rtde ii ultimo agg - luiss guido carli · (28 gennaio 2013, nella causa e-16/11) ... to the...
TRANSCRIPT
2 / 2013 ISSN: 2036 - 4873
RIVISTA TRIMESTRALE DI DIRITTO DELL’ECONOMIA
RASSEGNA DI DOTTRINA E GIURISPRUDENZA
DIREZIONE SCIENTIFICA
G. ALPA - M. ANDENAS - A. ANTONUCCI
F. CAPRIGLIONE - R. MASERA - R. Mc CORMICK F. MERUSI - G. MONTEDORO - C. PAULUS
RIVISTA TRIMESTRALE
DI DIRITTO DELL’ECONOMIA
WWW.RTDE.LUISS.IT
La sede della Rivista è presso
la Fondazione G. Capriglione Onlus,
Università Luiss G. Carli,
Viale Romania 32, 00197 Roma.
Direzione Scientifica
G. Alpa - M. Andenas - A. Antonucci - F. Capriglione
R. Masera - F. Merusi - R. McCormick - G. Montedoro - C. Paulus
Direttore Responsabile
F. Capriglione
Comitato di Redazione
A. Tucci - V. Lemma - E. Venturi - D. Rossano - N. Casalino
I contributi pubblicati in questa Rivista potranno essere
riprodotti dalla Fondazione G. Capriglione Onlus su altre
proprie pubblicazioni, in qualunque forma.
Autorizzazione n. 136/2009, rilasciata dal Tribunale di Roma in data 10 aprile 2009.
1 / 2013 ISSN: 2036 - 4873
COMITATO SCIENTIFICO PER LA VALUTAZIONE
S. Amorosino, E. Bani, P. Benigno, A. Blandini, C. Brescia Morra, E. Cardi, M. Clarich,
A. Clarizia, F. Colombini, G. Conte, P.E. Corrias, L. De Angelis, M. De Benedetto, P. De
Carli, C. De Caro, M. De Poli, G. Desiderio, L. Di Brina, G. Di Taranto, L. Foffani, C.
Fresa, R. Lener, F. Maimeri, A. Mangione, F. Moliterni, G. Niccolini, M. Pellegrini,
P. Reichlin, N. Rangone, A. Romano, C. Rossano, C. Russo, M. Sepe, D. Siclari, G.
Terranova, G. Tinelli, V. Troiano, A. Urbani, P. Valenzise, A. Zimatore
REGOLE DI AUTODISCIPLINA PER LA VALUTAZIONE DEI CONTRIBUTI
I contributi inviati alla Rivista Trimestrale di Diritto dell’Economia sono oggetto di esame
da parte del «Comitato scientifico per la valutazione» secondo le presenti regole.
1. Prima della pubblicazione, tutti gli articoli, le varietà, le note e le osservazioni a sentenza
inviati alla Rivista sono portati all’attenzione di due membri del Comitato, scelti in ragione
delle loro specifiche competenze ed in relazione all’area tematica affrontata nel singolo con-
tributo.
2. Il contributo è trasmesso dalla Redazione in forma anonima, unitamente ad una scheda di
valutazione, ai membri del Comitato, perché i medesimi – entro un congruo termine – for-
mulino il proprio giudizio.
3. In ciascun fascicolo della Rivista sarà indicato, in ordine alfabetico, l’elenco dei membri
del Comitato che hanno effettuato la valutazione dei contributi pubblicati.
4. In presenza di pareri dissenzienti, la Direzione si assume la responsabilità scientifica di
procedere alla pubblicazione, previa indicazione del parere contrario dei membri del Comi-
tato.
5. Ove dalle valutazioni emerga un giudizio positivo condizionato (a revisione, integrazio-
ne o modifica), la Direzione promuove la pubblicazione solo a seguito dell’adeguamento
del contributo alle indicazioni dei membri del Comitato, assumendosi la responsabilità della
verifica.
I CONTRIBUTI DEL PRESENTE FASCICOLO SONO STATI VALUTATI DA:
E. Bani, F. Colombini, F. Maimeri, M. Pellegrini, M. Sepe, V. Troiano, A. Urbani, P. Valenzise
PARTE PRIMA
ARTICOLI
GUIDO ALPA – La responsabilità civile delle agenzie di rating. Alcuni rilievi siste-
matici………………………………..………………………………………………………………………….………………….… 71
RAINER MASERA - Corporate governance, compliance e risk management nelle
grandi banche internazionali: attività illegali e illecite, multe, indennizzi e pro-
cessi penali………………………………………………………………………………………….…………………………..… 84
ANGELA TROISI e ALESSANDRO ROMANO – Rating, accuratezza delle valutazioni
e responsabilità oggettiva ..………………………………………..……………………………….……………… 111
VARIETA’
SIMONA PELOSO - Considerazioni a margine del libro «La responsabilità civile
delle agenzie di rating. Mercato finanziario, allocazione dei rischi e tutela
dell’investitore» di Luca Di Donna (Cedam, 2012) ………………………………………………… 141
PARTE SECONDA
NOTE ED OSSERVAZIONI A SENTENZA
DIEGO ROSSANO – La direttiva sui sistemi di garanzia dei depositi si applica in
presenza di crisi sistemiche? Brevi riflessioni sulla sentenza della Corte dell’Efta
(28 gennaio 2013, nella causa E-16/11)……………………………………………………………..……… 59
GIANFRANCO LIACE – Il servizio bancario delle cassette di sicurezza: furto, presun-
zioni semplici e prova del danno (Cassazione, 4-6-2012, n. 8945 – sez. I) ………… 90
PARTE PRIMA
ARTICOLI
Guido Alpa
71
LA RESPOSANBILITA’ CIVILE DELLE AGENZIE
DI RATING. ALCUNI RILIEVI SISTEMATICI∗∗∗∗
ABSTRACT: The worldwide crisis started in 2008 set credit rating agencies into a
central position within the economic scenario. The problematic about their
leading role inside the society has a wide range and needs a farther analysis due
to the different law application involving civil law, economic law and
international law. This paper examines the disciplinary codes of CRAs focusing
on civil responsibilities of these agencies while considering even the coordination
among the different state systems involved during the process of data
elaboration and diffusion.
SOMMARIO: 1. Premessa. - 2. Aspetti disciplinari delle agenzie di rating. - 3. Il rating come li-
bera espressione dell’attività economica. - 4. Profili di responsabilità civile delle agenzie di
rating.
1. La problematica relativa alle agenzie di rating risulta ancor più com-
plessa se si considera che essa coinvolge questioni riguardanti aspetti molteplici
del diritto civile, del diritto dei mercati finanziari e, non da ultimo, del diritto in-
ternazionale. Infatti, siamo in presenza di soggetti che operano in ambiti sovra-
nazionali, pur avendo sedi stabili dislocate solo in alcuni dei Paesi nei quali ven-
gono diffusi i relativi giudizi. Dall’attività così posta in essere discendono, per-
tanto, riflessi molteplici sulla materia internazional-privatistica; donde l’esigenza
di ricercare le modalità con le quali è possibile individuare adeguati regimi di tu-
∗ Il presente lavoro trae spunto da alcune considerazioni formulate in occasione di un seminario sull’argomento svoltosi nell’Università Luiss - G. Carli di Roma il 30 gennaio 2013.
La responsabilità civile delle agenzie di rating
72
tela a favore di coloro che risultano danneggiati dal rating1.
La natura cross-border dell’attività delle agenzie di rating consente di ri-
condurre la criticità espressa nei giudizi alle peculiarità degli ordinamenti statali
nei quali operano i soggetti destinatari dei medesimi. Ciò con riferimento sia
all’individuazione degli emittenti che degli investitori presenti sui mercati nei
quali viene negoziato il titolo finanziario sottoposto al processo di rating. Da qui,
l’evidente rischio di dar spazio a possibili arbitraggi regolamentari, che aggiun-
gono ulteriori elementi di complessità alla materia di cui trattasi.
Ne consegue che il dibattito relativo ai profili di responsabilità delle agen-
zie deve essere ricondotto, in primo luogo, ad un’ indagine volta ad accertare
le modalità di coordinamento tra i diversi sistemi statali che vengono coinvolti
nel processo di elaborazione e diffusione delle valutazioni in parola.
Sotto altro profilo, deve evidenziarsi il crescente interesse del diritto giu-
risprudenziale alla materia del rating. Si fa presente come taluni ordinamenti
giuridici risultino particolarmente attivi sulla questione della diffusione di valu-
tazioni errate e fuorvianti; a titolo di mera esemplificazione, si ricorda quanto è
avvenuto in Italia con l’indagine condotta dal Tribunale di Trani e, più recente-
mente, in Australia presso la Corte federale di Sidney2.
E’ ovvio che le questioni poste dal rating in detta sede trovano soluzioni
desunte dalle regole civilistiche del diritto nazionale, soluzioni riconducibili alle
categorie nelle quali sono inquadrabili le diverse fattispecie sottoposte
all’esame dei giudici (fermo restando che di volta in volta si pone in termini pro-
blematici la configurazione degli estremi di una responsabilità contrattuale ov-
1 Cfr. DI DONNA, La reponsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, alloca-zione dei rischi e tutela dell’investitore, Padova, 2012. 2 Cfr. Federal Court of Australia Bathurst Regional Council vs Local Government Financial Services Pty Ltd (No 5) [2012] FCA 1200 , riportata in Riv. trim. dir. econ., 2012, n. 4, p. 187 ss., con nota di TROISI, Diligenza e responsabilità delle agenzie di rating negli orientamenti di Common Law. Riflessi sulle prospettive disciplinari di tali società.
Guido Alpa
73
vero aquiliana).
Sotto altro profilo, va sottolineato che il dibattito giurisprudenziale met-
te in evidenza i limiti disciplinari rivenienti dalla carenza di una normativa valida
a livello internazionale, cui aver riguardo per l’identificazione di forme regola-
mentari uniformi dell’attività in parola.
2. La disciplina applicabile alle società specializzate nella formulazione dei
giudizi è riconducibile ad un primo nucleo di regole formulate in sede comunita-
ria, che definiscono gli ambiti operativi e gli obblighi comportamentali necessari
a garantire un corretto svolgimento delle attività di valutazione. Al riguardo va
fatto presente che, dopo un favorevole orientamento espresso dal Parlamento
Europeo in ordine alla definizione di un progetto di riforma del Reg. CE n.
1060/20093, si è recentemente addivenuti all’emanazione di nuove disposizioni
in subiecta materia (Reg. UE n. 462 del maggio 2013).
L’attenzione del legislatore risulta ora incentrata sulla configurazione di
nuovi meccanismi di vigilanza, che si affiancano alle preesistenti forme di con-
trollo cui viene ricondotta la legittimazione all’esercizio dell’attività, rimessa
all’iscrizione in appositi registri predisposti in sede comunitaria. La normativa
puntualizza, inoltre, talune regole di condotta finalizzate al soddisfacimento del-
le esigenze di correttezza e di trasparenza delle informazioni divulgate4. In parti-
colare, ci si riferisce all’introduzione di misure necessarie a prevenire i conflitti
3 Tale regolamento è stato sottoposto ad una prima modifica col Reg. UE n. 513/2011. 4 Cfr. PARMEGGIANI - GINEVRI, Quale rating assegnare alle nuove regole sulle agenzie di rating?, in Nuove leggi civili commentate, 2012, n. 1, p. 45 ss; MIGLIONICO, Enhancing The Regulation Of Credit Rating Agencies, in search of a Method, Napoli, 2012; DI DONNA, La reponsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, allocazione dei rischi e tutela dell’investitore, op. cit.; PARMEGGIANI, La regolazione delle agenzie di rating tra tentativi incompiuti e prospettive future, in Giur. comm., 2010, fasc. I, p. 121 ss; ENRIQUES - GAR-GANTINI, Regolamentazione dei mercati finanziari, rating e regolamentazione dei rating, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2010, n.2, p. 475 ss.
La responsabilità civile delle agenzie di rating
74
di interesse (reali o potenziali), nonché a garantire che le metodologie, i modelli
e le ipotesi fondamentali del rating risultino «rigorose, sistematiche, continuati-
ve e soggette a convalida sulla base dell’esperienza storica» degli analisti.5
In tale ambito disciplinare, i riferimenti ai rimedi di natura privatistica ri-
sultano parziali e di dubbia efficacia. Ed invero, il regolatore europeo ha affron-
tato la questione della responsabilità solo in occasione dell’emanazione del Reg.
(UE) n. 462/2013 dianzi richiamato, nel quale si prevede un obbligo di risarci-
mento a favore degli investitori danneggiati, ove a fondamento delle violazioni
poste in essere dall’agenzia sussista dolo o negligenza grave da parte di
quest’ultima (art. 35-bis)6.
Siamo in presenza, dunque, di un sistema di regolamentazione che mira a
contenere e prevenire i danni causati dal rating, fornendo indicazioni di caratte-
re generale sulla correttezza dell’operato delle agenzie ed, eventualmente, veri-
ficando il rispetto dei requisiti formali di condotta propri dello svolgimento di
un’attività riservata.
Ciò non esclude che il regolatore è interessato ad evitare il rischio di in-
trodurre una disciplina eccessivamente rigida, che finisca col limitare il libero
sviluppo del mercato del rating; ciò, avendo riguardo alle conseguenze di op-
pressivi poteri interventistici in capo agli organismi statali e, più in generale, alle
implicazioni negative di barriere all’entrata di tipo pubblicistico. Non v’è dubbio,
infatti, che la creazione di costi aggiuntivi derivanti dall’imposizione di
un’eccessiva regolamentazione finirebbero col disincentivare l’ingresso di nuovi
players nel mercato, alimentando la persistenza della struttura sostanzialmente
5 Così come specificato dal regolatore europeo nell’art. 8 del Reg. (CE) n. 1060/2009. 6 Più in particolare, il Parlamento europeo, nell’ambito della recente approvazione di tale propo-sta, ha negato la possibilità di un “rovesciamento dell’onere della prova in capo alle agenzie di rating”. Ciò in concreto crea peculiari problemi all’investitore cui viene, dunque, addossato l’obbligo di provare il comportamento negligente dell’agenzia e il nesso causale con la perdita patrimoniale subita.
Guido Alpa
75
oligopolistica che contraddistingue l’attuale configurazione del mercato del
rating.
Per converso, deve riconoscersi che l’evoluzione del diritto giurispruden-
ziale si erge ad avamposto degli interventi normativi che in materia si rendono
necessari. I gravi eventi di default, registrati negli ultimi anni, hanno dimostrato
concretamente che il mercato non è capace di autoregolamentarsi e, conse-
guentemente, che il rispetto dei principi di correttezza e di trasparenza delle ne-
goziazioni non può essere affidato esclusivamente a generali criteri di autodisci-
plina privata. A ben considerare, la crisi ha mostrato le molteplici carenze di un
mercato che necessita di un bilanciamento tra l’autonomia degli operatori e gli
interessi pubblici e sociali propri dei moderni sistemi economici e finanziari7.
In argomento appare particolarmente significativa quella ricerca che -
prendendo avvio da un’attenta descrizione della nascita delle agenzie di rating
e, più in particolare, dall’analisi della natura delle attività che esse svolgevano
alla fine dell’Ottocento - mette in evidenza come la tematica in parola riguardi
la circolazione di informazioni dal contenuto particolare; tali, cioè, da essere
qualificate dalla natura propriamente economica dei dati in esse contenuti (e,
dunque, destinati a soggetti che risultano essere in via generale esperti delle
materie in questione)8. Ci si riferisce, in particolare, alle molteplici tipologie di
investitori che operano sul mercato (e che utilizzano il rating per valutazioni sot-
7 Cfr. FRIEDMAN, What Caused the Financial Crisis, Philadelphia, 2011; POSNER, La crisi della democrazia capitalista, Milano, 2010; R. SORKIN, Too Big to Fail, New York, 2009; CAPRIGLIONE, Crisi a confronto (1929 e 2009). Il caso italiano, Padova, 2009; CARRIERO, La crisi dei mercati finanziari: disorganici appunti di un giurista, in Dir. banca merc. fin., 2009, p. 197 ss; ALPA, Mercati mondiali in crisi. Ragioni del diritto e cultura globale, in que-sta Rivista, 2009, pp. 83 ss.; PELLEGRINI, La conflittualità in ambito bancario a seguito della crisi finanziaria, in questa Rivista, n. 2, 2011, pp. 187 ss.; CAPRIGLIONE – SEMERARO, Cri-si finanziaria e dei debiti sovrani. L’Unione Europea tra rischi ed opportunità, Torino, 2012, pp. 53 ss. 8 Cfr. DI DONNA, La responsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, alloca-zione dei rischi e tutela dell’investitore, Padova, 2012, passim.
La responsabilità civile delle agenzie di rating
76
tese alle operazioni di negoziazione finanziaria), nonché a coloro che si affidano
occasionalmente all’attività delle agenzie specializzate per trarre indicazioni di
carattere sistematico.
Va, inoltre, ricordato che le società di rating svolgevano originariamente
un’attività di valutazione comparabile a quella posta in essere dalle ‘agenzie
commerciali’ (nel secolo scorso operanti nel nostro ordinamento), specializzate
nell’elaborazione di dati e notizie relative al sistema economico, ai soggetti in
esso presenti e al relativo grado di affidabilità. L’agere di queste ultime (benché
non fosse riconducibile alle modalità societarie di organismi costituiti ad hoc) si
basava sulla diffusione di giudizi - rilasciati dietro pagamento di uno specifico
corrispettivo da parte del richiedente - concernenti l’affidabilità dei debitori
presenti sul mercato (e, dunque, sul grado di rischio finanziario che gravava sulla
relativa posizione, ovviamente determinante ai fini della validità
dell’investimento che gli operatori intendevano realizzare).
Detta originaria modalità di esercizio dell’attività in esame è stata succes-
sivamente modificata, atteso che il rating, a partire dalla metà degli anni settan-
ta del novecento, risulta orientato nei confronti dei soggetti emittenti i titoli,
con ovvia modifica della relazione negoziale sottostante (non più attivata con gli
investitori, bensì con coloro cui sono riconducibili gli strumenti finanziari ogget-
to di giudizio)9.
Tale processo evolutivo delle agenzie ha interagito sulle modalità di e-
spletamento della relativa attività, determinando l’emersione di una problema-
tica che investe, con la configurazione dei profili soggettivi di tali enti, la legitti-
mazione ad operare dei medesimi e l’individuazione delle forme di responsabili-
9 Cfr. CAPRIGLIONE - SEMERARO, Crisi finanziaria e dei debiti sovrani. L’Unione Europea tra rischi ed opportunità, op. cit., pp. 55 ss. ove si precisa che “il business è cambiato nel corso del secolo XX allorché, a seguito dei fallimenti di alcune grandi imprese, le certificazioni di cui trattasi vengono orientate alla verifica della stabilità e della sostenibilità di credito degli emitten-ti”.
Guido Alpa
77
tà cui risultano esposti.
3. L’attività di rating è stata certamente condizionata dagli sviluppi che
nei decenni hanno interessato l’agere di mercato; ed invero, siamo in presenza
di un servizio di informazione10, la cui produzione può essere paragonata a quel-
la dei beni di consumo.
I principi che sottendono al libero mercato consentono a tutti gli operato-
ri di svolgere la loro attività con azioni libere da ostacoli di origine ordinamenta-
le o normativa. L’attività economica è, infatti, generalmente considerata come
elemento di cruciale importanza per lo sviluppo dell’intera società, atteso che le
esternalità positive che essa produce (in termini di benessere della collettività e
di evoluzione del sistema economico e finanziario) risultano quasi sempre supe-
riori a quelle negative rivenienti dagli effetti distorsivi della circolazione di pro-
dotti difettosi.
Ciò posto, è bene ricordare che tra i principi a fondamento della libertà
economica delle agenzie di rating vi è il primo emendamento della Costituzione
americana (che stabilisce il cd. “freedom of speech”), richiamato al fine di giusti-
ficare la circolazione dei giudizi, anche di quelli che si rivelano imperfetti (i.e.:
basati su elaborazioni che offrono una visione distorta dell’affidabilità creditizia
di un emittente e/o di una specifica emissione di titoli finanziari). Tale principio
delegittima qualsiasi tipo di controllo sulla correttezza delle valutazioni effettua-
te dagli analisti, nella misura in cui queste ultime rappresentano una manifesta-
zione della libertà di opinione e, pertanto, sono meritevoli di tutela nell’ambito
dei diritti fondamentali (a base della società civile americana).
10 Cfr. RODORF, Importanza e limiti dell’informazione nei mercati finanziari, in Giur. comm., 2002, n.1, p. 773 ss.; ALPA, Il danno da informazione economica, in Riv. not., 1977, n. 1, p. 1103 ss.; FACCI, Le agenzie di rating e la responsabilità per informazioni inesatte, in Contr. impr., 2008, n. 1, p. 165 ss.
La responsabilità civile delle agenzie di rating
78
Non caso, il rating viene considerato come un’informazione sintetica e
prognostica11 (in quanto fondata sulla stima del grado di probabilità di eventi fi-
nanziari futuri), la quale assume valenza nei termini di una «mera opinione» e
non certo di una «raccomandazione» alla gestione dei portafogli di investimento
finanziario12.
Negli anni la situazione è andata gradualmente mutando: l’attività di
rating si è evoluta e le società specializzate hanno trovato un’idonea collocazio-
ne nel sistema economico, espandendosi sotto il profilo organizzativo e acqui-
sendo potere e credibilità nei confronti del risparmio pubblico e della comunità
scientifica. La loro operatività si è estesa a ricomprendere anche alle valutazioni
sugli Stati e sul relativo debito sovrano, misurandone l’attendibilità in relazione
all’emissione di obbligazioni e di prodotti finanziari offerti sul mercato, per tal
via incidendo in maniera indiretta sulla capacità dei medesimi di attrarre risorse
ed investimenti sui territori nazionali13.
Sotto il profilo civilistico, è evidente che il problema attiene alla sfera del
rapporto tra l’attività di rating e la libertà economica sancita dall’art. 41 della
nostra Costituzione, nonché dagli artt. 15 e 16 della Carta dei diritti fondamen-
tali dell’Unione Europea. Tale normativa legittima la libertà economica e la pre-
serva da controlli su eventuali danni che da tale attività possono derivare; don-
11 Cfr. PRESTI, Le agenzie di rating: dalla protezione alla regolazione, in Jus, 2009, n.1, p. 65 ss., ove si evidenzia che «il giudizio dell’esperto non si basa sulla qualità di un prodotto finito o delle passate prestazioni, ma sul grado di probabilità di un evento futuro (il regolare pagamento da parte del debitore)». 12 Ed invero, l’art. 3, comma 2, del Reg. Ce n. 1060/2009 evidenzia che «non sono considerati rating del credito: a) le raccomandazioni ai sensi dell’articolo 1, punto 3, della direttiva 2003/125/CE della Commissione; b) la ricerca in materia di investimenti ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2006/73/CE della Commissione e altre forme di raccomandazioni generali, quali «acquistare», «vendere» o «mantenere», in relazione a operazioni su strumenti finanziari o a obbligazioni finanziarie; o c) pareri in merito al valore di un’obbligazione finan-ziaria o di uno strumento finanziario». 13 Cfr. DI DONNA, La reponsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, alloca-zione dei rischi e tutela dell’investitore, op. cit., 2012.
Guido Alpa
79
de l’interrogativo concernente la qualificazione da attribuire al servizio di rating.
Più in particolare, ci si riferisce alla natura del servizio di raccolta e di elabora-
zione di informazioni (e relativa diffusione), forma operativa che sembra oscilla-
re tra le categorie afferenti lo svolgimento di attività intellettuale e la produzio-
ne di beni (riconducibile a quella d’impresa). Chi pensa all’informazione come
un bene, può certamente essere indotto a qualificare le agenzie di rating come
produttori di beni; per converso, chi invece ritiene che tale attività sia espres-
sione di un servizio di natura intellettuale, può considerare tali agenzie come
entità organizzate esercitanti un’attività professionale, correlata alle esigenze
del mercato e, quindi, strumentale alla libertà d’informazione che è espressione
tipica dell’evoluzione delle società occidentali.
4. L’individuazione di una categoria concettuale in cui classificare il rating
genera evidenti riflessi in ordine all’identificazione del regime di responsabilità
civile applicabile alle agenzie.
Se si considera l’elaborazione dei giudizi come un’attività di natura intel-
lettuale vengono in considerazione i criteri di responsabilità ricorrenti nella ma-
teria intellettuale (quali, nello specifico, l’esonero di responsabilità in caso di
colpa lieve, a fronte delle differenti ipotesi relative ai casi di colpa grave). Più in
generale, viene in considerazione l’affidamento al criterio di responsabilità fon-
dato sulla colpa o sul dolo, coerentemente con le note teorie sulla circolazione
delle informazioni economiche (le quali, durante gli anni settanta, imputavano
una responsabilità per dolo a coloro i quali diffondevano nel sistema notizie er-
rate o fuorvianti).
In alternativa, la riferibilità all’informazione come un bene economico
consente di imputare alle agenzie produttrici di rating una responsabilità di tipo
oggettivo, fondata sull’assunto che il giudizio in parola è un bene «naturalmente
La responsabilità civile delle agenzie di rating
80
difettoso» in quanto correlato al rischio finanziario intrinseco al processo di sti-
ma dell’affidabilità creditizia dei soggetti operanti sul mercato14.
Sotto altro profilo, non sorgono dubbi sulla natura contrattuale della re-
sponsabilità imputabile alla società di rating nell’ambito del rapporto intercor-
rente con il soggetto emittente. L’applicazione del noto modello «issuer pays»
identifica, infatti, nel giudizio di rating la prestazione sinallagmaticamente offer-
ta dall’agenzia a fronte di specifici compensi corrisposti dalle società richiedenti.
In tale ambito, trova giustificazione il riferimento che il legislatore com-
pie, nell’ambito del Reg. Ce n. 1060/2009, ai criteri di «indipendenza», «oggetti-
vità» e di «adeguata qualità» sottesi alla definizione delle metodologie quantita-
tive e qualitative a fondamento dell’attività di rating.
Per quanto concerne la posizione assunta dal singolo investitore, invece,
devono considerarsi taluni orientamenti dottrinali che, in base a criteri e catego-
rie giuridiche difformi, mirano a garantire un’adeguata tutela a coloro che com-
piono le loro scelte di investimento sulla base delle informazioni contenute nei
giudizi diffusi sul mercato.
Ed invero, parte della dottrina sostiene che, anche quando non è dato
rinvenire un rapporto diretto tra l’investitore e l’agenzia specializzata15, il solo
affidamento che il primo ripone nell’attività professionale della seconda è suffi-
ciente a generare un contatto, quale presupposto per l’ imputazione di una «re-
sponsabilità da contatto qualificato»16. Quest’ultima trova fondamento nella
configurabilità di un legame diretto che, in assenza di uno specifico rapporto
14 Più in particolare, la responsabilità oggettiva viene introdotta nel nostro ordinamento alla fine dell’Ottocento, ma solo durante gli anni settanta del secolo scorso trova la sua completa diffu-sione. Cfr. ALPA, La responsabilità oggettiva, in Contratto e Impresa, 2005, p. 959 ss.; TRI-MARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961. 15 Rapporto contrattuale che invece può prefigurarsi in caso di realizzazione di specifici servizi di consulenza o di attività di valutazione su richiesta personale del singolo investitore. 16 Cfr. ROSSANO, Le agenzie di rating nel rapporto con gli investitori: profili di responsabili-tà, in Riv. trim. dir. econ., 2012, n.1 , pp. 1 ss.
Guido Alpa
81
contrattuale, si instaura tra il fruitore del rating e le agenzie specializzate.
Deve tenersi presente, tuttavia, che le società in parola non rappresenta-
no l’unico soggetto operante sul mercato in qualità di produttore di informazio-
ni, né l’unica fonte di notizie sulla quale gli investitori possono fare affidamento.
A supporto di tale assunto, deve ricordarsi che sul mercato finanziario operano
molteplici categorie di soggetti, tra le quali rilevano gli analisti finanziari, i revi-
sori contabili, gli emittenti stessi, nonché la stampa specializzata, la cui attività
finisce con l’influenzare indirettamente le opinioni del singolo risparmiatore e le
relative decisioni d’investimento.
Si rileva, tuttavia, che detti soggetti sono attualmente sottoposti a profili
regolamentari diversificati, rispondenti alle molteplici esigenze di un mercato
economico in continua evoluzione. Ne consegue, pertanto, l’assenza di una va-
lutazione sistemica dell’operato di tutti gli agenti che militano sul mercato
dell’informazione finanziaria. Questi ultimi risultano assoggettati a regimi di re-
sponsabilità completamente diversi, a seconda del trattamento riservato negli
anni alle varie categorie di operatori a cui essi appartengono. Il rischio derivante
dalla diffusione di informazioni distorte è, dunque, distribuito nell’ambito di una
pluralità di soggetti e la relativa valutazione è limitata alla disamina delle singole
fattispecie oggetto di controversie giurisprudenziali (stante la mancanza di un
regime coordinato di responsabilità valido in qualsivoglia occasione)17.
In tale ordine logico, il seguente interrogativo può apparire quasi banale:
è possibile attribuire alle agenzie di rating un grado di responsabilità eguale (o
addirittura più grave) rispetto a quello attivabile nei confronti degli altri parteci-
panti al mercato18? Le incertezze che si pongono dinanzi a tale problematica in-
17 La disciplina della società di revisione, ad esempio, è stata oggetto di analisi della UE, la qua-le si è limitata ad indagare sulla responsabilità di queste ultime senza considerare il ruolo di ul-teriori soggetti che provvedono a diffondere le informazioni nel mercato. 18 In proposito, deve sottolinearsi che gli analisti finanziari hanno certamente un ruolo di mag-
La responsabilità civile delle agenzie di rating
82
ducono ad ipotizzare che l’unica via percorribile per l’individuazione di una giu-
sta tutela risarcitoria a favore dell’investitore sia quella della responsabilità a-
quiliana19, eventualmente aggravata dalla configurazione di un regime di «colpa
presunta», cui si correla l’inversione dell’onere della prova in capo all’agenzia di
rating20. Con ciò escludendo, ovviamente, potenziali ricorsi a profili di responsa-
bilità oggettiva, la quale, in virtù dei suoi profili costitutivi, non tiene conto del
diverso grado di affidamento che gli investitori ripongono nelle valutazioni in
questione.
Concludendo sul punto, sembra evidenziarsi a livello generale una diffusa
insofferenza del mercato nei confronti del rating, insofferenza che trova fonda-
mento nella percezione del ruolo assunto da quest’ultimo nella manifestazione
giore rilevanza rispetto alle agenzie di rating perché valutano concretamente i bilanci della so-cietà. Cfr. CLARIZIA, L’attività di revisione e certificazione: aspetti giuridici, Milano, 1978; LIBONATI, La revisione volontaria: effetti, in Giur. comm., 1979, p. 624 ss.; ROSSI, Revisio-ne contabile e certificazione obbligatoria, Milano, 1985; COZZI, Tutela dei mercati finanziari e responsabilità della società di revisione, Napoli, 2001; BUTA, La responsabilità nella revisione obbligatoria delle s.p.a., Torino, 2005.
Si evidenzia, inoltre, che gli emittenti finanziari sono in primo luogo responsabili per le loro emissioni e per le valutazioni inserite nei prospetti informativi offerti al pubblico investito-re; cfr. TONNARELLI - GRASSETTI, L’esperienza italiana in materia di prospetti informativi, in AA.VV., L’informazione societaria. Atti del convegno internazionale di studi, Venezia 5-6-7 novembre 1981; D’ALFONSO, Responsabilità da prospetto informativo, Napoli, 2002; ME-RUSI, Sulla natura del prospetto informativo Consob e sulle sue possibili conseguenze penali-stiche, in AA.VV ., Consob. L’istituzione e la legge penale, a cura di Flick, Milano, 1987, pp. 169 ss. 19 Cfr. MARIANELLO, La responsabilità dell’agenzia di rating nei confronti dei terzi rispar-miatori, in Resp. civ., 2008, p. 635 ss; SCARONI, La responsabilità delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, in Contratto e Impresa, 2011, n. 3, p.764 ss; DI DONNA, La respon-sabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, allocazione dei rischi e tutela dell’investitore, op. cit., 357 ss. 20 La complessità tecnica dell’attività di rating è spesso di ostacolo nella determinazione della prova da parte dell’investitore, oltre che in sede di quantificazione del danno. Al riguardo deve evidenziarsi la nota sentenza del Tribunale di Catanzaro del 2 marzo 2012, ove vengono analiz-zati i profili di responsabilità civile in capo a Standard&Poor’s rivenienti da elaborazioni fuor-vianti dell’affidabilità di titoli emessi da Lehman Brothers. Secondo il Giudice di merito, l’assenza di un rapporto contrattuale tra gli investitori e la società di rating non esclude la sussi-stenza di un’influenza indiretta dei giudizi emessi da queste ultime e la tutela del pubblico ri-sparmio.
Guido Alpa
83
(e conseguente aggravamento) dei recenti eventi di crisi finanziaria21. A ciò si
aggiungano le inefficienze mostrate dalle agenzie nell’elaborazione dei giudizi
riguardanti il debito sovrano, a fronte della rilevanza a questi ultimi recente-
mente attribuita sotto il profilo politico ed istituzionale. Si configura, pertanto,
un quadro ordinatorio caratterizzato da una forte opacità, dietro la quale si na-
scondono evidenti conflitti di interessi fondati sui legami partecipativi esistenti
tra le «big three» del mercato, nonché sul noto modello contrattuale di emis-
sione delle valutazioni22.
In un sistema regolamentare che risulta tuttora carente, è auspicabile
l’avvio di un intervento più incisivo da parte del regolatore europeo e si atten-
dono, al contempo, utili indicazioni dagli ulteriori sviluppi del diritto giurispru-
denziale.
Guido Alpa
Professore Ordinario di Diritto Privato
Università “La Sapienza” di Roma
21 Più in particolare, nel caso Lehman Brothers l’inefficienza dell’attività di rating è stata ecla-tante. A ben considerare, siamo in presenza di una ripartizione non equilibrata dei rischi, dalla quale discendono profili di corresponsabilità tra tutte le altre categorie di soggetti compresi nel mercato dell’informazione finanziaria. Le società di rating, pertanto, non possono essere gli u-nici responsabili dei danni causati agli investitori. 22 Cfr. TONELLO, Le agenzie di rating finanziario. Il dibattito su un modello economico espo-sto al rischio di conflitto d’interessi. Verso un sistema pubblico di controllo?, in Contr. impr., 2005, n. 3, p. 930 ss.; MASERA, Rating e rating agencies, relazione tenuta in occasione del Seminario FEBAF sulle Agenzie di Rating, Roma, ABI, 13 aprile 2012; LENER – RESCIGNO, Agenzie di rating e conflitti di interesse: sintomi e cure, in Analisi giur. econ., 2012, n. 2, p. 361.
