici,mapassanomoltotempoinfamiglia,anchesequestoultimodatopotrebbeessere“viziato”dalfattochevivonoancoraconigenitori.

Per quanto riguarda gli spostamenti in città, è emerso che i giovani utilizzano abbastanza labiciclettaeimezzipubblici,mal’automobileèilmezzoprevalente.

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Come si può vedere dal grafico sottostante (Figura 33), ai giovani che hanno risposto alquestionariopiaceleggere: il71%leggealmenounlibroalmeseeil13%leggeaddirittura3opiùlibrialmese.Questoèunsegnaleimportantediinteresseculturaledapartedeigiovani.

Figura33‐Quantilibriigiovanileggonoalmese

Idatiappenariportatisonopoiconfermatidallafrequenzaconcuiigiovanidichiaranodileggereiquotidiani:l’85%dichiaradileggereiquotidiani,almenosaltuariamente.Questodimostracheigiovanisonointeressatiallenotizieeagliavvenimentidell’attualità.

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Giovani 18-30 anni"

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Giovani 18-30 anni"

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I dati appena riportati sono poi confermati dalla frequenza con cui i giovani dichiarano di leggere i quotidiani: l’85% dichiara di leggere i quotidiani, almeno saltuariamente. Questo dimostra che i giovani sono interessati alle notizie e agli avvenimenti dell’attualità. Il 63% vorrebbe convivere con il proprio partner mentre il 23% vorrebbe vivere da solo come rappresentato nella Figura 34.

Figura 34 - Soluzione abitativa ideale

La ricerca di lavoro è il principale motivo che spingerebbe i giovani a cambiare luogo di residenza, anche se l’Italia resta comunque preferita all’estero. È importante sottolineare come tra le motiva-zioni che potrebbero spingere a cambiare luogo di residenza non sia stata presa in considerazione l’opzione dei maggiori stimoli (culturali, sociali e di crescita personale, in senso allargato). Questo può essere un sintomo della mancanza di aspirazioni e della poca voglia di mettersi in gioco: ne emerge il profilo di un individuo rassegnato, che si accontenta di ciò che offre il territorio in cui vive. La mag-gior parte dei rispondenti indica come età ideale per sposarsi quella tra 26 e 30 anni (56%), ma il 47% degli intervistati dichiara che vorrebbe vivere con il partner senza sposarsi. L’età ideale per avere figli risulta per la maggior parte suddivisa fra le fasce 25-30 anni (36%) e 30-35 anni (35%). Il motivo principale per il quale i giovani non fanno figli è di tipo economico.

L’indagine, dal punto di vista della socialità, mostra giovani che coltivano relazioni con i propri coe-tanei: escono la sera con amici e partner e passano poco tempo da soli. Anche durante le vacanze estive la quasi totalità dichiara di trascorrerle in compagnia con amici e i fidanzati. Questo è un dato positivo che evidenzia l’esistenza di un tessuto sociale tra i giovani, a testimonianza che non si trovano soli in un periodo di crisi che ha colpito la loro fascia di età, soprattutto sul piano profes-sionale. È importante anche sottolineare che i giovani escono ma non spendono molto: la quasi to-talità spende meno di 100 euro al mese per lo svago (discoteca, uscite con gli amici, etc…). Anche per il vestiario spendono poco, la maggior parte meno di 50 euro al mese, probabilmente perché non ancora economicamente indipendenti e quindi attenti al risparmio su questo tipo di acquisti.

La maggior parte dei rispondenti svolge attività fisica almeno saltuariamente, ma il 51% la svolge almeno 1-2 volte alla settimana, in genere in palestra o all’aperto (ma da soli). Per quanto riguarda la sezione sul lavoro, importante è il dato sul 60% dei giovani che svolge una attività coerente con il percorso di studi affrontato. L’aspetto più importante per valutare un impiego è l’ambiente e il rapporto con i colleghi, seguito dalle condizioni economiche e contrattuali, mentre il contenuto, la flessibilità e la possibilità di fare carriera non vengono considerati come fattori altrettanto importanti. La mancanza di interesse nei confronti di flessibilità e possibilità di fare carriera è indice delle scarse aspirazioni dei giovani, i quali preferiscono la stabilità contrattuale alla possibilità di crescita profes-sionale e di auto-realizzazione. Alla domanda “Cosa credi che manchi di più ai giovani da un punto di vista pratico?” il 67% ha risposto un aiuto per indirizzarsi al mondo del lavoro, mentre la stessa do-manda dal punto di vista astratto ha avuto le risposte sintetizzate nel grafico sottostante (Figura 35).

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Il63%vorrebbeconviverecon ilpropriopartnermentre il23%vorrebbeviveredasolocomerappresentatonellaFigura34.

Figura34‐Soluzioneabitativaideale

Laricercadilavoroèilprincipalemotivochespingerebbeigiovaniacambiareluogodiresidenza,anche se l’Italia resta comunque preferita all’estero. È importante sottolineare come tra lemotivazioni che potrebbero spingere a cambiare luogo di residenza non sia stata presa inconsiderazione l’opzionedeimaggioristimoli (culturali,socialiedicrescitapersonale, insensoallargato). Questo può essere un sintomo dellamancanza di aspirazioni e della poca voglia dimettersi in gioco: ne emerge il profilodiun individuo rassegnato, che si accontentadi ciò cheoffreilterritorioincuivive.

Lamaggior parte dei rispondenti indica come età ideale per sposarsi quella tra 26 e 30 anni(56%),ma il 47%degli intervistati dichiara chevorrebbevivere con il partner senza sposarsi.L’etàidealeperaverefiglirisultaperlamaggiorpartesuddivisafralefasce25‐30anni(36%)e30‐35anni(35%).Ilmotivoprincipaleperilqualeigiovaninonfannofiglièditipoeconomico.

L’indagine,dalpuntodivistadellasocialità,mostragiovanichecoltivanorelazioniconipropricoetanei: escono la sera con amici e partner e passano poco tempo da soli. Anche durante le

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Giovani 18-30 anni"

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Figura 35 - Cosa servirebbe di più ai giovani dal punto di visto astratto

Prevale la necessità di opportunità professionali ma non è da trascurare il dato relativo ai valori: il 30% dichiara infatti che ai giovani servono più valori, e ciò può essere molto indicativo in quanto auto-diagnosi espressa da individui che evidentemente avvertono il bisogno di riferimenti valoriali più forti, per sé e per i propri coetanei.

È interessante inoltre notare come la maggior parte dei rispondenti non sarebbe disponibile a impegnarsi in prima persona per migliorare i servizi né per organizzare eventi o spazi per i giovani neanche se questa attività fosse retribuita (Figura 36).

Figura 36 - Disponibilità a impegnarsi in prima persona nell’organizzazione o gestione di spazi per giovani

Questo evidenzia un aspetto sintomatico e preoccupante: lo scarso interesse dei giovani nel met-tersi in gioco per migliorare servizi che servirebbero alla loro stessa “categoria”. Probabilmente preferiscono impegnarsi soltanto per realizzare interessi di natura personale, denotando la man-canza di una visione di insieme e trascurando i coetanei che non sono inclusi nella propria cerchia di conoscenti e amici.

L’ultima parte del questionario si è concentrata su alcune domande rivolte a indagare quale sia la percezione dei giovani sui servizi che il sistema di welfare locale offre loro. Il 62% del campione dichiara di essere entrato in contatto con i servizi pubblici rivolti ai giovani, soprattutto Centri per l’impiego e Informagiovani. Per la maggior parte di coloro che si sono rivolti ai servizi pubblici il servizio è risultato buono e utile, ma c’è comunque una parte (16%) che dichiara la sostanziale inu-tilità del servizio nonostante l’impegno degli operatori dedicati. Secondo coloro che hanno riposto al questionario andrebbero potenziati servizi quali lo sportello lavoro, i contributi economici per la casa e lo studio, i corsi di formazione professionale e i corsi di lingue.

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Alladomanda“Cosacredichemanchidipiùaigiovanidaunpuntodivistapratico?” il67%harispostounaiutoper indirizzarsi almondodel lavoro,mentre la stessadomandadalpuntodivistaastrattohaavutolerispostesintetizzatenelgraficosottostante(Figura35).

Figura35‐Cosaservirebbedipiùaigiovanidalpuntodivistoastratto

Prevalelanecessitàdiopportunitàprofessionalimanonèdatrascurareildatorelativoaivalori:il 30% dichiara infatti che ai giovani servono più valori, e ciò può esseremolto indicativo inquantoauto‐diagnosiespressadaindividuicheevidentementeavvertonoilbisognodiriferimentivalorialipiùforti,perséeperipropricoetanei.

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È interessante inoltrenotare come lamaggiorpartedei rispondentinon sarebbedisponibile aimpegnarsi in prima persona per migliorare i servizi né per organizzare eventi o spazi per igiovanineanchesequestaattivitàfosseretribuita(Figura36).

Figura36‐Disponibilitàaimpegnarsiinprimapersonanell’organizzazioneogestionedispazipergiovani

Questo evidenzia un aspetto sintomatico e preoccupante: lo scarso interesse dei giovani nelmettersi in gioco per migliorare servizi che servirebbero alla loro stessa “categoria”.Probabilmente preferiscono impegnarsi soltanto per realizzare interessi di natura personale,denotandolamancanzadiunavisionediinsiemeetrascurandoicoetaneichenonsonoinclusinellapropriacerchiadiconoscentieamici.

L’ultimapartedelquestionariosièconcentratasualcunedomanderivolteaindagarequalesialapercezionedeigiovanisuiservizicheilsistemadiwelfarelocaleoffreloro.Il62%delcampionedichiaradiessereentrato incontattocon i servizipubblici rivoltiaigiovani, soprattuttoCentriper l’impiego e Informagiovani. Per la maggior parte di coloro che si sono rivolti ai servizipubblici il servizioè risultatobuonoeutile,mac’è comunqueunaparte (16%)chedichiara lasostanzialeinutilitàdelserviziononostantel’impegnodeglioperatoridedicati.

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Giovani 18-30 anni"

Fonte: Elaborazione CERGAS su dati questionario "Giovani 18-30 anni"

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7. CONFRONTI FRA DATI PRIMARI E LETTERATURA

I risultati dei questionari sono molto interessanti e confermano quanto emerge dai dati della lette-ratura che sono stati esposti in dettaglio nel capitolo 4.

Il questionario sulla gestione dei tempi familiari ha evidenziato un bisogno sempre più diffuso che non trova ancora risposta nel bacino dell’offerta di servizi pubblici, ossia il bisogno di soluzioni organizzative che riescano a favorire la conciliazione fra tempi di vita e tempi di lavoro, assistendo i genitori nella gestione dei figli piccoli.

L’indagine ci mostra una società frammentata, composta da nuclei isolati che vivono senza con-tatti con le altre famiglie. In questo modo si genera dispersione di un ricco potenziale di capitale sociale. Si vuole ricordare, a tale proposito, una definizione di capitale sociale accompagnata dalla citazione dei motivi per i quali è importante che esso venga valorizzato. Pierre Bourdieu definisce il capitale sociale come “The aggregate of the actual or potential resources which are linked to pos-session of a durable network of more or less institutionalized relationships of mutual acquaintance or recognition2”. Questo concetto si focalizza sui benefici per gli individui derivanti dalla parteci-pazioni a gruppi: i network non esistono per natura, ma devono essere costruiti attraverso delle strategie orientate all’istituzionalizzazione di tali relazioni. Sono tre le principali funzioni del capitale sociale: il capitale sociale è fonte di controllo sociale, è fonte per il supporto familiare ed infine è fonte di benefici ottenibili attraverso la costruzione di network extra-familiari. E il ruolo dell’attore pubblico può essere quello di attivatore di queste funzioni del capitale sociale, attraverso la pro-mozione di network per diversi attori sociali.

