san massimo, vescovo di torino
DESCRIPTION
brevi spunti biografici di una grande figura della prima chiesa piemonteseTRANSCRIPT
Quaderni della Consolata / I Santi – 5
San Massimo
«Primo Vescovo della città di Torino»
2
EDIZIONI LA CONSOLATA Torino, maggio 2009
3
SAN MASSIMO DI TORINO
Vescovo di Torino dal 380 al 420 ca.
1. AMBIENTAZIONE STORICA
La più antica testimonianza della
presenza cristiana in Piemonte è la chiesa di
santa Maria di Testona (Moncalieri – nella
foto), del 160 d.C. Secondo l’abate cistercense
Federico Ughelli, che nel 1648 pubblicava a
Venezia la sua «Italia Sacra», frutto della
descrizione dettagliata di numerose visite accurate in tutte le Diocesi d’Italia,
la consacrazione di questa prima chiesa nei pressi di Torino, dedicata alla S.S.
Vergine, avvenne per mano del santo papa Pio I. Sappiamo, d’altronde, che è
con il 313 che l’imperatore Costantino, con l’editto di Milano, ammette il
Cristianesimo come religione «lecita» in tutto l’Impero, ponendo fine alle
persecuzioni dei periodi precedenti. Anzi, è proprio nei dintorni di Torino
che lo stesso imperatore Costantino si scontra con il figlio di Massimiano,
Massenzio, il quale dal 306 al 312 aveva tentato il colpo di mano,
impadronendosi dei territori d’Italia e d’Africa, mentre la Gallia e la Britannia
fin dal 308 avevano nominato Costantino come Cesare.
In Valle di Susa, sotto il monte Musinè, c’è stato il primo scontro con le
truppe dell’usurpatore, salite da Roma per sbarrargli la strada, e
probabilmente qui può essere ambientata la famosa visione di Costantino, la
scritta nel cielo «in hoc signo vinces», «con questo segno vincerai», riferito alla
croce, simbolo dei cristiani.
4
Costantino si farà battezzare solo sul letto di
morte, ma comunque la sua vittoria
definitiva su Massenzio, il 28 ottobre del 312
a Ponte Milvio (Roma) contribuirà a
consolidare l’affermazione del
Cristianesimo, già da tempo praticato in
quelle regioni subalpine.
Un’altra testimonianza concreta della
antichità della pratica di culto cristiana è
data dai ritrovamenti di resti dell’epoca
romana, soprattutto da una epigrafe
ritrovata a Revello (nella foto), nei pressi di Saluzzo (CN), datata al 341.
Ma come si presentava il contesto storico-geografico della città di
Torino, nel tempo in cui si trovò ad operare il santo vescovo Massimo, ossia
all’incirca dal 360-370 al 420? Il panorama è sconfortante, la città è spaurita e
i suoi abitanti si ritrovano a dover difendere la propria vita giorno dopo
giorno. Le distruzioni e i saccheggi delle truppe Visigote di Alarico erano
ormai una costante.
I Goti «nobili» (Visigoti), o Goti dell’Ovest, per distinguerli dagli
Ostrogoti (Goti dell’Est), provenivano dalla Germania e si erano stanziati
nell’Europa orientale. Spinti dall’invasione degli Unni entro i confini
dell’Impero, per un po’ di tempo furono assoggettati e vassalli dei Romani.
Nel 395 avevano nominato loro re Alarico, iniziando una serie di conquiste
territoriali (Bulgaria, Macedonia, Grecia del nord), per poi rientrare in Italia e
saccheggiare Roma per tre giorni (24 agosto 410).
Distrutta la capitale dell’Impero, che ormai si stava sfaldando,
risalirono la penisola, distrussero a più riprese Torino e la Val di Susa (411)
5
per stabilirsi per un certo tempo a Tolosa (412), nella Gallia meridionale.
Spinti in seguito verso sud dai Franchi, si stabilirono a Toledo, per svanire
completamente al tempo della conquista dei Mori, ossia i Berberi della
Mauretania (Marocco) e della Numidia (Algeria), guidati dagli Arabi, nel 711.
Torino si presentava a queste popolazioni come una città fatta di case di
legno, sparse tra i ruderi superstiti delle architetture romane che, come in
ogni epoca di povertà, distruzioni ed invasioni, venivano riutilizzati per
edificare gli unici edifici reputati degni di avere una consistenza duratura: gli
edifici di culto. E’ ragionevole pensare che il credo cristiano, in pieno
sviluppo, avesse bisogno di luoghi adatti in cui i fedeli potessero incontrarsi e
praticare il culto. I vecchi monumenti romani erano a quel tempo vere e
proprie «cave» dalle quali asportare marmi, mattoni, fregi, fusti e capitelli di
colonne, da rimettere in opera, senza troppo badare che il risultato fosse di
una certa omogeneità oppure no. Questo spiega come mai, in una città
romana come Augusta Taurinorum (Torino) non si siano conservati che
6
1. Resti del teatro romano di Torino accanto al Duomo di san Giovanni Battista
pochissime vestigia del tempo romano, in cui i templi e gli altari a tutte le
divinità dell’Olimpo romano (Giove-Giunone, Minerva, Mercurio-Apollo,
ecc.) e orientale (Attis, Serapis, Magna Mater, ecc.) abbondavano.
Man mano poi che il cristianesimo prendeva il sopravvento e il culto
agli dei dell’Olimpo romano perdeva di significato, molti templi abbandonati
venivano poco alla volta convertiti in chiese cristiane, grazie anche ai Decreti
Teodosiani (392). La circostanza di un importante Concilio tenuto proprio a
Torino ai tempi di san Massimo sembra dimostrare che alcuni templi
cristiani, forse addirittura una chiesa cattedrale, esistessero già in quel tempo.
Anche se non sempre precisa nelle sue deduzioni, dice la fonte dello storico
Buscalioni: «Torino, ai tempi di san Massimo, doveva già possedere un buon
numero di chiese consacrate al nuovo culto e, soprattutto, una chiesa madre o
cattedrale, alquanto cospicua se al tempo del santo vescovo poté essere scelta,
nel 398, a sede di un importante Concilio».
Com’è noto, il duomo di Torino viene
costruito alla fine del XV secolo sulle
fondamenta di altre tre chiese affiancate,
dedicate al Santo Salvatore, a san
Giovanni Battista e a Santa Maria «del
Duomo», forse a loro volta sovrapposte
ad una chiesa primitiva più grande, che
potrebbe essere stata la prima cattedrale
della città. Secondo alcune fonti storiche, dunque, si può logicamente
supporre che la cattedrale di Torino al tempo di san Massimo o nel tempo
precedente al suo episcopato fosse stata adattata in un tempio a triplice cella,
un riadattamento di un tempio anticamente dedicato alla triade capitolina
(Giove, Giunone e Minerva) che troviamo anche a Roma sul Campidoglio o
7
persino in ben più antichi templi etruschi. «Secondo mons. Benna», prosegue
lo storico Buscalioni «l’antico tempio di san Salvatore era la chiesa capitolare,
quello di san Giovanni la chiesa battesimale, e quello di santa Maria de
Dompno la più antica chiesa parrocchiale di Torino. E’ probabile che in questa
chiesa san Massimo pronunziasse quelle dottissime omelie, dalle quali balza,
con mirabile vivacità di colori, l’esaltazione della Verginità di Maria
Santissima, e la sua conseguente divina maternità».
2. IL CONCILIO DI TORINO
Il 22 settembre 398 viene quindi convocato un Concilio a Torino dai
Vescovi della Gallia transalpina e cisalpina (Sermoni 21 e 78), per risolvere
alcuni problemi di disciplina ecclesiastica e prendere alcune decisioni su
alcune differenze gerarchiche insorte tra alcuni vescovi metropolitani in fatto
di precedenza e di giurisdizione primaziale. E’ ancora il Buscalioni a indicare
il numero dei partecipanti in «ottanta vescovi, il che dimostra in quale alta
considerazione fosse fin da allora tenuta Torino in tutta la cristianità». E’
interessante notare che essi vennero ospitati in semplicità nelle case dei
cristiani torinesi durante il loro soggiorno in città, su esortazione dello loro
stesso pastore, san Massimo (Sermoni 21,2).
In realtà il Concilio di Torino viene anche indetto perché l’Italia
cisalpina si trova in una situazione particolare. E’ appena morto il grande
Aurelio Ambrogio (Treviri 339 – Milano 397) da 23 anni Episcopo di Milano,
fino ad allora capitale dell’Impero, schierata con gli eretici Ariani. Con lui
muore uno dei quattro grandi massimi Dottori della Chiesa (con Agostino, da
lui convertito, Girolamo e Gregorio Magno).
8
Sempre in quegli anni, è appena morto, alla
presenza della figlia Galla Placidia, l’ultimo
vero imperatore unico, Teodosio I (a fianco),
detto anche Teodosio il Grande (347-395),
spagnolo, passato alla storia per aver reso il
cristianesimo «religione ufficiale di tutto
l’Impero» con l’editto «di Tessalonica» (380),
per aver insediato a Costantinopoli il
vescovo Gregorio di Nazianzo al posto di un
vescovo ariano e per aver indetto nel 381 il I Concilio di Costantinopoli (381),
per elaborare il credo niceno. Fu ancora Teodosio a ribattezzare il Dies Solis
nel «giorno del Signore», rendendo obbligatoria la Domenica (383) e a iniziare
la pratica della confessione segreta o privata, dopo che una donna ebbe
confessato in pubblico che il giorno prima era andata a letto con il Sacerdote
che la stava confessando. Dopo Teodosio, l’Impero verrà suddiviso e due
Cesari diversi governeranno la parte occidentale e quella orientale.