Rainer Masera
84
CORPORATE GOVERNANCE, COMPLIANCE
E RISK MANAGEMENT NELLE GRANDI BANCHE
INTERNAZIONALI:
ATTIVITA’ ILLEGALI E ILLECITE, MULTE,
INDENNIZZI E PROCESSI PENALI∗∗∗∗
ABSTRACT: The Global Financial System plays a fundamental role in the
provision of finance for investment and growth in the world economy. Large
international banks are a key player in the system, not only in terms of credit
flows, but also of operation in derivative markets. The issue of a good, efficient
and reliable corporate governance of key systemically important banks is
therefore crucial to the effective functioning of international financial
intermediation. Compliance and risk management are key components of
corporate governance. Compliance should ensure respect of all applicable laws,
rules and regulations. More generally, it should foster a corporate culture
emphasising high standards of honesty and integrity, i.e. observation of the
spirit as well as the letter of the laws.
The aim of this paper is twofold. First, it draws attention to the need for
an accurate understanding of the interactions between compliance risk and
other traditional (notably operational and legal) risks. It is, in particular,
∗ Ringrazio Valerio Lemma, Antonella Pisano e i relatori al Seminario “Criminalità organizzata, attività illegali nel sistema finanziario, paradisi fiscali e sviluppo economico” organizzato a Roma, l’8 maggio 2013, dalla Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia: Claudio Cle-mente, Giovanni del Re, Vincenzo Giuliani, Pier Carlo Padoan, Rodolfo Maria Sabelli, per utili osservazioni a una prima versione del lavoro. E-mail: [email protected]. Contributo approvato dai revisori.
Corporate governance, compliance e risk management
85
suggested that Basel 3 treatment of operational risk should be reviewed to take
account of the relevance of non-compliance. The second part of this paper offers
an overall tentative quantitative framework to assess the costs of lawsuits and
litigations of the large international banks in the UE and the US. Reference is
made to 16 banks and to the periods 2010-2012 (incurred charges) and 2013-
2015 (anticipated costs, largely no longer related to the financial crisis). The
highly tentative total for the 6 years is in the order of $230 billion for non-
compliance in areas such as: conflicts of interest, manipulation of benchmarks,
misconduct in derivative operations, improper standards of market behaviour,
unfair treatment of customers, money laundering, terrorist and narcotraffic aid,
facilitation of tax evasion and of customer illegal conduct, bribery, manipulation
of energy markets.
Key conclusions are: (I) official quantitative analysis of these phenomena
would be highly desirable; (II) banks’ supervisory authorities should be
empowered to enact prompt incisive revision processes, with a view to ensuring
the necessary standards of integrity and compliance in case of evident failures in
the corporate governance of large international banks.
SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Le regole e il loro rispetto da parte delle banche - 3. Globaliz-
zazione economico-finanziaria e Paesi sovrani - 4. Attività illecite, illegali e il Sistema Finanzia-
rio Globale (SGF) - 5. L’elusione/evasione fiscale, il ruolo dei Paesi off-shore e la finanza inter-
nazionale - 6. Considerazioni conclusive
1. La corporate governance (CG) di un’impresa bancaria può essere defi-
nita come l’insieme di relazioni fra la banca, gli azionisti, il management e gli al-
tri stakeholder. Una buona CG dovrebbe, in particolare, creare opportuni incen-
tivi perché il Consiglio di Amministrazione (CdA) e la Direzione dell’impresa ban-
caria perseguano obiettivi rivolti alla creazione di valore sostenibile, senza incor-
Rainer Masera
86
rere in rischi eccessivi. In questo contesto, si può mostrare che shareholders e
stakeholders’ values possono risultare complementari1.
Compliance e risk management rappresentano due componenti essenziali
per favorire e assicurare una buona CG, ancor prima dei riscontri della funzione
audit. Il sistema di compliance comprende un ampio spettro di attività: rispetto
di standard di condotta di mercato, protezione degli interessi dei clienti, control-
lo dei conflitti di interesse, prevenzione di attività illegali o illecite (quali riciclag-
gio, money laundering, evasione fiscale, complicità nell’evasione fiscale dei
clienti, creazione di cartelli operativi2, front running sulle piazze valutarie con
operazioni di manipolazione nel processo di fissazione dei tassi di cambio, ven-
dita fraudolenta di polizze assicurative e carte di credito, finanziamento di attivi-
tà terroristiche, …). Non si tratta di un elenco teorico. Tutte le operazioni de-
scritte sono state, o sono, oggetto di un contenzioso fra le autorità giudiziarie e
quelle di vigilanza, con le grandi banche internazionali – un vero processo alla
finanza internazionale – come documentato nel seguito, sulla base degli ele-
menti disponibili.
Una banca che non osserva le regole di condotta si espone a un rilevante
rischio di compliance, che è stato definito dal Basel Committee on Banking
Supervision3 come rischio di sanzioni legali o regolatorie, perdite finanziarie ov-
vero reputazionali, risultanti dal non rispetto di leggi, regolamenti, standard di
autoregolazione e codici di condotta.
Il compliance risk si affianca e si interseca con le tipologie “tradizionali” di
1 Cfr. MASERA - MAZZONI, Creazione di valore per gli shareholders e gli stakeholders: una fondazione analitica dei principali indicatori di valore, in Moneta e Credito, LIX (236), 2006, pp. 333-61. 2 Riferimento deve essere fatto non solo agli aspetti strettamente finanziari, e segnatamente alla manipolazione degli indici di riferimento dei tassi LIBOR, ma anche ai mercati delle commodi-ties, in particolare ai derivati sul petrolio e alla manipolazione del mercato dell’elettricità. 3 Cfr. BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION (BCBS), Compliance and the compliance function in banks, Basel, 2005.
Corporate governance, compliance e risk management
87
rischio, valutate e gestite dalla funzione di risk management: credito, mercato,
operativo (rischi del primo pilastro degli standard di Basilea), e inoltre banking e
trading books, liquidità, strategia. I prodotti derivati scompongono e riaggrega-
no i rischi attraverso prodotti e strutture opachi e complessi: nei casi più sempli-
ci, il rischio di mercato si trasforma in rischio controparte; quello di controparte
in rischio di liquidità, e così via. Tra i rischi tradizionali indicati dagli standard di
Basilea, si presenta – come indicato – il rischio operativo, ovvero quello di perdi-
te derivanti da processi interni inadeguati, da errori delle persone e dei sistemi,
o da eventi esterni (ad esempio, terremoti o atti terroristici).
Il rischio operativo comprende, in linea di principio, il rischio legale.
Quest’ultimo si sovrappone a quello di compliance, che viene peraltro di norma
tenuto separato, anche perché si argomenta spesso che la compliance è fonda-
mentalmente binaria: le regole si rispettano o non si rispettano. In realtà,
quest’approccio è riduttivo e semplicistico, non solo perché è comunque rile-
vante il “grado” di non compliance, ma anche perché i confini fra lecito, illecito e
illegale sono lungi dall’esser ben definiti, a livello interno e soprattutto nel con-
testo internazionale. Si sostiene, inoltre, che il rischio operativo tipicamente non
è assunto nell’aspettativa di un extra ritorno economico, ma esiste nell’ambito
del corso naturale delle attività di banca. Anche in questo caso, si tratta di una
semplificazione pericolosa: la decisione di non compliance nasce, come verrà
mostrato nel seguito, molto spesso da una esplicita ricerca di ritorni “non soste-
nibili” nella speranza che la non liceità delle operazioni poste in essere non ven-
ga sanzionata, ovvero che il costo delle sanzioni comminate sia inferiore agli utili
attesi.
Il costo reputazionale risulta, di fatto, ridotto perché gli azionisti e gli as-
set manager non assegnano il necessario rilievo al non rispetto delle regole: è
sintomatica l’affermazione di un gestore che si è lamentato del fatto che le au-
Rainer Masera
88
torità giudiziarie continuino ad aprire nuovi fronti per mala gestio, e non per gli
illeciti posti in essere4.
Ad avviso di chi scrive, occorre comunque riconoscere che la modellazio-
ne statistico-econometrica del rischio di compliance, e dello stesso rischio ope-
rativo, non risulta di norma idonea a cogliere la rilevanza e la complessità dei ri-
schi legali posti in essere dalle banche. I modelli AMA del rischio operativo sono
sottoposti a riesame critico al di qua e al di là dell’Atlantico5.
Un episodio emblematico di intreccio fra rischio di compliance, rischio
tradizionale sui derivati e carenze nella prassi operativa e nella metodologia di
gestione dei rischi è rappresentato dal cosiddetto “caso della balena di Londra”,
ovvero dalle perdite su Credit Default Swaps (CDS) registrate nel 2011 da
JPMorgan. L’ammontare complessivo delle perdite non risulta ancora definito,
le stime attuali si collocano intorno a $7,5 miliardi6. La SEC sta negoziando
un’ammissione di colpa da parte di JPMorgan con sanzioni pecuniarie per ina-
deguata gestione del rischio. Le operazioni poste in essere rappresentano di fat-
to un esempio di prop trading da parte di una banca too-big-to-fail, con evidenti
manifestazioni di azzardo morale. Come sottolineato dalla Commissione del Se-
nato americano nell’ambito dell’inchiesta citata, di fronte ai rischi crescenti se-
gnalati dai modelli VaR interni, invece di modificare i comportamenti volti a elu-
dere le regole sui risk-weighted assets, la banca aveva scelto di cambiare il mo-
4 Cfr. Randy Warren (2013) citato da KAPNER, Banks Looking at $100 Billion Legal Tab, in Wall Street Journal, 27 March 2013. 5 Cfr. MEEK, Still no end in sight for US banks’ parallel run, in www.risk.net, 13 August 2013. L’analisi qui svolta potrebbe suggerire l’opportunità di un riesame tecnico dei modelli di valuta-zione e misurazione del rischio legale da parte del BCBS, nell’ambito della introduzione opera-tiva di Basilea3, sulla base di una indagine statistico-contabile affidabile e completa dei costi attuali e prospettici delle litigations delle grandi banche. 6 Cfr. BART - McCARTHY, Trading Losses: A Little Perspective on a Large Problem, Milken Institute, October, 2012, e il Rapporto ad hoc di oltre 9 mesi di lavori, di 300 pagine di testo, con investigazione di 90.000 documenti e centinaia di conversazioni telefoniche ed email, del Senato Americano (“JPMorgan Chase Whale Trades: A Case History of Derivatives Risks and Abuses”, 15 March 2013).
Corporate governance, compliance e risk management
89
dello! Lo stesso istituto ha, inoltre, manipolato tra il 2010 e il 2012 il mercato
dell’energia, generando utili illeciti alle spese dei consumatori in California e nel
Mid-West. La banca ha accettato di pagare $410 milioni – 285 in sanzioni e 125
in restituzione degli illeciti profitti – alla Federal Energy Regulation Commission.
I due casi qui menzionati fanno evidentemente riferimento a episodi avvenuti
dopo la Grande Crisi del 2007-2009 e successivamente all’inasprimento delle re-
gole sulle banche. Nonostante la reiterata attenzione delle autorità di vigilanza
degli Stati Uniti ai problemi di corporate governance, compliance e risk
management, il CEO Jamie Dimon è tuttora al timone della banca7.
2. Al di là degli standard sul capitale che hanno concentrato l’attenzione
di supervisori e regolatori, è fondamentale che i modelli di corporate governan-
ce, di compliance e di risk management siano pienamente rispettati dalle ban-
che, anche per l’azione della vigilanza. In realtà, esiste un profondo legame fra
corporate governance e gli stessi paradigmi di capitale, come viene sintetica-
mente illustrato nelle due figure seguenti.
La corporate governance è il punto di partenza per definire e realizzare
un assetto dell’impresa bancaria coerente con integrità, onestà, rispetto delle
regole, perseguimento di valore sostenibile. Compliance e risk management ne
sono i cardini interni; in particolare, il risk management è deputato a misurare e
controllare i rischi, e quindi a definire il capitale economico e quello regolamen-
tare. Il rispetto delle leggi e delle regole è, in primo luogo, responsabilità interna
7 Sotto il profilo giudiziario, il responsabile diretto delle perdite, la balena Bruno Iksil, ha nego-ziato una procedura di immunità con la Procura Federale in cambio di una piena collaborazione all’indagine. La Procura ha emesso (17 agosto 2013) mandati di cattura internazionali nei con-fronti di due dirigenti di JPMorgan (Javier Martin-Artago e Julien Grout) per falsificazione della contabilità e delle perdite. In esecuzione dei mandati, Martin-Artago è stato arrestato in Spagna il 27 agosto 2013.
Rainer Masera
90
della banca, ma è comunque sottoposto al costante vaglio delle autorità di vigi-
lanza, intese in senso lato, e in particolare alla supervisione bancaria (Fig. 1).
Fig. 1 – Corporate governance e rispetto delle leggi/regole: le due triadi
Il processo di controllo prudenziale previsto dagli standard di Basilea8 si
fonda appunto su una stretta interazione fra il processo interno di determina-
zione dell’adeguatezza patrimoniale (misurazione del rischio complessivo,
dell’attivo ponderato per il rischio e, quindi, del capitale regolamentare - ICAAP)
e il processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP), e prevede un con-
fronto fra la banca e la vigilanza, da cui possano scaturire tempestivi interventi
correttivi (Prompt Corrective Action - PCA) (Fig. 2).
8 Cfr. MARANGONI, Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche. Titolo III, Cir-colare n. 263 del 27 dicembre 2006 – 15° aggiornamento del 2 luglio 2013.
Corporate governance, compliance e risk management
91
Fig. 2 – Il processo di controllo prudenziale: interazione fra ICAAP e SREP
Questi modelli sono di fondamentale importanza, ma non sembrano aver
avuto i necessari seguiti concreti. Riporto di seguito estratti dalla prima pagina
di un rapporto del Comitato di Basilea sulla Supervisione Bancaria9, documento
scritto evidentemente prima della grande crisi finanziaria, che ha avuto molte-
plici cause, ma alla cui radice stanno gravi carenze nella corporate governance e
nelle funzioni di compliance delle grandi banche internazionali. Il mancato ri-
spetto dei criteri e delle regole, così ben anticipato nel suddetto documento, ha
dunque avuto un effetto dirompente sull’economia mondiale.
9 Cfr. BASEL COMMITTEE ON BANKING SUPERVISION (BCBS), Compliance and the compliance function in banks, Basel, 2005.
Rainer Masera
92
Purtroppo, gli elementi e i dati raccolti in questo lavoro, in particolare con
riferimento alle litigations delle grandi banche internazionali, propongono
all’attenzione l’esigenza di rendere concreti i dettati già indicati nel 2005, ma
ancora estremamente attuali. Sembra, dunque, necessario che i supervisori pos-
sano disporre di strumenti idonei per assicurare che “efficaci politiche di com-
pliance siano seguite nella realtà e che il management adotti adeguate misure
correttive in caso di mancato rispetto delle regole”.
«1. […] Banking supervisors must be satisfied that effective compliance
policies and procedures are followed and that management takes
appropriate corrective action when compliance failures are identified»
[BCBS, 2005].
In particolare, non si può non concordare sul secondo punto del documento
stesso, ovvero sul fatto che gli standard di integrità, di onestà e di rispetto delle
regole deve affermarsi in primo luogo a livello di CdA e di senior management.
Concetti analoghi sono stati ribaditi in occasione dell’Assemblea Generale ABI
nel luglio 2013 dal Governatore della Banca d’Italia10 e dal Presidente dell’ABI
Patuelli11 («L’etica deve prevalere anche su ciò che il diritto permetterebbe»),
che si riferiva presumibilmente anche a episodi purtroppo avvenuti in Italia.
«2. Compliance starts at the top. It will be most effective in a corporate
culture that emphasises standards of honesty and integrity and in which
the board of directors and senior management lead by example. It
concerns everyone within the bank and should be viewed as an integral
part of the bank’s business activities. A bank should hold itself to high
standards when carrying on business, and at all times strive to observe
10 Cfr. VISCO, Intervento del Governatore della Banca d’Italia all’Assemblea dell’Associazione Bancaria Italiana, Roma, 10 luglio 2013. 11 Cfr. PATUELLI, Relazione del Presidente all’Assemblea dell’Associazione Bancaria Italiana, Roma, 10 luglio 2013.
Corporate governance, compliance e risk management
93
the spirit as well as the letter of the law. Failure to consider the impact of
its actions on its shareholders, customers, employees and the markets
may result in significant adverse publicity and reputational damage, even
if no law has been broken» [BCBS, 2005].
Attenta considerazione deve, inoltre, essere rivolta ai punti 4, 5 e 6, qui riportati
per esteso, in vista della loro rilevanza e perdurante attualità:
«4. Compliance laws, rules and standards generally cover matters such as
observing proper standards of market conduct, managing conflicts of
interest, treating customers fairly, and ensuring the suitability of
customer advice. They typically include specific areas such as the
prevention of money laundering and terrorist financing, and may extend
to tax laws that are relevant to the structuring of banking products or
customer advice. A bank that knowingly participates in transactions
intended to be used by customers to avoid regulatory or financial
reporting requirements, evade tax liabilities or facilitate illegal conduct
will be exposing itself to significant compliance risk.
5. Compliance laws, rules and standards have various sources, including
primary legislation, rules and standards issued by legislators and
supervisors, market conventions, codes of practice promoted by industry
associations, and internal codes of conduct applicable to the staff
members of the bank. For the reasons mentioned above, these are likely
to go beyond what is legally binding and embrace broader standards of
integrity and ethical conduct.
6. Compliance should be part of the culture of the organisation; it is not
just the responsibility of specialist compliance staff. Nevertheless, a bank
will be able to manage its compliance risk more effectively if it has a
compliance function in place that is consistent with the “compliance
Rainer Masera
94
function principles” discussed below. The expression “compliance
function” is used in this paper to describe staff carrying out compliance
responsibilities; it is not intended to prescribe a particular organisational
structure» [BCBS, 2005].
Le considerazioni qui svolte devono, peraltro, essere inserite in un contesto più
ampio, che fa riferimento al necessario rispetto delle leggi, delle regole e dei
principi etici e di integrità per il funzionamento di una società democratica, ba-
sata su economia di mercato e, pertanto, su finanza e crescita sostenibili12.
3. I fenomeni economici e finanziari si proiettano su scala transnazionale
e si contrappongono ai confini nazionali della trias politica13 tradizionale. In par-
ticolare, con la libertà dei movimenti di capitale e l’innovazione finanziaria, il Si-
stema Finanziario Globale (SFG) acquista un ruolo autonomo e centrale, che
permea non solo la crescita e lo sviluppo, ma anche le nuove manifestazioni del-
le attività illegali su scala internazionale (Fig.3, p.95).
Ai vantaggi di un sistema che finanzia l’economia reale mondiale si con-
trappongono le intrinseche debolezze di un assetto con regole, incentivi e sor-
veglianza, che si sono rivelati non adeguati.
Come vedremo, si sono spesso manifestate rilevanti attività criminose
all’interno del sistema finanziario. Sottolineo che l’eccesso (numerosità e com-
plessità) delle regole esistenti (Fig. 4) finisce col risultare in contrasto con la loro
efficacia. Occorrerebbero, piuttosto, regole semplici e proporzionali, accompa-
gnate da sorveglianza attenta, puntuale e competente sui mercati e sulle istitu-
12 Questi temi sono affrontati in modo innovativo da CAPRIGLIONE, Mercato regole democra-zia. L'UEM tra euroscetticismo e identità nazionali, Torino, 2013. Si può anche fare riferimento ai lavori del seminario della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia “Criminalità or-ganizzata, attività illegali nel sistema finanziario, paradisi fiscali e sviluppo economico”, Roma, 8 maggio 2013. 13 Cfr. MONTESQUIEU, De l’esprit des lois (Livre XI), Genève, 1748.
Corporate governance, compliance e risk management
95
zioni finanziarie. Evidentemente tanto più efficaci sono i processi sopradescritti,
tanto più rapido e incisivo risulta il processo di revisione di vigilanza che non può
non ispirarsi ai principi della cosiddetta PCA14.
Fig. 3 – Il Sistema Finanziario Globale come sistema complesso. Fonte: MASERA, Risk,
Regulation and Supervision of Financial Systems: US and Eurozone solutions, in ZöR, 2012, 67:
251–280.
La governance globale presenta una dimensione – irrisolta – democratica
ed etica, in quanto viene alterato il significato del rapporto “one man one vote”.
Spesso si intraprende la scorciatoia, peraltro pericolosa, dei modelli di governo
globale di carattere tecnico (“governi delle élite”).
Evidente punto di debolezza dell’attuale sistema è quello di non riuscire
ad assicurare leggi e regole valide a livello globale, accettate e rispettate in tutti
i Paesi. Si tratta di un compito tecnicamente “impossibile”, in quanto non si di-
14 Cfr. MASERA, Taking the moral hazard out of banking: the next fundamental step in financial reform, in PSL Quarterly Review, 2011, 64(257), pp. 105-142.
Rainer Masera
96
spone di un sistema giuridico globale: la stessa definizione di crimine non è evi-
dentemente uguale in tutti i Paesi. La frammentazione e lo stesso principio della
sovranità dei singoli Paesi rappresentano elementi di fragilità del processo di
mondializzazione a fronte del moltiplicarsi delle regole, alle quali deve comun-
que seguire un processo di rigoroso rispetto, formale e sostanziale.
1. Capital standards for
banks (Basel 3 and CRD IV/
CRR)
2. Capital standards for insurance companies
(Solvency II)
11. Recovery/resolution
frameworks and safety nets
13. Money laundering and
offshore financial havens
10. Credit Rating Agencies
7. European Market Infrastructure and
Derivatives Regulation (EMIR)
4. Market in financial
Instruments Directive (MiFID II) & Markets in
Financial Instruments Regulation (MiFIR)
6. Alternative Investment
Fund Managers Directive (AIFMD)
3. Accounting principles for banks (FASB, IASB) and
insurance companies (IFRS4)
9. Separation of investment and commercial banking
activities
8. Systemically important financial institutions
(too big to fail)
12. Corporate governance
5. Undertakings for
Collective Investment in Transferable Securities Directive (and Shadow
banking) (UCITS)
GFSregulatory framework
Fig. 4 – Le molte (troppe?) regole del sistema finanziario (con particolare riferimento all’Unione
europea) Fonte: MASERA, Financial markets regulation. Lecture for the Sciences Po Master in
Financial Regulation and Risk Management, Paris, 27 March 2013.
4. La tendenza alla globalizzazione coinvolge, come si è detto, anche le at-
tività illegali. Si manifesta un crescente e profondo intreccio fra le attività illecite
e criminali, nelle loro diverse accezioni, e le rispettive controparti finanziarie. Si
deve, ormai, parlare di una contabilità di “partita doppia” delle attività criminali.
Corporate governance, compliance e risk management
97
I fatti criminosi sono osservati e devono essere registrati sotto due aspetti spe-
culari: quello reale (ovvero l’atto criminale) e quello monetario - finanziario (ov-
vero il contemporaneo e corrispondente provento di numerario)15. In ragione
dell’illegalità delle entrate di cassa, e quindi dell’esigenza di occultarne la prove-
nienza, la criminalità, segnatamente quella organizzata, ricorre al sistema finan-
ziario per “lavare” e riciclare i proventi delle attività criminose.
L’aggregazione delle principali organizzazioni criminali e la rilevanza della
elusione/evasione fiscale hanno, pertanto, determinato una forte e crescente
interconnessione fra le attività illegali e l’utilizzo del sistema finanziario globale
e dei “paradisi fiscali”. Come è stato affermato, la «economia globale illecita si
sta espandendo a ritmo assai elevato attraverso uno spettro molto ampio di at-
tività illegali (corruzione, narcotraffico, terrorismo internazionale, riciclaggio16,
estorsioni, sequestri e riscatti, traffico di armi, traffico di persone, prostituzione,
cybercrime17, usura, contraffazione e furti). Secondo le stime disponibili,
l’economia illegale rappresenta fra l’8% e il 15% del reddito mondiale, distor-
cendo le economie, riducendo fortemente i redditi imprenditoriali legittimi, cre-
ando conflitti e influenzando negativamente le condizioni sociali (…). Da Wall
Street ad altri centri finanziari sull’intero globo, le organizzazioni illecite infiltra-
no e corrompono i mercati, riducono la produttività e disincentivano gli investi-
menti, impoveriscono il capitale umano, erodono la sicurezza delle istituzioni,
15 Nel caso del terrorismo internazionale, peraltro, il finanziamento “precede” l’atto criminale. Cfr. GIULIANI, Introduzione alla Conferenza sul tema “La sicurezza economica finanziaria: verso nuove strategie”, Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia, Roma, 16 - 4 - 2013. 16 A livello mondiale si stima che il riciclaggio rappresenti circa il 5% del PIL. Per quanto ri-guarda l’Italia, le stime sono dell’ordine del 10% del PIL. Cfr. CAPOLUPO, La sicurezza eco-nomica finanziaria: verso nuove strategie, Conferenza presso la Scuola di perfezionamento per le Forze di polizia, Roma, 16 aprile. 2013. È evidente che il riciclaggio è intimamente collegato ai fenomeni di elusione ed evasione fiscale. 17 Con riferimento al cybercrime, si ricorda il caso “Liberty Reserve” che rappresentava uno dei più rilevanti sistemi di trasferimento elettronico di valuta, smantellato dalle autorità americane e di Costarica. Cfr. THE GUARDIAN, Liberty Reserve founder arrested in Spain, 28 May 2013.
Rainer Masera
98
destabilizzano i governi deboli»18.
Nella lista sopraindicata, particolare rilievo assumono la corruzione e il
narcotraffico. Non è naturalmente possibile soffermarsi su queste tematiche.
Sul primo punto, si fa comunque riferimento a due recenti importanti studi
sull’argomento. Padoan19 ha illustrato e quantificato gli impatti negativi della
corruzione sul sistema economico, anche con riferimento al sistema (mercati e
intermediari) finanziario. Si segnala al riguardo anche lo studio dell’OECD
sull’Italia20, dove è stata di recente approvata una legge21 per prevenirla e con-
trarla. In uno studio fondamentale, Capriglione22 mostra, peraltro, le manchevo-
lezze e la limitata portata della legge. Sul narcotraffico si rinvia al Rapporto delle
Nazioni Unite23, che spiega la globalizzazione dell’economia della droga e sotto-
linea come il traffico abbia assunto legami sistematici con il crimine organizzato
e con la finanza internazionale. Il fatturato mondiale del traffico suddetto viene
stimato nell’ordine di $500 miliardi l’anno.
La necessità di “lavare” i proventi delle attività illecite sospinge al ricorso
agli intermediari e al sistema finanziario, utilizzando le forme più sofisticate di
innovazione finanziaria (segnatamente i prodotti derivati complessi e Over-the-
18 Cfr. LUNA, The Destructive Impact of Illicit Trade and the Illegal Economy on Economic Growth, Sustainable Development, and Global Security. Remarks of the Director for Anticrime Programs, Bureau of International Narcotics and Law Enforcement Affairs, The OECD High-Level Risk Forum, OECD Conference Centre Paris, France, 26 October 2012. 19 Cfr. PADOAN, Criminalità organizzata, attività illegali nel sistema finanziario, paradisi fi-scali e sviluppo economico, Seminario della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, Roma, 8 maggio 2013. 20 Cfr. ORGANISATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT (OECD), OECD Integrity Review of Italy. Reinforcing public sector integrity, restoring trust for sustainable growth, OECD Public Governance Reviews, 2013. 21 Legge n° 190 del 6 novembre 2012 (G.U. 13.11.2012), Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione. 22 Cfr. CAPRIGLIONE, Mercato regole democrazia. L'UEM tra euroscetticismo e identità na-zionali, Torino, 2013, pp. 197 e ss. 23 Cfr. ORGANISATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT (OECD), International Co-operation against Tax Crimes and Other Financial Crimes. A catalogue of the main instruments, 2nd Annual Forum on Tax and Crime, Rome, 14-15 June 2012, available online at www.oecd.org
Corporate governance, compliance e risk management
99
Counter), passando per Paesi con tassazione bassa o nulla. Si spiega, pertanto, la
forte pressione criminale sul sistema finanziario globale. L’opacità del sistema e
il passaggio attraverso Stati “sovrani” indipendenti rendono particolarmente dif-
ficile il ruolo delle Autorità giudiziarie e delle Forze di polizia dei principali Paesi
nell’assicurare il rispetto delle leggi e nel combattere la criminalità. Da questo
punto di vista, particolare rilievo ha assunto il Financial Action Task Force (on
Money Laundering) (FATF) che, nell’ambito dell’OECD, assicura il coordinamento
tra Paesi e la peer pressure sugli Stati sovrani non-compliant (black list).
L’OECD è deputata a seguire queste questioni per contrastare gli aspetti
illegali e, comunque, ridurre i loopholes esistenti, che peraltro dipendono anche
dalle fortissime disparità del trattamento fiscale tra Paesi (e all’interno della
stessa Unione europea).
Al centro del sistema finanziario internazionale operano grandi banche
globali, spesso costruite su modelli di ritorni molto alti, difficilmente sostenibili,
e di rischi eccessivi. L’enterprise value delle banche non consente di promettere
ritorni elevati sul capitale investito se non, appunto, attraverso la consapevole
ricerca di rischio, che è sconfinata talora in attività illecite. Questo trade-off
poggia sull’implicita promessa che le banche too-big-to-fail saranno comunque
salvate, proprio perché troppo grandi e troppo sistematiche.
Come si è indicato, la grande crisi finanziaria del 2007-2009 ha molteplici
cause, ma alla radice vi è comunque la cattiva governance di molte impre-
se/istituzioni finanziarie che hanno orientato l’azione al perseguimento di ren-
dimenti di breve periodo non sostenibili, nel convincimento che i guadagni sa-
rebbero stati privatizzati dai manager e dalle imprese stesse, ma le perdite deri-
vanti da assunzione di rischio troppo elevata sarebbero state socializzate. La
stessa innovazione tecnologico-finanziaria, segnatamente nel settore dei pro-
dotti derivati, invece di essere rivolta a ridurre i costi dei processi di intermedia-
Rainer Masera
100
zione, e quindi a migliorare la frontiera efficiente di produzione, è stata coartata
all’elusione delle regole24, alla ricerca spasmodica di elevati rendimenti di breve
periodo, generando gravissimi costi economici e sociali nel medio termine.
L’esigenza di impedire che la crisi finanziaria si traducesse in una implosione
dell’attività economica ha indotto molti governi a far ricadere sul taxpayer il sal-
vataggio di molte imprese too-big-to-fail addossando, quindi sul cittadino le
perdite generate da comportamenti e attività illecite / illegali / criminali, per e-
ludere le regole esistenti, peraltro non adeguate25.
I confini fra lecito e illecito e fra illecito e illegale non sono facili da stabili-
re26. È comunque evidente che la grande crisi finanziaria ha alla radice compor-
tamenti illeciti, e spesso illegali, da parte di molti grandi operatori finanziari. La
sistematica elusione/evasione delle regole è emersa in tutta la sua evidenza al di
là, ma purtroppo, anche al di qua dell’Atlantico. In molti casi si sono anche veri-
ficate situazioni di regulatory capture, come sottolineato in particolare dal Rap-
24 Non si può non richiamare l’attenzione sul fatto che molte grandi banche internazionali – che sono i principali operatori nei mercati dei derivati, e segnatamente in quelli CDS – hanno co-stantemente operato per eludere le regole degli standard di Basilea. I mercati CDS consentono di andare corti sul credito (short credit) e di spostare i risk buckets per minimizzare il capitale re-golamentare (cfr. ad es. SLOVIK, Systemically Important Banks and Capital Regulation Challenges, OECD, Paris, 2012). 25 Gli eccessi della finanza sono, dunque, alla radice della grande recessione iniziata nel 2008, con perdite elevatissime in termini di crescita e occupazione, e con il rischio di grave distruzio-ne del capitale umano, in particolare per la mancanza di opportunità per i giovani, che rischiano di restare a lungo esclusi dal mondo del lavoro. L’intreccio fra attività illecite e crisi finanziaria è illustrato in modo esaustivo e cogente dalla Commissione nazionale di inchiesta sulla crisi fi-nanziaria negli Stati Uniti (Rapporto Angelides). Sul ruolo della finanza nel determinare la grande crisi, cfr. anche MASERA, The Great Financial Crisis. Economics, Regulation and Risk, Roma, 2009 e MASERA (a cura di), Saggi sulla metodologia della ricerca in economia, Roma, 2010. Occorre sottolineare che anche la crisi degli anni ’30 ha risentito degli eccessi e delle atti-vità illecite e illegali nel sistema finanziario e nelle grandi banche americane. Il riferimento d’obbligo, al riguardo, è ai lavori della Commissione Pecora, istituita dal Parlamento americano e condotta da un grande italoamericano dimenticato nel nostro Paese, Ferdinando Pecora. Cfr. UNITED STATES SENATE COMMITTEE ON BANKING AND CURRENCY, Stock Exchange Practices, Report n. 1455 (Pecora Report), 1934. 26 Lo stesso utilizzo di strumenti giuridici finalizzati a tutelare un interesse riconosciuto da una norma può essere “abusato” e distorto per ottenere un indebito beneficio, ovvero un vantaggio privato disapprovato dal sistema nel suo complesso.
Corporate governance, compliance e risk management
101
porto Angelides27.
Le perdite economiche in termini di crescita e di disoccupazione collegate
alle carenze e a comportamenti illeciti e illegali del sistema finanziario sono di
dimensioni enormi28. Gli eccessi della finanza non possono, peraltro, diventare
una acritica responsabilizzazione di tutti gli operatori del settore. Occorre, come
si sta facendo, entrare nel dettaglio e individuare le banche e gli operatori da
sanzionare29.
È emersa la rilevanza di attività illecite e illegali svolte anche all’interno di
grandi banche internazionali, che inquinano il Sistema finanziario globale e inci-
dono sullo sviluppo economico. Casi molto noti sono rappresentati: dalla san-
zione di $2 miliardi comminata dal Tesoro americano e dal Dipartimento di giu-
stizia a Hsbc per money laundering con l’Iran, con organizzazioni terroristiche,
con cartelli della droga e con criminalità organizzata; dalla multa di $340 milioni
a Standard Chartered per finanziamento di attività vietate con l’Iran; dagli arre-
sti e dalle multe per la manipolazione dei tassi Libor, che influenzano circa $10
27 Cfr. FINANCIAL CRISIS INQUIRY COMMISSION (FCIC), The Financial Crisis Inquiry Report: Final Report of the National Commission on the Causes of the Financial and Economic Crisis in the United States chaired by Phil Angelides, January, 2011. 28 Secondo stime molto approssimative, il costo complessivo della crisi a partire dal 2007, come detto in parte connessa ad attività illegali e illecite all’interno del sistema finanziario, sarebbe dell’ordine di $20 trilioni. 29 Il populismo acritico e generalizzato non aiuta e diventa, anzi, controproducente per i molti operatori onesti, produttivi e responsabili del settore. Come si è detto, si deve passare dalla ana-lisi critica all’azione costruttiva e selettiva. L’attuale Presidente francese Hollande, nella cam-pagna elettorale contro il Presidente Sarkozy, ha avuto grande risonanza per la seguente affer-mazione (22 gennaio 2012): «Vi dico chi è il mio vero avversario. Non ha nome, né volto, né partito. Non presenterà mai la sua candidatura, non sarà eletto, eppure governa. Questo avversa-rio è il mondo della finanza. Sotto i nostri occhi, in vent’anni la finanza ha preso il controllo dell’economia, della società e anche delle nostre vite. Ormai è possibile in una frazione di se-condo spostare somme vertiginose, minacciare gli Stati». Come Presidente, Hollande ha, in par-ticolare, riaffermato l’esigenza di contrastare l’evasione e il riciclaggio attraverso la finanza in-ternazionale e i paradisi fiscali con una serie di incisive e puntuali azioni, ripresa a livello di Commissione e di Consiglio europei. Cfr. HOLLANDE, Le discours prononcé au Bourget ce 22 janvier 2012 par le candidat socialiste, in Le Nouvel Observateur, 22 janvier 2012 e COMMISSIONE EUROPEA, Lotta alla frode e all’evasione fiscali. Contributo della Commissione al Consiglio Europeo del 22 maggio 2013, Bruxelles, 8 maggio 2013.
