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Saggistica Aracne260
La difformebeLLezza
di un testoLetterario
a cura diCarolina Carriero
Copyright © MMXIIARACNE editrice S.r.l.
via Raffaele Garofalo, 133/A–B00173 Roma
(06) 93781065
isbn 978–88–548–5568–7
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: novembre 2012
5
Indice
Carolina Carriero, Estetica performativa. La forma e la sua dissolu-
zione creativa
PARTE I
Il Femminino materno
Capitolo I
Quante estati quanti inverni (Marilena Di Pippa)
PARTE II
Lei che racconta di sé
Capitolo I
L’eredità della olla (Ermea Ferri)
Capitolo II
Oltre le nuvole, e anche un secondo più in là (Ermea Ferri)
Capitolo III
La macchia della vita, gli occhi dell’amore (Marianna Lunghi)
Indice 6
Capitolo IV
Il mare (Alessia Paoluzzi)
PARTE III
Incontrare i fantasmi
Capitolo I
Amleto. (Riduzione in tre minuti della tragedia di William Shakespea-
re) (Ermea Ferri)
Capitolo II
Gli incontri (Ida Magli)
Capitolo III
Toccata e fuga (Ida Magli)
Capitolo IV
Desiderio d’estate (Ida Magli)
Capitolo V
Nello specchio del tempo (Ida Magli)
Capitolo VI
Il cerchio aperto (Dario Mihailov)
PARTE IV
Gli Invisibili
Capitolo I
Gli Invisibili (Ida Magli)
Indice 7
Capitolo II
Crepuscolo mattutino (Ida Magli)
Capitolo III
Romoletto (Ida Magli)
Capitolo IV
Manduchi (Ida Magli)
Capitolo V
Peppino: sarto a domicilio (Ida Magli)
Capitolo VI
Un uomo… forse (Ida Magli)
Capitolo VII
Moschino e Peppinella (Ida Magli)
PARTE V
Ribellione di una invisibile
Capitolo I
Ribellione di una invisibile (Ida Magli)
Capitolo II
Finalmente voglio essere (Ida Magli)
Capitolo III
Una nuova me stessa (Ida Magli)
Indice 8
PARTE VI
Fabulando. Variazioni su tema e altro ancora
Capitolo I
C’era una volta… ma ancora c’è (Ida Magli)
Capitolo II
Piccola fiammiferaia (Ermea Ferri)
Capitolo III
Storia di un angelo (Alessia Paoluzzi)
9
Carolina Carriero
Estetica performativa1
La forma e la sua dissoluzione creativa
Forma e difforme
La scrittura delle donne, quale pratica di auto-liberazione2, non as-
sume per sé la “forma”3 ma da sé trae configurazione entro
un’esperienza creativa con-forme alla semplicità dell’ordine4. Tale
semplicità è propulsiva e generativa nella distensione o lenta sospen-
sione delle forme artistiche convenzionali, siano esse ornamentali o
1 Il presente saggio è parte del mio più ampio testo Fruizione e narrazione di un’estetica
femminile, Aracne, Roma 2012. 2 Sull’esperienza estetica femminile, fondata sulla ‘gestazione’ del kosmos procedente
dalla sua bellezza e sul ‘sentire’ la ‘differenza’ tra meraviglia e ‘trascendenza orizzontale’ mi
riferisco soprattutto a R. Braidotti, Dissonanze. Le donne e la filosofia contemporanea, Mila-
no, 1994; L. Irigaray, Questo sesso che non è un sesso, trad. it. Milano, 1990; Id., Etica della
differenza sessuale, trad. it., Milano, 1985; In tale ambito di studi si inserisce anche il mio ul-
timo lavoro Estetica femminile. Cosmetica e kosmos, Roma, 2012. 3 Circa la nozione di “forma” ricordo soprattutto i contributi di W. Tatarkiewicz, Storia di
sei Idee, trad. it., Palermo, 2011, pp. 225-250; E. Panofsky, Idea. Contributo alla storia
dell’estetica, trad. it., Firenze, 1952; G. Carchia, Il mito in pittura, Milano, 1987; R. Arnheim,
Art and Visual Perception. A Psychology of the Creative Eye, Berkeley-Los Angeles, 1954; R.