In quel tempo, la capitale viene trasferita a Ravenna da Onorio, che era
in contrasto con Alarico e le sue truppe. Già nel 394 Torino era stata visitata
dalle truppe di Arbogaste (dei Goti) e del ribelle Eugenio, in marcia contro
Teodosio alla volta di Aquileia, dove verranno sconfitti. In quei tempi incerti
e pericolosi, il Concilio di Torino delinea per la prima volta in Occidente le
strutture di una provincia ecclesiastica, in cui vengono attribuite le
prerogative ed assegnati i compiti propri dell’ordinamento metropolitano.
Non c’è da meravigliarsi che i torinesi di quel tempo guardassero con
terrore l’avvicendarsi delle varie schiere dello scacchiere internazionale, in
quanto ogni avanzata di esercito per la città significava un insieme di stragi,
latrocini e rovine. Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, deplorava già ai suoi
9
2. San Massimo scrittore
tempi che città un giorno fiorenti come Piacenza e Parma, Modena o Brescia,
per i gravi danni subiti in quelle scorrerie, fossero discese dal grado di
municipio alle misere condizioni di villaggi. Anche san Girolamo si
lamentava che Vercelli, un tempo così potente, fosse rimasta, per le stesse
cause, quasi del tutto rovinata.
3. SAN MASSIMO PREDICATORE E SCRITTORE
In tutto questo, Massimo, il cui
nome significa «Grandissimo» in latino,
esortava la popolazione. Dal carattere
mite ed accogliente, come emerge dai
suoi numerosi scritti, dimostra però in
quei frangenti una grande forza e
fermezza, invitando i suoi fedeli allo
stesso atteggiamento. Li spronava a non
abbandonare la città con queste parole:
«E’ un figlio ingiusto ed empio colui che
abbandona la propria madre [Torino] in
pericolo. Dolce madre è, in qualche modo,
anche la patria».
Ed i pericoli non erano certo pochi in quegli anni. La poderosa mole di
scritti attribuiti tradizionalmente a san Massimo costituisce indubbiamente
un tesoro di inestimabile valore. L’edizione critica del 1784, curata da Bruno
Bruni per volontà di papa Pio VI, comprendeva ben 116 sermoni, 118 omelie e
6 trattati. Di questi, 111 sermoni hanno passato un attento esame di
autenticità e sono entrati nell’edizione bilingue della Biblioteca Ambrosiana
10
del 1991. I suoi Sermoni sottolineano la sua dipendenza da sant’Ambrogio,
di cui era discepolo (77 citazioni esplicite) ma hanno una loro originalità e
sono molto ricchi non solo per quanto riguarda la dottrina e l’istruzione dei
cristiani, ma anche per la quantità di notizie storiche che vi si ritrovano, come
ad esempio l’abolizione dei combattimenti dei gladiatori (anni 403-405,
Sermoni 197,2) nell’anfiteatro situato fuori delle porte cittadine (la Porta
Principalis Dextera, meridionale o Marmorea), nella zona dove ora si trovano
piazza san Carlo, via Arcivescovado e via XX Settembre.
I Sermoni 72 e 73, e quelli dal n. 81 all’86, riflettono le discese e le
scorribande dell’usurpatore Eugenio dalla Gallia (393) che andava, come
detto, a combattere Teodosio, le devastazioni e l’assedio di due mesi di
Alarico (401-402) con i suoi Visigoti, o ancora il passaggio delle orde di
Radagaiso (406) che devastarono tutto il Piemonte, o ancora nuovamente le
truppe Visigote di Ataulfo (Atha-wulf, nobile lupo, latinizzato in Adolfo) nel
411, colui che sposerà Galla Placidia, unendo per la prima volta «Barbari» e
dinastia imperiale romana.
Ascoltiamo direttamente le parole del santo Vescovo:
«Quantunque in questa vita non ci manchino i predatori del corpo, che sono i barbari, tuttavia li temo meno dei predoni spirituali, i nemici dello spirito; poiché, infatti, se i barbari possono rubare il patrimonio tuttavia non possono rubare l’onestà, se tolgono l’oro, tuttavia non possono togliere Cristo, se rubano l’argento, non possono rubare il Salvatore» (Sermone 72). «Forse, fratelli, siete tentati perché sentiamo dire continuamente che avvengono tumulti di guerra e incursioni di combattenti […] ma quanto più siamo vicini alla rovina del mondo, tanto più siamo vicini al Regno del Salvatore. Lo stesso Signore dice: “Quando vedrete terremoti, carestie e guerre, sappiate che il regno è vicino”. Non devo dunque temere l’avversario che avanza, perché attraverso questi segni comprendo piuttosto che viene il Salvatore. Quantunque, infatti, l’uno incuta un
11
3. Il Vescovo Vigilio con Sisinnio, Martirio ed Alessandro
(P. Naurizio - 1583)
timore temporaneo, l’altro tuttavia recherà l’eterna salvezza. Il medesimo Signore ha il potere di respingere da noi il terrore del nemico e di concederci la sua assistenza. Questi tumulti di guerra che significano in qualche modo la “fine del mondo” sono una specie di avvertimento a vedere il giudizio di Dio, così da temere questo senza lasciarti intimorire da quelli. […] Vediamo come vengono fortificate le porte della città, ma ancor prima dobbiamo fortificare in noi le porte della giustizia. […] Non giova a nulla, infatti, rinforzare i baluardi e le mura e poi provocare Dio con i nostri peccati. […] Indossiamo quindi l’armatura della fede, proteggiamoci con l’elmo della salvezza, difendiamoci con la Parola di Dio come con una spada spirituale. Chi sarà provvisto di queste armi, non deve temere il presente sconvolgimento né paventare il futuro giudizio, così come il santo Davide, inerme, con la sola forza della fede, sconfisse il nemico gigante filisteo Golia. […] Questo avvenne per insegnarci che non dobbiamo sperare la vittoria soltanto dalle armi, ma la dobbiamo chiedere nel nome del Salvatore» (Sermone 85).
Dagli scritti di san Massimo, abbiamo le
uniche notizie di alcuni martiri cristiani, ad
esempio Solutore, Avventore ed Ottavio,
anche se l’unica cosa che veniamo a sapere è
il loro nome. Inoltre, egli sostiene di aver
avuto «personale conoscenza e di aver visto
con i suoi stessi occhi» i santi martiri
Alessandro, Sisinnio e Martirio, missionari in
Rezia (Sermoni, 105-106). Sisinnio era un
diacono, Martirio un lettore ed Alessandro
un ostiario: su richiesta del vescovo di
Trento, Vigilio, Ambrogio di Milano li inviò nella diocesi tridentina, ancora
per larga parte pagana, come missionari.
12
4. El Greco (1541-1614) Il martirio di san Maurizio
Il 29 maggio 397 furono bruciati in Val di Non con i legni della chiesa
che avevano costruito durante un rito, detto degli Ambarvalia o lustratio agri,
una festa pagana di carattere agreste nella località di Mecla (oggi Sanzeno,
non lontano da Mezzocorona). Nella suddetta località venne costruita in
seguito una basilica in loro ricordo (vicino all’eremo di San Romedio). La
valle, detta anche anticamente Anaunia, era all'epoca una zona di grande
vitalità economica e culturale, sede di un importante e frequentato tempio
dedicato a Saturno (probabilmente presso l'attuale città di Cles, sempre in Val
di Non), attorno al quale si erano sviluppate numerose strutture produttive.
Fu probabilmente proprio a causa dei minacciati interessi economici, più che
per attaccamento alla religione tradizionale, che i tre chierici vennero
aggrediti e uccisi dai pagani ubriachi, un po’ come san Paolo, che aveva
sfiorato la morte nella sommossa degli orefici ad Efeso (Atti degli Apostoli 19).
San Massimo trae spunto dal loro esempio per esortare a mettere in pratica le
Costituzioni imperiali contro i culti pagani
(anno 399), ancora vivi nelle superstizioni
popolari (Sermoni 106.2).
Per quanto riguarda invece i martiri ai quali
nel XV secolo Emanuele Filiberto dedica la
chiesa di Via Doragrossa (via Garibaldi), la
chiesa dei Santi Martiri, ossia Solutore,
Avventore ed Ottavio sappiamo solo le
notizie tramandate da un certo Eucherio,
vescovo di Lione (434 – 450 circa). Le sue
parole non hanno mai trovato conferme
storiografiche e sono reputate «leggenda»
da tutti gli storici più affermati. Ad ogni
13
modo, egli affermava l’esistenza di una legione composta interamente da
cristiani (tebana), la Legio I Maximiana, spostata da Tebe alla Gallia per
combattere con l'imperatore Massimiliano. Quando l’imperatore nel 286
ordinò di reprimere alcuni galli cristiani, che nella regione di Lione
abbondavano, i soldati si rifiutarono e la legione venne decimata, con il
sostegno e l'incoraggiamento di san Maurizio che ne era il comandante, fino
allo sterminio dell'intera legione (6600 uomini), nel Canton Vallese (Svizzera).
