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SOCIETÀ ITALIANA DI DIABETOLOGIA RIUNIONE ANNUALE DEL GRUPPO DI STUDIO “DIABETE ED ATEROSCLEROSI” PADOVA, 5-6 FEBBRAIO 2010 HOTEL NH MANTEGNA Programma ORGANIZZATORE LOCALE DELLA RIUNIONE SABINA ZAMBON (PADOVA) COORDINATORE DEL GRUPPO DI STUDIO PIERMARCO PIATTI (MILANO)

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SOCIETÀ ITALIANA DI DIABETOLOGIA

RIUNIONE ANNUALE DEL GRUPPO DI STUDIO “DIABETE ED ATEROSCLEROSI”

PADOVA, 5-6 FEBBRAIO 2010

HOTEL NH MANTEGNA

PPrrooggrraammmmaa

OORRGGAANNIIZZZZAATTOORREE LLOOCCAALLEE DDEELLLLAA RRIIUUNNIIOONNEE SABINA ZAMBON (PADOVA)

CCOOOORRDDIINNAATTOORREE DDEELL GGRRUUPPPPOO DDII SSTTUUDDIIOO PIERMARCO PIATTI (MILANO)

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PROGRAMMA

VVeenneerrddìì,, 55 FFeebbbbrraaiioo 22001100 Ore 13.15 – 13.30 ACCOGLIENZA DEI PARTECIPANTI Ore 13.30 – 14.00 INTRODUZIONE AL CONVEGNO

P. M. Piatti (Milano) Ore 14.00 – 14.30 LETTURA

Moderatori: E. Manzato (Padova) Infarto miocardico: un paradigma di successo nella medicina moderna G. Thiene (Padova)

Ore 14.30 – 16.45 TAVOLA ROTONDA Complicanze cardiovascolari nel diabete di tipo 2: ruolo di cellule progenitrici, calcificazione, infiammazione, danno endoteliale e glicossidazione Moderatori: R. Miccoli (Pisa), S. Zambon (Padova)

Cellule progenitrici circolanti e complicanze cardiovascolari nel diabete di tipo 2 G.P. Fadini (Padova) Calcificazione ed aterosclerosi: meccanismi cellulari coinvolti M. Rattazzi (Padova) Immunità, infiammazione ed aterosclerosi G.D. Norata (Milano) Danno endoteliale: ruolo dell’insulino resistenza M. Pirro (Perugia) Glicossidazione e malattia cardiovascolare A. Lapolla (Padova)

Ore 16.45 – 17.00 Coffee Break Ora 17.00 – 19.00 COMUNICAZIONI ORALI

Moderatori:M.G. Baroni (Cagliari), S. Inchiostro (Trento)

La funzione endoteliale è associata alla rigidità arteriosa in pazienti con diabete tipo 2 Giuseppe Daniele, Lorenzo Ghiadoni**, Rosamaria Bruno**, Cristina Bianchi, Laura Pucci, Daniela Lucchesi, Eugenia Storti, Eleonora Russo, Stefano Taddei**, Roberto Miccoli, Stefano Del Prato, Giuseppe Penno Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, **Dipartimento di Medicina interna, Università di Pisa Ipo e Iper-Glicemia : stimolo infiammatorio per i monociti circolanti F Piarulli 1, A Sechi 1, D Basso 2, E Ragazzi 3 D Bozzato 2, E Greco 2, P Fogar 2, L Nollino 1, A Susana 1, M Plebani 2, A Lapolla 1. 1 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, 2 Medicina di laboratorio, 3 Dipartimento di Farmacologia e Anestesiologia, Università di Padova Colture ex vivo di cellule progenitrici endoteliali: caratterizzazione fenotipica e funzionale. V. Spigoni, A. Dei Cas, S. Belli, L. Gnudi*, I. Zavaroni. Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche. Università degli Studi di Parma

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Snps intronici di Enos correlano con un incremento di spessore medio-intimale carotideo e con la presenza di un ridotto numero di cellule endoteliali progenitrici in una coorte di soggetti sani. E Galluccio1, LD Monti1, E Setola2, P Lucotti2, S Costa1, B Fontana1, F Perticone2, M Stuccillo2, M Marrocco-Trischitta3, D Astore3, R Chiesa3, G Fadini4, A Avogaro4, E Bosi1,2, PM Piatti2 4Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Padova, Padova.

1Cardiodiabete & Core Lab, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, 2Unità Cardio-Metabolica e Trials Clinici, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, 3Chirurgia Vascolare, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Mir-222 controls neovascularization by regulating Stat5a expression P. Dentelli, A. Rosso, B. Uberti, G. Togliatto, C. Olgasi, C. Barale, A. Trombetta, A. Castelli, L. Pegoraro, M.F. Brizzi. Dipartimento di Medicina Interna, Torino

Evaluation of TCL7L2 polymorphism as a new tool in the prediction of impaired fasting glucose and diabetes. R.Gambino, S. Bo, G. Pagano, N.Alemanno, M. Cassader. Dipartimento di Medicina Interna, Torino

Polimorfismi del gene di Anp ma non di Enos si associano a insufficienza valvolare mitralica. P Lucotti1, LD Monti2, E Setola1, E Galluccio2, MG Pala3, A Rossodivita3, S Costa2, B Fontana2, F Perticone2, M Stuccillo1, E Bosi1, 2, O Alfieri, PM Piatti1 1Unità Cardio-Metabolica e Trials Clinici, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, 2Cardiodiabete & Core Lab, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, 3Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Prevalenza di varianti dei geni di Anp e Enos in pazienti con cardiopatia ischemica e vasculopatia carotidea rispetto a un gruppo di soggetti normali E Setola1, LD Monti2, P Lucotti1, E Galluccio2, MG Pala3, A Rossodivita3, M Comola4, A Poggi4, M Marrocco-Trischitta3, S Mammì4, S Costa2, B Fontana2, F Perticone2, M Stuccillo1, G Comi, R Chiesa3, E Bosi1, O Alfieri3, PM Piatti1 1Unità Cardio-Metabolica e Trials Clinici, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, 2Cardiodiabete & Core Lab, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, 3Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, 4Dipartimento Neurologico, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Analisi trascrittomica delle diverse tipologie di attivazione macrofagica nella patologia aterosclerotica. Derlindati E.1, Ardigò D.1,I.Zavaroni1. 1 Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche, Università di Parma Unacylated ghrelin rescues endothelial progenitor cell function in diabetic patients G. Togliatto, A. Trombetta, P. Dentelli, A. Baragli, A. Rosso, B. Uberti, C. Barale, C. Olgasi, A. Castelli, R. Granata, L. Pegoraro, E. Ghigo and M. F. Brizzi Dipartimento di Medicina Interna, Torino

Ore 19.00-19.45 AGGIORNAMENTO Moderatrice: I. Zavaroni (Parma)

Il rischio cardiovascolare residuo nel paziente diabetico e il suo trattamento A. Zambon (Padova)

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SSaabbaattoo,, 66 FFeebbbbrraaiioo 22001100 Ore 08.30 – 09.45 COMUNICAZIONI ORALI

Moderatori: P.M. Piatti (Milano), G. Marchesini Reggiani (Bologna)

Sindrome metabolica: valutazione non invasiva dell’adiposità viscerale e profilo lipidico M. Soattin, N. Vitturi, D. Vianello, M. Resta, S. Zambon G. Realdi, A. Zambon Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova Leptina e PCR quali indicatori di persistenza della disfunzione dell’endotelio vascolare nei diabetici in sovrappeso con pregresso IMA Gatti. A.*, Carleo D. $, Carleo R.$ Ospedale Accreditato Villa dei Fiori – Acerra – U.O.C. di Medicina e Diabetologia $ ASL NA1 – P.O. “San Gennaro” – U.O.C. di Malattie del Metabolismo * Sindrome metabolica e danno d’organo in una popolazione pediatrica ambulatoriale P. Di Bonito1, C. Forziato2, E. Sanguigno2, F. Saitta2, C. Scilla3, L. Cavuto3, G. Sibilio3, N. Moio3, B. Capaldo4 1UOD di Diabetologia, 2Dipartimento di Pediatria, 3Dipartimento di Cardiologia, PO “SM delle Grazie”, Pozzuoli, 4Dip. Med. Clin. e Sperim. Università Federico II, Napoli

Elevati livelli di glicemia ad un’ora dal carico orale di glucosio identificano soggetti ad alto rischio di Diabete e con un peggior profilo di rischio cardiovascolare. Risultati dello studio Genfiev Bianchi Cristina*, Bonadonna Riccardo**, Penno Giuseppe*, Giovannitti M. Giovanna*, Crisci Isabella*, Daniele Giuseppe*, Del Prato Stefano*, Miccoli Roberto*, **Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Verona *Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo – Sezione Diabetologia e Malattie Metaboliche, Università di Pisa

Anaemia, independent of chronic kidney disease, predicts all-cause and cardiovascular mortality in type 2 diabetic individuals I. Pichiri, G. Targher, G. Zoppini, C. Negri, V. Stoico, E. Bonora Endocrinology Section, Department. of Biomedical and Surgical Sciences, University of Verona Vitamina d e mortalità: lo studio pro.v.a. D. Petricca1, S. Zanoni1, S. Zambon1, R. Marin1, G. Crepaldi2, E. Manzato1,2 2CNR, Sezione Invecchiamento, Istituto di Neuroscienze, Padova 1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova Insulina e rischio di neoplasia: dati dell’osservatorio Arno Diabete. F. Agostini, E. Rossi, A. Berti, E. Cinconze, S. Moscatiello, G. Forlani, M. De Rosa, G. Marchesini. SSD di Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Università di Bologna

Ore 09.45-10.00 Coffee Break Ore 10.00-11.30 Presentazione del GDS: “Consensus: Screening e terapia della cardiopatia

ischemica nel paziente diabetico” Moderatori: A. Avogaro (Padova), M. Trovati (Torino) Screening diagnostico per la cardiopatia ischemica

S. Inchiostro (Trento), S. Vigili de Kreutzenberg (Padova)

Trattamento dei fattori di rischio del paziente diabetico con ischemia: stile di vita, lipidi, ipertensione, terapia antiaggregante, terapia ipoglicemizzante nel post-acuto degli eventi cardiovascolari maggiori

G. Anfossi (Torino), A.A. Rivellese (Napoli), M. Trovati (Torino), I. Zavaroni (Parma)

Terapia medica, interventistica e chirurgica D. Ardigò (Parma), P.M. Piatti (Milano)

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Ore 11.30-12.45 COMUNICAZIONI ORALI Moderatori: D. Ardigò (Parma), A. Solini (Pisa) lo screening per ischemia miocardica silente riduce la morbilita’ e la mortalita’ cardiovascolare nei diabetici di tipo 2 S. Collaviti C. Gazzaruso, A. Coppola, E. Baffero, D. Levante, P. Gallotti, SB Solerte1, A. Garzaniti2, A. Pujia3, A. Giustina4 Diabetologia, Istituto Clinico Beato Matteo, Vigevano; 1Geriatria, Univ. Pavia, 2 Diabetologia, AO Pavia, 3Nutrizione Clinica, Univ. Catanzaro, 4Endocrinologia Univ. Brescia Arteriopatia obliterante degli arti inferiori nel diabetico: dati preliminari su efficacia a lungo termine della procedura di rivascolarizzazione endovascolare. Da Porto A, Kleiner A., Fabbro E., Pavan V., Gasparini D*, Sechi L. A. Cavarape A. Clinica Medica, * SOC Radiologia e Radiodiagnostica Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria della Misericordia di Udine Effetto ipoglicemizzante e ipolipemizzante di una combinazione nutraceutica a base Berberina e Sylibum Marianum in pazienti con diabete tipo 2 V. Soverini, F. Agostini, N. Villanova, G. Marchesini. SSD Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica. Policlinico S. Orsola Malpighi, Bologna Effetto del trattamento con Simvastatina sul pattern delle citochine pro- e anti infiammatorie in pazienti con ipercolesterolemia primitiva: relazione con le variazioni della colesterolemia totale ed ldl. I. Russo, C. Frascaroli, M. Viretto, L. Mattiello, G. Doronzo, M. Trovati, G. Anfossi. SCDU di Medicina Interna III ad Indirizzo Metabolico, AOU San Luigi Gonzaga, Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga dell’Università di Torino