Ingarden, Forma e contenuto dell’opera letteraria , trad. it., 1958; H. Wölfflin, Rinascimento
e Barocco, trad. it., Firenze, 1928; A. Sheppard, An Introduction to the Philosophy of Art, Ox-
ford-New York, 1987. 4 Vedi E.H. Gombrich, The Sense of Order. A Study in the Psychology of Decorative Art,
Oxford, 1979.
10
strutturali poco importa. Non si tratta di una loro deliberata dissolu-
zione assunta a canone estetico, seppure in essa possa poi confluirvi,
piuttosto di un lento e dunque pienamente fruito -kantianamente più
come “sentimento di dispiacere” che di “piacere”5- inabissamento e
attraversamento. Non si tratta neppure di una ‘disarmonia’, piuttosto
del saper sostare entro la sofferenza, nella frattura interna all’esserci,
nella ‘ferita’ ove restare -in distensione e lentezza- entro una ‘resa’ che
trova riscatto nell’inaugurazione linguistica del mondo. Ovvero
dell’inaugurazione di una nuova soggettività-in-relazione che assuma
il ‘difforme’ accanto alla paura, e non oltre questa, della possibile di-
sgregazione dell’esserci nel mondo. Il ‘difforme’ è innanzitutto la
scelta di non fuggire dal disordine entro un atto sacrificale, proprio di
molte donne, atto a ristabilire velocemente l’ordine perduto: il chaos
assunto nel proprio corpo, secondo un modello sacrificale femminile o
rifuggito, per Chiara Zamboni, da «quel tipo di pensiero (maschile)
che evita di sostare presso la crepa6» non accoglie il vivente entro il
processo della vita. E non l’accoglie proprio nell’atto di strappare al
tempo, alla vita, il vivente e l’eroe immortalato nella scrittura, a di-
spetto del suo pianto che vorrebbe restituircelo umano, come in Ulis-
se, cui poco crediamo. Un oltre il tempo che, con le parole di Adriana
Cavarero, si congiunge alla morte quale unico anelito dell’eroe che
Come Achille, continuano infatti a stupirci, se non a infastidirci, per illoro
innamoramento della morte. Tale enfasi –a dire il vero, assai virile- su un de-
siderio che mescola assieme la sfida della morte e una fama che le sopravvi-
va, suona palesemente come un irresistibile omaggio alla tradizione patriarca-
le. […] L’eroe è davvero eccessivo in tutte le sue imprese. Portato a esaltarsi
nell’azione, egli è capace di esaltarsi anche nell’autonarrazione.7
5 Entro la vasta bibliografia sull’opera di I. Kant, Kritik der Urteilskraft (1790), mi riferi-
sco qui in modo particolare a G. Carchia, Kant e la verità dell’apparenza, Torino, 2006; E.
Cassirer, Vita e dottrina di Kant, Milano, 1968 e 1984; H. G. Gadamer, Verità e metodo, Mi-
lano 1983; E. Garroni, Estetica ed epistemologia. Riflessioni sulla «Critica del Giudizio»,
Roma, 1976. 6 Ch. Zamboni, Quando il reale si crepa, in Diotima, La magica forza del negativo, Napo-
li, 2005, p. 104, (corsivo nostro) 7 A. Cavarero, Tu che mi guardi, tu che mi racconti. Filosofia della narrazione, Milano,
1997, p. 45.
Estetica Performativa. La forma e la sua dissoluzione creativa 11
La scrittura performativa femminile, anche quella delle mistiche,
attesta una terza via: né sacrificale né rimuovente essa è piuttosto ‘ge-
nerativa’, o meglio ri-generativa secondo l’archetipo femminino del
nascere-morire-rinascere. E qui la “ferita” o “crepa” del reale diviene
“patimento e godimento”, “presenza e distacco” che non ostacolano
ma segnano le tappe del cammino spirituale ed esistenziale.8 Riferen-
dosi alla pratica della scrittura di Inceborg Bachmann, la Zamboni co-
sì scrive sul valore generativo della scrittura:
Lei, che racconta, non fa finta di niente: guarda e vede quel che la fissità
dei fatti vela. Vede la scissione della realtà, la sofferenza delle cose, la de-
formazione dei corpi. Non ci può fare niente, solo arrendersi a quel che av-
viene e contemporaneamente lavorare duramente nella lingua. Una cosa e
l’altra: lo schiacciamento del non essere e la tessitura dell’essere nella scrittu-
ra. E la lingua ne viene modificata: accoglie le sconnessioni nello scrivere, il
non compiere del tutto le frasi, l’ascolto di altro da ciò che è rappresentabile.9
Il difforme è lo sforzo di esserci entro le ferite dell’esistenza tra as-
surdo e grazia, angoscia ed estasi, morte e vita: il “lavoro” della scrit-
tura non si iscrive entro un ‘contro-canone’ estetico, piuttosto è iscrit-
to in una esigenza interiore di armonia che è tutt’altro dalla fissità del-
lo stesso canone di ‘forma’. Il creativo-generativo sacrificato alla mi-
mesis, proprio del mondo greco, è qui risospinto fino alle sue articola-
zioni più oscure e profonde: ‘imitare’ come riconoscere in sé il diveni-
re fa dell’artista un ‘necessario’ demiurgo. La difformità tra libertà e
necessità, creatività e conformazione sono in lei/lui come supplizio ed
estasi, oltre lo sguardo oggettivante ed entro un sentirsi difforme
all’idea di un mondo la cui armonia è data dalla dissonanza. Tale è il
sentirsi nel mondo; al di là di questo non c’è mondo né io perché nulla
è se non in relazione, proprio come l’assenza e la presenza, il logos
afono della paura e la grana materica del suono che l’accoglie mutan-
do la forma nel difforme.
