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“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli 1 SALMO 136 (135) CANTO DEL «GRANDE HALLEL» P. ERNESTO DELLA CORTE. Studente di Fisica e ateo per scelta, durante una grave malattia (tumore) incontra il Risorto e riceve il dono della Fede e della chiamata alla consacrazione sacerdotale. Studia Teologia e poi Sacra Scrittura fino a diventare sacerdote. È un biblista, formatore e predicatore. Appartiene alla Diocesi di Salerno. Attualmente insegna presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e tiene esercizi spirituali e aggiornamenti biblici da quasi 30 anni. Versione letteraria e poetica 1 CONFESSATE lodi al Signore: egli è buono: eterno è il suo amore per noi. 2 CONFESSATE lodi al Dio degli dèi: eterno è il suo amore per noi. 3 CONFESSATE il Dio che è sopra i potenti: eterno è il suo amore per noi. 4 Soltanto lui è compiente prodigi: eterno è il suo amore per noi. 5 I cieli è creante con somma sapienza: eterno è il suo amore per noi. 6 È stabilente la terra sull’acque: eterno è il suo amore per noi. 7 È seminante i cieli di astri: eterno è il suo amore per noi. 8 Il sole (ha posto) a governo dei giorni: eterno è il suo amore per noi. 9 Luna e stelle a regger la notte: eterno è il suo amore per noi. 10 Percotente l’Egitto nei suoi primogeniti: eterno è il suo amore per noi; 11 e da laggiù ha liberato ISRAELE: eterno è il suo amore per noi; 12 con la potenza del braccio disteso: eterno è il suo amore per noi; 13 dividente il mar dei giunchi in due parti: eterno è il suo amore per noi; 14 in mezzo ha fatto passare ISRAELE: eterno è il suo amore per noi; 15 il Faraone e le armate sommerse: eterno è il suo amore per noi; 16 guidante nel deserto il Suo Popolo: eterno è il suo amore per noi. 17 È percuotente grandi sovrani: eterno è il suo amore per noi; 18 superbi principi ha sterminato: eterno è il suo amore per noi; 19 Seon re Amorreo eterno è il suo amore per noi; 20 Og re di Basan: eterno è il suo amore per noi. 21 La loro terra ha dato in possesso: eterno è il suo amore per noi; 22 come possesso a ISRAELE Suo Servo: eterno è il suo amore per noi. 23 Ha ricordato la nostra abiezione: eterno è il suo amore per noi; 24 ci ha liberati dai nostri nemici: eterno è il suo amore per noi. 25 È lui che è dante il cibo ad ogni vivente: Versione CEI 2008 1 RENDETE GRAZIE al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre. 2 RENDETE GRAZIE al Dio degli dèi, perché il suo amore è per sempre. 3 RENDETE GRAZIE al Signore dei signori, perché il suo amore è per sempre. 4 Lui solo ha compiuto grandi meraviglie, perché il suo amore è per sempre. 5 Ha creato i cieli con sapienza, perché il suo amore è per sempre. 6 Ha disteso la terra sulle acque, perché il suo amore è per sempre. 7 Ha fatto le grandi luci, perché il suo amore è per sempre. 8 Il sole, per governare il giorno, perché il suo amore è per sempre. 9 La luna e le stelle, per governare la notte, perché il suo amore è per sempre. 10 Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti, perché il suo amore è per sempre. 11 Da quella terra fece uscire Israele, perché il suo amore è per sempre. 12 Con mano potente e braccio teso, perché il suo amore è per sempre. 13 Divise il Mar Rosso in due parti, perché il suo amore è per sempre. 14 In mezzo fece passare Israele, perché il suo amore è per sempre. 15 Vi travolse il faraone e il suo esercito, perché il suo amore è per sempre. 16 Guidò il suo popolo nel deserto, perché il suo amore è per sempre. 17 Colpì grandi sovrani, perché il suo amore è per sempre. 18 Uccise sovrani potenti, perché il suo amore è per sempre. 19 Sicon, re degli Amorrei, perché il suo amore è per sempre. 20 Og, re di Basan, perché il suo amore è per sempre. 21 Diede in eredità la loro terra, perché il suo amore è per sempre. 22 In eredità a Israele suo servo, perché il suo amore è per sempre. 23 Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi, perché il suo amore è per sempre. 24 Ci ha liberati dai nostri avversari, perché il suo amore è per sempre. 25 Egli dà il cibo a ogni vivente,

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“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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SALMO 136 (135) CANTO DEL «GRANDE HALLEL»

P. ERNESTO DELLA CORTE. Studente di Fisica e ateo per scelta, durante una grave malattia (tumore) incontra il Risorto e riceve il dono della Fede e della chiamata alla consacrazione sacerdotale. Studia Teologia e poi Sacra Scrittura fino a diventare sacerdote. È un biblista, formatore e predicatore. Appartiene alla Diocesi di Salerno. Attualmente insegna presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale e tiene esercizi spirituali e aggiornamenti biblici da quasi 30 anni.

Versione letteraria e poetica

1 CONFESSATE lodi al Signore: egli è buono: eterno è il suo amore per noi.

2 CONFESSATE lodi al Dio degli dèi: eterno è il suo amore per noi.

3 CONFESSATE il Dio che è sopra i potenti: eterno è il suo amore per noi.

4 Soltanto lui è compiente prodigi: eterno è il suo amore per noi.

5 I cieli è creante con somma sapienza: eterno è il suo amore per noi.

6 È stabilente la terra sull’acque: eterno è il suo amore per noi.

7 È seminante i cieli di astri: eterno è il suo amore per noi.

8 Il sole (ha posto) a governo dei giorni: eterno è il suo amore per noi.

9 Luna e stelle a regger la notte: eterno è il suo amore per noi.

10 Percotente l’Egitto nei suoi primogeniti:

eterno è il suo amore per noi; 11 e da laggiù ha liberato ISRAELE:

eterno è il suo amore per noi; 12 con la potenza del braccio disteso:

eterno è il suo amore per noi; 13 dividente il mar dei giunchi in due parti:

eterno è il suo amore per noi; 14 in mezzo ha fatto passare ISRAELE:

eterno è il suo amore per noi; 15 il Faraone e le armate sommerse:

eterno è il suo amore per noi;

16 guidante nel deserto il Suo Popolo: eterno è il suo amore per noi.

17 È percuotente grandi sovrani: eterno è il suo amore per noi;

18 superbi principi ha sterminato: eterno è il suo amore per noi;

19 Seon re Amorreo eterno è il suo amore per noi;

20 Og re di Basan: eterno è il suo amore per noi.

21 La loro terra ha dato in possesso: eterno è il suo amore per noi;

22 come possesso a ISRAELE Suo Servo: eterno è il suo amore per noi.

23 Ha ricordato la nostra abiezione:

eterno è il suo amore per noi; 24 ci ha liberati dai nostri nemici:

eterno è il suo amore per noi. 25 È lui che è dante il cibo ad ogni vivente:

Versione CEI 2008 1 RENDETE GRAZIE al Signore perché è buono,

perché il suo amore è per sempre. 2 RENDETE GRAZIE al Dio degli dèi,

perché il suo amore è per sempre. 3 RENDETE GRAZIE al Signore dei signori,

perché il suo amore è per sempre. 4 Lui solo ha compiuto grandi meraviglie,

perché il suo amore è per sempre. 5 Ha creato i cieli con sapienza,

perché il suo amore è per sempre. 6 Ha disteso la terra sulle acque,

perché il suo amore è per sempre.

7 Ha fatto le grandi luci, perché il suo amore è per sempre.

8 Il sole, per governare il giorno, perché il suo amore è per sempre.

9 La luna e le stelle, per governare la notte, perché il suo amore è per sempre.

10 Colpì l’Egitto nei suoi primogeniti,

perché il suo amore è per sempre. 11 Da quella terra fece uscire Israele,

perché il suo amore è per sempre. 12 Con mano potente e braccio teso,

perché il suo amore è per sempre. 13 Divise il Mar Rosso in due parti,

perché il suo amore è per sempre. 14 In mezzo fece passare Israele,

perché il suo amore è per sempre. 15 Vi travolse il faraone e il suo esercito,

perché il suo amore è per sempre. 16 Guidò il suo popolo nel deserto,

perché il suo amore è per sempre. 17 Colpì grandi sovrani,

perché il suo amore è per sempre. 18 Uccise sovrani potenti,

perché il suo amore è per sempre. 19 Sicon, re degli Amorrei,

perché il suo amore è per sempre. 20 Og, re di Basan,

perché il suo amore è per sempre. 21 Diede in eredità la loro terra,

perché il suo amore è per sempre. 22 In eredità a Israele suo servo,

perché il suo amore è per sempre. 23 Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi,

perché il suo amore è per sempre. 24 Ci ha liberati dai nostri avversari,

perché il suo amore è per sempre. 25 Egli dà il cibo a ogni vivente,

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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eterno è il suo amore per noi. 26 CONFESSATE lodi al Signore dei cieli:

eterno è il suo amore per noi.

perché il suo amore è per sempre. 26 RENDETE GRAZIE al Dio del cielo,

perché il suo amore è per sempre.

