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Rivista trimestrale di politica sociosanitaria Anno XXXVII Giugno 2016 209 Riforma del Servizio sanitario toscano La sicurezza del sistema è finalmente una realtà? Le attività di caregiving tra vincoli e risorse Le cure per la demenza avanzata e terminale La riabilitazione oncologica integrata Le riforme nei Servizi sanitari regionali Sfide e obiettivi della riforma del Servizio sanitario regionale La programmazione di Area Vasta I Servizi territoriali La nuova rete ospedaliera La riforma e i Dipartimenti oncologici Il Dipartimento di medicina ospedaliera Il Dipartimento di medicina generale L’evoluzione del Sistema sanitario toscano ed il Dipartimento delle professioni infermieristiche ed ostetriche Il Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie della riabilitazione e della prevenzione Contributi originali Monografia

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Rivista trimestrale di politica sociosanitaria

Ann

o XX

XVII

Giu

gno

2016

209

Riforma del Serviziosanitario toscano

La sicurezza del sistema è finalmente una realtà?

Le attività di caregiving tra vincoli e risorse

Le cure per la demenza avanzata e terminale

La riabilitazione oncologica integrata

Le riforme nei Servizi sanitari regionali

Sfide e obiettivi della riforma del Servizio sanitario regionale

La programmazione di Area Vasta

I Servizi territoriali

La nuova rete ospedaliera

La riforma e i Dipartimenti oncologici

Il Dipartimento di medicina ospedaliera

Il Dipartimento di medicina generale

L’evoluzione del Sistema sanitario toscano ed il Dipartimento delle professioni infermieristiche ed ostetriche

Il Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie della riabilitazione e della prevenzione

Contributi originali

Monografia

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Direttore ResponsabileMariella Crocellà

Comitato di RedazioneGianni Amunni

Alessandro BussottiSilvia Falsini

Claudio GalantiPatrizia Mondini

Benedetta NovelliMariella Orsi

Paola PalchettiAndrea SanquerinRiccardo Tartaglia

Luigi TonelliMonia Vangelisti

Segreteria amministrativa del Comitato di Redazione

Laura Ammannati

Comitato ScientificoMario Del Vecchio,

Professore Associato Università di Firenze, Docente SDA Bocconi

Lucia Messina, Direttore FORMAS

Antonio Panti, Presidente Ordine dei Medici

Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Firenze

Andrea Vannucci, Coordinatore Scientifico Agenzia

Regionale Sanità Toscana (ARS)

Redazione, DirezioneCorrispondenza e invio contributi:

Mariella [email protected]

http://www.formas.toscana.it

EdizionePacini Editore Srl

Via Gherardesca 1, 56121 PisaTel. 050313011 - Fax 0503130300

[email protected]

Registrazione Tribunale di Firenze n. 2582 del 17/05/1977

Questo numero è stato chiuso in redazione il 30 marzo 2016

Testata iscritta presso il Registro pubblico degli Operatori della

Comunicazione (Pacini Editore Srl iscrizione n. 6269

del 29/08/2001)

209 Rivista trimestrale di politica sociosanitaria fondata da L. GambassiniFORMAS - Laboratorio Regionale per la Formazione Sanitaria

Anno XXXVII – giugno 2016

Sommario

837 La sicurezza del sistema è finalmente una realtà? Martin Bromiley839 Le attività di caregiving tra vincoli e risorse Giulia Mascagni843 Le cure per la demenza avanzata e terminale Franco Toscani847 La riabilitazione oncologica integrata Stefano Giorda

Monografia849 Le riforme nei Servizi sanitari regionali Mario Del Vecchio856 Sfide e obiettivi della riforma del Servizio sanitario regionale Monica Piovi864 La programmazione di Area Vasta Rocco Donato Damone, Maria Chiara Innocenti, Irene Picchioni, Lucia Turco870 I Servizi territoriali Lorenzo Roti874 La nuova rete ospedaliera Maria Teresa Mechi, Valtere Giovannini, Rocco Damone, Edoardo Majno,

Paola Magneschi, Simona Balzanti, Lucia Turco, Franca Martelli, Adele Mezzenzana

878 La riforma e i Dipartimenti oncologici Luisa Fioretto, Simone Cheli, Gianni Amunni884 Il Dipartimento di medicina ospedaliera Giancarlo Landini, Alessandro Natali, Pasquale Palumbo, Grazia Panigada,

Francesco Bellandi 888 Il Dipartimento di medicina generale Vittorio Boscherini890 L’evoluzione del Sistema sanitario toscano ed il Dipartimento delle professioni

infermieristiche ed ostetriche A cura del Network degli infermieri dirigenti del SST894 Il Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie della riabilitazione e della pre-

venzione Giuseppe Nottoli, Simone Baldi, Alessandra Giani, Rita Papi

PaciniE d i t o r e

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837Riforma del Servizio sanitario toscanoN. 209 - 2016

AbstractIl Centro GRC della Regione Toscana ha chiesto a Martin Bromiley un resoconto sul “Global Summit Patient safety 2030”, tenutosi a Londra a marzo u.s. e al quale ha partecipato come opinion leader.Martin Bromiley è Presidente del “Clinical Human Factors Group” ed è un pilota di linea per una grande compagnia aerea internazionale. La sua fama deriva dal fatto che dopo che sua moglie è stata vittima di un evento avverso, Martin ha messo a disposizione le sue competenze di pilota per migliorare la sicurezza delle cure fondando il “Clinical Human Factors Group” e iniziando a lavorare sui fattori umani in sanità.Nel mese di marzo ho partecipato a Londra a un importante vertice sulla sicurezza del paziente, il “Global summit - Patient Safety 2030”. È stato un incontro tra importanti accademici, responsabili politici, medici e persone esperte della materia per condividere idee e pensare che cosa fare per migliorare la sicurezza dei sistemi sanitari. Questo evento ha coinciso in modo significativo con la pubblicazione del rapporto “Sicurezza del paziente 2030”.

Martin Bromiley

La sicurezza del sistema è finalmente una realtà?

Questo rapporto è stato sviluppato da un team multi-disci-plinare e proveniente da più nazioni, come un tentativo di riconoscere che, seppure abbiamo fatto importanti pro-gressi dalla pubblicazione dei rapporti “To err is human” (2000) e “An organization with memory” (2001), sulla sicurezza in realtà stiamo ancora provando a diventa-re come altri sistemi industriali ad alta affidabilità, come l’aviazione. Il rapporto è scaricabile dal sito: http://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/institute-of-global-health-innovation/centre-for-health-policy/Patient-Safety-2030-Report-VFinal.pdf

Il summit ha identificato quattro aree su cui è necessario lavorare:- approccio sistemico alla riduzione del danno;- sviluppo della cultura della sicurezza;- coinvolgimento dei pazienti come partner nel campo

della sicurezza;- prendere decisioni sulla base di evidenze e ragiona-

menti motivati e non rimanere inattivi nei confronti dei problemi ancora aperti.

Mi focalizzerò solo sulle prime due. Si riconosce che soltanto un approccio di sistema, intervenendo a tutti i livelli dell’organizzazione, è in grado di fornire quel tipo

di miglioramenti a cui aspiriamo nel settore sanitario, in particolare in un momento in cui ogni sistema sanitario si trova ad affrontare difficili sfide economiche.È ironico pensare che anche quando sappiamo esatta-mente cosa abbiamo sbagliato con un paziente e come avremmo dovuto trattarlo, non siamo comunque stati ca-paci di offrire la cura ottimale. Il grado di variabilità nel settore sanitario, anche nello stesso ambiente ospedaliero o setting di cure è spaventoso e in qualsiasi altro settore sarebbe semplicemente inaccettabile.La seconda questione affrontata nel summit “Sicurezza dei pazienti 2030” è l’urgenza di affrontare veramente in modo prioritario la qualità e la sicurezza delle cure attraverso un processo positivo di sviluppo culturale e non di ricerca della colpa o della punizione.I contenuti del rapporto sono stati chiaramente sottolineati dai politici più importanti presenti all’evento. Il documento è stato consegnato dal Professor Ara Darzi, al Segretario di Stato per la sanità, il nostro “Ministro della Salute” Jeremy Hunt, che ha detto:“Biasimare i fallimenti nella cura di medici e infermieri che cercano di fare del loro meglio significa non conside-rare la questione che gli errori possono essere fatti anche da persone preparate. Ciò che spesso viene trascurato è

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838 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

Dal momento in cui Elaine è morta ho fondato il “Clini-cal Human Factors Group” (http://chfg.org/). Si tratta di un ente di beneficenza volontario istituito per promuove-re semplicemente la comprensione dei fattori umani nel settore sanitario. Il nostro lavoro può essere trovato alla www.chfg.org e vi incoraggio a guardare e scaricare le nostre risorse gratuite.Il secondo giorno ho presentato ai Ministri presenti la mia storia e il ruolo dei fattori umani nel settore sanitario. Nel Regno Unito vi è una più ampia accettazione ora del ruo-lo dei fattori umani. Il rapporto “Patient safety 2030” è stato per molti aspetti come una predica a chi è già con-vertito a una nuova cultura della sicurezza, ma la difficile sfida reale è cambiare i sistemi per “rendere più facile fare le cose giuste”. La sanità si è sviluppata nel corso di centinaia di anni in cui si è ritenuto che solo la competen-za tecnica individuale potesse garantire la sicurezza. La scienza della sicurezza si è sviluppata rapidamente negli ultimi anni, ma fino a poco tempo fa la medicina non l’ha considerata. Siamo forse oggi in grado di andare avanti?Avendo trascorso nel 2015 un periodo con i colleghi ita-liani sono consapevole più che mai che stiamo tutti facen-do lo stesso viaggio, nonostante le differenze dei sistemi sanitari, le condizioni organizzative sottostanti e i presup-posti culturali sono simili. Ma è certamente un viaggio che possiamo fare meglio insieme.

il corretto studio dell’ambiente e dei sistemi in cui gli errori accadono e capire cos’è andato storto e incoraggiare a diffondere le eventuali lezioni apprese”.Il Global Summit ha riunito un certo numero di Ministri del-la sanità di tutto il mondo ed è stato un progetto congiunto tra i governi del Regno Unito e della Germania. L’OMS è stata pienamente coinvolta nell’iniziativa con la presenza del DG Margaret Chan che, in risposta ad un quesito del Ministro della Salute del Sultanato dell’Oman, ha conve-nuto che ci dovrebbe essere una giornata mondiale per la sicurezza dei pazienti ogni anno per concentrarsi sul problema. Alcuni Paesi come il Canada già l’hanno fatto, ma l’idea di una giornata mondiale è sembrata molto più utile e ha ottenuto il plauso di tutti i partecipanti.Ho avuto la fortuna di essere stato invitato a partecipare a due sessioni. Il mio contributo al Rapporto “Sicurezza del paziente 2030” è stato lavorare in un panel di esperti su come imparare da altri settori industriali. Nel 2005, dopo la morte di mia moglie, Elaine, nel corso di una procedu-ra di routine, tentai di capire le cause di quanto accaduto e compresi che la causa degli errori erano le competenze non tecniche, aggravate da problemi sistemici. Sono stato in grado di vedere le similitudini o meglio le differenze, tra assistenza sanitaria e aviazione. In particolare emerse l’apparente assenza di comprensione sui fattori umani e la sicurezza del sistema.

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839Le cure autogestiteN. 209 - 2016

Giulia MascagniDipartimento di Scienze politiche e sociali (DSPS), Università degli studi di Firenze

Le attività di caregiving tra vincoli e risorse

AbstractCon quali modalità può strutturarsi la presa in carico delle attività di cura dedicate a terzi? Come e a partire da quali input si orienta la propensione a comportamenti e scelte di protezione e cura dello stato di benessere personale e/o delle persone più vicine?Facendo riferimento ad un recente lavoro di ricerca, in questa sede ripercorreremo – attraverso i vissuti e le narrazioni di una coorte di donne e di uomini over 60 – alcune tappe fondamentali nella definizione dei percorsi di salute e delle attività di cura richieste o prestate.

Ripercorrendo le tappe fondamentali di una storia di vita in termini di costruzione o di perdita di benessere e sa-lute, emerge chiaramente come questa sia segnata dagli effetti di disparità stratificate nel tempo e originate da ca-ratteri ascritti come il genere o da status e risorse acquisi-te come la posizione socioeconomica. In ambito di salute queste disuguaglianze vanno a creare intrecci pericolosi: attivandosi sulle dinamiche di strutturazione delle relazio-ni individuali e sociali, sulle asimmetrie di potere e sul rafforzamento o sulla rottura di particolari stereotipi, sulla persistenza di rappresentazioni sociali e prassi, valori e politiche, e dunque anche direttamente o indirettamente sui corpi e sulle identità.Con riferimento a precedenti lavori di ricerca (Mascagni 2015) e successivi approfondimenti1, in questa sede sarà possibile –  se pur brevemente e solo in alcuni dei suoi tratti – definire e interpretare:a) la propensione a comportamenti e scelte finalizzate

alla protezione e cura del proprio stato di benessere di una coorte di donne e di uomini over 60;

b) le modalità di presa in carico dello stato di salute e

1 In particolare si fa riferimento all’intervento di approfondimento La cura di sé e la cura degli altri. Risorse e vincoli dei caregivers over 60, presentato dall’autore al Convegno di fine mandato 2012-2015 della sezione “Studi di genere” dell’Associazione italiana di Socio-logia, Il Genere nella contemporaneità: tra sfide e risorse Napoli, 24-25 settembre 2015.

delle attività di cura dedicate a terzi attivate dagli stes-si.