Entro l’esperienza artistica ed estetica femminile ritroviamo abil-
mente intrecciate, e trasformate, proprio l’idea di forma e di “creativi-
tà” a partire dalla dissoluzione di un kosmos quale ‘atto’ di non ade-
8 Ibid. p. 100. 9 Ibid., p. 112.
12
sione conformistica a un mondo convenzionale e patriarcale dato. La
‘generazione’, quale criterio estetico performativo della creatività poe-
tica, realizza nella dialettica di Erich Neumann -tra archetipo materno
e imago della madre10
- la tensione alla ‘totalità’ culminante nella con-
formazione a un ordine culturale quale tradizione dei padri o coscien-
za introiettata. Tra il chaos -conflittualità senza soluzioni- e la rigidità
dei canoni la scrittura femminile compie quella “centroversione”11
per
la quale passa, coadiuvati dalla forza degli archetipi, sia lo sviluppo
sia l’individuazione. In tal senso ritroviamo, nella scrittura, il ‘dove’
ove distendersi nella ricognizione significativa del pensiero riflettente:
è la parola che crea il ‘luogo’, di più, è la frattura entro cui inabissarsi
per ritrovare le radici del proprio smarrimento e ritrovamento. Identità
e segregazione sono un nodo esistenziale come l’avanzare e il cadere
di Euridice-Gradiva dal piede ferito12
, o anche quel “sentirsi come la
gamba amputata d’un corpo più grande e più caldo” per Gesualdo Bu-
falino:
Vivo e scrivo in un’isola. Prima d’essere un’anagrafe geografica, questa è
una condizione morale e, come tutto ciò che inerisce alla morale, porta dentro
di sé, in un gioco di luci e di ombre, il ricco germe dell’ambiguità. Un’isola è
in effetti almeno due cose contraddittorie: un’autosufficienza felice e una so-
litudine amara.13
Il luogo della parola è la “quasi isola” della peninsula, è la “fierez-
za magnanima” e insieme il “furor malinconico”14
di abitare un Eden
entro cui si è pure esiliati, separati-da e disperati-in un ‘dove’ da cui
occorre partire per rimanere. Il dilemma di Bufalino -lasciare la peni-
sola o restare- si traduce nella scrittura femminile come necessità di
compiere simultaneamente tali moti opposti, che più profondamente
10 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, trad. it., Roma, 1978. In questo mio
saggio mi riferirò più volte ai contributi offerti dalla psicologia dell’arte in quanto volti a un
‘nuovo sentire’ «irriducibile ad un sentire prima o poi conciliato e pacificato come quello e-
stetico; in altre parole, il sentire del Novecento non può essere ricondotto a Kant e a Hegel»,
M. Perniola, L’estetica del Novecento, Bologna, 1997. 11 E. Neumann, L’uomo creativo e la trasformazione, trad. it., Padova, 1975. 12 Sul controcanto di Euridice, via per una filosofia non dualistica e in dissonanza con la
scissione orfica, rinvio al mio Euridice. Per un’estetica del desiderio, Roma, 2011. 13 G. Bufalino, Il fiele ibleo, in AA. VV., La parola e il luogo, Palermo, 2010, p. 91. 14 Ivi.