Struttura

I primi 3 versetti sono l’introduzione solenne: è l’invitatorio, con un triplice CONFESSATE ripreso all’ultimo versetto, il v. 26. Dal v. 4 al v. 25 abbiamo il corpo del salmo: 22 versetti, quante sono le lettere dell’alfabeto ebraico: i vv. 4.9 ricordano la Misericordia nelle creature cosmiche; i vv. 10-22 le opere della misericordia nella storia e i vv. 23-25 la misericordia nel quotidiano. Notiamo 9 participi (3x3): vv. 4.5.6.7.10.13.16.17.25, per dire che l’opera di Dio che è permanente, che è costante, che è in atto. Ecco il «Grande Hallel», la solenne lode che la liturgia giudaica riservava alla celebrazione pasquale, unendolo al precedente salmo in una specie di grande Credo. In questo inno si professava la fede storica di Israele nei suoi articoli fondamentali: la creazione, l’esodo dall’Egitto, il dono della terra. Questi tre temi sono espressi nel nostro salmo in 22 distici (vv. 4-25) tanti quante sono le lettere dell’alfabeto, quasi a racchiudere in una sigla perfetta la lode al Dio Creatore e Salvatore. Altri due testi biblici, Deuteronomio 26,5-9 e Giosuè 24,1-13, raccolgono 10 stesso Credo con alcune varianti, attestando così l’esistenza di una formula fissa liturgica. Che il nostro salmo sia destinato alla liturgia appare anche dalle strutture per solista e coro. La voce solista elenca le azioni di Dio, dalla creazione Cosmica alle piaghe d’Egitto, dal passaggio del mar dei giunchi nell’esodo dalla schiavitù faraonica alla traversata del deserto, dalla guerriglia contro i principi beduini, come i re transgiordanici Seon e Og, all’ingresso nella terra promessa. Il coro acclama continuamente con un’antifona kf le (olam hasdo, «eterno è il suo amore!»). È, quindi, un dialogo tra gli atti salvifici di Dio e la fede riconoscente d’Israele.

Preghiera

Dio del cielo e della terra, e di tutti gli elementi, Dio del sole e della luna; e del vento, e delle nuvole, e del mare; e degli esseri che vivono nelle acque; Dio di tutti i volatili del cielo; Dio dell’uomo, dei fanciulli e delle donne; Dio dei poveri, continua a compiere le tue meraviglie, a liberare gli oppressi dai potenti e dai malvagi; e tutti i salvati ancora ti cantino: eterno è il tuo amore, Signore. Amen.

La presenza di Dio nella nostra vita quotidiana

1. Nazaret: una esistenza normale 2. Lago di Galilea: una splendida avventura nel segno della fiducia 3. Gerico: due itinerari verso la Luce (il cieco e Zaccheo) 4. “Dominus flevit”: il pianto di Gesù su Gerusalemme 5. Cenacolo: fare Pasqua con Gesù 6. Al Santo Sepolcro: il mistero della croce 7. “San Pietro in Gallicantu”: il rinnovamento

1. NAZARET, UN’ESISTENZA NORMALE: Mt 2,22-23 (22 Ma, udito che in Giudea regnava Archelao al posto di Erode, suo padre, ebbe paura di andare là; e, avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea, 23 e venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno); Mt 4,12-17 (12 Gesù, udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritirò in Galilea. 13 E, lasciata Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città sul mare, ai confini di Zabulon e di Neftali, 14 affinché si adempisse quello che era stato detto dal profeta Isaia: 15 «Il paese di Zabulon e il paese di Neftali, sulla via del mare, di là dal Giordano, la Galilea dei pagani, 16 il popolo che stava nelle tenebre, ha visto una gran luce; su quelli che erano nella contrada e nell’ombra della morte una luce si è levata». 17 Da quel tempo Gesù cominciò a predicare e a dire: «Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino»); Mt 21,10-12 (10 Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: «Chi è costui?» 11 E le folle dicevano: «Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazaret di Galilea». 12 Gesù entrò nel tempio, e ne scacciò tutti quelli che vendevano e compravano; rovesciò le tavole dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombi); Mc 1,9 (9 In quei giorni Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato da Giovanni nel Giordano); Lc 1,26 (26 Al sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città di Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine fidanzata a un uomo chiamato Giuseppe, della casa di Davide; e il nome della vergine era Maria); Lc 2,4 (4 Dalla Galilea, dalla città di Nazaret, anche Giuseppe salì in Giudea, alla città di Davide chiamata Betlemme, perché era della casa e famiglia di Davide, 5 per farsi registrare con Maria, sua sposa, che era incinta); Lc 2,39 (39 Com’ebbero adempiuto tutte le prescrizioni della legge del Signore, tornarono in Galilea, a Nazaret, loro città. 40 E il bambino cresceva e si fortificava; era pieno di sapienza e la grazia di Dio era su di lui); Lc 2,51 (51 Poi discese con loro, andò a Nazaret, e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. 52 E Gesù cresceva in sapienza, in statura e in grazia davanti a Dio e agli uomini); Lc 4,16 (16 Si recò a Nazaret, dov’era stato allevato e, com’era solito, entrò in giorno di sabato nella sinagoga. Alzatosi per leggere, 17 gli fu dato il libro del profeta Isaia); Gv 1,45-46 (45 Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù da Nazaret, figlio di Giuseppe». 46 Natanaele gli disse: «Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret?» Filippo gli rispose: «Vieni a vedere»); At 10,38 (37 Pietro disse: Voi sapete quello che è avvenuto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; 38 vale a dire, la storia di Gesù di Nazaret; come Dio lo ha unto di Spirito Santo e di potenza; e com’egli è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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diavolo, perché Dio era con lui).

2. Lago di Galilea: una splendida avventura nel segno della fiducia (Lc 5,1-11)

Nel Vangelo secondo Luca al cap. 4 Gesù è solo:

! A Nazaret è solo; ! a Cafarnao è solo; ! in sinagoga è solo.

Luca racconta la chiamata solo all’inizio del capitolo 5, nel contesto di un racconto di miracolo: la pesca

miracolosa (cf. Gv 21).

In Luca s’inizia con un quadro didattico: Gesù sceglie come “cattedra” la barca di Simone. La folla circonda Gesù per ascoltare la Parola di Dio: ne ha proprio un gran desiderio.

Gesù sceglie per sé una cattedra stupenda: una barca, una semplice barca di pescatori. Nel tempo capiremo che questa barca è la Chiesa, siamo noi, guidati da Pietro, Simone, il povero peccatore. Giovanni riprende la stessa scena, ma la pone al cap. 21, dopo la Pasqua. La folla desidera ascoltare la parola di Gesù, che sceglie proprio la barca di Simone. I pescatori sono nel porto, la pesca è terminata ed è tempo di riassettare le reti.

Appena terminato di parlare, Gesù ordina a Simone di prendere il largo, di raggiungere acque profonde e calare le reti. Il testo greco sottolinea la “profondità” (eis tò bàthos). Gesù vuole metterci in guardia dalla superficialità. Il comando di Gesù è un imperativo d’impegno serio nella vita: è l’invito forte a maturare la propria persona. Poi aggiunge un plurale: “Calate le reti!”. L’attività apostolica viene dopo la maturazione personale. Non si possono calare le reti in superficie, ma solo dopo aver preso il largo, cioè in acque profonde.

Simone risponde e chiama Gesù: “Capo! (epistata)”. Esattamente come diciamo noi a qualcuno che ci è superiore. Poi porta avanti la sua esperienza: hanno lavorato tutta la notte e ora di giorno uscire a pescare? Non si prenderà nulla! Pur tuttavia, proprio perché è Gesù a parlare (“letteralmente: “Perché sei Tu a dirlo/a motivo della tua parola), eseguirà quanto richiesto. Qui Luca usa il termine rhêma per Gesù, a indicare sia parola che evento: la parola di Gesù è un evento, un fatto, è la sua stessa presenza.

Quando Simone vede che le reti sono così piene di pesci, s’inginocchia e chiede a Gesù di allontanarsi, perché è un peccatore. Non dice “pescatore”, ma proprio “peccatore”: ecco la sua chiamata! Cosa vuol dire “Sono un peccatore”?

Simone ha coscienza di essere “limitato”. Facendo l’esperienza di Gesù, ha toccato con mano il proprio limite, la propria incapacità. Lo chiama “Signore”, non più “Capo”: comprende ora di essere davanti a Colui che è santo e, da buon ebreo, chiede “separazione” da lui: “Allontanati da me!”. Sconvolto dall’esperienza non ha compreso che invece Gesù è venuto vicino a ogni uomo, proprio a chi riconosce il proprio limite, per salvare e liberare. Anche noi prima di ricevere la comunione continuiamo a dire: “Signore, non son degno…”.

Simone sarà d’ora in poi “pescatore di uomini”, anzi Luca, molto attento alla lingua greca, usa il termine “Zôgrôn”, che significa “colui che prende gli animali vivi”. Cosa vuole dire?

Simone deve prendere uomini vivi, cioè deve collaborare a salvare loro la vita: è quasi un ri-pescare tutti quelli che stanno affogando nella logica errata del mondo. Simone diventa Pietro, cioè da pescatore (cattura e uccide i pesci), ora invece è chiamato a far vivere gli uomini.

Ecco oggi la chiamata nella Chiesa a far vivere la Vita a tanti fratelli e sorelle.