Effetti di un anno di trattamento con orlistat + L-carnitina paragonato a Orlistat o placebo sui parametri di insulino-resistenza nei pazienti diabetici di tipo 2 P. Maffioli, I. Palumbo, S.A.T. Salvadeo, I. Ferrari, A. Gravina, R. Mereu, A. D’Angelo, S. Randazzo, G. Derosa Ambulatori di Diabetologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Clinica Medica II, Università di Pavia L’Ezetimibe influenza positivamente la composizione delle lipoproteine ricche in trigliceridi in pazienti con diabete mellito tipo 2. Bozzetto L, Annuzzi G, Della Corte G, Patti L, Cipriano P, Strazzullo A, Di Capua L, Riccardi G, Rivellese AA Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II, Napoli Effetti di un anno di trattamento con sibutramina rispetto a placebo sui parametri infiammatori nei pazienti diabetici di tipo 2 I. Palombo, P. Maffioli, S.A.T. Salvadeo, I. Ferrari, A. Gravina, R. Mereu, A. D’Angelo, S. Randazzo, G. Derosa Ambulatori di Diabetologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Clinica Medica II, Università di Pavia Ore 12.45-13.00 Conclusioni

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Riassunti delle Comunicazioni Orali

In ordine di presentazione

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LA FUNZIONE ENDOTELIALE È ASSOCIATA ALLA RIGIDITÀ ARTERIOSA IN PAZIENTI CON DIABETE TIPO 2 Giuseppe Daniele, Lorenzo Ghiadoni**, Rosamaria Bruno**, Cristina Bianchi, Laura Pucci, Daniela Lucchesi, Eugenia Storti, Eleonora Russo, Stefano Taddei**, Roberto Miccoli, Stefano Del Prato, Giuseppe Penno Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo, **Dipartimento di Medicina interna, Università di Pisa Scopi La rigidità arteriosa è considerata un predittore indipendente di mortalità cardiovascolare ed è influenzata da diversi fattori, tra cui il tono vascolare. Il diabete si associa a disfunzione endoteliale ed aumentata rigidità delle arterie di grosso calibro. La relazione tra funzione endoteliale e rigidità arteriosa, in soggetti con diabete mellito tipo 2 (DMT2), è poco esplorata. Per tale motivo abbiamo verificato l’ipotesi che la funzione endoteliale possa indipendentemente modulare la rigidità arteriosa valutata come velocità di pulsazione aortica (aortic pulse wave velocity- PWV) in 39 soggetti (18 uomini, 21 donne) con DMT2 (età 58±8, durata del diabete di: 12±8 anni, BMI: 32.7±5.6 kg/m2, C-peptide a digiuno: 4.0±2.4 ng/ml, HbA1c: 8.3±0.7%). Metodi La funzione endoteliale è stata valutata come dilatazione flusso-mediata (FMD) e risposta dell’arteria brachiale alla nitroglicerina sublinguale (NGT). La velocità di pulsazione aortica (PWV) e l’indice di aumento centrale (Aix/HR75) sono stati misurati mediante tonometro ad applanazione (SphygmoCor, AtCor Medical, Sidney). Altri parametri come il tempo di riflessione e la pressione centrale sono stati derivati dall’analisi dell’onda di pulsazione. Risultati La PWV centrale correlava con l’età (r=0.33, p=0.04), con il BMI (0.53, p=0.001), la circonferenza della vita (r=0.45, p=0.05) e con la glicemia a digiuno (r=0.41, p=0.01) ma non con i parametri di pressione arteriosa misurati mediante il monitoraggio di 24 ore della pressione arteriosa (ABPM). La PWV risultava strettamente correlata ai parametri di pressione centrale, ma non con l’ Aix/HR75 o NTG. In particolare la FMD risultava significativamente ed inversamente correlata con la PWV centrale (r=-0.50; P<0.001). Dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti, la funzione endoteliale restava indipendentemente ed inversamente associata alla PWV aortica. L’analisi di regressione stepwise ha mostrato che il BMI (step 1, R2=30%), la FMD (step 2, R2 change=24%), e la glicemia a digiuno (step 3, R2

change=10%), ma non i parametri ABPM, erano predittori indipendenti di PWV. AixHR75 e il tempo di riflessione erano associate solo all’età (R2=24% and 37%, rispettivamente). Conclusioni In soggetti con diabete tipo 2, il deterioramento della funzione endoteliale è indipendentemente associato con l’aumento della rigidità arteriosa.

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IPO E IPER-GLICEMIA : STIMOLO INFIAMMATORIO PER I MONOCITI CIRCOLANTI F Piarulli 1, A Sechi 1, D Basso 2, E Ragazzi 3 D Bozzato 2, E Greco 2, P Fogar 2, L Nollino 1, A Susana 1, M Plebani 2, A Lapolla 1. 1 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, 2 Medicina di laboratorio, 3 Dipartimento di Farmacologia e Anestesiologia : Università di Padova. Background Il ruolo cruciale dei monociti nella patogenesi dell’aterosclerosi è noto da tempo, così come l’evidenza che nei pazienti affetti da diabete mellito il rischio aterosclerotico è aumentato. Negli ultimi anni numerosi studi hanno dimostrato che, in condizioni di iperglicemia, i monociti subiscono delle modificazioni in senso pro-aterogeno. In particolare le cellule monocitarie umane, messe in coltura con elevati livelli di glucosio, si attivano esprimendo proteine i cui geni sono in gran parte regolati dall’NF-kB. I monociti di topi diabetici mostrano un fenotipo pro-infiammatorio, consistente in una significativa aumentata espressione di citochine quali IL1β e TNFα. Scopo valutare il rilascio di citochine pro- (IL1β, TNFα) e anti-infiammatorie (IL10) da parte dei monociti isolati da pazienti diabetici (D) e soggetti sani di controllo (C) in risposta a uno stimolo in vitro a dosi scalari di glucosio e colesterolo. Metodi sono stati esaminati 38 soggetti diabetici (D) e 31 soggetti non diabetici (C). I monociti sono stati purificati dal sangue periferico (60 ml di sangue in EDTA K3), tramite selezione negativa e risospesi per 24 ore in DMEM in condizioni di ipo (2,5 mM/l), eu (5 mM/l) e iperglicemia (20 mM/l) e in presenza di 2 differenti concentrazioni di colesterolo (150 e 300 mM/L).Ciascun esperimento è stato condotto in doppio, in presenza o assenza dell’attivatore dei monociti: 1 ug/ml di lipopolisaccaride (LPS), aggiunto dopo 20h. Al termine dell’ incubazione sono state dosate dal surnatante le citochine IL 1β, TNF α e IL-10 (metodiche ELISA). Risultati In assenza di stimolo con LPS, la produzione di IL1 β da parte dei monociti è risultata significativamente indotta dall’ipoglicemia rispetto all’euglicemia sia nei D (t=2.55, p<0.05) che nei C (t=3.00, p<0.01). Nei D, in condizioni di ipoglicemia, l’aumento della concentrazione di colesterolo causa un aumento del rilascio di IL1β (t=2.35, p<0.05), mentre nei C la stessa condizione causa un aumento dell’IL1β (t=1.89, p=0.068) e dell’IL10 (t=2.60, p<0.05). In presenza di LPS, l’iperglicemia induce una aumentata risposta di TNFα sia nei monociti dei D (t=5.20, p<0.001) che dei C (t=5.99, p<0.001) e una ridotta risposta di IL10 sia nei D (t=3.94, p<0.001) che nei C (t=4.73, p<0.001). Conclusioni la risposta infiammatoria dei monociti circolanti viene modificata dai livelli di glucosio e di colesterolo. L’ipoglicemia, anche in condizioni basali, attiva per se una risposta pro-infiammatoria. L’attivazione monocitaria in senso pro-infiammatorio indotta dall’ipoglicemia è più evidente nei diabetici in condizioni di elevati livelli di colesterolo. Al contrario l’iperglicemia in tutti i soggetti studiati sembra favorire un fenotipo pro-infiammatorio (caratterizzato dall’induzione di TNFα e dall’inibizione di IL-10) non in condizioni basali ma solo in presenza di monociti già attivati dal LPS. Queste evidenze potrebbero concorrere al determinismo degli outcomes cardiovascolari evidenziati nei pazienti diabetici dello studio ACCORD.

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COLTURE EX VIVO DI CELLULE PROGENITRICI ENDOTELIALI: CARATTERIZZAZIONE FENOTIPICA E FUNZIONALE. V. Spigoni, A. Dei Cas, S. Belli, L. Gnudi*, I. Zavaroni. Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche. Università degli Studi di Parma. *Department of Diabetes, Endocrinology and Internal Medicine, King’s College, London, UK. Le cellule progenitrici endoteliali (EPCs) sono definite come cellule progenitrici di derivazione dal midollo osseo in grado di dare origine, in vitro e in vivo, a cellule endoteliali mature capaci di formare strutture tubulari. Studi ex vivo sono infatti necessari per studiarne la funzionalità in termini di capacità proliferativa, migratoria e di formazione di strutture tubulari. Il numero e la funzione delle EPCs risultano significativamente ridotte in presenza di fattori di rischio, quali il diabete e patologie cardiovascolari. Recentemente, abbiamo osservato come soggetti giovani adulti sani di genere maschile iperinsulinemici abbiano un numero ridotto di EPCs rispetto a soggetti normoinsulinemici . Nell’approfondire queste nostre osservazioni ci proponiamo di valutare se anche la funzione delle EPCs sia alterata in corso di insulinoresistenza. Non esiste, ad oggi, un protocollo standardizzato per l’isolamento e lo studio delle EPCs ex vivo. Sono state descritte in letteratura differenti metodiche di coltura di queste cellule, che portano all’isolamento di popolazioni cellulari, con fenotipi e funzioni differenti. E’ stato quindi condotto uno studio preliminare al fine di valutare le diverse metodiche di colture ex vivo di EPCs e la loro complessa caratterizzazione fenotipica e funzionale. Metodi Le EPCs sono state isolate dalla popolazione delle cellule mononucleate seminate alla concentrazione di 5x106 cellule/ml in piastre ricoperte di fibronectina (10g/ml) e lasciate differenziare in terreno arricchito con fattori di crescita. Dopo 5 giorni in coltura le cellule adese sono considerate “early EPCs”. Mantenendo in coltura le cellule per circa 3 settimane si arriva all’identificazione di “late outgrowth EPCs”. Per entrambe le popolazioni cellulari si è proceduto alla caratterizzazione fenotipica, morfologica e funzionale (Tubular Formation Assay). Risultati La caratterizzazione delle early EPCs ha dato modo di constatare come esse siano costituite da una popolazione più eterogenea di cellule con una chiara origine ematopioetica (CD45+). Esse esprimono contemporaneamente marcatori endoteliali (VEGFR-2, VE-Caderine, CD31, von Willebrand Factor) e monocitari (CD14, CD11b CD44). I saggi di funzionalità hanno rivelato come esse siano in grado di integrarsi e cooperare alla formazioni di tubuli in seguito alla co-coltura con cellule HUVEC su Matrigel. Le late outgrowth EPCs, oltre ad avere diversa morfologia, esprimono marcatori endoteliali più maturi (CD146) e non di origine monocitaria. Il Tubular Formation Assay ha dimostrato come esse siano in grado di formare tubuli autonomamente. L’identificazione di due popolazioni fenotipicamente e funzionalmente distinte di EPCs, suggerisce che quest’ultime siano una popolazione eterogenea di cellule con funzioni verosimilmente diverse ma sinergicamente coinvolte nei complessi meccanismi fisiopatologici che regolano l’omeostasi e l’integrità vascolare.

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SNPS INTRONICI DI ENOS CORRELANO CON UN INCREMENTO DI SPESSORE MEDIO-INTIMALE CAROTIDEO E CON LA PRESENZA DI UN RIDOTTO NUMERO DI CELLULE ENDOTELIALI PROGENITRICI IN UNA COORTE DI SOGGETTI SANI. E Galluccio1, LD Monti1, E Setola2, P Lucotti2, S Costa1, B Fontana1, F Perticone2, M Stuccillo2, M Marrocco-Trischitta3, D Astore3, R Chiesa3, G Fadini4, A Avogaro4, E Bosi1,2, PM Piatti2 4Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Padova, Padova.