Estetica Performativa. La forma e la sua dissoluzione creativa 13
non lo sono neppure per lo scrittore innamorato di ossimori. Tale luo-
go è infatti fondato dalla parola, è il dove procedente dallo smarrimen-
to muto fino al canto sorgivo e inaspettato, al suono vocalico che into-
na parole straniere per il mondo dato che pure, in tale estraneità, ri-
suonano come autentiche, proprie, inauguranti il sé. Si tratta di un uni-
co viaggio, o meglio del primo di molti a seguire, quale katabasis vis-
suta sia in solitudine sia in ‘relazione-generazione’ dell’ordine-
Mondo, entro cui il soggetto di genere è simbolicamente fondato. Ri-
generato alla fonte del chaos e ri-creato entro un ordine nuovo, un ko-
smos riconosciuto intimamente nella consonanza alla sua celata bel-
lezza. Celata al mondo dato, splendente invece allo sguardo smarrito
che non vuole superare il ‘tremore’ in una ‘meraviglia’ risolta in un
logos disincarnato, cioè afono, muto, incorporeo. Un logos auto-
espropriante patito nella forma del linguaggio: furto dell’arte e implo-
sione della creatività; a volte sua terribile rimozione iscritta nel corpo
di donna con rivoli di sangue. La deformità15
della forma è dunque
superata nella dissoluzione della stessa quale inaugurazione del ‘nuo-
vo’: il “difforme”, non inteso come ‘grottesco’, è la distanza
dall’ordine muto ove scrittura e femminile trovano un luogo in cui ri-
nascere. Così è anche nel ‘corpo ferito’ della donna-Sicilia per Bufali-
no:
Terra difficile, la Sicilia.
[…]
Altre volte la paragono a una creatura vivente, a una donna. Si sa quanto
sia difficile, di una donna, intendere i lineamenti segreti, i crocicchi dei nervi,
le maree degli umori, le impronte digitali dell’anima. E quanto sia ancora più
difficile conoscerne veramente il corpo, al di là d’una effimera presunzione di
possesso carnale. Lo stesso accade per la Sicilia, nella varietà del suo paesag-
gio, dalle molli pianure solcate da fiumi dai dolci sdruccioli nomi greci agli
altipiani simili a scacchiere dipinte, dove muretti di sassi disegnano geroglifi-
15 Il “difforme” della scrittura femminile non ha nulla a che fare con la detrazione di liber-
tà e con lo ‘sfiguramento’ quale, ad esempio, in K. Rosenkranz, Estetica del Brutto, trad. it.,
Palermo, 2004.
14
ci che solo un Dio geometra interpreta dalla sua nube, o un’allodola vertigi-
nosa…16
La funzione trasformativa e rigeneratrice di quanto è culturalmente
statico e ‘inaridito’, seppure si riferisca all’archetipo della femminilità
e della maternità17
, incontra da subito il femminile quale suo irriduci-
bile ‘ostacolo’. Un paradosso che ogni scrittrice vive come inabissa-
mento nel muto chaos di sé da cui generare, a partire da tale patimento
estetico, un nuovo kosmos di parole ‘altrimenti significanti’. È neces-
saria una morte, come per Epimenide, una morte almeno per risalire
alla vita, per inaugurare il ‘nuovo’, per generarlo e accudirlo a partire
dal sangue, dal flusso vitale, dal femminino materno. E anche dalle fe-
rite della Sicilia, metaforicamente, per chi come Bufalino cerca la vita
entro i “ruderi regali” di una Medusa che impietra e che è pure “Mater
dolorosa trafitta da sette pugnali di fuoco”.18
Il pianto delle donne trasformate in pernici dall’ira di Zeus è anche
il canto delle allodole delle “vertiginosa” Afrodite: dal dolore la su-
blimazione della bellezza d’amore, negata e violata, con un di più e un
altrimenti rispetto alla ‘sublimazione’, come ora vedremo. Su questo
paradosso, dato dalla connaturalità dell’espressione creativa rispetto
all’aspetto generativo-nutritivo femminile (la radice indoeuropea ker
si riferisce al “nutrire” e al “crescere”), intendiamo qui riflettere, ri-
cordando preliminarmente che essa ricorre già nelle antiche cosmolo-
gie affiancandosi al ‘gioco’ e alla ‘conoscenza’. Tale generare, infatti,
già etimologicamente implica un “portare a termine” il ‘parto poietico’
e un “dominare” il mondo per l’atto conoscitivo del soggetto, atto che
realizza l’unicità d’essere del soggetto medesimo. Vi è dunque, nella
scrittura di genere, un di più dell’espressione dell’unicità perché è tale
unicità a essere il primo ostacolo da accogliere, affinché ne sia ri-
conosciuto il valore entro la differenza. Tale riconoscimento, però,
procede dall’unicità del soggetto offerto dal mondo dato come ‘ogget-
to’, ovvero come ostacolo. Il ‘gioco’ tra espressione e inaugurazione
simbolica o fondazione del soggetto di genere diviene allora serrato,
16 G. Bufalino, Il fiele ibleo, cit., p. 92. 17 E. Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili
dell’inconscio, trad. it., Roma, 1981. 18 G. Bufalino, Il fiele ibleo, cit., p. 93.