Ascoltiamo SANT’AGOSTINO come commenta:

1. Riflettiamo insieme a quelle due volte che i discepoli si misero a pescare dietro comando del Signore: una volta prima della passione e un’altra dopo la resurrezione (Cf. Lc 5, 1-11; Gv 21, 1-11). Nelle due pesche è raffigurata l’intera Chiesa: la Chiesa come è adesso e come sarà dopo la resurrezione dei morti. Adesso accoglie una moltitudine impossibile a enumerarsi, comprendente e i buoni e i cattivi; dopo la resurrezione comprenderà solo i buoni in un numero ben preciso. La prima pesca, di cui Lc 5, 4 ss., raffigura la Chiesa peregrinante.

2. Richiamate quindi alla mente la prima pesca da cui ci si fa scorgere la Chiesa com’è in questo tempo. Il Signore Gesù, quando per la prima volta chiamò i discepoli a seguirlo, li trovò intenti a pescare. E quella volta, pur avendo lavorato tutta la notte, non avevano preso niente. Lo videro e si sentirono dire: Gettate le reti. Gli risposero: Signore, in tutta questa notte non abbiamo preso niente ma, ecco, sulla tua parola gettiamo la rete. E la gettarono come aveva ordinato colui che è onnipotente. E cosa sarebbe potuto accadere se non ciò che lui voleva? Ma con quell’avvenimento - come dicevo sopra - il Signore si degnò prefigurare qualcosa che ci sarebbe stato utile conoscere. Furono gettate le reti, il Signore però non aveva ancora affrontato la passione né era risorto. Furono gettate le reti e presero tanti pesci da riempire le due barche, e le reti si rompevano per la quantità di pesci raccolti (Cf. Lc 5, 1-6). Allora disse loro: Venite, vi farò pescatori di uomini (Cf. Mt 4, 19; Lc 5, 11). Ricevettero da lui le reti della parola di Dio e le gettarono nel mondo, come in un mare profondo, e raccolsero tutto quel numero di cristiani che con stupore vediamo. Quelle due barche, poi, rappresentavano due popoli: i Giudei e i pagani, la sinagoga e la Chiesa, i circoncisi e gli incirconcisi (AGOSTINO, Discorsi 248, 1-2).

IL DIALOGO FRA GESÙ E PIETRO: Gv 21,15-25

21.15 Quando dunque ebbero mangiato dice Gesù a Simon Pietro: «Simone di Giovanni, mi ami più di

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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questi?». Gli dice: «Sì, Signore, tu sai che io ti voglio bene». Gli dice: «Pasci i miei agnelli». 21.16 Gli dice di nuovo per la seconda volta: «Simone di Giovanni, mi ami?». Gli dice: «Sì, Signore, tu sai che

ti voglio bene». Gli dice: «Pascola le mie pecore». 21.17 Gli dice per la terza volta: «Simone di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro si rattristò che per la terza volta

gli avesse detto: ‘Mi vuoi bene?’. E gli dice: «Signore, tu sai tutto, tu conosci che io ti voglio bene». Gli dice: «Pasci le mie pecore.

21.18 Amen, amen, Io dico a te: Quando eri più giovane ti cingevi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio stenderai le mani e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vuoi»1.

21.19 Queste cose disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo, gli dice: «Seguimi».

21.20 Pietro voltatosi vede che (lo) seguiva il discepolo che Gesù amava, quello stesso che durante la cena si era reclinato sul suo petto e gli aveva detto: ‘Signore, chi è colui che ti tradisce?’.

21.21 Vistolo dunque Pietro dice a Gesù: «Signore, e lui?». 21.22 Gli dice Gesù: Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi». 21.23 Si diffuse perciò tra i fratelli la parola che quel discepolo non sarebbe morto. Ma Gesù non gli disse che

non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga (che importa a te?)». 21.24 Questo è il discepolo che rende testimonianza riguardo a queste cose e le ha scritte, e sappiamo che la

sua testimonianza è vera. 21.25 Vi sono poi ancora molte altre cose che Gesù fece, che se si mettessero per scritto una per una credo

che neppure il mondo stesso basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Il rapporto fra agapan e philein (amare e voler bene) può essere visto in modo del tutto differente. Philein indica un modo di amare diverso da quello espresso da agapan. Non ci sarebbe in un primo momento una caduta di tensione, ma piuttosto un crescendo continuo da parte di Gesù. Con la sua risposta, Pietro pretende di collocarsi fin dall’inizio al vertice dell’amore. Sarebbe indubbiamente nel suo stile! Gesù non contesta la pretesa di Pietro e la conferma, mostrandone le implicazioni ultime. Pietro si sarebbe quindi rattristato al pensiero che Gesù dubitasse della sua pretesa di amarlo al massimo della sua capacità di amare. Riprendiamo il testo in questa prospettiva, mettendo in luce il movimento che lo anima:

1. - Simone di Giovanni, mi ami più di questi? - Sì, Signore, tu sai che ti voglio-bene (risposta affermativa: sì, ti amo più di questi. Si tratta, in senso

forte, di un «rilancio». Non solo ti amo, ma ben di più, oso affermare che ti voglio-bene!).

2. - Simone di Giovanni, mi ami? - Sì, Signore, tu sai (che ti amo, e più ancora): ti voglio-bene. 3. - Simone di Giovanni, mi vuoi-bene? (Misuri la portata delle tue affermazioni?). - Signore, tu sai tutto: tu conosci che ti voglio-bene. L’evangelista si colloca nella prospettiva del martirio di Pietro, storicamente già avvenuto, piuttosto che in

quella del passato rinnegamento. Ciò non vuol dire che ci sia incompatibilità fra le due cose. Colui che ha rinnegato Gesù è morto martire. Questo fatto, fondato su una promessa del Risorto, figura in primo piano. Chi narra la scena «conosce» fin dove è stato capace di spingersi l’amore di Pietro. Secondo questa interpretazione, un ricordo cocente e umiliante del triplice rinnegamento passa per lo meno in secondo piano. Pietro è segnato in maniera indelebile dal suo rinnegamento, e ciò deve bastare. Adesso si tratta di lasciare a Pietro la possibilità di incarnare la veracità delle sue affermazioni spingendosi fino all’estremo dell’amore. La passione, la morte e la risurrezione di Gesù illuminano già la notte del suo rinnegamento. Come conseguenza di ciò, Pietro ama già tanto di più il suo Signore, che quest’ultimo non ritorna su quel crollo. Proprio in tal modo Gesù offre a Pietro l’occasione di esprimersi dal profondo del suo cuore. Questa è la logica del desiderio evangelizzato.

Gesù dunque non si abbassa affatto al livello di Pietro. Gli va incontro, concedendogli di dare attuazione alla sua parola. Gli viene data la responsabilità sacramentale e pastorale suprema, sancita dal martirio, fondata su di esso.2 Questa lettura si basa su un’analisi di philein che giustifica il significato suggerito, nonché su un’analoga valutazione di altre variazioni di vocabolario: boskein nel senso di «pascere, nutrire», fornire un nutrimento

dottrinale (insegnamento, parola) e sacramentale,3 e poimainein nel senso di «essere-pastore», cioè di assumere l’autorità e la responsabilità del gregge. Arnion e probaton esprimerebbero di conseguenza due dimensioni della comunità, la prima più universalistica, la seconda più concentrata sul rapporto con il popolo eletto, le pecore

1 Gv 21,18 Quando eri più giovane Ti mettevi-una-cintura E camminavi DOVE VOLEVI Quando invecchierai Stenderai le tue mani E un altro ti metterà-una-cintura E ti porterà DOVE NON VUOI 2 Ciò che fonda il primato di Pietro e l’autorità di Paolo nella Chiesa di Roma è il fatto che entrambi hanno versato il proprio

sangue per il loro Signore, e quindi per la loro fede (cf. GIOVANNI PAOLO II, Ut unum sint. Lettera enciclica del 25 maggio 1995, in EV 14/2667-2884, specialmente ai nn. 90.92 [EV 14/2856-2857; 2860-2861]).

3 In particolare con l’Eucaristia, chiamata in causa dal pasto che precede, in quanto Pietro è rivestito di quella che il Vaticano II chiama la pienezza del sacerdozio ministeriale, collegialmente condiviso con i vescovi.

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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d’Israele, senza che si debba escludere per questo l’allusione a due diversi stadi di maturità. Oida e ginòskein avrebbero il significato che hanno nel greco classico: il primo indicherebbe un «sapere» per intuizione immediata, tipico della scienza filiale e fraterna di Gesù in quanto Figlio; il secondo indicherebbe un «conoscere» per apprendimento progressivo e discorsivo, attribuibile a Gesù in quanto Cristo e Signore della Chiesa. In quest’ottica, il testo ci sembra irradiare la massima luce. La credibilità di questo modo di vedere e dell’interpretazione che ne deriva scaturisce soprattutto dal suo splendore.

Questo racconto implica una strutturazione già molto netta della comunità. Rende omaggio al primato istituzionale e spirituale conferito a Pietro perché presieda all’unità e alla carità, un primato oggi unanimemente riconosciuto dall’esegesi neotestamentaria interconfessionale.4 E più ancora conclude, con quella che in linguaggio musicale si chiamerebbe una «corona», tre linee melodiche del racconto evangelico. La più lontana riguarda i discepoli (1,35-51). La seconda, molto vicina, concerne i segni che hanno avuto inizio a Cana di Galilea (2,11). La terza sottolinea la glorificazione da 7,39 a 17,1.4.5.10, passando per l’ora della glorificazione in 12,23.28 e per l’«adesso» in cui il Figlio dell’uomo è glorificato, nella notte in cui si immerge Giuda (13,31-32).