1Cardiodiabete & Core Lab, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, 2Unità Cardio-Metabolica e Trials Clinici, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, 3Chirurgia Vascolare, Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Studi recenti indicano come le cellule endoteliali progenitrici (EPCs) contribuiscano a mantenere l’integrità dell’endotelio e l’omeostasi vascolare, mentre è stato dimostrato che un ridotto numero di EPCs sembra essere predittivo di futuri eventi cardiovascolari. Inoltre, i pazienti con malattia cardiovascolare, ipertensione e diabete mellito hanno mostrato ridotti livelli di EPCs. Scopo del presente studio è stato valutare i polimorfismi di eNOS: rs753482 (introne 18), rs743506 (introne 19) e rs3730010 (introne 20). Poiché questi SNPs intronici sono localizzati in un blocco aplotipico abbiamo deciso di considerare rs753482 come variante rappresentativa del blocco aplotipico. E’ stata, quindi, definita la relazione tra questa variante e l’incremento dello spessore medio-intimale carotideo, e CD34+/KDR+ EPCs e colony-forming-units (CFU-EPC) in una popolazione di soggetti normali. Sono stati studiati 260 soggetti con età media 50±1 anni, BMI 27±5, PA sistolica 125±5 mmHg e PA diastolica 79±9 mmHg. Tutti i pazienti sono stati sottoposti a carico orale di glucosio per la misurazione di parametri metabolici e ormonali, indici di disfunzione endoteliale e di infiammazione. Sono stati eseguiti prelievi per la definizione del polimorfismi sull’introne 18 di eNOS (A/C) e per la valutazione del numero di EPCs e una valutazione dello spessore medio-intimale con metodica ecocolordoppler. Il 72% dei pazienti evidenziava risposta NGT, il 24% risposta IGT, il 4% mostravano una risposta diabetica e 130 soggetti erano affetti da Sindrome Metabolica (≥3 criteri IDF). La valutazione della presenza del polimorfismo dell’introne 18 mostrava che 138 soggetti (53%) risultavano wild type (WT), 101 soggetti (39%) erano eterozigoti (ET) e 21 (8%) doppi mutati (MUT). Si è evidenziato che i pazienti MUT presentavano un incremento del 79% dello spessore medio intimale rispetto ai soggetti wild-type (0.95± 0.14 vs 0.53± 0.058 mm; p<0.01). In presenza della variante sull’introne 18 si evidenziava una riduzione significativa di CD34+/KDR+ (p<0.001) e CFU-EPCs (p<0.001) che erano marcatamente ridotti sia in assenza di Sindrome Metabolica che in presenza di Sindrome Metabolica. Inoltre, CFU-EPCs erano marcatamente ridotte di circa il 50% in presenza di familiarità per malattia cardiovascolare (p<0.02). In conclusione, il polimorfismo del gene di eNOS correla con la presenza di un incremento di dello spessore medio-intimale a livello carotideo e con un ridotto numero di cellule endoteliali progenitrici in una popolazione di soggetti sani. Questo sembra suggerire un ruolo patogenetico del polimorfismo di eNOS nello sviluppo di aterosclerosi precoce.

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MIR-222 CONTROLS NEOVASCULARIZATION BY REGULATING STAT5A EXPRESSION P. Dentelli, A. Rosso, B. Uberti, G. Togliatto, C. Olgasi, C. Barale, A. Trombetta, A. Castelli, L. Pegoraro, M.F. Brizzi. Dipartimento di Medicina Interna, Torino

Objective Intraplaque neovascularization strictly controls lesion progression. miR-222, a member of a class of short non-coding RNAs, involved in post-transcriptional gene regulation, seems to control vascular remodeling, by acting on different targets. STAT5A, known to modulate vascular growth, is a predicted miR-222 target. We aimed to assess whether miR-222 contributes to inflammation-mediated neovessel formation by targeting STAT5A. Methods and results Quantitative real time amplification demonstrated that endothelial cell (EC) proliferation is associated with changes in miR-222 expression. Using both gain-of-function and loss-of-function approaches we demonstrated that miR-222 controls STAT5A during cell proliferation both in vitro and in vivo. In addition, down-regulation of miR-222 correlates with STAT5A expression in EC recovered from advanced neovascularized atherosclerotic lesions. Conclusions We identify STAT5A as a novel miR222 target, a new perspective for treatment of vascular diseases.

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EVALUATION OF TCL7L2 POLYMORPHISM AS A NEW TOOL IN THE PREDICTION OF IMPAIRED FASTING GLUCOSE AND DIABETES. R.Gambino, S. Bo, G. Pagano, N.Alemanno, M. Cassader. Dipartimento di Medicina Interna, Torino

Background TCF7L2 is a nuclear receptor for CTNNB1 known as β-catenin. This receptor is the last step of the Wnt signaling pathway which regulates embryogenesis, cell proliferation and motility other than cell fate determination. Some polymorphisms of the TCF7L2 gene were associated with Type 2 diabetes since the Wnt signaling pathway is linked to glucose homeostasis. Methods 1,877 Caucasian subjects aged 45-64 years were invited to participate in a metabolic screening in 2001-2003. These subjects are representative of the Local Health Units of the province of Asti (North-western Italy); Diabetes was diagnosed when 2 fasting glucose values were >126 mg/dL or if known diabetes was recorded by the family physician, while those with blood glucose levels between 100 and 125 mg/dL were classified as having impaired fasting glucose. Results homozygous carriers of TT genotype (rs7903146) had significantly higher glucose levels (<0.001) in the fasting state and lower HOMA-B values (<0.001). After six-year follow-up type 2 diabetes and IFG reached the highest prevalence in the homozygous T carriers (<0.001)). HOMA-B values, are lower in subjects carrying the minor T allele (<0.001). After adjustment for age, sex, BMI, waist circumference and familial diabetes, the T allele confers an increased risk for IGF and diabetes both in heterozygous and homozygous carriers either at baseline and at follow-up. Conclusion. The practical relevance of this result is the independent capability of TCF7L2 polymorphism to predict a worsening of glycemic control toward IGF or overt type 2 diabetes in the follow-up. This result may suggest that in the general population the evaluation of the diabetic risk should take into account also the evaluation of TCF7L2 polymorphism other than traditional risk factors, to better “weight” the risk. Since the risk is particular high in TT subjects, a systematic intervention to prevent diabetes should be planned in this subgroup of population, which represents only 13,7% of our adult population. In the heterozygous CT subjects the preventive intervention should be planned on the basis of the presence of other canonical risk factors in order to reduce the economical impact of the intervention.

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POLIMORFISMI DEL GENE DI ANP MA NON DI ENOS SI ASSOCIANO A INSUFFICIENZA VALVOLARE MITRALICA. P Lucotti1, LD Monti2, E Setola1, E Galluccio2, MG Pala3, A Rossodivita3, S Costa2, B Fontana2, F Perticone2, M Stuccillo1, E Bosi1, 2, O Alfieri, PM Piatti1 1Unità Cardio-Metabolica e Trials Clinici, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, 2Cardiodiabete & Core Lab, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, 3Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano Mentre varianti del gene eNOS sono stati correlati alla presenza di cardiopatia ischemica, e alla presenza di alcune alterazioni legate alla sindrome metabolica come il diabete mellito tipo 2, l’insulino resistenza, l’ipertensione arteriosa, la disfunzione endoteliale e l’obesità, poco è noto sulla possibilità che queste varianti siano presenti in pazienti affetti da altre patologia cardiache, come l’insufficienza mitralica. D’altro canto varianti geniche del gene di ANP sono state correlate alla presenza di ipertrofia cardiaca in pazienti affetti da ipertensione arteriosa, quest’ultime alterazioni estremamente frequenti nei pazienti affetti da sindrome metabolica e da diabete mellito di tipo 2. Scopo di questo studio è stato quello di valutare la prevalenza de varianti del gene di eNOS e ANP in due popolazioni caratterizzate da cardiopatia ischemica o da insufficienza valvolare mitralica. Sono stati studiati 417 soggetti affetti da cardiopatia ischemica, 65 soggetti affetti da insufficienza valvolare mitralica e 105 soggetti di controllo. Tutti i pazienti presentavano anamnesi negativa per diabete mellito di tipo 2. I due gruppi erano comparabili per età, BMI, pressione arteriosa sistolica e diastolica , livelli circolanti di colesterolo, di HDL colesterolo e di trigliceridi. Sono stati valutati 3 SNPs per il gene di eNOS: rs753482 (introne 18), rs743506 ( introne 19) e rs3730010 (introne 20). Poiché questi SNPs intronici sono localizzati in un blocco aplotipico abbiamo deciso di considerare rs753482 come variante rappresentativa del blocco aplotipico. Per il gene di ANP sono stati valutati 4 SNPs: rs 5063 sull’Esone 1, rs 13305986 sul Promoter, rs 5067 su 3’UTR e rs 5065 sull’Esone 3. Si è evidenziato per rs753482 di eNOS che il 50% di pazienti cardiopatici era wild-type, il 34% era eterozigote e il 16% era omozigote per la mutazione. Nei soggetti con insufficienza valvolare mitralica il 47% era wild-type, il 47% era eterozigote e il 6% era omozigote per la mutazione. Nei soggetti di controllo il 55% era wild-type, il 38% era eterozigote e il 6% era omozigote per la mutazione. La presenza dell’allele mutato era paragonabile nei pazienti con insufficienza valvolare mitralica e nei controlli mentre era significativamente più frequente nei pazienti con cardiopatia ischemica. La valutazione della variante rs 5065 sull’Esone 3 di ANP ha evidenziato che i pazienti con insufficienza valvolare mitralica erano per il 70% wild-type, per 7% eterozigoti e per il 23% omozigoti per l’allele mutato mentre i pazienti cardiopatici erano per il 79% wild-type, per il 15% eterozigoti e per il 6% omozigoti per la mutazione e nei pazienti di controllo, il 79% era wild-type, il 10% eterozigote e 11% omozigote per l’allele mutato. La presenza dell’allele mutato era significativamente maggiore nei pazienti con insufficienza valvolare mitralica rispetto ai cardiopatici ischemici (p<0.01) e ai controlli (p<0.05). La mutazione rs 5067 su 3’UTR presentava analogo comportamento con una frequenza maggiore dell’allele mutato nei pazienti con insufficienza valvolare mitralica rispetto ai cardiopatic ischemici e ai controlli. In conclusione, varianti del gene di eNOS sembrano essere associati a presenza di cardiopatia ischemica, varianti del gene di ANP sembrano essere maggiormante frequenti in pazienti con valvulopatia mitralica. Studi ulteriori sono necessari per comprendere il meccanismo fisiopatologico sotteso alla presenza di queste varianti geniche.