Estetica Performativa. La forma e la sua dissoluzione creativa 15
così come lo è l’atto conoscitivo del mondo a partire da un sé reinter-
pretato e solo perciò simbolicamente fondato.
Gioco e conoscenza inaugurano il kosmos non disfacendosi del
chaos ma dell’ordine precostituito. Se infatti la creatività è, ripensan-
do a H. Anderson19
, la manifestazione dell’originale e
dell’individualità comune a ogni essere vivente è però vero che, anche
per condizioni socio-politiche e culturali, nel femminile il “pensiero
divergente” è in certo senso necessitato. La scrittura femminile, quale
pratica di auto-liberazione, non può non essere ‘cosmologica’: prima
parola filosofica e primo respiro di un logos compromesso e patito
nell’atto di esprimere ‘stupore’ e ‘tremore’. In tale processo creativo,
che è inabissamento e superamento nell’insorgenza del nuovo come il
chi già esistente ma non ancora ‘presente’, il pensiero divergente può
agevolmente -perché agevolato dall’impossibilità di sottrarsi- utilizza-
re processi originali per soluzioni differenti. In tal senso non vi può
essere posto per la ‘bizzarria’ autoreferenziale -a tale solipsismo si
oppone il creativo femminile, già entro la storia- né la si può facilmen-
te confondere, come accade altrimenti, con l’originalità del soggetto.
Originariamente e originalmente la scrittura quale cosmologia fon-
da la relazione Io-mondo entro una rete di significanti e significati
comunicabili, entro un ‘discorso’ che procede dall’inaudito di una
prima parola contro/entro il mutismo del chaos. L’imprevedibilità del
creativo femminile non può non essere un pensiero divergente in
quanto è, dall’inizio, inaugurazione simbolica di un Io-mondo anche
prescindendo, suo malgrado, dal ‘consenso’ (del fruitore e del pubbli-
co mercato). La storia ci testimonia di donne, soprattutto mistiche,
che hanno patito il linguaggio trovando un riscatto in esperienze esta-
tiche decodificabili linguisticamente: un paradosso, questo, che si
spiega e si scioglie entro il primo paradosso di una parola femminile
che si cerca, perdendosi, entro una tradizione logocentrica che vuole il
femminile ‘muto’ perché ‘ferito’20
. Per tale ferita il ‘consenso’ del
pubblico è un inaspettato balsamo, un insperato riconoscimento che
pure conduce dall’ospedale Paolo Pini di Affori al mondo dato per la
19 H. H. Anderson, La creatività e le sue prospettive, trad. it., Brescia, 1980. 20 Per la scrittura del corpo, nell’esperienza mistica femminile, rinvio al mio lavoro Dis-
sonanze d’anima. Per una dottrina della conoscenza sensibile, Roma, 2011.