Punto di partenza è la ricostruzione del profilo sociologi-co e identitario dei nostri caregiver. Nelle fasi preliminari della ricerca l’ipotesi che si è venuta via via delineando è che il sistema di relazioni intercorrenti tra salute e risorse economiche, risorse culturali e risorse relazionali si struttu-ri in base ad alcune variabili chiave: la fascia di età come proxy dei processi di accumulo di vantaggi e svantaggi; il quartiere di residenza come indicatore sintetico della posizione socioeconomica e del portafoglio di risorse di contesto più o meno facilmente fruibili; il genere, inteso come appartenenza forte, in base alla quale non solo la sfera privata ma anche la sfera pubblica e istituzionale redistribuiscono le risorse materiali e simboliche e il peso del lavoro di cura, con modalità che troppo spesso “sci-volano” dalla differenza alla disuguaglianza.E dunque come riorganizzare una cassetta degli attrezzi appropriata e su quali strumenti puntare per una ricostru-zione del quadro delle interconnessioni più interessanti in termini di condizioni di salute, risorse e configurazioni di supporto e cura?

La metodologia adottata ha puntato ad integrare i più tradizionali dati sociodemografici ed epidemiologici con elementi originali che permettessero di “andare a guar-dare oltre i numeri”. A partire da una analisi socio-eco-nomica dell’area urbana di Firenze, sono stati individuati

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840 N. 209 - 2016Le cure autogestite

Esploriamo i tre punti individuati entrando nel vivo delle storie.Riguardo alla prima questione emerge chiaramente come le decisioni relative alla sfera economica e lavorativa ri-sentano dell’influenza del network di relazioni sociali, in primis familiari. I progetti di carriera lavorativa e di vita del singolo possono prendere direzioni di ripiego o risol-versi in vere e proprie interruzioni di percorso, “reindiriz-zati” dalle priorità dell’individuo-famiglia2:“Dovetti fare una scelta difficile tra il lavoro che avrei po-tuto avere in banca, anche se sarei entrata come un’im-piegata di seconda categoria, ma insomma era già un buon lavoro per me. Però tutti questi malati. Ho avuto troppo malati in famiglia. E […] avevo una figlia. […] Io avevo anche mio fratello gli dissi ‘guarda, io avrei la pos-sibilità…’ e lui mi rispose ‘io ho famiglia’, Dico: ‘ma, an-che io l’avrei’. Ma a quei tempi una donna con un figlio non era famiglia, era proprio una mentalità […] insomma non è stato facile”. MSC_F10_7075

Viene dunque ribadito come il tema della carriera lavora-tiva nella sua doppia accezione di spazio di realizzazio-ne e di fonte di reddito – non necessariamente in questo ordine – sia una dimensione di vita centrale. Che però, e in particolare, per le intervistate si è scontrato e deve costantemente misurarsi con altre attività e priorità: prima di conciliazione del carico familiare e di cura dei più piccoli, poi dei più anziani.“Io sono anche abbastanza gratificata delle mie attività che ho il pomeriggio [bibliotecaria volontaria] Grosso problema del babbo quello sì, perché oggigiorno la so-cietà non ci aiuta, non c’è verso. Perché una persona che ha una pensione piccola… […] In effetti ora noi stiamo facendo i salti mortali: lui solo tutto il giorno non può sta-re, il pomeriggio c’è un ragazzo. Però va via quasi tutta la pensione. Siamo in attesa, l’assistente sociale me l’ha messo in lista per un centro diurno”. SRG_F8_6065

Da una prospettiva individuale avere risorse materiali non sembra essere condizione sufficiente per garantirsi ritmi e spazi di vita gratificanti e orientati alla piena autore-alizzazione e dunque al benessere, a meno che non ci siano anche competenze e saperle sfruttare, e la libertà di poterlo fare.Considerando invece il punto di vista del singolo nella

2 Per un approfondimento sul concetto (di origine schumpeteriana) di individuo-famiglia, e più in generale sul tema della divisione del lavoro, si rimanda a Giovannini (1987).

due quartieri di diverso profilo sociale: semplificando, un quartiere benestante e un quartiere deprivato. Qui sono state raccolte – nel biennio 2012-2013 – venti interviste in profondità per quartiere (per un totale di quaranta) se-lezionate da un campione tipologico ripartito per genere e costruito su due specifiche fasce di età (60-65 anni e 70-75 anni). Il principale strumento di rilevazione utiliz-zato è stato l’intervista in profondità: orientata longitudi-nalmente e focalizzata su precisi temi, segmenti di vita, esperienze organizzati in cinque punti:- autopercezione dello stato di salute;- eventi più significativi e/o di passaggio tra le varie

età: pensionamento, mutamenti del nucleo familiare conseguenti all’uscita di casa dei figli, vedovanza, compromissione e/o perdita di autonomia fisica;

- qualità e quantità delle risorse a disposizione e dina-miche di accumulo o di depauperamento delle stesse;

- impatto di pressioni e condizionamenti degli ambienti esterni (di lavoro, di quartiere, di ambito amicale e familiare) nel corso degli anni;

- effetti di questi processi su chance e percorsi dei singo-li, anche per ciò che riguarda stili di vita individuali, sensibilità ai temi della salute, cura di sé.

Grazie alla forma di restituzione delle informazioni che è stata quella del libero racconto degli intervistati solo inizialmente stimolato e orientato sulle tematiche appena elencate, è stato possibile da un lato considerare un arco di tempo non limitato all’immediato presente; dall’altro lato, incrociando i piani delle ricchissime informazioni raccolte e delle risorse statistiche e bibliografiche disponi-bili, situare i fenomeni osservati in scenari socioeconomi-ci, culturali e relazionali definiti.L’analisi integrata delle narrazioni ha così permesso di individuare almeno tre spazi di analisi da considerare in rapporto alla cura.Primo: la dimensione economica, dove si focalizzano al-cuni momenti chiave nella costruzione delle carriere lavo-rative e della divisione tra congiunti di compiti, attività, responsabilità e spazi di libertà.Secondo, la dimensione del potere, dove si rendono più esplicite e leggibili le dinamiche di disuguaglianza in atto e i differenziali di potere tra attori coinvolti, anche all’in-terno dei singoli nuclei familiari.Terzo, la dimensione della salute, dove con influenze complesse e biunivoche si pongono in evidenza le rela-zioni intercorrenti tra le precedenti dimensioni indicate e l’adozione di particolari stili di vita, la propensione alla cura di sé, la disponibilità alla cura degli altri.

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841N. 209 - 2016 Le cure autogestite

5, non ci si fa in 5 uomini a tirare su lei!? Poi la cosa è an-data avanti 11 anni. Allora questo sacrificio me lo sono … più ho fatto venire una badante, ci siamo attrezzati. Loro [i fratelli] venivano nel fine settimana a girare. Però sai, loro avendo la famiglia, i figlioli, a lungo andare… Io ero quello di casa sicché il giorno c’era la badante, però la sera dalle 8 fino alla mattina alle 8 c’ero io a girare mia madre perché era inferma totalmente, pulir-la, lavarla e tutte queste cose. Attrezzature, medicine…” SRG_M5_6065“Ho una zia di 96 anni che gli si stava dietro io e la mia sorella […] fortunatamente sta bene, sta da sola. Però pri-ma ci eravamo divisi i compiti nel senso che facevo tutta la parte della pensione, le domande, giravo, uffici, posta. Mia sorella seguiva nel mangiare e vestire e queste cose qui. Morta lei è toccato tutto a me”. MSCC_M5_6065

Per il terzo punto, infine, incontriamo una selezione di quattro testimonianze particolarmente efficaci nel mettere in chiaro il forte impatto emotivo, identitario e relazio-nale della non salute esperita in prima persona o nelle interazioni con l’altro. La cura rende “ostaggi”: sia come curanti, sia come curati.Oltre al primo e principale tema che rimane quello della non salute e della perdita di autonomia…“Io ero una persona indipendente, una persona che nella vita ne aveva anche passate tante, nulla mi faceva paura. Ora invece mi sento debole, cioè non mi sento protetta, ho bisogno di qualcuno […] C’ho sempre mio marito e il mio figlio non mi lascerebbe mai. E non mi sentirei di dire: vai via poi mi arrangio”. SRG_F9_7075

…emergono altre dimensioni di non secondaria importan-za nel ridisegnare tempi e spazi di vita e di benessere.Quella, ad esempio, della scarsità di mezzi e supporti:“Sono andata finché me lo sono potuto permettere, dal dentista. Perché è importante. […] Ma anche lì ci voglio-no soldi oggigiorno. […] Non è facile vivere con 500 euro, non vivi tanto bene”. MSC_F10_7075

“Mia mamma già era da sola, già andava fuori con due stampelle e quindi avevo sempre l’angoscia, il timore di lasciarla. Non era la prima volta che tornavo a casa e o avevo tegami bruciati o il gas acceso o la trovavo a terra: era un po’ un patema d’animo. Se non ci fosse stato questo motivo qui probabilmente avrei continuato a lavorare anche qualche anno in più. [Ma] la mia mamma mi diceva ‘Se non vieni a casa mettimi in un istituto perché io da sola non ce la faccio’”. SRG_F3_6065

sua interazione con il contesto familiare, risulta chiara-mente come una certa disponibilità economica anche solo relativa – in modo particolare nell’attuale fase di ri-definizione del modello di welfare e di contrazione dei servizi erogati  – diventi emblema e “garanzia” di sicu-rezza, autonomia, possibilità di liberare altre risorse (a partire dal tempo).

Il secondo punto affronta la complessa questione della divisione dei compiti e le dinamiche di potere ad essa sottese.Come è noto in letteratura (Finch 1989) le così dette “ob-bligazioni morali”, i dover essere e i dover fare che gui-dano le attività di cura e le scelte di presa in carico, sono esito di un processo di elaborazione fortemente interrela-to alle opportunità e ai vincoli presentati dalla situazione vissuta e al “pubblico rilevante” considerato. In altre paro-le: parentele e/o comunità di appartenenza, solitamente seguendo la più tradizionale e asimmetrica discriminante di genere, orientano con pressioni più o meno potenti e la divisione delle attività, l’attribuzione delle responsa-bilità, le possibilità di salvaguardare gli spazi di libertà individuale.“Mio marito diceva sempre ‘se non ce la fai, fallo pure domani’ e questo era già una forma di collaborazione, ma non è che si alzava. […] ‘Lo faccio io’ no! Assoluta-mente [non lo diceva]. Non ha mai cambiato le bambine, per dire. Ma è anche vero che era così mi creda. Era lo stile del momento e già lui non si dispiaceva”. MSCC_F2_6065

La situazione di necessità unita ad un contesto relazionale più povero nel numero di figure coinvolte e più rarefatto e debole in frequenza e forza dei rapporti, porta infatti con sé un effetto collaterale dagli esiti inattesi: il minore impatto della desiderabilità sociale depotenzia il “con-trollo” esterno sulle azioni del singolo e aprendo nuovi spazi all’iniziativa e alla libertà individuale promuove di fatto la decostruzione dei ruoli tradizionali di genere nelle attività di cura.È soprattutto là dove mancano spazi e/o interlocutori per una rinegoziazione dei compiti del caregiver che si assi-ste alla rottura delle più tradizionali tendenze alla confor-mità. La ricostruzione di modalità inedite reinventate di fronteggiare le necessità di cura andando oltre il gender arrangement (Crompton 1999) sono gli elementi salienti dei prossimi due estratti (non a caso tratti dalle narrazioni di uomini):“Si decise, dato che in casa c’ero io… Lei ci ha tirato su in

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842 N. 209 - 2016Le cure autogestite

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Quella delle pressioni generate dalle aspettative dei fa-miliari:“D’altronde io sono in pensione quindi mi può dire: vai lì. […] Ma io ho anche altre cose da fare…anche perché se uno sta fisso lì accanto a una persona, con il bene che gli vuole, loro stanno meglio, ma noi… o almeno io: io mi ammalo di esaurimento nervoso […]. È snervante quindi, sarò cattiva da morire però non posso dire: mi prendo l’impegno e vengo tutti i giorni perché sennò do di fuori veramente”. SRG_F8_6065

Questa veloce incursione nelle storie di salute e di accu-dimento, oltre a richiamare ancora una volta l’estrema complessità delle dinamiche di disuguaglianza attive in queste sfere, offre una variegata rassegna di esperienze di vita che invitano a riflettere su come il lavoro di cura rappresenti – oggi più che mai – una sfida aperta a tutti.

L’attenzione alla cura, nelle sue diverse declinazioni, ri-sulta dunque non essere prerogativa riconducibile a va-riabili ascritte o a identità biologicamente determinate. La cura non è “attributo naturale” dell’uno o dell’altro genere (Bellè et al. 2014), non lo è dei più giovani piuttosto che dei più anziani o degli abitanti di una particolare area urbana, così come non è riconducibile al solo elemento economico, ma anche a sensibilità e a conoscenze in-dividuali (capitale culturale), alle reti corte o lunghe su cui poter contare (capitale sociale) e insieme –  inscindi-bilmente – agli orientamenti culturali e sociali diffusi, in particolare nell’area di appartenenza.Il lavoro di cura, soprattutto se inteso come interpretazio-ne e definizione dei bisogni di ciascuno e là dove possi-bile appagamento di desideri (Laura Balbo 2008: 61), si delinea sempre di più dunque quale attività in via di com-plessificazione, da affrontare con sempre nuove capacità di reinvenzione e rilettura.