Anche se san Massimo non ne parla, pare che abbia fatto parte della
stessa legione anche san Besso. Sfuggito al massacro in Svizzera, sarebbe
riuscito a raggiungere le regioni alpine piemontesi. Braccato dai legionari di
Massimiliano, sarebbe riuscito ad evangelizzare i montanari pagani della Val
Soana (celebre il suo santuario a 2000 metri di altitudine) e probabilmente
della valle di Cogne. In realtà queste tradizioni non trovano nessuna
conferma nella storia militare romana, ma ciò nonostante il culto di Maurizio,
dei tre martiri torinesi e di san Besso costituì una base essenziale per la
cristianizzazione delle Alpi e per il rafforzamento della dinastia Savoia, che al
culto di san Maurizio ha intestato l'Ordine Mauriziano.
Ma la predicazione e l’insegnamento di san Massimo spaziavano in
tutti i campi, dalla formazione spirituale profonda della fede dei suoi cristiani
alla spiegazione dei misteri teologici più importanti, dall’incoraggiamento e
l’incitamento alla resistenza davanti alle distruzioni dei barbari al costante
richiamo dell’esempio dei martiri, dall’incitamento a liberarsi delle antiche
superstizioni legate ai culti zodiacali e astrali alla concretezza e aderenza a
tutte le varie situazioni che la città doveva attraversare. Non mancano le
spiegazioni esegetiche bibliche, gli espedienti retorici, i rimproveri a quella
parte del clero rilassata e pigra, al costante richiamo all’elemosina, come
forma di assistenza ai fratelli più poveri.
14
Ascoltiamo ancora le sue parole, in una omelia dedicata alle due
«colonne» della Chiesa, Pietro e Paolo:
Il Signore ha riconosciuto in Pietro un amministratore fedele al quale ha affidato le chiavi del Regno dei cieli, e in Paolo un Maestro specializzato al quale ha dato l'incarico di insegnare nella Chiesa. Per permettere a coloro che sono stati formati da Paolo di trovare la salvezza, occorreva che Pietro li accogliesse per il riposo. Una volta che Paolo ha aperto i cuori con la predicazione, Pietro apre alle anime il Regno dei cieli. E dunque una specie di chiave che Paolo ha ricevuto a sua volta da Cristo, la chiave cioè della conoscenza, che permette di aprire alla fede nel loro intimo i cuori induriti; poi, essa fa venire a galla, in una rivelazione spirituale ciò che era nascosto all'interno. Questa è una chiave che lascia uscire dalla coscienza la confessione dei peccati e rinchiude per sempre la grazia del mistero del Salvatore. Ambedue hanno ricevuto le chiavi dalle mani del Signore, chiave della conoscenza per l'uno, chiave del potere per l'altro; Pietro dispensa le ricchezze dell'immortalità, Paolo distribuisce i tesori della sapienza. Ci sono infatti dei tesori della conoscenza come sta scritto: Questo mistero è «Cristo, nel quale sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza» (Col 2,3) (Sermoni 1).
4. SAN MASSIMO NELLA NUOVA DIOCESI DI TORINO
Massimo nacque in un paese imprecisato del Piemonte, nella seconda
metà del secolo IV. Nulla sappiamo della sua infanzia e della sua istruzione.
Sappiamo che sant’Eusebio, Vescovo di Vercelli (283-371), unica Diocesi
piemontese fino a quel tempo, nel suo programma di riorganizzazione della
struttura ecclesiastica in espansione, creò una nuova Diocesi in Julia Augusta
Taurinorum, chiamandovi come pastore Massimo.
Eusebio, sardo di origine, consacrato vescovo da papa Giulio I nel 345, è
ricordato da san Girolamo per la sua traduzione del Commento ai Salmi di
Eusebio di Cesarea. Nel 354 viene lodato da sant’Ambrogio per aver imposto
agli ecclesiastici della sua Diocesi la vita comune, secondo il modello delle
15
5. San Massimo di Torino
chiese orientali, seguito anche da sant’Agostino ad Ippona (Canonici Regolari
Agostiniani). Ne deduciamo che nel 350 era già Vescovo di Vercelli. E’ logico,
quindi, che la chiamata di san Massimo all’episcopato di Torino si aggiri tra
questa data, 350, e quella della sua morte, il 371 anche se molti indicano il 380
come data d’inizio del suo episcopato.
Nel Sermone 7 san Massimo parla del
«suo signore e maestro, il beato
Esuperanzio», Vescovo di Tortona, tra i
partecipanti del Concilio di Aquileia del 381.
Lo ricorda come «collaboratore di Eusebio
nell’episcopato, compagno nel martirio,
partecipe nelle fatiche». La lode più bella nei
confronti di sant’Eusebio emerge
direttamente dalle prediche del primo
Vescovo di Torino. Leggiamo le sue parole:
«Cosa potrei dire per celebrare la gloria di Eusebio, se la sua gloria è tutto questo popolo? E poiché la Scrittura afferma “Gloria del padre è un figlio saggio” (Pr 10,1), quante sono le glorie di costui che si rallegra della saggezza e della devozione di tanti figli! Infatti, mediante il Vangelo egli ci ha generato in Cristo Gesù. Dunque, tutto quello che di virtù e di grazia può esservi in questo santo popolo, si ritrova nel Magistero del santo Eusebio» (Sermoni 7,2).
5. SAN MASSIMO E LA DEVOZIONE ALLA CONSOLATA NELLA CHIESA DI S. ANDREA
L’architetto Maria Grazia Cerri, nel suo volume dedicato al campanile
di Sant’Andrea alla Consolata, ci parla di una fonte storica importante per
capire le relazioni e l’importanza avuta dal santo Vescovo Massimo nella
devozione alla Consolata in Torino. Menziona lo storico del Cinquecento
16
Emanuele Filiberto Pingone (1525-1582), Barone di Cusy, nominato
Consigliere di Stato dal duca Emanuele Filiberto, il quale, seppur non sempre
affidabile nel basare la sua opera su documenti precisi, scrisse la più antica
storia di Torino, il volume Augusta Taurinorum, che contiene un fiume di
notizie affascinanti. Tra queste, viene menzionata una «chiesa di sant’Andrea
esistente ai tempi di san Massimo presso le mura della città, vicino alla Porta
Comitale». Fin dai tempi antichi, in questa chiesa si riunivano i cittadini per
scegliere i loro Magistrati ed Amministratori. Anche se non possediamo
sicure fonti storiche che possano documentare il fatto, pare che sant’Eusebio
di Vercelli avesse fatto dono a san Massimo di un’icona della Madre di Dio
portata con sé dalla Terra Santa, in occasione del suo esilio. Il Vescovo di
Torino avrebbe posta questa preziosa immagine della Vergine proprio nella
chiesa di sant’Andrea, promuovendo il culto mariano contro le eresie
ebionite, di Eutiche e degli antimarianisti, che affliggevano il mondo cristiano
di allora. Diamo ancora una volta spazio alle sue parole stesse:
«Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà! […] La pace di Cristo non dipende dagli uomini, ma dal loro modo di comportarsi. Essa appartiene a chi crede Cristo autore della pace. Ed è giusto che una volontà incorrotta possieda il Salvatore, generato da una verginità immacolata. Come Maria lo portò essendo illibata, così anche l’anima nostra lo custodisca essendo incontaminata. Infatti, Maria, in un certo senso, rappresenta la figura delle nostre anime. Come Cristo cercò la verginità in sua madre, così cerca anche l’integrità del nostro animo. Infatti, un’anima esente da peccati concepisce e partorisce il Salvatore, mentre lo annuncia, lo custodisce, mentre ne osserva i comandamenti. La fede lo conserva una volta concepito, la professione di fede lo dà alla luce nel parto, la sollecitudine lo custodisce dopo la nascita» (Sermoni 61c,2).
Sono parole stupende, che colgono in profondità la centralità di Gesù Cristo
nel mistero di Maria, vera icona e figura delle nostre anime. E’ proprio nei
17
6. Antica raffigurazione del Concilio di Costantinopoli
nostri cuori, nel nostro intimo, infatti, che il Verbo vuole essere desiderato ed
atteso, accolto e portato in gestazione, per giungere ad essere partorito al
mondo.
5.1. Le Eresie mariane
A proposito delle eresie su Maria
e sul Cristo del tempo di san
Massimo, ricordiamo che
proprio l’imperatore Teodosio I,
nel 381, aveva indetto a
Costantinopoli un Concilio
Ecumenico per affrontare varie
idee errate che circolavano nella
Chiesa, tra cui proprio quelle di coloro che si opponevano alla Verginità di
Maria e al suo essere Madre di Dio. I 150 Vescovi presenti avevano ribadito le
conclusioni già tratte nel 325 al Concilio di Nicea (oggi Iznik, in Turchia), tra
cui la divinità dello Spirito Santo (contro Macedonio di Costantinopoli) e la
definizione del Simbolo, il Credo che passerà alla storia come Niceno-
costantinopolitano. San Massimo, con le sue omelie e la sua devozione
mariana, anticipa ciò che verrà fissato dogmaticamente in sede di Concilio
Ecumenico solo dopo la sua morte, nel 431 ad Efeso, (oggi Selçuk, sempre
Turchia) in cui Maria verrà solennemente proclamata Theotókos, ossia Madre
di Dio, contro coloro che reputavano Maria solamente la madre di Gesù
uomo, giammai la Madre del Verbo Gesù Signore, seconda Persona della
santissima Trinità.
A noi oggi sembra, leggendo di queste dispute all’interno della Chiesa
cristiana dei primi secoli, di assistere a discussioni «di lana caprina», inutili
18
7. Miniatura antica "L'alchimia"
disquisizioni e sofismi, perdite di tempo, solo per fissare alcune parole sulle
quali essere tutti d’accordo nel definire la propria fede. Forse alcune di queste
discussioni passate saranno anche state inutili, ma altre assolutamente no, in
quanto dietro alle disquisizioni teologiche si celava sempre una particolare
concezione del mondo, una particolare idea dell’antropologia, della vita
dell’uomo e dei suoi valori. Qualche esempio? Non è così difficile.