L’identificazione tra il discepolo e il Maestro può essere completa. La stessa glorificazione li riguarda entrambi. La rivelazione della gloria si spinge fin qui. L’unità del Signore e dei suoi arriva fino a questo punto. I «segni» mirano a «significare» (cf. 21,19) questa realtà. La glorificazione del cristiano è spiegata dal fatto che il Cristo è veramente vincitore del peccato e della morte. La «sequela del Cristo» è possibile oggi nella chiesa per la stessa ragione. Gesù, il Cristo, è vivo! È questo il principio per eccellenza dell’attualizzazione del vangelo nella comunità dei credenti e nel mondo.

3. Gerico: due itinerari verso la Luce (il cieco e Zaccheo)

Lc 18,35 Mentre si stava avvicinando a GERICO, un CIECO era seduto sul bordo della strada e chiedeva

l’elemosina. Lc 18,36 Ascoltando passare la folla, domandò che cosa accadesse. Lc 18,37 Gli risposero: «È GGESÙESÙ il Nazireo/Nazoraio che passa!». Lc 18,38 Allora si mise a gridare: « GGESÙESÙ, figlio di Davide, abbi pietà di me!». Lc 18,39 Quelli che camminavano davanti lo sgridavano per farlo tacere. Ma il CIECO gridava ancor più forte:

«Figlio di Davide, abbi pietà di me!». Lc 18,40 GGESÙESÙ allora SI FERMÒ e ordinò che gli portassero il CIECO. Quando fu vicino, gli domandò: Lc 18,41 «Che cosa vuoi che faccia per te?». Egli rispose: «SIGNORE, che io ci veda». Lc 18,42 E GGESÙESÙ gli disse: «Vedi! La tua fede ti ha salvato». Lc 18,43 Subito ci vide di nuovo e si mise a seguirlo, ringraziando Dio. E tutto il popolo, alla vista del fatto,

diede lode a Dio. Lc 19,1 Entrato nella città di GERICO, la stava attraversando. Lc 19,2 Or un uomo di nome ZACCHEO, che era capo dei pubblicani e ricco, Lc 19,3 cercava di vedere chi fosse GGESÙESÙ, ma non ci riusciva a causa della folla, infatti era troppo piccolo di

statura. Lc 19,4 Allora corse avanti e, per poterlo vedere, si arrampicò sopra un sicomoro, perché GGESÙESÙ doveva

passare di là. Lc 19,5 GGESÙESÙ, quando arrivò in quel punto, alzò gli occhi e gli disse: «Zaccheo, affrettati a scendere, perché

oggi devo fermarmi a casa tua». Lc 19,6 Scese affrettandosi e lo accolse gioendo. Lc 19,7 Vedendo ciò, tutti mormoravano: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!».

Lc 19,8 Ma Zaccheo, RITTO IN PIEDI5, disse al SIGNORE: «SIGNORE, io do ai poveri la metà dei miei beni e dal momento che ho rubato a qualcuno gli restituisco il quadruplo (Es 21,37; 2Sam 12,6)».

Lc 19,9 GGESÙESÙ gli rispose: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo. Lc 19,10 Infatti il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto (Ez 34,6)».

L’incontro con Gesù, quindi, rende l’uomo capace di vivere in modo autentico secondo la volontà di Dio e proprio in ciò sta la salvezza: per questo la dichiarazione sull’’oggi’ salvifico si trova ora nel brano dopo la parola di Zaccheo. La sua generosità verso i poveri manifesta, senza ombra di dubbio, che ha veramente ‘accolto’ il Signore, che l’incontro non è stato superficiale e banale come per il tetrarca Erode. Così egli è il paradigma del credente e il lettore cristiano del vangelo è chiamato a confrontarsi con lui: possiamo dire di sperimentare ‘oggi’ la salvezza?

4. “Dominus flevit”: il pianto di Gesù su Gerusalemme Mt 23,37 «Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! 38 Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. 39 Infatti vi dico che da ora in avanti non mi vedrete più, finché non

4 Cf. R.E. BROWN - K.P. DONFRIED - J. REUMANN, Pietro nel Nuovo Testamento. Un’indagine ricognitiva fatta in collaborazione

da studiosi protestanti e cattolici (Bibbia e rinnovamento), Roma 1988. A proposito dell’argomento in questione, si veda soprattutto il c. VIII: «Pietro nel vangelo di Giovanni», 151-171. Buona la nota b) della TOB a Gv 21,15. Le difficoltà ecumeniche sono legate all’esercizio dell’autorità e al modo di intenderla.

5 È lo stesso verbo di 18,40: statheis.

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”». Lc 13,32 Ed egli disse loro: «Andate a dire a quella volpe: “Ecco, io scaccio i demòni, compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato”. 33 Ma bisogna che io cammini oggi, domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme. 34 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! 35 Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"».

" Dt 32,11: …come un’aquila incita la sua nidiata e aleggia sopra i suoi piccoli, egli (Dio) spiega le ali, lo

prende e lo porta sulle sue penne. " Gv 1,11: Venne tra i suoi ma i suoi non lo accolsero. " Mt 23,37: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati! Quante volte

ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le ali e voi non avete voluto! " Lc 13,34: Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi i messaggeri che ti sono inviati!

Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali. Ma voi non avete voluto!

" Dio è Amore, un amore liberatore che si mette a servizio degli uomini senza escludere nessuno, che perdona continuamente tutte le colpe degli uomini, è Padre/Madre che rinvigorisce l’uomo, ma non lo limita e che chiede un solo permesso: lascia che Io mi possa fondere con te per donare a te la condizione divina.

Dio maestoso viene rappresentato nell’AT con l’aquila. Quasi tutte le case imperiali regnanti nello stemma

hanno l’aquila. È un animale che incute soggezione e timore. L’aquila era l’immagine di Dio. Nel libro del Deuteronomio si legge … come un’aquila che veglia la sua nidiata, che vola sopra i monti e dispiega le ali, lo prese, lo sollevò…(Dt 32,11). L’immagine di Dio, quindi, è quella dell’aquila possente, che con le sue ali sorveglia la sua nidiata, ed è un’immagine che incute timore.

Ebbene Gesù, in polemica con questa immagine, nel Vangelo di Matteo e quello di Luca, quando piange su Gerusalemme, sulla rovina di questa città che in mano ai Sacerdoti e agli scribi ha rifiutato il Dio, che si era loro presentato, dice:

Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto

raccogliere i tuoi figli … e ci aspetteremmo un’espressione del tipo … come un’aquila raccoglie la sua nidiata… Invece Gesù dice…come una chioccia raccoglie i pulcini (Mt 23,37; Lc 13,34). La chioccia è immagine di tenerezza materna: chi può avere paura di una chioccia? Attraverso questa immagine Gesù deve aver scandalizzato davvero. Deve essere stato considerato un bestemmiatore: provate a immaginare la mentalità retriva dei “sapienti” dell’epoca. Lo sforzo ermeneutico di Gesù è di togliere dall’immagine di Dio qualunque aspetto che possa mettere paura.

Dio è amore, un amore liberatore, che si mette a servizio degli uomini senza escludere nessuno, che perdona continuamente tutte le colpe degli uomini, un Dio che potenzia l’uomo, ma non lo limita e che, per dirla con Dt 7,7 si è legato a noi e vive per noi…e c’interpella, perché ognuno di noi, come singolo e come comunità, viva per Lui.

5. Cenacolo: fare Pasqua con Gesù

Mc 14,12 Il primo giorno degli Azzimi, quando si sacrificava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: «Dove vuoi che andiamo a prepararti la cena pasquale?» 13 Egli mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate in città, e vi verrà incontro un uomo che porta una brocca d’acqua; seguitelo; 14 dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la STANZA6 (ou/ evstin to. kata,luma, mou) in cui mangerò la Pasqua con i miei discepoli?” 15 Egli vi mostrerà di sopra una grande sala ammobiliata e pronta; lì apparecchiate per noi».

Questo servo con la brocca che svolge una mansione propria delle donne potrà guidare i discepoli fino alla casa della festa. È chiaro che la sua figura ha ricevuto qui un carattere simbolico, apparendo come premonizione di ciò che deve succedere a pasqua: bisogna imparare a guardare verso le cose e le persone in modo differente. Quest’uomo con la brocca d’acqua, questo servo che svolge compiti secondari, appare qui come colui che introduce alla pasqua familiare, che Gesù celebrerà con il gruppo dei Dodici, cioè, con i rappresentanti del nuovo Israele che è venuto a riunire-convertire sulla terra. Gesù tra tutti i suoi discepoli ne ha scelti Dodici (3,14.16), perché fossero segno dell’Israele escatologico. Essi hanno potuto penetrare (con gli altri seguaci) il senso più profondo delle parabole del regno (4,10) e hanno proclamato in Israele il messaggio messianico (6,7). Gesù vuole renderli servi degli altri (9,35) e perciò li istruisce nell’insegnamento più segreto del dono totale di sé per il regno (10,32). Lo hanno accompagnato nell’intimità degli ultimi giorni (11,11), anche se sappiamo già che uno di loro ha deciso di tradirlo (14,10). Dopo la Pasqua, secondo l’evangelista Marco, non resteranno più i Dodici, ma solo discepoli e discepole, cioè una Comunità dove ognuno è chiamato alla relazione fondamentale: il servizio!