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PREVALENZA DI VARIANTI DEI GENI DI ANP E ENOS IN PAZIENTI CON CARDIOPATIA ISCHEMICA E VASCULOPATIA CAROTIDEA RISPETTO A UN GRUPPO DI SOGGETTI NORMALI E Setola1, LD Monti2, P Lucotti1, E Galluccio2, MG Pala3, A Rossodivita3, M Comola4, A Poggi4, M Marrocco-Trischitta3, S Mammì4, S Costa2, B Fontana2, F Perticone2, M Stuccillo1, G Comi, R Chiesa3, E Bosi1, O Alfieri3, PM Piatti1 1Unità Cardio-Metabolica e Trials Clinici, Dipartimento di Medicina Interna e Specialistica, 2Cardiodiabete & Core Lab, Divisione di Scienze Metaboliche e Cardiovascolari, 3Dipartimento Cardio-Toraco-Vascolare, 4Dipartimento Neurologico, Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Varianti del gene di eNOS si associano significativamente con la presenza di cardiopatia ischemica e impianto di stent ma poco si conosce riguardo alla loro prevalenza nella vasculopatia carotidea. Inoltre, dati recenti evidenziano un ruolo del gene di ANP quale possibile gene candidato nello sviluppo di stroke. Sono stati studiati 417 soggetti affetti da cardiopatia ischemica, 77 soggetti affetti da vasculopatia carotidea e 105 soggetti di controllo. Tutti i pazienti presentavano anamnesi negativa per diabete mellito di tipo 2. I due gruppi erano comparabili per età, BMI, pressione arteriosa sistolica e diastolica , livelli circolanti di colesterolo, di HDL colesterolo e di trigliceridi e la terapia antiaggregante, antipertesiva e con statine era paragonabile. Sono stati valutati 3 SNPs per il gene di eNOS: rs753482 (introne 18), rs743506 ( introne 19) e rs3730010 (introne 20). Poiché questi SNPs intronici sono localizzati in un blocco aplotipico abbiamo deciso di considerare rs753482 come variante rappresentativa del blocco aplotipico. Per il gene di ANP sono stati valutati 4 SNPs: rs 5063 sull’Esone 1, rs 13305986 sul Promoter, rs 5067 sul 3’UTR e rs 5065 sull’Esone 3. Si è evidenziato per rs753482 di eNOS che il 50% di pazienti cardiopatici era wild-type, il 34% era eterozigote e il 16% era omozigote per la mutazione. Nei soggetti con vasculopatia carotidea il 49% era wild-type, il 39% era eterozigote e il 12% era omozigote per la mutazione. Nei soggetti di controllo il 55% era wild-type, il 38% era eterozigote e il 6% era omozigote per la mutazione. Non vi erano differenze significative nella percentuale di omozigoti fra i pazienti con cardiopatia ischemica e i pazienti con vasculopatia carotidea mentre, sia i pazienti cardiopatici ischemici (p<0.01) che i pazienti con vasculopatia carotidea (p<0.05) presentavano una frequenza significativamente maggiore dell’allele mutato rispetto ai soggetti di controllo. La valutazione della variante rs 5065 sull’Esone 3 di ANP ha evidenziato che i pazienti cardiopatici erano per il 79% wild-type, per il 15% eterozigoti e per il 6% omozigoti per la mutazione. Per contro, i pazienti con vasculopatia carotidea erano per il 72.6% wild-type, per 8% eterozigoti mentre erano per il 19.4% omozigoti per l’allele mutato. Nei pazienti di controllo, 79% dei pazienti era wild-type, 10% eterozigote e 11% omozigote per l’allele mutato. La presenza dell’allele mutato era significativamente maggiore nei pazienti con vasculopatia carotidea rispetto ai cardiopatici ischemici (p<0.01) e ai controlli (p<0.05). Gli altri SNPs di ANP non mostravano differenze significative fra cardiopatici ischemici e pazienti con vasculopatia carotidea. In conclusione, varianti del gene di eNOS sembrano essere presenti con frequenze comparabili sia in pazienti con cardiopatia ischemica e con vasculopatia periferica. Al contrario, la variante rs 5065 sull’Esone 3 di ANP sembra essere maggiormente associata alla presenza di vasculopatia carotidea. Studi ulteriori sono necessari per comprendere il meccanismo fisiopatologico sotteso alla presenza di queste varianti geniche.

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ANALISI TRASCRITTOMICA DELLE DIVERSE TIPOLOGIE DI ATTIVAZIONE MACROFAGICA NELLA PATOLOGIA ATEROSCLEROTICA. Derlindati E.1, Ardigò D.1,I.Zavaroni1. 1 Dipartimento di Medicina Interna e Scienze Biomediche, Università di Parma Background I macrofagi rappresentano una componente cellulare chiave nello sviluppo e progressione della patologia aterosclerotica. Il loro profilo fenotipico è tuttavia caratterizzato da una profonda eterogeneità, in quanto il loro stato funzionale dipende prevalentemente dal microambiente citochinico a cui sono esposti. In particolare si può sviluppare un’attivazione di tipo classico (o M1) in risposta a citochine infiammatorie, originando un fenotipo che promuove il processo flogistico e partecipa alla risposta immunitaria attivando i linfociti Th1. Tuttavia, in presenza di citochine antinfiammatorie si genera un tipo di attivazione alternativa (o M2), caratterizzata da funzionalità relative al processo di angiogenesi, al rimodellamento tissutale e al controllo della flogosi. Scopo Valutare il fenotipo di macrofagi umani esposti ad ambienti citochinici in grado di indurre l’attivazione M1 o M2, tramite analisi del profilo di espressione genica, e verificare le variazioni fenotipiche indotte in macrofagi M1 dall’esposizione ad un ambiente “anti-infiammatorio”. Materiali e metodi. Sono state allestite colture primarie di monociti-macrofagi circolanti provenienti da un pool di soggetti sani a cui sono stati aggiunti INFγ e LPS per stimolare l’attivazione M1, mentre per originare il fenotipo attivato M2 sono state utilizzate interleuchina 4 e interleuchina 10. Per verificare se l’ambiente citochinico sia in grado di modificare il fenotipo infiammatorio di macrofagi già differenziati, gli M1 sono stati successivamente esposti a medium condizionato contenente surnatante proveniente dalla cultura di M2. L’espressione genica è stata valutata con tecnologia oligo-RNA microarray dual-color a genoma completo (Agilent Technologies, CA, USA). La presenza di gruppi di geni e pathway differenzialmente espressi è stata valutata tramite analisi di distribuzione ipergeometrica. Risultati Il confronto diretto del profilo di espressione genica fra macrofagi M1 e M2 rivela una iper-espressione di geni appartenenti ai gruppi ontologici relativi alla risposta immunitaria, flogistica e ai processi apoptotici da parte degli M1 (“immune system process”, p-value=1.06E-22; regulation of apoptosis, p-value=6.74E-15; “inflammatory response”, p-value=1.18E-10). L’analisi dei pathway di M2 documenta invece una sovraespressione dei processi relativi all’interazione con la matrice extracellulare (p-value=2.9E-4), e l’attivazione dei recettori nucleari PPARγ (p-value=2.3E-3. ). Il profilo di espressione genica osservato nei macrofagi M1 in presenza di medium condizionato da cultura di M2 presenta invece aspetti riferibili ad entrambi i fenotipi, in quanto rispetto ai primi sotto esprimono gruppi di geni che partecipano alla risposta immunitaria (“immune response”, p-value=1.69E-12; “cell communication”, p-value=1.46E-10), mentre rispetto ai secondi presentano comunque uno stato di tipo pro-infiammatorio (“response to wounding”, p-value=2.72E-9; “inflammatory response”, p-value=5.82E-7). Conclusioni Il confronto diretto fra macrofagi M1 ed M2 evidenzia differenze funzionali fra i due tipi di attivazione. I primi infatti rivelano una significativa partecipazione al processo infiammatorio, mentre i secondi risultano “deattivati” da questo punto di vista funzionale. L’analisi trascrittomica di M1 in presenza di medium condizionato mostra caratteristiche inerenti ad entrambi gli stati di attivazione M1 e M2.

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UNACYLATED GHRELIN RESCUES ENDOTHELIAL PROGENITOR CELL FUNCTION IN DIABETIC PATIENTS G. Togliatto, A. Trombetta, P. Dentelli, A. Baragli, A. Rosso, B. Uberti, C. Barale, C. Olgasi, A. Castelli, R. Granata, L. Pegoraro, E. Ghigo and M. F. Brizzi Dipartimento di Medicina Interna, Torino

Objective Acylated ghrelin (AG) is a diabetogenic and orexigenic gastric polypeptide. These properties are not shared by the most abundant circulating form, which is unacylated (UAG). An altered UAG/AG profile together with an impairment of circulating endothelial progenitor (EPC) bioavailability were found in diabetes. Based on previous evidence for the beneficial cardiovascular effects of AG and UAG, we investigated their potential to revert diabetes-associated defects in the mobilization of endothelial progenitor cells (EPC). Research Design and Methods: Healthy human subjects and diabetic patients as well as ob/ob mice were either AG- or UAG-infused. EPC mobilization in patients and mice was evaluated and the underlying molecular mechanisms investigated in bone-marrow stromal cells. Recovered EPCs were also evaluated for the activity of senescence regulatory pathways (p53, p21, pRb) and for NADPH oxidase activation by knocking-down p47phox and Rac1. Finally, UAG modulation of human EPC vasculogenic potential was investigated in an in vivo mouse model. Results Neither AG nor UAG had any effect in healthy subjects. However, systemic administration of UAG but not AG, prevented diabetes-induced EPC damage by modulating the NADPH oxidase regulatory protein Rac1 and improved their vasculogenic potential both in diabetic patients and in a mouse model of diabetes. Additionally, unlike AG, UAG facilitated the recovery of bone-marrow (BM)-EPC mobilization. Crucial to EPC mobilization by UAG was the rescue of nitric oxide synthase (eNOS) phosphorylation by Akt, as UAG treatment was ineffective in eNOS knockout mice. Consistently, EPCs expressed membrane binding sites for UAG which were not recognized by AG. Conclusions These data provide the rationale for clinical applications of UAG in pathological settings where AG fails.

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SINDROME METABOLICA: VALUTAZIONE NON INVASIVA DELL’ADIPOSITÀ VISCERALE E PROFILO LIPIDICO M. Soattin, N. Vitturi, D. Vianello, M. Resta, S. Zambon G. Realdi, A. Zambon Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova Presupposti dello studio la sindrome metabolica costituisce una patologia estremamente frequente nel mondo occidentale ed il ruolo dell’obesità e soprattutto dell’accumulo di tessuto adiposo in sede viscerale, svolgono un ruolo chiave nella sua patogenesi. Scopo: valutazione di alcune metodiche ecografiche nella determinazione della quantità di tessuto adiposo a livello addominale e confronto con le misurazioni antropometriche e i parametri bioumorali della sindrome metabolica. Materiale e Metodi popolazione composta da 62 soggetti volontari di razza caucasica, di cui 34 con i criteri diagnostici di sindrome metabolica descritti dall’atp-III. I soggetti sono stati sottoposti alle seguenti determinazioni:

• Parametri antropometrici: PAO, FC, peso, altezza, BMI, circonferenza della vita e dei fianchi, SAD (diametro sagittale dell’addome) • Parametri bioumorali: assetto lipidico (colesterolo totale, HDL-C, LDL-C, trigliceridi, determinazione della densità delle LDL con ultracentrifugazione in gradiente di densità in rotore verticale, Lp(a) ), assetto glucidico (glicemia, insulinemia, HOMA), omocisteina, hspcr, TNF-α, TGF-β, IL-6, adiponectina, leptina. • Parametri ecografici addominali: dimensioni epatiche, presenza ed eventuale grado di steatosi, spessore del grasso intra-addominale suddiviso in sottocutaneo, viscerale, pararenale, perirenale e periepatico • Parametri impedenzometrici mediante Vi-Scan: Visceral Fat e Trunk Fat

I criteri di esclusione comprendono grave insufficienza epatica o renale, tireopatia, sindrome coronaria acuta nei 3 mesi precedenti, diabete mellito conclamato, terapia con insulino-sensibilizzanti (Metformina e glitazoni), ipolipemizzanti orali, Sibutramina ed Orlistat. Risultati le misure ecografiche del grasso peritoneale, perirenale, pararenale e periepatico mostrano una stretta associazione con la presenza di sindrome metabolica ed inoltre tali misurazioni correlano significativamente con i valori di colesterolo HDL, trigliceridemia e i parametri glicemici; la presenza di grasso preperitoneale non correla con la sindrome metabolica e con le sue caratteristiche alterazioni metaboliche. Nel nostro campione non sono risultate correlazioni tra citochine infiammatorie e sindrome metabolica. Abbiamo invece riscontrato una correlazione significativa tra riduzione della frazione “large boyant”-LDL e lo spessore del grasso peritoneale e periepatico; ancor più significativa è risultata la differenza di concentrazione delle frazioni lipoproteiche nei soggetti affetti da sindrome metabolica che presentano maggior concentrazione di VLDL, IDL e LDL “small dense” e minor concentrazioni di HDL e “large boyant” LDL rispetto ai soggetti non affetti. Conclusioni nel nostro studio i parametri ecografici risultano significativamente correlati alla presenza di sindrome metabolica e ai parametri lipidici della sindrome stessa, quali ipertrigliceridemia, basse HDL e LDL piccole e dense, e alle alterazioni del metabolismo glucidico. L’ecografia si dimostra una metodica promettente nella valutazione del grasso viscerale addominale, essendo rapida, ripetibile e priva di effetti collaterali, da affiancarsi ad altre metodiche tradizionali nella valutazione del paziente con sindrome metabolica.