16
medietà della scrittura, proprio come accadde ad Alda Merini. Lo psi-
chiatra Enzo Gabrici, il “dottor G” che seppe aiutarla21
, non esita a
scrivere che il riconoscimento del pubblico ebbe per lei un ruolo fon-
damentale nella guarigione; eppure nel diagnosticare il ‘male’ da cui
era affetta la Merini si riferisce a qualcosa che, noi donne, riconoscia-
mo subito come una ‘storia nota’. Perché le donne hanno da sempre
scritto in dialogo col mondo, pure entro l’emarginazione sociale (ov-
vero senza ricevere un ‘riconoscimento’ sociale), trasformando la soli-
tudine in ascolto e voce di sé e dell’altro per sé e per l’altro. Tra ma-
lattia e ‘guarigione’ vi è un di più che scorre muto tra le righe bianche
di Gabrici, un oltre che è un ‘prima’ del pur importante riconoscimen-
to del pubblico. Dopo quel ricovero, infatti, non è più ricaduta in alterazioni psicopatolo-
giche per cui si può concludere, a mio parere, che il suo ritrovato equilibrio è
dovuto alla sua meritoria realizzazione nel sociale attraverso l’espressione
poetica. La sua inclinazione artistica era stata a lungo soffocata dai problemi
della vita quotidiana, non aveva avuto modo di manifestarsi né, tantomeno, di
essere valutata e apprezzata, e questo le aveva causato una grande sofferenza,
che si era poi trasformata nella sintomatologia psicopatologica. […]
In definitiva, penso che le alterazioni della sua vita cosciente nascessero
dal conflitto fra la sua natura istintivo-passionale, che trovava espressione na-
turale nel linguaggio della poesia, e la costrizione della normale famiglia che
aveva accettato […] Questo conflitto, non accettato dalla sua coscienza della
realtà, era tanto forte che in certe sue “liberazioni” nei periodi acuti sognava
di essere uomo, perché in questo vedeva la grandezza del potere contro la
fragilità della sua femminilità, nonostante la forza e la creatività del suo amo-
re femminile […]
La creazione attraverso l’arte poetica è stato il suo balsamo, specialmen-
te quando ha avvicinato la gloria dell’uomo, che era il suo vero desiderio, pur
avendo sempre sentito fortemente la maternità…22
Il dottor G. non può non piacerci, eppure c’è dell’altro. Nelle sue
parole sembra mancare l’anello che congiunge la maternità col ‘desi-
derio di essere uomo’: l’essere in quanto donna della Merini, pur tanto
presente e dichiarato nei suoi scritti, sembra in qualche modo essergli
21 A. Merini, Lettere al dottor G., Milano, 2008. 22 E. Gabrici, Prefazione a A. Merini, Lettere al dottor G., cit., pp. 2, 6-7 (corsivo nostro).
Estetica Performativa. La forma e la sua dissoluzione creativa 17
sfuggito. E così gli è sfuggito il ‘mutismo’ del femminile e il diverso
significato del ‘consenso’, quale ‘perdono’ non più anelato ma libera-
mente elargito. Nella scrittura femminile il “principio del piacere” è
infatti fortemente implicato entro la tensione verso l’oltrepassamento
del buio-dissolvimento, o principio statico dell’istinto di morte, vol-
gendosi alla bellezza quale unificazione e distinzione (con-figurazione
del cosmo a partire dal caos). L’inabissamento è cioè rispondente
all’istinto di vita quale principio dinamico accompagnato da narcisi-
smo e spostamento, ovvero da quell’impulso di bellezza che per Hans
Sachs23
si volge dalla personalità dell’artista alla sua opera.
Tuttavia nella scrittura femminile tale prodotto non è parte della
personalità, piuttosto costituisce la condizione di possibilità della
stessa costituzione del soggetto di genere. Vi è qui un di più della
freudiana “socializzazione” della fantasia individuale24
e della funzio-
ne mediatrice Io-mondo della fantasia, pur realizzando la fondamenta-
le riappropriazione del corpo all’Io. L’approvazione sociale dell’opera
non è infatti temporaneamente risolutoria del conflitto dell’artista per-
ché, secondo la classica tesi freudiana25
, renderebbe la fantasia “non
colpevolizzante”. Al contrario ciò avviene perché l’artista ‘sente’ e
raffigura in parole-immagini (i fantasmi dei morti incontrati
nell’abisso della scrittura) l’oscurità della storia personalmente patita,
fino a con- donare o per-donare attraverso l’atto generativo della ri-
scrittura di sé. Il ‘narcisismo’, quale impulso di bellezza e desiderio di
essere amati, è il principio di unificazione procedente dalla distinzio-
ne, proprio come nelle cosmogonie, la cui capacità di distinguere gli
‘oggetti’ prima di ‘collegarli’ è un atto generativo proprio del Femmi-
nino. Nonostante Oscar Pfister26
, dobbiamo riconoscere che nella
scrittura femminile tale ‘generazione’ non è soltanto una via di libera-
zione dalla tensione provocata da istinti opposti: essa è piuttosto un
23 H. Sachs, The Delay of the Machine Age, in «Psychoanalytic Quartererly», n. 2, 1933;
Id., The Creative Unconscious Studies in the Psychoanalysis of Art, Cambridge, 1942. 24 S. Freud, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, trad. it., Torino, 1972: Id., Il
motto di spirito, trad. it., Torino,
1970; Id., Gradiva, trad. it., Torino, 1961; Id., Il poeta e la fantasia, trad. it. in C.L. Mu-
satti, Freud, Torino, 1959. 25 Id., Introduzione alla psicoanalisi, trad. it., Torino, 1979. 26 O. Pfister, The Psychoanalytic Method, New York, 1917.