Le connessioni tra famiglie, infatti, e la conseguente creazione di una rete di mutuo aiuto potreb-be contribuire a colmare il vuoto lasciato dal sistema rispetto al bisogno diffuso di conciliazione vita-lavoro che sempre più le famiglie esprimono ma che da sole non riescono a soddisfare. L’isolamento porta infatti a non fare affidamento sull’aiuto degli altri nuclei e a non vedere come possibile soluzione ai propri problemi il coordinamento inter-familiare. Così come per altri bisogni emergenti, prevale una risposta individuale a problemi che invece sono di sistema. È infatti im-possibile immaginare che la trama sociale possa prevedere una prassi dove le famiglie gestiscono insieme i figli, con l’utilizzo di baby-sitter comuni e alternando le case dove i bambini passano del tempo insieme dopo la scuola? (Longo, 2013). Questa soluzione potrebbe infatti essere più effi-ciente di quella individuale e questo può essere dimostrato su tre dimensioni:

■ la soluzione individuale è economicamente inefficiente in quanto ogni famiglia paga un care giver per ogni bambino. Qualora si optasse invece per la soluzione condivisa, il costo del care giving verrebbe suddiviso tra le famiglie e quindi diminuirebbe anche se la baby-sitter venisse pagata il 50% in più e se potesse essere formalizzata e professionalizzata;

■ i bambini potrebbero giocare insieme, invece di essere isolati a casa con i propri nonni o la propria babysitter;

■ le famiglie sarebbero in rete e, anche se un genitore tardasse qualche minuto al lavoro o al supermercato, saprebbe che i figli sono a casa di un amica/o.

Da una situazione di isolamento, ci si ritroverebbe quindi in una trama di socialità, scambio di espe-rienze, condivisione della cura, a beneficio di tutti gli attori coinvolti: bambini, genitori, babysitter, società.

• Traduzione: “L’aggregato delle risorse reali o potenziali che sono collegate al possesso di una rete durevole di relazioni, più o meno istituzionalizzate, di conoscenza reciproca o di riconoscimento”.

2.

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Il sistema quindi dovrebbe prendere coscienza dell’attuale logica distorsiva e intervenire per orientar-la verso la soluzione migliore cercando quindi di creare la fiducia necessaria perché le reti possano funzionare. Sempre più autori (Dawes, 1996; Rulke, Glaskiewicz, 2000; Zaheer, McEvily, Perrone, 1998; White 2002) infatti riconoscono la rilevanza della fiducia, della circolazione di conoscenza e informazioni e della valorizzazione del capitale sociale che è contenuto all’interno dei network.

Dall’indagine emerge anche come vi sia una dispersione anche rispetto alla percezione che le fa-miglie hanno dei servizi educativi: le famiglie sono infatti disposte a pagare una quota per le attività sportive o i corsi di lingua piuttosto che per estendere l’orario scolastico, indipendentemente dal reddito familiare. Questo mostra la scarsa fiducia verso i servizi offerti dagli enti pubblici che non soddisfano i bisogni che le famiglie manifestano. Il servizio pubblico, proprio per questa caratte-ristica, è visto come un servizio che deve essere offerto gratuitamente e quindi di bassa qualità, perché coloro che ne usufruiscono sono coloro che non possono fare fronte privatamente al biso-gno cui tali servizi rispondono.

Il welfare pubblico, ancora prevalentemente concentrato sulle fragilità estreme, in particolare su anziani e disabili, non si è ancora occupato di trovare la soluzione a questo bisogno: non è ancora pienamente cosciente delle esigenze espresse dalle famiglie, le quali cercano di soddisfare “priva-tamente”, con i propri mezzi, la loro necessità di trovare soluzioni per l’accudimento dei figli negli orari di lavoro. Non è poi necessario che l’attore pubblico dedichi e investa una grossa quantità di risorse per la soddisfazione di questo bisogno: potrebbe assumere il ruolo di promotore per un sistema che si autoalimenta senza ulteriori risorse, stimolando un sistema che aiuti le famiglie ad uscire dall’isolamento in cui oggi vivono e a creare una rete che le renderebbe meno fragili.

Anche i risultati dell’indagine condotta sugli anziani non autosufficienti confermano i dati della let-teratura. La non autosufficienza interessa soprattutto le donne ultra 85enni poiché sono le donne che hanno una speranza di vita più lunga (il dato ISTAT 2013 per l’Emilia-Romagna conferma che la speranza di vita alla nascita per le donne è 85,1 anni). Ci sono poi i dati che confermano che quasi la totalità dei non autosufficienti riceve una indennità di accompagnamento. Emerge però con al-trettanta evidenza che tale sostegno di tipo economico non sia sufficiente e debba quindi essere integrato. Questa integrazione non interessa solo la pensione dell’anziano, ma spesso è necessario erodere il suo patrimonio o addirittura sono gli stessi familiari a dover vincolare risorse per il proprio caro poiché le sue (pensione e risparmi) non sono sufficienti. L’indennità di accompagnamento viene infatti erogata in funzione del grado di disabilità a prescindere dalle condizioni di reddito o di patrimo-nio. Questo evidenzia, e dovrebbe metterla in discussione, la natura del nostro sistema di welfare. La politica del “dare un po’ a tutti” sembra non essere efficace e forse sarebbe meglio aumentare, nel caso della non autosufficienza, la concentrazione delle risorse verso gli utenti più bisognosi in base a valutazioni reddituali e patrimoniali dell’anziano e del suo nucleo familiare.

E’ inoltre importante sottolineare che la struttura del sistema di welfare favorisce la crescita del mer-cato del care giving informale in quanto si è privilegiata l’erogazione di risorse liquide piuttosto che l’erogazione di servizi reali per far fronte ai bisogni degli utenti. Le risorse di provenienza pubblica, infatti, sono per la maggior parte a disposizione diretta delle famiglie, trattandosi di trasferimenti mo-netari diretti, mentre solo una parte minoritaria è gestita dagli attori pubblici locali (AUSL e Comuni). Ciò finisce per alimentare il ricorso al mercato informale perché né il sistema pubblico né le realtà del settore privato o del terzo settore sono ancora in grado di offrire una tipologia di servizio che possa sostituire l'assistente familiare e garantire all’anziano una soluzione di care giving alternativo.Biso-gna inoltre considerare la volontà dei familiari degli anziani non autosufficienti, la maggior parte dei quali preferisce lasciare il proprio caro nel suo ambiente familiare finché ci sono le condizioni per farlo. Per ragioni affettive, infatti, si preferisce generalmente trovare qualcuno, la badante o un altro familiare, che accudisca l’anziano nella propria casa piuttosto che affidarlo ad una struttura residenziale. Oltre a ciò, come si è visto, raramente le famiglie sono disponibili a condividere l'as-sistente familiare o i servizi assistenziali con altri anziani che si trovano nelle stesse condizioni del

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proprio caro. In ragione di una grave non autosufficienza, infatti, si ritiene poco indicato che una persona possa gestire contemporaneamente più anziani, ognuno dei quali ha bisogno di un’assi-stenza personale continua, anche se esistono le tecnologie (tele-soccorso, tele-assistenza) per aiutare il care giver a prendersi cura di più di una persona alla volta. Inoltre, in situazioni di parzia-le non autosufficienza, la condivisione di un'assistente familiare potrebbe essere per gli anziani un’occasione di incontro, per condividere tempo ed esperienze, per socializzare insomma, e non solo un modo per permettere alle famiglie di risparmiare, in quanto il costo dell’assistenza sarebbe ripartito tra più persone.

L’isolamento sociale degli anziani e soprattutto delle famiglie che hanno anziani non autosuffi-cienti a carico non è da sottovalutare. Le famiglie si sentono spesso sole e il bisogno di ascolto è percettibile dalla risposte che sono state fornite alle domande dell’indagine. Nell’ultima doman-da è emersa, oltre all’esigenza di avere maggiori risorse economiche, una richiesta di maggiore sostegno da parte delle famiglie con anziani a carico: una richiesta di ascolto dei problemi che si trova quotidianamente ad affrontare chi si prende cura di una persona non autosufficiente. Questo bisogno, infatti, trova attualmente scarsa risposta da parte dell’ente pubblico, i cui servizi sono generalmente concentrati a risolvere i problemi patologici specifici dell’anziano, senza una presa in carico mirata ai connessi e derivanti problemi relazionali e sociali.

Per quanto riguarda, infine, l’indagine condotta sui giovani di età compresa fra i 18 e i 30 anni il questionario ha confermato, seppur indirettamente, la preoccupazione legata al dato sul feno-meno dei NEET, ossia coloro che non lavorano ma non sono nemmeno coinvolti in percorsi di formazione o di avviamento al lavoro. Ovviamente non è stato possibile sottoporre il questionario, veicolato come abbiamo visto tramite una pagina Facebook dedicata, soltanto ai giovani che rien-trano nel target dei NEET, però l’analisi del dato emerso da quasi 400 questionari può considerarsi una proxy credibile ed aggiornata per delineare un quadro d’insieme sulle principali criticità che attraversano i ragazzi e le ragazze di questa fascia di età. Proprio la componente femminile, innan-zitutto, sembra confermare una significativa differenza di genere: la stragrande maggioranza di rispondenti donne (74%) non pare casuale se confrontata con il netto divario evidenziato dal dato regionale sui NEET (19,3% contro il 12,5% dei coetanei maschi). Ciò detto, la netta preponderanza di rispondenti donne va comunque considerato un particolare significativo su tutta l’analisi e l’in-terpretazione del dato, a partire dal fatto che le ragazze, oltre appunto a testimoniare di uno svan-taggio di genere, si sono dimostrate molto più inclini dei ragazzi ad approfondire la loro esperienza e a mettersi in qualche modo in discussione, tramite la compilazione del questionario.

Senza ripassare in questa sede i principali dati emersi dall’elaborazione dei questionari, già ampia-mente descritti nel paragrafo 6.3, pare interessante proporre alcune valutazioni di sfondo che pos-sono aiutare ad inquadrare ed interpretare le principali criticità relative alla popolazione giovanile nella fascia 18-30 anni, e più precisamente:

■ dalle risposte al questionario emerge come praticamente nessuno dei giovani intervistati si ritenga nella condizione “passiva” tipica del NEET, ossia senza una occupazione ma nemme-no in cerca di un lavoro: quasi il 30%, al contempo, ammette di non essere occupato ma di essere attivamente alla ricerca di un lavoro. Ovvio che sulla percezione, oltre che sull’effettivo impegno nel cercare una occupazione si giochi buona parte della differenza con il dato ufficiale sui NEET (che qui risulterebbe, appunto, sotto stimato);

■ potenzialmente correlato alla motivazione nel cercare lavoro e se/quali condizioni di lavoro ac-cettare sembra essere anche la condizione di non autonomia, se non di dipendenza, rispetto ai genitori: il 63% del campione vive con i genitori e il 52% riceve regolarmente soldi da loro. Anche in questo caso siamo di fronte ad una lettura ambivalente di un fenomeno che appare nei fatti certo e consolidato: la dipendenza dalla famiglia è principalmente causa o effetto delle difficoltà dei giovani?