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LEPTINA E PCR QUALI INDICATORI DI PERSISTENZA DELLA DISFUNZIONE DELL’ENDOTELIO VASCOLARE NEI DIABETICI IN SOVRAPPESO CON PREGRESSO IMA Gatti. A.*, Carleo D. $, Carleo R.$ Ospedale Accreditato Villa dei Fiori – Acerra – U.O.C. di Medicina e Diabetologia $ ASL NA1 – P.O. “San Gennaro” – U.O.C. di Malattie del Metabolismo * Abstract Recenti osservazioni epidemiologiche hanno ribadito il ruolo prognostico che possono rivestire i marcatori biologici come gli indici precoci del danno endoteliale e quindi vascolare aterotrombotico. Tra i vari indici sicuramente riveste un ruolo importante la Proteina C Reattiva (PCR). Recentemente uno studio sperimentale ha valutato gli effetti della leptina sulla sintesi della PCR in cellule endoteliali coronariche umane in coltura (HCAEC), concludendo che la leptina induce la produzione di PCR in HCAEC, mediante l’attivazione di PKC modulata dalla via di Rho/ROCK. Questi risultati spiegherebbero, almeno in parte, l’aumentato rischio di sviluppare eventi avversi cardiovascolari osservato nei soggetti con incremento dei livelli plasmatici di leptina, peraltro tutti soggetti in sovrappeso e, quindi, comunque a rischio aterotrombotico. Nella nostra popolazione composta da 1108 uomini diabetici di tipo 2 (tab. 1) la leptina aumenta parallelamente all’aumento della PCR quando si passa dai soggetti indenni a quelli con pregresso IMA. L’alto valore di leptina correla con l’IMA pregresso (OR=1.76; I.C.= 1.31 - 2.37; p=0.001). Possiamo quindi ritenere verosimile che l’aumento della leptina in vivo possa influire sull’incremento della PCR, come ipotizzato negli studi sperimentali, e che entrambi aumentino in caso di lesione coronarica acuta e/o pregressa come un discreto indice di rischio cardiovascolare. L’analisi retrospettiva da noi operata conferma il collegamento tra pregresso IMA e aumento sia della leptina sia della PCR a dimostrazione di un possibile link causa effetto tra le 2 sostanze. I nostri risultati sono sufficienti ad ipotizzare il ruolo della leptina e della PCR in concentrazioni superiori alla norma quali indicatori della disfunzione dell’endotelio vascolare negli uomini diabetici in sovrappeso con pregresso IMA.

INFARTO MIOCARDICO PREGRESSO N. LEPTINA (NG/ML) PCR (MG/L) NO 890 11,64± 12,00 5,06± 4,78 SI 218 14,17± 12,38* 6,45± 5,56** OR 1.76 (1.31 , 2.37) 1.68 (1.19 , 2.37)

*= P<0.001 **= P<0.01 TABELLA 1: VALORE MEDIO E DS (M±DS) DELLA LEPTINEMIA E DELLA PROTEINA C REATTIVA (PCR) DELLA POPOLAZIONE TOTALE E DIVISA SULLA BASE DEL RILIEVO DI UN PREGRESSO IMA

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SINDROME METABOLICA E DANNO D’ORGANO IN UNA POPOLAZIONE PEDIATRICA AMBULATORIALE P. Di Bonito1, C. Forziato2, E. Sanguigno2, F. Saitta2, C. Scilla3, L. Cavuto3, G. Sibilio3, N. Moio3, B. Capaldo4 1UOD di Diabetologia, 2Dipartimento di Pediatria, 3Dipartimento di Cardiologia, PO “SM delle Grazie”, Pozzuoli, 4Dip. Med. Clin. e Sperim. Università Federico II, Napoli

Premessa La Sindrome Metabolica pediatrica (SMP) è definita ancora in modo eterogeneo, inoltre sono stati avanzati dubbi sulla sua autonomia clinica rispetto ai fattori che la compongono. Scopo Analizzare se la SMP è associata a manifestazioni precliniche di danno cardiaco, epatico, e glomerulare in una popolazione pediatrica ambulatoriale. Metodi Sono stati inclusi tutti i bambini osservati presso l’ambulatorio di Pediatria del PO di Pozzuoli nel periodo 2004-09, per allergia o eccedenza ponderale. Sono stati esclusi i soggetti con malattie cardiache, epatiche, infettive o renali. Sono stati analizzati: livelli di ALT, filtrato glomerulare stimato (eGFR), HOMA-IR. Escrezione urinaria di albumina (UAE), geometria e funzione ventricolare sinistra (VS) sono stati analizzati in 465 e 231 bambini, rispettivamente. La SM è stata definita con i criteri di de Ferranti. Risultati Sono stati studiati 724 bambini (età 10±3 anni, M±DS), di cui 25% normopeso, 24% sovrappeso ed 51% obesi. La SM è stata diagnosticata in 173 bambini (24%). Il gruppo SM+ non differiva dal gruppo SM- per età (10±3 vs 10±3 anni) e sesso maschile (50 vs 49%), ma mostrava più alti livelli di ALT (HALT)(31±19 vs 21±11 IU/L, P<0.0001), massa VS (39±10 vs 34±10 g/h2.7, P<0.001) e spessore relativo di parete del VS (RWT) (0.37±0.06 vs 0.35±0.05, P<0.01). I due gruppi non differivano per UAE, eGFR e funzione del VS. Il fenotipo SM+, rispetto al fenotipo SM-, mostrava un maggior rischio (Odds Ratio, 95%Cl) di HALT (ALT >30 UI/L in ragazzi e >19 IU/L nelle ragazze): 3.10, 2.18-4.41 (P<0.0001) o ipertrofia concentrica del VS (CLVH)(massa VS >38 g/m2.7 e RWT >0.375): 4.43, 2.06-9.55 (P<0.0001) Questo risultato era confermato all’analisi multivariata stepwise dopo aggiustamento per i fattori confondenti compresi i singoli componenti della SM. Nel gruppo SM+ la presenza contemporanea di HALT e CLVH era associata ad un rischio molto alto sia all’analisi univariata: 7.93, 2.46-25.57 (P<0.0001) che multivariata: 5.43, 1.63-18.12 (P<0.01). Conclusioni La SMP è associata ad un alto rischio di HALT e CLVH, indipendentemente dai singoli componenti che la compongono. Questi risultati dimostrano che la SMP è una entità clinica autonoma, in grado di indurre un danno cardiaco ed epatico, per cui necessita di essere attivamente identificata e trattata.

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ELEVATI LIVELLI DI GLICEMIA AD UN’ORA DAL CARICO ORALE DI GLUCOSIO IDENTIFICANO SOGGETTI AD ALTO RISCHIO DI DIABETE E CON UN PEGGIOR PROFILO DI RISCHIO CARDIOVASCOLARE. RISULTATI DELLO STUDIO GENFIEV Bianchi Cristina*, Bonadonna Riccardo**, Penno Giuseppe*, Giovannitti M. Giovanna*, Crisci Isabella*, Daniele Giuseppe*, Del Prato Stefano*, Miccoli Roberto*, **Dipartimento di Scienze Biomediche e Chirurgiche, Università degli Studi di Verona *Dipartimento di Endocrinologia e Metabolismo – Sezione Diabetologia e Malattie Metaboliche, Università di Pisa Razionale ed Obiettivo dello studio Recenti evidenze suggeriscono che nei soggetti con normale tolleranza glucidica (NGT) livelli di glicemia >155 mg/dl ad un ora dal carico orale di glucosio (1h-OGTT) siano predittivi di diabete e si associno a segni di aterosclerosi subclinica (aumento dello spessore intima-media carotideo). In questo studio abbiamo valutato, in un’ampia coorte di soggetti ad alto rischio di diabete, la capacità della glicemia 1h-OGTT di identificare soggetti con alterazioni della regolazione glucidica (IGR)/diabete tipo 2 di nuova diagnosi (newDM2) e ne abbiamo studiato le caratteristiche di secrezione β-cellulare, insulino-resistenza e profilo di rischio cardiovascolare. Pazienti e Metodi 929 soggetti (44% uomini e 56% donne; età: 47±11 anni, BMI: 29±5 Kg/m2), reclutati nell’ambito dello studio multicentrico nazionale GENFIEV (Genetica, Fisiopatologia ed Evoluzione del Diabete tipo 2), sono stati sottoposti ad OGTT con misurazioni multiple (0, 15, 30, 60, 90 e 120 minuti) di glicemia, C-peptide e insulinemia. In tutti i soggetti sono stati, inoltre, valutate misure antropometriche, pressione arteriosa e profilo lipidico. L’insulino-resistenza è stata valutata mediante indice HOMA-IR (glicemia a digiuno (mmol/L) x insulinemia a digiuno (µU/ml)/22.5) e la secrezione insulinica sia come indice insulinogenico (∆0-30 c-peptide/∆0-30 glicemia) sia mediante modello minimale che permette di valutare la secrezione insulinica basale (B-IS) e la prima fase di secrezione insulinica (C-CD). Risultati Il 39% dei soggetti NGT, il 76% degli IFG, il 90% degli IGT, il 99% degli IFG+IGT e il 98% dei soggetti con newDM2 presentavano livelli di glicemia 1h-OGTT >155 mg/dl. Nell’identificare soggetti con IGR o newDM2, la glicemia 1h-OGTT >155 mg/dl si dimostra altamente specifica (89%) e relativamente sensibile (69%), con un alto potere predittivo positivo (92%). Fra i 474 soggetti NGT (37% uomini e 63% donne; età: 46±12 anni, BMI: 28.4±5.3 Kg/m2), coloro che avevano glicemia 1h-OGTT >155 mg/dl, rispetto a coloro ≤155 mg/dl, risultavano più insulino-resistenti (HOMA-IR 2.722±0.006 vs 0.092±0.092 mmol/L x µU/ml; p<0.0001) e presentavano una significativa riduzione della prima fase di secrezione insulinica (Indice Insulinogenico: 0.052±0.030 vs 0.092±0.17; p<0.001; C-CD: 1381±865 vs 1721±1384 Pmol/m2 BSA/mM/min; p<0.005) e delle performance β-cellulare (Disposition Index: 0.055±0.097 vs 0.026±0.025; p<0.0001). Non si osservavano, invece, differenze significative nella secrezione insulinica basale (B-IS: 97±45 vs 91±39 Pmol/m2 BSA/mM/min; p>0.05). Inoltre, i livelli di HbA1c risultavano significativamente più elevati nei soggetti NGT con elevata glicemia 1h-OGTT (5.6±0.4 vs 5.3±0.4%; p<0.0001). I soggetti NGT con glicemia 1h-OGTT >155 mg/dl, rispetto a quelli 1h-OGTT≤155 mg/dl, mostravano un profilo di rischio cardiovascolare peggiore, caratterizzato da livelli più elevati di pressione arteriosa sistolica (128±13 vs 122±14 mmHg; p<0.0001) e diastolica (81±10 vs 77±11 mmHg; p<0.0001), colesterolo LDL (136±41 vs 127±37 mg/dl; p<0.05) e trigliceridi (136±96 vs 117±75 mg/dl; p<0.05) e più bassi livelli di colesterolo HDL (52±14 vs 56±16 mg/dl; p<0.005). Tuttavia, rispetto agli IGT, i soggetti NGT con glicemia 1h-OGTT >155 mg/dl mostravano un profilo di rischio cardiovascolare lievemente migliore, un grado di insulino-resistenza sovrapponibile e funzione β-cellulare lievemente migliore (Tab. 1).

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Tab. 1: Profilo di rischio cardiovascolare, insulino-resistenza e secrezione β-cellulare nei soggetti NGT con 1h-OGTT >155 mg/dl e nei soggetti IGT. NGT E GLICEMIA 1H-OGTT >155

MG/DL IGT P

BMI (KG/M2) 28.8±5.1 29.9±5.2 <0.05 CIRCONFERENZA VITA (CM) 102±14 102±13 N.S. PRESSIONE ARTERIOSA SISTOLICA (MMHG)

128±13 133±17 <0.005

PRESSIONE ARTERIOSA DIASTOLICA (MMHG)

81±10 84±12 <0.05

COLESTEROLO TOTALE (MG/DL) 211±44 213±41 N.S. COLESTEROLO LDL (MG/DL) 136±41 136±38 N.S. COLESTEROLO HDL (MG/DL) 52±14 52±14 N.S. TRIGLICERIDI (MG/DL) 142±104 155±88 N.S. HOMA-IR (MMOL/L X µU/ML) 2.7±1.9 3.0±1.7 N.S. INDICE INSULINOGENICO 0.052±0.030 0.048±0.029 N.S. PREFORMANCE Β-CELLULARE 0.026±0.025 0.021±0.017 <0.01 B-IS (PMOL/M2 BSA/MM/MIN) 97±45 106±42 <0.05 C-CD(PMOL/M2 BSA/MM/MIN) 1381±866 1377±999 N.S. Conclusioni La glicemia 1h-OGTT >155 mg/dl ha una buona capacità discriminativa dei soggetti con IGR/newDM2 e consente di identificare, nell’ambito dei soggetti NGT, un sottogruppo con minor sensibilità insulinica, ridotta funzione β-cellulare e peggior profilo di rischio cardiovascolare.