Siamo abituati a sentir parlare della Chiesa cattolica come di una
“organizzazione oscurantista” che mira unicamente al potere, oppure
sentiamo che i dogmi di fede vengono definiti “opprimenti”, orgogliose
definizioni che credono di avere la verità dalla propria parte, mentre – tanti
sostengono – la verità è soggettiva, e tutti hanno il diritto di esprimersi in
materia di fede.
Ora, è vero che oltranzisti e fanatici hanno fatto e forse fanno ancora
parte della Chiesa cattolica da qualche parte. Ma è altrettanto vero che
quando centocinquanta o trecento Vescovi (come a Nicea) si radunano
insieme pregando lo Spirito Santo di illuminarli perché possano agire ed
esprimersi unicamente per il bene di tutta la Cristianità, possiamo con
certezza dire che le loro preghiere non vanno mai a vuoto. Facciamo qualche
esempio, per capirci, in semplicità.
Dal 345 al 385, ad esempio, era operante un
monaco spagnolo, un certo Priscilliano,
diventato Vescovo di Avila (Castiglia).
Influenzato da studi di esoteria ed
astrologia, affermava che, dal momento che
la natura divina assunta da Gesù Cristo non
poteva sottoporsi a sofferenza e tantomeno a
morte, perché Dio non può soffrire e morire,
19
la crocifissione, centro del mistero di fede cristiano insieme alla risurrezione,
doveva essere capita come una «apparenza» (dokeo). Questa dottrina raccolse
tanti seguaci e venne chiamata docetismo. In pratica riduceva la Passione di
Gesù ad una farsa, ad una messa in scena per aiutarci, non vissuta realmente
nella propria carne con una sofferenza reale. Dietro una tale concezione, per
quanto affascinante, si cela un grande pessimismo verso tutto ciò che è
umano, carnale, terrestre. Contrariamente a quanto scritto nel libro ispirato
della Genesi, che chiama tutto ciò che Dio ha creato «buono» e la creatura
umana, uomo e donna «molto buono», con la loro corporeità e la loro esistenza
sessuata distinta, i Doceti dicevano invece che il corpo è «parto del demonio»,
sua abitazione.
Si dedicavano, quindi, ad un ascetismo esasperato, in cui reprimere,
sopprimere, controllare tutto ciò che nell’uomo è istintuale, legato alla
sessualità e al suo essere «terrestre». In definitiva, anche se la loro vita
ascetica, piena di preghiere e di digiuni, di penitenze e di privazioni, poteva
sembrare una vita santa ed esemplare agli occhi di molti semplici cristiani, in
realtà nascondeva una grande sfiducia verso la redenzione operata da Gesù
Cristo, vero Dio e vero uomo.
Sembra dunque uno sbaglio quello di un Sinodo che, riunito nel nome
del Signore, condanna queste idee come contrarie non solo alla vera fede ma
anche ad un’esistenza corretta e felice degli esseri umani, creati dall’amore di
Dio per vivere nella gioia la propria condizione terrestre (e non angelica)?
Solo chi agisce per ignoranza o per mala fede può dire il contrario.
In ogni caso, anche se riconosciamo che simili idee potevano davvero
rovinare la vita di molti cristiani, imponendo dei gioghi che il Signore non ha
mai imposto al genere umano, non possiamo mai trovarci d’accordo con
l’eliminazione fisica di chi tali idee propagava con successo, l’eretico: in tempi
20
in cui le idee teologiche andavano di pari passo con le idee politiche, era
normale che un eretico finisse sotto il torchio della legge, che prevedeva per i
reati stimati più gravi la pena capitale.
5.2. Un esempio dalla cinematografia
Allo stesso modo, però, notiamo che alcuni letterati o registi, nella loro
personale (e confusa) rivisitazione storica, accusano la Chiesa in toto di
oscurantismo, fanno di ogni erba un fascio, e mescolano ad arte cose vere e
conclusioni frutto di una ideologia di parte. E’ il caso del film del 1968 La via
lattea (altro nome per il Cammino di Santiago di Campostela), del regista
spagnolo Luis Buñuel. E’ un film di difficile lettura che non pretendiamo
esaurire, in quanto penetrarne il senso simbolico è complicato. L'unica
certezza è data dalla centralità che il regista attribuisce alla figura di un
Messia eretico, che non è venuto a portare pace sulla terra, ma spada. Un
Messia che discende direttamente dalla stirpe di Davide, un Re d'Israele che è
circondato da fratelli e sorelle (quindi viene esclusa la Verginità di Maria) e a
Cana si unisce in matrimonio con una donna, forse la Maddalena. Un Messia
che deve certamente molto alla tradizione apocrifa del vangeli e qualcosa alla
letteratura gnostica, ritrovata a Nag Hammadi e Qumran dopo la seconda
guerra mondiale.
La chiave per comprendere il significato dei nomi attribuiti ai "due figli
di prostituzione" (cf. il profeta Osea) risiede forse negli opposti atteggiamenti
manifestati nei confronti del messianismo di Gesù da parte degli apostoli
Pietro e Giovanni. L'apostolo Giovanni e la tradizione giudeo-cristiana sono i
custodi di un messaggio messianico legato alla stirpe davidica di Gesù e
all'obbedienza alla Legge ebraica. L'apostolo Pietro, invece, è colui che,
disperando del successo della missione politico-sociale di Gesù e non
21
volendo accettare la sconfitta, ne prostituisce allora il messaggio a vantaggio
di una sua interpretazione di tipo salvifico, sul modello delle religioni
orientali. Ma la prostituta del finale del film è anche una "principessa", che
ricorda la figura di Maria di Magdala e l'ammonimento a non considerare la
morte di Gesù come un atto di misericordia nei confronti dell'uomo.
Che dire? Abbiamo aperto questa parentesi, forse un po’ pesante,
perché chi approfondisce e conosce la letteratura gnostica ed eretica del
tempo in cui è vissuto san Massimo, può tranquillamente leggere la
produzione letteraria odierna, vedere film basati su false ricostruzioni
storiche e interpretazioni faziose che essendo anti-cristiane sono anche anti-
umane, e concludere come il Qohelet «non c’è niente di nuovo sotto il sole».
5.3. La devozione mariana di S. Massimo
Allo stesso modo, potremmo fare l’esempio del monaco Gioviniano,
dell’erudito Elvidio di Milano e della setta dei cosiddetti Antidicomarianisti o
Antimariani i quali, non leggendo in profondità l’ebraico (la parola ebraica
per fratello significa al contempo anche parente, cugino, ecc.), prendevano
alla lettera il passo di Matteo 4,18, dove si parla dei «fratelli di Gesù», traendo
l’errata conclusione che Maria non avesse partorito solo Gesù. In questo
modo, la sua vita non poteva essere integralmente e qualitativamente
orientata nel dare Gesù al mondo, come il frutto esclusivo ed intenso di tutta
la sua vita (il vero significato della verginità), e di conseguenza – secondo
queste idee - non poteva essere realmente Vergine, prima, durante e dopo il
suo parto del Signore Gesù Cristo.
Il Vescovo Ambrogio di Milano aveva già dovuto fare i conti con il
maestro di Elvidio, il Vescovo ariano di Milano Aussenzio, morto nel 374 e
22
condannato dal Sinodo di Milano, il quale affermava anche l’inesistenza del
peccato: «tutti siamo stati creati puri come Maria, diceva, pertanto siamo
immuni dal peccato in quanto battezzati». In realtà, si tratta di una semplice
scappatoia che molte generazioni, precedenti alla nostra, hanno conosciuto
per tentare di sfuggire alla lotta contro le proprie inclinazioni egoistiche e
all’impegno di costruire la propria vita nell’altruismo, nella dedizione,
nell’amore gratuito e oblativo verso tutti.
San Massimo, nelle sue omelie, seppe trovare accenti sublimi contro
questa eresia che offendeva nella parte più viva e sensibile il suo senso
religioso, accenti pieni di calore e d’ispirazione, ritraendo dai suoi uditori
tutti quei frutti spirituali che egli si riprometteva. Il suo modo di parlare della
Madre di Dio non riflette solo un amore particolare per Maria Santissima, ma
anche una visione positiva e costruttiva della nostra condizione umana.
Ascoltiamolo nuovamente :
«Il Verbo di Dio nasce secondo la testimonianza della Trinità. Certamente nel grembo della Santa Maria, quando scende lo Spirito Santo, quando l’Altissimo stende la sua ombra, quando Cristo è generato, è contenuta la professione di fede. Era conveniente, infatti, che la Madre, che avrebbe partorito la salvezza delle genti, confermasse prima nelle sue viscere il mistero della Trinità. Maria, nel sacrario del suo ventre, portò tutto ciò che doveva giovare al mondo: Dio, il sacerdote e la vittima. Il Dio della resurrezione, il sacerdote dell’offerta, la vittima della passione. Tutto questo riconosciamo in Cristo. Egli è Dio perché ritornò al Padre, pontefice perché offrì se stesso, vittima perché venne ucciso per noi. Direi che il grembo di Maria non fu un grembo, ma un tempio. Un tempio in cui abitava tutto ciò che di santo si trova in cielo, persino superiore ai cieli, perché in esso, come in un tabernacolo segreto, dalla Divinità è stato collocato il mistero. Superiore ai cieli deve essere ritenuto il grembo di Maria, perché rinviò al cielo il Figlio di Dio più glorioso di quando era disceso dal cielo. Dal cielo venne per patire, in cielo tornò per regnare. Dal cielo discese umiliato nell’uomo, dalla terra salì glorificato al Padre». (Sermoni 61b 3).