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■ anche partendo dall’innegabile impatto della crisi economica sull’occupazione nazionale e re-gionale, ancora più accentuato sull’occupazione giovanile, ciò che di più preoccupante caratte-rizza i giovani nella fascia 18-30 anni è in qualche modo l’approccio e l’aspetto motivazionale che sembrerebbe caratterizzarne il profilo. Nonostante la limitata numerosità del campione e anche considerata la probabilità di risposte non congruenti fra loro a domande sequenziali, ci è parso rilevante sottolineare un aspetto anche simbolicamente tracciante: la mancanza di coerenza fra il desiderato/dichiarato e la disponibilità ad agire per raggiungerlo. Alla domanda su cosa manca oggi ai giovani il 67% risponde “aiuto per indirizzarsi nel mondo del lavoro”, ma poi il 78% si dichiara non disposto a pagare per usufruire di tali servizi. Se il dato può essere spiegabile con la scarsa disponibilità di risorse proprie a disposizione dei giovani, risulta più difficile comprendere perché il 79% si dichiari non disposto ad impegnarsi in prima persona nell’organizzazione di eventi per indirizzarsi nel mondo del lavoro a titolo gratuito, considerato che si tratterebbe di lavorare sì gratuitamente, ma di fatto per un proprio interesse diretto. An-cora più spiazzante la risposta del 57% dei giovani, che si dichiara non disposto ad impegnarsi in prima persona nell’organizzazione di eventi per indirizzarsi nel mondo del lavoro anche se remunerato adeguatamente. Ci troveremmo così nella paradossale situazione di persone che si dichiarano non disposte ad accettare un impiego remunerato (anche se di natura saltuaria/occasionale) svolgendo il quale contribuirebbero direttamente a rispondere a quello che è il principale bisogno loro e dei loro coetanei.

Quest’ultima considerazione rimanda con forza alle valutazioni di cui ai due punti predecenti, fa-cendo emergere la figura di giovani che anche da un punto di vista culturale e sociale (ambiti pure questi indagati nel dettaglio dal questionario) sembrano poco disposti a spendersi, impegnarsi o provare anche semplicemente esperienze nuove, non necessariamente nell’ambiente protetto della propria famiglia e della propria città, e al contempo appaiono molto legati a ristrette cerchie amicali che probabilmente non ne favoriscono una maggiore apertura ad occasioni di confronto e scambio.

Per concludere, quindi, i dati primari raccolti per i tre target selezionati confermano una situazione di mancata risposta da parte del pubblico rispetto ai problemi e ai bisogni espressi dalla popolazio-ne. Il sistema di welfare così come attualmente strutturato, basato sull’offerta di servizi standard in una logica prestazionale, non è più in grado di rispondere efficacemente ai bisogni che evolvono e cambiano . Sarebbe in tal senso auspicabile una revisione sostanziale del sistema di welfare, a partire da un approccio che dovrebbe prendere in carico le persone (o l’intero nucleo familiare) e costruire un progetto di assistenza specifica sulla persona, invece che offrire un servizio standar-dizzato secondo una logica prestazionale orientata all’intervento sull’utente grave.

Emerge quindi la necessità di ricostruire una trama sociale capace di generare valore, capitale so-ciale, connessioni tra persone. Questo da un lato potrebbe trasformare alcuni problemi in opportu-nità, dall’altro aiuterebbe a risolverne altri in maniera meno sofferta, sia per il sistema nel suo insie-me sia per il singolo utente, con lo spiraglio di riuscire a liberare risorse da destinare anche all’area delle fragilità emergenti (prima che degenerino in situazioni di riconosciuta non autosufficienza).

Per andare in questa direzione, nel capitlo che segue, si propongono alcune possibili visioni di policy, alla luce delle quali reinterpretare e sviluppare i sistemi di welfare locale.

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8. COSTRUZIONE E VOTAZIONE DEGLI SCENARI FUTURI

In questo capitolo si descrive il lavoro che, iniziato con l’analisi dei dati riguardanti il settore sociale e socio-sanitario (capitolo 4), è proseguito con il coinvolgimento diretto dei principali attori del sistema di welfare dell’area vasta centro Emilia, così suddivisi in 5 focus group composti da circa 20 persone ciascuno:

■ Amministratori degli Enti locali (Sindaci, Assessori, Presidenti di Quartiere, etc…);

■ Tecnici degli Enti locali (Dirigenti di Dipartimento, Settore, Servizio, etc…)

■ Produttori di servizi sociali e socio-sanitari (Cooperative sociali, ASP, ASC, Fondazioni, etc…)

■ Opinion leader del territorio (rappresentanti del mondo universitario, della ricerca/consulenza, imprenditoriale, cooperativo, sindacale, del terzo settore/volontariato, etc…);

■ Staff tecnico provinciale della Conferenza Territoriale Sociale e Sanitaria (CTSS) di Bologna e Imola (Tecnici del settore socio-sanitario delle Aziende USL, Responsabili degli Uffici di Piano, Tecnici degli Uffici di Supporto alla CTSS);

Partendo da un esame sulla letteratura esistente, in ambito nazionale ed internazionale, in tema di scenari futuri, a cui si sono affiancate rielaborazioni teoriche da parte dei ricercatori di CeRGAS Bocconi sulle discontinuità/criticità prevedibili nel medio termine, il quadro degli scenari comples-sivamente proposti è stato poi discusso con i partecipanti ai 5 focus group.

Discussione e successiva votazione degli scenari sono state condotte dai ricercatori di CeRGAS Bocconi utilizzando la tecnica della Nominal Group Technique (NGT), metodo già consolidato nella letteratura scientifica, ed affrontando per ciascuno degli scenari delineati dapprima la discussione delle implicazioni strategiche in termini di bisogni e servizi e successivamente la valutazione di impatto/probabilità e di costi/benefici per le policy pubbliche. Ciascuno dei focus group è stato convocato per 5 mezze giornate di lavoro, comprese nel periodo fra gennaio 2013 e marzo 2014, a testimonianza della ingente mole quali/quantitativa di attività dedicata a questa specifica fase, ritenuta quella centrale nello sviluppo del Progetto.

I partecipanti ai focus group hanno infine votato quali fossero gli scenari da loro ritenuti rispettiva-mente più probabili, più critici e maggiormente auspicati per il sistema di welfare regionale. Sulla base della votazione degli scenari sono state quindi discusse le conseguenti possibili suggestioni di policy, delle quali si parlerà nel dettaglio nel prossimo paragrafo (capitolo 9). Qui si vuole con-centrare l’attenzione sulla fase di discussione e votazione degli scenari futuri, per mostrare come i principali attori del sistema locale se lo siano immaginato.

In primo luogo sono state individuate le aree di potenziale maggiore discontinuità e criticità per il sistema e sono state selezionate le variabili chiave con le quali provare a costruire trend attesi e possibili scenari alternativi. In particolare, sono state individuate quattro macro aree di analisi e di possibile discontinuità strategica:

■ la società, la famiglia e gli individui;

■ la missione e le risorse del sistema di welfare;

■ la geografia dei committenti e dei produttori;

■ i profili di consumo e i meccanismi di riproduzione sociale.

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Sulla base della variabili chiave individuate e dei dati di contesto (capitolo 4), sono stati costruiti trend attesi e scenari alternativi per ciascuna area di discontinuità. E’ stato quindi chiesto ai parte-cipanti dei cinque focus group di votare i diversi scenari futuri attraverso la compilazione di un que-stionario on-line, anonimo e ad accesso protetto, predisposto dai ricercatori di CeRGAS Bocconi su apposita piattaforma web. Ai focus group hanno partecipato in totale 101 persone, 94 di queste hanno accettato di votare gli scenari compilando il questionario on-line e 74 hanno terminato la compilazione dell’intero questionario (20 sono risultati i questionari incompleti).

Di seguito si riporta una sintesi dei risultati di questa fase di lavoro raggruppati per singola area di discontinuità.

8.1. LA SOCIETÀ, LA FAMIGLIA E GLI INDIVIDUIPer quanto riguarda questa prima area di discontinuità, si è iniziato con la votazione dello scenario sull’evoluzione socio-economica del Paese. Per la valutazione della situazione del Paese è stato usato il grafico seguente (Figura 37) che si sviluppa su tre assi, corrispondenti alle tre variabili og-getto di analisi: la situazione economica del Paese, il capitale sociale e la vulnerabilità/insicurezza/mobilità geografica della popolazione.

Figura 37 - L’evoluzione socio-economica del Paese

Lo scenario maggiormente auspicato è che il probabile aumento della vulnerabilità sia diffusa e non clusterizzata e che il capitale sociale, seppur in tendenziale riduzione, sia in grado di attivare processi di bridging sociale. Lo scenario più critico e quello più probabile invece, come vedremo anche in altri casi, coincidono e prevedono un Paese più povero e con una vulnerabilità purtroppo clusterizzata, ossia concentrata su alcune categorie della popolazione. Il capitale sociale, oltre ad essere in diminuzione, si esprime per lo più sotto forma di solidarietà perimetrata, limitata cioè a pochi segmenti della popolazione, determinando così un aumento del gapping sociale.

Si è poi passati a valutare come si trasformerà il capitale sociale per alcune categorie di soggetti che manifestano bisogni emergenti diversi da quelli tradizionalmente coperti dai servizi: nuovi italiani, silver age, famiglie unipersonali, famiglie ricomposte. Il capitale sociale si compone di di-verse parti e per questo si è deciso di classificarlo in tre categorie (ovvero rispetto a norme sociali): volontariato, social engagement e reti sociali/amicali. Lo scenario ritenuto più probabile prevede che vi siano forme stabili o crescenti di reti amicali e di social engagement tra i nuovi italiani e i silver age, che si crei pochissimo capitale sociale tra le famiglie unipersonali e che vi siano reti so-ciali/amicali soltanto nelle famiglie ricomposte che però esauriscono nella loro dinamica interna le energie relazionali disponibili (senza effetti sul capitale sociale esterno ai nuclei familiari coinvolti).

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Diseguitosiriportaunasintesideirisultatidiquestafasedilavororaggruppatipersingolaareadidiscontinuità.

8.1Lasocietà,lafamigliaegliindividui

Per quanto riguarda questa prima area di discontinuità, si è iniziato con la votazione delloscenariosull’evoluzionesocio‐economicadelPaese.PerlavalutazionedellasituazionedelPaeseèstatousato ilgraficoseguente(Figura37)chesisviluppasutreassi,corrispondentialle trevariabili oggetto di analisi: la situazione economica del Paese, il capitale sociale e lavulnerabilità/insicurezza/mobilitàgeograficadellapopolazione.

Figura37‐L’evoluzionesocio‐economicadelPaese

Loscenariomaggiormenteauspicatoècheilprobabileaumentodellavulnerabilitàsiadiffusaenon clusterizzata e che il capitale sociale, seppur in tendenziale riduzione, sia in grado diattivareprocessidibridgingsociale.Loscenariopiùcriticoequellopiùprobabileinvece,comevedremoancheinaltricasi,coincidonoeprevedonounPaesepiùpoveroeconunavulnerabilitàpurtroppo clusterizzata, ossia concentrata su alcune categorie della popolazione. Il capitalesociale, oltre ad essere in diminuzione, si esprime per lo più sotto forma di solidarietàperimetrata, limitata cioè apochi segmentidellapopolazione,determinandocosìunaumentodelgappingsociale.