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843Assistenza agli anzianiN. 209 - 2016

Franco ToscaniGruppo di lavoro V.E.L.A.

Le cure per la demenza avanzata e terminale

AbstractPersonale sanitario su questo tema ha spinto la Fondazione italiana di leniterapia di Firenze (FILE) e la Fondazione Lino Mae-stroni di Cremona a organizzare il “Progetto V.E.L.A.” (Valutazione dell’efficacia della leniterapia nella malattia di Alzheimer e nelle altre demenze), al fine di fornire elementi di rifles La necessità di introdurre le cure palliative nelle RSA e di migliorare la consapevolezza del sione e proposte cliniche concrete al personale medico e infermieristico di un campione di RSA lombarde e toscane per migliorare l’assistenza alle persone anziane affette da demenza in stadio avanzato e terminale. Il progetto ha prodotto alcuni rilevanti cambiamenti migliorando la gestione palliativa delle persone terminali con demenza, ed ha rilevato l’esistenza di un notevole livello di consapevolezza, di maturazione culturale in senso palliativo da parte della maggioranza dei partecipanti.

La demenza, pur essendo una malattia a esito invariabil-mente infausto, spesso non è riconosciuta come tale, e i malati in stadio avanzato che ne sono affetti, non sono so-litamente riconosciuti come terminali. Solo pochi di loro, di conseguenza, sono inseriti in un programma di cure palliative1-3. In questi malati, inoltre, a causa del gravis-simo deficit cognitivo non sempre è possibile identificare sintomi e problemi4-6.Essi sono spesso curati in strutture lungo-degenziali (RSA). Per loro, la figura medica di riferimento è il medico di fa-miglia, oppure il geriatra o l’internista presente nella casa di riposo, che dovrà farsi carico, non solo delle normali cure mediche, ma anche di quelle palliative. Un interven-to volto a migliorare l’assistenza a questi malati non può prescindere, quindi, dalle figure professionali che si occu-pano di loro nelle RSA.La necessità di introdurre le cure palliative nelle RSA e di migliorare la consapevolezza del personale sanitario su questo tema ha spinto la Fondazione italiana di leni-terapia di Firenze (FILE) e la Fondazione Lino Maestroni di Cremona a organizzare il “Progetto V.E.L.A.” (Valu-tazione dell’efficacia della leniterapia nella malattia di Alzheimer e nelle altre demenze), realizzato grazie alla Fondazione Cariplo di Milano e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze.

Scopo del progetto è stato fornire elementi di riflessione e proposte cliniche concrete al personale medico e infer-mieristico di un campione di RSA lombarde e toscane al fine di migliorare l’assistenza alle persone anziane affette da demenza in stadio avanzato e terminale.Il progetto V.E.L.A. è constato di due momenti distinti: un percorso formativo, terminato nell’Aprile 2013, e uno studio osservazionale –  in parte retrospettivo e in parte prospettico – per valutarne l’efficacia che si è terminato nel Dicembre 2014.L’organizzazione delle RSA in Lombardia e in Regione Toscana differisce sostanzialmente: nella prima, le RSA hanno un loro personale medico residente, composto di medici internisti e/o geriatri, che operano in modo con-tinuo nella struttura. In Toscana le RSA, mediamente più piccole, non sono in genere dotate di un organico medico di struttura, ma utilizzano il medico di medicina generale (MMG) di ciascun ospite che si reca in RSA in modo sal-tuario o in seguito a chiamata da parte del personale in-fermieristico. Questi modelli organizzativi corrispondono a due diverse filosofie di erogazione dei servizi sanitari, e comportano differenze inevitabili nell’esperienza del personale sanitario, e quindi nel tipo di cure normalmente erogate a questo tipo di malati.In Lombardia sono state scelte trenta RSA, distribuite su

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non deambulanti): 348 deceduti prima (fase “pre”) e 311 almeno sei mesi dopo l’intervento formativo (fase “post”). I dati della Lombardia sono stati analizzati separatamen-te da quelli ottenuti in Toscana. I dati sono stati raccolti esaminando la documentazione medica e infermieristica. Per ogni RSA, in entrambe le fasi (pre- e post-), sono stati registrati i dati anagrafici, le principali comorbidità, la situazione a 60 e 7 giorni dal decesso (alimentazione, idratazione, dialisi, rilevazione dei sintomi, terapie assun-te, indicatori di gravità o terminalità, informazioni su desi-deri del paziente riguardanti trattamenti e gestione del de-cesso, ecc.). Per la settimana precedente il decesso sono stati raccolti dati su ricoveri o accessi al Pronto soccorso, esecuzione di esami clinici, proposta di attivazione del servizio di cure palliative o di trasferimento in hospice, manovre invasive, sospensione delle terapie, attivazione della sedazione palliativa.Prima dell’intervento formativo sono state ottenute, per ciascuna RSA informazioni concernenti gli strumenti di valutazione adottati (stadiazione della demenza, scale di valutazione del discomfort e del dolore, ecc.) e le proce-dure e le norme interne previste per l’assistenza ai malati con demenza avanzata e terminale.

RisultatiLa formazione ha prodotto alcuni rilevanti cambiamenti migliorando la gestione palliativa delle persone terminali con demenza: in particolare è aumentata l’adozione di strumenti per la stadiazione della demenza e la valutazio-ne dei sintomi; in cartella viene molto più frequentemente riportata la diagnosi di demenza che è anche citata come causa di morte. Aumenta il numero di persone accompa-gnate con un approccio palliativo, si riduce il numero di farmaci somministrati nell’ultima settimana di vita, aumenta l’attenzione ai sintomi (in particolare al dolore), e si riduce il numero di persone esposte a trattamenti rianimatori.Un dato veramente confortante, emerso in modo chiaro, è l’esistenza di un notevole livello di consapevolezza, di maturazione culturale in senso palliativo da parte della maggioranza dei partecipanti, in particolare degli infer-mieri. Anche i medici, sia pure con alcune inevitabili diffe-renze tra le RSA, sono stati molto interessati all’approccio palliativo. In molti casi, i metodi e la filosofia delle cure palliative erano già stati almeno in parte acquisiti, anche se non sempre in modo pienamente consapevole.Inoltre, nonostante tutti i docenti avessero riferito che la qualità dell’assistenza in tutte le RSA fosse piuttosto eleva-ta, e che in molte di esse raggiungesse l’eccellenza, tutti i medici e gli infermieri di ognuna RSA, hanno espresso un

tutto il territorio. In Toscana sono state individuate venti-due RSA, localizzate soprattutto nell’Area Vasta fiorenti-na, di dimensione compresa tra i trenta e i 120 posti letto, tutte senza organico medico proprio.

Il “pacchetto” educativoIl contenuto, sia per la Lombardia, sia per la Toscana, è stato deciso in base alla letteratura7 e a un audit di esperti in base alla criticità, gravità, e frequenza delle situazioni che, nella pratica clinica, richiederebbero un approccio palliativo. Ai partecipanti è stata messa a disposizione una vasta documentazione, comprendente gli articoli ci-tati nel corso e una selezione di materiale bibliografico di approfondimento.Data la diversa organizzazione dell’assistenza nelle RSA, sono state adottate due diverse tecniche didattiche: in Lombardia sono state organizzate lezioni in ciascuna RSA, alle quali hanno di regola partecipato il personale medico e le figure dirigenziali infermieristiche. Gli incon-tri sono stati aperti a tutto il personale della RSA, inclu-dendo gli operatori sociosanitari (OSS). Il primo incontro, di carattere generale, è stato seguito da altri due, più brevi, destinati all’esame e alla discussione di casi pro-posti dai discenti. In Lombardia sono state fatte, pertanto, trenta lezioni frontali e sessanta lavori di gruppo, ai quali hanno partecipato 704 discenti: tra i quali 130 medici, 300 infermieri, 140 OSS/ASA (addetti all’assistenza alla persona) 70 fisioterapisti.In Toscana, invece, come modello didattico, è stata scelta la lezione frontale, di un’intera giornata, non seguita da altri incontri, per un totale di cinque singole giornate di otto ore ciascuna. Durante l’incontro sono stati utilizzati casi clinici scelti dai docenti, in modo da stimolare la di-scussione tra i partecipanti. A queste lezioni sono stati in-vitati i medici di medicina generale che collaborano con le RSA selezionate, e tutte le altre figure professionali oltre tutti gli altri medici di medicina generale del territorio. Vi hanno partecipato 312 operatori sanitari, tra i quali 52 medici, 92 infermieri, 100 OSS/ASA, e 28 fisioterapisti.

La ricerca empiricaLo studio ha cercato di valutare l’efficacia dell’intervento formativo nel modificare alcune procedure e scelte clini-che rilevanti per qualità della vita dei pazienti, e di de-scrivere l’appropriatezza delle cure. Il disegno è stato di tipo osservazionale comparativo, ed ha confrontato le de-cisioni, le procedure e gli esiti assistenziali relativi a due gruppi di malati con demenza di stadio FAST?7c (incon-tinenza doppia, assenza di verbalizzazioni intelligibili,

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845N. 209 - 2016 Assistenza agli anziani

Anche se la maggior parte dei discenti già possedeva una discreta conoscenza dei metodi delle cure palliative, tra le diverse RSA tuttavia si sono osservate disparità a volte importanti nel grado di competenza e di acquisizio-ne dei principi e della filosofia della palliazione. Ciò sug-gerisce di adattare un eventuale futuro progetto educati-vo all’effettivo bisogno di ciascuna équipe, da valutare caso per caso mediante un programma d’identificazione dei bisogni formativi. La formazione dovrebbe adottare metodiche di didattica per adulti, concentrandosi mag-giormente sui lavori di gruppo e sull’esame di casi reali, limitando la parte informativa teorica a quegli ambiti che fossero risultati carenti.È particolarmente necessario, inoltre, attuare un program-ma di formazione e di addestramento al colloquio per faci-litare i rapporti con i famigliari (expectation conversation) in modo che essi diventino consapevoli degli eventi preve-dibili nel decorso della malattia, e sviluppare ausili per la comunicazione (manualetti, dépliant, audiovisivi, ecc.) da utilizzare durante gli incontri e/o da distribuire loro.Il Progetto V.E.L.A. ha dimostrato che esiste un bisogno di formazione da parte degli operatori sanitari d’istituzioni lungo-degenziali geriatriche, del quale essi sono spesso pienamente consapevoli.

L’interesse suscitato dalla proposta V.E.L.A. ha stimola-to richieste di formazione da parte di singole RSA, così come da parte d’istituzioni rappresentative di operatori di RSA. Inoltre, in diverse Regioni, gli standard per la certificazione delle RSA stanno sempre più incorporan-do elementi palliativistici, come il controllo del dolore e dei sintomi, la condivisione delle decisioni cliniche con i malati e i famigliari, ecc., ed è verosimile che nel futuro siano loro richieste anche formalmente progettazione e implementazione di percorsi di cure palliative per i malati ricoverati.Tutto ciò fa prevedere una crescita di domanda di for-mazione, che, se non soddisfatta in modo corretto ed efficace, potrebbe generare un’offerta formativa di cat-tiva qualità, (quindi non solo inefficace, ma anche con-troproducente) da parte di chiunque voglia improvvisarsi esperto in un campo – le cure palliative nell’anziano – nel quale, a oggi, pochi sono competenti.FILE ha pertanto deciso di creare al suo interno una Scuo-la di formazione in cure palliative geriatriche, avendo gli strumenti e l’esperienza per proporsi come agenzia for-mativa leader.Questa scuola si rivolgerà a tutti gli operatori sanitari im-pegnati nell’assistenza a malati anziani non-autosufficien-

profondo disagio dovuto alla problematicità dei rapporti in generale con gli ospedali, con i medici specialistici, e con molti famigliari dei malati ospitati presso le loro RSA. Tutti, indistintamente, hanno lamentato di godere di poca stima professionale, quasi che la medicina geriatrica in generale e l’assistenza da loro erogata in particolare, fosse considerata come una medicina di livello inferiore rispetto a quella specialistica/ospedaliera. Questa disisti-ma si rifletterebbe nei rapporti tra loro e le loro istituzioni, e molti famigliari, che finiscono per pretendere con insi-stenza, e spesso con veemenza, interventi invasivi e pro-cedure diagnostiche inappropriate sia dal punto di vista geriatrico, sia da quello palliativo.Questo pregiudizio potrebbe essere dovuto al fatto che in generale i medici specialistici/ospedalieri, e molti utenti, non si rendono conto che la medicina dell’anziano ha obiettivi, metodi e strumenti notevolmente diversi dalla medicina per acuti, o comunque dalla medicina ipertec-nologica quale oggi ottiene grandi successi su tipi di ma-lati ben diversi dagli anziani affetti da malattie inguaribili ed evolutive, come, per l’appunto, la demenza. Tale con-dizione giustifica un atteggiamento di medicina difensi-va che porta a comportamenti di fatto contrari agli stessi orientamenti clinici degli staff delle RSA.Questa situazione produce da una parte frustrazione, so-prattutto negli operatori di più alto livello professionale, e dall’altra impedisce un corretto rapporto di fiducia e collaborazione tra famigliari e curanti, a tutto discapito dei malati.