Rainer Masera
102
trilioni di prestiti a livello mondiale; dalle sanzioni concordate da Barclays e Ubs
per una serie di illeciti e per quasi $1 miliardo. Le principali contestazioni per at-
tività illecite/illegali sono state rivolte dalle autorità americane a Bank of Ameri-
ca e a JPMorgan Chase. Ricordiamo, inoltre, che l’Amministrazione Obama ha
deciso di proporre cause civili come parte lesa anche nei confronti delle società
di rating, in particolare per gli intrecci con alcune banche globali sulla valutazio-
ne del merito di credito dei mutui subprime, richiedendo danni per oltre $5 mi-
liardi30. Il grafico sottostante (Fig. 5), predisposto da Credit Suisse, sintetizza le
causali e il costo delle multe che sono state comminate (o, comunque, che sa-
ranno prevedibilmente comminate) a 10 grandi banche europee: la soluzione
delle litigations sfiora un ammontare di $60 miliardi.
Fig. 5 – Il costo delle multe comminate alle principali banche europee per inadempienza alle re-
gole e comportamenti illeciti Fonte: Credit Suisse ripreso da LES ÉCHOS, Libor, blanchiment,
assurance-emprunteur: une facture qui pourrait atteindre 58 milliards de dollars pour les
banques, n. 21380, 20 Février 2013.
30 Cfr. MASERA, CRAs: problems and perspectives, in Analisi Giuridica dell’Economia, 2/2012.
Corporate governance, compliance e risk management
103
Non si dispone di un analogo studio integrato sui costi delle litigations
delle grandi banche americane. Un recente articolo31 presenta le stime dei costi
delle litigations delle sei principali banche americane (BofA, JPMorgan Chase,
Wells Fargo, Citigroup, Goldman Sachs, Morgan Stanley e MetLife) per gli anni
2010, 2011 e 2012. Il totale stimato supera $60 miliardi, di cui $40 miliardi si ri-
feriscono alla sola BofA. Le cifre sopraindicate non comprendono le spese legali;
per le banche di cui si dispone di dati, si fa riferimento a circa $1 miliardo l’anno:
i costi complessivi potrebbero, pertanto, lievitare a circa $75 miliardi.
I dati sopraindicati sono sostanzialmente relativi al passato, ma molte
controversie si sono aperte nel 2013, in particolare con riferimento allo scanda-
lo del Libor e dei mutui subprime. Se si proiettasse la spesa passata per il pros-
simo triennio, tenendo conto dei nuovi elementi emersi e raccolti dalla stampa
specializzata32 – ma pur sempre con stime più conservative rispetto alla pro-
gressione indicata per l’Europa nel documento Credit Suisse – si perverrebbe a
un totale di oltre $100 miliardi. Sulla base di queste cifre e delle proiezioni, na-
turalmente approssimative, le principali banche mondiali – quelle too-big-to-fail
– nei 6 anni presi in esame, contabilizzerebbero uscite per litigations dell’ordine
di $230 miliardi (Fig. 6).
31 Cfr. TOURYALAI, Bank Of America's Mortgage Tab: $42B And Counting, in Forbes, 8 March 2013. 32 Cfr. in particolare GRIFFIN - CAMPBELL, U.S. Bank Legal Bills Exceed $100 Billion, in Bloomberg, 28 August 2013.
Rainer Masera
104
Costo 2010-2012
EU US$19 $75
Totale $94
Costo futuro stimato 2013-2015
EU US$39 $100
Totale $139
Totale generale2010-2015
$233
Fig. 6 – Il costo stimato delle litigations per le principali banche internazionali europee e ameri-
cane (2010-2015, miliardi di dollari) Fonte: Elaborazione dell’autore su dati di: Credit Suisse
(2013) ripresi da LES ÉCHOS, Libor, blanchiment, assurance-emprunteur: une facture qui pour-
rait atteindre 58 milliards de dollars pour les banques, n. 21380, 20 Février 2013; TOURYALAI,
Bank Of America's Mortgage Tab: $42B And Counting, in Forbes, 8 March 2013; GRIFFIN-
CAMPBELL, U.S. Bank Legal Bills Exceed $100 Billion, in Bloomberg, 28 August 2013.
Questi dati impongono un’attenta riflessione e richiedono azioni concer-
tate e rigorose di vigilanza microprudenziale per separare il grano dal loglio, per
sradicare comportamenti e modelli di collusione con attività illecite all’interno di
grandi istituzioni finanziarie che godono, paradossalmente, di una implicita ga-
ranzia di salvataggio a spese del contribuente.
Corporate governance, compliance e risk management
105
5. Gli intrecci sopraindicati tra attività criminose e crescita sostenibile so-
no resi più complessi in relazione ai confini, spesso non ben definiti, fra attività
illecite e forme di elusione ed evasione delle regole33. Al riguardo, la evasio-
ne/elusione fiscale rappresenta un esempio emblematico, che incide tra l’altro
non solo sulla questione critica della sostenibilità debito/prodotto, ma anche sul
level playing field concorrenziale delle imprese. Recente è il caso di tax avoidan-
ce della Google, che ha spostato nel 2011 circa $10 miliardi di fatturato dalle sue
sussidiarie non-US in una società di comodo nelle isole Bermuda, utilizzando, in
particolare, schemi di elusione fiscale in Europa - Double Irish e Dutch San-
dwich34. Le autorità fiscali italiane hanno, al riguardo, aperto una indagine su
possibili evasioni per €240 milioni di reddito in Italia.
Il caso appena indicato propone la rilevanza dei paradisi fiscali off-shore:
si tratta di circa 50 Paesi che consentono segreto bancario e tassazione nulla, o
comunque molto bassa, sulla ricchezza finanziaria e sul reddito personale e so-
cietario. A questi si aggiungono altri 50 Paesi sospettati di procedure fiscali opa-
che/dubbie35 (Fig. 7).
33 Cfr. ORGANISATION FOR ECONOMIC CO-OPERATION AND DEVELOPMENT (OECD), International Co-operation against Tax Crimes and Other Financial Crimes. A catalogue of the main instruments, 2nd Annual Forum on Tax and Crime, Rome, 14-15 June 2012, available online: www.oecd.org; HR REVENUE & CUSTOMS, Closing in on tax evasion HMRC’s approach, December 2012. 34 Cfr. DRUCKER, Google 2.4% Rate Shows How $60 Billion Lost to Tax Loopholes, in Bloomberg, 21 October 2010. 35 La stessa definizione di Paese “paradiso” è, dunque, variabile a seconda dei criteri adottati, come indica la Fig. 5. Per quanto riguarda l’Italia, particolare attenzione (in via di superamento) è stata rivolta al Vaticano, in relazione allo Ior, e allo Stato di San Marino.
Rainer Masera
106
Fig. 7 - Mappa dei paradisi fiscali Fonte: LE MONDE, Les pays suspectés de pratique fiscale
douteuse, 4 Avril 2013.
Secondo una recente ricerca dell’ex capo economista di McKinsey, James
Henry36, nei Paesi suddetti sono depositati fondi per l’equivalente di oltre $ 20
trilioni, fiscalmente “protetti”. Altre stime elevano la cifra a $32 trilioni. Sulla ba-
se di valutazioni evidentemente incerte e approssimative, circa un terzo di que-
sto stock sarebbe connesso a riciclaggio della criminalità organizzata o del terro-
rismo internazionale; il resto è riconducibile a un numero ridotto di agenti eco-
36 Cfr. HENRY, The price of offshore revisited, in Tax Justice Network Report, July 2012.
Corporate governance, compliance e risk management
107
nomici estremamente ricchi.
Contrariamente a quanto spesso indicato nella stampa anche specializza-
ta, le attività finanziarie detenute nei tax havens non sono fondi che “restano
chiusi e nascosti nei forzieri off-shore”. In larghissima misura, le risorse finanzia-
rie sono incanalate verso i paradisi fiscali e sono, poi, riciclate nel Sistema finan-
ziario globale. È logico supporre che l’enorme ammontare unitario (per investi-
tore) dei fondi registrati nei paradisi, la professionalità e la sofisticazione della
loro gestione li rendano estremamente sensibili agli andamenti dei mercati. Dati
la massa critica e il numero ridotto di decisori, i fondi in questione possono svol-
gere un ruolo cruciale nel propagare le tensioni finanziarie e il contagio nel SFG,
contribuendo pertanto anche all’innesco di rischio sistemico.
Il ruolo dello Shadow Banking System (secondo il Financial Stability
Board37, il sistema bancario non trasparente ha raggiunto l’ammontare di $67
trilioni, comprendendo peraltro anche il valore nozionale dei contratti derivati di
riferimento) e, come indicato, di alcune grandi banche internazionali, come faci-
litatori di questi processi finanziari, è noto. I derivati, e segnatamente quelli cre-
ditizi, rappresentano una modalità di operare arbitraggi fiscali e di money laun-
dering: la connotazione digitale estremamente sofisticata rende difficile control-
lare e accertare l’illegalità dei processi.
La difficile tracciabilità dei trasferimenti illegali di fondi attraverso il si-
stema bancario ombra e tramite l’utilizzo di prodotti derivati esalta la difficoltà
di controllo dei fenomeni di riciclaggio.
37 Cfr. FINANCIAL STABILITY BOARD (FSB), Global Shadow Banking Monitoring Report 2012, 18 November 2012.
Rainer Masera
108
E’ importante segnalare al riguardo che i principali Paesi europei (Ger-
mania, Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna) – sulla base del Foreign Account
Tax Compliance Act (Fatca), la legge americana adottata nel 2010 che permette
di ottenere le informazioni anche su investimenti e redditi all’estero dei contri-
buenti americani – hanno deciso di attuare un progetto pilota per combattere
l’evasione fiscale38. L’accordo pilota multilaterale è basato su schemi automatici
per consentire lo scambio di informazioni tra i diversi Paesi utilizzando il model-
lo concordato con gli Usa. Si tratta, cioè, di assicurare la trasparenza fiscale in
funzione antievasione, con la collaborazione delle banche internazionali.
6. Questo lavoro ha cercato di illuminare i nessi fra valori etici, compor-
tamenti rispettosi delle leggi nella finanza internazionale e creazione di valore
sostenibile, con riferimento alla corporate governance di grandi banche al cen-
tro del SFG.
Quando, viceversa, si manifestano illeciti e illegalità, mentre decadono i
valori morali, la crescita si inaridisce e, al di là del breve periodo, le perdite di
reddito e di ricchezza possono diventare molto rilevanti, come ha mostrato la
Grande Crisi. Alla finanza internazionale compete, in positivo, un ruolo di finan-
ziamento efficiente dei processi di globalizzazione che hanno contribuito allo
sviluppo delle economie emergenti. Tuttavia, se decadono gli standard e si insi-
nuano comportamenti illeciti o illegali, la finanza diventa negativa per lo svilup-
po sostenibile.
Occorre tradurre in azioni coerenti di corporate governance, di complian-
ce e di risk management e in cogenti interventi di vigilanza i concetti già indicati
dai supervisori di Basilea nel 2005 e nel 2006 – purtroppo in larga misura disat-
38 Cfr. E. POPTCHEVA, A FATCA for the EU? Data protection aspects of automatic exchange of bank information, in Library Briefing - Library of the European Parliament, 27 March 2013. Come indicato, l’impulso è partito dal Presidente francese Hollande.
Corporate governance, compliance e risk management
109
tesi – anche per prevenire manifestazioni di regulatory capture, tenendo conto
degli enormi interessi in gioco. Le autorità di vigilanza bancaria non possono e
non devono trasformarsi in autorità di polizia, ma occorre dotarle di poteri, an-
che discrezionali e incisivi, di rapido intervento sulle imprese bancarie (PCA) nel
caso di evidenti manchevolezze nel governo societario.
Rainer Masera
Professore Ordinario di Politica Economica
Preside della Facoltà di Economia
Università degli Studi ”Guglielmo Marconi” di Roma
Angela Troisi Alessandro Romano
111
RATING, ACCURATEZZA DELLE VALUTAZIONI E
RESPONSABILITA’ OGGETTIVA.*
ABSTRACT: Credit Rating Agencies have supposedly played an important role in
the current financial crisis. It is therefore not surprising that their liability regime
has attracted an enormous attention among Law and Economic scholars. In fact,
to prove the negligent behavior of rating agencies, and especially the causal link
between their conduct and the loss suffered by investors has been nothing short
of impossible. The main characteristic of rating agencies is the probabilistic
nature of their predictions; to rate a company AAA is not equal to categorically
exclude the possibility of its default; it merely implies an extremely small
probability that it will happen. The Reg. (UE) n. 462/2013 proposed the
introduction of a “gross negligence” rule, yet it takes a lot of imagination to
claim that it will effectively ameliorate the problem.
In this paper we argue that the only possible way to properly tackle the
problem is a rule of strict liability mitigated by two strong limitations: one in
time, and another in the size of damage compensation.
SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il ruolo del rating nel sistema finanziario e taluni aspetti proble-
matici. - 3. Quale responsabilità per rating inesatti? La regolamentazione europea. – 4. Le ipote-
si per l’applicazione di un regime di responsabilità oggettiva. - 5. La «capped expiring strict liabi-
lity». - 6. Segue: l’approccio analitico. - 7. Segue: rating imperfetti e quantificazione del risarci-
mento. – 8. Conclusioni.
* I paragrafi n. 1, 2, 3, 4 sono stati scritti da Angela Troisi, cui vanno attribuiti; i paragrafi n. 5, 6, 7 sono stati scritti da Alessandro Romano, cui vanno attribuiti. Le conclusioni sono il frutto di una riflessione comune. Contributo approvato dai revisori.
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
112
1. A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, il rating ha assunto cre-
scente rilevanza nell’ordinamento economico e finanziario. Le società specializ-
zate in tale settore d’attività ricoprono attualmente un ruolo significativo nei
mercati internazionali ed, in particolare, nella negoziazione vuoi di titoli finan-
ziari di natura corporate, vuoi di strumenti complessi di finanza strutturata.
Sotto un profilo strettamente teorico, il valore conoscitivo del rating fa-
vorisce la minimizzazione delle asimmetrie informative che, per solito, inficiano
l’ottimale allocazione del risparmio, ripercuotendosi negativamente sul grado di
efficienza riscontrabile nelle realtà di mercato. L’agere delle agenzie contribui-
sce, in tal senso, al superamento di talune distorsioni che si realizzano
nell’incontro fra domanda e offerta di risorse monetarie; donde l’opportunità
per gli operatori finanziari di attuare investimenti adeguati alle relative prospet-
tive strategiche (in linea, cioè, con il livello di rendimento che ragionevolmente
rispecchia la propensione al rischio dei medesimi).
Le agenzie di rating assolvono ad una specifica funzione di cd. «comuni-
cazione derivata», volta a semplificare la diffusione di «dati, informazioni e noti-
zie ricevute dalle imprese», tenuto conto delle «competenze specifiche» e delle
«caratteristiche» di queste ultime1. Ed invero, l’operatività di dette agenzie con-
sente al mercato di usufruire di un set informativo complesso, veicolato median-
te l’utilizzo di scale alfanumeriche universali, valide vuoi a livello internazionale,
vuoi intersettoriale2. La conoscenza disponibile sui mercati creditizi (intesa quale
1 Si rileva che le agenzie di rating possono essere considerate «come una sorta di “pubblico fil-tro”», la cui attività consente di comunicare, «a vario titolo e in forme diverse», una molteplicità di «informazioni economico finanziarie provenienti dalla fase precedente – perché estremamen-te tecniche o perché di difficile comprensione – per tutti coloro che non sono in grado di attivare un costante e valido canale diretto con le imprese e con il mercato»; cfr. CORVI, Economia e ge-stione della comunicazione economico-finanziaria d’impresa, Milano, 1997, p. 66. 2 Tipicamente, i caratteri alfanumerici utilizzati dalle agenzie per individuare il giudizio sinteti-co sull’affidabilità creditizia del soggetto esaminato possono classificarsi in base a tre grandi macrocategorie. Il discrimine fondamentale è, infatti, tra «investment grade» (in cui vengono ricompresi i giudizi da AAA a BBB-), «speculative grade» (corrispondenti a BB+ in poi) e
Angela Troisi Alessandro Romano
113
strumento necessario a catalizzare l’ordinaria attività di scambio) risulta, in tal
modo, semplificata dalle certificazioni emesse dai raters, le cui elaborazioni mi-
rano ad offrire un’indicazione sul livello di qualità attribuibile agli agenti (ovvero
agli strumenti) creditizi cui esse sono riferite.
In base alle disposizioni fornite dal legislatore comunitario, il rating può
essere definito come un «parere relativo del merito creditizio di un’entità, di
un’obbligazione di debito o finanziaria, di titoli di debito, di azioni privilegiate o
di altri strumenti finanziari, o di un emittente di un debito, di un’obbligazione di
debito o finanziaria, di titoli di debito, di azioni privilegiate o altri strumenti fi-
nanziari»3. Trattasi, dunque, di una valutazione concernente la capacità di un
debitore (identificabile con un’impresa, un intermediario finanziario, uno Stato,
ovvero un ente pubblico) di ripagare, sulla base di scadenze prestabilite, i propri
impegni finanziari, avuto riguardo sia all’onere di rimborsare il capitale nomina-
le, sia alla remunerazione degli interessi periodici previsti dal rapporto negoziale
in essere. Tale valutazione deve, poi, tenere in considerazione molteplici fattori
(tra i quali rilevano, a titolo esemplificativo, quelli rivenienti dall’incidenza di fe-
nomeni di natura congiunturale) che, pur essendo esterni alla specifica realtà
del singolo prenditore di fondi, possono incidere sulla situazione economica,
strategico ed organizzativa di quest’ultimo, influenzandone lo standing crediti-
zio, nonché il complessivo livello di affidabilità finanziaria e patrimoniale.
Ne consegue la possibilità di considerare l’attribuzione di siffatti giudizi
alla stregua di un fattore di «garanzia implicita»4 della solvibilità degli emittenti.
«junk bonds» (C e D che indicano l’imminente fallimento), in base ai quali è possibile suddivi-dere i titoli in base ai relativi profili di rischio-rendimento. Si fa presente, inoltre, che le scale utilizzate dalle grandi società specializzate differiscono parzialmente fra loro nella simbologia utilizzata. Per approfondimenti, si veda il documento pubblicato da Moody’s, Rating Symbols & Definitions, June 2009, reperibile su www.moodys.com 3 Si veda l’art. 3, comma 1, lett. a), del Regolamento (CE) n. 1060/2009. 4 Cfr. ENRIQUES - GARGANTINI, Regolamentazione dei mercati finanziari, rating e regola-mentazione del rating, in Analisi giur. econ., 2010, n. 2, p. 491.
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
114
Il rating, dunque, non limita la sua valenza a quella di una mera opinione, cui so-
litamente viene riservata specifica tutela in relazione al principio del «freedom
of speech» (sancito dal First Amendment della Costituzione americana); bensì
esso tende ad interagire sulle dinamiche cognitive che gli operatori attuano nel-
la selezione delle opportunità di investimento, da cui un’effettiva istituzionaliz-
zazione del relativo valore informativo5.
Sotto altro profilo, deve farsi presente lo specifico ruolo attribuibile alle
agenzie di rating nel meccanismo di propagazione degli eventi di crisi che, nel
corso degli ultimi anni, si sono registrati nell’ambito dei sistemi internazionali6.
Più in particolare, si ha riguardo alle significative interazioni7 che, con il dilagare
della crisi dei mutui subprime, si sono verificate tra l’imperversare delle turbo-
lenze finanziarie e l’operato di tali società specializzate8; non a caso, i giudizi e-
laborati da queste ultime si sono talora risolti in valutazioni improprie del rischio
5 Cfr. BOLTON- FREIXAS - SAPHIRO, The Credit Ratings Game, Columbia University, Universitat Pompeu Fabra and Oxford University, March 2011; HILL, Regulating the rating agencies, Business, Economics and Regulatory Policy, Working Paper n. 45022, Gergetown University Law Center.
6 Cfr. CAPRIGLIONE, “Etica e finanza” alla luce della recente crisi finanziaria, in AA.VV., Capitalismo avanzato e innovazione finanziaria, a cura di De Carli, Milano, 2012, p. 101 ss.; CA-PRIGLIONE – SEMERARO, Financial Crisis and Sovereign Debt. The European Union between Risks and Opportunities, in Law and Economics Yearly Review, 2012, vol. 1, part 1, p. 4 ss.; AA.VV., The Great Financial Crisis, a cura di Masera, Roma, 2009; ALPA, Mercati mondiali in crisi. Ragioni del diritto e cultura globale, in Riv. Trim. Dir. Econ., 2009, n. 1, pp. 83 ss. 7 E’ di recente pubblicazione il documento di consultazione «IOSCO Consults on Certain Inter-nal Controls and Procedures of the Credit Rating Agencies» volto alla definizione di innovative procedure di controllo dei conflitti di interesse e, in generale, delle fasi di elaborazione dei giu-dizi da parte delle agenzie di rating. In via generale, diverse analisi empiriche hanno dimostrato come, in periodi di crisi economico-finanziaria, i giudizi di rating, pur mantenendo un valore medio costante nel lungo periodo, subiscono variazioni tali da renderli sensibilmente più incerti e meno accurati. In dottrina, cfr. DE LAURENTIS - MAINO, I rating interni durante e dopo la crisi: rapporti banca-impresa, vincoli regolamentari e modelli di business, in Bancaria, 2010, n. 1, p. 20. 8 In realtà, già agli inizi del nuovo millennio il rating viene coinvolto nei grandi defaults finan-ziari: è il caso di Enron, nel quale le agenzie specializzate «finiscono sul banco degli accusati insieme a tutti gli altri gatekeepers imputati di aver tradito il loro mandato svendendo la loro re-putazione per negligenza o peggio per collusione nella frode». Cfr. PRESTI, Le agenzie di «rating»: dalla protezione alla regolazione, in Jus, 2009, n.1, p. 65 ss. ed in particolare, p. 78.
Angela Troisi Alessandro Romano
115
creditizio gravante sugli emittenti (ovvero su specifiche tranche di titoli), con ov-
via, conseguente alterazione degli equilibri di mercato9.
Nello specifico, molteplici dubbi sono sorti con riguardo all’accuratezza
delle indagini condotte dai raters nel processo di elaborazione dei giudizi; inda-
gini che, talvolta, sembrano condizionate dalla riferibilità ad un modus operandi
caratterizzato da negligenza e sistematica opacità procedurale. Si ricordino, in-
fatti, i noti eventi di default societario (è il caso, ad esempio, dei crack di Parma-
lat e Cirio e, per il contesto internazionale, dei fallimenti di Enron, Worldcom e,
più recentemente, di Lehman Brothers) nell’ambito dei quali i giudizi emessi dal-
le agenzie di rating – fondandosi su valutazioni disallineate dall’effettivo grado
di affidabilità creditizia di tali emittenti - hanno finito con l’aggravare la situazio-
ne di dissesto delle realtà finanziarie in parola, amplificando, al contempo, la
portata degli effetti distorsivi generati nell’intero mercato (a danno, dunque, del
pubblico di investitori che, a vario titolo, sono rimasti coinvolti nelle realtà di cri-
si di cui trattasi)10.
Risulta necessario, pertanto, chiarire vuoi il ruolo dei soggetti chiamati a
giudicare il merito creditizio degli operatori di mercato, vuoi la portata dei ca-
noni che orientano la loro attività. Ciò non sottovalutando la rilevanza assunta
da detti soggetti nel sistema economico, atteso che l’elaborazione dei rating da
parte di agenzie specializzate presenta evidenti ripercussioni positive in termini
9 Va fatto presente che l’art. 36 del Regolamento (UE) n. 1060/2009 (così come modificato dal Reg. (UE) n. 513/2011) prevede la possibilità di applicare delle sanzioni alle agenzie di rating in caso di violazione della regolamentazione comunitaria. Più in particolare, si stabilisce che dette sanzioni dovranno essere «efficaci, proporzionali e dissuasive». L’art. 36-bis, inoltre, attribuisce all’ESMA la facoltà di attribuire sanzioni pecunarie amministrative alle società che commettono «intenzionalmente o per negligenza» una delle violazioni previste dall’allegato III a suddetto re-golamento. 10 Cfr. FERRI - LACITIGNOLA, Le agenzie di rating, Bologna, 2009, p. 148 ss. ed in particola-re, p. 155, ove si sottolinea che «se non operano con adeguato tempismo, le agenzie di rating possono essere attori primari nel favorire l’accumulo degli squilibri finanziari della fase espan-siva dell’argomentazione di Minsky, contribuendo all’aumento dell’indebitamento di operatori di tipo speculative e Ponzi».
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
116
di efficienza per gli intermediari finanziari11. Questi ultimi, infatti, beneficiano di
un vero e proprio processo di outsourcing delle funzioni di valutazione del credi-
to, dal quale deriva un consistente risparmio di costi operativi e gestionali che
finisce con l’incidere sul grado di «economicità» negli scambi sui mercati finan-
ziari12. Sotto tale profilo, l’eventuale eliminazione di qualsivoglia riferimento al
rating - così come prospettata da talune parti nel dibattito dottrinale - non sem-
bra pertanto costituire la soluzione ottimale. Appare più facilmente comprensi-
bile, invece, l’obiettivo degli ordinamenti internazionali di sottoporre il mercato
del rating ad una più stringente regolamentazione, volta a disciplinare
l’operatività delle agenzie e, più in generale, ad evitare che le stesse perseguano
finalità che rischiano di danneggiare gli equilibri di mercato13.
2. Alla luce di quanto si è detto, deve sottolinearsi che, di recente, la cre-
dibilità del rating – specie sotto il profilo della sua valenza regolamentare - è
stata minata dalla configurazione di supposte condotte negligenti in capo alle
agenzie specializzate in tale segmento operativo. Ed invero, tale riflessione as-
sume rilevanza se si prende in considerazione la prospettiva d’indagine del legi-
11 Cfr. MONTI, Manuale di finanza per l’impresa, Novara, 2009, p. 357 ss., ove si valutano i vantaggi economici che il servizio di credit rating offre sia alle società emittenti, sia all’andamento dell’intero mercato finanziario. Per un’approfondita disamina delle metodologie di rating interno, si veda DE LAURENTIS - MAINO, op. cit., p. 17 ss.; AA.VV., Il metodo dei rating interni, a cura di Cannata, Roma, 2010. 12 Cfr. COFFEE, Gatekeeper Failure and Reform: The Challenge of Fashioning Relevant Re-forms, Working paper, Columbia Law School, 2003, p. 11, nel quale si sottolineano i benefici economici derivanti dall’attività dei gatekeepers sui mercati finanziari. Ed invero, «the gatekeeper receives a far smaller benefit or payoff for its role, as an agent, in approving, certifying, or verifying information than does the principal from the transaction that the gatekeeper facilitates or enables. Thus, because of this lesser benefit, a lesser expected penalty should be sufficient to deter. This latter premise applies even if the gatekeeper has no reputational capital». 13 Cfr. ONADO, Cada il tabù sui sacerdoti del rating, in un editoriale apparso su Il Sole 24Ore del giorno 13 novembre 2012, nel quale l’A. evidenzia che l’individuazione di una maggiore re-golamentazione e, in particolare, di una specifica tutela risarcitoria a favore degli investitori co-stituisce per le agenzie di rating «il prezzo da pagare per l’enorme importanza che i loro giudizi ora rivestono o, se si preferisce, la contropartita dei lauti profitti dell’ultimo ventennio».
Angela Troisi Alessandro Romano
117
slatore internazionale il quale, nel corso degli ultimi decenni, ha proceduto
all’attribuzione in capo alle agenzie di specifiche funzionalità di natura discipli-
nare; ci si riferisce, in particolare, all’impiego dei giudizi in parola
nell’identificazione dei canoni di adeguatezza patrimoniale degli intermediari
bancari (imposti dalla regolamentazione di Basilea 2)14 e, più in generale, nella
traslazione di taluni compiti di natura «para-legislativa» in capo alle società in
parola (le quali, per solito, risultano dedite all’attuazione di strategie fondate su
logiche di natura strettamente imprenditoriale)15.
Ne è discesa la creazione di canoni procedimentali che ricollegano la con-
figurabilità in capo all’operatore finanziario di un «particolare trattamento giu-
ridico» all’«ottenimento di un determinato livello di rating»16. Da qui, una vera e
propria «abdicazione regolamentare»17, cui ha fatto riscontro una «acritica ac-
cettazione»18 del valore informativo intrinseco al rating, nonché della sua signi-
14 Più specificamente, lo Standardized Approach (differentemente dall’Internal Rating Based Approach) consente all’intermediario bancario di misurare il rischio delle attività detenute in bi-lancio sulla base dei rating elaborati da soggetti terzi indipendenti. L’ammontare del patrimonio necessario a far fronte all’esposizione creditizia si fonda, dunque, sull’individuazione di coeffi-cienti di ponderazione fondati sulle stime effettuate da apposite «agenzie esterne di valutazione del merito di credito» (ECAI), ovvero da «agenzie di credito all’esportazione» (ECA). 15 Cfr. MOODY’S, Una soluzione al dibattito sulle agenzie di rating, 22 marzo 2012, reperibile su www.moodys.it, ove si sottolinea che, nel corso degli ultimi decenni, le agenzie di rating «si sono adeguate alle esigenze ed alle aspettative della comunità di investitori professionali. Riu-scire a riconciliare questo doppio ruolo di “opinionisti” per il settore privato e di strumenti nor-mativi per il settore pubblico rappresenta un problema sempre più pressante e complesso, e si è giunti ad un punto in cui la quadratura del cerchio forse non è più possibile». In dottrina, cfr. FERRI – LATICIGNOLA, op. cit., p. 159 ss. 16 Cfr. SACCO - GINEVRI, Le società di rating nel Regolamento CE n. 1060/2009: profili or-ganizzativi dell’attività, in Le nuove leggi civ. comm., 2010, n. 2, p. 291 ss., ed in particolare p. 312. Deve farsi presente, altresì, che il recente Reg. (UE) n. 462/2013 riporta la nozione di rating «a fini regolamentari», identificandola nell’«utilizzo dei rating del credito allo scopo spe-cifico di conformarsi al diritto dell’Unione o al diritto dell’Unione così come recepito della legi-slazione nazionale degli Stati membri» (art. 1, punto 3) che modifica l’art. 3, paragrafo 1, lett. g) del Reg. 1060/2009). 17 Cfr. ENRIQUES - GARGANTINI, op. cit., p. 475, in cui si sottolinea che l’utilizzo dei giudi-zi per scopi regolamentari ha dato luogo ad una «domanda artificiale del servizio di rating», tale per cui «si sono amplificati gli effetti delle imperfezioni che lo caratterizzano, si sono poste le premesse (…) per l’innalzamento di barriere all’entrata in questo mercato». 18 Cfr. SZEGO - GOBBO, Rating, mercato e regolatori. «Reliance» e «over-reliance» sulle a-
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
118
ficatività nell’ambito dei sistemi finanziari.
Il coinvolgimento delle agenzie specializzate negli eventi di crisi degli ul-
timi anni ha dato luogo all’emersione di non pochi dubbi in ordine all’integrità
del loro agere, nonché all’accuratezza delle relative valutazioni. Molteplici inter-
rogativi sono sorti, dunque, in merito al fenomeno della cd. «over-reliance» e al-
le ripercussioni negative che da quest’ultimo derivano, in termini di stabilità
dell’intero mercato creditizio.
Il conseguente ridimensionamento dei benefici derivanti dalla fiducia ri-
posta nel rating da parte del legislatore finanziario ha indotto quest’ultimo a ri-
cercare nuove metodologie di stima del rischio creditizio, volte a ridurre gra-
dualmente l’affidamento che le autorità e gli enti finanziari ripongono nel
rating; intento questo che è stato ampiamente rappresentato in sede normati-
va, vuoi con riferimento al contesto regionale europeo (in occasione della recen-
te modifica al Reg. CE n. 1060/2009)19, vuoi in ambito statunitense (con la defi-
nizione del Dodd-Frank Act del 2010)20.
In via generale, a fondamento della problematica in parola vi è la rifles-
sione secondo cui l’agere delle agenzie sembrerebbe, talora, influenzato da una
scarsa correttezza procedurale nella realizzazione delle stime prodromiche
genzie di rating, in Analisi giur. econ., 2012, n. 2. P. 336. 19 Ed invero, nel considerando n. 8 al recente Reg. (UE) n. 462/2013 si evidenzia che «nel me-dio termine dovrebbe essere valutata la possibilità di adottare ulteriori provvedimenti per elimi-nare i riferimenti ai rating del credito a fini regolamentari dalla regolamentazione finanziaria e per eliminare la ponderazione dei rischi delle attività finanziarie tramite i rating del credito (…)Benché si stiano riducendo gli incentivi all’eccessivo affidamento ai rating del credito, que-sti ultimi condizionano tuttora le scelte di investimento, in particolare a causa di asimmetrie in-formative e per obiettivi di efficienza. In un tale contesto le agenzie di rating del credito devono essere indipendenti e percepite come tali dagli operatori del mercato e le loro metodologie di rating devono essere trasparenti e percepite come tali». 20 Cfr. Section 939 (“Removal of Statutory References to Credit Ratings”) del Dodd-Frank Act, dove si sottolinea che «each such agency shall modify any such regulations identified by the review conducted under subsection (a) to remove any reference to or requirement of reliance on credit ratings and to substitute in such regulations such standard of credit-worthiness as each respective agency shall determine as appropriate for such regulations» (sec. 939 A- Review of reliance on ratings). In proposito, si veda www.sec.gov
Angela Troisi Alessandro Romano
119
all’emissione dei giudizi21.
Tali inefficienze derivano spesso dalla sussistenza di peculiari conflitti tra i
molteplici interessi che influenzano l’agere degli analisti22. Ed invero, le valuta-
zioni poste in essere da questi ultimi riflettono (latu sensu) una varietà di obiet-
tivi e/o esigenze di cui si fanno titolari una molteplicità di operatori economici;
ci si riferisce, in particolare, agli emittenti che le richiedono (in primis: gli inter-
mediari) o, comunque, le utilizzano (è il caso dei risparmiatori/investitori), non-
ché ai soggetti che intervengono nelle fasi di formazione del rating (agenzie e
singoli analisti). Ne consegue che la misurazione dello standing creditizio, in al-
cuni casi, potrebbe risultare distorta a causa delle influenze esercitate dagli a-
genti, i quali – a vario titolo – sono interessati al rating; tra questi rivelano colo-
ro che potrebbero sfruttare il loro potere di mercato al fine di ottenere giudizi
benevoli (o, più in generale, favorevoli alle loro esigenze patrimoniali e finanzia-
rie).