Fonte: Elaborazione CERGAS

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Lo scenario più critico è che non vi sia nessuna forma di capitale sociale futuro disponibile soprat-tutto tra le famiglie unipersonali.

Lo scenario auspicato prevede un ruolo centrale dei silver age, ipotizzandoli impegnati in progetti di volontariato nonché nella costruzione di reti amicali e sociali in un contesto organizzato. Lo scenario più critico li colloca invece in un contesto informale in cui ognuno agisce individualmente mentre secondo lo scenario più probabile i “giovani anziani” agisce nel contesto familiare e in reti amicali e sociali.

8.2. LA MISSIONE E LE RISORSE DEL SISTEMA DI WELFAREPer questa area si è analizzato inizialmente il posizionamento dei sistema italiano nel panorama internazionale. Attualmente quello italiano, come si può vedere dal grafico seguente (Figura 38), è un sistema caratterizzato da un elevato supporto della famiglia tradizionale e da un sostegno limitato da parte del sistema pubblico alla maggioranza delle famiglie con entrambi i genitori lavo-ratori. La trasformazione della società e dei suoi bisogni sta spostando il nostro sistema verso un modello market-oriented (con limitato intervento pubblico per i dual earner e riduzione del ruolo tradizionale della famiglia), come si evince dalla votazione dove gli scenari più critico e più proba-bile coincidono su questo modello. Lo scenario maggiormente auspicato sarebbe invece quello di un dual-earner model, più adatto al trend attuale che prevede un basso supporto della famiglia tradizionale e una estesa rete di servizi finanziati con chiari meccanismi di compartecipazione tra intervento pubblico e privato sulla base di criteri predefiniti, adatti a famiglie con entrambi i genitori lavoratori.

Figura 38 - Il posizionamento dei sistemi di welfare

Lo scenario più probabile per i meccanismi di finanziamento prevede un aumento del finanziamento privato delle famiglie a fronte di una diminuzione di quello pubblico. Lo scenario più critico sarebbe una diminuzione dei finanziamenti sia pubblici sia privati. Rispetto invece alle logiche di finanzia-mento, lo scenario auspicato sarebbe quello di un aumento delle risorse private ottenute attraverso l’intermediazione mutualistica sociale su base territoriale locale mentre quello più probabile coinci-de con un aumento della spesa privata out-of-pocket delle famiglie e un incremento delle risorse private con l’intermediazione assicurativa su base aziendale. Nello scenario più critico aumentereb-bero solo le risorse private in una logica di spesa out-of-pocket o assicurativa individuale.

Lo scenario auspicato rispetto alla missione del sistema di welfare è che prevalga una logica di welfare promozionale rivolta alla società nel suo complesso, in parte con servizi a pagamento se-

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dicompartecipazionetrainterventopubblicoeprivatosullabasedicriteripredefiniti,adattiafamiglieconentrambiigenitorilavoratori.

Figura38‐Ilposizionamentodeisistemidiwelfare

Lo scenario più probabile per i meccanismi di finanziamento prevede un aumento delfinanziamentoprivatodellefamiglieafrontediunadiminuzionediquellopubblico.Loscenariopiùcriticosarebbeunadiminuzionedeifinanziamentisiapubblicisiaprivati.

Rispetto invece alle logiche di finanziamento, lo scenario auspicato sarebbe quello di unaumentodellerisorseprivateottenuteattraversol’intermediazionemutualisticasocialesubaseterritorialelocalementrequellopiùprobabilecoincideconunaumentodellaspesaprivataout‐of‐pocketdellefamiglieeunincrementodellerisorseprivateconl’intermediazioneassicurativasubaseaziendale.Nelloscenariopiùcriticoaumenterebberosololerisorseprivateinunalogicadispesaout‐of‐pocketoassicurativaindividuale.

Loscenarioauspicatorispettoallamissionedelsistemadiwelfareècheprevalgaunalogicadiwelfarepromozionalerivoltaalla societànelsuocomplesso, inparteconserviziapagamentosecondo una logica redistributiva. Lo scenario più probabile si colloca invece in mezzo tra

Fonte: Scotland Future Forum, 2009

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condo una logica redistributiva. Lo scenario più probabile si colloca invece in mezzo tra l’opzione di un welfare riparatorio e quella dell’integrazione fra politiche intersettoriali (per esempio sociale, casa, lavoro) che si rivolgerebbe però solo alle fasce più fragili e vulnerabili della società con ser-vizi esclusivamente (o quasi) gratuiti. Lo scenario più critico prevede un welfare solo riparatorio, sempre per le situazioni di maggiore fragilità e vulnerabilità.

Per quanto riguarda gli strumenti che l’iniziativa pubblica mette a disposizione dei diversi target (individui, famiglia, reti informali esistenti, promozione di nuove reti) l’esito della votazione auspica uno scenario di investimento soprattutto in setting di incontro sociale per la promozione di nuove reti. Lo scenario più critico in questo caso è invece che il sistema pubblico offra soltanto servizi per gli individui e non anche per le reti sociali, mentre quello più probabile è che vengano offerti servizi a individui e famiglie.

In questa area si auspica infine uno scenario che prevede un welfare di iniziativa per i neet, per i nuovi italiani, per la mobilità degli italiani, ovvero per i problemi sociali emergenti più intensi, men-tre lo scenario più critico coincide con quello più probabile ipotizzando un welfare riparatore desti-nato solo alle fasce più fragili e deboli della popolazione, in particolare anziani, disabili e situazioni di povertà assoluta.

8.3. LA GEOGRAFIA DEI COMMITTENTI E DEI PRODUTTORIPer quanto riguarda la geografia della committenza e della produzione pubblica è stato votato uno scenario auspicato che vede il sistema pubblico come committente nelle aree della sanità, del so-cio-sanitario e del sociale: in questa ipotesi il sistema pubblico produrrebbe servizi in via residuale per mantenere competenze gestionali minime ma fondamentali per il know how della funzione di committenza, assumendo invece un ruolo prioritario di counseling a scopo di indirizzo. Nello scenario più critico il sistema pubblico produrrebbe solo servizi ad alta specializzazione e sarebbe un committente frammentato. Lo scenario più probabile prevede invece un sistema pubblico che produce servizi selezionati in modo specifico per una quota prestabilita di cittadini/utenti e svolge una funzione di committente unitario per i servizi sanitari e socio-sanitari.

Qualora la produzione non sia pubblica, i servizi possono essere offerti da organizzazioni non pro-fit o profit. Lo scenario auspicato è che entrambe queste tipologie operino seguendo standard di qualità predefiniti e competano quindi sulla qualità: si assume che a fronte di risorse date vi sia un contenimento dei volumi e non più dei livelli salariali ormai a livelli minimi nel sociale esternalizzato. Inoltre per le società for-profit si auspica un conglomeramento: con una spinta verso la messa in rete, le acquisizioni e le fusioni permetterebbero alle aziende di essere più grandi e quindi comple-te nel portafoglio di servizi che offrono. Anche per le società non-profit si auspica che siano aggre-gate per sfruttare le economie di scala e di specializzazione, nonchè aumentare l’integrazione della filiera. Lo scenario più critico prevede invece che prevalga una logica del massimo volume al costo minimo a fronte delle poche risorse date: questa opzione comprimerebbe gli standard qualitativi, in un quadro di imprenditorialità diffusa sia per le società profit sia per quelle non-profit senza co-struzione di reti. Lo scenario più probabile, come quello più critico, ipotizza una compressione della qualità ma un’aggregazione/conglomerazione dei soggetti profit e non-profit che offrono i servizi.

Per quanto riguarda i prodotti e i mercati degli erogatori, lo scenario auspicato prevede la crescita del mercato privato intermediato in cui si creano posti di lavoro strutturati e si attiva una rete di servizi promozionali, mentre lo scenario più critico ipotizza l’offerta in un mercato pubblico di pre-stazioni mono-funzionali lasciando buona parte delle prestazioni al mercato privato informale e in capo alle famiglie la fatica della ricomposizione. Lo scenario più probabile è che venga offerto un portafoglio di prestazioni progressivamente più completo in un mercato privato individuale, senza forme di intermediazione.

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Ultimo punto di questa area di discontinuità sono i contratti di lavoro: nello scenario più auspicato sono uniformi nell’intero settore sociale e vi è una specializzazione dei ruoli, mentre secondo lo scenario più critico, che coincide con quello più probabile, esistono contratti di lavoro diversi se-condo la natura giuridica del produttore, assegnando così un ruolo generalista al lavoratore senza possibili percorsi di specializzazione e crescita professionale.

8.4. I PROFILI DI CONSUMO E I MECCANISMI DI RIPRODUZIONE SOCIALE

In questa ultima area si è voluto analizzare quali siano il perimetro e gli strumenti di riproduzione sociale. Si auspica che i confini della tenuta familiare siano larghi e possano contare sulle reti ami-cali, anche attraverso l’utilizzo della tecnologia e dei servizi. Lo scenario probabile, che coincide con quello più critico, prevede invece che i confini siano solo individuali e che più presumibilmente saranno i care giver (per esempio le assistenti familiari) a garantire l’assistenza/cura per la tenuta dei nuclei famigliari.

Sulla base dello schema che segue (Figura 39) sono stati infine votati gli scenari relativi alla previ-sione sul ruolo della tecnologia per la società.

Figura 39 - Il ruolo della tecnologia per la società

Lo scenario auspicato prevede che la tecnologia sia universale, la natura dell’iniziativa di diffusione tecnologica sia pubblica e che vi siano connessioni soprattutto con reti familiari e amicali. Secon-do lo scenario più critico, invece, la tecnologia sarà diffusa ma in modo clusterizzato attraverso iniziative di carattere privato e utilizzata soltanto per il self-help, mentre lo scenario più probabile delinea un utilizzo molto diffuso della tecnologia ma con forti differenziali tra le diverse categorie della popolazione, basato sull’iniziativa privata individuale e con un utilizzo per self-help o per una connessione limitata alla cerchia di parenti e amici.

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8.4Iprofilidiconsumoeimeccanismidiriproduzionesociale

In questa ultima area si è voluto analizzare quali siano il perimetro e gli strumenti diriproduzione sociale. Si auspica che i confini della tenuta familiare siano larghi e possanocontaresulle retiamicali, ancheattraverso l’utilizzodella tecnologiaedei servizi.Loscenarioprobabile,checoincideconquellopiùcritico,prevedeinvececheiconfinisianosoloindividualie che più presumibilmente saranno i care giver (per esempio le badanti) a garantirel’assistenza/curaperlatenutadeinucleifamigliari.

Sulla base dello schema che segue (Figura 39) sono stati infine votati gli scenari relativi allaprevisionesulruolodellatecnologiaperlasocietà.

Figura39‐Ilruolodellatecnologiaperlasocietà

Lo scenario auspicato prevede che la tecnologia sia universale, la natura dell’iniziativa didiffusione tecnologica sia pubblica e che vi siano connessioni soprattutto con reti familiari eamicali. Secondo lo scenario più critico, invece, la tecnologia sarà diffusa ma in modoclusterizzato attraverso iniziative di carattere privato e utilizzata soltanto per il self‐help,mentreloscenariopiùprobabiledelineaunutilizzomoltodiffusodellatecnologiamaconfortidifferenzialitralediversecategoriedellapopolazione,basatosull’iniziativaprivataindividualee

Fonte: Elaborazione CERGAS da WEF, 2011

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9. INDICAZIONI DI POLICY PER IL CAMBIAMENTO DEL SISTEMA

Alla luce dei dati secondari presentati nel capitolo 4 e dei dati primari raccolti tramite questionario illustrati e interpretati nei capitoli 5-6-7, è emerso un forte gap tra i bisogni espressi dalla popola-zione e le risposte che il sistema pubblico offre attualmente per soddisfare tali esigenze.