23
Non meraviglia che, essendo Maria la direttrice e l’ispiratrice dei più nobili
affetti del Vescovo san Massimo, nonché il caposaldo per contrastare tutte le
idee eretiche e fuorvianti dalla retta fede in Cristo Salvatore, egli abbia voluto
dare inizio al culto verso la Vergine Consolatrice, ponendo una sacra
immagine di Maria nella chiesa di sant’Andrea, ora Santuario della
Consolata.
Che questa tradizione abbia un antico e solido fondamento storico lo
apprendiamo anche dall’autore della prima storia della Consolata, nel 1704,
p. Domenico Arcourt, priore dei Cistercensi che allora abitavano alla
Consolata e Consultore del Sant’Uffizio. Analizzati alcuni documenti della
biblioteca, lasciati dai Monaci Benedettini, primi officianti della chiesa di
sant’Andrea, egli conclude, nel linguaggio del suo tempo:
«In questo tempio di sant’Andrea, è sempre stata publica voce, e fama de’ popoli, tramandata da Padre à Figlio, che nell’anno 440 dell’inuittissimo e gloriosissimo S. Massimo Vescovo di Torino, collocata vi fosse l’Imagine della gran Regina del Cielo, all’hor che havendo purgata la Città dall’abominevole e nefasta eresia di Eutiche […] Per stabilire ne’ cuori de’ Cittadini la verità cattolica et accrescer maggiormente ne’ suoi popoli la vera divozione verso la gran Madre di Dio Maria sempre Vergine, egli pose nelle Chiese della Città diuerse imagini della Madona, frà le quali la principale fù questa, che sotto il titolo della Consolata s’adora».
Lo stesso storico continua dicendo che un’altra prova della provenienza
dell’immagine della Consolata da san Massimo sono anche i grandi prodigi
che si sono susseguiti a beneficio di tutto coloro che tale immagine hanno
venerato e pregato. Sembra sostenere che solo un’immagine toccata e donata
da un santo poteva operare miracoli, grazie alla fede della gente, e non
un’immagine qualsiasi.
24
8. San Massimo con l’icona della Consolata
Lo storico Carlo Amedeo Cavalli, che nel
1819 scrive un’altra Storia della Consolata in
Torino e Luigi Cibrario nella sua Storia di
Torino del 1846 si allineano alla posizione
dell’Arcourt. Altri, invece, riprendendo le
tesi di Pingone, pensano che sia stato san
Massimo stesso a costruire la chiesa di
sant’Andrea (o cappella), con l’aiuto di un
conte municipale, dei cittadini Maiano e
Vitaliano, spesso lodati per la loro
generosità e di tutta la comunità del tempo.
Non abbiamo motivi per escludere
nemmeno questa ipotesi, dal momento che,
come ci ricorda Franco Bolgiani, a Ravenna e
a Rimini erano state fondate, più o meno
allo stesso tempo, altre due chiese dedicate allo stesso Apostolo.
La professoressa Wataghin Cantino, docente di Archeologia cristiana
alla Facoltà di Vercelli, sostiene che, grazie agli sviluppi peculiari
dell’urbanistica torinese - che ha rispettato il tracciato viario antico creando
una sovrapposizione totale di strutture che rende difficile il compito agli
archeologi - non rimane traccia di altre chiese paleocristiane, come ad
esempio s. Agnese, s. Stefano e sant’Andrea, che pure esistevano già nel IV
secolo, se non agli inizi del V secolo. L’unica rimasta è quella scavata nel 1909
accanto al Duomo.
In ogni caso, oltre al fatto che l’antica cappella o chiesa di sant’Andrea è
stata via via incorporata nelle sovrapposizioni strutturali successive, è ancora
lo storico Carlo Amedeo Cavalli a dirci che sicuramente le distruzioni di
25
Unni, Goti e Vandali dell’inizio del VI secolo non hanno sicuramente
risparmiato la chiesa di sant’Andrea, seppellendo probabilmente l’antica
icona donata dal santo Vescovo Massimo sotto un mucchio di rovine.
Ascoltiamo direttamente le sue parole: «… si ha certo ed appoggiato riscontro
che, sin dall’anno 924, esistevano vestigia e memorie del suddetto sacro
tempio denominato di sant’Andrea, benché non più frequentato, perché quasi
interamente distrutto, essendosi però nello stesso luogo, tuttoché involta nelle
rovine della Chiesa, sempre conservata la stessa miracolosa immagine
collocatavi dalla memorabile pietà e singolar zelo del Santo Vescovo
Massimo».
Questo è uno dei pochi dati storici certi: all’arrivo dei Benedettini,
fuggiti dall’Abbazia di Novalesa (Nuova Luce) nei pressi di Venaus verso
Torino nel 906, sul luogo che viene loro affidato esisteva una chiesa molto più
antica, in condizioni di rovina. Questo nuovo nucleo di figli di san Benedetto
(che non diventerà mai abbazia ma unicamente «priorato») viene affidato
all’abate di Breme in Lomellina, il quale manda il rinomato monaco architetto
Bruningo a ricostruire abside e chiesa, per adattarla alle nuove esigenze,
dotandola – anche se su questo non esiste alcuna fonte documentaria certa –
della splendida torre campanaria, opera che ancora oggi possiamo ammirare
a lato del Santuario della Consolata.
Per quanto guardato con sospetto come storico, il Buscalioni cita a
suffragio della sua tesi numerose altre fonti storiche, quali Teofilo Rossi e
Ferdinando Gabotto, il Bragagnolo, il Bettazzi, l’Alessio, tutti autori di opere
storiche sulla città di Torino o sul Piemonte. Con loro, egli s’azzarda a
concludere: «lo storico non può mettere in dubbio che san Massimo abbia
cercato di diffondere in Torino la devozione alla Vergine Maria, ed abbia
26
scelto, come centro di questo culto la chiesetta di sant’Andrea, per quanto
difettino i documenti a corroborare la pia tradizione».
6. LA MORTE DI SAN MASSIMO
Gabriele Banterle, nella sua introduzione alla raccolta di Sermoni curata
dalla Biblioteca Ambrosiana nel 1991, ci ricorda che la più antica
testimonianza su san Massimo è quella di uno scrittore del V secolo,
Gennadio di Marsiglia, che intendeva completare l’opera di san Girolamo
«De uiris illustribus». Egli conclude la sua presentazione del santo Vescovo
con una precisa indicazione cronologica: «moritur Honorio et Theodosio iuniore
regnantibus» (Morì durante il regno di Onorio e Teodosio il giovane). Questa
precisazione rimanderebbe al periodo tra il 408 e il 423, tempo in cui i due
imperatori furono colleghi.
Nel XVII secolo, però, il primo successore di san Filippo Neri alla
Congregazione dell’Oratorio, il Cardinale Cesare Baronio, incaricato dal
santo stesso di compilare una «Storia Ecclesiastica» (i famosi Annales), darà
nuove indicazioni sulla data di morte di san Massimo. Aveva trovato, infatti,
la menzione di un Massimo Episcopo della chiesa di Torino presente al
Concilio di Milano del 451 e firmatario, subito dopo il Papa, quindi
presumibilmente molto vecchio tra i Cardinali, in un Concilio a Roma nel 465.
Egli ritenne, dunque, che le indicazioni di Gennadio fossero false,
proponendo di leggere nell’antico testo claruit al posto di moritur. Per lui, san
Massimo era vissuto almeno fino al 465.
Se questo fosse corretto, allora gli si potrebbero attribuire quei sermoni
dove si parla della minaccia degli Unni. In alcune omelie, erroneamente
attribuite a san Massimo, troviamo, infatti, la descrizione della distruzione di
27
9. Eugène Delacroix 1798-1863 "Attila l’Unno"
Milano da parte delle truppe di Attila, «flagello di Dio» (406-453). Costui,
iniziando dalle remote regioni asiatiche, proveniente dalla tribù degli
Xiongnu, antenati di Mongoli e Turchi, per otto anni regnò su di un impero,
basato sul terrore, che si estendeva dalla Russia fino a Sigindunum (l’attuale
Belgrado). Minacciava costantemente Constantinopoli e giunse a deporre
Valentiniano III a Ravenna, dove in gioventù aveva studiato latino, nel corso
del suo soggiorno coatto, come prigioniero dei Romani. Nel 451 Attila
raggiunse il massimo del potere, nel 452 rase al suo la città di Aquileia, senza
lasciarne alcuna traccia, saccheggiò completamente Padova, contribuendo
senza saperlo alla nascita di una futura città, tra le malsane paludi del delta
del Po, dove si erano rifugiati i fuggiaschi: Venezia.