6. Al Santo Sepolcro: il mistero della croce

Ascoltiamo le parole del card. CARLO MARIA MARTINI: La morte di Gesù non è gloriosa, non è straordinaria. Ci sono per grazia di Dio delle morti illuminate, morti di

6 Il termine katàlyma ricorre in Lc 2,7 e 22,11 (|| Mc 14,14).

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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persone presso le quali si respira qualche cosa della serenità, della pace di Dio. È la forza del Risorto, che si riversa nell’esperienza più tragica dell’uomo e talora la trasfigura. Ma la morte di Gesù non è stata così. Dopo le sue ultime parole si verifica il malinteso: credono che chiami Elia e gli danno una spugna con aceto. C’è confusione, ma nessuno spettacolo di grandezza, non gente ammirata e che prega; tutto si svolge tra il serio e il ridicolo, in mezzo a persone abituate a veder morire i condannati. E Gesù di nuovo grida ad alta voce, un grido privo di parole, misteriosissimo. La morte di Gesù è drammatica, non ha l’aureola della serenità, della pace: egli precipita nell’abisso della malvagità umana che lo inghiotte. Notiamo che mentre Giovanni e Luca ci presentano l’aspetto trasfigurato della morte di Gesù, Matteo e Marco ne mostrano uno più drammatico e amaro; questo secondo (che non deve far dimenticare l’altro) rappresenta la sua partecipazione a tante morti senza grandezza, proprie della maggior parte degli uomini e delle donne della terra. In un racconto di Ivo Andric sui francescani della Bosnia (dovevano essere tipi caratteristici, gente che viveva sotto il dominio turco, continuamente in situazioni di difficoltà e di sofferenza), si legge che uno di loro, ardente e rozzo insieme, è chiamato da un contadino per un moribondo sconosciuto e viene accompagnato in montagna dove, in una caverna, c’è un bandito cristiano, che ha combattuto tutta la vita contro i Turchi, ha ucciso della gente, e ora che sta per morire rifiuta il prete. È una lotta da giganti: il frate semplice, pieno di entusiasmo, gli ripete le parole più dure sull’inferno, sul Crocifisso; l’altro gira la testa contro il muro, non risponde. A un certo punto l’uomo si volta e il frate capisce che sta per arrendersi; allora gli butta addosso un’assoluzione e si rende conto che l’altro, in qualche maniera, l’ha accettata. Se ne esce tutto contento, pensando: ho salvato un uomo. Più tardi il contadino torna a chiamarlo; egli corre di nuovo verso la montagna e vede l’uomo crocifisso su un albero, sul ciglio del burrone, sotto la caverna. Il frate domanda: perché, Signore, morire così? gli avevo dato l’assoluzione, non poteva morire con più calma? Perché, Signore, mi hai fatto questo? Il racconto presenta molto bene come vorremmo si svolgessero gli ultimi momenti della nostra vita: nella calma, nella serenità, nell’abbandono; e come invece possono essere strani, misteriosi, imprevedibili. La morte di Gesù partecipa della imprevedibilità dell’esperienza umana della morte. Non c’è che da adorare il mistero del Signore che si è assimilato con ciascuno di noi. Non sappiamo quale sarà la nostra esperienza, tuttavia sappiamo che il Signore, con amicizia, ci ha preparato la strada e ci verrà incontro.

7. “San Pietro in Gallicantu”: il rinnovamento

Mt 26,69 Pietro, intanto, stava seduto fuori nel cortile e una serva gli si avvicinò, dicendo: «Anche tu eri con Gesù il Galileo». 70 Ma egli lo negò davanti a tutti, dicendo: «Non so che cosa dici». 71 Come fu uscito nell’atrio, un’altra lo vide e disse a coloro che erano là: «Anche costui era con Gesù Nazareno». 72 Ed egli negò di nuovo giurando: «Non conosco quell’uomo». 73 Di lì a poco, coloro che erano presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: «Certo anche tu sei di quelli, perché anche il tuo parlare ti fa riconoscere». 74 Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quell’uomo!» In quell’istante il gallo cantò. 75 Pietro si ricordò delle parole di Gesù che gli aveva dette: «Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte». E, andato fuori, pianse amaramente (e;klausen pikrw/j). Cf. Lc 22,62. L’evangelista Matteo è estremamente sobrio, ma noi possiamo chiederci che cosa è successo. Il canto del gallo sembra cogliere un uomo ancora confuso, poi il ricordo delle parole di Gesù, quindi, gradualmente, la percezione: Gesù aveva voluto veramente queste cose, e se corrispondono al suo piano, corrispondono anche al piano di Dio. Allora non ho colto nulla del piano di Dio, sono stato un cieco per tutta la vita, ho vissuto con un uomo di cui finora non ho capito niente! Ricordate Mt 7,21-29?

Luca aggiunge: “Gesù passo e lo guardò (kai. strafei.j o` ku,rioj evne,bleyen tw/| Pe,trw|)”. Matteo non ne parla, ma possiamo intuirlo semplicemente dalla scena. Pietro pensa: ecco l’uomo che io non ho capito, di cui mi sono sempre servito, in fondo, per avere una posizione di privilegio, e che adesso va a morire per me.

Nasce la conoscenza di Gesù e di sé, finalmente si spezza il velo e Pietro incomincia ad intuire tra le lacrime che Dio si rivela nel Cristo schiaffeggiato, insultato, rinnegato da lui, Pietro, e che va a morire per lui. Pietro, che avrebbe valuto morire per Gesù, adesso capisce: il mio posto è lasciare che Egli muoia per me, che sia più buono, più grande di me. Volevo fare più di Lui, volevo precederlo, invece è Gesù che va a morire per me che sono un verme, che per tutta la vita non sono riuscito a capire che cosa voleva, adesso Egli mi offre questa sua vita che io ho respinto. Pietro entra, attraverso questa lacerazione, questa umiliazione vergognosa, nella conoscenza del mistero di Dio.

Chiediamo a Lui che dia anche a noi di entrare un poco, attraverso la riflessione sulla nostra esperienza, in questa conoscenza del mistero della Passione e della Morte del Signore.

Preghiamo insieme: Signore, Figlio di Dio crocifisso, noi non ti conosciamo. Ci è così difficile riconoscerti nella tua Croce, riconoscerti nella nostra vita.

Ti chiediamo di aprirci gli occhi, dei farci vedere il significato delle esperienze dolorose attraverso le quali Tu spezzi il velo della nostra ignoranza, ci permetti di conoscere chi è il Padre che ti ha mandato, chi sei Tu che ci riveli il Padre nella ignominia della Croce, chi siamo noi che abbiamo una rivelazione di Te nell’umiliazione della nostra povertà.

Ti chiediamo, o Signore, di seguirti con umiltà per il dono del tuo Spirito, che con Te e con il Padre vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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CANTUS FIRMUS E CONTRAPPUNTO…

Icona del Cantico dei Cantici, Monastero dei Servi di Maria di Arco

Premessa. DIETRICH BONHOEFFER, Lettere dal carcere: “È però il pericolo di ogni forte amore erotico che per esso si perda, vorrei dire, la polifonia della vita. intendo dire questo: Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore; non in modo che ne risulti compromesso o indebolito l’amore terreno, ma in certo senso come cantus firmus, rispetto al quale le altre voci della vita suonano come contrappunto; uno di questi temi contrappuntistici, che hanno la loro piena autonomia, e che sono tuttavia relazionati al cantus firmus, è l’amore terreno; anche nella Bibbia c’è infatti il Cantico dei Cantici, e non si può veramente pensare amore più caldo, sensuale, ardente di quello di cui esso parla (cf. 7,6!)7; è davvero una bella cosa che appartenga alla Bibbia, alla faccia di tutti coloro per i quali lo specifico cristiano consisterebbe nella moderazione delle passioni (dove esiste mai una tale moderazione nell’Antico Testamento?). Dove il cantus firmus è chiaro e distinto, il contrappunto può dispiegarsi col massimo vigore”.8 “Se c’è una ragione per cui io sono cristiano e per cui credo in Dio, ve lo dico francamente, è perché il mio Dio, il Dio di Abramo di Isacco e di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo che è Gesù Cristo, mi chiede di amarlo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le mie forze ma mi lascia spazio anche per altri amori; vuole il primato dell’amore, vuole il cantus firmus, ma mi lascia spazio per tanti amori. Che bestemmia c’è in certi cristiani quando dicono: “Dio solo mi basta”, poverini, stanno disprezzando tutto il resto che è venuto da Dio e che Dio ha voluto; non sono costoro esperti di Dio, sono voraci di Dio, non lo cercano, lo vogliono divorare”.9

Nella lettera del 18 dicembre 1943, il teologo tedesco sottolinea ancora cosa sia l’amore terreno: “Credo che dobbiamo amare Dio e avere fiducia in lui nella nostra vita e nel bene che ci dà, in una maniera tale che quando arriva il momento - ma veramente solo allora - andiamo a lui ugualmente con amore, fiducia e gioia. Ma - per dirla chiaramente - che un uomo nelle braccia di sua moglie debba avere nostalgia dell’aldilà, è a dir poco una mancanza di gusto e comunque non la volontà di Dio. Dobbiamo amare e trovare Dio precisamente in ciò che egli ci dà; se a Dio piace di farci provare una travolgente felicità terrena non bisogna essere più pii di Lui e guastare questa felicità con idee tracotanti e pretese provocatorie e con una fantasia religiosa incontrollata, incapace di accontentarsi di ciò

che Dio dà”.10

1. La famiglia è storia

1.1. Gli elementi decisivi della famiglia sono: in primo luogo l’amore. L’amore genera l’alleanza e l’alleanza a sua volta genera paternità, maternità e quindi fraternità, sororità, tutte relazioni originarie essenziali alla vita.