Nello specifico, la presenza di conflitti di interessi sembra derivare dalla
riferibilità al sinallagma contrattuale che generalmente lega il «valutatore» al
«valutato» (cd. «issuer-pays model»)23. L’applicazione di tale schema operativo
prevede, infatti, la creazione di un legame negoziale tra l’agenzia di rating e il
21 Per approfondimenti sulla natura delle valutazioni tecniche realizzate dalle agenzie in ordine all’emissione del giudizio di rating, cfr. LANGHOR H. – LANGOHR P. The rating agencies and their credit ratings. What they are, How they work, and Why they are relevant, Chichester, West Sussex, 2008, pp. 257 ss. 22 Cfr. LENER - RESCIGNO, Agenzie di rating e conflitti di interesse: sintomi e cure, in Analisi giur. econ., 2012, n. 2., p. 353 ss.; GRANATA, Rating e conflitti di interesse:alla ricerca di so-luzioni, Ibidem, p. 375 ss.; PARTNOY, How and why credit rating agencies are not like other ga-tekeepers, LITAN - FUCHITA. Financial gatekeepers: Can they protect investors?, Brookings Institution, 2006, p. 13. 23 Cfr. ANDENAS, Credit rating agencies, their regulation and civil liability in the European Union, in Law and Econ. Yearly Review, 2012, n. 2, p. 264 ss., ove si sottolinea che «Issuers solicit and pay for the ratings of their own debt instruments. In this model, not the investor, but the issuer or debtor of the financial instrument selects the CRA. Conflicts of interest are inherent in this model»; PAGANO – VOLPIN, Credit ratings failures and policy options, in Economic Policy, 2010, vol. 25, iss. 62, p. 401 ss.
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
120
cliente, in virtù del quale l’emissione del giudizio avviene a fronte della corre-
sponsione di un determinato esborso monetario da parte di quest’ultimo. Va da
sé che, in siffatta situazione, il perseguimento di obiettivi di carattere strategico
- aziendale da parte del rater, potrebbe indurre quest’ultimo ad assecondare e-
sigenze (generalmente riconducibili alla controparte negoziale) disallineate
dall’intento di una corretta valutazione del reale merito creditizio del cliente;
condotta quest’ultima che, ovviamente, potrebbe ripercuotersi a discapito della
salvaguardia di un adeguato livello della qualità del rating.
L’elaborazione dei giudizi finirebbe col riflettere, pertanto, il soddisfaci-
mento di esigenze disallineate dal riferimento ad una rappresentazione veritiera
dello standing creditizio dell’emittente, donde la diffusione di notizie fuorvianti
che certamente non contribuiscono a minimizzare il gap informativo esistente
tra i risparmiatori e gli appartenenti al settore.
La problematica in parola è stata oggetto di analisi da parte di ampia par-
te della dottrina del diritto dell’economia; più in particolare, deve attribuirsi
specifica rilevanza alle formulazioni, da più parti presentate, che ipotizzano
l’introduzione di meccanismi in grado di minimizzare l’influenza di interessi terzi
(e fuorvianti) nel rapporto tra issuer e rater (sì da garantire una maggiore dili-
genza nell’elaborazione dei giudizi). Vengono in considerazione, in primo luogo,
le ipotesi riguardanti l’introduzione di modalità di pagamento alternative alla
corresponsione di compensi monetari, tra le quali rileva la possibilità che il pa-
gamento consista nella consegna di un ammontare prestabilito di titoli finanzia-
ri, la cui affidabilità creditizia è certificata proprio dal rating emesso
dall’agenzia24. Si ha riguardo, in secondo luogo, a taluni «alternative compensa-
tion models» che si fondano sulla possibilità di sostituire il meccanismo di «is-
24 Cfr. COFFEE, Ratings Reform: the Good, the Bad, and the Ugly, in Harvard Business Law. Rev, 2009, p. 254; LISTOKIN – TAIBLESON, If You Misrate, Then You Lose: Improving Credit Rating Accuracy through Incentive Compensation, in Yale J. on Reg. 27, 2010, p. 91.
Angela Troisi Alessandro Romano
121
suer-pays» con altri riconducibili a specifici parametri di trasparenza, indipen-
denza ed accountability25.
Deve sottolinearsi, tuttavia, che ognuna delle soluzioni identificate pre-
senta peculiari limiti applicativi derivanti dalla sussistenza di problematiche vuoi
di natura economica e/o giuridica, vuoi di origine quali - quantitativa. Ed invero,
la natura di «bene pubblico» ascrivibile al rating ostacola l’introduzione di qual-
sivoglia modello alternativo all’«issuer-pays», in grado di garantire adeguati li-
velli di efficienza operativa ed informativa nei riguardi dell’intero mercato26.
Sembra, pertanto, che l’unica via percorribile sia quella della formulazio-
ne di misure correttive in grado di conformarsi al modello di remunerazione at-
tualmente adottato in tale settore d’attività; ciò in vista di un’auspicabile ridu-
zione del rischio di comportamenti opportunistici in capo alle agenzie (derivanti
proprio dal nominato conflitto di interessi) e, al contempo, di una maggiore ac-
curatezza nelle previsioni, a tutela del pubblico di investitori e, più in generale,
della trasparenza in sede di negoziazione finanziaria.
Deve farsi presente, altresì, che sotto il profilo disciplinare la considera-
zione delle inefficienze strutturali presenti nel mercato del rating ha condotto i
regolatori internazionali all’emanazione di specifiche regolamentazioni volte a
minimizzare e/o controllare taluni delle nominate distorsioni comportamentali
ed operative in capo alle agenzie di cui trattasi. Si ha riguardo, in particolare,
all’introduzione del Reg. (UE) n. 1060/2009 – con successive modifiche ed inte-
25 Cfr. UNITED STATES GOVERNMENT ACCOUNTABILITY OFFICE, Credit Rating Agencies. Alternative Compensation Models for Nationally Recognized Statistical Rating Organizations, January 2012, ove si propongono sette meccanismi alternativi al modello «issuer-pays», fondati sul rispetto dei principi di independence, accountability, competition, transparency, market acceptance and choice e oversight. 26 Cfr. CINQUEGRANA, The Reform of the Credit Rating Agencies: A Comparative Perspective, ECMI Policy Brief , 2009, n. 12, reperibile su papers.ssrn.com; WHITE, The credit rating industry: An industrial organization analysis, Boston, 2002; GONZALES ET AL., Market dynamics associated with credit ratings: a literature review, in Financial Stability Review, 2004, n4, pp. 53 ss.;
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
122
grazioni - che, in stretto coordinamento con quanto definito dal Dodd-Frank Act
statunitense, mira all’individuazione di obblighi disciplinari in capo agli analisti
(in materia di metodologie adottate, accuratezza delle indagini e trasparenza
nelle comunicazioni), nonché di uno specifico regime di registrazione e di con-
trollo da parte dell’Esma dei soggetti operanti in sede regionale europea27.
3. La crescente diffusione del rating nei mercati finanziari ha posto
l’attenzione sull’influenza che esso esercita sulle scelte di investimento del pub-
blico di risparmiatori.
Il coinvolgimento dei raters negli eclatanti casi di default societario, non-
ché nella trasmissione delle turbolenze che di recente hanno contraddistinto il
mercato di taluni debiti sovrani, induce a formulare profonde riflessioni sul gra-
do di diligenza insito nelle loro condotte e sull’attendibilità delle relative valuta-
zioni. Tale considerazione assume rilievo se si considera che l’emissione dei giu-
dizi in parola dà luogo ad una sorta di affidamento da parte del pubblico dei ri-
sparmiatori. Questi ultimi, cioè, pur non interagendo con le agenzie specializzate
nell’ambito di un definito rapporto negoziale, tendono a confidare nella bontà
delle informazioni sintetizzate nel rating e, di riflesso, nell’affidabilità creditizia -
così come rappresentata dall’agenzia - dell’emittente valutato28.
Ne consegue che la violazione di tale affidamento appare idonea a gene-
rare una responsabilità in capo all’agenzia nei confronti di coloro che fanno ri-
corso ai rating nella scelte di allocazione delle relative risorse monetarie29.
27 Cosi come previsto dal Titolo III, capo I del Regolamento (CE) n. 1060/2009, modificato dal Reg. (UE) n. 513/2011 e, di recente, dal Reg. (UE) n. 462/2013. 28 Cfr. TROISI, Diligenza e responsabilità delle agenzie di rating negli orientamenti di Com-mon Law. Riflessi sulle prospettive disciplinari di tali società. (Federal Court of Australia Ba-thurst Regional Council vs Local Government Financial Services Pty Ltd (No 5)[2012] FCA 1200), in Riv. trim. dir. econ., 2012, n. 4, p. 187 ss. 29 Cfr. DI DONNA, La responsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, alloca-zione dei rischi e tutela dell’investitore, Padova, 2012, passim.; SANNA, La responsabilità civi-
Angela Troisi Alessandro Romano
123
Sotto il profilo normativo, deve sottolinearsi che il recente Reg. (UE) n.
462/2013 – recante modifica al Reg. CE n. 1060/200930 - introduce una disciplina
specifica riguardante la responsabilità extracontrattuale delle agenzie di rating
nei confronti degli investitori31. Più in particolare, l’art. 35-bis definisce un regi-
me risarcitorio a favore di questi ultimi, la cui applicabilità è limitata ai casi in cui
l’agenzia incorra nelle violazioni (di natura organizzativa ed operativa) previste
dall’Allegato III al nominato Reg. CE n. 1060/2009. Trattasi di inosservanze pro-
cedurali alle quali deve necessariamente accompagnarsi un comportamento (da
parte dell’agenzia) caratterizzato da dolo ovvero da negligenza grave32, che
l’investitore è tenuto a dimostrare in sede di controversia. Sicché, il riconosci-
mento di un potenziale risarcimento risulta vincolato alla sussistenza di compor-
tamenti negligenti e scorretti di particolare intensità, dai quali è dipesa
l’elaborazione di giudizi fuorvianti (non in linea, cioè, con la situazione economi-
ca, patrimoniale e finanziaria dell’emittente)33.
le delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, Napoli, 2011; MARIANELLO, La re-sponsabilità dell’agenzia di rating nei confronti dei terzi risparmiatori, in Resp. civ., 2008, p. 635 ss.; FACCI, Le agenzie di rating e la responsabilità per informazioni inesatte, in Contratto e Impresa, 2008, n.1, p. 164 ss.; PICARDI, Il rating fra crisi e riforma dei mercati finanziari, in Riv. dir. civ., 2009, fasc. 6, p. 713 ss.; SCARONI, La responsabilità delle agenzie di rating nei confronti degli investitori, in Contratto e Impresa, 2011, n. 3, p.764 ss. 30 Già in precedenza modificato dal Reg. CE n. 513/2011 (concernente i poteri di vigilanza attri-buiti all’Esma), completato da alcuni regolamenti delegati (Reg. CE n. 272/2012; Reg. CE n. 446/2012; Reg. CE n. 447/2012; Reg. CE n. 448/2012; Reg. CE n. 449/2012; Reg. CE n. 946/2012) finalizzati alla specificazione delle modalità di realizzazione della vigilanza a livello comunitario. 31 Ed invero, nel considerando n. 32 al Reg. (UE) n. 462/2013 si specifica che «gli investitori e gli emittenti non sempre si trovano in una posizione che consente loro di far valere la responsa-bilità delle agenzie di rating del credito nei propri confronti. Può risultare particolarmente diffi-cile accertare la responsabilità civile di un’agenzia di rating del credito in mancanza di un rap-porto contrattuale tra un’agenzia di rating del credito e, ad esempio, un investitore ovvero tra la stessa e un emittente nei cui confronti sia stato emesso un rating del credito senza che questi l’abbia chiesto». Da qui, la necessità di «prevedere un adeguato diritto al risarcimento del danno per gli investitori che si sono ragionevolmente affidati a un rating del credito emesso in viola-zione del regolamento (CE) n. 1060/2009, nonché per gli emittenti che subiscono danni per via di un rating del credito emesso in violazione del regolamento (CE) n. 1060/2009». 32 Cfr. ALPA, La responsabilità civile. Parte generale, Torino, 2010. 33 Cfr. DI DONNA, La responsabilità civile delle agenzie di rating. Mercato finanziario, alloca-
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
124
In proposito, deve sottolinearsi che l’introduzione di siffatto forma di re-
sponsabilità in capo alle agenzie di rating (oltre a quella di natura contrattuale
derivante dal rapporto con l’emittente) non sembra risolvere le problematiche
afferenti la qualità dei giudizi emessi, né tantomeno appare idoneo ad offrire
una efficace tutela agli investitori danneggiati dalla diffusione di giudizi distorti.
Ed invero, l’imposizione in capo ai questi ultimi dell’obbligo di dimostrare
l’elemento soggettivo in capo al rater costituisce, sul piano delle concretezze, un
onere eccessivamente gravoso; per di più, specie se si ha riguardo alla compagi-
ne di investitori non professionali, l’identificazione delle logiche procedurali ed
operative sulle quali si fonda la condotta (fuorviante) degli analisti risulterebbe
quasi sempre un’impresa irrealizzabile.
Ciò, tenuto conto del fatto che il legislatore, pur ricorrendo –
nell’apparente intento di agevolare il riconoscimento del comportamento negli-
gente tenuto dall’agenzia - all’identificazione di un regime di colpa specifica
(rinvenibile nell’inosservanza delle regole dettate dal nominato Allegato III al
Reg. CE n. 1060/2009), non sembra dare sufficiente rilievo alle evidenti difficoltà
che il soggetto danneggiato incontra nell’intento di accertare l’effettiva viola-
zione da parte degli analisti delle infrazioni definite in ambito regolamentare34.
Si fa presente, inoltre, che la formula di responsabilità proposta in sede
regionale europea non tiene conto di un ulteriore elemento di criticità: si ha ri-
zione dei rischi e tutela dell’investitore, cit., p. 438, ove si considera l’imposizione della colpa grave come un «errore giuridico», nella misura in cui la violazione dei doveri prescritti dal Re-golamento dovrebbe di per sé dar luogo ad una responsabilità, «a prescindere dalla prova della negligenza grave o del dolo della condotta inadempiente». 34 Per approfondimenti sulla nozione di colpa generica e specifica, cfr. ALPA, La responsabilità civile, 1999, IV, p. 239, ove si evidenzia che «sul piano processuale la colpa generica è accertata secondo i criteri della prevedibilità. (…) Il giudizio tiene conto delle condizioni in cui si poteva prevedere o prevenire l’evento, e dello sforzo – dell’uomo medio – per poter raggiungere il ri-sultato di evitare il danno. Colpa specifica per contro è la violazione di norme, regolamenti, or-dini, discipline, prescritti dall’autorità. Accertare la cola specifica è più semplice, in quanto ba-sta accertare la violazione dell’infrazione».
Angela Troisi Alessandro Romano
125
guardo, cioè, alla considerazione che le corti non sembrano essere in grado di
valutare con adeguata precisione le metodologie adottate dai raters, donde evi-
denti ostacoli nella risoluzione delle controversie di cui trattasi. E’ indubbio,
quindi, che la sussistenza di uno scarso livello di informazioni inerenti le stime
poste in essere – stante l’elevata complessità delle tecniche d’analisi utilizzate
nell’elaborazione dei giudizi - appare come un ostacolo ineludibile al corretto
svolgimento delle controversie giudiziarie35; da qui, ulteriori riflessi negativi
sull’opportunità di addivenire all’implementazione di efficaci azioni risarcitorie,
volte a riequilibrare gli interessi delle parti in campo, i.e. le agenzie di rating e gli
investitori presenti sul mercato finanziario.
4. L’indagine relativa all’introduzione di un regime di responsabilità in ca-
po alle agenzie di rating nei confronti degli investitori non può limitarsi all’analisi
dei rimedi extracontrattuali previsti dall’ordinamento nazionale. Com’è noto, in-
fatti, in tale ambito sussistono non pochi dubbi circa le concrete possibilità di
portare a compimento (e con successo) l’azione risarcitoria, stante le evidenti
difficoltà in cui i soggetti danneggiati incorrono in ordine all’espletamento degli
oneri probatori. Peculiari perplessità sorgono, infatti, in ordine alla dimostrazio-
ne vuoi del nesso di causalità tra la condotta dell’agenzia e il pregiudizio subito
dall’investitore, vuoi dell’ammontare della quota del danno patrimoniale recato
a quest’ultimo (in virtù dell’affidamento riposto nel rating emesso dall’agenzia).
Sicché, si profila uno spazio d’indagine per l’identificazione di regimi al-
ternativi in grado di porre rimedio alle evidenti criticità rivenienti
dall’applicazione in capo ai raters di siffatto regime di responsabilità extracon-
trattuale. Alle soluzioni prospettate da più parti in dottrina (tra le quali rilevano
35 Sul ruolo dell’informazione nell’ambito della responsabilità civile, cfr. ROMANO, La fine della tort law and economics?, in Danno e responsabilità, 2013, n. 5, p. 559 ss.
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
126
la responsabilità extracontrattuale aggravata da colpa presunta36, nonché quella
relativa alla formula del contatto sociale37), sembra opportuno affiancare
un’ipotesi di responsabilità oggettiva, applicabile in capo all’agenzia
nell’eventualità che i soggetti sottoposti a giudizio ricadano in situazioni di falli-
mento.
Deve farsi presente, tuttavia, che la portata di tale regime – come si ana-
lizzerà nel prosieguo della trattazione - dovrà necessariamente essere correlata
al riscontro di una duplice restrizione applicativa, la quale appare in linea con i
tratti caratterizzanti il mercato del rating. Ciò in vista della definizione di un re-
gime risarcitorio che consenta di graduare il coinvolgimento delle agenzie nelle
situazioni di default degli emittenti-clienti (destinatari di giudizi sullo standing
creditizio); si vuole prevenire, in tal modo, l’imputazione alle medesime del ri-
schio (e, di conseguenza, del costo) riveniente da fallimenti correlati tra loro, cui
– specie in un contesto di crisi finanziaria – si riconnette il verificarsi di effetti si-
stemici di significativa portata.
In via generale, si rileva che l’applicazione di un regime di responsabilità
oggettiva presenta evidenti aspetti positivi che sembrano conformarsi efficace-
mente ai profili strutturali ed operativi che contraddistinguono l’attività di
rating.
Nello specifico, si ha riguardo ai benefici di natura procedimentale che di-
scendono dall’applicazione di siffatta responsabilità; sul punto, vengono in con-
siderazione gli evidenti risparmi - in termini operativi, gestionali ed economici -
che si ottengono dalla mancanza dei tradizionali oneri probatori, dell’assenza di
36 Cfr. ALPA, intervento al Seminario “La responsabilità civile delle agenzie di rating”, tenuto-si il 30 gennaio 2013, presso l’Università Luiss Guido Carli di Roma. 37 Cfr. CAPRIGLIONE – SEMERARO, Crisi finanziaria e dei debiti sovrani. L’Unione Euro-pea tra rischi ed opportunità, Torino, 2012, p. 60; ROSSANO, Le agenzie di rating nel rappor-to con gli investitori: profili di responsabilità – commento alla sentenza del Tribunale di Catan-zaro del 2 marzo 2012, in questa Rivista, 2012, n. 1, p. 24.
Angela Troisi Alessandro Romano
127
specifici standard of care (da definire in sede di controversia), nonché dalla limi-
tatezza dei presupposti processuali da dover soddisfare per dar corso ad
un’azione di risarcimento del danno.
Va tenuta presente, inoltre, la possibilità di far leva sui benefici (in termi-
ni di correttezza dell’operatività degli analisti) derivanti dall’applicazione di det-
to regime alle agenzie di cui trattasi. Ciò, al fine di massimizzare gli incentivi a
disposizione di queste ultime in ordine all’emissione dei migliori giudizi possibili,
nella consapevolezza che la misurazione del livello di qualità associabile a qual-
sivoglia rating deve tenere in considerazione il carattere incerto delle stime in-
cluse nel processo di formulazione dello stesso38.
A ciò si aggiunga la riflessione secondo cui la configurazione di un regime
di responsabilità oggettiva appare in linea con l’essenza strettamente probabili-
stica del rating (il quale, si riferisce, cioè, alla capacità dell’emittente di far fron-
te ai relativi oneri finanziari futuri). Come sottolineato da autorevole dottrina,
infatti, tale regime sembra adattarsi in maniera ottimale alle controversie relati-
ve ad eventi (incorrelati tra loro) che presentano una determinata probabilità di
realizzazione (la quale genera dei costi generalmente computabili nell’ambito
del tradizionale rischio d’impresa)39.
La necessità di introdurre una efficace forma di responsabilità nei con-
fronti degli investitori assume ulteriore rilevanza se si considera che gli interessi
38 Più in particolare, tali incentivi possono essere classificati, in base alla loro natura, in incentivi di tipo «statico» e «dinamico», per tal via intendendosi da una parte, la possibilità di applicare in maniera più efficiente i modelli esistenti, dall’altra l’individuazione dei presupposti volti all’attuazione di politiche di ricerca e sviluppo concernenti nuovi tecniche applicative e criteri di elaborazione. 39 Cfr. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961, p. 12, ove si evidenzia che il concetto di responsabilità oggettiva trae origine «dall’esigenza (divenuta) sempre più viva e convincente con lo sviluppo della grande industria, che sostituiva agli sporadici fatti dannosi compiuti dai domestici, da contadini o da dipendenti di piccole imprese artigiane, o causati da animali, una serie continua e regolare di incidenti statisticamente prevedibili e connessi con la natura dell’impresa».
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
128
sottesi all’attività di valutazione posta in essere dalle agenzie in parola assumo-
no peculiare rilievo nell’ambito dell’ordinamento finanziario. Più in particolare,
tali interessi sono riconducibili al perseguimento di finalità di natura vuoi priva-
tistica (i.e.: la correttezza delle stime del merito creditizio dei soggetti emitten-
ti), vuoi latu sensu pubblica (riconducibile, in via generale, alla salvaguardia della
trasparenza e della stabilità del mercato finanziario).
Di tal che, l’individuazione di strumenti volti a rendere il rating maggior-
mente affidabile presenta evidenti risvolti positivi, sia con riferimento al circo-
scritto segmento operativo delle società specializzate, sia in relazione al sistema
economico considerato nel suo complesso.
Sotto altro profilo, deve evidenziarsi che l’imputazione di una responsabi-
lità oggettiva in capo alle agenzie di rating trova molteplici riferimenti nel dibat-
tito dottrinale, nell’ambito del quale è gradualmente emersa l’esigenza di defini-
re specifici schemi operativi in grado di disincentivare gli analisti dal persegui-
mento di obiettivi distorti e, dunque, dalla realizzazione di giudizi inesatti.
In proposito, meritano peculiare attenzione talune proposte avanzate in
subiecta materia: da un lato, rileva la possibilità di ricollegare la definizione del
risarcimento dovuto dal rater (agli investitori danneggiati) ad un ambito stret-
tamente contrattuale (e, dunque, fondato sulla libertà decisionale delle parti
negoziali)40. Dall’altro, autorevole dottrina, diffidando della possibilità di delega-
re tale compito all’autonomia privata, propone di quantificare detta responsabi-
40 Cfr. PARTNOY, Barbarians at the Gatekeepers: A Proposal for a Modified Strict Liability Regime, in Wash. ULQ, 2001, n. 79, p. 491 ss. L’A. propone di delegare la determinazione dell’esposizione massima delle agenzie di rating all’autonomia contrattuale. In particolare, si specifica che l’ammontare minimo del risarcimento debba essere determinato dalle parti con ri-ferimento ad una percentuale del danno complessivo che l’investitore imputa all’issuer. I dubbi sollevati da tale proposta sono molteplici: (I) non può essere assunta come ipotesi di base la considerazione che le parti determinino tali risarcimenti in maniera ottimale (II) permane il ri-schio di bancarotta in capo alle agenzie di rating (III) e, soprattutto, non si supera il problema della quantificazione del danno causato agli investitori da rating inesatti.
Angela Troisi Alessandro Romano
129
lità mediante uno specifico riferimento (da definirsi in termini percentuali)
all’ammontare dei guadagni che l’agenzia ottiene dalla sua ordinaria attività di
valutazione41.
Deve sottolinearsi, tuttavia, che l’imprecisa formulazione di tali meccani-
smi risarcitori (ovvero dell’effettiva quantificazione del danno recato agli investi-
tori) lascia spazio a molteplici dubbi in ordine alla concreta efficacia applicativa
dei medesimi. Ci si riferisce, in particolare, agli effetti sul mercato del rating (e
sul relativo grado di attrattività), nonché all’eventualità che le agenzie stesse
non riescano a sostenere gli ingenti costi derivanti dagli eventuali fallimenti del-
le società sottoposte ad analisi42.
5. La proposta in esame si fonda sull’identificazione in capo alle agenzie
di rating di un regime di responsabilità oggettiva, la cui applicabilità prevede
una duplice, significativa limitazione. Ci si riferisce, in primo luogo, alla possibili-
tà di restringerne la relativa portata ad un arco temporale di breve periodo e, in
secondo luogo, all’identificazione di un limite massimo all’ammontare del risar-
cimento che le agenzie stesse sono tenute a corrispondere agli investitori dan-
neggiati dalle valutazioni relative al merito creditizio del soggetto (ovvero dello
41 Cfr. COFFEE, Gatekeeper failure ad reform.., op. cit., p. 70. L’A. propone la possibilità di introdurre un tetto massimo ai risarcimenti per limitare l’esposizione al rischio delle agenzie di rating. Va tenuto presente, tuttavia, che non si offrono criteri chiari e precisi per la determina-zione di tale limite. 42 Cfr. ibidem, ove si sottolinea che «This proposal’s refusal to accept private contracting (in contrast to Professor Partnoy, who relies primarily on contracting and disclosure) is based on three considerations: First, some gatekeeping professions (most notably, auditing) are extremely concentrated, and thus conscious parallelism in the pricing behaviorn of the few actors in the industry becomes likely. Put more simply, if there are only four major auditing firms at present, it becomes unlikely that they would compete vigorously and accept liability significantly above any minimum required threshold. Hence, it is simpler to specify that threshold (but also permit the parties to provide by contract for even greater liability). Second, in a bubble, investors might not care that their gatekeepers were accepting only a minimum liability, and thus the disclosure of the contract between the gatekeeper and the market might have little impact on the market. Third, a contractual approach overlooks that the corporate client may have little incentive to bargain for high liability on the part of the auditor».
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
130
specifico titolo finanziario) sottoposto ad analisi.
In altri termini, in base alla formulazione quivi proposta, le agenzie saran-
no gravate da una responsabilità oggettiva solo nel breve termine e per un am-
montare prestabilito. Quest’ultimo, come si vedrà in seguito, viene quantificato
sulla base di specifici parametri, quali il compenso destinato al rater per l’attività
svolta e la probabilità di default stimata in relazione ad ogni specifico giudizio. Si
noti, in particolare, che la definizione di detta probabilità è strettamente colle-
gata all’esattezza delle stime incluse nel rating; donde specifici effetti positivi sul
livello di correttezza ed affidabilità complessivamente richiesti agli analisti
nell’ambito della loro ordinaria attività valutativa.
Da qui, l’identificazione di una «capped expiring strict liability» (per ri-
prendere il filone di ricerca di origine anglosassone)43 che consente di porre ri-
medio ai risvolti problematici rivenienti dall’applicazione del regime di respon-
sabilità oggettiva all’attività di rating. Tra questi, preminente rilievo deve attri-
buirsi all’eventualità che l’agere delle agenzie specializzate risulti gravato dalla
realizzazione di meccanismi di «over deterrence» in capo alle stesse; si ha ri-
guardo, cioè, al caso in cui una illimitata esposizione del rater alla responsabilità
oggettiva darebbe luogo all’assunzione da parte di quest’ultimo di condotte di-
fensive (che si concretizzano nella mancata emissione di giudizi), orientate ad
evitare che lo stesso risulti potenzialmente coinvolto in azioni risarcitorie ecces-
sivamente aggressive, promosse dagli investitori danneggiati dal fallimento
dell’emittente sottoposto a giudizio.
A ciò si aggiunga, altresì, l’opportunità di limitare (mediante l’ identifica-
zione di un limite temporale all’applicazione di detto regime) le ripercussioni
negative rivenienti dall’eventualità che il rischio di defaults - caratterizzati da un
43 Cfr. PARTNOY, op. cit.; COFFEE, Gatekeeper failure ad reform.., op. cit.
Angela Troisi Alessandro Romano
131
elevato grado di correlazione - degli emittenti (la cui affidabilità è certificata dal
rating) finisca col ricadere in maniera (rectius: misura) ingiustificata sulle agen-
zie. In siffatte condizioni, queste ultime potrebbero, a loro volta, incorrere in si-
tuazioni di crisi finanziaria, patrimoniale e/o economica tali da causarne il re-
pentino fallimento. Ciò in quanto il rater non riuscirebbe a sostenere i costi che
derivano dall’incidenza del rischio sistemico sul mercato nel medio - lungo pe-
riodo.
La menzionata limitazione al breve termine consente, pertanto, di evitare
tali effetti negativi sulla stabilità delle agenzie, atteso che le situazioni di crisi a
carattere sistemico non sembrano denotare una velocità di propagazione infini-
ta; tale riflessione appare ancor più verosimile se restringe il campo d’indagine
al settore corporate, differenziandolo da quello della finanza strutturata che,
per solito, presenta meccanismi di correlazione ulteriore e di elevata complessi-
tà.
Sotto altro profilo, il riferimento alla responsabilità oggettiva assume ul-
teriore rilevanza se si considerano gli evidenti ostacoli che l’applicazione delle
tradizionali formule di giustizia correttiva trovano nel mercato del rating. Non a
caso, la quantificazione del risarcimento attribuibile al soggetto danneggiato è
certamente limitata dall’impossibilità di stabilire con precisione l’ammontare del
pregiudizio subito dal medesimo per effetto del rating inesatto (e, più propria-
mente, della sussistenza di un sostanziale affidamento nella valutazione
dell’agenzia). L’applicazione di una logica di responsabilità civile volta ad incen-
tivare la realizzazione di comportamenti corretti in capo alle agenzie (i.e.: deter-
renza da comportamenti distorti) sembra, pertanto, più funzionale rispetto a
quanto si realizza mediante l’identificazione di un approccio finalizzato al mero
risarcimento degli investitori danneggiati da eventuali giudizi impropri.
A ben considerare, il ruolo centrale attribuito alla nozione di deterrenza
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
132
(diffusa prevalentemente negli ordinamenti di common law) non esclude a prio-
ri la possibilità che agli investitori possano derivare benefici indiretti di natura
patrimoniale, economica e finanziaria. Si rileva, infatti, che l’introduzione di un
regime di responsabilità oggettiva nei confronti delle agenzie (seppur limitato
nel tempo e nell’esborso monetario) dà luogo alla creazione di significativi in-
centivi in capo alle stesse in ordine all’identificazione di maggiori livelli di corret-
tezza e di affidabilità delle relative stime; vantaggi che finiscono col riflettersi
sulle opportunità di investimento prospettate agli agenti presenti sul mercato.
6. Come già si è anticipato, il modello di «capped expiring strict liability»
prevede due specifiche limitazioni che consentono di adattare il regime risarci-
torio proprio della responsabilità oggettiva alle peculiarità del settore del rating.
Sicché, in caso di fallimento di un qualsivoglia cliente-emittente, l’onere che
grava sull’agenzia di rating risulta limitato in riferimento ad un orizzonte tempo-
rale prestabilito (da qui il termine expiring) ed alla corresponsione di un esborso
monetario predeterminato (cui fa riferimento la nozione di capped liability).
Deve, innanzitutto, considerarsi che l’imposizione di un limite massimo
all’ammontare del risarcimento consente di restringere il livello di rischio eco-
nomico e finanziario gravante sulle agenzie per effetto dell’ordinaria attività di
rating. Esso, infatti, permette di evitare che tale onere si ripercuota negativa-
mente sull’equilibrio gestionale delle società in parola, causando un aggravio del
relativo livello di stabilità operativa.
Sotto il profilo tecnico, è possibile definire tale limite massimo in riferi-
mento vuoi al prezzo corrisposto da questi ultimi al rater (a fronte
dell’emissione del giudizio di merito creditizio), vuoi alla probabilità di default
assegnata. In termini matematici, la quantificazione del risarcimento risulta pari
a:
Angela Troisi Alessandro Romano
133
R= P*1/pr
dove R rappresenta l’ammontare del risarcimento, P è il corrispettivo pagato
dall’emittente a fronte dell’elaborazione del giudizio e pr costituisce la probabi-
lità di fallimento associata alla classe di rating prescelta.
L’approccio analitico quivi rappresentato consente di ricollegare il grado
di redditività dell’agere della società di rating alla natura dei giudizi dalle stesse
elaborati. Ne consegue che l’imposizione di uno standard prestabilito di risarci-
mento – calcolato sulla base di fattori oggettivamente rilevabili ex post - agisce
da catalizzatore nella risoluzione della problematica concernente il fenomeno
dell’overrating e, più in generale, della propensione dei rater a perseguire
un’operatività distorta e fuorviante.
Un semplice esempio numerico sembra opportuno per spiegare tale af-
fermazione. Ipotizziamo l’esistenza di 100 aziende, ognuna di loro tenuta a cor-
rispondere un prezzo P=1 € per ottenere un giudizio di rating da parte
dell’agenzia specializzata. Ipotizziamo, altresì, che a ciascuna di tali imprese sia
associata una probabilità di default pari a 0.01. Assumendo che l’agenzia specia-
lizzata sia in grado di valutare correttamente il livello di rischiosità attribuibile
alle imprese in parola, essa includerà queste ultime all’interno di uno stesso clu-
ster, caratterizzato da una probabilità di default stimata di 0.01.
E’ agevole notare che, dati questi assunti, i profitti dell’agenzia di rating
saranno pari a zero. Ciò in quanto, per costruzione, una delle cento imprese è
destinata a fallire e, conseguentemente, il risarcimento dovuto eguaglia esatta-
mente l’ammontare delle entrate – attestandosi, cioè, entrambi ad un valore
pari a cento -44.
44 Ed invero, le entrate saranno uguali a 1*100= 100 e l’ammontare del risarcimento da corri-spondere è uguale a 1*1/0.01=100.
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
134
Per converso, nel caso in cui la probabilità di default sia sottostimata (i.e:
il rating attribuito è troppo elevato), i profitti dell’agenzia risultano negativi. Ri-
facendoci all’esempio numerico poc’anzi sviluppato, se la probabilità di default
fosse sottostimata ad un valore pari a 0,005 (cui, ovviamente è associato un
rating fuorviante perché più alto rispetto all’effettivo merito creditizio delle im-
prese considerate), l’ammontare del danno che l’agenzia è obbligata a corri-
spondere sarebbe pari a 20045. Donde la configurazione di una perdita economi-
ca in capo alla medesima, la quale è costretta a rispondere dell’inesattezza della
relativa valutazione mediante la corresponsione di un esborso monetario evi-
dentemente più elevato rispetto alle entrate realizzate.