Infine si è evidenziata una diffusa difficoltà nel prendere alcune decisioni critiche per mancanza di strumenti come la pianificazione anticipata delle cure, che richiede un rapporto di piena collaborazione e condivisione degli obiettivi del malato (nel caso dei pazienti con demenza grave, presuppongono colloqui approfonditi nella fase iniziale della malattia, quando cioè la capacità cogniti-va dei soggetti è ancora sufficientemente integra), o, per forza di cose, con quelli dei suoi famigliari. Una pianifi-cazione anticipata delle cure da erogare nel momento in cui occorressero le condizioni di fine vita, implica una re-alistica e piena comprensione dell’evoluzione della malat-tia da parte dei famigliari, e quindi un processo costante d’informazione – una sostanziale attività “pedagogica” – rivolta ai famigliari dell’assistito.

Prospettive futureL’impatto di un unico intervento formativo è necessaria-mente limitato e ci sono ancora spazi di miglioramento.

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846 N. 209 - 2016Assistenza agli anziani

geriatri, internisti, medici di famiglia ecc., da coloro, in sostanza, che, di fatto, li assistono.Sembra quindi più corretto insegnare loro la filosofia della palliazione e la techné palliativa in modo che la applichino ai loro malati. D’altronde, se la palliazione è aspetto essenziale della filosofia e della prassi della medi-cina, questa deve divenire parte essenziale del bagaglio culturale e tecnico di ogni professionista della cura, non solo di specifici specialisti.

Bibliografia1 Di Giulio P, Toscani F, Villani D, et al. Dying with advanced dementia in long-term care geriatric institutions: a retrospective study. J Palliat Med 2008;11:1023-8.

2 Mitchell SL, Teno JM, Kiely DK, et al. The clinical course of advanced dementia. N Engl J Med 2009;361:1529-38.

3 Hughes JC, Robinson L, Volicer L. Specialist palliative care in dementia. BMJ 20052005;330(7482):57-8.

4 Won A, Lapane K, Gambassi G, et al. on behalf of the SAGE Study Group. Correlates and management of nonmalignant pain in the nursing home. J Am Geriatr Soc 1999;47:936-42.

5 Blaise ZV, Nurley AC, Volicer L. End of life care in dementia: a review of problems, prospects and solutions in practice. J Am Med DirAssociat 2002;3:57-65.

6 Husebo BS, Ballard C, Sandvik R, et al. Efficacy of treating pain to reduce behavioural disturbances in residents of nursing homes with dementia: cluster randomised clinical trial. BMJ 2011;343:d4065.

7 Gnaedinger N, Robinson J, Murray K, et al. The Dementia difference. A palliative approach for people with late stage de-mentia- an educational package for residential care. J Palliat Care 2008;24:274-6.

ti con malattie evolutive inguaribili, in condizioni gravi o gravissime e in fase terminale. L’intervento formativo sarà indirizzato a dirigenti di struttura e a operatori sanitari e sociali, fornendo loro l’opportunità di affrontare le situa-zioni complesse più ricorrenti. L’obiettivo è proporre linee-guida condivise e diffondere la conoscenza di pratiche eccellenti che riguardino, oltre alle terapie specifiche e ai metodi clinici e assistenziali della palliazione, elementi di giudizio e di decisione concernente la pianificazione an-ticipata delle cure, l’identificazione della fase terminale, alle strategie di acquisizione tempestiva di volontà e la gestione del consenso da parte dei familiari e composi-zione di eventuali conflitti.

ConclusioniLe RSA sono a tutti gli effetti degli hospice, giacché la maggior parte degli ospiti è affetta da malattie evolutive inguaribili, e vi risiede fino alla morte. Non è pensabile applicare a essi i percorsi di cure palliative proposti ai malati oncologici. L’assistenza domiciliare non è possibi-le, sia per ragioni organizzative, sia per la lunga fase di totale disabilità, sia perché spesso il domicilio non è più disponibile. D’altra parte anche il loro ricovero in hospice non è proponibile, data la lunghezza della fase terminale e il numero dei malati; inoltre anche la creazione di re-parti di tipo hospice al loro interno diverrebbe oltremodo costosa e probabilmente inutile. L’approccio più razionale è quello di trasformare le RSA, almeno per quanto riguar-da i malati in fase avanzata, in strutture in grado di ero-gare cure palliative di qualità.Le cure palliative nel malato anziano dovranno essere ap-plicate soprattutto dai medici e dal personale sanitario che istituzionalmente si occupa di loro: in particolare dai

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847PsiconcologiaN. 209 - 2016

Stefano Giorda1, Chiara Teneggi21 Responsabile Oncologia territoriale AUSL Bologna, Direttore scientifico Associazione onconauti, 2 Respon-

sabile Centro studi Associazione onconauti)

La riabilitazione oncologica integrata

AbstractIn Italia, nel 2013, circa 1.8000.000 persone erano in vita dopo aver superato un’esperienza di cura per un tumore. Sono i pazienti oncologici lungo-sopravviventi che costituiscono ormai il 3% della popolazione. Benché “curati”, costoro si ritrovano ad affrontare un difficile viaggio che può durare cinque/dieci anni, a volte tutta la vita, per essere certi della propria guarigione.Noi abbiamo proposto di chiamare queste persone “onconauti”, un termine che suggerisce un’identificazione positiva, met-tendo l’accento non sull’esperienza di malattia, ma sul viaggio intrapreso per il recupero del benessere e della salute, come suggerisce il logo costituito da una bussola!

È ormai dimostrato scientificamente che, nel percorso di guarigione da un tumore, uno stile di vita salutare e la capacità di gestire lo stress sono armi vincenti, importan-ti quanto la chemioterapia. Non sono interventi alternati-vi, ma complementari. Il metodo di riabilitazione integrata dell’Associazione “Gli onconauti “si focalizza sul miglio-ramento dello stile di vita ed è frutto di una lunga riflessio-ne sugli studi scientifici internazionali. Essi comprovano l’importanza di agire sul piano psico-fisico per alleviare gli effetti collaterali delle terapie effettuate o degli inter-venti chirurgici. Si tratta, infatti, di sintomi invalidanti per la mente e per il corpo, quali l’insonnia, la depressione, l’affaticamento, la menopausa prematura, le disfunzioni del sistema gastrointestinale, ecc. Pertanto, il programma di riabilitazione dell’Associazione si sviluppa attraverso la pratica piacevole delle tecniche mente-corpo ed inse-gna ad ogni onconauta a trovare la propria strada verso la completa guarigione. Il programma che proponiamo è quindi personalizzato, in quanto i tumori e i pazienti sono tutti diversi, e non c’è mai una ricetta buona per tutti.Il programma di riabilitazione ha una durata di tre mesi, con uno o due incontri settimanali, e si articola sul rag-giungimento di tre precisi obiettivi:1. a breve termine, una maggior percezione di benessere;2. in un secondo tempo, la successiva acquisizione delle

tecniche per la pratica quotidiana;

3. a medio termine, il cambiamento delle proprie abitudi-ni di vita, rispetto alla alimentazione, ad una maggio-re attività fisica e ad una migliore modalità di gestione dello stress. 

Le tecniche utilizzate sono lo yoga, la meditazione, gli in-contri individuali e di gruppo con i nutrizionisti, la fisiote-rapia, l’arte-terapia, l’agopuntura e lo Shiatsu. Il supporto psicologico fornito dal gruppo e, se necessario, anche attraverso incontri individuali con terapeuti, rinforza ulte-riormente la motivazione e la resilienza di ogni singolo partecipante.Una ricerca scientifica effettuata in collaborazione con l’Oncologia territoriale dell’Azienda USL di Bologna, con cui l’Associazione è in convenzione, ha dimostrato un’ef-ficacia del metodo di riabilitazione integrata nell’87% dei casi, con dei miglioramenti statisticamente significativi al termine del corso dello stato di salute sia fisico, sia psi-cologico (riduzione del dolore cronico e miglioramento dei livelli di ansia e di energia, senza nessun utilizzo di farmaci). Per rendere possibile a tutti l’accesso, a prescin-dere dalle condizioni economiche e sociali, il percorso è gratuito per i partecipanti, venendo finanziato intera-mente dalle attività di fundraising dell’Associazione. Al termine, per chi vuole proseguire è disponibile un corso di mantenimento permanente.

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848 N. 209 - 2016Psiconcologia

Il senso di unità mente-corpo che si raggiunge attraverso lo yoga, aiuta l’onconauta a recuperare l’integrità della propria “persona” a fronte dei numerosi trattamenti che, venendo indirizzati alla parte “malata”, nutrono progres-sivamente sia l’identificazione con la parte lesa dal tumo-re, sia l’idea di doversi relazionare con un corpo “spez-zato”. Questo processo di riappropriazione della propria individualità aiuta le persone a sentirsi un soggetto attivo e partecipe del proprio processo di guarigione, invece che rappresentarsi solo come un oggetto di visite, esami e diagnosi. Non stupisce allora che, nel recupero della propria soggettività si risvegli la forza di trovare nuovi significati che conferiscono un senso ed un valore al pro-prio percorso verso la guarigione. Il rifiuto della malattia lascia così il posto al processo di integrazione di questa fase dolorosa in un percorso più ampio che apre a nuove possibilità e modi di “prendersi cura di se stessi”.

ConclusioniAlla luce di questi elementi, come dimostrato ampiamente anche dalle tante testimonianze dei partecipanti ai cor-si, il percorso di riabilitazione integrata dovrebbe essere raccomandato a tutte le persone che sentono il bisogno di trasformare l’esperienza negativa della diagnosi e delle terapie per curare un tumore in una avvincente opportu-nità di cambiamento personale e di miglioramento del proprio stile di vita.Parallelamente, non c’è dubbio che quello degli onconauti rappresenta anche un eccellente strumento per tutti coloro che, essendo sani, desiderano modificare il proprio stile di vita a scopo preventivo. Per questo motivo, a partire dal 2015, COOP Adriatica ha finanziato i nostri corsi di pro-mozione della salute, integrati con la pratica dello yoga, in modo che tutta la cittadinanza potesse usufruirne.Infine, avendo sperimentato l’efficacia del nostro proget-to, l’Associazione mira a favorire la diffusione del me-todo di riabilitazione integrata in tutte le città italiane, contribuendo a quella piccola, ma decisiva rivoluzione rappresentata da cambiamento e dal miglioramento di se stessi, sia dal punto di vista del benessere fisico sia spi-rituale. D’altra parte, nell’era di grandi e rapidi cambia-menti economici e sociali in cui ci troviamo a vivere, in cui all’invecchiamento della popolazione sta facendo seguito un sostanziale ridimensionamento del welfare pubblico, imparare a tutelare da se’ il proprio stato di salute con metodi naturali e a basso costo diventerà sempre più es-senziale per il mantenimento di una buona qualità di vita.

Per informazioni più approfondite sulle iniziative dell’As-sociazione: www.onconauti.it

Yoga e tecniche mente-corpoL’arma vincente nella riabilitazione oncologicaFacilmente, l’insorgere di un carcinoma viene vissuto come il “tradimento” del proprio corpo. In questo modo di pensa-re, apparentemente lecito, traspare un modo di essere che tende ad estraniarsi dal proprio corpo, che è malato e su cui si è perso il controllo, per collocarsi in una mente che si ritiene ancora sana e dunque più fidata. Questo processo di separazione, accompagnato da un rifiuto, è frutto di una lacerazione intima e profonda della persona intesa come “corpo vivente, con una propria esperienza del mondo, un mondo intorno e una propria storia” (U. Galimberti, Il Cor-po, 1983). E allora, per recuperare la propria individualità ed il proprio essere-nel-mondo, occorre “fare pace” con il proprio corpo e ristabilirne l’unione con la mente. In questa prospettiva, le tecniche mente-corpo possono apportare un prezioso contributo.Nello specifico, lo yoga ha dimostrato anche da un pun-to di vista scientifico di essere un trattamento efficace nella cura dei sintomi associati al cancro e per questo viene sempre più utilizzato come complemento delle te-rapie convenzionali per migliorare la qualità di vita dei pazienti oncologici. Per esempio, le Linee guida ASCO (American Society of Clinical Oncology), pubblicate nel 1999 e riaggiornate nel 2014, supportano la pratica del-lo yoga e dell’agopuntura come strategia di intervento per ridurre la fatigue (enorme senso di spossatezza e di stanchezza)1. Al contrario, fanno notare che, allo stato attuale della ricerca, ci sono poche evidenze a favore dell’uso di psicostimolanti per la gestione della fatica nei pazienti liberi da malattia dopo il trattamento attivo.Ed infatti, per quanto riguarda lo yoga, sono ormai nume-rosi gli studi randomizzati condotti dal MD Anderson Can-cer Center dell’Università del Texas, uno dei più prestigiosi Centri di ricerca sul cancro. Le sperimentazioni condotte hanno rilevato una sostanziale differenza tra gli effetti che si riscontrano dopo semplici esercizi di stretching e quelli che seguono le pratiche di yoga. Infatti, seppure in entram-bi i casi vi sia una riduzione della fatigue, i pazienti che hanno frequentato i corsi di yoga traggono benefici mag-giori, tra i quali: un più rapido declino dei livelli di cortiso-lo (il cosiddetto “ormone dello stress”), un miglioramento nella capacità di impegnarsi nelle attività quotidiane, una maggiore energia con conseguente aumento del senso di benessere e, non da ultimo, una minore difficoltà a conferi-re un significato all’esperienza della malattia.