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ANAEMIA, INDEPENDENT OF CHRONIC KIDNEY DISEASE, PREDICTS ALL-CAUSE AND CARDIOVASCULAR MORTALITY IN TYPE 2 DIABETIC INDIVIDUALS I. Pichiri, G. Targher, G. Zoppini, C. Negri, V. Stoico, E. Bonora Endocrinology Section, Department. of Biomedical and Surgical Sciences, University of Verona Objective(s) There is limited and controversial information on whether anaemia is a risk factor for cardiovascular mortality in type 2 diabetes, and whether this risk is modified by the presence of chronic kidney disease (CKD). We assessed the predictive role of lower hemoglobin levels on all-cause and cardiovascular mortality in a cohort of type 2 diabetic individuals. Methods The cohort included 1153 type 2 diabetic outpatients, who regularly attended our diabetes clinic, after excluding those who had a history of malignancy, severe chronic obstructive pulmonary disease, end-stage renal disease or cardiovascular disease (defined as angina, myocardial infarction, coronary revascularization procedures and stroke). All participants were followed for a mean period of 4.9 years. The independent association of anaemia (i.e., defined as hemoglobin <12 g/dl in women and <13 g/dl in men) with all-cause and cardiovascular mortality was evaluated by Cox proportional hazards regression models and adjusted for potential confounders, including kidney function measures (i.e., estimated glomerular filtration rate and albuminuria). Results Anaemia was present in 18.4% (n=212) of the whole cohort. During follow-up, 166 (14.4%) patients died, 42.2% (n=70) of whom from cardiovascular causes. In univariate regression analysis, anaemia was associated with increased risk of all-cause (hazard ratio [HR] 2.62, 95%CI 1.90-3.60, p<0.001) and cardiovascular (HR 2.70, 1.67-4.37, p<0.001) mortality. After adjustment for age, sex, body mass index, smoking, hypertension, dyslipidemia, diabetes duration, hemoglobin A1c, medication use (hypoglycemic, anti-hypertensive, lipid-lowering and anti-platelet drugs) and kidney function measures, the association of anaemia with all-cause (adjusted HR 2.11, 1.32-3.35, p=0.002) and cardiovascular mortality (adjusted HR 2.23, 1.16-4.39, p=0.02) remained statistically significant. Conclusions Anaemia is associated with increased risk of all-cause and cardiovascular mortality in type 2 diabetic individuals, independently of the presence of CKD and other potential confounders. The advantage to treat anaemia in type 2 diabetes for reducing the risk of adverse cardiovascular outcomes remains to be determined.

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VITAMINA D E MORTALITÀ: LO STUDIO PRO.V.A. D. Petricca1, S. Zanoni1, S. Zambon1, R. Marin1, G. Crepaldi2, E. Manzato1,2 2CNR, Sezione Invecchiamento, Istituto di Neuroscienze, Padova 1Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Padova Introduzione Studi recenti suggeriscono che la vitamina D possa giocare un ruolo specifico nel rischio di morte. Bassi livelli di vitamina D si associano ad elevate incidenze di condizioni morbose (quali il diabete, le malattie cardiovascolari, le neoplasie e le infezioni) che predispongono ad un aumento della mortalità. Bassi livelli di 25-idrossi-vitamina D si associano ad aumento della mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari nella popolazione americana dello studio NHANES. Sino ad ora non sono stati condotti studi in popolazioni italiane. Scopo Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare l’associazione tra bassi livelli di 25-idrossi-vitamina D e mortalità totale e cardiovascolare in una popolazione anziana italiana. Materiali e Metodi In 2829 soggetti di età uguale o superiore a 65 anni arruolati nello studio Pro.V.A (Progetto Veneto Anziani) sono stati valutati i livelli sierici di 25-idrossi-vitamina D e la loro associazione con la mortalità totale e cardiovascolare. I soggetti dello studio sono stati osservati al basale e dopo un periodo medio di 4,3±1,3 anni. Le cause di morte sono state classificate secondo l’International Classification of Diseases, 9th Revision -Clinical Modifications (2002) e la mortalità cardiovascolare è stata definita dal codice 390 al 459. L’associazione tra livelli di vitamina D e mortalità è stata valutata utilizzando l’analisi di Cox. Risultati Nell’ambito della popolazione studiata, 328 soggetti (258 di 2375 non diabetici e 70 di 454 diabetici) presentavano uno stato di carenza di vitamina D (livelli sierici di 25 idrossicalciferolo <25 nmol/l), mentre 1263 soggetti (1060 non diabetici e 203 diabetici) presentavano uno stato di insufficienza (livelli di 25 idrossicalciferolo <75 nmol/l). Durante il periodo di osservazione si sono verificati 615 decessi (480 tra i soggetti non diabetici e 135 tra i diabetici), di cui 298 per cause cardiovascolari (233 tra i soggetti non diabetici e 65 tra i diabetici). Dopo aver aggiustato per età, sesso, stagione in cui era stata dosata la vitamina D e livelli di paratormone (modello 1), lo stato di carenza e di insufficienza di vitamina D si associavano con un aumento della mortalità totale in tutti i soggetti (HR=2,18; IC 95% 1,69-2,82; p=0,000; e HR=1,41; IC 95% 1,16-1,71; p=0,001), sia nei non diabetici (HR=2,16; IC 95% 1,61-2,89; p=0,000, e HR=1,49; IC 95% 1,20-1,84; p=0,000), che nei diabetici (HR=2,18; IC 95% 1,30-3,67; p=0,003; e HR=1,25; IC 95% 0,82-1,91; p=0,308). Aggiustando il modello 1 per IMC, attività fisica, abitudine al fumo, livelli di albumina, colesterolo delle LDL e delle HDL, e per la presenza al momento dell’ingresso nello studio di pregresse malattie quali cardiopatia ischemica (angina e infarto), scompenso cardiaco, ictus, arteriopatia periferica, diabete, ipertensione arteriosa, broncopneumopatia cronica, insufficienza renale, neoplasia, decadimento cognitivo, osteoporosi, artrosi, frattura di femore, lo stato di carenza e di insufficienza di vitamina D si associavano con un aumento della mortalità totale in tutti i soggetti (HR=1,78; IC 95% 1,33-2,38; p=0,000; e HR=1,34; IC 95% 1,09-1,64; p=0,005), sia nei non diabetici (HR=1,66; IC 95% 1,18-2,33; p=0,004, e HR=1,37; IC 95% 1,09-1,72; p=0,007), che nei diabetici (HR=2,17; IC 95% 1,20-3,92; p=0,010; e HR=1,34; IC 95% 0,84-2,14; p=0,226). Escludendo dall’analisi gli individui affetti da angina, infarto miocardio e ictus cerebrale al basale (n=358), nel modello 1 la stato di carenza e di insufficienza di vitamina D si associavano con un aumento della mortalità cardiovascolare in tutti i soggetti (HR=2,99; IC 95% 1,96-4,58; p=0,000; e HR=1,79; IC 95% 1,28-2,52; p=0,001). Aggiustando il modello 1 per IMC, attività fisica, abitudine al fumo, colesterolo delle LDL e presenza di malattie croniche al basale, lo stato di carenza e di insufficienza di vitamina D si associavano con un aumento della mortalità cardiovascolare in tutti i soggetti (HR=2,42; IC 95% 1,49-3,93; p=0,000; e HR=1,63; IC 95% 1,14-2,33; p=0,007), così come nei soggetti non diabetici e diabetici separatamente. Conclusioni Nei soggetti anziani lo stato di carenza e di insufficienza di vitamina D sono predittori indipendenti di mortalità per tutte le cause e per cause cardiovascolari.

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INSULINA E RISCHIO DI NEOPLASIA: DATI DELL’OSSERVATORIO ARNO DIABETE. F. Agostini, E. Rossi, A. Berti, E. Cinconze, S. Moscatiello, G. Forlani, M. De Rosa, G. Marchesini. SSD di Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica Policlinico Sant’Orsola Malpighi, Università di Bologna Negli ultimi 6 mesi, uno studio osservazionale condotto nell’ambito di una compagnia di assicurazione tedesca ha sollevato notevole apprensione nella comunità diabetologica in merito al possibile rischio di neoplasia legato all’uso di un analogo basale dell’insulina. Lo studio è stato seguito da altri che hanno largamente ridimensionato questo rischio, riconducendolo in larga parte nell’ambito di un rischio generico legato al diabete tipo 2 ed all’obesità. L’Osservatorio ARNO-Diabete, un larghissimo database comprendente le prescrizioni ed i ricoveri dei soggetti con diabete su circa 10 milioni di italiani, offre dati interessanti per valutare l’importanza del problema nella popolazione italiana. Abbiamo valutato il rischio di neoplasia nella popolazione trattata con farmaci ipoglicemizzanti partendo dai casi incidenti con diagnosi di ricovero per malattie neoplastiche presenti nell’Osservatorio ARNO. Mediante l’integrazione dei dati dei ricoveri ospedalieri con quelli di prescrizione farmaceutica si è analizzata retrospettivamente la terapia antidiabetica prescritta prima del ricovero ospedaliero. Selezione del campione Il campione è costituito dai pazienti “incidenti” che hanno avuto un ricovero per tumore (diagnosi ICD-IX: dal 140 al 239) nel periodo 01/01/2007-31/12/2007. L’incidenza è stata definita sulla mancanza di ricoveri per tumore nei 2 anni precedenti e di prescrizioni di farmaci antineoplastici nei 3 anni precedenti. Questi pazienti sono poi stati analizzati retrospettivamente nei 18 mesi antecedenti per valutare le prescrizioni di antidiabetici sul territorio e la tipologia di antidiabetico prescritto (solo insulina, solo ipoglicemizzanti orali, terapia combinata). Risultati Su una popolazione di 1.518.429 soggetti assistiti per i quali erano disponibili dati longitudinali di trattamento e di ricovero, sono stati identificati 13.477 casi trattati o ricoverati per malattie neoplastiche (9.5‰). I casi incidenti nel periodo in esame sono stati 2.479 (18.4% del totale), di cui 407 trattati con farmaci antidiabetici (16.4% dei casi incidenti). Su questa base, il rischio che la neoplasia colpisca un soggetto diabetico, calcolato come odds ratio, diviene 4.25 (CI 95%, 3.82-4.73). Il rischio è sostanzialmente ridotto nei soggetti trattati con sola metformina (53 casi: OR, 2.18; 1.66-2.87), più elevato nei soggetti trattati con altri farmaci, esclusa metformina e insulina glargine (259 casi: OR, 5.14; 4.51-5.84), ridotto in soggetti che fanno metformina+altri farmaci, esclusa glargine (65 casi: OR, 2.96; 2.31-3.79) e sostanzialmente non modificato in soggetti che fanno uso di glargine+altri farmaci (30 casi: OR, 4.03; 2.81-5.79). Facendo pari a 1 il rischio generale nella popolazione diabetica, questo rischio è ridotto con la metformina da sola (0.52; 0.39-0.69) o in associazione (0.74; 0.57-0.97), è più elevato con altri farmaci (esclusa metformina e glargine (1.73; 1.41-2.12), non con glargine in associazione (1.08; 0.74-1.57). Dati simili si ottengono dall’analisi delle neoplasie del colon e della mammella nelle donne. I dati ARNO confermano un elevato rischio di neoplasia nella popolazione con diabete, con un forte rischio di bias da indicazione per soggetti obesi, senza alcuna evidenza di rischi specifici nel trattamento con glargine.