Pertanto, il modello d’analisi, così come prospettato, consente all’agenzia
specializzata di evitare perdite economiche solo nel caso in cui i rating emessi
non si collochino a livelli più elevati rispetto a quelli corrispondenti all’effettivo
merito creditizio del cliente.
In secondo luogo, l’ipotesi in base alla quale l’applicabilità del regime di
responsabilità oggettiva risulta orientato ad un arco temporale di breve termine
induce a limitare l’onere del risarcimento ai soli casi di giudizi che si rivelano fin
da subito inesatti46. Ed invero, tale vincolo temporale permette di evitare che
l’attività dei rater sia negativamente influenzata dal realizzarsi di crisi globali (al
pari di quella che ha avuto luogo negli Stati Uniti a partire dal 2007, e che si è
diffusa poi nei mercati dei maggiori Paesi industrializzati). Non a caso, in tali e-
45 Cioè, l’ammontare del risarcimento stabilito è pari a 1*1/0,005=200. 46 Sul punto, vengono in considerazione i fallimenti di talune società internazionali (si pensi, a titolo esemplificativo, ai casi Enron, Worldcom, Parmalat e Lehman Brothers), i quali hanno improvvisamente smentito i giudizi positivi che le agenzie di rating (incaricate di valutare il grado di solvibilità finanziaria di dette società) avevano formulato. Ed invero, gli errati giudizi avevano indotto il mercato a formulare stime distorte sull’affidabilità di tali emittenti, da cui le ingenti perdite subite dagli investitori che non avevano così potuto percepire l’effettivo deterio-ramento della realtà finanziaria, economica e patrimoniale dei soggetti caduti in repentino de-fault.
Angela Troisi Alessandro Romano
135
venienze il rischio di fallimento degli emittenti operanti nel sistema finanziario
risulta significativamente aggravato dal cd. «effetto domino», tale per cui la si-
tuazione di crisi finisce col propagarsi anche a soggetti caratterizzati da un ordi-
nario livello di stabilità operativa, economica e patrimoniale.
Si rileva infatti che, in periodi di forte turbolenza finanziaria, la realizza-
zione dei «fallimenti a catena» si fonda su uno stretto nesso di correlazione che
incide sulle condizioni di instabilità caratterizzanti ognuno dei soggetti coinvolti.
Sicché, l’adozione di una responsabilità oggettiva tout court finirebbe col far
gravare in capo alle agenzie di rating i costi (economici e finanziari) rivenienti da
detta tipologia di default, la quale risulta strettamente connessa al verificarsi del
rischio sistemico sul mercato.
A conferma di tale riflessione, deve sottolinearsi come la dottrina preva-
lente sia concorde nel considerare che la responsabilità oggettiva attribuisce al
soggetto al quale essa è imputata una implicita funzione di assicurazione del ri-
schio, necessariamente limitata ad eventi non correlati fra loro. Da qui la ragio-
nevole restrizione al breve periodo, entro il quale le situazioni di dissesto socie-
tario riscontrabili sul mercato presentano un livello minore di correlazione47; di
tal che, gli eventuali default che si realizzano nell’ambito di tale specifico oriz-
zonte temporale possono ragionevolmente ricondursi nella sfera di responsabili-
tà attribuibile alle agenzie specializzate48.
47 In via generale, ciò è dovuto alla considerazione che l’emersione di una potenziale crisi siste-mica si realizza in maniera graduale nel tempo. Da qui si rileva come le turbolenze che si realiz-zano nel breve periodo possano essere interpretate alla stregua di elementi premonitori, e non necessariamente correlati tra loro, di una probabile situazione di instabilità globale. 48 Cfr. TRIMARCHI, Rischio e responsabilità oggettiva, cit., p. 31. Ed invero, l’A. rileva che «è l’imprenditore (…) che deve subire il rischio, pur se incolpevole, connesso con la sua impre-sa, poiché egli è meglio in grado di affrontarlo economicamente assicurandosi contro di esso, o provvedendo direttamente ad accantonare somme per il risarcimento dei danni causati dall’impresa, e rifacendosi con un corrispondente aumento del prezzo dei beni e servizi prodotti. Si è messo in rilievo che il danno viene così ampiamente distribuito nel pubblico, con sacrificio irrilevante per i singoli membri di esso, mentre alle malcapitate vittime di incidenti industriali
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
136
7. Alla luce degli elementi caratterizzanti il modello presentato,
l’identificazione di rating ottimali è subordinata alla soddisfazione di tre neces-
sarie condizioni: i) né le agenzie specializzate, né le imprese emittenti, devono
presentare un eccessivo potere di mercato; ii) si assume che i rater siano a co-
noscenza delle effettive probabilità di default dei clienti e, iii) l’intero prezzo P
corrisposto (e, dunque, non una sua frazione) sia utilizzato per calcolare
l’ammontare del risarcimento49.
Tralasciando le riflessioni relative alla prima di tali condizioni (il cui rispet-
to, per solito, è fonte di peculiari problematicità, comuni a qualsivoglia merca-
to)50, deve sottolinearsi che l’utilizzo del prezzo P (congiuntamente alle probabi-
lità di default identificate ex ante) come base di riferimento per il calcolo del ri-
sarcimento dà luogo ad una realtà nella quale l’agenzia, pur assumendo com-
portamenti corretti, non ha la possibilità di ottenere profitti economici dalla sua
ordinaria attività. In altri termini, l’assunzione di tali ipotesi restrittive implica
che la realizzazione di previsioni ottimali (relative allo standing creditizio dei
clienti) non è elemento sufficiente per addivenire ad adeguati livelli di profitta-
bilità nel mercato del rating.
E’ necessario, pertanto, introdurre un parametro nell’ambito del modello
ipotizzato che possa limitare l’esposizione delle agenzie ad azioni risarcitorie di
viene assicurato il risarcimento di danni che per esse sarebbero sovente intollerabili e tali da im-plicare gravi conseguenze». 49 L’ultima ipotesi implicita è che tutti i costi delle agenzie sono da considerarsi variabili. Tale ipotesi non è trattata separatamente perché risulterà chiaro dall’esposizione che le considerazio-ni connesse alla seconda ed alla terza condizione possono essere facilmente adattate anche al ca-so in cui si ammetta l’esistenza di costi fissi. 50 Il primo problema è comune ad ogni mercato e per questo motivo non verrà analizzato. Vale però la pena sottolineare come, allo stato dell’arte, persino un incremento della concorrenza tra CRAs potrebbe produrre effetti negativi aggravando il fenomeno di rating shopping. Invece, con lo schema proposto, la concorrenza tornerebbe ad essere il principale motore per spingere le CRA a migliorare la qualità delle proprie previsioni.
Angela Troisi Alessandro Romano
137
eccessiva portata e, al contempo, rendere maggiormente attrattivo il mercato in
parola. Ciò tenendo conto del fatto che i raters, stante la natura previsionale
dell’attività di valutazione svolta, sono inevitabilmente soggetti ad un margine
di errore. Da qui talune sostanziali implicazioni cui è necessario fare riferimento
per la configurazione di un modello confacente all’effettiva realtà di mercato
(generalmente caratterizzata da un inevitabile grado di aleatorietà strutturale).
Sicché, l’introduzione del nominato parametro (da qui in poi ) appare
strumentale alla configurazione di un ragionevole sistema di incentivi di natura
strategica ed operativa, tale da consentire alle agenzie specializzate di sopravvi-
vere sul mercato e, più specificamente, di conseguire adeguati livelli di profitto
economico.
Sotto il profilo tecnico, si ponga 0 < < 1; per tal via, *P rappresenterà
una frazione del prezzo P in precedenza considerato. Ne consegue che la quanti-
ficazione del risarcimento correlato al fallimento degli emittenti sottoposti a va-
lutazione sarà predisposta sulla base della seguente formulazione:
R= *P/ pr;
Conseguentemente, l’onere in capo all’agenzie di rating risulterà ridi-
mensionato e si attesterà a livelli più bassi rispetto a quelli in precedenza ipotiz-
zati. Più in particolare, minore sarà , maggiore risulterà la quantità di profitti
conseguibili in caso di previsioni ottimali (rectius: affidabili ed accurate).
Sotto altro profilo, è evidente la difficoltà di identificare un livello di ot-
timale; ciò in quanto la scelta di uno specifico valore ad esso attribuibile è corre-
lata alla configurazione di un particolare trade-off che, sul piano delle concre-
tezze, discende dall’applicazione di un diverso onere monetario a fronte della
richiesta di risarcimento in capo al rater.
Ed invero, si rileva che l’imposizione di livelli più elevati di si riflette i-
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
138
nevitabilmente sulle decisioni assunte dall’agenzia di rating, nella misura in cui
esse saranno disincentivate ad adottare logiche di over-rating, supportate da
tecniche di valutazione disallineate dall’effettivo merito creditizio del soggetto
sottoposto ad analisi. L’identificazione di un valore elevato di riduce, dunque,
il margine di profitti conseguibile dalle agenzie, le quali si ritroveranno a pagare
così un ammontare monetario maggiore in caso di fallimento del cliente.
Si rileva tuttavia che la diminuzione dei profitti riveniente dal-
l’imposizione di valori elevati di potrebbe dar luogo a peculiari ripercussioni
negative sul grado di concorrenza nel mercato del rating e, più in particolare,
sugli incentivi a competere in capo alle agenzie specializzate. Tale realtà scorag-
gerebbe, altresì, la realizzazione di politiche d’innovazione strategica ed operati-
va finalizzate allo sviluppo di tecniche predittive migliori (ed in linea con la com-
plessità dell’odierno sistema finanziario). Siamo in presenza, dunque, di un re-
gime risarcitorio che induce ad una sostanziale contrapposizione tra la nozione
di «efficienza allocativa» e quella di «efficienza dinamica»; ne consegue che la
scelta dei valori attribuibili al parametro denota significativa rilevanza in ordi-
ne alla salvaguardia vuoi della correttezza e dell’affidabilità dei giudizi di rating,
vuoi della sostanziale coerenza di questi ultimi con l’evoluzione del mercato.
8. Il modello analitico quivi proposto mira ad offrire una puntuale solu-
zione a taluni aspetti problematici del mercato del rating; si ha riguardo, in par-
ticolare, al conflitto di interesse intrinseco al rapporto negoziale intercorrente
tra l’emittente e l’agenzia, nonché all’assenza di un’efficace logica risarcitoria a
favore degli investitori che riservano peculiare affidamento alle valutazioni dalla
medesima elaborate. La riferibilità ad un lasso di tempo molto breve (così come
dianzi prospettato) consente di “immunizzare” gli assetti economici e patrimo-
niali del rater da eventuali «fallimenti a catena» che, nel tempo, potrebbero rea-
Angela Troisi Alessandro Romano
139
lizzarsi a causa dell’incidenza del rischio sistemico sulla realtà di mercato. Ciò si-
gnifica che, oltrepassato il termine previsto ex ante (orientativamente identifi-
cabile con un periodo di tre mesi) durante il quale vige il regime di «capped e-
xpiring strict liability», le agenzie risponderanno dell’accuratezza dei giudizi e-
messi secondo i tradizionali canoni della responsabilità extracontrattuale (così
come previsto dal legislatore europeo nel nominato Reg. (UE) n. 462/2013). Si
intende, per tal via, assicurare che gli analisti effettuino le proprie valutazioni
con un discreto grado di accuratezza ed integrità professionale, donde la diffu-
sione di giudizi (il più possibile) coerenti con l’effettiva realtà di mercato.
Va tenuto presente, altresì, che la configurazione di tale forma di respon-
sabilità oggettiva comporterebbe una implicita accettazione da parte delle a-
genzie dell’obbligo di rendere pubbliche le probabilità di default associate a cia-
scun rating emesso51. Ne conseguirebbero evidenti ripercussioni positive vuoi
sul grado di accountability che le stesse assumono nei confronti
dell’ordinamento finanziario, vuoi sul livello di trasparenza delle metodologie e
dei meccanismi procedurali adottati dagli analisti in sede di indagine; obiettivi
questi ultimi la cui realizzazione ha assunto preminente rilievo nel quadro rego-
lamentare disposto in sede regionale europea52.
Va da sé che, sul piano economico, ciò si traduce in una riduzione dei co-
51 In proposito, si specifica che le probabilità di default attualmente a disposizione derivano dall’osservazione delle matrici di transizione e delle indagini storiche periodicamente presentate dalle agenzie di rating. Non vi è, tuttavia, un range di probabilità comunicato pubblicamente dagli analisti, sebbene tale misurazione sia implicita nelle indagini prodromiche all’emissione dei giudizi. In dottrina, cfr. CALOMIRIS, A recipe for ratings reform, in The Economists’ Voice, 2009, vol. 6, iss. 11. 52 Ci si riferisce, in particolare, all’art. 8, comma 3, del nominato Reg. (CE) n. 1060/2009, nel quale si stabilisce che «un’agenzia di rating del credito utilizza metodologie rigorose, sistemati-che, continuative e soggette a convalida sulla base dell’esperienza storica, inclusi i test retro-spettivi». Da qui, l’obbligo per il rater «che intende modificare materialmente le metodologie, i modelli o le ipotesi principali di rating esistenti, o usarne di nuovi, suscettibili di avere un’incidenza su un rating del credito, (di pubblicare) le modifiche materiale o le nuove metodo-logie di rating proposte sul suo sito Internet e (di invitare) le parti interessate a presentare osser-vazioni in merito per un periodo di un mese» (comma 5 bis).
Rating, accuratezza delle valutazioni e responsabilità oggettiva
140
sti transattivi che discendono dall’attuazione dei diritti di coloro che hanno fatto
affidamento sui giudizi delle agenzie di rating; più in generale, si tende ad un ef-
fettivo riequilibrio delle posizioni economiche e patrimoniali degli operatori
coinvolti nel processo di rating.
Da qui, la possibilità per gli investitori di fondare le proprie scelte di inve-
stimento su giudizi espressi da soggetti che, non solo sono legittimati a porre in
essere stime sul rischio di credito, ma rispondono in maniera puntuale ed effet-
tiva della validità delle misurazioni diffuse sul mercato finanziario53.
Angela Troisi
Dottoranda in Diritto degli Affari
Diritto Tributario di Impresa
Università “Luiss – Guido Carli” di Roma
Alessandro Romano
Dottorando in Diritto ed Economia
Università “Luiss – Guido Carli” di Roma
53 Cfr. CAPRIGLIONE – SEMERARO, Crisi finanziaria e dei debiti sovrani. L’Unione Euro-pea tra rischi ed opportunità, cit., p. 58, ove si sottolinea l’esigenza di configurare «un agere che risulti rispondente a taluni principi giuridici di carattere generale, comunemente riconosciuti in qualsivoglia ordinamento, quali: (I) la legittimazione ad esercitare una determinata attività e (II ) l’assunzione di responsabilità per le valutazioni espresse».
PARTE PRIMA
VARIETA’
Simona Peloso
141
CONSIDERAZIONI A MARGINE DEL LIBRO
“LA RESPONSABILITA’ CIVILE DELLE AGENZIE DI RATING.
MERCATO FINANZIARIO, ALLOCAZIONE DEI RISCHI E TUTELA
DELL’INVESTITORE” DI LUCA DI DONNA (Cedam, 2012).
Il tema della responsabilità civile nei mercati finanziari e, in particolare,
delle società di rating, da tempo è al centro dell’attenzione di operatori e stu-
diosi. Un significativo contributo alla chiarificazione di tale problematica è stato
dato da Luca Di Donna che in un suo recente lavoro monografico ha esaminato
l’ampia e complessa realtà delle agenzie di rating, dalla loro nascita sino ai pro-
blemi attuali, soffermandosi, in particolar modo, sull’annosa questione del con-
flitto di interesse e sui rimedi, comunitari e nazionali, per risolverla. In tale libro
si analizza, infine, l’aspetto più squisitamente civilistico della responsabilità civile
delle agenzie di rating, individuando la natura di tale responsabilità ed i conse-
guenti profili risarcitori.
Le agenzie di rating sono operatori del mercato finanziario aventi natura di so-
cietà di diritto privato, che emettono giudizi sintetici sul merito di credito di un
emittente e/o sul grado di rischiosità di un prodotto finanziario, esprimendo il
voto sui debiti sovrani e sui titoli di enti pubblici e privati.
Esse fanno la loro prima apparizione nel sistema nord-americano, nel
1841, senza però destare l’interesse del legislatore che, quasi fino agli anni ’90
non se ne occupa. Sarà solo dal ‘70 in poi, con l’introduzione delle c.d. agenzie
riconosciute (NRSRO), ovvero autorizzate ad emettere rating con valenza rego-
lamentare, che inizia una proliferazione normativa al fine di disciplinarne tutti i
profili più controversi.
Il giudizio di rating ha natura prognostica, consistendo in una previsione
Considerazioni su ”La responsabilità civile delle agenzie di rating”
142
circa le prospettive di solvibilità del debitore e deve essere costantemente ag-
giornato al fine di riflettere le oscillazioni del titolo stimato, ovvero le condizioni
economico-finanziarie del soggetto valutato. Esso, che verrà formandosi secon-
do procedure analitiche, è destinato sia ai clienti delle agenzie di rating, ossia gli
emittenti che hanno incaricato le stesse di esprimere un giudizio per mezzo di
un contratto, sia al pubblico degli investitori, che riceve il rating gratuitamente e
ne usufruisce come riferimento per gli investimenti da porre in essere.
Il primo e più evidente problema che si pone è il conflitto di interessi del-
le agenzie, che ricevono il compenso delle proprie prestazioni e dell’attività di
consulenza svolta direttamente dal soggetto che giudicano, dando vita al feno-
meno del c.d. rating shopping, per cui gli emittenti commissionano a più agenzie
il rating al fine di trovare il giudizio più compiacente; le agenzie, dal canto loro,
tendono ad esprimere il giudizio in funzione del compenso percepito. Entrambe
le parti hanno quindi interesse al successo dell’operazione.
Nelle agenzie è invalsa la tendenza a sminuire questo problema, soste-
nendo che non avrebbe implicazioni pratiche negative poiché il rating è sempli-
cemente un elemento di riferimento per l’investitore, privo dell’effettiva capaci-
tà di condizionarlo. Alla luce di quanto osservato, quindi, il conflitto di interessi
potrebbe essere contenuto da una serie di fattori quali la credibilità e
l’indipendenza delle agenzie che elaborano informazioni attraverso un procedi-
mento disinteressato, la non esorbitanza dei compensi forniti, il regime oligopo-
listico in cui si opera, la vasta clientela ed infine la tendenza ad acquisire giudizi
da diverse agenzie di rating.
Il problema non pare aver trovato soluzione né ad opera del legislatore
comunitario né ad opera di quello statunitense, il quale aveva come obiettivo di
introdurre un’accurata disciplina di settore al fine di incentivare la produzione di
rating di alta qualità, mediante un procedimento di formazione che fosse tra-
Simona Peloso
143
sparente, corretto e regolare. Le varie soluzioni prospettate sono apparse inido-
nee alla luce della crisi della finanza strutturata, ovvero dei mutui sub prime, che
ha coinvolto l’intero mercato.
Le agenzie di rating sono state ampiamente responsabili di questa crisi,
per aver assegnato voti elevati alle operazioni critiche e non aver rivisto i giudizi
in tempo utile. La crisi ha quindi trasmesso la percezione del vuoto normativo e
la crescente esigenza di colmare le lacune cercando di trovare soluzioni ai pro-
blemi dell’efficienza organizzativa delle agenzie, della procedura di formazione
dei giudizi, della valenza regolamentare dei rating e del conflitto di interessi.
Anche l’Unione europea ha avvertito fortemente questa esigenza di rego-
lamentazione. Nel 2004, il Parlamento europeo pubblica una Relazione sul ruolo
ed i metodi delle agenzie di rating, considerando il rating un strumento essen-
ziale nei mercati di capitali e che l’efficienza delle agenzie non risultava inficiata
da casi isolati di insolvenza non previsti, poiché il giudizio, per sua natura, deve
riflettere la probabilità o la possibilità di insolvenza.
Nel 2006 la Commissione europea sulle agenzie di rating, preso atto delle
problematiche evidenziate, rileva che la questione più rilevante concernesse la
qualità del rating, ossia che i giudizi si basassero su di un’analisi la più rigorosa
possibile al fine di espungere il fenomeno dell’abuso di informazioni privilegiate
e delle manipolazioni del mercato.
Nel 2008, la Commissione pubblica la proposta di Regolamento del Par-
lamento europeo e del Consiglio relativo alle agenzie, focalizzando l’attenzione
su quattro obiettivi fondamentali: prevenire l’insorgere di conflitti di interessi,
migliorare la qualità dei rating, potenziare la trasparenza e garantire un quadro
di registrazione e di vigilanza più efficiente.
Nel 2009, il Regolamento viene approvato ed è il primo atto normativo
con cui il legislatore comunitario regolamenta il settore. Esso trova applicazione
Considerazioni su ”La responsabilità civile delle agenzie di rating”
144
ai giudizi emessi dalle agenzie di rating registrate nella Comunità e che sono
comunicati al pubblico. Vi è inoltre una puntuale regolamentazione sulle moda-
lità di formazione ed esternalizzazione della certificazione, cui rilevano obblighi
di comunicazione ai fini del rispetto del principio della trasparenza.
Nel 2011, infine, si ravvisa un’unica ma importante modifica della disci-
plina comunitaria sulle agenzie di rating del credito, mediante l’affidamento del-
la competenza esclusiva in materia di registrazione delle agenzie e di controllo
dell’attività di rating ad un’unica autorità europea di vigilanza: l’AESFEM.
La seconda parte del volume del Di Donna focalizza maggiormente l’ at-
tenzione sui vari modelli di responsabilità extracontrattuali mettendoli a con-
fronto, per accompagnare il lettore in una disamina degli stessi al fine di illustra-
re le soluzioni che si prospettano nella pratica.
Partendo dal concetto di informazione economica e dalla sua evoluzione
non sorretta da un’adeguata regolamentazione, l’autore inizia con la nozione di
“prospetto informativo”, ovvero il mezzo di circolazione delle informazioni uti-
lizzato dagli emittenti al momento del collocamento dei titoli sui mercati finan-
ziari e ne analizza la disciplina comunitaria volta a regolarne l’emanazione e la
diffusione. Per quanto concerne poi il profilo nazionale, viene tratteggiato con
molta precisione, il ruolo che ha la Consob di vigilare sugli stessi. Il problema
della responsabilità si pone quando viene diffuso un prospetto contenente in-
formazioni false od incomplete. Dottrina e Giurisprudenza hanno a lungo dibat-
tuto sulla natura giuridica di questa responsabilità (precontrattuale, contrattua-
le o extracontrattuale) in quanto, a seconda della soluzione scelta, vi sarebbe un
diverso grado e misura di tutela dei soggetti danneggiati.
Nel caso in cui l’investitore abbia concluso il contratto di acquisto dei tito-
li direttamente con l’emittente che ha pubblicato e diffuso il prospetto conte-
nente le informazioni erronee e incomplete, nulla quaestio che trattasi di re-
Simona Peloso
145
sponsabilità contrattuale, sulla base dell’esistenza di un accordo che ha recepito
le informazioni contenute nel prospetto, la cui erroneità od incompletezza ha
cagionato un danno contrattuale verso cui sono esperibili i tipici rimedi della ri-
soluzione o adempimento del contratto stesso ed il risarcimento del danno.
Nel caso in cui, invece, l’investitore danneggiato abbia concluso il contrat-
to con l’intermediario finanziario, il quale, a sua volta aveva acquistato i titoli
dall’emittente, sorgono dubbi circa i profili di responsabilità di quest’ultimo nei
confronti degli investitori. Un orientamento minoritario qualificava come pre-
contrattuale questa ipotesi di responsabilità per lesione dell’ affidamento
dell’emittente, in quanto questi, nella fase delle trattative e della formazione del
contratto, è gravato dai c.d. obblighi di protezione. L’inadempimento di questi
ultimi costituisce violazione del principio di buona fede nelle trattative ex art.
1337 c.c.
Questa concezione viene superata muovendo dall’assunto che tra
l’emittente e l’investitore non si instaura alcun contatto sociale e deve convenir-
si quindi per una responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c.
Ulteriore problema che affronta l’autore inerisce la responsabilità delle
società di revisione al fine di verificare che il bilancio di una società non presenti
errori significativi, tali da condizionare le valutazioni di terzi estranei. La respon-
sabilità delle società di revisione è oggi disciplinata dal d.lgs 39/2010, all’art. 15.
Vi sarà responsabilità contrattuale nei confronti della società assoggettata a re-
visione, in forza dell’inadempimento degli obblighi contenuti nel contratto di
prestazione dell’ attività di revisione. Le peculiarità introdotte dalla disciplina
speciale sono la responsabilità solidale di tutti i soggetti coinvolti (società di re-
visione, revisore legale, responsabile della revisione, amministratori della socie-
tà) ed il termine di prescrizione abbreviato della metà.
Il secondo tipo di responsabilità ha natura aquiliana, inerendo il rapporto
Considerazioni su ”La responsabilità civile delle agenzie di rating”
146
tra la società di revisione ed i terzi investitori, estranei al rapporto principale. Il
problema che in questa ipotesi si pone è l’enorme difficoltà, in capo
all’investitore, di provare il nesso causale tra il danno lamentato e
l’inadempimento della società di revisione.
A fini di completezza, l’autore analizza anche un terzo modello di respon-
sabilità, ovvero quello degli analisti finanziari. Nel caso in cui l’analista riceva di-
rettamente l’incarico dall’investitore o dalla società, e cagiona in seguito dei
danni alla controparte, incorrerà in una responsabilità di tipo contrattuale e ne
risponderà ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218 e 1453 c.c. ; nel caso
invece in cui operi in qualità di dipendente di un ente, sarà l’ente stesso a ri-
spondere dei danni derivanti alla controparte (a titolo contrattuale) o ai terzi (a
titolo extracontrattuale).
Nell’ultimo capitolo infine, l’autore tratteggia in maniera puntuale i con-
fini della responsabilità extracontrattuale delle agenzie di rating.
La giurisprudenza statunitense, in costante evoluzione, ha reso ad oggi
più flessibile l’orientamento iniziale che subordinava il riconoscimento della re-
sponsabilità civile delle agenzie di rating alla sola prova della condotta dolosa.Il
legislatore comunitario, invero, nel tentativo di uniformare la disciplina ed e-
vitare lacune normative, ha prestato particolare attenzione alla tutela
dell’investitore recependo le proposte di accrescere la trasparenza e l’accesso
alle informazioni e nel contempo migliorare la qualità delle procedure di forma-
zione e revisione dei rating.
Funzione della responsabilità civile delle agenzie di rating è quella di for-
nire agli investitori un ulteriore strumento di tutela a fronte di eventuali com-
portamenti ingannevoli dei principali attori dei mercati finanziari.
Radice comune della responsabilità di questi soggetti è l’inesattezza delle
informazioni economiche messe in circolazione, essendo il diritto a ricevere una
Simona Peloso
147
informazione adeguata uno dei diritti fondamentali di investitori e consumatori
in genere. Si assume violato un legittimo affidamento che i terzi ripongono nella
corretta esecuzione della prestazione. La responsabilità deve essere ripartita tra
i diversi intermediari a scenda del ruolo svolto e, nello specifico, le società di
rating vanno distinte proprio perché in grado di creare negli investitori un mag-
giore e più convinto affidamento. Questo affidamento si basa sul valore reputa-
zionale delle agenzie (credibilità e competenza tecnica). Appare evidente, quin-
di, la natura aquiliana della responsabilità imputabile alle agenzie per i danni ca-
gionati agli investitori a causa del peggioramento delle condizioni economiche
dell’emittente nel periodo in cui è stato giudicato positivamente dai raters.
Un volume, in conclusione, interessante e attento nel metodo e nel con-
tenuto che, per l'attualità dell'argomento trattato, sarà una utile lettura anche
per i non addetti ai lavori.
Simona Peloso
PARTE SECONDA
NOTE ED OSSERVAZIONI A SENTENZA
Corte dell’EFTA
59
JUDGMENT OF THE COURT
28 January 2013
(Directive 94/19/EC on deposit-guarantee schemes – Obligation of result
–Emanation of the State – Discrimination) In Case E-16/11
Composed of: Carl Baudenbacher, President and Judge Rapporteur, Páll
Hreinsson, and Ola Mestad (ad hoc), Judges, Registrar: Gunnar Selvik.
EFTA Surveillance Authority, represented by
Xavier Lewis, Director, and Gjermund Mathisen, Officer, Department of Legal &
Executive Affairs, acting as Agents,
applicant,
supported by the
European Commission, represented by its Agents Enrico Traversa, Albert
Nijenhuis and Karl-Philipp Wojcik,
intervener,
v.
Iceland, represented by Kristján Andri Stefánsson, Agent, Tim Ward QC, Lead
counsel, Jóhannes Karl Sveinsson, Co-counsel,
defendant,
APPLICATION for a declaration that by failing to ensure payment of the
minimum amount of compensation to Icesave depositors in the Netherlands
and in the United Kingdom provided for in Article 7(1) of the Act referred to at
point 19a of Annex IX to the Agreement on the European Economic Area
(Directive 94/19/EC of the European Parliament and of the Council of 30 May
Giurisprudenza
60
1994 on deposit-guarantee schemes) within the time limits laid down in Article
10 of the Act, Iceland has failed to comply with the obligations resulting from
that Act, in particular its Articles 3, 4, 7 and 10, and/or Article 4 of the
Agreement on the European Economic Area.
...(omissis)...
Findings of the Court
Introductory remarks
117 For the purposes of the first plea, it has to be assessed whether in a
systemic crisis of the magnitude experienced in Iceland the Directive itself
envisages that the defendant should have ensured payment to depositors in the
Icesave branches in the Netherlands and the United Kingdom in accordance
with Articles 3, 4, 7 and 10 of the Directive. Moreover, it must also be assessed
whether the defendant has infringed the alleged obligation of result.
118 The Court recalls at the outset that a failure to fulfil obligations can be
found only if there is, upon expiry of the period laid down in the reasoned
opinion, a situation contrary to EEA law which is objectively attributable to the
EEA State concerned (see, for example, Case E-8/11 ESA v Iceland [2011] EFTA
Ct. Rep. 467, paragraph 34).
119 Consequently, the nature of the result to be achieved is determined by the
substantive provisions of the individual directive in question.
120 As the first plea concerns the question whether the alleged obligation of
result follows directly from the Directive, it must be kept in mind that, as set out
in Article 7 EEA, one of the principal characteristics of directives is precisely that
they are intended to achieve a specific result whilst leaving it to the EEA States
and their national authorities how to achieve this objective. In any case, there is
a general obligation on the EEA States to ensure that the provisions of a
directive are fully effective.
Corte dell’EFTA
61
...(omissis)...
135 In view of the above, pursuant to Article 3 of the Directive, EEA States have
to introduce and officially recognise a deposit-guarantee scheme. Moreover,
they have to fulfil certain supervisory tasks in order to ensure the proper
functioning of the deposit-guarantee scheme. However, it is not envisaged in
that provision that EEA States have to ensure the payment of aggregate
deposits in all circumstances.
136 Article 7(1) of the Directive specifies the minimum coverage for aggregate
deposits that must be provided in the event of deposits being unavailable
(compare Paul and Others, cited above, paragraph 27). It provides for minimum
harmonisation as regards the level of coverage for individual deposits.
137 It follows from the words “[d]eposit-guarantee schemes shall stipulate...”
that an obligation is imposed on EEA States to ensure that national rules are
adopted or maintained which require a coverage level of at least EUR 20 000.
138 With the adoption of Directive 2009/14, the wording of Article 7(1) of the
Directive has been replaced. The new version states that “Member States shall
ensure that the coverage for the aggregate deposits of each depositor shall be
at least EUR 50 000 in the event of deposits being unavailable”. Moreover, a
new paragraph 1(a) has been introduced in Article 7 which lays down that
Member States shall ensure by 31 December 2010 that the coverage for the
aggregate deposits of each depositor shall be set at EUR 100 000 in the event of
deposits being unavailable.
139 It appears that under the new version of the provision EEA States are
obliged to ensure a certain level of coverage. Whether this obligation is limited
to a banking crisis of a certain size would require further assessment. However,
that question can be left open here since, as mentioned above (see paragraph
124), Directive 2009/14 is not applicable in the present case.
Giurisprudenza
62
140 At any rate, the rewording of Article 7 of the Directive shows that the
European legislature considered substantial change necessary to extend the
responsibility of the EEA States beyond the establishment of an effective
framework.
141 This supports the view that the obligation on the EEA States under the
version of the provision applicable in the case at hand is limited to ensuring that
national rules which require a coverage level of at least EUR 20 000 are
maintained or adopted.
142 Pursuant to Article 7(6) of the Directive, EEA States have to ensure that the
depositor’s right to compensation may be the subject of an action by the
depositor against the guarantee schemes. The scope of this provision
encompasses the scenario that a deposit-guarantee scheme might be unable to
pay duly qualified claims.
143 However, the obligation on the EEA States is limited to the maintenance or
adoption of rules that provide for an effective right to file an action against the
guarantee scheme particularly in the case of non-payment (compare Paul and
Others, cited above, paragraph 27).
144 Consequently, it must be held that Article 7 of the Directive does not lay
down an obligation on the State and its authorities to ensure compensation if a
deposit guarantee scheme is unable to cope with its obligations in the event of a
systemic crisis.
145 Article 10 of the Directive establishes time limits for the payments of
guarantee schemes to depositors. This follows from the exceptions provided for
in Article 10(3) and (5) which refer expressly to “the time limit laid down in
paragraphs (1) and (2)”.
146 However, the mandatory language of the English version of Article 10(1) of
the Directive, i.e. “[d]eposit-guarantee schemes shall be in a position to pay ...
Corte dell’EFTA
63
within three months of the date on which the competent authorities ...”,
establishes merely a procedural obligation, as it refers only to the binding
nature of the three month period prescribed therein.
147 The importance of timely payments by the guarantee scheme is further
emphasized in Article 10(2) of the Directive. Under this provision, a guarantee
scheme may apply to the competent authorities for an extension of the time
limit set out in Article 10(1) of the Directive only in wholly “exceptional
circumstances” and in “special cases”. The Directive does not contain a
definition of those terms.
148 Accordingly, pursuant to Article 10(2) of the Directive, EEA States and their
competent authorities are under an obligation to supervise and ensure that
deposit-guarantee schemes are, as a rule, not released from the short deadline
established in Article 10(1) of the Directive, which forms the general rule.
However, an obligation on the State and its national authorities to ensure
compensation if a deposit-guarantee scheme is unable to cope with its
obligations under exceptional circumstances such as in a systemic crisis cannot
be derived from that provision.
149 In view of the above, the Court finds that the obligation on EEA States
under Article 10 of the Directive is limited to provide for a mandatory and
effective procedural framework with respect to time limits.
150 Furthermore, reference should be had to Articles 1(3) and 9(3) and recitals
3, 10 and 25 in the preamble to the Directive. However, these provisions show
that the Directive deals – at least primarily – with a failure of individual banks
and not with a systemic crisis.
...(omissis)...