1 Le Linee guida si trovano on line, al sito del Journal of Clinical Study: http://jco.ascopubs.org/content/32/17/1840

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849Riforma del Servizio sanitario toscanoN. 209 - 2016

Monografia

Riforma del Servizio sanitario toscano

a cura di Lucia Messina

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Mario Del VecchioUniversità degli studi di Firenze e Scuola di Direzione aziendale dell’Università Bocconi Milano

850 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

Il riordino dei Servizi sanitari regionaliTratti comuni e sfide da affrontare

AbstractL’articolo propone l’interpretazione dei cambiamenti in atto nei sistemi sanitari regionali attraverso l’analisi di due fattori principali: l’accentramento e l’aumento delle dimensioni aziendali. Lombardia, Veneto e Liguria vengono considerati come casi esemplari delle tendenze in atto rispetto alle dimensioni suddette. Nella seconda parte del lavoro si propone di pre-stare particolare attenzione a tre elementi critici: l’autonomia delle Aziende, che potrebbe essere messa in discussione da una eccessiva vicinanza alle regioni, la struttura organizzativa nelle Aziende di dimensioni significativamente più grandi, la responsabilizzazione verso le collettività locali.

1. La natura del cambiamento nei Sistemi Sanitari RegionaliA più di due decenni dall’aziendalizzazione il SSN e i sistemi regionali che lo compongono hanno cambiato ra-dicalmente aspetto. Il fisiologico processo di adattamen-to alle modificazioni che venivano via via trasformando l’ambiente è stato bruscamente accelerato dalla crisi eco-nomica e dai suoi drammatici riflessi sulla finanza pub-blica. Una volta realizzato che, dopo decenni di crescita ininterrotta, la stabilizzazione delle risorse destinabili alla tutela della salute era divenuto lo scenario di riferimento per il medio periodo, molte regioni hanno cominciato a ristrutturare i loro sistemi sanitari.La ristrutturazione ha assunto forme diverse – non sempre, per esempio, si è concretizzata in una vera e propria “ri-forma” – e la sua natura e intensità hanno subito l’influen-za di fattori specifici come l’inclusione o meno della regio-ne in un piano di rientro. I punti di riferimento dei processi di cambiamento sono, comunque, sufficientemente definiti e divengono più evidenti quando i sistemi sanitari regio-nali, come sta accadendo, accelerano il passo. Volendo semplificare, gli orientamenti che ispirano le trasformazio-ni in atto sono essenzialmente due, in parte interconnessi. Da un lato le regioni ricercano un maggior controllo dei loro sistemi attraverso vistosi processi di accentramento, volti a modificare la natura e l’intensità delle relazioni che legano il livello regionale alle Aziende direttamente

responsabili per l’erogazione dei servizi. Dall’altro di-minuisce il numero delle stesse Aziende e ne aumenta significativamente la dimensione. I due fenomeni sono, come detto, in parte correlati, in quanto la diminuzione del numero delle Aziende controllate è già di per sé un potenziale fattore di accentramento, ma è bene tenerli distinti in quanto gli interventi sulle dimensioni azienda-li, come verrà più avanti argomentato, sembrano essere ispirati a finalità diverse e più ampie rispetto a quelle del semplice controllo.

L’accentramentoSe si guarda alla strutturazione delle relazioni verticali e ai fenomeni di grip back regionale un esempio chiaro è quello della recente riforma lombarda (L.R. 23 del 2015). A seguito di un iter complesso che ha visto, a differenza di quanto solitamente avviene nei nostri sistemi istituziona-li, una riforma di sistema guidata dal consiglio e non dal governo regionale, la Lombardia ha disegnato un nuovo sistema a tre livelli (Fig. 1). Nel nuovo disegno la regio-ne esercita le proprie funzioni di governo attraverso 8 ATS (Agenzie di tutela della salute), cui viene affidato un compito prevalente di programmazione, acquisto e con-trollo (la committenza nel vocabolario di altri sistemi) nei confronti di un insieme di “erogatori pubblici e privati”. Per quanto riguarda la produzione diretta di servizi da parte del settore pubblico, a parte l’area della preven-

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851N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

All’Azienda Zero, oltre al delicato compito di gestire e intermediare le risorse finanziarie tra regione e le rimanen-ti Aziende (responsabilità sulla gestione sanitaria accen-trata), vengono affidate funzioni particolarmente critiche rispetto alla definizione degli obiettivi da assegnare alle Aziende e ai loro direttori generali, così come rispetto alla valutazione circa il raggiungimento degli obiettivi stessi. In-sieme alle funzioni che attengono alle risorse finanziarie e agli obiettivi, sono affidate all’Azienda in questione anche compiti tecnico-operativi quali: la gestione centralizzata degli acquisti, le procedure di reclutamento del persona-le, la definizione dell’infrastruttura informatica, la gestione del contenzioso sanitario. Sulla stessa linea pare essersi incamminata anche la Liguria attraverso la costituzione di A.Li.Sa. (Azienda ligure sanitaria), le cui funzioni ricalcano quelle dell’Azienda Zero e nelle quali è possibile rintraccia-re anche qualche traccia del ruolo assegnato in Lombardia alle ATS. Azienda Zero e A.Li.Sa., così configurate, diven-tano sempre più simili a delle vere e proprie capogruppo e occupano lo spazio che esiste tra l’esercizio delle funzioni di governo politico e amministrativo in capo alle regioni e l’autonomia delle Aziende nel perseguire la propria mis-

zione che rimane nella ATS, questa viene assicurata da 27 ASST (Aziende socio sanitarie territoriali) e 4 IRCSS. Rispetto al precedente assetto che vedeva ASL e Aziende ospedaliere in una posizione tendenzialmente analoga nei confronti del livello sovraordinato, è evidente, almeno nel disegno, una maggiore gerarchizzazione. Ciò viene realizzato attraverso l’affidamento di funzioni assimilabi-li a un governo complessivo del sistema sanitario a un numero limitato – quindi più facilmente controllabile – di entità intermedie (es. Aree Vaste, ATS, ecc.). A comple-tamento di un rafforzamento delle capacità di governo regionale vengono inoltre previste una serie di agenzie ed enti chiamati a cooperare con la tradizionale struttura amministrativa dell’ente regione nell’assicurare all’intero sistema stimoli, capacità di orientamento e l’esercizio di un sufficiente controllo.Una rappresentazione forse ancora più evidente della ten-denza al rafforzamento regionale è quella fornita dalla riforma, in avanzato stato di completamento dell’iter nor-mativo, in discussione in Veneto. In questo caso la proposta è quella della costituzione di una “Azienda Zero” con am-plissime responsabilità nel governo della sanità regionale.

Figura 1 Riforma Regione Lombardia.

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sione nel rispetto degli orientamenti politici e delle regole dell’amministrazione.In questo quadro una attenzione specifica andrebbe inol-tre rivolta ai cambiamenti in atto nei sistemi di rappresen-tanza politica. Sono fenomeni complessi che non possono essere qui neppure parzialmente affrontati. Per richiama-re il tema è sufficiente notare come all’accentramento possano anche contribuire fenomeni quali una crescente personalizzazione della politica e il cambiamento, talvol-ta avvenuto, nei tratti distintivi degli assessori alla sanità passati da matrici e orientamenti a maggior caratterizza-zione politica a matrici e orientamenti più caratterizzati in senso tecnico.

La dimensione delle Aziende e dei processi aziendaliIl cambiamento nel numero e nella dimensione delle Azien-de è probabilmente il tratto più evidente delle trasforma-zioni in atto. Il processo viene da lontano con una prima drastica riduzione che ha caratterizzato il passaggio nei primi anni ’90 dal “modello 833” (USL) al modello azien-dale (ASL). La tendenza alla riduzione è continuata, con il caso più estremo rappresentato nei primi anni 2000 dalle Marche che in quel periodo sono passate da 13 Aziende all’Azienda unica regionale (caso esemplare, purtroppo

poco analizzato nelle sue evoluzioni e nei suoi esiti). Per alcuni anni le dinamiche in diminuzione delle Aziende territoriali sono state parzialmente attenuate da una sta-bilità nel numero di quelle ospedaliere, ma anche queste ultime hanno, poi, iniziato a decrescere (Fig. 2). Rispetto ai numeri riportati nella Figura 2, il 2016 vede e vedrà ulteriori cambiamenti con in prima fila la Toscana che ha ridotto le sue Aziende territoriali da 12 a 3, il Veneto che passerà da 21 ASL a 7, la Sardegna che arriverà pro-babilmente all’Azienda unica, con le ulteriori fusioni tra Aziende, in assenza di riassetti complessivi, già previste in molte regioni.Se dal punto di vista delle quantità la situazione e le ten-denze in atto sono di immediata lettura, più problematica è l’interpretazione di alcuni elementi qualitativi, che ne-cessariamente debbono essere inseriti in una riflessione sulla dimensione delle Aziende. Un primo elemento da considerare, sufficientemente consolidato e diffuso, è l’af-fidamento a specifiche entità – Aziende, agenzie, enti di altra natura – di processi di natura tecnico amministrati-va, a partire da quelli relativi agli acquisti. L’inserimento di enti specializzati può essere interpretato come parte di uno sforzo teso a garantire un miglior controllo regio-nale, ma, in realtà, potrebbe anche non modificare la

Figura 2 Evoluzione Aziende sanitarie pubbliche, 1995-2015.

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2. Le criticità nelle trasformazioniL’ampiezza dei cambiamenti in atto testimonia della in-tensità delle pressioni alle quali i sistemi sanitari regio-nali sono sottoposti. L’entità del contributo richiesto, ma soprattutto ottenuto, dal SSN per il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, non può essere sottovalutato, dal momento che nell’ultimo decennio il nostro paese ha ri-dotto, prima, e azzerato, poi, i deficit nella spesa sanita-ria pubblica, espresso tassi di crescita della stessa spesa sanitaria e percentuali di spesa sul PIL significativamente più bassi dei nostri partner europei, mantenuto, finora, un sistema sanitario che non sembra essere manifestamente peggiore di quello di altri paesi comparabili. Se esistono pochi dubbi sul fatto che i cambiamenti, riforme o aggiu-stamenti che siano, rappresentino una diretta conseguen-za di una emergenza da tutti gli attori avvertita sul fronte della cosiddetta sostenibilità, emergono, comunque, due questioni.La prima, paradossalmente meno rilevante, è quella se i cambiamenti in corso possano rappresentare una risposta efficace ai problemi che dobbiamo e dovremo affrontare. A tale questione si potrebbe, infatti, rispondere argomen-tando come molte decisioni sono già state prese e che la direzione generale assunta dal cambiamento sembra essere difficilmente modificabile. In realtà potrebbe avere una qualche, seppur limitata, utilità riflettere sul fatto che le decisioni e le dinamiche di cambiamento hanno avuto una decisa impronta di carattere politico, molto ancorata al “discorso pubblico”, con un dibattito di natura tecnica molto debole se non, in taluni casi, inesistente. Perché e a quali condizioni meno Aziende e di maggiori dimensio-ni dovrebbero conseguire migliori risultati e, addirittura, quali siano i risultati ai quali mirare e, ancora, perché gli eventuali obiettivi non avrebbero potuto essere perseguiti ad assetti istituzionali invariati, senza pagare gli inevita-bili costi associati ai possibili miglioramenti attesi, sono esempi di domande che hanno trovato poco spazio in processi decisionali che hanno introdotto cambiamenti di così ampia portata.La mancanza, rispetto alle complessità da affrontare e alla rilevanza del sistema sanitario, di una adeguata ri-flessione sul piano tecnico ha fatto prevalere argomen-tazioni generiche e talvolta pericolosamente semplifi-catorie. Ricondurre, infatti, come talvolta è stato fatto, le Aziende sanitarie alla categoria dei “costi della po-litica” da eliminare, quando non da sopprimere, è una posizione che meriterebbe una qualche argomentazione, considerato il ruolo che le Aziende pubbliche hanno sul piano concettuale e del concreto funzionamento del si-

distribuzione del potere all’interno dei sistemi regionali e rappresentare semplicemente una spinta per una mag-giore focalizzazione delle Aziende, divenute più grandi e complesse, verso i processi core della loro missione. In altri termini, in alcuni casi la centralizzazione (specializ-zazione) dei processi amministrativi ha fisiologicamente accompagnato l’aumento delle dimensioni aziendali. Un secondo elemento è la tendenza ad accompagnare l’al-largamento dei perimetri aziendali con una riconsidera-zione in chiave istituzionale della questione di come as-sicurare l’integrazione tra ospedale e territorio. In questo senso è significativa la scelta della Lombardia, che per prima aveva scelto di mantenere gli ospedali al di fuori delle organizzazioni territoriali, di integrare nelle nuove ASST territorio e ospedale, anche con qualche eviden-te forzatura come nel caso di alcuni grandi ospedali del contesto metropolitano milanese. Altrettanto significativa è l’ipotesi, poi abbandonata, della Toscana di integrare nelle Aziende territoriali quelle ospedaliere universitarie, operazione realizzata, invece, dal Friuli Venezia Giulia in virtù della propria autonomia istituzionale (operazione resa recentemente possibile dalla normativa nazionale a tutte le regioni). Da ultimo bisogna segnalare come l’au-mento delle dimensioni nei processi e nelle attività venga perseguito non solo con Aziende più ampie, ma anche attraverso la collaborazione tra Aziende e la messa in comune di servizi e funzioni. In parte si tratta di fenomeni stimolati e resi possibili da espliciti disegni istituzionali che prevedono l’istituzione di articolazioni organizzati-ve interaziendali (Dipartimenti, ma anche unità operative complesse), in parte si tratta di dinamiche senza evidenti “agganci istituzionali” che a “legislazione invariata” ri-spondono alla necessità di sfruttare meglio i vantaggi di una maggiore integrazione tra Aziende, senza rinunciare ciascuna alla propria identità.In sintesi, dal punto di vista delle Aziende che dovrebbero rimanere le unità fondamentali dell’intero sistema, il pa-norama è quello di unità di dimensioni sempre maggiori che in taluni casi si avvicinano e tendono a sovrapporsi a quelle delle regioni. A dimensioni maggiori non sempre si accompagnano però, come ci si potrebbe attendere, con-fini più netti ovvero Aziende sempre più autosufficienti. La ricerca di collaborazione e sinergie tra Aziende mostra come la questione delle dimensioni più adatte per l’or-ganizzazione dei processi aziendali non riesca a trova-re soluzione nel solo ridisegno dei perimetri. Confini più estesi non garantiscono la piena realizzazione di tutte le sinergie e continuano a richiedere una capacità di colla-borazione significativamente diversa rispetto al passato.