18
‘difficile parto’, atto non a ‘creare’ un mondo fantastico irreale ‘com-
pensatorio’ ma il mondo reale, quale sua ri-scrittura significativa
nell’ordito linguistico.
Il ‘mutismo culturale’, negli studi di Luisa Muraro27
, è effetto di
un’educazione culturale (Freud e Lacan) che invita le donne a eman-
ciparsi distanziandosi dalla figura materna, idealizzando il ‘padre’ per
un più profondo anelito all’indipendenza ‘autorevole’. Sarebbe dun-
que il decentramento verso l’ordine simbolico maschile a ostacolare la
creazione di una forma linguistica propria, a trasformare la scrittura in
un’incisione sul corpo per fendere e quindi far emergere la parola sof-
focata. Dalla «miseria femminile di non saper amare la madre»28
, ov-
vero dall’incapacità delle donne di raccontare la storia delle proprie
origini, da questa ‘frattura’ o ‘ferita’ attingiamo il valore della lingua
materna: è qui che il linguaggio, e la scrittura, divengono un movi-
mento inaspettato. Il medium linguistico si frappone allora come un
‘negativo’ la cui forza potrebbe condurre a un ‘inaspettato’ riconosci-
mento dell’autorità femminile. Un riconoscimento che, a partire da
Melanie Klein29
, si configura come gratitudine per la nascita e condi-
zione di una filosofia, e di un’arte, per la vita.
Nella scrittura è data la possibilità che la creatività, trasformando
ciò che è disponibile, veicoli l’originalità entro un sistema linguistico
comprensibile e comunicabile senza il quale non potrebbe esservi la
fondazione Io-mondo. In tal senso il “pensiero produttivo” non può ri-
petere quanto già appreso ma, come corporeità del logos, deve tentare
l’imprevedibile -come appunto nel ‘gioco’- per lasciar emergere il
previsto negato (o mutismo storico del femminile). Ritroviamo qui al-
cuni punti in comune con la concezione psicologica della bellezza di
27 Sul valore del linguaggio entro l’ordine simbolico materno cfr. Luisa Muraro, «Filoso-
fia, cosa esclusivamente in atto e pratica» in AA. VV., a cura di A. Putino e S. Sorrentino,
Obbedire al tempo, Napoli, 1995, pp. 41-48; Id., L’orientamento della riconoscenza, in Dio-
tima, Il cielo stellato dentro di noi, Milano, 1992; Id., L’ordine simbolico della madre, Roma,
1991; Id., La nostra comune capacità d’infinito, in Diotima Mettere al mondo il mondo. Og-
getto e oggettività alla luce della differenza sessuale, Milano, 1990; Id., Lingua materna,
scienza divina. Scritti sulla filosofia mistica di Margherita Porete, Napoli, 1995; Id., Maglia o
uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metonimia, Milano,
1981. 28 Id., L’orientamento della riconoscenza, cit., p.11. 29 Cfr. M. Klein, Invidia e gratitudine, trad. it., Firenze, 1969, p. 126.
Estetica Performativa. La forma e la sua dissoluzione creativa 19
Charles Baudouin30
, per la quale l’arte come ‘sublimazione’ è in effet-
ti una ‘diversione riuscita’, funzionale cioè all’individuo e
all’ambiente in quanto preliminare atto di ‘non conformazione’ allo
stesso e inaugurazione del ‘nuovo’. In tal senso dobbiamo riconoscere
che quanto più complesso è l’intreccio simbolico tanto più articolato
diviene il logos.