175 However, in light of the present assessment of the Directive, the result to
be achieved is limited, particularly having regard to the fact that the Directive
Giurisprudenza
64
aims at minimum harmonization in relation to the level of coverage and does
not provide for any harmonization as regards the level and mechanisms of
funding.
176 Accordingly, the reservation set out in recital 24 in the preamble to the
Directive aims expressly to preclude an excessive shifting to the State of the
costs arising from a major banking failure. (See, by way of illustration, Michel
Tison, “Do not attack the watchdog! Banking supervisor’s liability after Peter
Paul”, Working Paper Series, Financial Law Institute, Universiteit Gent 2005, p.
25, including footnote 81).
177 Consequently, recital 24 in the preamble to the Directive does not support
the existence of the alleged obligation of result.
178 In view of the above, the Court holds that the Directive does not envisage
that the defendant itself must ensure payments to depositors in the Icesave
branches in the Netherlands and the United Kingdom, in accordance with
Articles 7 and 10 of the Directive, in a systemic crisis of the magnitude
experienced in Iceland.
179 In any event, as the defendant correctly argued, the alleged obligation of
result also cannot be derived from the ECJ’s ruling in Paul and Others. The case
at hand must be distinguished from that earlier case on the facts. Paul and
Others dealt mainly with the alleged liability of the German authorities resulting
from negligence in the conduct of banking supervision, and the question
whether the supervisory obligation imposed on national authorities under
Article 3(2) to (5) of the Directive precluded a limitation of State liability under
national law in relation to such supervision. Furthermore, in Paul and Others,
the national court had already held the State concerned to be liable under the
principle of State liability to the amount provided for in Article 7(1) of the
Directive.
Corte dell’EFTA
65
180 Finally, a comparison with other secondary law also does not confirm the
existence of the alleged obligation of result. It is recalled in this regard that the
content of the result to be achieved is determined by the substantive provisions
of the individual directive. In any event, the ECJ’s ruling in Blödel-Pawlik (Case C-
134/11, judgment of 16 February 2012, not yet reported) does not support the
applicant’s plea. This case concerned the obligations of a travel organizer and its
insurer. According to the ECJ, the obligation of result imposed on the State by
Directive 90/314 was to ensure that a travel organizer is liable to the consumer
for proper performance of the contract. However, the ECJ did not hold that
there is an obligation on the State itself to pay compensation if a travel
organizer is unable to meet its obligations.
Emanation of the State
181 The applicant and the intervener have argued that the TIF, a private
foundation under Icelandic law, is an emanation of the State.
182 However, the case at hand concerns whether there is an obligation of result
placed upon the State under the Directive, in the manner described in ESA’s
application.
183 Hence, the question is of no significance for the assessment of the first plea.
184 For the sake of good order, the Court simply adds that, in any event, the
applicant has adduced insufficient evidence to support its claim that the TIF is
directly or indirectly operated by public authorities, i.e. under the control of the
Icelandic State (see, for comparison, Case C-356/05 Farrell [2007] ECR I-3067,
paragraph 41).
Conclusion
185 In light of all of the above, the first plea is dismissed.
...(omissis)...
Findings of the Court
Giurisprudenza
66
203 By its second and third pleas, the applicant contends that by covering
deposits in Iceland at least to the level prescribed by the Directive, and within
the time limits provided therein, and, at the same time, not providing foreign
depositors with at least that same minimum guarantee, the defendant has
infringed the Directive read in light of Article 4 EEA or has indirectly
discriminated on the basis of nationality which is prohibited by Article 4 EEA.
Discrimination contrary to the Directive read in light of Article 4 EEA
204 Article 4 EEA provides as a general principle that, within the scope of
application of the EEA Agreement, and without prejudice to any special
provisions contained therein, any discrimination on grounds of nationality shall
be prohibited.
205 Article 4 EEA applies independently only to situations governed by EEA law
for which the EEA Agreement lays down no specific rules prohibiting
discrimination (see Case E-1/00 Íslandsbanki-FBA [2000-2001] EFTA Ct. Rep. 8,
paragraphs 35 and 36, and case law cited).
206 Pursuant to Article 4(1) of the Directive, deposit-guarantee schemes
introduced and officially recognized in an EEA State in accordance with Article
3(1) of the Directive shall cover depositors at branches set up by credit
institutions in other EEA States.
207 Recital 3 in the preamble to the Directive states that in the event of the
closure of an insolvent credit institution the depositors at any branches situated
in a Contracting Party other than that in which the credit institution has its head
office must be protected by the same guarantee scheme as the institution’s
other depositors.
208 It follows from Article 4 of the Directive read in light of recital 3 in the
preamble that depositors at any branches established by credit institutions in
other EEA States shall belong to the guarantee scheme introduced and officially
Corte dell’EFTA
67
recognised in the home EEA State.
209 Moreover, the treatment of foreign and domestic depositors by the
depositguarantee scheme must be equal as regards payment of minimum
compensation under the Directive in the event of the closure of an insolvent
credit institution.
210 Thus, the principle of non-discrimination requires that there is no difference
in the treatment of depositors by the guarantee scheme itself and the way it
uses its funds. Thus, to that extent, discrimination under the Directive is
prohibited.
211 In the case at hand, it is undisputed that Landsbanki collapsed on 7 October
2008. Domestic deposits were transferred to New Landsbanki which was
established by the Icelandic Government between 9 and 22 October 2008. The
transfer was based on an FME decision of 9 October 2008.
212 The TIF was not involved in the transfer of the deposits. The transfer was
part of the restructuring of the Icelandic banks that was achieved by a series of
measures under the Icelandic Emergency Act.
213 On 27 October 2008, that is, within the 21 days prescribed in Article 1(3) of
the Directive, the FME made a statement that triggered an obligation for the TIF
to make payments as regards foreign deposits in branches of Landsbanki.
214 Moreover, domestic deposits did not become unavailable within the
meaning of Article 1(3) of the Directive. The transfer of domestic deposits to
New Landsbanki was made before the FME made its declaration triggering the
application of the Directive. Accordingly, depositor protection under the
Directive never applied to depositors in Icelandic branches of Landsbanki.
215 As has been stated above, the principle of non-discrimination inherent in
the Directive requires that there should be no difference in the way a deposit
guarantee scheme treats depositors, and the way it pays out its funds.
Giurisprudenza
68
216 In the present case, difference in treatment of this kind was not possible.
Consequently, the transfer of domestic deposits – whether it leads in general to
unequal treatment or not – does not fall within the scope of the
nondiscrimination principle as set out in the Directive.
Conclusion
217 The second plea has to be dismissed.
Discrimination contrary to Article 4 EEA
218 As regards the third plea, it is settled case-law that the principle of
nondiscrimination which has its basis in Article 4 EEA requires that comparable
situations must not be treated differently and that different situations must not
be treated in the same way. Discriminatory treatment may be justified only if it
is based on objective considerations independent of the nationality of the
persons concerned and is proportionate to the objective being legitimately
pursued (see, inter alia, Case E-15/11 Arcade Drilling, judgment of 3 October
2012, not yet
reported, paragraph 60, and case law cited).
219 At the time of the transfer, Icesave customers in the branches in the UK and
in the Netherlands, and their counterparts in Iceland found themselves in their
capacity as deposit holders in an insolvent Icelandic bank in a comparable
situation.
220 As regards the further assessment of the third plea, it must be recalled that
the application seeks only one declaration, namely, that, by failing to ensure
payment of the minimum amount of compensation to Icesave depositors in the
Netherlands and in the United Kingdom provided for in Article 7(1) of the
Directive within the time limits laid down in Article 10 of the Directive, the
defendant has infringed its obligations under EEA law. This application is based
on three pleas: (i) an infringement of the alleged obligation of result under the
Corte dell’EFTA
69
Directive itself, (ii) an infringement of the Directive and Article 4 EEA and (iii) an
infringement of Article 4 EEA alone.
221 The applicant has limited the scope of its application by stating that “the
present case does not concern whether Iceland was in breach of the prohibition
of discrimination for not moving over the entirety of deposits of foreign Icesave
depositors into ‘new Landsbanki’, as it did for domestic Landsbanki depositors.
The breach is constituted by the failure of the Icelandic Government to ensure
that Icesave depositors in the Netherlands and the United Kingdom receive
payment of the minimum amount of compensation provided for in the Directive
within the time limits laid down in the Directive, like it did for the domestic
depositors. The compensation of domestic and foreign depositors above and
beyond that minimum amount has not and is not being discussed in the context
of the present proceedings.”
222 Moreover, in its application, ESA underlines “that this does not prejudge its
view as to whether the discrimination relating to the compensation of
depositors above and beyond the level foreseen by the Directive is justifiable”.
223 Thus, having regard to the applicant’s self-limitation, the Court is bound to
assess whether the defendant was under a specific obligation to ensure that
payments were made to Icesave depositors in the Netherlands and the UK.
224 The Court has already held that the Directive, even read in light of Article 4
EEA, imposes no obligation on the defendant to ensure that payments are made
in accordance with the requirements of the Directive to Icesave depositors in
the Netherlands and the UK.
225 Thus, such an obligation of result could only be deemed to exist if it were to
follow directly from Article 4 EEA itself. Were this the case, the transfer of
domestic deposits to New Landsbanki would have led to an obligation to ensure
the payment of minimum compensation, as specifically provided for in the
Giurisprudenza
70
Directive.
226 This, however, is not required under the principle of non-discrimination.
Article 4 EEA requires that comparable situations must not be treated
differently. A specific obligation upon the defendant that, in any event, would
not establish equal treatment between domestic depositors and those
depositors in Landsbanki’s branches in other EEA States cannot be derived from
that principle. Consequently, this plea cannot succeed on the basis of Article 4
EEA.
227 For the sake of completeness, the Court adds that even if the third plea had
been formulated differently, one would have to bear in mind that the EEA States
enjoy a wide margin of discretion in making fundamental choices of economic
policy in the specific event of a systemic crisis provided that certain
circumstances are duly proven. This would have to be taken into consideration
as a possible ground for justification. In the earlier case of Sigmarsson, the
applicant itself underlined this point (see Sigmarsson, cited above, paragraphs
42 and 50).
Conclusion
228 In view of the above, also the third plea has to be dismissed.
229 Accordingly, the Court holds that, by failing to ensure payment of the
minimum amount of compensation to Icesave depositors in the Netherlands
and in the United Kingdom provided for in Article 7(1) of the Act referred to at
point 19a of Annex IX to the Agreement on the European Economic Area
(Directive 94/19/EC of the European Parliament and of the Council of 30 May
1994 on deposit-guarantee schemes) within the time limits laid down in Article
10 of the Act, Iceland has not failed to comply with the obligations resulting
from that Act, in particular Articles 3, 4, 7 and 10 thereof, and/or Article 4 of the
Agreement on the European Economic Area.
Corte dell’EFTA
71
...(omissis)...
THE COURT
hereby:
1. Dismisses the application.
2. Orders the EFTA Surveillance Authority to pay its own costs
and the costs incurred by Iceland.
3. Orders the European Commission to bear its own costs.
Carl Baudenbacher Páll Hreinsson Ola Mestad
Delivered in open court in Luxembourg on 28 January 2013
Thomas Christian Poulsen Carl Baudenbacher
Acting Registrar President
Giurisprudenza
72
LA DIRETTIVA SUI SISTEMI DI GARANZIA DEI DEPOSITI
SI APPLICA IN PRESENZA DI CRISI SISTEMICHE?
BREVI RIFLESSIONI SULLA SENTENZA DELLA CORTE
DELL'EFTA (28 GENNAIO 2013, NELLA CAUSA E-16/11).∗∗∗∗
SOMMARIO: 1. Il fatto – 2. L’applicabilità della direttiva comunitaria sui sistemi di tutela dei
depositi in presenza di crisi sistematiche – 3. Tutela dei diritti fondamentali e misure anticrisi –
4. Considerazioni conclusive
Occorre, in via preliminare, prendere le mosse della presente indagine
riassumendo brevemente le vicende che hanno coinvolto, di recente, l'Islanda,
con particolare riferimento alle criticità dei rapporti instauratisi con l'Inghilterra
e l'Olanda. La controversia fra i Paesi in questione è diretta conseguenza della
crisi del sistema creditizio che, a partire dal 2006, ha coinvolto le tre principali
banche dell'isola (Glitnir Bank, Kaupthing Bank e Landsbanki); crisi favorita dalla
deregolamentazione bancaria e dal facile accesso al mercato di capitali europeo
(a seguito dell'adesione al SEE, Spazio Economico Europeo), donde la significati-
va esposizione debitoria delle medesime per somme il cui ammontare eccede-
vano il prodotto interno lordo dell'intero paese1. Da qui l'apertura di succursali
(denominate Icesave) nel Regno Unito e nei Paesi Bassi, sì da attrarre risparmia-
tori stranieri, attraverso l'attivazione di conti on line, offrendo loro alti tassi di
∗ Contributo approvato dai revisori 1 Cfr., per tutti, MAJUMDAR, Aluminium, fish and some unusual collateral: the pitfalls of lending on the security of your own shares, in Butterworths Journal of International Banking and Financial Law, July/August, 2011, pp. 386 ss. Con riguardo, invece, al processo di adesione dell'Islanda all'Unione europea, cfr., di recente, CLARK - JONES, After “the collapse”: Strategic selectivity, Icelandic state elites and the management of European Union accession, in Political Geography, 31, 2012, pp. 64 ss.; DI STEFANO, Northern steps of EU enlargement: the impact of cohesion policies on Iceland's accession process, in Riv. giur. mezz., 4, 2011, pp. 1145 ss.
Corte dell’EFTA
73
interesse; manovra giustificata dalla necessità delle banche di reperire liquidità
a seguito del rallentamento della crescita dell'economia del paese ed in conse-
guenza del giudizio negativo espresso dalle agenzie di rating sulla loro affidabili-
tà. Si era in presenza, tuttavia, di “un gigante con i piedi di argilla”2 prossimo alla
caduta; e ciò nonostante l'adozione da parte del governo di misure urgenti di-
rette ad assicurare adeguate forme di protezione ai risparmiatori3, le quali, tut-
tavia, si mostrarono incapaci di evitare la nazionalizzazione della Landsbanki.
Per arginare il timore, diffusosi tra i correntisti britannici ed olandesi, di
perdere definitivamente le somme depositate in Icesave, i rispettivi Paesi di ap-
partenenza decisero di permettere loro il ricorso ai propri fondi di garanzia
(l'Inghilterra per l'intero ammontare mentre l'Olanda per un importo massimo
pari a 100.000,00 euro), avanzando, poi, pretese nei confronti dell'Islanda; al ri-
guardo, significativa fu la decisa presa di posizione del governo inglese che, fa-
cendo leva sulla normativa anti-terrorismo del 20014, giustificò il freezing order5
2 In questi termini, DE VIDO, Prime conseguenze finanziarie della crisi finanziaria:la contro-versia tra Islanda e Regno Unito, in Dir. comm. int., 1, 2012, p. 111. 3 Misure che hanno trovato la loro base giuridica nel seguente provvedimento: Act No. 125/2008 on the Authority for Treasury Disbursements due to Unusual Financial Market Cir-cumstances etc. consultabile sul sito internet eng.forsaetisraduneyti.is. In particolare, significati-ve erano le disposizioni (contenute nell'art. 5), secondo le quali “unusual circumstances or e-vents refers” avrebbero giustificato la convocazione da parte dell'Autorità di vigilanza dell'as-semblea degli azionisti delle banche. Inoltre, se le circostanze lo avessero richiesto “the Financial Supervisory Authority may assume the powers of the shareholders’ meeting or meeting of guarantee capital holders for the purpose of taking decisions on necessary measures, including limiting the decision-making power of the Board, dismissing the Board in whole or in part, taking over the operations of the financial undertaking in whole or in part, or disposing of such an undertaking in whole or in part, including merging it with another undertaking”. 4 Anti-terrorism, Crime and Security Act 2001, introdotta il 19 novembre 2001, consultabile sul sito internet www.legislation.gov.uk, secondo il quale (art. 4, pt. II), “the Treasury may make a freezing order if the following two conditions are satisfied. The first condition is that the Treasury reasonably believe that: (a) action to the detriment of the United Kingdom’s economy (or part of it) has been or is likely to be taken by a person or persons, or (b) action constituting a threat to the life or property of one or more nationals of the United Kingdom or residents of the United Kingdom has been or is likely to be taken by a person or persons”. 5 Sulla legittimità di tale operazione, cfr. DE VIDO, Prime conseguenze finanziarie della crisi finanziaria:la controversia tra Islanda e Regno Unito, op. cit., pp. 119 ss. In altri termini, l'or-dine impartito dal governo inglese consisteva nel congelamento di tutti gli attivi delle succursali
Giurisprudenza
74
(e, dunque, il congelamento dei conti Icesave di cui fossero titolari i cittadini del
proprio paese) e , per tale via, aggravò la situazione economica islandese6. Ne
seguì l'adozione di accordi negoziali in ordine al rimborso delle somme anticipa-
te; accordi, tuttavia, rigettati in sede di referendum popolari con percentuali e-
levate di dissensi (circa il 94%)7.
A ben considerare, il motivo del contendere non riguardava tanto l'obbli-
go, posto a carico del fondo interbancario islandese, di assicurare il rimborso ai
correntisti stranieri aventi depositi presso Icesave (ovvero ai paesi che nel frat-
tempo avevano offerto loro l'opportunità di ricorrere ai rispettivi fondi di garan-
zia nonostante non vi fossero tenuti), quanto la quantificazione dell'importo da
pagare. A conferma di quanto detto, è sufficiente richiamare la pronuncia della
Corte Suprema Islandese (n. 340 del 28 ottobre 2011)8, che, nel 2008, stabilì
come i correntisti (senza distinguere tra quelli residenti o stranieri) dovessero
essere rimborsati prima di ogni altro creditore nell'ambito della procedura di li-
quidazione della Landsbanki; fermo restando, tuttavia, che il fondo di garanzia
islandese per la salvaguardia dei depositi aveva una capienza insufficiente a
soddisfare le ragioni dei risparmiatori inglesi ed olandesi. Ne derivò il ricorso alla
della Landsbanki dislocate nel Regno unito; ordine motivato dal timore che le competenti auto-rità islandesi potessero non rimborsare i depositi attivi presso le sedi distaccate in Inghilterra. Come evidenziato dalle autorità inglesi lo scopo di questo intervento “was to prohibit the flow of funds held or controlled by Landsbanki's UK branch out of the UK and back to Iceland” (cfr., al riguardo, il Memorandum from HM Treasury to the Joint Committee on Statutory Instruments del 20 ottobre 2008, consultabile sul sito internet www.publications.parliament.uk). 6 Cfr. PINEDO, The Icesave Dispute in the Aftermath of the Icelandic Financial Crisis: Revisiting the Principles of State Liability, Prohibition of State Aid and Non-Discrimination in European Law, in European Journal of Risk Regulation, vol. 2, 3, 2011, p. 358 “the terrorism stamp destroyed what little faith the outside world had in many Icelandic businesses and blocked off numerous economic lifelines, making it effectively impossible to transfer funds between Iceland and the outside world for several months”. Sul punto, cfr., altresì, MAJUMDAR, Aluminium, fish and some unusual collateral: the pitfalls of lending on the security of your own shares, op. cit., p. 115. 7 Cfr. PINEDO, Iceland and the Eu: Bitter Lessons After the Bank Collapse and the Icesave Dispute, in Contemporary Legal and Economic, 3, 2011, pp. 9 ss. 8 Consultabile sul sito internet www.haestirettur.is.
Corte dell’EFTA
75
Corte dell'EFTA (European Free Trade Association) da parte degli Stati interessa-
ti a far valere la pretesa violazione da parte delle istituzioni islandesi della nor-
mativa comunitaria sulla garanzia dei depositi (direttiva 94/19/CE, nella sua ver-
sione modificata dalla direttiva 2009/14/CE)9.
Con il provvedimento in commento si giunge all'epilogo della controver-
sia e viene confermata la legittimità delle misure adottate dal governo islande-
se. La Corte, infatti, ha stabilito che la direttiva, nel caso di specie, non fu viola-
ta; a ciò aggiungasi che la condotta assunta dalle autorità dell'isola non ha, in al-
cun modo, pregiudicato gli interessi dei correntisti (siano essi ivi residenti, olan-
desi o britannici). Il provvedimento in parola offre l'opportunità di esaminare la
problematica questione dell'applicabilità o meno del limite di identificazione
dell'ammontare dei depositi garantiti, oltre all'ipotesi di default di una banca,
anche all'eventualità di crisi che coinvolgono l'intero sistema creditizio di un de-
terminato Paese. Va da sé che la questione incide su consolidati diritti che con-
traddistinguono i sistemi democratici; ci si riferisce, in particolare, a quello di
proprietà (art. 42 Cost.). Ciò premesso ci si deve chiedere se misure idonee a
comprimere detto diritto siano legittime in presenza di realtà a fronte delle qua-
li una diversa condotta sia in grado di ingenerare conseguenze gravissime non
solo di carattere economico finanziario, ma anche di natura sociopolitica (qualo-
ra ad un prevedibile default si accompagni un sovvertimento dell'ordine sociale
destinato a sfociare inevitabilmente in moti di piazza).
2. Il provvedimento in parola si colloca in un momento storico partico-
larmente delicato per le sorti di diversi Paesi dell'eurozona (e non solo); ci si ri-
9 Per una disamina sui caratteri della Corte EFTA e sui rapporti con la Corte CE, cfr., GALLO, I rapporti tra Corte Efta e Corte CE nell'ambito del processo di "cross-fertilization" tra le due giurisprudenze, in Dir. un. europ., 1, 2007, p. 153 ss. e ID., Nuovi sviluppi in tema di rapporti tra Corte Efta e Corte CE: la sentenza Pedicel a/s and Sosialog helsedirektoratet, in Studi in-tegr. europ., 2, 2006, pp. 367 ss., nota a Corte EFTA, 25 febbraio 2005, causa E-4/04.
Giurisprudenza
76
ferisce, in particolare, all'adozione da parte delle istituzioni comunitarie di inter-
venti (anche impopolari, in taluni casi) diretti ad assicurare la sopravvivenza
stessa dell'UEM10. In ragione di tale finalità sono state intraprese pregnanti poli-
tiche di austerity in alcuni Stati dell'Unione che, più degli altri, hanno subito gli
effetti negativi della crisi; ne è derivata l'adozione di rigorose misure che, talvol-
ta, hanno coinvolto, pregiudicandoli, gli interessi dei privati. Sintomatiche, al ri-
guardo, sono le operazioni di ristrutturazione del debito greco e gli invisi prov-
vedimenti assunti, di recente, in Cipro; rimedi che, per un verso, testimoniano
l'intento di garantire continuità al progetto europeo, per altro favoriscono il pro-
liferare di sentimenti euroscettici11 contribuendo, per tale via, ad alimentare un
clima di generale instabilità finanziaria12.
Problematiche non dissimili da quelle testé riscontrate si rinvengono nel-
la fattispecie qui in commento; infatti, nel caso posto all'attenzione della Corte è
ravvisabile un pregiudizio delle istanze dei risparmiatori in ragione di quelle col-
lettive: la risoluzione della crisi bancaria evitando, al contempo, di gravare sui
bilanci già dissestati dello Stato. In una prospettiva che tenga in debito conto
entrambi gli interessi in gioco, la somma da pagare ai titolari dei conti correnti
detenuti dai cittadini inglesi e olandesi presso la banca islandese sarebbe dovuta
essere commisurata alla soglia fissata dalla direttiva 2009/14/CE (nel limite,
dunque, di 100.000,00 euro per ciascun depositante). Da quest'angolo visuale
10 In argomento, cfr., di recente, per tutti, CAPRIGLIONE, Mercato Regole Democrazia. L'UEM tra euroscetticismo e identità nazionali, Torino, 2013. 11 Per uno studio sul concetto di euroscetticismo, cfr., LACONTE, Understanding Euroscepti-cism, Palgrave Macmillan, 2010. Di recente, si veda CERNIGLIA, L’euroscetticismo in tempo di crisi, in Il Mulino, 1, 2013, pp. 104 ss. 12 Cfr. CAPRIGLIONE - SEMERARO, Crisi finanziaria e debiti sovrani. L'unione Europea tra rischi ed opportunità, Torino, 2012, p. 15, i quali sottolineano come nella costruzione delineata dal trattato di Maastricht vi sia un intrinseco limite consistente “nel rimettere il fondamento cau-sale dell'Unione ad un legame di natura meramente associativa tra i paesi membri”, sì da incide-re “sulla coesione del relativo assetto istituzionale”, donde “le difficoltà di tener in vita la mone-ta unica in assenza di una pregressa, sottostante unità politica”.
Corte dell’EFTA
77
avrebbe trovato piena attuazione lo scopo che si ascrive alla direttiva in parola;
finalità che consiste, per l'appunto, nella determinazione di una soglia entro la
quale non è possibile, dunque, sacrificare le esigenze dei risparmiatori13.
Come confermato dal provvedimento in commento non sorgono dubbi
circa l'applicabilità, al caso di specie, della direttiva sui sistemi di tutela dei de-
positi; è solo il caso di ricordare, infatti, che la medesima produce effetti anche
nei riguardi dei Paesi facenti parte dell'Area Economica Europea (EEA)14. Tutta-
via, l'organo giudicante in questione sottolinea come il parametro di riferimento
per identificare quanto dovesse essere rimborsato ai correntisti inglesi ed olan-
desi non fosse quello indicato dalla direttiva 2009/14/CE dell'11 marzo 2009
(che aveva fissato a 100.000,00 euro il limite minimo di tutela), e ciò in quanto
“the judgment in the present case must be based on the Directive as it stood at
the relevant time” (par. 124). In altri termini, pur riconoscendo le ragioni dei Pa-
esi coinvolti nella vicenda del default della banca islandese, la Corte evidenzia
che il quantum da indennizzare fosse da stabilire sulla base della direttiva nella
sua versione originaria e dalle leggi locali; sul punto, decisiva è la condivisibile
considerazione che all'epoca dei fatti la nuova normativa non fosse in vigore.
Va, altresì, evidenziato che le istanze avanzate dall'Islanda sono state
premiate anche in ragione di condotte non considerate discriminatorie tra de-
positanti stranieri e quelli nazionali; al riguardo, i ricorrenti sostenevano che
“the domestic deposits were moved to new banks and were covered in full”
laddove, invece, i “foreign depositors did not even enjoy the minimum guaran-
13 Sul punto, cfr., CAPRIGLIONE - CERCONE, Commento all'art. 96, in Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia diretto da F. Capriglione, tomo II, Padova, 2012, pp. 1215 ss., nonché GALANTI, Commento sub artt. 96-96-quater T.U.B., in AA.VV. , Disciplina delle banche e degli intermediari finanziari, a cura di F. Capriglione, Padova, 2000, pp. 400 ss. Al riguardo, il considerando n. 1 della direttiva 2009/14/CE, chiarisce l'intento di “adottare tutte le misure necessarie per proteggere i depositi dei singoli risparmiatori”. 14 La direttiva 94/19/CE è stata recepita dall'Islanda con legge n. 98/1999 sulle garanzie dei de-positi e i sistemi di indennizzo degli investitori.
Giurisprudenza
78
tee laid down in the Directive”, sicché l'Islanda “has indirectly discriminated a-
gainst foreign depositors”. Inoltre, ad opinione degli istanti, l'adozione di un si-
stema efficace di garanzia dei depositi in grado di soddisfare, nei limiti della di-
rettiva, le ragioni dei risparmiatori (residenti ed esteri), rappresenta un obbligo
di risultato; donde la violazione da parte del governo Islandese del vincolo im-
posto. In argomento, invece, la Corte dell'EFTA non ravvisa in capo alle istituzio-
ni alcuna responsabilità diretta nell'ambito dell'attività svolta dal fondo inter-
bancario nazionale (come sostenuto dal governo islandese15), non rilevando,
come si è detto, alcuna condotta discriminatoria sanzionabile atteso che nessun
depositante (residente o straniero) aveva ricevuto pagamenti in base al sistema
di garanzia. Si aggiunga, inoltre, che, ad avviso dell'Autorità in questione, dalla
direttiva sui meccanismi di salvaguardia dei depositi non deriva alcun impegno
per lo Stato di assicurare il suo effettivo funzionamento in situazioni di difficoltà,
essendo sufficiente, ai fini di una sua corretta attuazione, la sola implementa-
zione del sistema di tutela.
Particolare interesse suscitano, altresì, le perplessità sollevate dalla
Corte in ordine all'applicazione della disciplina in oggetto con riguardo alle ipo-
tesi di crisi sistemiche. Nel testo del provvedimento (par. 139), infatti, si rinviene
quanto segue:
“It appears that under the new version of the provision, EEA States are
obliged to ensure a certain level of coverage. Whether this obligation is limited
to a banking crisis of a certain size would require further assessment”.
Più precisamente, l'Autorità in questione, sottolineando come la risolu-
zione della relativa problematica richieda valutazioni investigative ulteriori, a-
15 Cfr. ISLANDIC MINISTRY OF ECONOMIC AFFAIRS, Response to the reasoned opinion of the Authority, dated 10 June 2011, concerning alleged failure of Iceland to comply with obligations under directive 94/19/EC of the European Parliament and of the Council of 30 May 1994 on deposit-guarantee schemes and/or Article 4 of the EEA Agreement, consultabile sul sito internet www.mfa.is.
Corte dell’EFTA
79
vanza dubbi sulla possibilità che l'intera disciplina sui sistemi di tutela dei depo-
siti possa trovare cittadinanza anche in presenza di crisi bancarie di dimensione
ampie (par. 178).
Ci si deve domandare, dunque, se, al di là dell'ipotesi espressamente con-
templata dalla normativa (quella cioè del default di una banca), essa debba es-
sere rispettata anche in presenza di crisi più estese in grado di pregiudicare l'in-
tero sistema bancario di un determinato Paese. La problematica suesposta im-
plica evidentemente la preliminare verifica della legittimità o meno di provve-
dimenti diretti ad incidere sui diritti fondamentali della persona; provvedimenti
giustificati da fenomeni recessivi di gravità tale da minare l'essenza stessa di uno
Stato. Ciò posto, non va trascurato il dato secondo il quale politiche di austerity
(come quelle adottate in Grecia e in Cipro) possono compromettere fortemente
la fiducia degli investitori e dei risparmiatori16; ne consegue l'inevitabile perdita
di credibilità dell'intero apparato finanziario e bancario in questione. In siffatta
prospettiva la constatazione della marginalità di paesi come Cipro e l'Islanda (i
quali, in effetti, rappresentano soltanto una piccola percentuale dell'economia
europea), non tranquillizza, pertanto, in ordine al possibile ingenerarsi di effetti
collaterali negativi connessi alla dilagante diffidenza sull'effettiva solidità e stabi-
lità economica europea.
16 Sul punto, cfr., di recente, KRUGMAN, Austerity, Italian Style, in New York Times del 25 febbraio 2013, p. 17, secondo il quale, le Nazioni “imposing harsh austerity suffered deep economic downturns; the harsher the austerity, the deeper the downturn. Indeed, this relationship has been so strong that the International Monetary Fund, in a striking mea culpa, admitted that it had underestimated the damage austerity would inflict”, peraltro l'austerità “hasn’t even achieved the minimal goal of reducing debt burdens. Instead, countries pursuing harsh austerity have seen the ratio of debt to G.D.P. rise, because the shrinkage in their economies has outpaced any reduction in the rate of borrowing”. Per il noto economista, dun-que, più dura è stata l’austerità, più profonda è stata la crisi; donde il dilagarsi di una nuova fase recessiva che ha comportato l'aumento della disoccupazione. Da apprezzare, invece, il lavoro svolto dalla BCE che comprando debito pubblico in stato di necessità, ha tranquillizzato i mer-cati obbligazionari e, per tale via, evitato la fine dell'euro.
Giurisprudenza
80
3. Potrebbe, dunque, una crisi sistemica giustificare (e, per tale via, ren-
dere legittimi) provvedimenti diretti a sacrificare diritti fondamentali della per-
sona17? Va da sé che un'eventuale risposta positiva a tale domanda potrebbe
rendere lecita ogni tipologia di intervento, purché assolutamente necessario.
Al riguardo, significativo è un recente provvedimento del Tribunale Costi-
tuzionale portoghese18; pronuncia che se, per un verso, appare condivisibile sul
piano del riconoscimento della rilevanza dei diritti fondamentali dell'individuo
anche in presenza di interventi adottati in costanza di crisi, per altro presta il
fianco a critiche di vario genere. Più precisamente, il Giudice ha considerato ille-
gittima la legge di bilancio portoghese relativa all'anno 2012, nella parte in cui
era prevista la sospensione del pagamento della tredicesima e quattordicesima
mensilità per i dipendenti pubblici con un determinato livello salariale (600 eu-
ro); trattasi di misure adottate nell'ambito degli impegni assunti nei confronti
della c.d. Troika a seguito degli aiuti finanziari dalla medesima elargiti e, pertan-
to, resesi necessarie per tentare di ristabilire equilibrio nel burrascoso contesto
finanziario dello Stato in questione19.
Si tenga ben presente che la dichiarazione di incostituzionalità del prov-
vedimento in parola deriva dall'inaccettabile disparità che esso creava tra il set-
17 Fermo restando che, come è stato osservato dalla dottrina (BIFULCO, Introduzione, in A-A.VV., Il diritto costituzionale alla prova della crisi, Napoli, 2012, p. 1), le recenti turbative economiche stanno modificando “nel profondo la struttura degli Stati, in termini costituzionali-stici la forma di Stato”. A riprova di tale mutamento l'Autore menziona, tra i vari provvedimen-ti, la recente legge cost. n. 1 del 2012 con la quale è stato introdotto, nella Costituzione, il pa-reggio di bilancio. 18 Tribunale Costituzionale del Portogallo del 5 luglio 2012 il quale si è pronunciato, con l’ A-córdão 353/ 2012, sulla legittimità degli articoli 21 e 25 della legge 64-B/2011 del 30 dicembre (Lei do Orçamento de Estado, Legge di bilancio relativa al 2012). Per un commento al provve-dimento si rinvia a ABBIATE, Le Corti costituzionali dinnanzi alla crisi finanziaria: una solu-zione di compromesso del Tribunale costituzionale portoghese, in Quaderni costituzionali, 1, 2013, pp. 146 ss. 19 Cfr. PINTO, The Memorandum of Understanding (Mou) of Specific Economic Policy Conditionality Celebrated Between Portugal and the Troika, in European Public Private Partnership Law Review, vol. 6, 2, 2011, pp. 220 ss.
Corte dell’EFTA
81
tore pubblico e quello privato; sicché “as razões de eficácia da medida adotada
na prossecução do objetivo da redução do défice público para os valores
apontados nos memorandos de entendimento não tem uma valia suficiente
para justificar a dimensão de tal diferença”, donde l'affermazione che tali
misure “podendo revelarse suficientemente eficientes do ponto de vista da
realização do interesse público, permitiriam um desagravamento da situação
daqueles outros contribuintes que auferem remunerações ou prestações sociais
pagas por verbas públicas”. Alla luce di tali considerazioni, la Consulta conclude
“que as normas que prevêem a medida de suspensão do pagamento dos
subsídios de férias e de Natal ou quaisquer prestações correspondentes aos 13.º
e, ou, 14.º meses, quer para pessoas que auferem remunerações salariais de
entidades públicas, quer para pessoas que auferem pensões de reforma ou
aposentação através do sistema público de segurança social, durante os anos de
2012 a 2014, violam o princípio da igualdade, na dimensão da igualdade na
repartição dos encargos públicos, consagrado no artigo 13.º da Constituição”20.