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LO SCREENING PER ISCHEMIA MIOCARDICA SILENTE RIDUCE LA MORBILITA’ E LA MORTALITA’ CARDIOVASCOLARE NEI DIABETICI DI TIPO 2 S. Collaviti C. Gazzaruso, A. Coppola, E. Baffero, D. Levante, P. Gallotti, SB Solerte1, A. Garzaniti2, A. Pujia3, A. Giustina4 Diabetologia, Istituto Clinico Beato Matteo, Vigevano; 1Geriatria, Univ. Pavia, 2 Diabetologia, AO Pavia, 3Nutrizione Clinica, Univ. Catanzaro, 4Endocrinologia Univ. Brescia L’impatto dello screening per coronaropatia asintomatica sulla prognosi cardiovascolare nel diabete non è chiaro. Lo studio DIAD ha mostrato che gli eventi cardiaci non si riducevano significativamente dopo lo screening. Tuttavia, in quello studio test da stress furono fatti durante il follow-up, quando clinicamente indicato, sia nel gruppo screenato sia nel gruppo di controllo e, soprattutto, lo studio DIAD non era uno studio di trattamento e non richiedeva test diagnostici aggiuntivi, come l’angiografia, o specifici piani di trattamento per pazienti con test di screening fuori norma. Questo potrebbe significare che il reale impatto clinico dello screening per coronaropatia non sia stato pienamente sottolineato e compreso. Noi abbiamo valutato l’impatto dello screening per coronaropatia sulla morbilità e mortalità cardiovascolare in un ampia popolazione di pazienti con diabete di tipo 2. Lo screening è stato effettuato in 921 pazienti per scopi clinici o di ricerca, come riportato in studi precedenti[1-2]. In 386 pazienti (303 maschi; età media 55.4±7.3 anni) si è documentata una significativa coronaropatia silente (gruppo CAD). In 535 soggetti (251 maschi; età media 54,7±8.6 anni) il test da stress era negativo o test diagnostici più approfonditi non hanno confermato la presenza di coronaropatia in soggetti con test da sforzo positivo (gruppo non CAD). In 268 pazienti (134 maschi; età media 54.6±8.9 anni) con i criteri di inclusione/esclusione dei nostri precedenti studi, lo screening non è stato eseguito perché essi hanno rifiutato di partecipare ai nostri studi e/o hanno rifiutato di effettuare il test provocativo, anche se indicato dalle correnti linee guida (gruppo non screening). Nessuna differenza di età, durata del diabete e controllo metabolico si è osservata tra i gruppi. L’endpoint primario era rappresentato dagli eventi avversi cardiovascolari maggiori. Il periodo di follow-up è stato di 4.3±1.9 anni. In tutti i pazienti è stato effettuato uno stretto controllo di tutti i fattori di rischio e tutti i test diagnostici per coronaropatia sono stati eseguiti quando indicato (per esempio alla comparsa di sintomi di ischemia e/o di anormalità elettrocardiografiche). Durante il periodo di follow-up, 53 pazienti del gruppo CAD, 18 pazienti del gruppo non CAD e 59 pazienti del gruppo non screening hanno presentato eventi cardiovascolari maggiori. L’analisi di Kaplan Meier ha mostrato che: 1) lo screening per coronaropatia silente era associata con un minor tasso di eventi cardiovascolari maggiori; 2) il gruppo non screening aveva un profilo di rischio simile a quello del gruppo CAD; 3) la prognosi cardiovascolare era significativamente peggiore nel gruppo non CAD che nel gruppo no screening. I nostri dati suggeriscono che lo screening per coronaropatia silente può ridurre la morbilità e mortalità cardiovascolare nei diabetici di tipo 2. Questo potrebbe essere il risultato di un programma mirato di trattamento nei soggetti in cui sia stata accertata la coronaropatia silente.

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ARTERIOPATIA OBLITERANTE DEGLI ARTI INFERIORI NEL DIABETICO: DATI PRELIMINARI SU EFFICACIA A LUNGO TERMINE DELLA PROCEDURA DI RIVASCOLARIZZAZIONE ENDOVASCOLARE. Da Porto A, Kleiner A., Fabbro E., Pavan V., Gasparini D*, Sechi L. A. Cavarape A. Clinica Medica, * SOC Radiologia e Radiodiagnostica Azienda Ospedaliero-Universitaria “S. Maria della Misericordia di Udine Background L’arteriopatia periferica degli arti inferiori (PAD) rappresenta, specie nel soggetto diabetico, sia un fattore di rischio maggiore per amputazione che un marker di patologia aterosclerotica a carico dei distretti coronarico e carotideo. L’efficacia a lungo termine della rivascolarizzazione con angioplastica (PTA) nella PAD nel soggetto con diabete rimane tuttavia un argomento ancora molto controverso. Scopo dello Studio Lo scopo del nostro studio è valutare la prevalenza dei fattori di rischio, delle comorbidità e degli outcomes clinici a 5 anni in una popolazione selezionata di 103 pazienti con PAD (stadio IIb-IV), diabetici e non diabetici, sottoposti a PTA degli arti inferiori. Materiali e Metodi Nel nostro studio sono stati inclusi 103 pazienti, tra cui 58 diabetici, con diagnosi clinica e strumentale di PAD, sottoposti a procedura di rivascolarizzazione endovascolare tra il 2001-02. Nei pazienti in oggetto sono stati eseguiti valutazione clinica, determinazione di parametri bioumorali di rischio cardiovascolare ed accertamenti strumentali per individuare la corretta indicazione all’intervento. Sono stati effettuati controlli periodici rispettivamente a 1, 3 e 5 anni dalla procedura di rivascolarizzazione endovascolare. Nei pazienti sopravvissuti sono stati raccolti al momento della visita dati clinici riguardo l’evoluzione della PAD (ricomparsa della sintomatologia, reinterventi di PTA o By-pass), necessità di amputazioni ed eventi cardiovascolari maggiori. Risultati Tra i principali fattori di rischio, particolare rilievo hanno l’ipertensione (82,5%), la storia di tabagismo (75,7%), il diabete mellito (56,3%) e la dislipidemia (54,4%). Sono state eseguite 103 procedure di rivascolarizzazione endovascolare di cui 34 (33%) al distretto iliaco, 50 (48,5%) a livello femoro-popliteo, 19 (18,5%) a livello sottoarticolare. Il 46,6% dei pazienti si è mantenuto asintomatico a 5 anni. Il numero di pazienti asintomatici a 5 anni dalla rivascolarizzazione è risultato maggiore nei non diabetici (57,8%) rispetto ai diabetici (38,9%, p<0,05). Nel follow-up si sono registrate 13 amputazioni (12,6%) tutte a carico dei soggetti affetti da diabete. Il 33 % della popolazione oggetto dello studio è stata colpita da eventi maggiori (IMA e ictus ischemico). La mortalità globale a 5 anni è risultata del 25,3% (16.5% per cause cardiovascolari). A 5 anni, nel gruppo dei diabetici la mortalità cardiovascolare è risultata essere più elevata (20,7%) rispetto al gruppo dei non diabetici (11,1%). Anche l’incidenza di eventi cardiovascolari maggiori è risultata essere significativamente superiore nei soggetti diabetici rispetto ai non diabetici (41,3% vs 22,2%) Conclusioni Nel nostro studio si conferma la maggiore aggressività della patologia aterosclerotica nei soggetti diabetici affetti da PAD. I dati di follow-up a lungo termine indicano nella nostra casistica un’efficacia della procedura di rivascolarizzazione significativamente inferiore (anche se comunque rilevante) in questa popolazione. Anche il numero totale dei reinterventi è risultato maggiore tra i diabetici, gravati dal maggior coinvolgimento di malattia a livello dei vasi distali e dalla maggiore tendenza alla restenosi. In accordo con i dati della letteratura la sede in cui la PTA risulta maggiormente efficace si conferma essere quella iliaca; una buona percentuale di pazienti si mantiene asintomatica anche dopo rivascolarizzazione endovascolare a livello dei distretti femoro-popliteo e sottoarticolare. Alla luce dei nostri dati la PTA agli arti inferiori si dimostra efficace nel ridurre la sintomatologia degli arti inferiori nel diabetico anche nel lungo periodo. I dati presentati riguardano una casistica raccolta negli anni 2001-2, ed è quindi verosimile che con il miglioramento delle tecniche i dati futuri possano risultare più favorevoli. Il nostro studio conferma inoltre come sui pazienti diabetici con PAD gravi un maggior rischio di mortalità e di incidenza di eventi cardiovascolari maggiori. Resta quindi essenziale in questa popolazione una particolare attenzione al controllo dei fattori di rischio cardiovascolare oltre ad una attenta valutazione e monitoraggio delle condizioni anatomofunzionali del circolo coronarico e carotideo, al fine di ridurre al minimo la mortalità e la morbilità cardiovascolare.

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EFFETTO IPOGLICEMIZZANTE E IPOLIPEMIZZANTE DI UNA COMBINAZIONE NUTRACEUTICA A BASE BERBERINA E SYLIBUM MARIANUM IN PAZIENTI CON DIABETE TIPO 2 V. Soverini, F. Agostini, N. Villanova, G. Marchesini. SSD Malattie del Metabolismo e Dietetica Clinica. Policlinico S. Orsola Malpighi, Bologna Premesse L’ipercolesterolemia è un fattore di rischio indipendente per la patologia cardiovascolare nel paziente diabetico. Effetti ipolipemizzanti sono stati descritti per alcuni nutraceutici, ma questi composti sono stati scarsamente indagati per poterne definire il loro impiego e per valutarli nei loro effetti extra-lipidici. La combinazione di Berberina e Sylibum Marianum potrebbe avere un effetto indipendente sulla glicemia, ed un effetto sinergico sul profilo lipidico. Obiettivo Valutare l’effetto ipoglicemizzante (sul valore di HbA1c) ed ipolipemizzante (sul colesterolo totale, HDL, LDL e trigliceridi) di un integratore alimentare a base di Berberina e Sylibum Marianum a pazienti diabetici con ipercolesterolemia. Metodi Abbiamo arruolato 20 pazienti con diabete tipo 2, con compenso non ottimale (HbA1c ≥ 7.0%), in terapia anti-diabetica mantenuta stabile nei 3 mesi precedenti lo studio (età fra 48 e 84 anni). Il profilo lipidico era a target nella maggior parte dei pazienti (4 casi in terapia con statina e 1 in terapia con Fenofibrato), ad esclusione dei casi nei quali la terapia con statine era stata interrotta per intolleranza. A tutti è stata aggiunta alla terapia in corso un trattamento di 3 mesi con Berberina (1000 mg) e Silybum Marianum (200 mg). Risultati A tre mesi dalla supplementazione con Berberina e Sylibum Marianum 3 soggetti hanno sospeso l’assunzione per intolleranza gastrointestinale. Nei pazienti rimasti in trattamento si è osservata una riduzione statisticamente significativa a 3 mesi del valore dell’emoglobina glicata (Base: 8.3 ± 0.8 % vs. 7.6 ± 1.1 P=0.0028). I valori di Colesterolo totale (Base: 192.7 ± 37.6 mg/dl, fine 162.1 ± 36.4 mg/dl), di Colesterolo LDL (111.3 ± 31.6 mg/dl, vs. 88.3 ± 34.9 mg/dl) e dei trigliceridi (180.4 ± 86.4 mg/dl, vs. 147.8 ± 44.5 mg/dl) mostrano anch’essi una significativa riduzione (P=0.0067, P=0.0146, P=0.043 rispettivamente). Per quanto riguarda i valori di colesterolo HDL non si rilevano modificazioni statisticamente significative in rapporto al trattamento ( P=0.541). Non si sono osservate differenze statisticamente significative sul peso (P=0,081) su GOT e GPT (P=0,102, P=0,063, rispettivamente). Come indice di insulino-resistenza è stato calcolato il rapporto TG/HDL (valori normali ≤ 3.0 mg/dl), che non ha subito modificazioni statisticamente significative (P=0.104). Conclusioni La supplementazione di Berberina e Sylibum Marianum all’abituale terapia, si è dimostrata efficace nel ridurre l’emoglobina-glicata ed i paramentri lipidici, mentre scarsi effetti sono stati osservati sul peso e sull’indice di insulino-resistenza calcolato come rapporto TG/HDL.