La grave crisi economico-finanziaria che attraversa il Paese e l’Europa tende ad accentuare molte contraddizioni del welfare e rappresenta, quindi, un’occasione per riflettere e intervenire su as-setti istituzionali e organizzativi, sulla suddivisione delle risorse e dei compiti, sulle politiche e sui servizi. Questa azione può e deve essere condotta sia a livello locale che nazionale. Il livello locale può precedere e anticipare i processi di riforma e riorganizzazione, anche perché i tempi di cam-biamento del contesto nazionale potrebbero risultare più lunghi e, in ogni caso, un intervento a li-vello centrale rappresenterebbe comunque solo un primo passo, di facilitazione, di una azione che comunque dovrebbe poi essere condotta localmente. È ormai chiaro, infatti, quale sia la traiettoria di cambiamento della società e si vuole in questa sede provare a tracciare delle linee guida utili al sistema di welfare per andare incontro al cambiamento e rispondere, quindi, alle nuove esigenze di una società che muta continuamente.

Sulla base dei dati e delle osservazioni sugli scenari attesi del sistema di welfare regionale raccolti in questo volume, si propongono delle linee guida per il cambiamento del sistema.

9.1. VERSO UN SISTEMA UNIVERSALISTAUna prima linea guida verso il cambiamento potrebbe essere quella di estendere il sistema di welfare pubblico a tutta la popolazione, offrendo servizi a pagamento in funzione del reddito. Il sistema di welfare così come oggi disegnato, infatti, offre servizi gratuitamente a coloro che ma-nifestano un bisogno più urgente nelle aree di intervento tradizionali dove, come si è dimostrato nei capitoli precedenti, il tasso di copertura è lontano da una concezione universalista. Il sistema oggi eroga trasferimenti oppure offre servizi secondo due logiche principali: quella “assicurativa”, legata alla necessità da parte dei cittadini di contribuire con la fiscalità per potere eventualmente beneficiare di prestazioni nel momento del bisogno, e la logica secondo cui i servizi devono essere gratuiti e universali per tutti coloro che manifestano un diritto riconosciuto come esigibile (Ferrera, Fargion, Jessoula, 2012). Questa impostazione ha portato il sistema ad avere dei tassi di copertura del bisogno come quelli descritti nel capitolo 4 (si veda, al proposito, il paragrafo 4.3), mentre la crisi della finanza pubblica e l’aumento di bisogni emergenti non lasciano intravedere traiettorie di miglioramento nell’ottica di una crescita di tali tassi di copertura. Ciò implica la necessità di un grande sforzo da parte del sistema pubblico nel definire le priorità sociali su cui intervenire e, di conseguenza, nel determinare quali siano i casi che rimangono in carico alle famiglie o ad altre forme di assistenza non finanziate con risorse pubbliche. Il rischio è che l’attuale sistema di wel-fare tenda a prendere in carico prioritariamente chi è riuscito a trasformare le proprie necessità in domanda esplicita di servizi, mentre le fragilità estreme corrono il rischio di essere escluse perché incapaci di trasformare il bisogno in domanda.

Si può quindi estendere il concetto di universalismo anche al settore sociale e socio-sanitario: così come sono universali i servizi sanitari ed educativi, anche il settore sociale può tendere a questo principio. Per esempio, si potrebbero progettare servizi di condivisione della baby-sitter, della assistente familiare o di back up di questi prestazioni, per le quali si preveda che l’attore pubblico garantisca la qualità, facendo pagare su basi reddituali e patrimoniali, sviluppando in tal modo una reale logica universalistica e al contempo redistributiva.

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L’universalismo sarebbe così protettivo rispetto alla qualità dei servizi, non solo a garanzia dei segmenti più fragili ma anche per la società nel suo complesso, che risulterebbe potenzialmen-te più equa, sicura e inclusiva. Sarebbe inoltre possibile sviluppare servizi in grado di sostenersi economicamente da soli in aree di bisogno tradizionalmente scoperte dal sistema di welfare: counseling per la gestione delle separazioni, soluzioni per la conciliazione vita-lavoro, iniziative per un coinvolgimento attivo dei silver age, monitoraggio della fragilità. Nei fatti, l’obiettivo è quello di trasformare il settore sociale in un sistema di servizi alle persone e alle famiglie come già succede nel settore educativo.

9.2. RICOMPOSIZIONE DELLA DOMANDA DI SERVIZIDai dati raccolti nel corso della ricerca è emerso un sistema fortemente frammentato, all’interno del quale le famiglie operano in un contesto di isolamento. È quindi importante sviluppare servizi che aggreghino la domanda e ricompongano le reti sociali, quali ad esempio l’assistente familiare di condominio o il counseling a gruppi di genitori separati. Una assistente familiare in comune per più anziani, infatti, permette di riconnettere tra di loro gli utenti e le loro famiglie, oltre al beneficio economico derivante dalla possibilità di condividere anche le spese per il servizio fruito.

L’evidenza che la fragilità nella società odierna sia connessa tanto al disagio economico quanto all’impoverimento dei contatti sociali all’interno della comunità, dovrebbe stimolare la creazione di setting di assistenza e servizi che stimolino la produzione di nuove reti tra le persone che be-neficiano di tali servizi. Ad esempio, un sistema strutturato e pluralista di attività ludico-culturali per tutti i bambini nel lungo periodo delle vacanze estive, basato sull’aggregazione della domanda, risolverebbe grossi problemi di conciliazione vita-lavoro oggi completamente delegati alla capacità ricompositiva delle famiglie, le quali cercano di ovviare al problema con l’acquisto di settimane di campus estivo con scarsi o nulli meccanismi redistributivi del reddito. Ogni servizio di welfare po-trebbe essere basato sul principio per cui la cura/assistenza viene offerta in modalità condivisa a più individui e famiglie, generando connessioni e reti sociali, cercando di valorizzare le risorse disponibili nel singolo individuo, nella famiglia e nella comunità (Fosti et al. 2013).

9.3. CREAZIONE DI NUOVE RETI E WELFARE COMUNITARIOGli individui e le famiglie sono sempre più isolati e si sentono più soli, come emerge anche dai risul-tati dei questionari raccolti. Buona parte dei meccanismi sociali emergenti sono completamente a carico delle famiglie che attivano autonomamente sistemi interni di sostegno e di socializzazione. Ogni famiglia in modo autonomo e isolato, organizza le proprie funzioni di assistenza: ognuno a casa con la baby-sitter, l’assistente familiare, solo e diffidente verso il resto della comunità. È ne-cessario riattivare processi di ri-aggregazione sociale, sviluppare reti tra individui e famiglie, dove forme di condivisione dei servizi di cura determinano già parte della soluzione ai problemi.

Un approccio simile può essere reso possibile sviluppando piattaforme di incontro sia fisiche sia virtuali, che si autofinanziano, per promuovere la ricomposizione sociale e la rinascita di reti sociali, strategia su cui concentrarsi per poter riformare il sistema in una logica promozionale e inclusiva. Il focus dell’azione ricompositiva in questo senso non deve essere posto sul target del servizio (ovve-ro sulla categoria di utenti), bensì sull’attività che la piattaforma sponsorizza. Se il focus fosse posto sul target, infatti, si correrebbe il rischio di creare fin dall’inizio un effetto di auto-esclusione da parte di coloro che non vi si riconoscono, compreso l’effetto di “ghettizzare” gli individui appartenenti al target oggetto di interesse. Esempi che vanno in questa direzione sono centri culturali che, seppur pensati nello specifico per i silver age, pongano l’enfasi sull’attività culturale che promuovono più che sul target di utenti; oppure centri sportivi per minori stranieri dove il focus è sull’attività sportiva e non sulla categoria di utenti per cui il servizio è pensato e ,ancora, centri giovanili con focus sulla

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musica, sul teatro e il cinema. E’ possibile ipotizzare modeste forme di supporto finanziario conces-se a chi costruisca nuove reti in una logica di co-progettazione, a patto che il sostegno economico sia connesso allo sviluppo di logiche di valutazione del valore pubblico generato.

9.4. WELFARE DI INIZIATIVAIl nostro sistema di welfare è stato finora caratterizzato da un approccio di tipo riparatorio, inter-venendo laddove i problemi sono già in fase consolidata, se non acuta, invece che prevenirne il peggioramento. La progettazione di un sistema di welfare di iniziativa che interviene per prevenire la nascita di problemi sociali è possibile attraverso un più intenso e mirato utilizzo di sistemi infor-mativi già oggi disponibili e attraverso lo sviluppo di attività di natura preventiva e promozionale. I sistemi informativi che le istituzioni pubbliche hanno sviluppato e affinato negli anni, infatti, po-tenzialmente permettono una lettura dei bisogni in ottica predittiva, anche se le pratiche di utilizzo concreto in questo senso sono ancora rare e limitate a pochi contesti fortemente innovativi.

A titolo esemplificativo, si possono utilizzare database relativi ai ranking nominativi della fragilità (es. database con i percettori dell’indennità di accompagnamento) per individuare i bisogni della popolazione. Per risolvere un problema quale l’integrazione dei giovani nuovi italiani un approccio proattivo potrebbe consistere per esempio nello svolgimento di un assessment precoce del gap di competenze linguistiche che ne ritarda l’inserimento scolastico. Per la gestione della genitoriali-tà, soprattutto quando le coppie si separano, può essere utile la promozione proattiva di servizi o gruppi di mutuo aiuto per confrontare e condividere esperienze vissute e soluzioni trovate. Il silver age solo può essere avvicinato per proporgli una serie diversificata di occasioni di incontro e di attività con altri coetanei, a sfondo puramente ricreativo o di volontariato attivo.

La lettura del bisogno in ottica preventiva permetterebbe inoltre di superare la logica prestazionale a favore di modelli di presa in carico “leggera” degli individui, perché il sistema informativo che rileva l’indicatore di bisogno o di fragilità orienta i servizi ad un approccio globale, limitando così il fenomeno dei servizi che cercano di “scaricarsi” utenti a vicenda, allo scopo di contenere attività e risorse impiegate (Fosti et at. 2013).

9.5. TECNOLOGIE CONNETTIVE E NUOVI PROFILI DI CONSUMOLa tecnologia può giocare un ruolo importante nel passaggio ad un nuovo modello di welfare. Esistono infatti diversi profili di utilizzo di tecnologie e social media e l’attore pubblico è chiamato a decidere su quali puntare con priorità. La tecnologia dei social media può giocare una funzione principale di connettore tra persone: per esempio si possono creare reti tra silver age per diffon-dere eventi aggreganti, banche del tempo o gruppi di mutuo aiuto per famiglie con persone a carico. I social media possono poi aiutare a sviluppare nuovi servizi senza rilevanti costi aggiuntivi per gli attori pubblici: in questo senso strumenti quale Facebook possono essere utili per creare gruppi per i NEET in cui si promuovono corsi, stage, attività di volontariato. Essi possono svolgere anche una funzione di self- help: i medical device domiciliari generano empowerment e possono sostituire in alcuni casi la presenza fisica costante dell’assistente familiare. La tecnologia può anche servire come strumento per connettere i servizi tra loro e renderne più snello l’accesso: un esempio può essere la parziale sostituzione degli sportelli fisici con piattaforme virtuali in cui è possibile richiedere l’assistenza a domicilio a ore. La tecnologia può inoltre essere usata dagli attori pubblici in ottica di creazione di setting di discussione e dibattito sulle policy: ad esempio si possono creare delle community in cui raccogliere i pareri dei cittadini o sensibilizzarli rispetto ad alcuni temi di particolare interesse. Il ruolo del settore pubblico può quindi essere quello di promotore iniziale nelle connessioni tra le persone, creando e favorendo l’avvio dei setting virtuali di incontro, e di redattore permanente per quanto riguarda i successivi profili di utilizzo e manu-

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tenzione della tecnologia. È ovviamente fondamentale decidere quali siano i target prioritari su cui puntare: i NEET sono sicuramente una categoria che utilizza la tecnologia e che ha pratica con i social network, così pure i silver age ancora abbastanza giovani e capaci di usare gli strumenti informatici. In subordine si potrebbero offrire servizi basati sulla tecnologia anche ai fragili, ad altre categorie di giovani e alle famiglie.