Decisivo, in argomento, è il richiamo operato dal Tribunale Costituzionale
portoghese alla violazione del principio generale di uguaglianza in quanto, a
seguito dell'approvazione della legge bilancio, il settore pubblico risultava
maggiormente penalizzato rispetto a quello privato; da qui il pregiudizio, sul
piano delle concretezze, degli interessi di una sola determinata categoria di
lavoratori e non anche di altra. Ai nostri fini, il provvedimento risulta di
particolare interesse; e ciò in quanto esso ribadisce che, anche in presenza di
crisi economiche di ampia portata, non è possibile pregiudicare i diritti
fondamentali della persona21. E' solo il caso di precisare che, in una fattispecie
molto simile a quella sottoposta al vaglio del Giudice delle leggi portoghese, la
20 Il testo del provvedimento è consultabile sul sito internet www.tribunalconstitucional.pt. 21 Cfr. ABBIATE, Le Corti costituzionali dinnanzi alla crisi finanziaria: una soluzione di com-promesso del Tribunale costituzionale portoghese, cit., p. 147.
Giurisprudenza
82
Corte Costituzionale italiana22 ha riconosciuto la necessità di contenere “la spe-
sa pubblica e di perseguire finalità di stabilizzazione finanziaria e rilancio della
competitività economica, al fine di fronteggiare la ben nota crisi economica na-
zionale ed internazionale”; e, tuttavia, gli interventi in materia devono concer-
nere”la collettività nel suo insieme, in virtù dei "doveri inderogabili" di cui all'art.
2” (e non solo, pertanto, i redditi da lavoro dipendente pubblico e, in misura
maggiore, quelli dei soli magistrati, con esclusione delle identiche condizioni di
tutti i percettori di reddito aventi la stessa capacità contributiva).
Si è in presenza, dunque, della presa d'atto da parte degli organi
costituzionali della necessità di mantenere inalterati, anche in momenti di crisi,
taluni principi costituenti le fondamenta di qualsivoglia ordinamento
democratico23; principi il cui pregiudizio minerebbe, dunque, l'essenza stessa di
uno Stato di diritto (si ha riguardo, in special modo ai principi di uguaglianza e di
proporzionalità degli interventi da assumere)24. Va, tuttavia, ribadita la difficoltà
di contemperare ragioni di natura pubblicistica (come quelle di risanamento di
bilancio) con interessi personali inviolabili25; il rischio, infatti, è l'adozione di
22 Cfr. CORTE COST., 11 ottobre 2012, n. 223, in Foro.it., 11, I, 2012, pp. 2896 ss. 23 Così, di recente, CIOLLI, I diritti sociali, in AA.VV., Il diritto costituzionale alla prova della crisi, cit., p. 97. Sottolinea l'Autrice, con riferimento ai diritti sociali, che “il legame con l'ugua-glianza sostanziale e soprattutto la dignità sociale fa sì” che la loro garanzia “costituisca un con-notato ineliminabile della democrazia”. 24 A ben considerare, la Corte costituzionale in presenza di particolari esigenze finanziarie ha sacrificato, ad esempio, la garanzia di diritti sociali. Cfr., sul punto, RAZZANO, Lo statuto co-stituzionale dei diritti sociali, 2012, consultabile sul sito internet www.gruppodipisa.it., secondo il quale (pp. 22 ss.) “il bilanciamento fra diritti sociali e le ragioni dell’equilibrio finanziario non è che un aspetto della riflessione costituzionale, che non sembra possa interamente restare as-sorbita nella giustizia del caso concreto - sia pure di quello che giunge dinanzi alla Corte costi-tuzionale - che interviene comunque a posteriori, rispetto a leggi già vigenti”. Per la giurispru-denza costituzionale, cfr., per tutte, Corte cost., n. 432 del 2005; Corte cost., n. 30 del 2004, Corte cost., n. 180 del 2001; Corte cost., n. 457 del 1998. Con particolare riguardo ai livelli es-senziali e alla competenza statale, si rinvia a Corte cost., n. 10 del 2010. 25 Cfr. CIOLLI, I diritti sociali, op. cit., p. 100, il quale sostiene che è possibile verificare l'inci-denza della crisi sulla tutela effettiva dei diritti in particolar modo in ambito sanitario ove la “maggiore aspettativa di vita, che è una conquista di civiltà”, viene considerata dal FMI solo “come una richiesta sempre maggiore di servizi sanitari”; donde il ridimensionamento delle pre-
Corte dell’EFTA
83
compromessi illogici e fuori controllo i quali rappresentano il più forte segnale
della condizione di precarietà nella quale attualmente versa, in particolar modo,
l'Europa. Si ha riguardo, più precisamente, alle conclusioni cui perviene il
Tribunale Costituzionale del Portogallo in ordine al caso suesposto; esso, infatti,
riconosce come le conseguenze della dichiarazione di incostituzionalità possono
pregiudicare l'intero apparato economico nazionale, donde la presa d'atto della
presenza di “uma situação em que um interesse público de excepcional relevo”.
Ne consegue, ad opinione dell'organo in parola, l'esigenza di rinviare gli
effetti della pronuncia in questione al 2013 (così come consentito dall'art. 282
della Costituzione portoghese), e ciò in ragione di esigenze pubblicistiche
considerate prioritarie (risanamento del bilancio e mancanza di tempo per
adottare misure alternative). Si è dell'avviso, tuttavia, che una volta constatato
come interventi di tal genere siano contrari a principi fondamentali sanciti dalla
Costituzione, essi non dovrebbero trovare attuazione nemmeno per un breve
lasso di tempo, se non a patto di rinnegare, seppure temporaneamente, i
capisaldi di uno Stato di diritto. Di certo non è possibile immaginare come
istanze basilari di ciascun Paese democratico possano sussistere "ad
intermittenza", sì da riemergere una volta concluso l'evento contingente che le
aveva accantonate.
Non è un caso, allora, che la decisione in parola sia stata assunta soltanto
a maggioranza, in quanto tre giudici su nove hanno sollevato perplessità sulla
sua coerenza logica nella parte in cui gli effetti dello stessa sono stati posticipati;
e ciò, per l'appunto, in quanto le ragioni che ne hanno giustificato la declatoria
di illegittimità sussistono anche durante la temporanea parentesi di efficacia26.
stazioni in materia sanitaria ad opera del legislatore che non interviene, invece, ad “implementa-re quelle strutture e quelle attività che permetterebbero la piena soddisfazione del diritto alla sa-lute”. 26 Cfr. ABBIATE, Le Corti costituzionali dinnanzi alla crisi finanziaria: una soluzione di com-
Giurisprudenza
84
La ricerca di compromessi sembra essere dunque il leitmotiv di interventi
giustificati da condizioni economiche particolarmente sfavorevoli; ciò induce a
guardare “con una certa preoccupazione all’eventualità che, specie nei momenti
di crisi, possa essere solo l’ “essenziale” (ovvero, in concreto, ciò che è conside-
rato tale dal legislatore) ad essere “garantito” dallo Stato”27. In questa prospet-
tiva deve leggersi una recente pronuncia della Corte costituzionale italiana che
ribadisce come in periodo di crisi il Parlamento deve, più di tutti, farsi carico del-
la tutela dei principi fondamentali28.
4. Il provvedimento in commento offre diversi spunti di riflessione. Ai fini
di una sua valutazione corretta, va, tuttavia, osservato quanto segue. Esso si ca-
ratterizza principalmente per aver stabilito che la disciplina applicabile al caso di
specie dovesse essere individuata in quella vigente all'epoca dei fatti; difficil-
mente sotto questo profilo può essere oggetto di critiche attesa la mancanza,
nella direttiva del 2009, di una clausola di retroattività. Inoltre, l'assenza di con-
dotte discriminatorie tra depositi nazionali e quelli stranieri dimostra una coe-
renza di fondo degli interventi adottati dalle istituzioni islandesi.
Con riguardo, invece, all'applicabilità o meno della direttiva sui sistemi di
promesso del Tribunale costituzionale portoghese, op. cit., p. 149 si sofferma sul ruolo ricoperto dalle Corti costituzionali durante la crisi nonché sul peso che la situazione economica può avere in ordine alle decisioni adottate. Sicché “da un lato, le Corti sembrano ribadire che la capacità di tenuta democratica degli Stati europei passa anche attraverso l’imprescindibile azione di accer-tamento giudiziario di conformità alla Costituzione, ma dall’altro – come mostra bene il caso portoghese – le esigenze finanziarie possono essere a tal punto pressanti da restringere i margini di azione dei giudici costituzionali”. 27 Cfr. TRUCCO, Livelli essenziali delle prestazioni e sostenibilità finanziaria dei diritti socia-li, p. 35, atti del Convegno tenutosi a Trapani(8-9 giugno 2012) dal titolo "I diritti sociali: dal riconoscimento alla garanzia. Il ruolo della giurisprudenza"; atti consultabili sul sito internet www.gruppidipisa.it. 28 Cfr. CORTE COST., 5 aprile 2013, n. 62, consultabile sul suo sito internet ufficiale, la quale, con riguardo alla questione di legittimità costituzionale relativa all'avvio della sperimentazione della "carta acquisti" nei comuni con più di 250.000 abitanti, evidenzia come la normativa sia “espressione di principi fondamentali in tema di "diritti sociali", di cui deve farsi carico il legi-slatore nazionale in tempi di grave crisi economica”.
Corte dell’EFTA
85
tutela dei depositi in presenza di crisi sistemiche, esso rimanda la risoluzione
della relativa problematica ad ulteriori valutazioni interpretative. Al presente,
tuttavia, non è dato conoscere l'impatto che il provvedimento della Corte Efta
potrà avere nel prossimo futuro; benché, infatti, essa abbia soltanto, al momen-
to, rinviato l'esito della questione sollevata, v'è il fondato pericolo che possa in-
staurarsi un preoccupante precedente giuridico sulla strada della coesione tra i
vari Stati dell'UEM. Infatti, l'ulteriore rischio che si cela dietro un'interpretazione
restrittiva della direttiva in parola (nel senso, dunque, di escluderne l'applicabili-
tà in momenti di crisi), è quello che possano emergere elementi aggiuntivi di di-
visione tra realtà già contraddistinte da molteplici diversità; ciò, infatti, esorte-
rebbe ciascun Paese a predisporre meccanismi di tutela diretti a salvaguardare i
propri correntisti con depositi presso banche estere in presenza di crisi dell'inte-
ro sistema creditizio dello Stato di appartenenza delle medesime, in un'ottica
evidentemente contraria a quella che è d'uopo perseguire attraverso la costitu-
zione di un'unione monetaria. Si è dell'avviso, dunque, che la fissazione di una
soglia minima a garanzia dei depositi se, per un verso, costituisce un valido
strumento di tutela dei risparmi nelle situazioni di default di un istituto di credi-
to, per altro, debba rappresentare un congegno idoneo a trovare applicazione
anche in presenza di crisi sistemiche. Tuttavia, benché siano rinvenibili, come si
è testé detto, ragioni di buon senso nel riconoscere l'applicabilità della direttiva
in parola anche a fattispecie non espressamente contemplate, è auspicabile, de
iure condendo, l'adozione di un'esplicita disposizione in tal senso.
E' possibile, dunque, che la disciplina in discorso abbia identificato una
soglia entro la quale salvaguardare, ad ogni costo, i diritti dei risparmiatori; at-
tuando per tale via ex ante quel contemperamento tra ragioni privatistiche e
pubblicistiche che, come si è detto, la nostra Corte costituzionale ha inteso affi-
dare, in momenti di crisi, principalmente all'opera del legislatore. Da quest'an-
Giurisprudenza
86
golo visuale, pertanto, eventuali misure adottate per far fronte alle note recenti
turbative finanziarie che hanno colpito la maggior parte dei Paesi del globo, non
dovrebbero poter pregiudicare gli interessi dei depositanti se non per la porzio-
ne eccedente il limite stabilito dalla disciplina comunitaria in materia. Qualche
indizio, in tal senso, può forse rinvenirsi nei recenti eventi che hanno colpito Ci-
pro, vittima designata dei provvedimenti di ristrutturazione del debito greco29.
A ben considerare, le misure adottate nei confronti dell'isola del Mediter-
raneo hanno rappresentato una novità assoluta nell'ambito delle procedure di-
rette ad affrontare situazioni di crisi nell'UEM; si assiste, in estrema sintesi, ad
un intervento fondato su due aspetti rilevanti: prestiti internazionali per circa 10
miliardi e ristrutturazione di due istituti di credito dell'isola. Più precisamente, la
Laiki Bank si estinguerà per scissione in una good bank (ove verranno trasferiti i
depositi inferiori ai 100.000 garantiti dall'UE) ed una bad bank (ove finiranno gli
assets tossici). Sul punto, è significativo il diverso ruolo ascrivibile ai due istituti
di credito atteso che la bad bank sarà destinata in maniera graduale a scompari-
re, laddove la good bank verrà fusa nella Bank of Cyprus. Rilevante è la conver-
sione di circa il 40% dei depositi superiori a 100.000 euro in azioni speciali, sì da
ricapitalizzare il sopramenzionato istituto di credito; a ciò aggiungasi che circa il
22,5% verrà posto su conti infruttiferi, laddove il restante 40%, continuerà, inve-
ce, a maturare interessi30.
Al di là di ogni considerazione in ordine all'opportunità o meno di adotta-
re misure di siffatta portata che richiederebbe una disamina specifica qui non
consentita, appare significativa, ai nostri fini, la ferma intenzione da parte delle
29 Per i quali cfr. CAPRIGLIONE - SEMERARO, Crisi finanziaria e debiti sovrani. L'Unione Europea tra rischi ed opportunità, Torino, 2012, 33 ss. Circa la riconducibilità della crisi ciprio-ta alle misure adottate in Grecia, cfr. FLASSBECK, Zypern oder: Wie man ein kleines Land und eine große Währungsunion zugleich zerstört, 24 marzo 2013, consultabile sul sito ufficiale del noto economista tedesco www.flassbeck-economics.de. 30 Cfr., sul punto, il sito internet ufficiale del Consiglio europeo: www.consilium.europa.eu.
Corte dell’EFTA
87
istituzioni comunitarie e nazionali di rispettare i limiti imposti dalla direttiva n.
94/19/CE (così come aggiornata da quella 2009/14/CE) nell'adozione di provve-
dimenti diretti a pregiudicare interessi dei depositanti in ragione di quelli collet-
tivi (evitare il default pieno del Paese). Si può, dunque, concludere affermando
che l'imposizione di un livello minimo di salvaguardia delle ragioni dei risparmia-
tori deve costituire un presupposto indispensabile per assicurare stabilità all'in-
tero sistema creditizio; baluardo invalicabile nella determinazione della soglia
entro la quale è possibile assumere provvedimenti indirizzati a fronteggiare si-
tuazioni di crisi sistemiche. Resta, tuttavia, irrisolto il problema della possibile
responsabilità degli Stati nei confronti dei risparmiatori (siano essi residenti e/o
stranieri) qualora i fondi di garanzia dovessero risultare insufficienti a soddisfare
le loro ragioni; eventualità quest'ultima ipotizzabile in momenti di particolare
crisi del sistema bancario (come nell'ipotesi qui al vaglio). Al riguardo, la Corte
dell'EFTA sostiene che il costo del finanziamento dei predetti sistemi gravi sugli
istituti finanziari31; ne consegue che il fallimento dell'intero apparato creditizio
non dovrebbe essere sopportato dagli Stati, e ciò anche per evitare possibili
comportamenti di moral hazard da parte delle banche32.
Così ragionando, tuttavia, è possibile che si ingenerino situazioni difficil-
mente gestibili; ci si riferisce all'ipotesi in cui, ad esempio, uno Stato si trovi in
31 Cfr. par. 156 secondo il quale: “It is clear from recital 23 in the preamble to the Directive as well as from recitals 4 and 25 that the cost of financing such guarantee schemes must be borne, in principle, by credit institutions and not the EEA States”. 32 Cfr. par. 159 secondo il quale: “The payment obligation thus lies with the deposit-guarantee fund, and the guarantee funds are to be financed entirely by the credit institutions. In circumstances where the fund cannot meet depositors’ claims in the event of a default by a member of the scheme, it is for the remaining credit institutions to make up the difference. In other words, the bankruptcy of a financial institution is covered – as in classic insurance systems – by the rest of the institutions active in the market”. Gli Stati possono, in questi casi, interveni-re direttamente a tutelare le ragioni dei depositanti ma non hanno alcun obbligo di farlo (cfr. par. 194). Inoltre, secondo la Corte in commento l'articolo 7 della direttiva 1994/19/CE “does not lay down an obligation on the State and its authorities to ensure compensation if a depositguarantee scheme is unable to cope with its obligations in the event of a systemic crisis” (par. 144).
Giurisprudenza
88
situazione prossima al default e decidesse di non adottare alcun piano di
austerity perché non tenuto a garantire i depositi stranieri nelle proprie banche.
Sul punto, significative sono le dichiarazioni espresse, di recente, da un espo-
nente della Commissione UE33, secondo cui, non solo, “l'attuale schema di ga-
ranzie per i depositi si applica anche nel caso di una crisi sistemica”, ma, inoltre,
“gli Stati membri sono responsabili per assicurare che gli schemi nazionali di ga-
ranzia dei depositi paghino effettivamente le compensazioni garantite dalla legi-
slazione europea nell’intero mercato interno”. Si tenga presente, poi, che il con-
siderando 13 della direttiva 2009/14/CE affida agli Stati membri il compito di
“garantire la continuità dei servizi bancari” nonché di adottare “quanto prima
disposizioni atte ad assicurare rimborsi d'emergenza di congruo ammontare”,
soprattutto “in periodo di turbolenze finanziarie”.
In siffatto contesto, appare indispensabile, tuttavia, identificare possibili
rimedi per impedire che, in futuro, possano sorgere conflitti istituzionali come
quelli di cui in parola. In tal senso, l'adozione di un'unione bancaria in ambito
europeo può assicurare coesione tra gli Stati e, dunque, favorire l'integrazione
finanziaria; al riguardo, la Commissione europea34 prospetta che al trasferimen-
to della vigilanza bancaria a livello centrale, segua la creazione di un fondo co-
mune di garanzia dei depositi35 idoneo ad evitare i fenomeni di bank run. Si è
dell'avviso, tuttavia, che, in ambito disciplinare, dovranno essere predisposti a-
deguati strumenti di garanzia pubblica da attivarsi in presenza di situazioni di
crisi; e ciò al fine di tutelare le ragioni dei risparmiatori supplendo ad eventuali
33 Stefaan De Rynck, portavoce del Commissario Ue al mercato interno Michel Barnier. Dichia-razioni consultabili sul sito www.fattoquotidiano.it. 34 Cfr. COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO, Una tabella di marcia verso l’Unione bancaria, 12 settembre 2012, consultabile sul sito internet ec.europa.eu. 35 Il cd. Terzo pilastro su cui si fonda l'unione bancaria.
Corte dell’EFTA
89
carenze del fondo36, sì da evitare il possibile ingenerarsi di controversie come
quelle di cui in commento.
Va da sé che un progetto di simile portata richiede una decisa volontà po-
litica in tal senso; volontà che, tuttavia, non è dato riscontrare da parte dei Paesi
più virtuosi dell'Europa37 nemmeno con riguardo alla creazione di uno schema
comune di garanzia dei depositi, nonostante il massimo esponente della BCE ne
abbia sottolineato, invece, la necessaria attivazione38.
Diego Rossano
Ricercatore di Diritto dell'Economia
Università “Parthenope” di Napoli
36 In questo senso, cfr. l 'audizione del 5 dicembre 2012 del Presidente dell’ABI (Giuseppe Mus-sari) presso la CAMERA DEI DEPUTATI VI Commissione (Finanze) sulla Proposta di Rego-lamento del Consiglio relativa al conferimento di specifici compiti in tema di vigilanza pruden-ziale sugli enti creditizi alla Banca Centrale Europea (COM (2012) 511 definitivo), p. 1, consul-tabile sul sito internet www.abi.it. 37 Di recente, cfr. le dichiarazioni del 7 maggio 2013 del Presidente dell'Eurogruppo JEROEN DIJSSELBLOEM (consultabili sul sito internet www.tmnews.it) e della cancelliera MERKEL effettuate dinanzi l'assemblea generale delle Camere di commercio a Dresda (e riportate il 25 aprile 2013 sul sito www.ilsole24ore.it). 38 Cfr. le dichiarazioni di MARIO DRAGHI alla commissione Economica del Parlamento euro-peo riportate il 31 maggio 2012 sul sito www.lastampa.it.
Corte di Cassazione
90
CORTE DI CASSAZIONE
4 giugno 2012, n. 8945 – sez. I
Pres. CARNEVALE – Est. Acierno
CONTRATTI BANCARI – CASSETTA DI SICUREZZA – DANNO – PROVA – PRE-
SUNZIONE – AMMISSIBILITA’.
Il contenuto di una cassetta di sicurezza costituisce una circostanza di fatto ge-
neralmente non divulgata, attesa la prioritaria esigenza di riservatezza che ca-
ratterizza la scelta di questo servizio bancario. Ne consegue che in tema di prova
del suo contenuto, la parte ben può ricorrere alle deposizioni degli stretti familia-
ri e il giudice è tenuto a non sottovalutare od ignorare, se coerenti con l’insieme
dei riscontri probatori, elementi di fatto quali la denuncia penale, solo perché di
provenienza unilaterale, dovendosi sempre tenere conto, nell’esame e selezione
del materiale probatorio, della peculiarità dei fatti da dimostrare.
Il mancato ricorso alle presunzioni di cui agli artt. 2727 e 2729 c.c., al fine
di ritenere raggiunta la prova del danno, è da ritenere illegittimo, ove non venga
adeguatamente motivato, trattandosi di danni dei quali è estremamente diffici-
le, se non impossibile, fornire la prova storica.
(Codice civile, artt. 1839, 2697, 2727, 2729)
Ritenuto in fatto
A..M. proponeva domanda di risarcimento dei danni nei confronti della s.p.a. Banca di
Roma per l’importo di 300.000 milioni di lire deducendo di essersi recata il giorno
Giurisprudenza
91
3/4/2000 presso la propria Banca ove era titolare di una personale cassetta di sicurezza
e di aver constatato che (circa un anno prima (5/5/99); ignoti avevano rapinato
l’agenzia svaligiando varie cassette, tra le quali la sua, contenente gioielli e preziosi del
valore corrispondente a quello richiesto in via risarcitoria.
L’attrice denunciava inoltre la mancata tempestiva comunicazione dell’avvenuta rapina
sostenendo che da tale omessa informazione era derivato un ulteriore pregiudizio pa-
trimoniale nonché il danno all’immagine ed all’onorabilità dovuto al deposito in giudi-
zio, da parte dell’istituto bancario, del verbale di sequestro della cassetta in questione
da parte della D.I.A. di Salerno.
L’istituto di credito, chiedendo il rigetto della domanda, giustificava l’omessa comuni-
cazione proprio sulla base dell’intervenuto sequestro penale. In primo grado venivano
escussi testi e disposta CTU sul valore dei beni il cui furto era stato denunciato dalla ti-
tolare della cassetta.
Il giudice di primo grado rigettava la domanda ritenendo sussistente la responsabilità
della banca per inidoneità dei locali ma non provata la domanda risarcitoria sulla base
delle prove documentali (la denuncia penale) e le prove testimoniali (degli stretti fami-
liari che avevano accompagnato la parte presso la banca a ritirare o depositare nella
cassetta di sicurezza) espletate.
Sull’appello principale proposto dalla M. ed incidentale proposto dalla Banca, la sen-
tenza di secondo grado, per quel che ancora interessa, confermava la responsabilità
dell’istituto derivante da difetto di custodia derivante dall’accertata inidoneità dei lo-
cali ove si trovavano le cadette di sicurezza nonché la nullità della clausola limitativa
della responsabilità dell’istituto bancario ma in ordine alla prova del pregiudizio patri-
moniale dedotto dalla parte appellante riteneva, analogamente al giudice del prece-
dente grado, che non fosse stata dimostrata l’effettiva esistenza, al momento del fur-
to, dei gioielli di cui si lamentava la mancanza.
(omississ)
La Corte d’appello, infine, rigettava anche le altre domande risarcitorie relative alle
conseguenze patrimoniali dell’omessa tempestiva comunicazione dell’intervenuta ra-
pina nonché la dedotta lesione dell’immagine, atteso che l’istituto, con le indicazioni e
Corte di Cassazione
92
il deposito censurato, aveva esercitato il proprio diritto di difesa.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione. A. M. con undici motivi.
L’istituto bancario ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato
memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
Motivi della decisione
(omissis)
Passando all’esame degli undici motivi di ricorso, nei primi quattro si denuncia la viola-
zione degli art. 2727 e 2729 cod. civ. in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. e
l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata in ordine alla valutazione dei ri-
scontri probatori acquisiti, in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.. Il ricorrente la-
menta, in particolare, che la Corte d’appello abbia del tutto omesso una valutazione
globale e coordinata del quadro indiziario, in spregio al metodo di valutazione delle
prove indirette indicato nei citati art. 2727, primo comma e 2729, primo comma, cod.
civ.. Inoltre, evidenzia che la motivazione relativa all’inidoneità dei singoli mezzi di pro-
va, oltre ad essere impostata in modo atomistico senza correlazione alcuna tra i diversi
elementi di fatto, è anche intrinsecamente insufficiente ed inadeguata con riferimento
a ciascuno di essi.
I quattro motivi illustrati, da esaminarsi congiuntamente, sono fondati. Deve prelimi-
narmente osservarsi che il contenuto di una cassetta di sicurezza costituisce una circo-
stanza di fatto generalmente non divulgata, attesa la prioritaria esigenza di riservatez-
za che caratterizza la scelta di questo servizio bancario. Ne consegue, come affermato
in una recente pronuncia di questa Corte, relativa ad una fattispecie del tutto simile a
quella dedotta nel presente giudizio (Cass. 27068 del 2008), la necessità di ricorrere al-
le deposizioni degli stretti familiari e a non sottovalutare od ignorare, se coerenti con
l’insieme dei riscontri probatori, elementi di fatto quali la denuncia penale, solo perché
di provenienza unilaterale, dovendosi sempre tenere conto, nell’esame e selezione del
materiale probatorio, della peculiarità dei fatti da dimostrare.
La valutazione dei singoli riscontri probatori, così come eseguita nella sentenza impu-
Giurisprudenza
93
gnata, non risulta, invece, tenere in alcuna considerazione la intrinseca riservatezza
della materia. La denuncia penale viene qualificata come un mero atto di parte privo di
valore probatorio oggettivo senza specificare se sia stata oggetto di esame una denun-
cia generica o, come risulta dagli atti, circostanziata in ordine al numero, la tipologia, la
descrizione e il valore degli oggetti preziosi custoditi (Cass. 27068 del 2008), ometten-
do, peraltro, di considerare l’obbligo, penalmente sanzionato di offrire una rappresen-
tazione veritiera dei fatti a carico del denunciante.
Le deposizioni testimoniali dei familiari vengono ritenute insufficienti perché generi-
camente confermative del contenuto della cassetta di sicurezza così come indicato dal-
la ricorrente; ma tale valutazione risulta argomentata in modo illogico ed insufficiente
perché non correlata all’articolazione del capitolo di prova, contenente lo specifico ri-
ferimento all’elencazione dettagliata degli oggetti preziosi desunto dalla denuncia pe-
nale, integrata nel contenuto del capitolo, e alla valutazione complessiva delle risposte
che ne sono seguite.
Entrambi i testimoni hanno, infatti„confermato la circostanza formulata nel capitolo
precisando le ragioni della conoscenza (erano gli unici ad accompagnare la ricorrente
in banca in occasione dei depositi e dei prelievi) del contenuto della cassetta e fornen-
do specifiche indicazioni sulla provenienza, la descrizione e le caratteristiche di alcuni
di essi in quanto derivanti da doni endofamiliari. (pag.23 ricorso e 25 e 26 del controri-
corso). Tali indicazioni non vengono menzionate nella valutazione d’insufficienza della
prova. Peraltro, alla carenza della motivazione relativamente alla valutazione dei singo-
li mezzi di prova deve essere aggiunta la fondatezza della censura relativa alla mancata
valutazione globale del quadro probatorio.
La sentenza impugnata si è limitata ad un esame dei singoli riscontri, effettuato in
modo atomistico, omettendo completamente di porre in correlazione gli elementi indi-
ziari al fine di verificarne l’eventuale coerenza, precisione ed univocità. Come è stato
affermato dalla già citata sentenza n. 27068 del 2008, ‘in presenza di una circostanziata
denuncia alla polizia giudiziaria della natura, della qualità e del valore dei singoli ogget-
ti trafugati (…), delle deposizioni testimoniali relative al fatto che gli oggetti erano cu-
stoditi in banca, ed in mancanza di ogni prova od indizio contrario (…), il mancato ricor-
Corte di Cassazione
94
so alle presunzioni di cui agli art. 2727 e 2729 cod. civ., al fine di ritenere raggiunta la
prova del danno, è da ritenere illegittimo, ove non venga adeguatamente motivato,
trattandosi di danni dei quali è estremamente difficile, se non impossibile, fornire la
prova storica’. La necessità di una valutazione globale del quadro indiziario, quando
non sia vietato dalla legge il ricorso alle presunzioni, e la conseguente illegittimità della
valutazione separata dei singoli elementi di fatto costituiscono costante orientamento
della giurisprudenza di legittimità.
Ha affermato la Corte che è viziata di errore di diritto la decisione in cui il giudice si sia
limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se
essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza probatoria, non fossero in grado di
acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforza-
re e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (sent. 19894
del 2005, 26022 del 2011).
L’orientamento sopra illustrato è stato anche molto recentemente ribadito con
l’affermazione di un principio che si attaglia perfettamente alla presente decisione : ‘la
prova presuntiva esige che il giudice prenda in esame tutti i fatti noti emersi nel corso
dell’istruzione, valutandoli tutti insieme gli uni per mezzo degli altri. È, pertanto, erro-
neo l’operato del giudice di merito il quale a cospetto di plurimi indizi li prenda in esa-
me e li valuti singolarmente per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi as-
surga alla dignità di prova’ (Cass. 3703 del 2012).
In conclusione, i primi quattro motivi di ricorso devono essere accolti con rinvio della
causa alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione perché, nella valutazione
del complessivo quadro indiziario fornito dalle parti, mediante il ricorso alla prova pre-
suntiva valuti se siano stati dimostrati in tutto od in parte i danni patrimoniali lamenta-
ti dalla parte ricorrente e se sia possibile procedere alla loro liquidazione equitativa.
Risultano assorbiti i motivi di ricorso dal quinto al decimo, in quanto relativi ad ulteriori
profili di danno patrimoniale eziologicamente riconducibili all’accertamento relativo ai
motivi accolti.
Deve invece essere rigettato l’undicesimo motivo di ricorso, relativo ad un’autonoma
voce di danno, di natura non patrimoniale, derivante dalla dedotta lesione del diritto
Giurisprudenza
95
all’immagine e all’onorabilità della ricorrente. Il danno sarebbe stato determinato
dall’istituto bancario per aver riferito in propri atti difensivi dell’esistenza di indagini
penali a carico della cliente e del sequestro della cassetta di sicurezza da parte della
D.I.A.. Il motivo è palesemente infondato perché; come esattamente affermato nella
sentenza d’appello, le allegazioni censurate sono state formulate al fine di esercitare
legittimamente il diritto di difesa in correlazione al contestato ritardo nel rinvenimento
del contratto relativo alla cassetta di sicurezza.
P.Q.M.
Accoglie i primi quattro motivi di ricorso. Rigetta l’undicesimo motivo. Dichiara assorbi-
ti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per un
nuovo giudizio e per la pronuncia sulle spese del giudizio di Cassazione, alla Corte
d’Appello di Napoli, in diversa composizione.
Corte di Cassazione
96
IL SERVIZIO BANCARIO DELLE CASSETTE DI SICUREZZA:
FURTO, PRESUNZIONI SEMPLICI E PROVA DEL DANNO∗∗∗∗
SOMMARIO: 1. Il caso. – 2. Il servizio bancario delle cassette di sicurezza e la riservatezza. – 3. Il
ricorso alle presunzioni. – 4. La prova del danno.
1. La sentenza oggetto del presente commento ritorna su un tema am-
piamente dibattuto in dottrina e in giurisprudenza, ovvero l’omessa valutazione,
ai fini probatori, delle prove presuntive.
Il titolare del servizio lamentava che a seguito di una rapina, ad opera di
ignoti, venivano svaligiate numerose cassette di sicurezza, tra le quali anche la
sua, la quale conteneva gioielli e preziosi. Il giudice di primo grado rigettava la
domanda risarcitoria avanzata dalla parte attrice pur ritenendo sussistente la
responsabilità della banca per inidoneità dei locali, in quanto gli elementi proba-
tori posti alla base dell’istanza erano rappresentati dalla denuncia penale e dalle
prove testimoniali rese dai familiari. Le predette prove non sono state conside-
rate tali, ma come semplici elementi di natura indiziaria; per di più l’organo giu-
dicante non le ha valutate nel loro complesso ma singolarmente, di conseguen-
za ogni elemento ha conservato le proprie caratteristiche senza assurgere a ran-
go di prova.
La sentenza di secondo grado confermava la responsabilità dell’istituto di
credito derivante da difetto di custodia, dall’accertata inidoneità dei locali ove si
trovavano le cassette di sicurezza, nonché la nullità della clausola limitativa della
responsabilità dell’istituto bancario in ordine alla prova del pregiudizio patrimo-
niale. In ogni caso si ribadiva la mancanza di prova in ordine al danno patito, in
∗ Contributo approvato dai revisori
Giurisprudenza
97
quanto non era stata dimostrata l’effettiva esistenza, al momento del furto, dei
gioielli di cui si lamentava la sottrazione.
In particolare il giudice di appello riteneva corretta la valutazione delle
prove eseguita dal primo giudice, osservando che la denuncia costituiva un me-
ro atto di parte e le deposizioni testimoniali, per la loro genericità, dovevano ri-
tenersi inidonee ad assolvere l’onere della prova relativo all’esistenza e
all’entità del danno patrimoniale lamentato, dal momento che i testimoni si e-
rano limitati a dichiarare genericamente che gli oggetti indicati nella denuncia
erano contenuti nella cassetta di sicurezza e che erano a conoscenza della circo-
stanza, perché accompagnavano sempre la titolare presso la banca quando ave-
va bisogno, per prelievi o depositi. Nemmeno il verbale della D.I.A. secondo cui
il contenuto della cassetta consisteva in alcuni oggetti preziosi poteva di per sé
ritenersi idoneo a dimostrare che all’atto della rapina vi fossero gli oggetti pre-
ziosi indicati nella denuncia, riferendosi tale verbale ad un diverso momento
temporale.