Per comprendere la gravità della rimozione culturale della forma
linguistico-filosofica femminile è utile ripensare all’opera Wahrheit
und Methode di Gadamer. Qui possiamo infatti comprendere la com-
plessità e ambivalenza del medium linguistico, rinvenendone lo smar-
rito atto vitale ‘immediato’ di comprensione linguistica funzionale alla
traduzione e interpretazione. Attingiamo così alle sue parole per dire
qualcosa che, contro lo stesso Gadamer, complica e mette in gioco
non tanto l’opinione del lettore quanto l’orizzonte simbolico patriarca-
le entro cui il testo ‘parla’:
Una tale padronanza della lingua è anzi una vera e propria condizione
preliminare per intendersi nel dialogo. Ogni dialogo presuppone che i due in-
terlocutori parlino la stessa lingua. Solo dove è possibile intendersi attraverso
una comunicazione linguistica può sorgere il problema della comprensione.31
La complicazione dovuta all’intervento di un interprete32
, nella re-
lazione di questi con il primo e il secondo interlocutore, si traduce per
noi non in una ri-trascrizione logico-dimostrativa ma in una riscoperta
dell’auctoritas femminile. Tra lallazione e logos, ripensando a Jac-
ques Lacan33
, ci troviamo compressi entro una struttura polare che ci
scinde -divide e separa- in male/bene, maschile/femminile: come ri-
conoscere dunque la nostra integrità? come liberarsi dall’autoritarismo
di questa logica polare? Il linguaggio non è infatti un semplice elenco
di nomi ma è il mondo culturale che in-forma nel modo della sua stes-
sa pre-comprensione: in-forma un kosmos mai dato.
30 Ch. Budouin, Psicoanalisi dell’arte, trad. it., Rimini, 1972. 31 H. G. Gadamer, Verità e metodo, cit., p. 443. 32 Ivi, p. 444. Vedi anche H. G. Gadamer, L’attualità del bello, trad. it., Genova 1986. 33 J. Lacan, Scritti, trad. it., Torino, 1974.
20
L’operazione di decostruzione del logos, come in Luce Irigaray34
,
opera allora un intarsio nel logos -una ‘ferita’ che ri-sana- tra fruizio-
ne e creazione quale inaugurazione del kosmos a partire da sé,
dall’ornamento o ‘cosmetica’ che è cura per una ‘seconda nascita’. Il
termine kosmos -‘ordine’- recupera così la sua caratteristica estetica
entro la scrittura cosmogonica femminile poiché tale ordine, o univer-
so, è inteso come generato armonicamente a partire dalla dissonanza.
L’ornamento del mondo35
è la condizione della sua possibilità
d’essere.
L’incontro fantasmatico
In quale modo l’espressione creativa femminile, questo è il nucleo
della nostra riflessione, inaugurante un ‘nuovo’ già esistente ma anco-
ra muto e in ciò ancora non-presente, può essere ‘flessibile’? e come
può esserlo entro un linguaggio che -anche artistico- circola nella for-
ma auto-espropriante del soggetto femminile? Tale fluidità e flessibili-
tà36
somiglia molto alle acque di Ade, apparentemente di morte, ove
Euridice si inabissa per incontrare i “fantasmi” dell’immaginazione
produttiva37
. La generazione del nuovo, quale esperienza di sé come
soggetto agente e comprensione-dominio del mondo, prevede la “for-
ma” e la sua dissoluzione “fantasmatica”. È allora che dalla creatività
con regole, ovvero dall’incontro di “fantasia” e “forma”, tale dissolu-
zione quale discesa nell’Ade per entrare nella “Scuola dei Morti” di-
viene, con Hélène Cixous38
, la fantasia della creatività quale inabis-
samento e ‘oltrepassamento’ per la genesi Io-mondo. Una scuola che,
34 Vedi L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, trad. it., Milano 1976, ID., L’etica della dif-
ferenza sessuale, trad. it, Milano 1985; P. M. Marianeschi, La stigmatizzazione somatica, Li-
breria Città del Vaticano 2000. 35 Rinvio qui al mio Estetica femminile. Cosmetica e kosmos, Roma, 2012. 36Sullo studio tra psicoanalisi e creatività fondamentale è la produzione scientifica del
prestigioso Istituto di Psicoterapia Analitica di Firenze, con particolare riguardo ai contributi
di Alida Cresti (vedi La creatività da Freud ad Arieti… e oltre!). 37 Interessante è il raffronto, operato per opposizione e dislocazione, con il ‘fantasma’ -o
padre ‘morto’- di Amleto nelle interpretazioni freudiane dei personaggi letterari quali casi cli-
nici negli anni 1913-1927 (S. Freud, Shakespeare, Ibsen e Dostoevskij, trad. it., Torino, 1967). 38 H. Cixous, Tre passi sulla scala della scrittura, trad. it., Roma, 2002, pp. 27-83.