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tonomia delle Aziende si misura anche nella distanza che le separa dal livello istituzionale, la regione, nella quale si concepiscono e assumono forma amministrativa (asses-sorati o direzioni generali) gli indirizzi di governo. Quan-do le Aziende sanitarie per dimensioni, configurazione e numerosità si approssimano a una sub-regione, emerge il tema se esse siano ancora interpretabili come soggetti relativamente autonomi o divengano, invece, parte inte-grante di una catena politico-amministrativa chiamata a governare un insieme di processi tra loro connessi solo sul piano tecnico operativo e privi di una identità aziendale. Il tema è molto meno accademico di quanto possa sem-brare. Tutte le opzioni sono legittime, compresa quella di una rivisitazione di modelli amministrativi classici, ma se l’intenzione è quella di mantenere il modello aziendale, la tutela dell’autonomia diviene un punto particolarmente critico. Da questo punto di vista, per quanto impopola-re e ostico, il problema di una governance più allargata dell’Azienda rispetto a quella offerta da un organo mono-cratico come il direttore generale, governance in grado di sorreggere e garantire una maggiore autonomia inizia a porsi.Il secondo attiene agli assetti organizzativi delle Azien-de e, in particolare, la configurazione di una adeguata catena di poteri e responsabilità. Il problema potrebbe essere definito come isomorfismo organizzativo, la ten-denza cioè a replicare i medesimi principi e assetti orga-nizzativi in un contesto di mutate dimensioni aziendali. La natura professionale delle Aziende sanitarie spinge verso Aziende dall’assetto relativamente piatto, in cui i nuclei operativi riescono a garantirsi una interlocuzione con i vertici aziendali in modo relativamente agevole. Da que-sto punto di vista l’articolazione portante che ha finora sorretto le Aziende è semplice e diretta: tra le direzioni e le unità operative complesse il solo livello effettivo di in-termediazione, quando funzionava, era quello dei Dipar-timenti o strutture equivalenti. L’aumento delle dimensioni impone necessariamente un allungamento delle catene e un ripensamento dei ruoli. È difficile immaginare che un Dipartimento possa assolvere agli stessi compiti ed essere configurato nella stessa maniera se esso era precedente-mente chiamato a coordinare un numero limitato di unità, magari dislocate in uno o due presidi, e ora deve eserci-tare funzioni di coordinamento su decine di unità su aree molto estese. È banale osservare che andranno come mi-nimo ripensati i requisiti e gli impegni connessi alla dire-zione, così come le necessità di supporto alle funzioni di governo delle direzioni dipartimentali che non potranno essere ridotte, come spesso è accaduto, alla mera segre-

stema. Chi sostiene, spesso implicitamente, l’inutilità del-le Aziende o, peggio, la loro dannosità dovrebbe, poi, trarne le conseguenza ovvero proporre apertamente le alternative al modello aziendale, alternative ampiamente conosciute. Abbandonate le Aziende pubbliche rimango-no sostanzialmente disponibili solo due modelli: il ritorno alle forme classiche di burocrazia (command and control) o l’abbandono di un ruolo pubblico nella produzione dei servizi sanitari (la possibilità di un mercato alimentato e guidato dalle scelte collettive). L’importante è scegliere il modello di riferimento e poi costruire le condizioni per cui esso possa funzionare, avendone in mente vantaggi e svantaggi.Tutto ciò non significa volere attribuire alla politica la re-sponsabilità esclusiva o prevalente di un processo poco supportato da analisi tecniche e, in definitiva, poco de-mocratico, se la democrazia si misura anche nelle basi conoscitive offerte alla “deliberazione collettiva”. Si tratta di una responsabilità che necessariamente accomuna i tecnici e gli studiosi ai politici; così come non implica una valutazione negativa sulla possibilità che le nuove archi-tetture istituzionali possano rappresentare un terreno pos-sibile per uno sviluppo dei sistemi regionali. La riflessione mira a sottolineare come ciò che è venuto a mancare in termini di razionalità ex ante dovrà, in fase di attuazione, essere compensato da uno sforzo di razionalizzazione ex post in grado di individuare e ricostruire senso (sense ma-king) e possibili soluzioni attorno a elementi di particolare criticità, ed è questa la seconda questione che si intende qui brevemente affrontare.Considerati gli scopi del presente contributo ci limitiamo a proporre solo tre ambiti di riflessione che per il loro carattere generale risultano inevitabilmente connessi, ma che è possibile articolare in maniera distinta.Il primo riguarda l’esistenza, la natura e il ruolo delle Aziende. Alla base del modello aziendale sta l’idea che non solo è possibile, ma è utile e indispensabile la coesi-stenza, da una parte, di un legittimo ruolo di orientamen-to e governo della politica in rappresentanza della collet-tività e, dall’altra, l’espressione di una razionalità mana-geriale che trova nella funzionalità duratura dell’Azienda la sua prima ragion d’essere. In altri termini tra i processi produttivi (razionalità tecnico-operativa) e le funzioni di governo politico è necessario creare uno spazio di auto-nomia che organizzi quei processi, li combini e li orienti al raggiungimento dei fini, nel rispetto di alcuni principi e regole di funzionamento (razionalità aziendale). Nei no-stri sistemi sanitari le funzioni di indirizzo e governo sono chiaramente collocate a livello della regione, mentre l’au-

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da una parte, e sulla attribuzione delle responsabilità a un soggetto facilmente identificabile (l’Azienda e il suo direttore generale), dall’altra. La diminuzione del nume-ro delle Aziende rende più problematica, sia la formula-zione del giudizio – da questo punto di vista, per esem-pio, un report di contabilità analitica articolato rispetto a un territorio è profondamente diverso da un bilancio aziendale riferito allo stesso territorio – sia l’attribuzione delle responsabilità. È bene sottolineare che non si tratta di una osservazione che attiene alla strutturazione del-la democrazia, tema che qui non rileva, ma che guarda al funzionamento dell’Azienda. L’intensità e la direzione delle pressioni che i portatori di interesse sono in grado di esercitare rappresentano, infatti, una componente fon-damentale nel tenere allineati i comportamenti aziendali rispetto alle finalità da perseguire. Anche in questo caso, come per le altre aree citate, non esistono soluzioni facili, ma il problema non può essere sottovalutato, sempre che quella dell’Azienda, della sua funzionalità, del suo essere una risorsa nel rispondere a bisogni complessi rimanga la scelta su cui basare la sopravvivenza e, augurabilmente, lo sviluppo del SSN.

teria del direttore. Un discorso analogo, e per certi versi ancora più complicato, andrà fatto per le unità operative che tendono a non rappresentare più l’espressione di un solo nucleo operativo, ma contenerne diversi, magari di-slocati su più sedi. Se i classici due livelli, articolati lungo una linea vagamente gerarchica, non bastano più biso-gnerà innanzitutto fare uno sforzo di progettazione, ma soprattutto, ed è il primo passo, cercare di non chiamare oggetti diversi con i nomi del passato, illudendosi così di avere progettato l’Azienda e di avere risolto i problemi.Da ultimo è importante affrontare la questione della ac-countability, cioè di quali siano gli interessi rappresentati nell’Azienda e di come essi possano concretamente orien-tare l’azione del management. Per la letteratura azien-dale è il tema della corporate governance. Nel nostro assetto istituzionale l’esistenza di una Azienda in relazio-ne a una data collettività, consente a questa ultima di esercitare un ruolo potenzialmente significativo nell’orien-tarne i comportamenti. Tale possibilità si basa, oltre che sull’esplicito collegamento tra una comunità identificata e la (sua) Azienda, sulla disponibilità effettiva di infor-mazioni e di notizie utili alla formazione di un giudizio,

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856 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

Sfide e obiettivi della riforma del Servizio sanitario regionale

Monica PioviDirettore Direzione Generale Diritti di Cittadinanza e Coesione Sociale

AbstractIl tema della razionalizzazione organizzativa e territoriale degli enti è stato al centro del dibattito politico degli ultimi anni acquisendo sempre più cogenza con l’acuirsi della cosiddetta Grande depressione che ha interessato l’Europa. In Italia, al pari di altri Paesi, l’obiettivo del risparmio sulla spesa pubblica è stato il motore principale dei provvedimenti dei governi, politici e tecnici, che si sono succeduti dal 2008 a oggi. Anche il tema della razionalizzazione delle politiche pubbliche è stato affrontato in quest’ottica, con l’obiettivo di operare un riordino organizzativo, ma anche dimensionale e territoriale, nei principali settori di policy, tra cui la sanità, che garantisse anche un contenimento della spesa.Partendo da questa prospettiva, il presente contributo si propone di presentare i principali temi e riflessioni che sono alla base della recente Riforma del Servizio sanitario della Regione Toscana, avviata con la Legge Regionale n. 84/2015, con l’obiettivo di illustrare al lettore la genesi e il progetto su cui essa si basa, cercando anche di offrire qualche spunto critico al fine di suscitare un confronto e di stimolare un dibattito tra i diversi stakeholders del Sistema.

Negli ultimi venti anni, a livello mondiale, abbiamo assi-stito a due fenomeni contrapposti. Da un lato il sorpren-dente aumento dell’aspettativa di vita della popolazione (circa un anno in più ogni 4 anni), e dall’altro l’aumento della prevalenza delle malattie croniche che si sono dif-fuse su scala globale, raffigurandosi in alcuni Paesi e per alcune patologie (ad es. il diabete) come vere e proprie epidemie. La diretta conseguenza di tali fenomeni è avere una popolazione più longeva, ma al tempo stesso più malata e bisognosa di cure.

La popolazione toscana nel 2014 ammonta a 3.750.511 persone, di cui il 52% donne. La Toscana si mantiene tra le regioni più anziane in Italia, con oltre 910mila persone con più di 64 anni (24,4%) e 480mila con meno di 15 anni (12,9%).La Toscana da sempre ha un tasso di mortalità per tutte le cause inferiore alla media italiana ed è una delle regioni dove si muore di meno.

Anche nel 2014 la speranza di vita alla nascita in Tosca-na è a netto vantaggio per il genere femminile: 80,9 anni

Figura 1. Percentuale di ultra64enni nel 2014.

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per gli uomini, 85,4 anni per le donne. Le malattie cardio-circolatorie, i tumori e le malattie dell’apparato respirato-rio sono ai primi 3 posti tra le cause di morte in entrambi i generi. Nelle femmine al 4° posto si trovano le malattie del sistema nervoso, che nei maschi occupano invece la 7a posizione. Rispetto ai maschi, comunque, le femmine hanno un rischio minore di morire per cause accidentali.Le donne toscane fumano e bevono meno dei maschi e sono meno in sovrappeso. Consumano più frutta e verdu-ra ma sono più sedentarie. Nella popolazione giovanile, pero, le differenze tra i generi per gli stili di vita a rischio stanno progressivamente diminuendo.Nell’ambito lavorativo si registra una sostanziale stabilità degli infortuni, anche gravi, tra le donne, a fronte di una diminuzione della loro incidenza negli uomini.Le donne hanno meno infarti, ictus e diabete degli uomini, ma usano più farmaci antidepressivi.Frattura di femore e osteoporosi sono due problemi di salute caratteristici del genere femminile.Nella stagione 2014-2015 in Toscana solo il 50,6% degli anziani è stato vaccinato (Italia: 49%), proporzione che continua a diminuire dal 2010. La riduzione rispetto al 60,2% della scorsa stagione è da attribuire al ritiro di alcuni lotti di vaccini a inizio stagione, lontana dal 75% raccomandato.Gli stranieri residenti in Toscana nel 2014 sono circa 387mila, dei quali il 54% donne. La popolazione stra-niera è raddoppiata in 10 anni, passando dal 4,6% al 10,3% della popolazione totale (8,1% in Italia). Il trend temporale in aumento è identico a quello italiano, ma in Toscana la presenza straniera è circa 2 punti percentuali sopra la media nazionale. Gli immigrati sono una po-polazione più giovane e in salute rispetto agli italiani: il 64% ha meno di 40 anni e solo il 3% ha più di 65 anni.In Toscana, come in Italia, la popolazione immigrata ma-

Figura 2. Mortalità generale: tasso standardizzato per età (decessi x 100.000 abitanti).

Figura 4. Stili di vita nei toscani per genere, anno 2012.

Figura 5. Copertura vaccinale per l’influenza nella clas-se 65 anni o più in Toscana e Italia.

Figura 3. Prime 7 cause di morte nei toscani per gene-re, anno 2011.