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EFFETTO DEL TRATTAMENTO CON SIMVASTATINA SUL PATTERN DELLE CITOCHINE PRO- E ANTI INFIAMMATORIE IN PAZIENTI CON IPERCOLESTEROLEMIA PRIMITIVA: RELAZIONE CON LE VARIAZIONI DELLA COLESTEROLEMIA TOTALE ED LDL. I. Russo, C. Frascaroli, M. Viretto, L. Mattiello, G. Doronzo, M. Trovati, G. Anfossi. SCDU di Medicina Interna III ad Indirizzo Metabolico, AOU San Luigi Gonzaga, Facoltà di Medicina e Chirurgia San Luigi Gonzaga dell’Università di Torino

Introduzione Le statine -oltre ad esercitare effetti ipolipemizzanti- hanno azioni anti-trombotiche ed anti-infiammatorie. Non è chiarito se si tratta di effetti “pleiotropici”, in quanto taluni Autori li considerano dipendenti dalla riduzione della colesterolemia. In questo studio ci siamo proposti di verificare se alcuni di questi effetti sono dimostrabili in corso di trattamento cronico in pazienti con ipercolesterolemia primitiva misurando i livelli circolanti di differenti parametri anti-trombotici ed anti-infiammatori prima e dopo un periodo di trattamento con simvastatina e valutando la relazione tra le variazioni di questi parametri e le variazioni del colesterolo totale ed LDL.. Metodi Lo studio è stato condotto su 14 pazienti (7M e 7F; età media:56±2,9 anni; BMI: 26,6±1,2 kg/m2; HOMA-IR:1,6±0,2), affetti da ipercolesterolemia primaria (colesterolo tot >250 mg/dl, ApoB plasmatica>125 mg/dl; esclusione delle forme di ipercolesterolemia secondaria), in prevenzione primaria, senza segni di aterosclerosi subclinica, candidati al trattamento con statina in base alle linee guida del National Cholesterol Education Program (NCEP), ma non sottoposti in precedenza a trattamenti farmacologici. Dopo l’arruolamento, ciascun paziente ha iniziato un trattamento con simvastatina alla dose di 40 mg/die e su prelievi ematici ottenuti basalmente ed alla fine del trattamento, sono stati determinati i parametri lipidici, le concentrazioni di hsPCR, RAGE solubili, sE-selectin, sP-selectin, sCD-40L (ELISA) ed i livelli di IL-1 beta, IL- Ira, IL 2, -4, -5, -6, -7, -8, -9, -10, -12, -13, -15, -17, del basic FGF, dell’Interferon-gamma (IFN-), dell’MCP-1, del PDGF-BB, di RANTES e del VEGF (Bio-Plex). Risultati Il trattamento con simvastatina ha determinato: a)una riduzione del colesterolo totale del 35,1±2,9% (183,7±9,1 vs 283,3±9,4 mg/dl; p<0.0001), del colesterolo LDL del 46,1±3,8% (108,6±8,1 vs 202,0±8,1 mg/dl; p<0.0001), di ApoB del 38,1±3,4% (94,5±4,7 vs 154,0±5,3 mg/dl; p<0.0001), dei trigliceridi del 13,3±11,6% (p<0.05), senza modificare il colesterolo HDL; b)la riduzione dei seguenti parametri pro-aterogeni e pro-infiammatori: PCR (0.33±0.08 vs 0.64±0.11 mg/dl; p<0.012), sCD-40L (8.32±0.97 vs 12.95±1.05 ng/ml; p<0.013), sE-selectin (28.54±3.43 vs 41.90±4.24 ng/ml; p<0.039), IL-1b (0.63±0.12 vs 1.27±0.09 pg/ml; p<0.0001), IL-1ra (44.74±6.53 vs 67.74±7.75 pg/ml; p<0.04), IL-8 (13.2±2.0 vs 19.55±1.29 pg/ml; p<0.009), IFN- (18.65±2.14 vs 31.43±4.65 pg/ml; p<0.05) e del VEGF (93.55±11.66 vs 59.14±12.80 pg/ml; p<0.05); c)l’incremento dei seguenti patametri anti-aterogeni ed anti-infiammatori: IL-4 (1.38±0.08 vs 1.04±0.08 pg/ml; p<0.008), IL-10 (1.94±0.11 vs 1.18±0.15 pg/ml; p<0.001) e sRAGE (1214.07±99.04 vs 832.29±64.83 pg/ml; p<0.0001). L’analisi della regressione lineare non ha dimostrato correlazioni significative tra la riduzione dei valori della colesterolemia totale e LDL e le variazioni dei livelli delle sopra menzionate molecole coinvolte nella aterogenesi. Conclusioni Il trattamento con simvastatina in pazienti affetti da ipercolesterolemia primaria determina una riduzione di molecole implicate nei meccanismi della flogosi e dell’aterotrombosi (in particolare, PCR, IL-1b, IFN-, sCD-40L), ed un incremento di citochine anti-infiammatorie ed anti-aterogene (IL-4 ed IL-10) e di sRAGE, in assenza di correlazioni con la riduzione della colesterolemia totale ed LDL, inducendo ad ipotizzare un significato pleiotropico degli effetti anti-trombotici ed anti-infiammatori delle statine.

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EFFETTI DI UN ANNO DI TRATTAMENTO CON ORLISTAT + L-CARNITINA PARAGONATO A ORLISTAT O PLACEBO SUI PARAMETRI DI INSULINO-RESISTENZA NEI PAZIENTI DIABETICI DI TIPO 2 P. Maffioli, I. Palumbo, S.A.T. Salvadeo, I. Ferrari, A. Gravina, R. Mereu, A. D’Angelo, S. Randazzo, G. Derosa Ambulatori di Diabetologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Clinica Medica II, Università di Pavia Scopo valutare gli effetti di un anno di trattamento con orlistat + L-carnitina paragonato a orlistat o placebo sul peso corporeo, il controllo glicemico, il profilo lipidico, ed i parametri di insulino-resistenza nei pazienti diabetici di tipo 2. Materiali e Metodi trecentoottantasei pazienti con diabete mellito di tipo 2 scompensato [emoglobina glicata (HbA1c) > 8.0%] in terapia con differenti farmaci ipoglicemizzanti sono stati arruolati e randomizzati ad assumere orlistat 360 mg + L-carnitina 2 g, oppure orlistat 360 mg, oppure placebo per 12 mesi. Abbiamo valutato al basale, e dopo 3, 6, 9 e 12 mesi i seguenti parametri: peso corporeo, indice di massa corporea (BMI), HbA1c glicemia a digiuno (FPG), glicemia post-prandiale (PPG), insulinemia a digiuno (FPI), indice di resistenza all’insulina (HOMA-IR), colesterolo totale (TC), colesterolo LDL (LDL-C), colesterolo HDL (HDL-C), trigliceridi (Tg), proteina 4 legante il retinolo (RBP-4), resistina, visfatina, e proteina C reattiva ad alta sensibilità (Hs-CRP). Risultati abbiamo osservato un maggiore miglioramento del peso corporeo, di FPG, di PPG con orlistat + L-carnitina rispetto a orlistat o placebo. Inoltre abbiamo registrato un più rapido miglioramento di FPI, TC, Tg, RBP-4, resisitina, visfatina e Hs-CRP con orlistat + L-carnitina paragonato a orlistat. Per di più il valore di HOMA-IR e di LDL-C ottenuti con orlistat + L-carnitina si sono ridotti più in fretta e in modo maggiore con orlistat + L-carnitina paragonato a orlistat o placebo. Conclusioni il trattamento combinato con orlistat + L-carnitina, rispetto a orlistat o placebo, ci ha permesso di ottenere un più rapido e maggiore miglioramento dei parametri presi in considerazione in assenza di importanti effetti collaterali.

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L’EZETIMIBE INFLUENZA POSITIVAMENTE LA COMPOSIZIONE DELLE LIPOPROTEINE RICCHE IN TRIGLICERIDI IN PAZIENTI CON DIABETE MELLITO TIPO 2. Bozzetto L, Annuzzi G, Della Corte G, Patti L, Cipriano P, Strazzullo A, Di Capua L, Riccardi G, Rivellese AA Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università Federico II, Napoli Introduzione L’Ezetimibe inibisce l’assorbimento intestinale del colesterolo e riduce i livelli di colesterolo-LDL. Non è noto se influenza la composizione e/o le concentrazioni delle lipoproteine ricche in trigliceridi, che sono altamente aterogene e sono aumentate nel diabete tipo 2. Pertanto, abbiamo studiato gli effetti dell’Ezetimibe su chilomicroni e VLDL sia a digiuno che in fase postprandiale in pazienti con diabete tipo 2. Metodi Quindici partecipanti con diabete tipo 2 e ipercolesterolemia hanno seguito, in ordine casuale, per 6 settimane due trattamenti con: ezetimibe 10mg + simvastatina 20mg (EZE+S) e placebo + simvastatina 20mg (P+S). Alla fine di ciascun trattamento, prima e nelle 6 ore successive ad un pasto ricco in grassi, sono state valutate le concentrazioni dei lipidi nel plasma e nelle subfrazioni lipoproteiche, separate mediante ultracentrifugazione in gradiente di densità. Risultati A digiuno, le concentrazioni di colesterolo dei chilomicroni (0.83±1.41 vs. 0.19±0.12 mg/dl, M±DS, p<0.05), delle IDL (6.5±1.9 vs. 4.7±2.0 mg/dl, p<0.05), e delle LDL (76.9±21.2 vs. 56.5±13.6 mg/dl, p<0.001), e le concentrazioni di trigliceridi dei chilomicroni (10.9±17.8 vs. 3.6±2.6 mg/dl, p<0.05) erano significativamente minori dopo EZE+S rispetto a P+S. Le AUC postprandiali del colesterolo erano più basse dopo EZE+S che dopo P+S (chilomicroni 4.4±2.7 vs. 8.3±8.7, IDL 22±8 vs. 31±9, LDL 334±79 vs. 452±116 mg/dlx6h; p<0.005 per tutti). Le aree incrementali non erano significativamente diverse alla fine dei due trattamenti. Conclusioni In pazienti con diabete mellito tipo 2, un trattamento di sei settimane con ezetimibe e simvastatina, rispetto a quello con la sola statina, ha ridotto significativamente il contenuto in colesterolo e trigliceridi dei chilomicroni e il contenuto in colesterolo delle lipoproteine remnants, sia nella fase post-prandiale che a digiuno. Ciò suggerisce un’azione cronica dell’Ezetimibe sull’assorbimento del colesterolo che determina un profilo lipidemico meno aterogeno, sia per la riduzione del colesterolo LDL, che per gli effetti sulle lipoproteine ricche in trigliceridi.

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EFFETTI DI UN ANNO DI TRATTAMENTO CON SIBUTRAMINA RISPETTO A PLACEBO SUI PARAMETRI INFIAMMATORI NEI PAZIENTI DIABETICI DI TIPO 2 I. Palombo, P. Maffioli, S.A.T. Salvadeo, I. Ferrari, A. Gravina, R. Mereu, A. D’Angelo, S. Randazzo, G. Derosa Ambulatori di Diabetologia e Malattie Metaboliche, Fondazione IRCCS Policlinico S. Matteo, Pavia - Dipartimento di Medicina Interna e Terapia Medica, Clinica Medica II, Università di Pavia Scopo valutare gli effetti di un trattamento di 12 mesi con sibutramina rispetto a placebo sul peso corporeo, l’insulino-resistenza e sullo stato infiammatorio nei pazienti diabetici di tipo 2. Materiali e Metodi duecentoquarantasei pazienti affetti da diabete mellito non controllato [emoglobina glicata (HbA1c) > 8.0 %] in terapia con differenti ipoglicemizzanti sono stati arruolati in questo studio e randomizzati ad assumere sibutramina 10 mg o placebo per un anno. Abbiamo valutato al basale e dopo 3, 6, 9 e 12 mesi questi parametri: peso corporeo, indice di massa corporea (BMI), HbA1c, glicemia a digiuno (FPG), glicemia post-prandiale (PPG), insulinemia a digiuno (FPI), indice di resistenza all’insulina (HOMA-IR), colesterolo totale (TC), colesterolo LDL (LDL-C), colesterolo HDL (HDL-C), trigliceridi (Tg), leptina, fattore di necrosi tumorale-α (TNF-α), adiponectina (ADN), vaspina, proteina C-reattiva ad alta densità (Hs-CRP). Risultati abbiamo osservato una riduzione del peso corporeo dopo 9 e 12 mesi nel gruppo trattato con sibutramina, ma non nel gruppo di controllo. Per quanto riguarda i parametri del controllo glicemico, abbiamo registrato un più rapido miglioramento del controllo glicemico con sibutramina. Per di più c’è stata una riduzione di FPI, TC e LDL-C rispetto al basale con sibutramina non osservata nel gruppo di controllo, anche se non abbiamo ottenuto differenze significative tra i due gruppi. Abbiamo ottenuto un più rapido miglioramento di HOMA-IR, leptina, e TNF-e un più rapido aumento di ADN rispetto al basale con sibutramina senza differenze significative tra i due gruppi. Nessuna variazione della vaspina è stata ottenuta nei due gruppi mentre una significativa riduzione di Hs-CRP è stata registrata in entrambi i gruppi dopo 12 mesi. Conclusioni il trattamento con sibutramina ha dato un migliore e più rapido miglioramento del controllo glicemico, dei parametri infiammatori e di insulino-resistenza paragonato a placebo. Il trattamento con sibutramina ha dato, inoltre, un miglioramento del profilo lipidico e del peso corporeo non ottenuto con placebo.

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