1.2. Nella famiglia si impara anche la fiducia. 1.3. Nella famiglia infine, si può accedere alla speranza: nella famiglia «sperare insieme» è necessario per

imparare ad abitare il mondo e il tempo. 1.4. Nella famiglia è possibile vivere il precetto/proposta dell’amore, trasmettere la fede, dare in eredità la

speranza.

Nella famiglia l’amore è diffusivo: dai genitori ai figli, fino a farsi prossimo a coloro che sono senza famiglia, diventando padri e madri per gli orfani (cf. Gb 29,16), attentamente amorosi verso le vedove (cf. Sir 4,10), condividendo i beni dati da Dio al credente e alla sua famiglia (cf. Dt 26,1-11). Quanto alle esortazioni apostoliche sulla vita famigliare, sulla morale domestica - i cosiddetti «codici familiari» o «tavole domestiche» (cf. Ef 5,21-6,9; Col 3,18-4,1; Tt 2,1-10; 1Pt 2,13-3,7) -, descrivono un’etica fortemente cristologica: essere sottomessi gli uni agli altri (cf. Ef 5,21), vivere nell’obbedienza reciproca (cf. Ef 6,1; Col 3,20), amarsi dello stesso amore di Cristo (cf. Ef 5,25), amare il proprio coniuge come se stesso (cf. Ef 5,33), tutto questo è vivere nell’agápe, è tradurre in pratica «la proposta/precetto nuova/o» dell’amore (cf. Gv 13,34; 15,12). Per questo il matrimonio, e quindi la famiglia, è «il mistero grande» proprio in riferimento all’Agápe di Cristo per la chiesa» (cf. Ef 5,32). Sì, la sequela del Signore trova il suo primo luogo nella famiglia, e solo un’esigenza del Signore, una sua chiamata particolare o specifica può trascendere l’economia dell’amore famigliare. Per questo la proposta/precetto dell’amore da parte dei figli verso chi ha dato loro la vita, tra le Dieci Parole della Torah è l’unica associata a una promessa di Dio: «Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni» (Es 20,12; cf. Dt 5,16).

IL NOSTRO DIO, CHE È IL DIO DI ABRAMO, DI ISACCO, DI GIACOBBE… DI GESÙ CRISTO, PRIMA DI ESSERE IL MIO DIO È SEMPRE IL DIO DEI MIEI PADRI, E QUINDI IL DIO DI QUANTI MI HANNO PRECEDUTO, GRAZIE AI QUALI L’HO SCONOSCIUTO COME AFFIDABILE E

7 Come sei bella, come sei incantevole, o amore, figlia di delizie! mà-yyäpît ûmà-nnä`amT ´ahábâ BaTTa|`ánûgîm. 8 D. BONHOEFFER, Lettere dal carcere, Paoline, Torino 1988, p. 373. 9 E. BIANCHI, Amore umano nel Cantico, p. 8. 10 D. BONHOEFFER, Lettere dal carcere, Paoline, Torino 1988, P. 237.

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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DUNQUE HO CREDUTO. GIOVANNI CRISOSTOMO diceva ai cristiani: «Fate della vostra casa una chiesa»11, e AGOSTINO parlava di «chiesa domestica»12, perché c’è analogia tra chiesa e famiglia. Il vescovo di Prato mons. Pietro Fiordelli fece introdurre nella Lumen Gentium queste parole: «In questa che si potrebbe chiamare chiesa domestica (In hac velut ecclesia domestica), i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e assecondare la vocazione propria di ognuno».13 I genitori dovranno far vedere

• che veramente credono alla presenza del Dio vivente; • che realmente aderiscono al Dio vivente; • che quotidianamente si affidano a Lui; • che con fatica ma con amore cercano di compiere la sua volontà, convinti che essa è vita per loro; • che amano Gesù Cristo, il Vangelo e il Vangelo come unica regola di vita.

La famiglia, però, nasce dalla COPPIA. Ricordiamo le parole di MARGUERITE YOURCENAR: L’amore deve essere logikè, secondo il logos, parlato, razionale. L’amore è l’accesso alla parola che permette l’incontro, la relazione; il desiderio reciproco deve diventare linguaggio, linguaggio poetico che rende più consapevole e più umano il desiderio. Linguaggio che, ritardando l’unione fisica, rende il desiderio più forte, più umanizzato; linguaggio che permettendo la contemplazione dell’altro partner rende anche il desiderio più appartenente al soggetto. “Mi baci con i baci della tua bocca” (Ct 1,2): Il bacio umano è innanzitutto il volto contro volto; perché l’amore terreno nel suo vertice è il mantenimento, è il desiderio del volto; non ci si perde con i baci in un caos, non c’è da percorrere un sentiero che porti alla fusione, sogno impossibile! Ci deve essere nel bacio l’ebbrezza del faccia a faccia, cioè dell’alterità celebrata, io e tu, uno di fronte all’altro. L’amore non è mai a-prosopon, senza volto. Il bacio è l’inizio dell’amore celebrato ma è anche l’inizio dell’ebbrezza del desiderio. ARTHUR RIMBAUD ne parla come desire d’ebresse, desiderio d’ebbrezza. “METTIMI COME SIGILLO SUL TUO CUORE (Sîmëºnî ka|Hôtäm `al-liBBeºkä)” - dice il Cantico in 8,6 -: è la terza parola di questo amore terreno grande e di fronte a Dio (La prima: “IO SONO PER LUI, LUI È PER ME” Dôdî lî wa´ánî lô, l’alleanza Ct 2,16; la seconda: “UNICA È LA MIA COLOMBA” ´aHat hî´ yônätî, l’unicità Ct 6,9). L’amore va sigillato, unico è l’amore, unica è l’alleanza; dunque il sigillo: le nozze. Perché “l’amore è forte come la morte, tenace come l’inferno, è fuoco divorante, fiamma di Yod”. Yod sta per “Signore”, è l’unica volta che compare il nome di Dio nel Ct. L’amore è fuoco divorante, è fiamma di Dio, rišPê ´ëš (Ct 8,6). L’amore che canta il Ct è amore terreno ma in se stesso divino, fiamma di Dio, Dio lo ha voluto e quando Dio ha visto in Adamo ed Eva che era cosa molto buona si rallegrò e si rallegra ancora e sempre dell’amore autentico, terreno e vero, come quello descritto nel Ct, amore di un ragazzo e di una ragazza, di un uomo e di una donna. Sorelle e fratelli, quando è certo il cantus firmus, l’Amore di Dio, quello suo per noi, allora il contrappunto dell’amore tenero, forte, libero dell’uomo e della donna è lode a Dio e germe di vita nuova. Facciamo adesso tutti insieme questa preghiera di un grande gesuita, alternandoci uomini e donne, rigo per rigo:

SONO PER TE, SEI PER ME

Io non sono mio, tu non sei tua, nessuno appartiene a se stesso. Io non sono tuo, tu non sei mia, nessuno appartiene all’altro. Tu non mi hai preso invece ti sono affidato e io ti ho ricevuto in fiducia. È giusto sia così: sorreggimi, aiuto carissimo, che in tutti i miei giorni fedelmente porti te quale aiuto affidatomi, e quel giorno, davanti all’ultima soglia, possa ricondurti a Colui al quale solo apparteniamo.

WERNER BERGENGRUEN14 Giuda Iscariota Gv 6,64.66: “Ma vi sono alcuni tra voi che non credono”. Gesù infatti sapeva fin dal principio chi erano coloro che non credevano, e chi era colui che lo avrebbe tradito (avllV eivsi.n evx u`mw/n tinej oi] ouv pisteu,ousinÅ h;|dei ga.r evx avrch/j o` VIhsou/j ti,nej eivsi.n oi` mh. pisteu,ontej kai. ti,j evstin o` paradw,swn auvto,n).

11 GIOVANNI CRISOSTOMO, Sermones in Genesim VI,2. 12 AGOSTINO DI IPPONA, Epistulae 14*. 13 Lumen Gentium 11. 14 Scrittore tedesco (Riga 1892-Baden-Baden 1964). Definiva se stesso “uomo orale” per la sua sensibilità all’immediato e

all’aneddotico e la sua inesauribile vena narrativa. Cattolico, indagatore delle leggi morali celate nella natura e nel labirinto del mondo, intendeva narrare una storia universale contesto di storie particolari. In questa prospettiva si collocano i romanzi più maturi: Der Grosstyrann und das Gericht (1935; Il gran tiranno e il tribunale), Am Himmel wie auf Erden (1940; Così in cielo come in terra). Di sapore ottocentesco sono le splendide novelle (Der spanische Rosenstock, Il rosaio spagnolo) e la Rittmeister-Trilogie (1952-62; La trilogia del capitano di cavalleria). La lirica, in cui predomina il tema etico, è raccolta in Die heile Welt (1950; Il mondo risanato), Figur und Schatten (1958; Figura e ombra) e Herbstlicher Aufbruch (postumo, 1965; Partenza autunnale).