Fig. 1 – Percentuale di ultra64enni nel 2014

Fig. 1 – Percentuale di ultra64enni nel 2014

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schile si ricovera meno degli italiani, mentre le straniere di 15-39 anni usano l’ospedale in misura maggiore delle loro coetanee italiane, ma per lo più per gravidanza, par-to e puerperio.In termini di efficienza, appropriatezza e qualità delle pre-stazioni, i nostri ospedali possono vantare il livello di com-plessità più alto d’Italia, siamo passati dal sesto al primo posto nel punteggio Lea, siamo in posizione di eccellenza nel Programma nazionale esiti, che misura i livelli di qualità delle cure, investiamo ogni anno 150 milioni di euro (un ter-zo del bilancio di un’Azienda sanitaria come Lucca) in extra-Lea come trasporti, vita indipendente, non autosufficienza, malattie rare, parrucche per pazienti oncologici. Sono nu-meri importanti, che dimostrano che i nostri professionisti, ottengono risultati che ci pongono ai vertici nazionali.In base alla valutazione finale per l’anno 2013 dei LEA (Verifica Adempimenti LEA – Griglia LEA) nelle Regioni italiane, elaborata dal Ministero della Salute, la Toscana si conferma la regione best performer nella graduatoria nazionale con un punteggio pari a 217.Anche le misure di esito e le valutazioni comparative di

Figura 6 Tasso di ricovero per cittadinanza e per età (x 1.000 residenti), esclusi i ricoveri per parti di neonati sani. Toscana anno 2013.

Figura 7. Punteggio griglia LEA, trend 2013-2014.

Figura 8 Rosone griglia LEA, performance Regione To-scana.

FRATTURA  DEL  COLLO  DEL  FEMORE:  INTERVENTO  CHIRURGICO  ENTRO  2  GIORNI  – 2014  FRATTURA  DEL  COLLO  DEL  FEMORE:  INTERVENTO  CHIRURGICO  ENTRO  2  GIORNI  – 2014  

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Figura 10. PNE 2015: Coleci-stectomia laparoscopica: pro-porzione interventi con degen-za post-operatoria inferiore a 3 giorni – 2014.

dei cambiamenti demografici, socioeconomici, epidemio-logici e tecnologici in atto. I costi dei servizi offerti ai citta-dini toscani e il loro livello di qualità non sono compatibili con la manovra prevista dal disegno di Legge di stabilità 2015 e dai successivi accordi. Questa manovra naziona-le per la Toscana significa complessivamente circa 441 milioni di risorse in meno; per la Sanità, in particolare, la manovra vale 210 milioni, che diventano circa 250 milio-ni, tenuto conto che dovrà coprire ulteriori costi crescenti, ad esempio per farmaci anti epatite, stimati in circa 40 milioni, per il 2015. Non solo: occorre tener conto della naturale lievitazione dei costi, stimata in 100 milioni di

efficacia, sicurezza e qualità delle cure prodotte nell’am-bito del servizio sanitario, evidenziate dagli indicatori pubblicati nell’edizione 2015 del Programma nazionale esiti (PNE) sviluppato da Agenas per conto del Ministero della Salute, confermano la Toscana ai vertici tra le regio-ni quanto a qualità ed efficacia delle cure ospedaliere.Questi esempio di dati relativi alla Toscana.Perché allora abbiamo deciso di attuare questa riforma? Una crisi ampia e profonda ci ha spinto ad accelerare la riflessione su come costruire il futuro dell’assistenza sani-taria e ad operare delle scelte per concorrere a una sa-nità pubblica sostenibile ed equa, capace di tener conto

Figura 9. PNE 2015: Frattura collo del femore intervento chi-rurgico entro 2 giorni – 2014.

FRATTURA  DEL  COLLO  DEL  FEMORE:  INTERVENTO  CHIRURGICO  ENTRO  2  GIORNI  – 2014  FRATTURA  DEL  COLLO  DEL  FEMORE:  INTERVENTO  CHIRURGICO  ENTRO  2  GIORNI  – 2014  

FRATTURA  DEL  COLLO  DEL  FEMORE:  INTERVENTO  CHIRURGICO  ENTRO  2  GIORNI  – 2014  FRATTURA  DEL  COLLO  DEL  FEMORE:  INTERVENTO  CHIRURGICO  ENTRO  2  GIORNI  – 2014  

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del Servizio sanitario regionale (SSR).Il contesto socio-economico chiede nuovi sforzi, nuovi sa-crifici. A partire dal 2015, la Toscana ha deciso, affron-tando con decisione la crisi, di voltare pagina. E siccome non si vogliono ridurre i servizi né aggiungere nuove tas-se, è stata fatta un’altra scelta, che mira ad intervenire e modificare gli assetti organizzativo-gestionali del sistema, riorganizzando, razionalizzando, eliminando sprechi e doppioni. Sarà dura ma è l’unico modo per salvare la Sanità pubblica e mantenere in Toscana quel livello di qualità che, come sopra riportato, lo dicono i dati e le rilevazioni nazionali, ci collocano tra i primi posti in Ita-

euro, quindi dobbiamo confrontarci con una contrazione reale da circa 350 milioni di euro.Nello specifico della realtà regionale Toscana, il Fondo sanitario regionale (FSR) nel periodo considerato 2010 – 2016, mostra un andamento di questo tipo:In uno scenario come questo descritto, con risorse limitate e in progressiva riduzione, nonostante ci sia una lieve cre-scita in termini assoluta che deve soddisfare peraltro an-che nuovi LEA, una domanda di salute crescente e sempre più specialistica, soprattutto per la long term care, visto anche l’aumento delle patologie cronico-degenerative, il vero obiettivo e la vera sfida da garantire è la sostenibilità

Figura 11. PNE 2015: Propor-zione di parti cesarei primari – 2014.

Figura 12. PNE 2015: Miocar-dio acuto: proporzione di trat-tati con PTCA entro 2 giorni – 2014.

2014 2015 2016Finanziamento rideterminato cui concorre lo Stato (1) 109.900 113.760 117.710M anovra LS 2014Riduzione FSN disposizioni pubblico impiego (art. 1, c. 481) 540 610Riduzione FSN Friuli VG e sanità penitenziaria per aumento compartecipazioneregionale accise sui tabacchi (art.1, c. 513) 3 3 3Screning neonatali (art.1, c. 229) 5 5 5Borse studio medici specializzandi (art. 1 c. 424) 30 50 50Finanziamento rideterminato cui concorre lo Stato post LS 109.932 113.273 117.153Spesa sanitaria tendenziale DEF aprile 2014 111.474 113.703 116.149Previsioni Pil DEF 2014 1.587.053 1.626.750 1.676.571variazioni Pil 2,50% 3,10%Riallineamento finanziamento al Pil DEF aprile 2014 (2) 109.932 112.094 114.970Patto per la Salute giugno 2014 109.928 112.062 115.444Fonte: ns elaborazioni su documenti di finanza pubblica

(2) Nostre stime: alle variazioni di crescita del Pil si aggiungono gli effetti sul finanziamento della LS 2014

(1) Il finanziamento 2015-2016 è determinato sulla base del Pil nominale previsto nella NA al Def 2013 (per 2015 tiene conto della riduzione di 100 mln ascrivibil i al dl 95/2012;

PROPORZIONE DI PARTI CESAREI PRIMARI - 2014 PROPORZIONE DI PARTI CESAREI PRIMARI - 2014

INFARTO MIOCARDICO ACUTO: PROPORZIONE DI TRATTATI CON PTCA ENTRO 2 GIORNI – 2014 INFARTO MIOCARDICO ACUTO: PROPORZIONE DI TRATTATI CON PTCA ENTRO 2 GIORNI – 2014

2014 2015 2016Finanziamento rideterminato cui concorre lo Stato (1) 109.900 113.760 117.710M anovra LS 2014Riduzione FSN disposizioni pubblico impiego (art. 1, c. 481) 540 610Riduzione FSN Friuli VG e sanità penitenziaria per aumento compartecipazioneregionale accise sui tabacchi (art.1, c. 513) 3 3 3Screning neonatali (art.1, c. 229) 5 5 5Borse studio medici specializzandi (art. 1 c. 424) 30 50 50Finanziamento rideterminato cui concorre lo Stato post LS 109.932 113.273 117.153Spesa sanitaria tendenziale DEF aprile 2014 111.474 113.703 116.149Previsioni Pil DEF 2014 1.587.053 1.626.750 1.676.571variazioni Pil 2,50% 3,10%Riallineamento finanziamento al Pil DEF aprile 2014 (2) 109.932 112.094 114.970Patto per la Salute giugno 2014 109.928 112.062 115.444Fonte: ns elaborazioni su documenti di finanza pubblica

(2) Nostre stime: alle variazioni di crescita del Pil si aggiungono gli effetti sul finanziamento della LS 2014

(1) Il finanziamento 2015-2016 è determinato sulla base del Pil nominale previsto nella NA al Def 2013 (per 2015 tiene conto della riduzione di 100 mln ascrivibil i al dl 95/2012;

PROPORZIONE DI PARTI CESAREI PRIMARI - 2014 PROPORZIONE DI PARTI CESAREI PRIMARI - 2014

INFARTO MIOCARDICO ACUTO: PROPORZIONE DI TRATTATI CON PTCA ENTRO 2 GIORNI – 2014 INFARTO MIOCARDICO ACUTO: PROPORZIONE DI TRATTATI CON PTCA ENTRO 2 GIORNI – 2014

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861N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

zando a fondo questi aspetti potremo riuscire nella sfida che ci poniamo di tagliare il 7% della spesa senza nulla togliere nella risposta ai cittadini. Di qui la necessità di una Riforma strutturale che riduce il numero delle ASL, le strutture organizzative ridondanti, le eccedenze e gli spre-chi ovunque si annidino, con l’obiettivo di assicurare la sostenibilità e il carattere pubblico e universale del siste-

lia. Chi conosce la sanità sa che si possono eliminare i doppioni, riorganizzare i servizi, rivedere e ridistribuire i carichi di lavoro, combattere contro le nicchie di privi-legio e di corporativismo che ovviamente ci sono. Perché devono esistere più strutture specialistiche concentrate in una certa area? Tutte le Unità operative universitarie o ospedaliere hanno una casistica adeguata? Solo analiz-

Figura 14. L’andamento del Fondo sanitario regionale (FSR) - (mln di euro) ns. elaborazione su dati interni.

Figura 13. Il finanziamento del SSN (mln di euro).

2014 2015 2016Finanziamento rideterminato cui concorre lo Stato (1) 109.900 113.760 117.710M anovra LS 2014Riduzione FSN disposizioni pubblico impiego (art. 1, c. 481) 540 610Riduzione FSN Friuli VG e sanità penitenziaria per aumento compartecipazioneregionale accise sui tabacchi (art.1, c. 513) 3 3 3Screning neonatali (art.1, c. 229) 5 5 5Borse studio medici specializzandi (art. 1 c. 424) 30 50 50Finanziamento rideterminato cui concorre lo Stato post LS 109.932 113.273 117.153Spesa sanitaria tendenziale DEF aprile 2014 111.474 113.703 116.149Previsioni Pil DEF 2014 1.587.053 1.626.750 1.676.571variazioni Pil 2,50% 3,10%Riallineamento finanziamento al Pil DEF aprile 2014 (2) 109.932 112.094 114.970Patto per la Salute giugno 2014 109.928 112.062 115.444Fonte: ns elaborazioni su documenti di finanza pubblica

(2) Nostre stime: alle variazioni di crescita del Pil si aggiungono gli effetti sul finanziamento della LS 2014

(1) Il finanziamento 2015-2016 è determinato sulla base del Pil nominale previsto nella NA al Def 2013 (per 2015 tiene conto della riduzione di 100 mln ascrivibil i al dl 95/2012;

PROPORZIONE DI PARTI CESAREI PRIMARI - 2014 PROPORZIONE DI PARTI CESAREI PRIMARI - 2014

INFARTO MIOCARDICO ACUTO: PROPORZIONE DI TRATTATI CON PTCA ENTRO 2 GIORNI – 2014 INFARTO MIOCARDICO ACUTO: PROPORZIONE DI TRATTATI CON PTCA ENTRO 2 GIORNI – 2014

Totale Fondo Sanitario Regionale (FSR) al netto mobilità extra - regionale e internazionale - Trend 2010 - 2016

6.412,23

6.694,26

6.616,596.616,18

6.465,68

6.536,09

6.482,83

6.250

6.300

6.350

6.400

6.450

6.500

6.550

6.600

6.650

6.700

6.750

2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016

Totale Fondo sanitario regionale (FSR) al netto mobilitàextra - regionale e internazionale - Trend 2010-2016

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862 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

re che la Regione Toscana, prima con la LR 28/2015 e poi con la LR 84/2015 interviene sugli assetti istituzionali ponendosi i seguenti obiettivi:1. semplificare il sistema riducendo il numero delle

Aziende USL, facendo coincidere l’estensione con le tre Aree Vaste, considerate il livello ottimale di pro-grammazione sanitaria fin dai Piani sanitari degli anni novanta;

2. ridisegnare l’offerta ospedaliera secondo logiche di rete attraverso la pianificazione di Area Vasta, isti-tuendo la nuova figura del responsabile della rete ospedaliera, applicando i principi ispiratori del DM 70/2015 relativamente alle mission dei vari presidi ospedalieri e alla definizione delle strutture organizza-tive, tenuto conto della popolazione e della casistica delle prestazioni effettuate;

3. governare l’introduzione dell’innovazione tecnologica attraverso una Commissione regionale HTA (Health Technology Assestment) che valuta, con l’aiuto anche degli organismi di governo clinico, gli acquisti di nuovi farmaci, dispositivi medici, procedure cliniche, attrez-zature sanitarie ed informatiche. In un contesto in cui il costo delle tecnologie è in incremento esponenziale, la Commissione diventa uno strumento essenziale per selezionare la vera innovazione, che dà valore ag-giunto al sistema sanitario, dalle mere operazioni di marketing dei fornitori;