2. La banca nel prestare il servizio di cassette di sicurezza deve garantire
all’utente il pacifico godimento della cassetta, assicurando al cliente l’uso della
stessa per l’intera durata del contratto1, ed apprestando tutta la sua organizza-
zione al controllo sul legittimo esercizio dei diritti del cliente, così tutelando la
segretezza2 sulle cose depositate3; quindi, l’istituto di credito non conosce il
1 La disciplina delle n.u.b. prevede che l’utente che riscontri una lesione all’integrità esteriore della cassetta deve, prima di procedere all’apertura, presentare un reclamo scritto alla banca, in-dicando le cose contenute nella cassetta. Questa viene poi aperta alla presenza di un incaricato della banca e di un notaio, il quale redige un verbale delle operazioni compiute e dei riscontri effettuati. Si suole attribuire alla dichiarazione dell’utente valore confessorio, nel senso che egli non può successivamente pretendere il risarcimento del danno subito per la perdita di un oggetto non denunciato. 2 L’evoluzione della giurisprudenza e le caratteristiche assunte dai processi risarcitori intentati dagli utenti hanno dimostrato che la segretezza, da essere un elemento a sfavore del cliente, si è trasformata in una sorta di assegno in bianco da riempire a discrezione del cliente medesimo, ov-
Corte di Cassazione
98
contenuto della cassetta, in quanto il deposito di cose o di valori avviene in
completa riservatezza4.
L’obbligazione di custodia non può essere commisurata al contenuto del-
la cassetta, perché può verificarsi che la stessa rimanga vuota5; di conseguenza
si è ipotizzata una asimmetria informativa, dove la banca non è in grado di co-
noscere e valutare a priori il rischio connesso alla stipulazione del contratto e
non è in grado di predeterminare quali investimenti si dimostrino economica-
mente giustificati per far fronte a tale rischio6. In realtà il valore dei beni assume
rilievo solo ai fini del risarcimento del danno e della sua quantificazione, e non
già per obblighi di prestazione assunti dall’istituto di credito, il quale è tenuto
ad adottare le misure più severe e moderne nella propria organizzazione atte ad
assicurare, salvo il caso fortuito, l’idoneità e la custodia dei locali e l’integrità
della cassetta7.
In merito è stato osservato che la segretezza se da una parte non consen-
te un’accurata valutazione del rischio connesso al singolo contratto, dall’altra
non impedisce invece di determinare, in base ad una media, il rischio complessi-
vero secondo i ricordi suoi o di terzi in ordine al contenuto della cassetta. In detti termini, MA-CARIO, Rubini, smeraldi e giuramenti: le cassette di sicurezza dopo le sezioni unite, in Danno e responsabilità, 1996, 234. 3 Cfr. FAUCEGLIA, I contratti bancari, in Trattato Buonocore, Torino, 2005, pp. 499-500. 4 La regola della segretezza viene derogata in alcune ipotesi in funzione delle esigenze organiz-zative ed operative dell’impresa bancaria. Le disposizioni contrattuali, ad esempio, vietano ai clienti di introdurre oggetti che possono creare pericolo, disturbo o danni, legittimando le verifi-che della banca per ragioni di sicurezza. PERASSI, Il servizio bancario delle cassette di sicurez-za, in Trattato Cottino, Padova, 2001, 595; CIUCHINI, Il servizio bancario delle cassette di si-curezza, in Enc. della banca e della borsa, Roma/Milano, 1967, p.165. 5 Cfr. GIORGIANNI - TARDIVO, Manuale di diritto bancario e degli operatori finanziari3, Milano, 2012, 546. 6 Cfr. BELLANTUONO, Cassette di sicurezza, responsabilità della banca e asimmetrie infor-mative, in Foro.it., I, 2000, p. 533. 7 Cfr. GIORGIANNI – TARDIVO, op. cit., p. 546; SALANITRO, Le banche e i contratti ban-cari, in Trattato Vassalli, Torino, 1983, 68, il quale osserva che non ha pregio la posizione di chi intende proporzionare il rischio della banca all’ammontare del canone pagato dal cliente.
Giurisprudenza
99
vo del servizio e di coprirlo con polizza globale adeguata8.
Lo sbilanciamento processuale che si realizza in funzione della segretezza
è indice di un problema aperto sul piano del diritto sostanziale. La dichiarazione
di valore, dunque, rappresenta per la banca il contrappeso della segretezza, la
quale, senza un meccanismo di bilanciamento, espone l’istituto di credito ad un
rischio illimitato. In definitiva la dichiarazione di valore rappresenta un indice di
presunzione del valore dei beni contenuti nella cassetta, che può essere vinta
dal cliente mediante una concreta prova contraria9. La problematica della prova
del danno richiede una rimeditazione anche della questione della clausola di li-
mitazione del valore10.
8 Cfr. VISCUSI, Commento sub art. 1839, in Commentario del codice civile (artt. 1803 – 1860), diretto da Gabrielli, Torino, 2011, p. 542. In merito è stato osservato che in tal modo verrebbe meno la possibilità di graduare diversamente il canone a seconda del rischio associato a ciascun cliente, con l’esito di sussidi incrociati a favore di quelli ad alto rischio e, quindi un fenomeno di selezione avversa, ove essi riescono ad ottenere una copertura totale contro eventuali danni pa-gandone solo in parte i costi, mentre i depositanti a basso rischio vengono gravati da un canone sproporzionato rispetto alle perdite attese. Cfr. PARDOLESI, Analisi economica del diritto, in AA. VV., Casi e questioni di diritto privato, Milano, 1988, pp. 12 ss.. 9 Non può considerarsi come elemento presuntivo il valore dichiarato dal cliente all’atto della stipula del contratto. Cfr. Trib. Napoli, 28 maggio 2003, in Giur. merito, 2004, 287. Assume po-sizione contraria FIORENTINO, Le operazioni bancarie, Napoli, 1964, p. 274, il quale afferma che anche quando la banca esige dal cliente la c.d. dichiarazione di valore, ossia l’indicazione del valore delle cose introdotte nella cassetta, non si ricevono in consegna le cose stesse, ma semplicemente una predeterminazione convenzionale del danno massimo risarcibile. Si veda anche D’ANGELO, Trattato di tecnica bancaria, Milano, 1924, pp. 656-657, il quale afferma che la dichiarazione di valore ha, nel contratto di cassette di sicurezza la stessa natura ed effica-cia che ha quella che si fa nell’assicurazione contro danni. La presente impostazione non può essere condivisa, rilevato che il servizio bancario delle cassette di sicurezza non ha natura assi-curativa. Nelle condizioni generali di contratto sono state introdotte clausole del seguente tenore: “ove l’utente intenda conservare nelle cassette cose aventi un valore complessivo superiore al massi-male stabilito, lo stesso è tenuto a dichiarare alla Banca il massimale assicurativo adeguato a co-prire il rischio della Banca per il risarcimento dei danni che dovessero eventualmente derivare all’utente dalla sottrazione, dal danneggiamento o dalla distruzione delle cose contenute nella cassetta”. La clausola sopra formulata non comporta alcun mutamento delle obbligazioni assunte dalla banca e dal cliente, in quanto non è pensabile che l’indicazione di un massimale assicurati-vo abbia la funzione di individuare il rischio assicurabile e di trasferirlo in capo al cliente. Cfr. LIACE, Del servizio bancario delle cassette di sicurezza, in Commentario Schlesinger, Milano, 2012, p. 135. Si veda anche SPINELLI - GENTILE, Diritto bancario, Padova, 1991, p. 336. 10 Nel servizio bancario delle cassette di sicurezza la clausola, che contempli la concessione
Corte di Cassazione
100
3. Il provvedimento della S.C. si focalizza sulla valenza degli elementi pre-
suntivi e della loro valutazione ai fini della decisione. I giudici di legittimità han-
no rilevato che in entrambi i giudizi di merito le prove e gli elementi presuntivi
sono stati valutati in chiave atomistica. In particolare il giudice di secondo grado,
pur condividendo quanto già statuito nel primo giudizio, ha evidenziato che la
denuncia di furto, sostanzialmente, costituisce un atto di parte, pertanto, lo
stesso non può avere una valenza di natura probatoria; inoltre, le deposizioni
rese dai testimoni sono connotate dal carattere della genericità, di conseguenza,
esse sono inidonee ad assolvere l’onere della prova relativo all’esistenza ed
all’entità del danno patrimoniale lamentato. Il tratto distintivo della prova te-
stimoniale, sempre secondo il giudice di appello, è l’assoluta genericità sulla de-
scrizione degli oggetti contenuti nella cassetta di sicurezza. Infine, nessun valore
probatorio è stato attribuito alla deposizione dei testimoni nella parte in cui af-
fermano di essere a conoscenza delle circostanze oggetto del giudizio, in quanto
erano soliti accompagnare la titolare del servizio presso la banca quando aveva
bisogno. Le predette dichiarazioni non sono state reputate sufficienti a far pre-
sumere l’esistenza dei gioielli indicati dall’attrice nella cassetta al momento del-
dell’uso della cassetta per la custodia di cose di valore non eccedente un determinato ammonta-re, facendo carico al cliente di non inserirvi beni di valore complessivamente superiore, e che, correlativamente, neghi oltre detto ammontare la responsabilità della banca per la perdita dei beni medesimi, lasciando gravare sul cliente gli effetti pregiudizievoli ulteriori, integra un patto limitativo non dell’oggetto del contratto, ma del debito risarcitorio della banca, ed è pertanto soggetta alla disposizione dell’art. 1229 c.c. in tema di nullità dell’esclusione o delimitazione convenzionale della responsabilità del debitore per i casi di dolo o colpa grave; ne consegue che, una volta che il cliente abbia fatto uso delle naturali potenzialità del contratto - la cui funzione tipica consiste nel mettere a disposizione una complessa struttura materiale, tecnica ed organiz-zativa, idonea a realizzare condizioni di sicurezza, superiori a quelle raggiungibili dal cliente nella sua sfera privata - non è configurabile, da parte sua, una violazione del dovere di buona fede per il solo fatto che egli abbia omesso di informare la banca in ordine ai beni immessi e al loro valore, né tale mancata comunicazione è suscettibile di circoscrivere l’obbligo risarcitorio della banca sotto il profilo della imprevedibilità del danno, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1225 c.c.. Tra le tante si veda Cass., 29 luglio 2004, n. 14462.
Giurisprudenza
101
la rapina.
Nel caso di specie, secondo i giudici di merito, non si tratterebbe di in-
completezza della prova, cioè di semiplena probatio, ma di inesistenza della
medesima, rilevato che l’abitualità dell’accesso e del deposito nulla dice circa la
consistenza del contenuto della cassetta al momento del furto11.
La S.C., invece, parte da un presupposto diametralmente opposto rispet-
to a quello utilizzato dai giudici di merito, in quanto tende a sottolineare, seppu-
re in modo implicito, una delle caratteristiche del servizio bancario delle casset-
te di sicurezza, ossia la segretezza, la quale giocherebbe a sfavore del cliente12.
La caratteristica della segretezza del contenuto della cassetta, che inerisce al
contratto, comporta che solo il titolare del servizio sia in grado di conoscere il
reale contenuto della cassetta; è, dunque, paradossale che spetti a costui forni-
re la prova del danno subito, dal momento che le dichiarazioni da lui rese alla
banca non possono evidentemente costituire prove a suo favore13. Soltanto ri-
correndo a delle presunzioni semplici si può ovviare alla impossibilità di fornire
la prova del danno patito14. Per di più, la legge non pone nessuna deroga al
11 La prova del danno così rimane confinata sul piano di una mera ipotesi, in mancanza del ne-cessario riferimento temporale del fatto noto (abitualità dell’accesso) da cui risalire a quello i-gnoto (presenza dei preziosi nella cassetta), rilevato che l’abituale accesso del titolare alla cas-setta fa ritenere, logicamente, che il cinquanta per cento delle possibilità sia nel senso che i pre-ziosi fossero stati riposti nella cassetta prima del furto e che il rimanente cinquanta per cento delle possibilità sia nel senso opposto, cioè che i preziosi fossero stati prelevati prima del furto. In detti termini si veda MACARIO, La prova del danno da furto nelle cassette di sicurezza, in Danno e Resp., 1998, p. 553. 12 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., sez. un., 1° luglio 1994, n. 6225, in Banca, borsa e tit. cred., 1995, II, p. 446. 13 Esaminando il rapporto tra segretezza e disponibilità della prova in capo al danneggiato, va evidenziato come tale relazione sia governata da una regola quanto mai netta: la disponibilità della prova si concretizza quasi esclusivamente nello strumento presuntivo. Cfr GNAVI , Cassette di sicurezza, segretezza, prova del danno e prova testimoniale, in Resp. civ. e prev., 2000, 640. 14 Cfr. TULLIO, Ad impossibilia nemo tenetur (note a margine della richiesta di una prova im-possibile del danno), in Giust. civ., 1993, I, p. 1087 contra PUHALI, Nota a Trib. Milano 14 settembre 1989, in Nuova giur. civ. comm., 1990, p. 320, il quale ritiene che, pur dovendosi ammettere la possibilità di ricorrere alla prova presuntiva per accertare il contenuto della casset-ta, tale soluzione, pur necessitata dalle particolarità di espletamento del servizio, appare alquan-
Corte di Cassazione
102
principio del libero convincimento del giudice, nel caso di prova del contenuto
della cassetta di sicurezza al fine di determinare l’ammontare del risarcimento
del danno dovuta dalla banca. Proprio per la difficoltà della prova, il giudice non
può esigere un mezzo di indagine diretto e deve valutare, nel suo giudizio, que-
sta particolare situazione per approfondire ogni elemento idoneo a formare il
libero convincimento15. È compito del giudice di merito valutare in concreto
l’efficacia sintomatica dei singoli fatti noti, non solo analiticamente ma anche
nella loro convergenza globale, accertandone la pregnanza conclusiva; il suo ap-
prezzamento, se sostenuto da adeguata e corretta motivazione sotto il profilo
logico e giuridico, non è neppure sindacabile in sede di legittimità16. Se partiamo
dal presupposto che la banca non partecipa né all’operazione di immissione né a
quella di prelievo e che il titolare del servizio sarebbe tenuto a provare in modo
rigoroso il contenuto della cassetta, allora ci troviamo innanzi alla inapplicabilità
delle prove presuntive17.
Il ricorso alla prova presuntiva può essere effettuato ove siano presenti i
requisiti della precisione, gravità e concordanza delle presunzioni, dovendo il
to approssimativa, almeno sul piano fattuale: nella maggior parte dei casi non rimane che ricor-rere alla prova presuntiva ed alla liquidazione equitativa. 15 Cfr. CORTE APPELLO di BARI, 16 aprile 1958, in Banca, borsa e tit. cred., 1959, II, p. 203, con nota di MAJELLO, Prove e presunzioni di danno in caso di effrazione di una cassetta di sicurezza. Le prove cosiddette congetturali sono annoverate dal c.c. tra le fonti di convincimento del giudice, sicché questi non può prescinderne. Secondo alcuni autori, invece, si assiste ad un “inceppamento” del meccanismo probatorio, che conduce ad una determinazione unilaterale del danno risarcibile, al di fuori di qualsiasi possibi-lità di controllo, e dunque di censura, da parte della banca. In merito vengono sollevati dubbi di costituzionalità per violazione dei principi di eguaglianza e diritto alla difesa riconosciuti dagli artt. 3 e 24 Cost. Così MACARIO, op. cit., pp. 241 e 245. 16 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 1° febbraio 2001, n. 1404, in Dir. fall ., 2001. 17 Mediante le presunzioni è possibile indurre l’esistenza o il modo di essere di un fatto ignoto partendo dalla conoscenza di un fatto noto. Le presunzioni legali (assolute e relative) non sono mezzi di prova, ma regole di prova che si pongono in posizione sovraordinata rispetto al princi-pio del libero convincimento del giudice. Così PATTI, Prova testimoniale. Presunzioni, in Commentario Scialoja-Branca, Bologna, 2001, p. 83. Si vedano anche FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, Roma, 1921, p. 51; TARUFFO, La prova dei fatti giuridici, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1992, p. 446.
Giurisprudenza
103
giudice desumere dal fatto noto una convinzione di certezza e non di semplice
probabilità18.
Le presunzioni semplici non determinano nessuna inversione dell’onere
della prova, mentre ciò avviene nell’ipotesi di presunzioni legali. La differenza
tra i due tipi è che la presunzione di legge vincola il giudice anche se questi non
ne rimanga convinto; mentre la presunzione semplice vincola il giudicante solo
se esso si convinca dell’esistenza dei fatti rilevanti, applicandone i precetti con-
tenutistici19. Emerge, dunque, che mentre la presunzione legale esonera dalla
prova, quella semplice sostituisce la prova20. La regola dell’onere della prova e-
splica i suoi effetti solo quando la fase probatoria si è chiusa negativamente,
senza che il giudice sia pervenuto ad alcun netto convincimento. Nel momento
in cui, invece il giudice abbia formato la propria convinzione sulla base delle pre-
sunzioni che egli abbia desunto o dagli stessi infruttuosi mezzi di prova prodot-
togli dalle parti o da taluno dei fatti espressamente elencati nel secondo comma
dell’art. 116, c.p.c., la regola dell’onere della prova deve ritenersi superata e
quindi priva, in tal caso, di ogni effetto21.
Nella prova per presunzioni, la relazione tra il fatto noto e quello ignoto
non deve rivestire il carattere della necessità, essendo sufficiente che l’esistenza
18 Cfr. CONSIGLIO DI STATO, 19 marzo 1991, n. 287, in Cons. Stato, 1991. Sull’ammissibilità delle prove presuntive si vedano: CORTE DI CASSAZIONE, 16 dicembre 1986 n. 7557, in Giust. civ. mass., 1986; CORTE DI CASSAZIONE., 17 febbraio 1987 n. 1700 in Giust. civ. mass., 1987; CORTE DI CASSAZIONE., 2 dicembre 1988 n. 6987, in Giust. civ. mass., 1988. Il ricorso agli elementi presuntivi è frequente anche in altri settori del diritto, come ad esempio nel diritto della concorrenza. Infatti, in alcuni casi la prova della traslazione del dan-no potrebbe essere praticamente impossibile od eccessivamente difficile, pertanto la posizione dell’acquirente indiretto potrebbe essere agevolata mediante il meccanismo delle presunzioni semplici. Mediante questo meccanismo processuale, il giudice potrebbe ritenere provato il fatto della traslazione del danno, quando l’attore abbia provato certi fatti secondari, i quali facciano presumere che la traslazione del danno sia più probabile che no, secondo la regola della probabi-lità preponderante. Cfr. AA. VV., Concorrenza e mercato. Rassegna degli orientamenti dell’autorità garante, Milano, 2009, p. 513. 19 MAJELLO, op. cit., p. 208. 20 MAJELLO, op. cit., p. 210. 21 MAJELLO, op. cit., p. 208.
Corte di Cassazione
104
di quest’ultimo derivi dal primo come conseguenza ragionevolmente possibile e
verosimile secondo un criterio di normalità22.
Nella fattispecie in esame vi erano una serie di elementi di natura presun-
tiva, ossia la denuncia penale, le prove testimoniali e la consulenza tecnica di uf-
ficio. In ogni caso non va dimenticato che il giudice di prime cure aveva accerta-
to la responsabilità della banca per inidoneità dei locali.
La giurisprudenza ha più volte ribadito che la denuncia penale23, sotto-
scritta dal cliente contraente del servizio bancario delle cassette di sicurezza,
contenente l’indicazione dei beni custoditi nella cassetta, pur non potendo as-
surgere al rango di prova civile, acquista il valore di presunzione avente il carat-
tere della verosimiglianza24. Nel caso di specie i giudici di merito non solo non
hanno valutato la denuncia di furto, ma hanno ignorato anche il verbale della
D.I.A. secondo cui la cassetta di sicurezza conteneva degli oggetti preziosi. È pa-
lese la omessa valutazione di due elementi presuntivi, che risultano essere con-
cordanti tra di essi25.
Qualche perplessità, invece, deve essere sollevata sull’ammissibilità della
consulenza tecnica di ufficio, poiché il consulente dovrebbe stimare dei beni
senza prenderne visione, pertanto, la valutazione verrebbe ad essere effettuata
22 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 18 settembre 1991, n. 9717, in Giust. civ., 1991, I, p. 442; CORTE DI CASSAZIONE, 30 gennaio 1990, n. 644, in Giust. civ., 1991, I, p. 442. 23 Cfr. TRIBUNALE DI PESCARA, 21 febbraio, 1991, in Banca, borsa e tit. cred., 1992, II, p. 374 contra TRIBUNALE DI ROMA, 5 novembre 1992, in Giust. civ., 1993, I, p. 1087. Si af-ferma che la prova del danno non può ritenersi fornita con la mera produzione in giudizio della denuncia di furto fatta alla polizia giudiziaria. 24 CFR. BONTEMPI, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2009, 415, il quale tra gli elementi presuntivi fa riferimento anche alla moralità del cassettista. 25 La S.C., per quanto riguarda il giuramento suppletorio ha ritenuto sufficienti ad integrare il requisito della semiplena probatio anche presunzioni prive dei caratteri della gravità, precisione e concordanza. Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 29 gennaio 2003, n. 1317, in Impresa, 2003, 490; CORTE DI CASSAZIONE., 1° marzo 2001, n. 2939, in Mass. Giur. it, 2001; CORTE DI CASSAZIONE., 20 giugno 1994, n. 5925, in Giur. it., 1995, I, 1, 592; Cass., 20 agosto 1984, n. 4659, in Mass. Giur. it., 1984.
Giurisprudenza
105
solo sulla base della descrizione fornita dal soggetto derubato26.
I giudici del merito nel valutare la prova testimoniale hanno seguito il se-
guente ragionamento. I testimoni non sono stati in grado, se non in modo gene-
rico, di fornire indicazioni sugli oggetti contenuti nella cassetta, nonché sulle lo-
ro caratteristiche. Il predetto convincimento si formato su un ulteriore elemen-
to, ovvero il divieto posto a carico di soggetti terzi di assistere ai depositi ed ai
prelevamenti27.
Appare del tutto ingiustificato il diniego di ogni attendibilità ai testimoni
legati ai danneggiati da vincoli familiari, considerato che normalmente le perso-
ne di famiglia sono le sole che possono essere a conoscenza delle circostanze
dedotte, data la riservatezza che circonda i depositi in cassetta di sicurezza; il
mancato ricorso alle presunzioni in favore dei danneggiati manifesta l’adesione
del giudicante ad altra e ben più improbabile presunzione in favore della con-
troparte, cioè a quella che la cassetta di sicurezza fosse del tutto vuota28. Sono
26 Esclude l’ammissibilità della ctu: Trib. Milano, 14 settembre 1989, cit. (nt.14). Nonostante l’ammissione della ctu si rinvengono alcune decisioni in base alle quali la liquidazione del dan-no è avvenuta in via equitativa, in quanto alla perizia è stato attribuito un valore di stima presun-ta. Così: CORTE DI CASSAZIONE., 14 dicembre 2002, n. 17497, in www.ipsoa.it. Di partico-lare interesse CORTE APPELLO di ROMA, 24 giugno 2010, in Obbl. e contr., 2001, 61, con nota di SCHIAVONE, ove la corte ha ritenuto di poter ricorrere a prove presuntive per la deter-minazione equitativa del danno, basandosi, in modo particolare, sulla presenza dei valori nella cassetta al tempo del furto e sulla stima di un ctu ai fini dell’individuazione del valore dei beni trafugati, consistenti in gioielli dei quali esisteva una documentazione fotografica. 27 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 10 settembre 1999, n. 9640, in Contr., 2000, 387, con nota di AMBANELLI, Cassette di sicurezza e responsabilità della banca. Sul punto si veda SAR-FATTI, Del contratto d’abbonamento alle cassette di sicurezza nelle banche: contributo alla teorica del compossesso, Torino, 1908, p. 110, il quale sosteneva che: “niente impedirebbe agli abbonati di farsi accompagnare, ogni volta che aprono la cassetta, da uno o due amici i quali possono prestarsi all’evenienza come testimoni di quanto era contenuto nella cassetta stessa; e la prova testimoniale varrebbe a determinare quanto vi era al momento dell’evento dannoso, se non risulti dai registri della Banca che il libretto-ricevuta fu consegnato all’impiegato della Banca posteriormente a un tale accertamento. Ma gli abbonati alle cassette, fiduciosi nella sicu-rezza dell’impianto e nell’onestà degli impiegati, non ricorrono a tali cautele, e se pur venisse a taluno in mente di adottarle, non potrebbe la Banca essere obbligata a concedere il permesso d’entrata a questi estranei”. 28 Su un piano logico, nell’ambito di un contratto la cui natura si incentra proprio sulla segretez-za dell’oggetto ospitato nella cassetta non si comprende quali (ragionevoli) alternative esistano
Corte di Cassazione
106
sicuramente ammissibili le testimonianze de relato ex parte actoris o testimo-
nianze che non vertono comunque direttamente sul contenuto della cassetta
ma29, che riguardino ad esempio l’acquisto o la disponibilità da parte del dan-
neggiato degli oggetti che si assumo trafugati, richiedendosi comunque che esse
siano suffragate da altre risultanze30. In ogni caso l’ammissione di una prova te-
stimoniale non può negarsi in considerazione del probabile esito negativo per
l’inverosimiglianza del fatto che si intende provare, ovvero per una pretesa ini-
doneità del testimone a rendere un resoconto preciso su di esso31. Nel nostro
ordinamento processuale civile la valutazione preventiva dell’attendibilità del
testimone è riservata al legislatore ed è quindi inibita al giudice, che può valuta-
re, secondo il suo prudente apprezzamento, solo l’attendibilità delle dichiara-
zioni rese dal testimone, una volta che la prova sia stata assunta32.
Ammettere le presunzioni semplici non significa che la banca, per annul-
lare la loro efficacia, debba provare l’inesistenza di quei beni nella cassetta (pro-
alla prova testimoniale: senza che venga snaturata l’attuale configurazione dei rapporti banca-utente, cioè, mai ricorrerà alcuna delle condizioni sub art. 2724 c.c. e se non si vuole davvero lasciare sfornito di concreta tutela il danneggiato, l’ampia discrezionalità riconosciuta al giudice dovrebbe legittimare il superamento di ogni preventiva eccezione processuale. In detti termini: BONETTA, Corte di cassazione e titolari di cassette di sicurezza derubati: l’“onda” protettiva continua, in Danno e resp., 2000, p. 502. 29 Ritiene ammissibile la prova testimoniale sul contenuto della cassetta Cass., 10 settembre 1999, n. 9640, cit. (nt. 28); si veda anche Cass., 13 maggio 1982, n. 3000, in Banca, borsa e tit. cred., 1984, II, p. 32. 30 Cfr. VISCUSI, op. cit., p. 608; CORTE DI CASSAZIONE., 25 novembre 2008, n. 28067, in Giur. it., 2009, p. 2191, con nota di VITELLI, Responsabilità della banca per il servizio di cas-sette di sicurezza e prova del danno. Il giudice del merito deve desumere il proprio convinci-mento sulla base delle semplici presunzioni, ed a tal proposito si elencano: la condizione eco-nomica di soggetto benestante, il costo sopportato per avere la disponibilità di una cassetta, la proprietà dei beni trafugati fornita attraverso le relative fatture d’acquisto, le testimonianze de relato ex parte actoris , l’immediata consegna dopo il furto dell’elenco di beni con dettagliata descrizione. 31 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 29 maggio 1998, n. 5313, in Giust. civ. mass., 1998, p. 1165; CORTE DI CASSAZIONE., 29 agosto 1995, n. 9117, in Giust. civ. mass., 1995, 1561; CORTE DI CASSAZIONE, 23 marzo 1995, n. 3380, in Giust. civ. mass., 1995, 672; CORTE DI CASSAZIONE., 28 ottobre 1983, in Giur. it., 1984, I, 1, p. 1477. 32 In giurisprudenza assume posizione contraria: CORTE DI CASSAZIONE, 10 febbraio 1998, n. 1355, in Mass. Giur. it., 1998.
Giurisprudenza
107
va impossibile in virtù della segretezza), ma vuol dire che è sufficiente per la
banca addurre elementi tali da far dubitare della serietà e precisione delle pre-
sunzioni33. La banca conserva la medesima posizione di favore probatorio che
avrebbe se l’attore avesse dato la prova del fatto della cui verità si discute, con
un’unica differenza, ovvero che mentre nell’un caso bisogna far dubitare della
prova, nell’altro occorre far dubitare della presunzione34.
I giudici di merito hanno valutato le singole prove in modo atomistico,
ovvero senza verificare il collegamento esistente tra di esse, senza tenere in de-
bita considerazione l’orientamento della giurisprudenza della S.C., il quale stabi-
lisce che la prova presuntiva (o indiziaria) esige che il giudice prenda in esame
tutti i fatti noti emersi nel corso dell’istruzione, valutandoli tutti insieme e gli uni
per mezzo degli altri. Deve ritenersi, pertanto, erroneo l’operato del giudice di
merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singo-
larmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità
di prova35.
4. La S.C. nel cassare la sentenza impugnata rimette il giudizio innanzi alla
corte di appello in diversa composizione, al fine di valutare il complessivo qua-
dro indiziario fornito dall’attore, attraverso la prova presuntiva, nonché alla li-
33 Nel momento in cui si nega l’idoneità del ricorso alle presunzioni, così come la deferibilità del giuramento suppletorio, in ragione delle difficoltà che incontra la banca nel fornire la prova contraria, non viene spiegato come dovrebbe fare il danneggiato a superare la probatio diaboli-ca, salvo a sostenere che il problema andrebbe risolto ammettendo la validità delle clausole che limitano il risarcimento del danno anche in caso di colpa grave o addirittura di dolo della banca. Per tutti MACARIO, op. cit., p. 554. La presente impostazione comporta una impossibilità asso-luta per il cliente della banca di provare il danno patito; inoltre, l’istituto di credito applicando la clausola limitativa del risarcimento del danno esclude a priori la propria responsabilità in palese violazione dell’art. 1229 c.c.. 34 Cfr. MAJELLO, op. cit., p. 211. SCODITTI, La responsabilità della banca nel servizio delle cassette di sicurezza, in Danno e Resp., 2000, 4, 345; PAPANTI – PELLETTIER, Cassette di sicurezza e responsabilità del banchiere, Milano, 1988, p. 92. 35 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 9 marzo 2012, n. 3703, in Banca dati Dejure.
Corte di Cassazione
108
quidazione equitativa dei danni patrimoniali dimostrati36.
La giurisprudenza ha evidenziato più volte la difficoltà di individuare un
parametro certo per la liquidazione del danno patito dal titolare del servizio del-
le cassette di sicurezza, a seguito della perdita dei valori contenuti nelle casset-
te, anche perché la liquidazione equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c., è possibile
solo quando il danno sia certo37. Nulla esclude però, che la predetta certezza
possa essere raggiunta con ogni mezzo di prova, comprese le presunzioni sem-
plici.
La prova presuntiva e la valutazione equitativa sono istituti giuridici diver-
si tra di loro, in quanto il primo consente di risalire da un fatto noto ad un fatto
ignoto fino a ritenere anche il secondo non soltanto vero, ma accertato nella sua
verità; mentre, il secondo consiste in una stima fatta con la consapevolezza della
sua possibile non rispondenza precisa al vero, in quanto non si esclude che il
quantum stimato possa essere maggiore o minore rispetto a quello effettivo.
Il rapporto tra presunzione e liquidazione equitativa del danno, quindi
non è di necessaria alternatività, ma ben può essere anche di integrazione con-
secutiva, rilevato che il legislatore prevede che l’esistenza del danno possa esse-
36 L’eventuale risarcimento danni dovuto al cassettista è limitato al valore obiettivo e comprova-to dall’utente dei beni danneggiati o trafugati, escludendo esplicitamente qualsiasi valore affet-tivo. MOLLE, I contratti bancari, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 1981, p. 824; SARFAT-TI, op. cit., p. 109. In merito al danno non patrimoniale derivante dal furto nelle cassette di sicu-rezza, la giurisprudenza ha affermato che il pretium doloris non può considerarsi in re ipsa, ma deve essere specificatamente allegato e provato. CORTE DI CASSAZIONE, 30 settembre 2009, n. 20948, in Contr., 2010, p. 48. 37 Cfr. CORTE DI CASSAZIONE., 13 maggio 1982, n. 3000, in Banca, borsa e tit. cred., 1984, II, p. 32 con nota di SALANITRO, Accesso di terzi, privi di autorizzazione scritta, a cassette di sicurezza: forma della ratifica; prova del contenuto della cassetta; responsabilità della banca; CASTRO, I contratti di deposito, Torino, 2007, p. 400. Fuori dalle ipotesi di prova legale, il giudice non è vincolato nella ricerca e nella individuazione delle massime di comune esperien-za. Si deve ritenere non condivisibile la scelta del giudice del merito, che non fa ricorso alla prova presuntiva, in considerazione della mancata prova dell’entità del danno, e che finisce per-tanto per escludere del tutto l’esistenza stessa del pregiudizio, senza tener conto della regola se-condo cui il danno, se non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa. Cfr. CORTE DI CASSAZIONE, 8 maggio 2012, n. 6913 (inedita, in tema di cassetta di sicurezza).
Giurisprudenza
109
re presunta come fenomeno non soltanto effettivamente verificatosi, ma anche
accertato. Il danno, di conseguenza, può essere stimato con valutazione equita-
tiva, volta ad accertare la quantità da ritenersi più probabile in base alla comune
esperienza, ma anche alle circostanze particolari del caso concreto.
Ne deriva che nell’ipotesi in cui il pregiudizio sia certo e non se ne possa
determinare l’ammontare, o perché ciò risulta impossibile ovvero notevolmente
difficile non esiste altra scelta se non quella di procedere alla valutazione equi-
tativa. Altra cosa è annettere la discrezionalità alla sostanza di questa valutazio-
ne equitativa38. L’equità, come tale, è infatti un parametro dai connotati di no-
tevole elasticità. Essa permette di mediare tra gli elementi che importerebbero
un incremento delle conseguenze pregiudizievoli e quelli dai quali, al contrario,
discenderebbe una diminuzione della gravità del danno. Occorre comunque
precisare che il giudicante non si può limitare ad un apodittico riferimento
all’equità onde giustificare una determinata soluzione, ma deve illustrare l’iter
logico-argomentativo che, proprio in quanto supportato dall’equità, deve essere
dotato di un proprio impianto argomentale. Presupposto in base al quale si può
procedere alla valutazione equitativa del danno è la certezza della sussistenza di
esso e la incertezza degli effetti economici negativi, cioè dell’entità del pregiudi-
zio. L’incertezza può implicare per il danneggiato non soltanto una assoluta im-
possibilità, ma anche più semplicemente una notevole difficoltà nel dar conto
del danno39.
Gianfranco Liace
Dottore di Ricerca in Diritto degli Affari
Università “Luiss Guido Carli” di Roma
38 Cfr. RODOTÀ, Quale equità?, in Politica del diritto, 1974, p. 36. 39 Cfr. BIANCA, Diritto civile, vol. V, Milano, 1997, p. 165.