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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Da quel momento molti dei suoi discepoli si tirarono indietro (avph/lqon eivj ta. ovpi,sw: movimento di anti-discepolato) e non andavano più con Lui. Un “diavolo” tra gli apostoli Gv 6,67-68: Allora Gesù disse ai Dodici: “Volete andarvene anche voi?”. E Simon Pietro gli rispose: “Signore, da chi ce ne andremo? (pro .j ti,na a vpeleuso,meqaÈ) Tu hai parole di vita eterna” (r`h,mata zwh/j aivwni,ou e;ceij). Due mentalità a confronto Gv 12,4-6: 4 Allora uno dei suoi discepoli, Giuda Iscariota, figlio di Simone, quello che stava per tradirlo, disse: 5 “Perché non si è venduto quest’olio per trecento denari e non si è dato il ricavato ai poveri?”. 6 Or egli disse questo, non perché si curasse dei poveri, ma perché era ladro (kle,pthj) e, tenendo la borsa, ne sottraeva ciò che si metteva dentro. Giuda, il discepolo in-disciplinato Gv 13,2: E, finita la cena, avendo già il diavolo (messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo, (ai. dei,pnou ginome,nou( tou/ diabo,lou h;dh beblhko,toj eivj th.n kardi,an i[na paradoi/ auvto.n VIou,daj Si,mwnoj VIskariw,tou) Gv 13,20-27: 20 Amen, amen Io dico a voi: “Chi riceve colui che manderò, riceve me, e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato” 21 Dette queste cose, Gesù fu turbato nello spirito, e testimoniò e disse: “Amen, amen Io dico a voi che uno di voi mi tradirà”. 22 I discepoli allora si guardarono l’un l’altro, non riuscendo a capire di chi parlasse. 23 Or uno dei discepoli, quello che Gesù amava, era appoggiato sul petto (h=n avnakei,menoj ei-j evk tw/n maqhtw/n auvtou/ evn tw/| ko,lpw| tou/ VIhsou/) di Gesù. 24 Allora Simon Pietro gli fece cenno (neu,ei ou=n tou,tw|) di domandare chi fosse colui del quale egli parlava. 25 E quel discepolo, chinatosi sul petto di Gesù, gli chiese: “Signore, chi è?”. 26 Gesù rispose: “È colui al quale io darò il boccone (to. ywmi,on), dopo averlo intinto”. E intinto il boccone, lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone. 27 Or dopo quel boccone, Satana entrò in lui. Allora Gesù gli disse: “Quel che fai, fallo presto!” (poiei/j poi,hson ta,cion). In che senso Giuda è traditore/consegnatore? La notte del cuore Gv 13,30: Egli dunque, preso il boccone uscì subito. Era notte (labw.n ou=n to. ywmi,on evkei/noj evxh/lqen euvqu,jÅ h=n de. nu,x). Don Primo Mazzolari: Nostro fratello Giuda (omelia del Giovedì Santo del 1957):

«Povero Giuda, voi forse vi meraviglierete di questa parola che io dico, di questo infelice discepolo, che a un certo momento non ha potuto mantenere fedeltà al suo Maestro. Che cosa gli sia passato nell’animo io non lo so. È uno di quei personaggi più misteriosi che noi troviamo nella passione del Signore; non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi questa sera un po’ di pietà per il nostro fratello Giuda. Non vergognatevi di assumervi questa fratellanza, io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore e credo che nessuno di voi debba vergognarsi di lui. E chiamandolo “fratello” noi siamo nel linguaggio del Signore, perché quando ha ricevuto il bacio del tradimento nel Getsemani, il Signore gli ha risposto con quelle parole che non dobbiamo dimenticare: «Amico, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?». Amico, questa parola che ti dice l’infinita tenerezza della carità del Signore ci fa anche capire perché io l’ho chiamato in questo momento – seguendo appunto il linguaggio suggeritoci dal Signore – “fratello”.

Gli apostoli sono diventati degli amici del Signore, buoni o no, generosi o no, fedeli o no, rimangono sempre degli amici. Noi possiamo tradire l’amicizia del Cristo, Cristo non tradisce mai noi, i suoi amici, anche quando non lo meritiamo, anche quando ci rivolgiamo contro di lui, anche quando lo vediamo. Davanti suoi occhi e al suo cuore noi siamo sempre gli amici del Signore. Giuda è un amico del Signore, anche nel momento in cui, baciandolo, consuma il tradimento del Maestro. Come mai un apostolo del Signore è finito come traditore? Mistero del male. Ad un certo momento l’apostolo è diventato un traditore, a un certo momento il cristiano è diventato un negatore. Quale mistero! Vedete, Giuda nostro fratello, fratello in questa comune miseria e in questa sorpresa. Qualcheduno però deve avere aiutato Giuda a diventare il traditore.

C’è una parola del vangelo che non spiega il mistero del male di Giuda, ma che ce lo mette davanti in un modo impressionante: Satana lo ha occupato, ha preso possesso di lui, ha agito in Giuda e può agire anche dentro di noi, o miei cari fratelli, se noi non stiamo attenti.

Povero Giuda, povero fratello nostro, il più grande dei peccati non è quello di vendere il Cristo, è quello di disperare.

Anche Pietro aveva negato il Maestro, poi lo ha guardato e si è messo a piangere e il Signore lo ha ricollocato al suo posto, il suo vicario. Tutti gli apostoli hanno abbandonato il Signore e sono tornati, e il Cristo ha perdonato loro e li ha ripresi con la stessa fiducia.

Credete voi che non ci fosse stato posto anche per Giuda, se avesse voluto? Se si fosse portato ai piedi del calvario, se l’avesse guardato almeno a un angolo o a una svolta della strada della Via Crucis, la salvezza sarebbe arrivata anche per lui. Povero Giuda, una croce e l’albero di un impiccato, dei chiodi e una corda.

Miei cari fratelli, perdonatemi se questa sera, che avrebbe dovuto essere di intimità, io vi ho portato delle considerazioni così dolorose. Ma io voglio bene anche a Giuda, è mio fratello anche questa sera, Giuda. Pregherò per lui anche questa sera, perché io non giudico, io non condanno.

Dovrei giudicare me, dovrei condannare me. Io non posso non pensare che anche per Giuda la misericordia di Dio, questo abbraccio di carità, quella parola “amico” che gli ha detto il Signore mentre lui lo baciava per tradirlo, io non posso non pensare che questa parola non abbia fatto strada nel suo povero cuore e forse l’ultimo momento, ricordando quella parola e l’accettazione del bacio, io credo che anche Giuda avrà sentito che il Signore gli voleva ancora bene e lo richiedeva tra i suoi, di là.

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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Forse il primo apostolo che è entrato insieme ai due ladroni, un corteo che certamente pare non faccia onore al Figlio di Dio, come qualcuno lo concepisce; ma c’è una grandezza della sua misericordia.

E adesso, o miei cari fratelli, adesso che prima di riprendere la Messa ripeterò il gesto di Cristo nell’Ultima Cena, lavando i piedi ai nostri bambini, che rappresentano gli apostoli del Signore in mezzo a noi, baciando quei piedini innocenti, lasciate che io pensi per un momento al Giuda che ho dentro di me, al Giuda che forse anche voi avete dentro e lasciate che io domandi a Gesù, a Gesù che è in agonia, a Gesù che ci accetta come siamo, lasciate che io gli domandi, come grazia pasquale, di dichiararmi questa sera, domani sera, sabato notte: “amico”. Perché la Pasqua è questa parola detta a un povero Giuda come me, detta ai poveri Giuda come voi. Perché questa è la gioia: che Cristo ci ama, che Gesù ci perdona, che Cristo non vuole che noi ci disperiamo, che Cristo – anche quando noi ci rivolteremo tutti i momenti contro di lui – anche quando lo bestemmieremo, anche quando rifiuteremo il sacerdote all’ultimo momento della nostra vita, ricordatevi che per lui noi saremo sempre gli amici».

Maria Maddalena: la Fede di chi ama!

Gv 20,11-18: l’apparizione a Maria di Magdala [20.11] Maria invece era rimasta fuori, davanti al sepolcro piangente. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro [20.12] e vede due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. [20.13] Ed quelli dicono a lei: «Donna, perché piangi?». Risponde loro: «Hanno preso il mio Signore e non so dove l’abbiano posto». [20.14] Detto questo, si voltò indietro e vede Gesù ritto in piedi; ma non sapeva che era Gesù. [20.15] Dice a lei Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Quella, pensando che fosse il custode del giardino, gli dice: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». [20.16] Dice a lei Gesù: «Maria!». Quella voltatasi dice a lui in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! [20.17] Gesù le dice: «Smettila di trattenermi, perché non sono asceso al Padre; ma va’ dai miei fratelli e dì loro: Ascendo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». [20.18] Maria, la Maddalena, va ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e le cose che le aveva detto.   20,2 20,13

«Hanno tolto «Hanno tolto il Signore dal sepolcro il mio Signore e non sappiamo e io non so dove l’hanno messo». dove l’hanno messo».