Queste azioni vanno condotte accettando che gli esiti nello sviluppo delle reti sono emergenti, di-namici, imprevedibili e spesso non controllabili, motivi per cui sarà necessario spostare l’enfasi dal controllo sugli esiti del processo alla regolazione di setting e piattaforme di connessione che, se funzionano, alimentano da soli il ricrearsi di capitale sociale fra gli utenti connessi mettendoli in rete.

9.6. RIALLOCAZIONE DELLA SPESABisogna tenere conto che nei prossimi anni le risorse pubbliche, dato il periodo di crisi, difficil-mente aumenteranno e, anzi, potrebbero diminuire. Inoltre, come abbiamo già visto nel capitolo 4 (paragrafo 4.4), oltre i due terzi delle risorse per la riproduzione sociale, seppur di provenienza pubblica, sono già nella disponibilità diretta delle famiglie. Questo fa nascere l’esigenza di ricom-porre le risorse pubbliche e private chiedendo una nuova e diversa compartecipazione economica ai cittadini per ampliare la platea degli utenti in una logica universalistica.

Riorientare il welfare sui bisogni emergenti richiede perciò di riallocare la spesa da alcune aree verso altre. Più in particolare, ci sono delle aree in cui è prioritario aumentare la risorse perché quelle attuali non sono in grado di dare risposta ai reali bisogni. La crisi che ormai da anni sta inte-ressando tutti i settori economici sta cambiando la struttura sociale aumentando la polarizzazione e questo richiede un primario intervento di rimodulazione della spesa pubblica. L’aumento della di-soccupazione richiede uno sforzo delle finanze pubbliche soprattutto in investimenti sulle politiche attive per i giovani che fanno fatica ad entrare nel mondo dei lavoro, per coloro che hanno perso lavoro e hanno difficoltà a trovarne un altro (attraverso, per esempio, programmi di riqualificazio-ne professionale di counseling e matching domanda-offerta). Un altro intervento che necessita dell’impiego di maggiori risorse è quello sulle povertà assolute, fenomeno in forte crescita. È poi importante dedicare risorse ai NEET, che ormai rappresentano il 15% dei giovani e sui cui bisogna investire in quanto sono una grande risorsa potenziale per il Paese, mentre rischiano di diventare, all’opposto, un grande problema collettivo. Dato che in queste aree è prioritario intervenire ma è anche necessario rispettare il vincolo sulle risorse pubbliche, si può pensare di chiedere mag-giore compartecipazione ad anziani non autosufficienti, anziani fragili (ad esempio nuovi servizi “leggeri” a pagamento) e ai disabili adulti (in particolare per i servizi accessori). Le scelte di com-partecipazione devono essere pensate sulla base del reddito e del patrimonio familiare, tenendo in considerazione il supporto sociale esistente. Ci sono poi bisogni come quelli dei silver age che possono essere soddisfatti anche senza l’impiego di risorse pubbliche perché si possono ideare ed attivare iniziative di autofinanziamento. In questo caso il pubblico sarà chiamato a svolgere il ruolo di regista e garante della qualità del servizio. L’area minori richiede invece una rimodulazione dei servizi, soprattutto spostando risorse da interventi puramente riparatori verso attività di natura più promozionale.

9.7. EVOLUZIONE DEL RUOLO DI COMMITTENTI E PRODUTTORI

Il committente pubblico gioca un ruolo fondamentale per il pooling delle risorse in mano ai diversi Enti locali e per la ricomposizione dei budget sociali e socio sanitari. L’eliminazione dei vincoli allo-cativi attualmente previsti per ambito di policy e la costruzione di un gate unico di accesso ai servi-

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zi controllato da un solo soggetto pubblico che abbia responsabilità diretta sul budget potrebbero essere ipotesi importanti per pensare un nuovo sistema di welfare. Per quanto riguarda invece il ruolo dei produttori, il punto centrale è lo spostamento della competizione “per il mercato” dei bandi pubblici al mercato dei servizi per le famiglie. Spesso, infatti, sia le cooperative sia le impre-se for profit operano quasi esclusivamente nel mercato della committenza pubblica, partecipando alle gare pubbliche e non offrendo servizi sul mercato privato. Sarebbe così incentivata l’erogazio-ne di nuovi servizi alle famiglie che attualmente ricorrono al mercato informale per rispondere ai loro bisogni con servizi che aggreghino la domanda (offrendo per esempio delle assistenti familiari di condominio, baby-sitter per più famiglie, organizzando un centro estivo per i bambini o vacanze/viaggi per gruppi di silver age). In una logica di mercato, tali servizi potrebbero essere customizzati e resi flessibili per essere adattati al bisogno di ogni utente: per esempio, si potrebbe offrire un care giver domestico a ore, il backup del care giver e si potrebbe fare counseling alle famiglie per impostare l’assistenza domestica nelle situazioni di fragilità.

Date le vaste dimensioni del mercato informale, i produttori possono avere un ruolo importante come aggregatori dei care giver, formalizzando il loro ruolo e permettendogli al contempo di eroga-re servizi a maggior valore. È opportuno che i produttori allarghino il portafoglio di offerta dei servi-zi per rispondere ai nuovi bisogni emergenti attivando, per esempio, programmi per la mediazione per le separazioni, per la connessione tra silver age o di tele-assistenza nei casi di utenti fragili.

Possono essere poi gli stessi produttori ad animare le piattaforme di connessione tra gli utenti e tra utenti ed erogatori dei servizi. Bisogna sottolineare che la politica sociale finisce per implicare scelte di politica industriale, quali decisioni sull’occupazione e sulle risorse, e dovrebbe essere pensata sull’effettivo mercato complessivo, anche oltre le risorse pubbliche disponibili. Così i piani di vita, di cura e di assistenza individualizzati (PIVEC e PAI) devono essere costruiti sull’effettivo bisogno manifestato dall’utente e non solo in base alle risorse che il sistema pubblico è in grado di mettere e disposizione. È quindi importante rendere evidente quali siano i nuovi servizi necessari per poter rispondere ad una domanda di bisogni oggi esistenti ma che non trovano un mercato: in tal senso l’attore pubblico potrebbe accompagnare i produttori, stimolandoli a generare un merca-to di servizi per i bisogni emergenti.

9.8. CENTRALITÀ DEI PROFESSIONISTI NEL SETTORE SOCIALELa leva decisiva per la qualità dei servizi coincide con la qualità degli operatori e lo sviluppo delle loro competenze. Consapevole di questa relazione, la Regione Emilia-Romagna ha investito mol-tissimo su questo aspetto costruendo un robusto e diffuso sistema di competenze. Perché possa avvenire un cambio paradigmatico del sistema è necessario che le figure professionali abbiano le competenze adeguate al nuovo modello di welfare. Questo necessita di un arricchimento del portafoglio di competenze delle figure professionali esistenti e di una parziale riconfigurazione degli approcci finora seguiti, abbinando a percorsi di formazione, sperimentazioni, studi, ricerche e meccanismi di benchmarking inter-organizzativi. Bisogna quindi dare centralità al cambiamento della “cultura dei servizi”, in senso più ricompositivo e universalistico. In una logica bottom-up, è importante che il cambiamento coinvolga a fondo gli operatori sul versante professionale, non essendo sufficiente un cambio di normativa/direttive che sconterebbe fenomeni di resilienza inde-bolendo gli sforzi per il cambiamento.

9.9. POSSIBILI DRIVER DI CAMBIAMENTOL’ipotesi di un mutamento così profondo come quello prospettato necessita di attivare i driver per rendere effettivo il cambio di paradigma del sistema di welfare. In primo luogo è necessario che diventi politicamente centrale il tema della soddisfazione universalistica del bisogno rilevato

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epidemiologicamente e statisticamente e dello studio approfondito dei relativi tassi di copertura. Bisogna quindi fare i conti con i reali tassi di copertura dei bisogni che si attestano circa al 30% per i servizi tradizionali (anziani e disabili) e a valori più bassi se si guarda agli altri servizi. I piani assistenziali devono essere costruiti sugli effettivi bisogni degli utenti e non solo in funzione delle risorse pubbliche disponibili. In un periodo di ristrettezza economica come quella degli ultimi anni, è infatti evidente che le risorse pubbliche per i servizi non possano aumentare: bisogna rendere consapevoli di questo anche gli utenti dei servizi chiedendo loro, quando possibile, una comparte-cipazione e identificando il reale bisogno che esprimono, evidenziando in quale misura il sistema pubblico possa compartecipare alla spesa. Solo così si possono offrire servizi a pagamento a tutti, anche alle fasce di popolazione che non sono mai state ricomprese fra i target destinatari di servizi pubblici, in funzione redistributiva: ognuno partecipa in funzione del proprio reddito e patrimonio, in modo tale che chi ha più possibilità aiuta chi invece ne ha meno.

Appare quindi necessaria una ricomposizione di un sistema ad oggi frammentato ed è fondamen-tale decidere chi svolgerà il ruolo di connettore, ossia il soggetto che avrà il compito di aggregare la domanda, ricomporre la geografia dei produttori e facilitare l’incontro tra domanda e offerta. È auspicato che questo ruolo di broker venga ricoperto dall’attore pubblico, che è l’unico che ga-rantisce, per sua stessa mission, la tutela e lo sviluppo dell’universalismo. Qualora il pubblico non agisca in tale direzione questo spazio e questa possibilità potrebbero essere sfruttati da altri attori, quali le cooperative di consumo, le mutue territoriali o le cooperative di produzione socio sanita-ria, che però hanno minori possibilità di garantire l’universalismo. Nel caso in cui nessuno ricopra il ruolo di broker, il sistema rimarrà inevitabilmente frammentato e caratterizzato da decrescenti livelli di coesione sociale ed equità. È auspicabile quindi un intervento dell’attore pubblico ora che ci sono ancora tanti possibili spazi di manovra e si può godere del vantaggio della prima mossa nel confronto con gli altri sistemi regionali.

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10. MAPPATURA DELLE BUONE PRATICHE DIINNOVAZIONE SOCIALE

Sulla base degli indicatori condivisi nel processo di definizione e raccolta dati del Progetto, si è in-fine deciso di mappare le buone pratiche di innovazione già utilizzate nell’ambito dei servizi sociali e socio-sanitari, con particolare riferimento alle esperienze in atto sul territorio regionale.