In realtà, Milano non venne distrutta, ma
riuscì ad evitare il massacro aprendo
volontariamente le porte al re Unno, il quale
s’insediò per un po’ di tempo nel palazzo reale
di Milano. Gli si apriva la strada verso Roma,
ma un po’ papa Leone I, un po’ la sua
proverbiale superstizione (aveva saputo che
Alarico dei Visigoti era morto subito dopo aver
saccheggiato Roma nel 410), lo fecero desistere
dal scendere nel sud Italia. Il «piccolo padre»
(Atta-la) morì nel 453 in Ungheria e il suo immenso impero, costruito sul
terrore e sul sangue, si sfaldò immediatamente. Riguardo alla sua nota
superstizione, le cronache riportano la sua avversione per le persone che
portavano nomi di animali, ed in effetti le tre persone davanti alle quali, per
una ragione o per un’altra, dovette fermarsi furono il Vescovo Lupo di Troyes,
28
il vescovo tedesco Orso e papa Leone (san Leone Magno). Ironia della sorte,
per un condottiero che si riteneva invincibile e signore del mondo.
Tornando a san Massimo, facciamo un po’ di conti. Se è vero che ha
ricevuto l’incarico della Diocesi di Torino da san Eusebio, morto nel 371,
avrebbe partecipato al Concilio di Roma del 465 dopo circa 95 anni di
reggenza della Diocesi, il che porta presumibilmente la sua età ad almeno 130
anni! Per questa ragione e per il fatto che comunque la lezione «moritur» è
ben attestata in tutti i manoscritti antichi del testo di Gennadio, il gesuita F.
Savio nel 1898 e altri dopo di lui convengono che non si possa accettare
l’ipotesi di Baronio e bisogni ipotizzare l’esistenza di due Vescovi, entrambi
di nome Massimo: il primo vissuto al massimo fino al 423 e il secondo
presente a Milano nel 451, e ancora in vita nel 465 (a Roma), del quale viene
riportato un discorso per la dedicazione dell’ecclesia maior di Milano, dopo la
disastrosa invasione degli Unni del 452. L’omonimia e la fama di santità di
Massimo I, primo Vescovo di Torino, avrebbero spinto inoltre Massimo II a
raccogliere tutti i Sermoni del suo predecessore, organizzandone una prima
raccolta scritta, incrementandone la popolarità anche ben al di fuori dei
confini della Diocesi taurinense.
7. I SUCCESSORI E I RESTI MORTALI DI SAN MASSIMO
Conosciamo ben poco degli immediati successori di san Massimo. Le
fonti antiche ricordano un certo Trigidio, attivo tra il 501 e il 503 e il vescovo
Rufo, legato alla leggenda del pollice di san Giovanni Battista. Poi, viene
ricordato il Vescovo Vittore, santo, che accompagnò S. Epifanio, Vescovo di
Pavia, in una delicata missione presso i Burgundi, a Lione, tra il 497 e il 508,
su invito di Teodorico, per trattare la pace e la restituzione dei prigionieri,
29
strappati al Piemonte in occasione delle scorrerie a Torino e in Val di Susa.
Nella seconda metà del VI secolo era Vescovo Ursicino (562-609), al tempo
della perdita della Val di Susa, diventata una diocesi dei Franchi e sottratta a
Torino. Partecipa al Concilio del 680 a Roma il vescovo di Torino Rustico,
mentre con l’avvento dei Franchi, dopo il 774, viene menzionato un certo
Vescovo di Torino Andrea. Agli inizi dell’800 il Re di Acquitania, Ludovico il
Pio, diventato imperatore dei Franchi, insediò a Torino come Vescovo il suo
cappellano di corte, Claudio, catalano, ricordato per le sue tendenze
teologiche adozioniste e per la sua avversione viscerale nei confronti delle
immagini sacre, fenomeno noto come lotta iconoclasta. Francesco Cognasso,
nella sua Storia di Torino del 1959, riporta una lettera del vescovo Claudio che
con parole sue descrive ad un abate suo amico «le basiliche piene di brutture
degli anatemi e di immagini contro l’ordine della verità, per cui cominciai a
distruggere ciò che tutti riverivano». La popolazione torinese oppose a
quell’insensato Vescovo la più strenua resistenza, appoggiati anche da papa
Pasquale I.
Questa circostanza ci porta a concludere, sulla linea di Buscalioni e
della stessa professoressa Cerri, che la reazione popolare tese a difendere le
immagini più care e più significative per la città, quindi soprattutto la cara
immagine della Madre di Dio Consolata, che non cadde nelle mani del
Vescovo sacrilego, bensì venne custodita, nascosta con cura, dai fedeli
torinesi, affinché potesse essere rimessa al suo posto e proteggere la città, una
volta passato il pericolo.
Ci dicono gli studiosi che a partire dalla fine del VII secolo, seguirono
tre secoli molto bui, al punto che di alcune località non abbiamo più alcuna
notizia sui nomi dei Vescovi locali, né alcuna traccia epigrafica che testimoni
l’intensa e silenziosa attività evangelizzatrice dei successori di san Massimo,
30
10.La chiesa di san Massimo a Collegno (TO)
come si constata dalle fonti che riemergono in modo lampante nel periodo
tardo carolingio ed ottoniano.
Il professor Bolgiani ci informa che dal
1949 al 1959 venne intrapresa una campagna
di scavi archeologici nei pressi di Collegno
(TO). Venne identificata una Basilica
chiamata ad quintum lapidem (o miliarium), in
quanto distante cinque miglia dal centro
città. Questo sarebbe, secondo un’antica e
ripetuta tradizione, il luogo dove sono stati
posti i resti mortali di san Massimo, verso la
fine del secolo V. La basilica era a tre navate, con un presbiterio piuttosto
allungato e venne datata alla seconda metà del secolo V (cf. i testi di
Carducci, De Bernardi-Ferrero e Crosetto), ma non può essere esclusa una
datazione più antica. Ciò che importa rilevare, ci ricorda il Casiraghi, è che la
basilica viene documentata come pieve e accanto al culto di san Massimo vi si
trova anche quello di san Giovanni Battista, come documenta anche la visita
pastorale di mons. Peruzzi del 1584. Inoltre, essa sorge nel quadro di un
nucleo romano di entità modesta, nel caso specifico una mansio sulla strada
che da Torino portava alle Gallie, che presenta una continuità dal tempo
paleocristiano a quello medioevale e oltre, esattamente come la pieve di san
Pietro in Pianezza o quella di santa Maria a Cavour.
Questi ritrovamenti archeologici diedero nuovamente credibilità alla
vita di san Massimo scritta da un monaco di Novalesa, il quale aveva parlato
di questa translatio delle ossa di san Massimo a Collegno, senza essere stato
creduto per mancanza di prove concrete. D’altronde è del tutto logico che
nella seconda metà del secolo V - proprio quando viene eretta la basilica di
31
11. La chiesa di san Massimo a Torino
Collegno e quando il Vescovo Massimo II stava raccogliendo tutte le
testimonianze orali dei Sermoni del suo santo predecessore mettendole per
scritto e diffondendole dappertutto – si fosse alla ricerca di una sede
adeguata dove la fama del santo Vescovo Massimo potesse trovare casa. Una
Basilica a lui intitolata e con i suoi resti mortali era ciò di cui aveva bisogno la
chiesa locale torinese per iniziare a venerare il santo Vescovo che aveva dato
inizio alla Diocesi.
Indubbiamente una grande fama di santità circondò il vescovo Massimo
già in vita e la venerazione nei suoi confronti fu perpetuata dai fedeli dopo la
sua morte. Ma in realtà il suo culto non incontrò particolare fortuna nei secoli
successivi, perché i suoi resti mortali non vennero mai trovati e solitamente
questi sono il centro della devozione popolare nei confronti di un santo.
L’antica chiesa che ancora oggi sorge a Collegno non ha portato alla luce,
infatti, le sue spoglie anche se, secondo una tradizione locale, le sue reliquie
furono nascoste per sottrarle alle
invasioni barbariche (o forse per
proteggerle dagli iconoclasti, attivi a
Torino agli inizi del IX secolo). Alcuni
piccoli frammenti di reliquie, scoperti
nel XVII secolo, sono stati a lui
attribuiti.
8. LA CHIESA DI SAN MASSIMO A TORINO
Nella sua città, Torino, solo nel XIX secolo gli venne dedicata una chiesa e la
strada ad essa adiacente. Il progetto della chiesa di San Massimo di via dei
Mille, già prevista nel piano per l’ampliamento dei viali di passeggio della
32
contrada di Borgo Nuovo, viene stabilito da un concorso di architettura, dove
viene richiesto un edificio isolato su quattro lati, lontano da ogni idea di lusso
e di superficialità. Nel 1844 viene preferito un progetto di Carlo Sada e
nell’anno seguente vengono cominciati i lavori. Questioni finanziarie
ritardano la realizzazione e la chiesa è inaugurata soltanto il 14 giugno 1853.
L’edificio presenta elementi che richiamano un impianto a croce greca,
benché risulti sviluppato longitudinalmente, con il campanile in
corrispondenza dell’abside in posizione centrale. La facciata principale si
distingue per la presenza di un pronao corinzio; semicolonne pure corinzie
caratterizzano i fronti laterali. All’interno, la navata unica è coperta da una
volta a botte cassettonata, interrotta sulla mezzeria da una cupola poggiata su
un tamburo colonnato sia all’interno che all’esterno.
In quello stesso secolo XIX, si tentò anche un processo per attribuirgli il
prestigioso titolo di “Dottore della Chiesa”.