In ricerca dell’Amato, come la sposa del Cantico dei Cantici

Sul mio letto, lungo la notte ho cercato l’amato del mio cuore. L’ho cercato ma non l’ho trovato. Voglio alzarmi e fare il giro della città per le strade e per le piazze; voglio cercare l’amato del mio cuore. L’ho cercato ma non l’ho trovato... Era scomparso e io venni meno per la sua scomparsa. L’ho cercato ma non l’ho trovato l’ho chiamato ma non m’ha risposto (Ct 3,1-2; 5,6).

Forte come la morte è l’amore tenace come gli inferi è la passione... una fiamma del Signore (Ct 8,6)!

Contemplare Cristo, lo Sposo Crocifisso Lasciarsi incontrare dal Risorto Smettila di trattenermi…salgo al Padre mio e Padre vostro…

Maria Maddalena invita tutti a verificarsi: Su quale base costruiamo i nostri rapporti e la nostra missione? Su

quale fondamento costruiamo la comunità fra noi? La sua esperienza ci ricorda che saremo utili agli altri nella misura della personale incondizionata dedizione al «Signore», nella misura del costante e prolungato incontro con Lui, nella ricerca, nella preghiera e nel suo ascolto.

Ma il suo messaggio per noi è anche questo: «vede» veramente il Signore, resta nel ricordo costante di Lui solo chi si lascia mandare da lui ai fratelli. Se lo hai visto, se ti è apparso, fallo vedere, indicalo agli altri! Se non correrai questo rischio, ti dimenticherai presto di Lui e non conoscerai la gioia bellissima della fraternità della fede che ci fa la «famiglia», la Chiesa di Gesù. Gli altri hanno diritto di sentire e di vedere la tua fede, e tu hai il dovere di annunciarla. Non è carità, ma semplice giustizia. Offri loro la tua testimonianza di fede: ciò che il Signore ti ha detto, senza pretese, solo per obbedire a chi ti ama e per amare chi ti incontra. Da’ senza timore la Parola che hai ricevuta, e nella fede, che anche con la tua testimonianza si accenderà in loro, di nuovo sarai incontrato dal Risorto!

Gustiamo le parole splendide, pregne di poesia e teologia di KAHLIL GIBRAN:

Fu nel mese di giugno che lo vidi per la prima volta. Stava camminando in un campo di grano quando passai con le mie ancelle, ed era solo. Il ritmo del Suo passo era diverso da quello di tutti gli altri uomini, ed Egli si muoveva come mai prima avevo visto fare. Non è con quell’incedere che gli uomini percorrono il mondo, e ancora oggi io non so se camminasse veloce oppure lentamente.

“Senza di me non potete far nulla…” (Gv 15,8): relazioni e sequela nei Vangeli

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Le mie ancelle presero ad additarlo e a scambiarsi trepidi bisbigli. Ed io fermai il passo per un istante, e sollevai la mano per fargli un cenno di saluto. Ma Egli non volse il capo, e non mi guardò. Ed io lo odiai. Vacillai nella Sua ripulsa; e mi sentii raggelare come sotto un cumulo di neve. Avevo i brividi.

In sogno, quella notte, lo vidi. Più tardi mi dissero che durante il sonno avevo gridato, agitandomi nel letto senza quiete. Fu nel mese di agosto che lo vidi di nuovo, dalla finestra. Sedeva nel mio giardino, all’ombra di un cipresso; ed era immobile come fosse stato scolpito nella pietra, come le statue che si vedono ad Antiochia e nelle altre città del settentrione. E il mio schiavo, l’Egizio, venne a dirmi: «Quell’uomo è di nuovo qui. Siede laggiù, in un angolo del tuo giardino». Ed io guardai, e guardai ancora, e la mia anima palpitò: perché Egli era bello. Il Suo corpo non era un corpo comune, e sembrava che ognuna delle sue parti vivesse in armonia con tutte le altre.

Allora indossai vesti di Damasco e lasciai la mia casa per camminare alla Sua volta. Fu la mia solitudine o la Sua fragranza a spingermi verso di Lui? Fu l’avidità dei miei occhi affamati di bellezza? Oppure fu la Sua avvenenza a invocare la luce dei miei occhi? Ancora oggi non lo so. Camminai verso di Lui con le mie vesti odorose e i miei sandali d’oro, i sandali che ho avuto in dono dal generale romano: proprio questi. E quando lo ebbi raggiunto, dissi: «Buongiorno a te». Ed Egli mi disse: «Buongiorno a te, Miriam». E mi guardò, e la notte che era nei Suoi occhi mi vide come mai nessun uomo mi aveva vista. E d’improvviso mi sentii come nuda, e provai vergogna. Eppure mi aveva detto soltanto: «Buongiorno a te». Gli dissi allora: «Non vuoi venire nella mia casa?». Ed Egli: «Non sono già in casa tua?». Non capii cosa intendesse, allora; ma adesso lo so. E gli chiesi: «Non vuoi dividere con me vino e pane?». Ed Egli rispose: «Sì, Miriam, ma non ora». Non ora, non ora, disse. E in quelle due parole udii la voce del mare, e la voce del vento e degli alberi, udii. Quando le pronunciò, dentro di me la vita parlò alla morte. Perché - ricordalo amico mio - io ero morta. Una donna che aveva divorziato dalla propria anima, io ero. Vivevo divisa dal mio essere che tu vedi ora. Appartenevo ad ogni uomo, e a nessuno: Mi chiamavano prostituta, e posseduta dai sette diavoli: così mi chiamavano. Ero maledetta ed ero invidiata. Ma quando l’aurora che era nei Suoi occhi guardò nei miei, tutte le stelle della mia notte si dissolsero: ed io fui Miriam, solo Miriam, una donna che si era perduta in una terra che le era nota e che ora stava ritrovando se stessa in luoghi che non aveva mai visto. E di nuovo gli dissi: «Vieni nella mia casa a dividere con me il pane e il vino». Ed Egli disse: «Perché mi chiedi di essere tuo ospite?». Ed io dissi ancora: «Ti supplico, vieni nella mia casa». E tutto ciò che in me era zolla, e tutto ciò che in me era cielo, lo invocava. Allora Egli mi guardò, e il meriggio che era nei Suoi occhi fu su di me, ed Egli disse: «Tu hai molti amanti, eppure io solo ti amo. Gli altri uomini nella tua vicinanza amano se stessi. Io in te amo te soltanto. Gli altri uomini vedono in te una bellezza che dileguerà più veloce dei loro anni. Ma io vedo in te una bellezza che non svanirà, e nell’autunno dei tuoi giorni quella bellezza non avrà timore di guardarsi nello specchio, e non ne riceverà offesa. Solo io amo in te ciò che non si vede».

Poi disse con voce lieve: «Va’, ora. Se questo cipresso è tuo e non vuoi che sieda alla sua ombra, andrò per la mia strada». Ed io piansi e gli dissi: «Maestro, vieni nella mia casa. Ho per Te incenso da bruciare, ed ho un bacile d’argento per i Tuoi piedi. Tu sei uno straniero, eppure non lo sei. Ti supplico, vieni nella mia casa». Allora Egli si alzò e mi guardò nel modo in cui immagino le stagioni debbano guardare i campi, e sorrise. Poi disse ancora: «Tutti gli uomini ti amano per se stessi, ma è per te che io ti amo». Poi se ne andò. Nessun altro uomo camminò mai come Lui camminava. Era un alito nato nel mio giardino che soffiava verso oriente? Oppure era una tempesta che avrebbe agitato fin nel loro intimo tutte le cose? Non lo sapevo, ma quel giorno il tramonto che era nei Suoi occhi uccise in me il serpente, e io divenni una donna. Io divenni Miriam, Miriam di Magdal.

Conclusione Maria diventa la prima teologa della Pasqua: ha scoperto nella sua vita il cammino di Gesù che ormai ha trionfato e sale al Padre, e deve comunicarlo agli altri. In questa prospettiva si comprendono meglio le parole «Non mi trattenere! ». Maria è un segno vivente dell’assenza-presenza di Gesù; per questo, può annunciare che è vivo - è risuscitato - e che è salito al mistero di Dio Padre.

Maria viene ora a trovarsi fra il Gesù che in un certo senso l’ha lasciata («Non mi trattenere!») e i discepoli che deve cercare per riferire loro il messaggio, in prospettiva pasquale. Cercava un cadavere nel giardino; Gesù le ha affidato una missione e un itinerario di vita che la coinvolge in pieno. Si può avvertire che Gesù è con noi solo quando ci rendiamo conto che lui è asceso al cielo e che non possiamo più continuare a toccarlo - come facevamo in passato - per tutta la vita. È stata un’esperienza di breve durata, un atto di amoroso conforto nel giardino. Dopo di che, la stessa Maria Maddalena che prima sembrava pazza deve trasformarsi in missionaria, testimoniando quello che ha visto e sentito e rendendo così partecipi del mistero gli altri apostoli. Maria aveva trovato rifugio nel giardino delle sue lacrime. Adesso deve andare dai discepoli, parlare con loro, cominciando a vivere su questa terra la grande esperienza della trasformazione che ci porta a Dio Padre. In questo modo colei che prima era sola si trasforma in messaggera/anghèllousa di Dio sulla terra. L’esperienza e le parole di Maria valgono anche per noi. Adesso non dobbiamo far altro che tornare in Galilea; non dobbiamo vivere rinchiusi nelle cose di questo mondo, ma costruiamo relazioni autentiche nel Cristo asceso e costruiremo anche le nostre identità. Shalom!

P. ERNESTO