10.1. CRITERI PER L’INDIVIDUAZIONE DELLE BUONE PRATICHEL’obiettivo è stato quello di riconoscere e dare visibilità, nell’ottica di diffonderle e favorirne la replicabilità, a quelle esperienze di area vasta, regionali ed anche extraregionali (se valutate di par-ticolare interesse per il contenuto di innovazione), che sono state intraprese da soggetti pubblici e privati, profit o non profit.

Sono stati oggetto della mappatura i progetti di innovazione sociale che:

A) PERSEGUONO UNO O PIÙ DEI SEGUENTI CINQUE OBIETTIVI■ Incentivare l’universalismo nella fruizione dei servizi sociali, socio-sanitari ed educativi. Il si-

stema di welfare si pone l’obiettivo di essere universalistico, nel senso che si prefigge di darerisposta ai bisogni della popolazione nella sua interezza. Spesso però la scarsità delle risorsea disposizione e la difficoltà con cui i bisogni si traducono in domanda di servizi rendono l’uni-versalismo di difficile realizzazione. Progetti che incentivano l’universalismo sono quelli che sipongono l’obiettivo di estendere l’accesso ai servizi di welfare alla popolazione nel suo com-plesso, ad esempio offrendo nuove tipologie di servizi a pagamento, prima non erogati, a tuttii segmenti della popolazione con tariffe proporzionali alla capacità di reddito e patrimoniale.

■ Ricomporre la domanda di servizi sociali, socio-sanitari ed educativi. Spesso i servizi di welfaresono frammentati, conseguentemente la domanda tende a essere individuale. Questo creainiquità nell’accesso ai servizi e limita la possibilità per il welfare di alimentare le reti socialitra persone. Progetti che ricompongono la domanda tendono perciò ad aggregare diversepersone attorno a un servizio (ad es. care giver informale condominiale, o baby sitter per unamolteplicità di bambini e famiglie) oppure aggregano più servizi per la stessa famiglia/utente.

■ Creare reti tra persone o luoghi di connessione sociale. Progetti inclusi in questa categoria nonsi pongono l’obiettivo di erogare servizi, ma di creare spazi di incontro in cui diverse categoriedi persone possano incontrarsi ed eventualmente accedere o co-progettare luoghi di fruizionecongiunta (cultura o leasure), meccanismi di share economy o servizi e risposte comuni ai lorobisogni. In questi progetti il cittadino è visto come risorsa sociale il cui potenziale può esserevalorizzato proprio riconnettendo persone e situazioni tra di loro, generando processi di em-powerment individuali e collettivi. Progetti che incentivano reti includono sia la creazione diluoghi/opportunità fisici che virtuali di incontro.

■ Welfare di iniziativa ovvero progetti di welfare proattivo che coinvolgano la comunità, cercandodi agganciare i cittadini che abitualmente non si presentano ai Servizi, secondo modalità inno-vative e prevedendo forme di partecipazione attiva. I progetti di quest’area valorizzano ancheil lavoro di chi già oggi si dedica ad una attività predittiva di censimento e monitoraggio riguar-dante potenziali utenti “a rischio”, cercando di anticiparne la fase critica e cronica. Fra i targetpiù esposti ricordiamo: anziani fragili, famiglie con minori a carico e necessità di conciliazionevita lavoro, giovani di origine straniera e/o di seconda generazione, coppie che si separano, etc.

■ Utilizzare la tecnologia per finalità ricompositive o di connessione tra persone o tra persone e

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servizi. La tecnologia ha un utilizzo ormai diffuso in sanità, mentre è impiegata solo marginal-mente per i servizi sociali, socio-sanitari ed educativi, o come piattaforma di connessione di comunità. Ma la tecnologia offre importanti opportunità per ricomporre la domanda di servizi (es. un operatore che si interfaccia in remoto con più utenti) e per creare opportunità di con-nessione sociale (es. una piattaforma che consenta ai “silver age” di animare la loro comunità e di organizzare eventi comuni).

B) PRESENTANO TUTTI I REQUISITI RICHIESTI■ Tipologia di progetto - Il progetto deve: (a) essere un progetto/esperienza di carattere locale

(condominio, quartiere, comune, area vasta) e non di carattere regionale o nazionale;

■ Target di utenza - Una o più delle seguenti categorie di utenti: NEET, “silver age” (anziani 65-75 anni), anziani non autosufficienti, disabili, minori, famiglie, nuovi italiani, adulti in difficoltà,povertà ed esclusione sociale, disoccupati, persone/famiglie costrette a forme di mobilità ge-ografica per motivi economici o professionali;

■ Soggetto proponente - Qualsiasi soggetto di natura pubblica o privata o non-profit (es. fonda-zioni, cooperative, associazioni di promozione sociale, organizzazioni di volontariato, gruppi difamiglie o di singoli cittadini) che abbia nella propria mission una finalità di pubblico interesse;

■ Stato del progetto - il progetto deve essere stato attivato da almeno 12 mesi e deve esserestato effettuato un primo monitoraggio di valutazione delle attività.

10.2. PROGETTI SELEZIONATILa mappatura, cominciata ufficialmente a fine giugno con scadenza prevista per metà settembre 2014, è stata diffusa tramite apposito format sull’intero territorio regionale fra i soggetti poten-zialmente interessati a candidarsi (nel settore pubblico, privato e nel terzo settore). Quarantotto (48) i progetti di innovazione sociale che, in quanto rispondenti ai criteri di selezione esposti nel paragrafo precedente, sono stati ammessi alla mappatura ed analizzati nel dettaglio, così suddivisi per area di provenienza:

■ 26 area vasta centro Emilia;

■ 20 territorio regionale;

■ 2 territorio extra-regionale.

Precisando che ciascun progetto può perseguire più obiettivi ed interessare più target di destina-tari contemporaneamente, si riporta in questa sede (nei due grafici che seguono) una trattazione sintetica delle principali caratteristiche evidenziate dai progetti analizzati:

■ fra i cinque macro obiettivi richiesti per candidarsi alla mappatura quelli che hanno contraddi-stinto più progetti sono stati “creare reti tra persone” (29 progetti) e “welfare di iniziativa” (28progetti): prioritarie quindi le necessità di ricomporre capitale sociale e di anticipare le situazio-ni di disagio/fragilità/non autosufficienza prima di un definitivo aggravamento; azioni per altrostrettamente collegate, soprattutto laddove l’azione intrapresa per mettere in rete le personeè al contempo un modo per evitare che il bisogno del singolo si aggravi e/o cronicizzi;

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Figura 40 - Progetti di innovazione sociale: obiettivi perseguiti

dato certamente significativo anche quello che emerge dalla numerosità dei diversi target cui i pro-getti sono destinati: al primo posto le famiglie, seguite da situazioni di povertà/esclusione sociale e dagli adulti in stato di difficoltà (economica, lavorativa, abitativa, etc…). Ciò sembra indicare un marcato spostamento dai target più tradizionali e storicamente più consolidati: va detto che disa-bili (soprattutto), minori e anziani non autosufficienti risultano comunque presenti e in misura non marginale, però indubbiamente i principali fenomeni demografici, economici e sociali in atto hanno forte incidenza sulla progettazione sociale, ancor più se innovativa come nel caso della mappatura condotta.

Figura 41 - Progetti di innovazione sociale: target di destinatari 102

− fra i cinque macro obiettivi richiesti percandidarsi allamappatura quellichehannocontraddistinto più progetti sono stati “creare reti tra persone” (29 progetti) e“welfare di iniziativa” (28 progetti): prioritarie quindi le necessità di ricomporrecapitale socialeedi anticiparelesituazioni di disagio/fragilità/nonautosufficienzaprima di un definitivo aggravamento; azioni per altro strettamente collegate,soprattutto laddove l’azione intrapresa per mettere in rete le persone è alcontempo un modo per evitare che il bisogno del singolo si aggravie/o cronicizzi;

Figura 40‐Progetti di innovazione sociale: obiettivi perseguiti

0 5 10 15 20 25 30

UTILIZZARETECNOLOGIE

RICOMPORREDOMANDA

INCENTIVAREUNIVERSALISMO

WELFARE INIZIATIVA

CREARE RETI

103

− dato certamente significativo anche quello che emerge dalla numerosità deidiversitargetcui i progetti sono destinati: al primo posto le famiglie, seguite da situazionidi povertà/esclusione sociale e dagli adulti in stato di difficoltà (economica,lavorativa,abitativa,etc…).Ciòsembraindicareunmarcatospostamento dai targetpiùtradizionali e storicamentepiùconsolidati: vadetto chedisabili (soprattutto),minori e anzianinon autosufficienti risultano comunquepresentie inmisuranonmarginale, però indubbiamente i principali fenomeni demografici, economici esociali in atto hanno forte incidenza sulla progettazione sociale, ancor più seinnovativacomenelcasodellamappaturacondotta.

Figura 41‐Progetti di innovazione sociale: target di destinatari

0

5

10

15

20

25

30

FAMIGLIE

POVERTA'/ESCLUSIO

NE SOCIALE

ADULTI IN DIFF

ICOLTA'

DISABILI

MINORI

DISOCCUPATI

SILVER AGE

ANZIANI NON AUTO

NEET

NUOVI ITALIA

NI

MOBILITA' G

EOGRAFICA

Fonte: Elaborazione Azienda USL di Bologna su banca dati "Mappatura buone pratiche Innovazione Sociale"

Fonte: Elaborazione Azienda USL di Bologna su banca dati "Mappatura buone pratiche Innovazione Sociale"

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CONTRIBUTI E RINGRAZIAMENTISi desidera ringraziare tutti coloro che hanno contribuito alla ideazione, allo sviluppo e alla rea-lizzazione del Progetto “Scenari futuri del welfare” e reso così possibile la descrizione sintetica dell’attività che ne è scaturita, contenuta in questo volume.

Ripercorrendo l’ordine dei contenuti, si rivolge quindi un particolare ringraziamento:

■ ai professionisti dei Comuni coinvolti, ed in particolare ai Servizi Statistici e Demografici, per il contributo fornito nell’individuazione e nella elaborazione del campione delle famiglie cui sot-toporre il questionario “Famiglie con figli 0-10 anni”:

Franco Chiarini, Gianni Sgaragli e Chris Tomesani, Comune di Bologna

Antonella Guizzardi e Massimo Farnè, Comune di Casalecchio di Reno

Alessandra Giacometti, Viviana Giacometti e Vincenzo Taroni, Comune di Castel S.Pietro T.