Solo dal 2004 nella Basilica Cattedrale Metropolitana di San Giovanni
Battista, in occasione del rinnovo degli arredi liturgici del presbiterio voluto
dall’arcivescovo cardinale Severino Poletto, San Massimo è stato raffigurato
sulla nuova cattedra episcopale destinata ai suoi successori. Da quella
cattedra sembra ancora oggi invitare i torinesi a riflettere sull’importanza
dell’Eucarestia, con fede autentica, pensata, profonda e matura:
«A tutti risulta palese come noi predichiamo volentieri e come adempiamo con gioia il servizio divino; eppure quando constatiamo che tra i fratelli parecchi si recano in Chiesa con indolenza e non si curano di partecipare per nulla ai misteri celesti soprattutto di domenica, allora predichiamo malvolentieri, e non già perché ci spiaccia parlare, ma perché la nostra predicazione non emenda, ma piuttosto rende più colpevoli i più negligenti. Per questo parliamo malvolentieri, e tuttavia non possiamo tacere. Infatti la nostra predicazione tra il popolo produce o la beatitudine o il castigo; la beatitudine ai credenti, il castigo agli increduli. In realtà ogni
33
fratello che non prende parte ai misteri domenicali, dinanzi a Dio appare come un disertore dei divini accampamenti. Infatti come può giustificarsi chi nel giorno dei sacramenti, preparandosi un pranzo in casa propria, non si cura del pranzo celeste e preoccupandosi del ventre trascura la medicina della sua anima?» (Sermoni 23).
Recentemente anche la nuova parrocchia ortodossa russa di Torino è
stata a lui dedicata. Provvisoriamente, appartiene al Patriarcato di Mosca,
Diocesi di Chersoneso, Decanato d’Italia.
L’intera Regione Pastorale Piemontese, comprendente le diocesi di
Valle d’Aosta e Piemonte, tranne Tortona, commemora il protovescovo
torinese al 25 giugno nel suo calendario liturgico, ossia il giorno successivo
del santo patrono di Torino, san Giovanni Battista, eletto proprio da san
Massimo a protettore della città.
34
BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro - Mercoledì, 31 ottobre 2007
SAN MASSIMO DI TORINO
Cari fratelli e sorelle,
tra la fine del quarto secolo e l’inizio del quinto, un altro Padre della Chiesa,
dopo sant’Ambrogio, contribuì decisamente alla diffusione e al
consolidamento del cristianesimo nell’Italia settentrionale: è san Massimo,
che incontriamo Vescovo a Torino nel 398, un anno dopo la morte di
Ambrogio. Ben poche sono le notizie su di lui; in compenso è giunta fino a
noi una sua raccolta di circa novanta Sermoni. Da essi emerge quel legame
profondo e vitale del Vescovo con la sua città, che attesta un punto di
contatto evidente tra il ministero episcopale di Ambrogio e quello di
Massimo.
In quel tempo gravi tensioni turbavano l’ordinata convivenza civile.
Massimo, in questo contesto, riuscì a coagulare il popolo cristiano attorno alla
sua persona di Pastore e di maestro. La città era minacciata da gruppi sparsi
di barbari che, entrati dai valichi orientali, si spingevano fino alle Alpi
occidentali. Per questo Torino era stabilmente presidiata da guarnigioni
militari e diventava, nei momenti critici, il rifugio delle popolazioni in fuga
dalle campagne e dai centri urbani sguarniti di protezione. Gli interventi di
Massimo, di fronte a questa situazione, testimoniano l’impegno di reagire al
degrado civile e alla disgregazione. Anche se resta difficile determinare la
composizione sociale dei destinatari dei Sermoni, pare che la predicazione di
Massimo – per superare il rischio della genericità – si rivolgesse in modo
specifico a un nucleo selezionato della comunità cristiana di Torino, costituito
da ricchi proprietari terrieri, che avevano i loro possedimenti nella campagna
35
torinese e la casa in città. Fu una lucida scelta pastorale del Vescovo, che
intravide in questo tipo di predicazione la via più efficace per mantenere e
rinsaldare il proprio legame con il popolo.
Per illustrare in tale prospettiva il ministero di Massimo nella sua città,
vorrei addurre ad esempio i Sermoni 17 e 18, dedicati a un tema sempre
attuale, quello della ricchezza e della povertà nelle comunità cristiane.
Anche in questo ambito la città era percorsa da gravi tensioni. Le ricchezze
venivano accumulate e occultate. «Uno non pensa al bisogno dell’altro», constata
amaramente il Vescovo nel suo diciassettesimo Sermone. «Infatti molti cristiani
non solo non distribuiscono le cose proprie, ma rapinano anche quelle degli altri. Non
solo, dico, raccogliendo i loro danari non li portano ai piedi degli Apostoli, ma anche
trascinano via dai piedi dei sacerdoti i loro fratelli che cercano aiuto». E conclude:
«Nella nostra città ci sono molti ospiti o pellegrini. Fate ciò che avete promesso»
aderendo alla fede, «perché non si dica anche a voi ciò che fu detto ad Anania: “Non
avete mentito agli uomini, ma a Dio”» (Sermone 17,2-3).
Nel Sermone successivo, il diciottesimo, Massimo stigmatizza forme
ricorrenti di sciacallaggio sulle altrui disgrazie. «Dimmi, cristiano», così il
Vescovo apostrofa i suoi fedeli, «dimmi: perché hai preso la preda abbandonata dai
predoni? Perché hai introdotto nella tua casa un “guadagno”, come pensi tu stesso,
sbranato e contaminato?». «Ma forse», prosegue, «tu dici di aver comperato, e per
questo pensi di evitare l’accusa di avarizia. Ma non è in questo modo che si può far
corrispondere la compera alla vendita. E’ una buona cosa comperare, ma in tempo di
pace ciò che si vende liberamente, non durante un saccheggio ciò che è stato rapinato
... Agisce dunque da cristiano e da cittadino chi compera per restituire» (Sermone
18,3).
Senza darlo troppo a vedere, Massimo giunge così a predicare una
relazione profonda tra i doveri del cristiano e quelli del cittadino. Ai suoi
36
occhi, vivere la vita cristiana significa anche assumere gli impegni civili.
Viceversa, ogni cristiano che, «pur potendo vivere col suo lavoro, cattura la preda
altrui col furore delle fiere»; che «insidia il suo vicino, che ogni giorno tenta di
rosicchiare i confini altrui, di impadronirsi dei prodotti», non gli appare neanche
più simile alla volpe che sgozza le galline, ma al lupo che si avventa sui porci
(Sermone 41,4).
Rispetto al prudente atteggiamento di difesa assunto da Ambrogio per
giustificare la sua famosa iniziativa di riscattare i prigionieri di guerra,
emergono chiaramente i mutamenti storici intervenuti nel rapporto tra il
Vescovo e le istituzioni cittadine. Sostenuto ormai da una legislazione che
sollecitava i cristiani a redimere i prigionieri, Massimo, nel crollo delle
autorità civili dell’Impero romano, si sentiva pienamente autorizzato ad
esercitare in tale senso un vero e proprio potere di controllo sulla città.
Questo potere sarebbe poi diventato sempre più ampio ed efficace, fino a
supplire la latitanza dei magistrati e delle istituzioni civili. In questo
contesto Massimo non solo si adopera per rinfocolare nei fedeli l’amore
tradizionale verso la patria cittadina, ma proclama anche il preciso dovere di
far fronte agli oneri fiscali, per quanto gravosi e sgraditi essi possano apparire
(Sermone 26,2).
Insomma, il tono e la sostanza dei Sermoni suppongono un’accresciuta
consapevolezza della responsabilità politica del Vescovo nelle specifiche
circostanze storiche. Egli è «la vedetta» collocata nella città. Chi mai sono
queste vedette, si chiede infatti Massimo nel Sermone 92, «se non i beatissimi
Vescovi che, collocati per così dire su un’elevata rocca di sapienza per la difesa dei
popoli, vedono da lontano i mali che sopraggiungono?». E nel Sermone 89 il
Vescovo di Torino illustra ai fedeli i suoi compiti, avvalendosi di un paragone
singolare tra la funzione episcopale e quella delle api: «Come l’ape», egli dice,
37
i Vescovi «osservano la castità del corpo, porgono il cibo della vita celeste, usano il
pungiglione della legge. Sono puri per santificare, dolci per ristorare, severi per
punire». Così san Massimo descrive il compito del Vescovo nel suo tempo.
In definitiva, l’analisi storica e letteraria dimostra una crescente
consapevolezza della responsabilità politica dell’autorità ecclesiastica, in un
contesto nel quale essa andava di fatto sostituendosi a quella civile. E’ questa
infatti la linea di sviluppo del ministero del Vescovo nell’Italia nord-
occidentale, a partire da Eusebio, che «come un monaco» abitava la sua
Vercelli, fino a Massimo di Torino, posto «come sentinella» sulla rocca più
alta della città. E’ evidente che il contesto storico, culturale e sociale è oggi
profondamente diverso. Il contesto odierno è piuttosto quello disegnato dal
mio venerato Predecessore, Papa Giovanni Paolo II, nell’Esortazione post-
sinodale Ecclesia in Europa, là dove egli offre un’articolata analisi delle sfide e
dei segni di speranza per la Chiesa in Europa oggi (6-22). In ogni caso, a parte
le mutate condizioni, restano sempre validi i doveri del credente verso la sua
città e la sua patria. L’intreccio degli impegni dell’«onesto cittadino» con
quelli del «buon cristiano» non è affatto tramontato.
In conclusione, vorrei ricordare ciò che dice la Costituzione pastorale
Gaudium et spes per illuminare uno dei più importanti aspetti dell’unità di
vita del cristiano: la coerenza tra fede e comportamento, tra Vangelo e
cultura. Il Concilio esorta i fedeli a «compiere fedelmente i propri doveri
terreni, facendosi guidare dallo spirito del Vangelo. Sbagliano coloro che,
sapendo che qui noi non abbiamo una cittadinanza stabile, ma che cerchiamo
quella futura, pensano di potere per questo trascurare i propri doveri terreni
e non riflettono che invece proprio la fede li obbliga ancora di più a
compierli, secondo la vocazione di ciascuno» (n. 43).
38
Seguendo il magistero di san Massimo e di molti altri Padri, facciamo
nostro l’auspicio del Concilio, che sempre di più i fedeli siano desiderosi di
«esplicare tutte le loro attività terrene, unificando gli sforzi umani, domestici,
professionali, scientifici e tecnici in una sola sintesi vitale insieme con i beni
religiosi, sotto la cui altissima direzione tutto viene coordinato a gloria di
Dio» (ibid.) e così al bene dell’umanità.
39
PREGHIERA
O Dio, che in San Massimo, vescovo e servitore del tuo popolo,
hai dato alla Chiesa un’immagine viva del Cristo, buon pastore, per la sua
preghiera concedi a noi di giungere ai pascoli della vita eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te,
nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
(nella diocesi di Torino:)
Proteggi, o Signore, questa Chiesa che san Massimo ha fondato con la parola
di verità e i sacramenti della vita. Con la sua predicazione ci hai dato di
conoscere il Cristo salvatore: per la sua intercessione fa che viviamo con
coerenza la nostra vocazione di cristiani.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con Te,
nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Amen.
40
CRONOLOGIA
III secolo aC villaggio dei Taurini (fusione di Liguri e Celti della Gallia),
alla confluenza dei fiumi Po e Dora 221 aC trattato di pace con i Romani in espansione nella regione 218 aC Annibale scende dalla Valsusa e distrugge Torino, rimasta fedele
ai patti con i Romani 27 aC L’imperatore Augusto ri-fonda Augusta Taurinorum Pianta romana: Cardo nord-sud = via di Porta Palatina Decumano = via Doragrossa (v Garibaldi) 160 dC papa Pio I consacra la chiesa di s. Maria a Testona (TO) 286 dC massacro della Legione Tebea (Massimiliano) S. Maurizio, Solutore-Avventore-Ottavio / S. Besso 308 Costantino nominato “Cesare” 311 Editto di Galerio: fine delle persecuzioni anticristiane 312 Costantino sconfigge Massenzio al ponte Milvio 313 Editto di Milano (Costantino) 325 I Concilio Ecumenico a Nicea (Turchia) 341 epigrafe cristiana di Revello (CN) 345 Eusebio consacrato Vescovo di Vercelli da papa Giulio I 345-371 Massimo viene nominato da Eusebio di Vercelli come Vescovo della nuova Diocesi di Torino 371 muore s. Eusebio 374 S. Ambrogio Vescovo di Milano (succede ad un Vescovo ariano) 380 Editto di Tessalonica di Teodosio I: Cristianesimo religione
dell’Impero 381 Teodosio convoca il Concilio di Costantinopoli 384 rimozione dell’ara pagana alla Vittoria dall’aula del Senato 392 Decreti Teodosiani : templi in disuso trasformati in chiese
cristiane 393-394 Passaggio a Torino delle truppe di Eugenio usurpatore insieme ad
Arbogaste Visigoto (sconfitti ad Aquileia da Teodosio) 395 (17 gennaio) muore l’imperatore Teodosio I 397 (4 aprile) muore il vescovo di Milano s. Ambrogio 397 Sisinnio, Martirio e Alessandro martiri in Val di Non 398 Concilio di Torino con 80 Vescovi delle Gallie 401 Alarico a Torino con i suoi Visigoti 406 Torino saccheggiata da Radagaiso Visigoto
41
410 sacco di Roma di Alarico Visigoto 411 Ataulfo Visigoto passa per Torino 423 data presunta della morte di san Massimo 431 III Concilio Ecumenico ad Efeso: Maria “Madre di Dio” 451 sinodo di Milano (al quale avrebbe partecipato un Massimo II
Vescovo di Torino, secondo lo storico francese Gennadio, De viris illustribus, firmando una lettera al papa Leone I).
450-455 Passio Acaunensium Martyrum di Eucherio di Lione 452 Attila re degli Unni devasta Aquileia ed entra a Milano 465 sinodo di Roma (la firma di un Massimo II Vescovo di Torino
segue immediatamente quella di papa Ilario) Fine V sec. è verosimile che Massimo II Vescovo abbia messo le reliquie
nell’antica pieve di Collegno Ad Quintum miliarium ed abbia iniziato a raccogliere, catalogare e diffondere l’opera oratoria del suo predecessore san Massimo.
501-503 Trigidio vescovo a Torino 562-609 Ursicino vescovo a Torino (la Valsusa diventa Diocesi dei
Franchi) 680 Rustico, vescovo di Torino, partecipa al Sinodo di Roma, contro il
monotelismo per preparare il Concilio Costantinopolitano III (Trullano).
IX secolo le reliquie di san Massimo vengono nascoste dalla chiesa di san
Massimo di Collegno per sottrarle agli iconoclasti XVII sec. scoperte a Collegno alcuni frammenti che potrebbero essere
reliquie di san Massimo 1784 prima edizione critica delle opere di san Massimo 1844-53 costruzione e dedicazione della chiesa di san Massimo a Torino 1949-1959 scavi archeologici alla pieve basilica di san Massimo a Collegno 2004 san Massimo compare sulla nuova cattedra episcopale della
Cattedrale di san Giovanni Battista a Torino 2005 la chiesa ortodossa russa dedica la sua chiesa torinese a san
Massimo Vescovo 2007 ad ottobre, papa Benedetto XVI dedica a san Massimo l’udienza
generale del mercoledì, in Vaticano
42
B I B L I O G R A F I A
ARCOURT DOMENICO, Historica Notitia della miracolosa immagine della Madonna Santissima della Consolata, venerata nella Chiesa di sant’Andrea de’ MM. RR. Monaci di S. Bernardo dell’Ordine Cistercense di Torino, Garimberti, Torino 1705, 271p.
BIFFI INOS, «Dalla predicazione pasquale di san Massimo di Torino: testi e commenti», in: Ambrosius 40(1964)131-139.
BOLGIANI F., «La penetrazione del cristianesimo in Piemonte», in: Atti del V Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1979, 37-61.
BUSCALIONI PIETRO, La Consolata nella storia di Torino del Piemonte e della Augusta Dinastia Sabauda, La Palatina, Torino 1938, 566pp.
CAVALLI CARLO AMEDEO, Compendio di storia di Maria Vergine venerata in Torino sotto il titolo di Consolata e della sua sacra immagine, e del suo santuario, con altre particolari nozioni, Davico e Picco, Torino 1819.
CERRI MARIA GRAZIA, Il campanile di sant’Andrea alla Consolata, Percorsi di ricognizione intorno ad un’architettura benedettina, Coll. Biblioteca di «Studi Piemontesi», Centro Studi Piemontesi, Torino 1997, 160pp.
COGNASSO FRANCESCO, Storia di Torino, Milano 1959.
DEFILIPPIS CAPPAI CHIARA, Massimo, Vescovo di Torino e il suo tempo, SEI, Torino 1995, 111pp.
DI MAURO NICOLA, La paterna tenerezza di un pastore di anime. San Massimo, Vescovo di Torino, Effatà, Cantalupa (TO) 2001, 93pp.
PELLEGRINO MICHELE, «Sull’autenticità di un gruppo di omelie e sermoni attribuiti a san Massimo di Torino», in Atti dell’Accademia delle Scienze di Torino 90(1955-1956)1-113.
SAN MASSIMO DI TORINO, Sermoni, Introduzione, traduzione e note di G. Banterle, Coll. Scrittori dell’aerea Santambrosiana/4, testo latino a fronte, Biblioteca Ambrosiana/Città Nuova, Milano/Roma 1991, 510 pp.
SAN MASSIMO DI TORINO, Sermoni, Introduzione, traduzione e note di F. Gallesio, Paoline, Roma 1975.
SAN MASSIMO VESCOVO, La vita cristiana. Sermoni, a cura di Luigi Padovesi, Piemme, Casale Monferrato 1989.
43
SAVIO F., Gli antichi Vescovi d’Italia dalle origini fino al 1300. Il Piemonte, Bocca, Torino 1898, 283-294.
WATAGHIN CANTINO GISELA, «Problemi e prospettive dell’archeologia cristiana in Piemonte», in: Atti del V Congresso nazionale di archeologia cristiana, Roma 1979, 67-81.
SOMMARIO
San Massimo di Torino .............................................................................................. 3
1. Ambientazione Storica .................................................................................. 3
2. Il Concilio di Torino ....................................................................................... 7
3. San Massimo Predicatore e Scrittore ........................................................... 9
4. San Massimo nella nuova Diocesi di Torino ........................................... 14
5. San Massimo e la devozione alla Consolata nella chiesa di s. Andrea 15
5.1. Le Eresie mariane ...................................................................................... 17 5.2. Un esempio dalla cinematografia ........................................................... 20 5.3. La devozione mariana di S. Massimo .................................................... 21
6. La Morte di San Massimo ........................................................................... 26
7. I Successori e i Resti Mortali di san Massimo .......................................... 28
8. La Chiesa di san Massimo a Torino .......................................................... 31
BENEDETTO XVI - UDIENZA GENERALE ....................................................... 34
San Massimo di Torino ........................................................................................ 34
CRONOLOGIA ......................................................................................................... 40
B I B L I O G R A F I A ............................................................................................. 42
44