Ilaria Bovina, Riccardo Fabbri, Chiara Fortini, Elena Poschi e Roberta Sarti, Comune di Cento

Caterina Malucelli, Comune di Ferrara

Daniela Borzatta e Walter Laghi, Comune di Imola

Cinzia Bellini, Marveno Brina e Roberta Marani, Comune di Migliarino

Lorenzo Sarti, Comune di San Giovanni in Persiceto

Cristina Pedrini, Comune di Vergato

■ ai partecipanti ai 5 Focus Group, per il contributo fornito nella costruzione e nella votazione degli scenari futuri:

FOCUS GROUP “AMMINISTRATORI DEGLI ENTI LOCALI”

Cristina Baldazzi, Comune Castel San Pietro Terme

Andrea Bottazzi, Comune Baricella

Sonia Camprini, Comune San Giovanni in Persiceto

Amelia Frascaroli, Comune Bologna

Simone Gamberini, Comune Casalecchio di Reno

Sabina Mucchi, Comune Migliarino

Samuela Pamini, Comune Argenta

Laura Pozzoli, Comune Pieve di Cento

Luca Rizzo Nervo, Comune Bologna

Nicola Rossi, Comune Copparo

Chiara Sapigni, Comune Ferrara

Vanna Verzelli, Comune Fontanelice

Roberto Visani, Comune Imola

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FOCUS GROUP “TECNICI DEGLI ENTI LOCALI”

Cristiano Benetti, Azienda Speciale Servizi alla Persona Copparo

Lucia Bergamini, Comune Ferrara

Gianluigi Bovini, Comune Bologna

Monica Brandoli, Comune Bologna

Maria Grazia Ciarlatani, ASP Circondario Imolese

Gabriella Cioni, Comune Bologna

Raul Duranti, Comune San Pietro in Casale

Annalisa Faccini, Comune Bologna

Roberta Garimberti, Distretto Pianura Est – Azienda USL Bologna

Anna Rita Iannucci, Comune Bologna

Maria Cristina Lenzi, Comune San Lazzaro di Savena

Elena Magnani, Comune Marzabotto

Maria Adele Mimmi, Quartieri Borgo Panigale e Reno - Comune Bologna

Alberto Mingarelli, Distretto San Lazzaro di Savena – Azienda USL Bologna

Michele Peri, ASC InSieme

Gilberta Ribani, ASP Circondario Imolese

Lorenzo Sarti, Comune S. Giovanni in Persiceto

Gina Simona Simoni, Quartieri San Donato e San Vitale - Comune Bologna

Graziano Vecchiattini, Comune Codigoro

Mauro Zuntini, Comune Cento

FOCUS GROUP “PRODUTTORI DI SERVIZI SOCIALI E SOCIO-SANITARI”

Giordano Barioni, Città del Ragazzo Ferrara

Irene Bruno, ANASTE Bologna – Residenza I Platani

Michela Burattini, Consorzio Cooperative Sociali SOL.CO. Imola

Tommaso Calia, ASP Poveri Vergognosi

Leonardo Callegari, Cooperativa Sociale C.S.A.P.S.A.

Cristiano Capisani, Società Cooperativa CIDAS

Fabio Cavicchi, Fondazione Santa Clelia Barbieri

Renato Cesario, Associazione ANFFAS Bologna

Maria Grazia D’Alessandro, CEFAL Bologna

Giuliano Fasolino, Residenza Quisisana Ostellato

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Carla Ferrero, Cooperativa Sociale Società Dolce

Alfonso Galbusera, ASP Giovanni XXIII

Franca Guglielmetti, Cooperativa Sociale CADIAI

Stefano Iseppi, Cooperativa Sociale Elleuno

Claudia Mazzucca, Fondazione Plattis

Giovanni Mengoli, Società Il Pettirosso - Consorzio CEIS

Maurizio Pesci, ASP Centro Servizi alla Persona

Maria Grazia Polastri, ASP Galuppi-Ramponi

Giacomo Sarti, CEFAL Bologna

Elisabetta Scoccati, ASC InSieme

Raffaella Stiassi, ASP Circondario Imolese

Alessandro Tortelli, Associazione Piazza Grande

Gaspare Vesco, Associazione ANFFAS Bologna

FOCUS GROUP “OPINION LEADER DEL TERRITORIO”

Sandro Arnofi, CGIL Ferrara

Nando Balboni, CISL Ferrara

Don Domenico Bedin, Associazione Viale K Ferrara

Chiara Bertolasi, Forum Terzo Settore Ferrara

Paolo Bosi, Università di Modena e Reggio Emilia

Renzo Bussi, Fondazione Santa Caterina

Carlo Castelli, Comune Budrio

Tiziana Dal Pra, Associazione Trama di Terre

Flavia Franzoni, Università di Bologna

Lalla Golfarelli, CNA Emilia-Romagna

Gino Mazzoli,Studio Praxis Reggio Emilia

Anna Maria Nasi, Consulta per la lotta all’esclusione sociale – Comune di Bologna

Daniela Oliva, IRS - Istituto per la Ricerca Sociale

Mario Peppi, AUSER Imola

Emilio Porcaro, Centro Territoriale Permanente Besta Bologna

Antonella Raspadori, CGIL Bologna

Monica Bravi, Gruppo GD - Hospice Seragnoli

Raffaele Tomba, ANCI Emilia-Romagna - Lega Autonomie

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FOCUS GROUP “STAFF TECNICO PROVINCIALE DELLA CTSS DI BOLOGNA E IMOLA”

Giovanni Agrestini, Azienda USL Bologna

Stefania Baldi, Ufficio di Supporto CTSS Bologna

Francesco Bertoni, Ufficio di Piano Provinciale

Annalisa Carassiti, Ufficio di Supporto CTSS Bologna

Maria Cristina Cocchi, Azienda USL Bologna

Rita Cornetto, Ufficio di Supporto CTSS Bologna

Anna Del Mugnaio, Ufficio di Supporto CTSS Bologna

Massimiliano Di Toro Mammarella, Ufficio di Piano Casalecchio di Reno

Raul Duranti, Ufficio di Piano Pianura Est

Annalisa Fanini, Ufficio di Piano Porretta Terme

Simona Ferlini, Ufficio di Supporto CTSS Bologna

Ilaria Folli, Provincia di Bologna

Chiara Lambertini, Ufficio di Piano Provinciale

Paride Lorenzini, Ufficio di Piano Imola

Giovanna Manai, Azienda USL Bologna

Nadia Marzano, Ufficio di Piano Pianura Ovest

Monica Minelli, Azienda USL Bologna

Alberto Mingarelli, Azienda USL Bologna

Rita Paradisi, Provincia di Bologna

Alice Scagliarini, Azienda USL Bologna

Catia Stefano, Ufficio di Piano San Lazzaro di Savena

Rita Tinti, Azienda USL Bologna

Chris Tomesani, Ufficio di Piano Bologna

Maria Cristina Volta, Provincia di Bologna

Sabina Ziosi, Azienda USL Bologna

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■ a tutti i soggetti istituzionali che hanno presentato il proprio progetto di innovazione sociale nell’ambito della mappatura delle buone pratiche:

Progetto Soggetto proponente

A.A.A. - Adozione Affido Accoglienza Azienda USL di Bologna

Area lavoro CNA Associazione Imola

Area 15 - Servizio rivolto a giovani adulti consumatori Open Group Cooperativa Sociale

Badando ASC InSieme - Azienda Speciale Consortile Valli Reno, Lavino e Samoggia

Bottega dei servizi - Start-up impresa cooperativa Bottega dei Servizi Società Cooperativa

Case Zanardi Istituzione per l’inclusione sociale e comunitaria “Don Paolo Serra Zanetti” - Comune di Bologna

Centro anziani e bambini insieme Cooperativa Sociale UNICOOP

Coraggio: insieme si può “Coraggio: insieme si può” Associazione di Promo-zione Sociale

Cresciamo Insieme - Progetto di convivenza di mamme sole con bambini Unione Terre di Castelli

Dalla Fondazione di Partecipazione alla partecipazione per il bene pubblico: un percorso comunitario per contrastare la fragilità sociale

Comune di Ferrara e Azienda USL di Ferrara - Distret-to Centro Nord

DreamLAN: una rete per curarsi di chi cura Associazione Parkinson Modena

Esercizio vita Cooperativa Sociale Esercizio Vita

FilalaLana Laboratorio - Fattoria Sociale Azienda USL di Bologna - Distretto di Porretta Terme

Il lavoro e la sofferenza delle donne Azienda USL e Provincia di Ferrara

In C’Entro - Progetto sperimentale di inclusione sociale rivolto a persone in condizioni di fragilità Unione Terre di Castelli e Comune di Spilamberto

Info-BO Opera dell’Immacolata Comitato Bolognese per l’Integrazione Sociale

Insieme a noi Cooperativa “Insieme per l’integrazione e bilingui-smo”

Interventi con approccio multi dimensionale e di rete al disagio psichico con età pediatrica e adolescenziale Cooperativa Sociale Nivalis

La spesa solidale Comune di Colorno

Laboratori della solidarietà sociale Comune di Casalecchio di Reno

Mai Soli Cooperativa Sociale Arcobaleno 2 Modena

Making your opportunity in tablet Cooperativa Sociale Il Girasole

Mani in pasta La Perla Società Cooperativa Sociale

Mano nella Mano al Centro Italia-Cina Cooperativa Sociale Montetauro

Miglioramento del percorso di dimissione protetta: speri-mentazione di interventi temporanei integrati rivolti ai casi multiproblematici di persone senza fissa dimora

Azienda USL di Bologna – Distretto Città di Bologna e Comune di Bologna

Navetta Azzurra Croce Azzurra Società Cooperativa Sociale

Nuove idee per vivere gli spazi della città Comune di Castel San Pietro Terme

Opportunità di formazione permanente e di socializzazione Università Aperta di Imola Società Cooperativa

Pianificazione strategica per la Nuova domiciliarità Conferenza Territoriale Socio Sanitaria della Provin-cia di Bologna

Piccola Grande Impresa Società Cooperativa Amici di Gigi

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Più delle Sentinelle l’Aurora Comune di CerviaPortobello - Emporio sociale di Modena Associazione Servizi per il Volontariato di ModenaPrevenzione e riconoscimento precoce della non autosuf-ficienza Azienda USL di Bologna – Distretto di Bologna

Progetto Alzheimer Fondazione Sofia Ravasi

Progetto di comunità “I Saggi” Azienda USL di Modena - Distretto di Castelfranco Emilia e Comune di San Cesario sul Panaro

Pronto Intervento Sociale (PRIS) Comune di BolognaPunto Unico del Volontariato (PUV) Azienda USL di ModenaReggio Welfare Reggio Welfare Rete di ImpreseRete Turistica Culturale Imolese CNA Imola AssociazioneScuola Estiva di Italiano “Il Grattacielo” Comune di FerraraServizio di trasporto gratuito in favore di persone prive di una rete famigliare Comune di Ostellato

Servizio Sociale a Bassa Soglia Ufficio Adulti Vulnerabili ed Inclusione Sociale - Set-tore Servizi Sociali - Comune di Bologna

Specificità della diagnosi audiologica nel bambino con ipoacusia permanente

Dott.sa Claudia Aimoni (Clinica ORL - Azienda Ospe-daliero Universitaria S. Anna Ferrara)

Tutti a casa Associazione Amici di Piazza Grande

Una famiglia per una famiglia Centro per le Famiglie del Distretto di Fidenza

Uno a Uno La Ginestra Cooperativa SocialeVita e lavoro: un equilibrio possibile per le lavoratrici e i lavoratori di Cna Servizi CNA Servizi Imola Società Cooperativa

We Too – Anche Noi ASP Distretto di Fidenza

■ ai colleghi della Azienda USL di Bologna che hanno affiancato la Direzione Attività Socio Sani-tarie nelle diverse fasi del Progetto:

Ivano Barresi, Comunicazione e relazioni con il cittadino

Francesca De Frenza, Comunicazione e relazioni con il cittadino

Sara De Lisio, Epidemiologia, Promozione della Salute e Comunicazione del Rischio

Angela Donati, Direzione Attività Socio Sanitarie

Salvatore Fiorino, Affari Generali e Legali

Marco Grana, Comunicazione e relazioni con il cittadino

Stefano Inglese, Comunicazione e relazioni con il cittadino

Luana Mattioli, Affari Generali e Legali

Paolo Pandolfi, Epidemiologia, Promozione della Salute e Comunicazione del Rischio

Gian Carla Pedrazzi, Affari Generali e Legali

Rosa Preiti, Affari Generali e Legali

Annalisa Venturi, Comunicazione e relazioni con il cittadino

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