4. potenziare il territorio affidando alle zone-distretto, che saranno anche ridotte numericamente, la gestione del settore socio-sanitario (dipendenze, salute menta-le), della continuità ospedale-territorio con un ruolo si-gnificativo della medicina generale per le quali viene costituito anche un apposito Dipartimento formato dai coordinatori delle AFT (Aggregazioni funzionali terri-toriali), per una corretta e tempestiva presa in carico del paziente sul territorio;

5. valorizzare la programmazione a tutti i livelli da quel-la regionale a quella di Area Vasta, aziendale, zona-le, istituendo anche una leadership specifica dedicata alla programmazione di Area Vasta, i tre Direttori per la Programmazione, con il compito di creare sinergie tra Azienda territoriale e quella ospedaliero-universita-ria, attraverso PDTA condivisi, adeguata formazione e Dipartimenti interaziendali;

6. riconoscere l’assetto dipartimentale anche nelle Azien-de territoriali prevedendo al massimo otto Dipartimenti ospedalieri e due territoriali, oltre al Dipartimento dei medici medicina generale, ai Dipartimenti delle pro-fessioni sanitarie, al Dipartimento del farmaco e Di-

ma sanitario, a fronte del mutato quadro epidemiologico, dei costi crescenti dei processi di cura e diagnosi e della consistente riduzione dei trasferimenti statali alle Regioni. Partendo da queste riflessioni, dopo diversi mesi di gesta-zione e di rivisitazione, rispetto al testo iniziale, la mappa delle Aziende sanitarie è stata approvata con legge n. 84 del 28 dicembre 2015. Dal 1° gennaio 2016 il sistema è entrato nella fase “pienamente operativa”. Un proces-so di riordino complessivo, che nell’arco di un anno ha portato alla riduzione delle attuali 12 Aziende sanitarie locali a 3, una per Area Vasta. Un processo che era già cominciato con l’unificazione dei tre Estav (Enti per i ser-vizi tecnico amministrativi di Area Vasta) in un unico Estar regionale. L’obiettivo non è solo quello del risparmio, ma anche, e direi prima di tutto, quello di un miglioramento della qualità dei servizi. Dalle fusioni delle organizzazio-ni sanitarie ci si aspetta che portino vantaggi economici, clinici e “politici”. I vantaggi economici dovrebbero veni-re dalle economie di scala, in particolare dalla riduzione dei costi del management e dalla capacità di razionaliz-zare l’offerta.Tuttavia queste fusioni non sempre riescono a raggiun-gere gli obiettivi stabiliti e tutti i cambiamenti provocano timori e dubbi. È stato osservato che nel periodo 1997-006 su 112 fusioni di ospedali 102 non mostrarono mi-glioramenti significativi della produttività, e neppure del-la posizione finanziaria. Le evidenze suggeriscono che quanto più alto è il grado di cambiamento organizzativo che si vuole ottenere, tanto maggiore è il rischio che il beneficio non sia raggiunto.Ma un recente studio dell’Università Ca’ Foscari di Vene-zia, propone un modello di simulazione che utilizza una valutazione prospettica per ricavare le stime dei risparmi potenziali di costo che possono derivare dal processo di fusione delle ASL che sta interessando il sistema sanitario nazionale italiano. Si sofferma in particolare sui risparmi di costo derivanti dalle economie di scala, con riferimento a un particolare sottoinsieme di costi di produzione del-le ASL, vale a dire i costi amministrativi insieme ai costi di acquisto sia di beni che di servizi correlati di natura non sanitaria. I risultati dimostrano che le fusioni possano comportare benefici economici collegati all’ esistenza di economie di scala e addirittura nello studio si ipotizzano percentuali di risparmio nelle varie Regioni italiane, tra le quali la Toscana, che passando da 12 a 4 Aziende terri-toriali (nella riforma la riduzione è stata maggiore e cioè a 3 Aziende) dovrebbe comportare un risparmio comples-sivo del 4,72% sui costi totali.Dovendo operare una sintesi della Riforma è utile ricorda-

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863N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

di scala sul programma italiano di accorpamento delle Azien-de USL. Dip. Di Economia, Università Cà Foscari di Venezia, Working paper maggio 2016, sintesi e rielaborazione a cura di Giacomo Galletti Osservatorio per la Qualità ed Equità ARS Toscana.

Legge Regionale n. 28 del 16 marzo 2015 “Disposizioni ur-genti per il riordino dell’assetto istituzionale e organizzativo del servizio sanitario regionale”.

Legge Regionale n. 40 del 24 febbraio 2005 “Disciplina del servizio sanitario regionale”.

Legge Regionale n. 84 del 28 dicembre 2015 “Riordino dell’as-setto istituzionale e organizzativo del sistema sanitario regiona-le. Modifiche alla l.r. 40/2005”.

Programma Nazionale Esiti (PNE) sintesi risultati anno 2014, a cura del Ministero della Salute Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGENAS), edizione 2015.

Relazione Sanitaria Regionale 2009-2013, parte 1, Il profilo di Salute della Toscana, a cura di ARS Toscana (Agenzia regionale di sanità della Toscana).

partimento della prevenzione; differenziando le varie tipologie dei Dipartimenti in termini di funzioni e pote-ri, ma tutti ugualmente importanti in termini di gestione delle risorse umane, tecnologiche, ed economiche.

Sarà un’impresa difficile, per questo contiamo sull’aiu-to dei 54mila operatori del Sistema sanitario toscano e sappiamo di poter contare sulla loro competenza, pro-fessionalità e spirito etico. Si tratta di un cambiamento epocale, non sarà facile trasformare il modello teorico sopra delineato in una solida realtà ma come ha detto Demostene “Esiste un’isola di opportunità all’interno di ogni difficoltà”.

Bibliografia

Adempimento “mantenimento dell’erogazione dei LEA” attraver-so gli indicatori della Griglia Lea - Metodologia e Risultati anno 2013, a cura del Ministero della Salute Direzione Generale del-la Programmazione Sanitaria – Ufficio VI, edizione luglio 2015.

Di Novi C, Rizzi D, Zanette M, Più grandi è meglio: gli effetti

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864 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

La programmazione di Area VastaUn modello operativo strategico di governo di una sanità che cambia

Rocco Donato Damone1, Maria Chiara Innocenti2, Irene Picchioni2, Lucia Turco2 1 Direttore per la Programmazione Area vasta centro; 2 Nucleo operativo AVC.

AbstractLa legge regionale n. 84/2015 ha avviato un processo di cambiamento, profondo e radicale, delle linee dell’organizzazio-ne della sanità toscana con la riduzione del numero delle Aziende sanitarie (da 12 a 3), con il rafforzamento della loro in-tegrazione con le Aziende ospedaliere universitarie nell’Area vasta e nel coordinamento delle Aree vaste fra di loro. Gli assi portanti della legge di Riforma riguardano essenzialmente il ruolo della programmazione di Area vasta e il ruolo delle zone distretto. La programmazione di Area vasta è il luogo strategico della trasformazione dei bisogni socio sanitari in percorsi di cura adeguati ed efficaci, attraverso i Dipartimenti interaziendali di Area vasta, strumenti di integrazione sistematica e pro-gressiva tra Aziende Usl e AOU, anche sul versante della formazione e della ricerca (Fig. 1: il ciclo della programmazione regionale). Le zone distretto invece rappresentano il luogo della organizzazione e della gestione dei servizi socio sanitari e rappresentano il livello disaggregato di governance più prossimale ai territori.

Il processo avviato ha un respiro di lungo periodo, ed è centrato fondamentalmente su due assi strategici: a) sulle politiche di prevenzione in senso lato attraverso il Piano regionale di prevenzione 2014-2018; e b) sulla innova-zione declinata in tutte le sue dimensioni: tecnologica, or-ganizzativa, professionale, di sviluppo delle competenze.Il processo di riforma ha l’ambizione di condurre l’attuale sistema sociosanitario verso una configurazione organiz-zativa gestionale innervata da una forte capacità inno-vativa e proattiva in grado di prefigurare gli scenari e le traiettorie di governo del sistema per i prossimi 15 anni.La pianificazione e la programmazione sociosanitaria sono un elemento costitutivo e fondante della Regione Toscana.Gli atti adottati a partire dagli anni ’70 con cadenza decennale (a partire dal primo documento di program-mazione elaborato dal Comitato regionale per la pro-grammazione ospedaliera (CRPOT) istituito ai sensi della legge Mariotti del 12/2/1968 n. 132), sono stati sempre impostati con una logica proattiva e anticipatoria, in base all’evoluzione degli scenari demografici ed epidemiologi-ci, all’evoluzione dei bisogni assistenziali, all’evoluzione

tecnologica e delle competenze e ruoli professionali.Quindi una linea strategica di governo orientata ad una logica innovativa e anticipatoria, che ha dato origine a uno dei migliori sistemi sanitari sia sotto il profilo della qualità, appropriatezza ed equità, sia sotto il profilo della sostenibilità economica.La legge 84/2015 si muove in questa scia, si correla agli indirizzi del Piano regionale di sviluppo 2016-2021, e con il profondo processo di riorganizzazione del sistema pone le basi per una riprogettazione strategica del siste-ma sociosanitario per i prossimi anni.

La legge regionale della Toscana n° 84 del 28/12/2015L’impulso determinante alla rivisitazione dei sistemi sani-tari regionali, che ha investito progressivamente tutte le Regioni, prende origine da due provvedimenti legislativi molto importanti;1) Legge 8 Novembre 2012 n. 189 (Disposizioni urgenti

per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute.

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865N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

La programmazione di Area Vasta deve armonizzare e integrare, su obiettivi unitari di salute ed in coerenza con i piani regionali, i livelli di programmazione dell’Azienda unità sanitaria locale e quelli dell’Azienda ospedaliera universitaria. Questi, pur con mission differenti devono agire in maniera integrata nella definizione unitaria dei percorsi assistenziali. La riforma, con la programmazione di Area Vasta, riorienta il sistema sanitario regionale ver-so l’appropriatezza, la qualità e la sostenibilità del servi-zio sanitario pubblico. Al centro di tali percorsi ci sono i cittadini con i loro differenti bisogni, che devono trovare nella rete assistenziale dell’Area Vasta una risposta co-ordinata, appropriata, omogenea e di qualità. Obiettivi

2) Legge 7 Agosto 2012 n°135 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini e…)

Sulla base di tali indicazioni nazionali, oltre che per i vincoli delle diverse leggi di stabilità, la Regione Toscana ha avviato un profondo processo di riorganizzazione che è iniziato con la legge 28 del marzo 2015 e si è concluso con la legge 84 del dicembre 2015.Gli elementi fondamentali che caratterizzano la Legge 84 del 2015 sono il ruolo strategico della programmazione dell’Area Vasta e la sua valorizzazione come luogo di governance tra le istituzioni (Fig. 2; la programmazione di Area Vasta).

Figura 1. Ciclo programmazione in Regione.

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866 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

fondamentali sono inoltre da un lato quello di migliorare la ricerca del Servizio sanitario regionale, attraverso uno strettissimo rapporto con l’Università e il distretto Scienze della vita, dall’altro di accelerare i processi traslazionali delle innovazioni che hanno ricadute positive nei processi assistenziali.

Il modello progressivo di integrazione previsto dalla legge di Riforma 84/2015, che coinvolgerà l’Azienda sanitaria, L’Azienda ospedaliera universitaria, il Privato accreditato e le strutture del Terzo settore, riafferma la fun-zione del sistema sanitario regionale di programmazione e governo di una offerta sanitaria coerente con i bisogni

Figura 2. Giunta Regionale Toscana: Piano Regionale Sviluppo 2016-2020.

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867N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

• GlistrumentioperativideiDIAVsonorappresentatidaiGruppi di lavoro, multiprofessionali, multidisciplinari e interdipartimentali che studiano e propongono le solu-zioni migliori sotto il profilo professionale, organizza-tivo e del consumo di risorse dei percorsi assistenziali.

• IDIAVsonoilluogoincuisiesercitanolefunzionidimonitoraggio, manutenzione organizzativa e profes-sionale dei percorsi assistenziali integrati (Pdta), oltre che di aggiornamento continuo degli stessi

• Rappresentanoilluogoincuisidefinisconoleformedigoverno clinico nei punti di interfaccia che si trovano nel percorso assistenziale, ospedale - territorio - cure intermedie - domicilio; gli indicatori di misurazione dei processi implementati non sono solo statici e puntuali ma soprattutto dinamici.

Il Piano operativo di Area VastaIl Piano operativo di Area Vasta (POAV) è lo strumento principale del direttore della programmazione. In esso si esplicitano le azioni e gli obiettivi strategici a carattere socio sanitario integrato, tenendo conto delle indicazioni del Piano sociosanitario integrato e degli indirizzi della Conferenza dei sindaci di Area Vasta.Il POAV è uno strumento di programmazione condiviso con Il direttore generale della Usl di Area Vasta, con Il direttore generale dell’Azienda ospedaliera universitaria territorialmente afferente, con il direttore generale dell’E-star, e per le parti di rispettiva competenza con il direttore generale dell’Ispo (rete oncologica e progetti regionali), Il direttore dell’AOU Mayer per la parte di competenza re-lativa alla rete pediatrica regionale, e il direttore generale della Fondazione Gabriele Monasterio.Si tratta di un documento complesso e articolato le cui azioni e progettualità strategiche trovano un puntuale ri-scontro nel Piano attuativo locale (PAL) della Usl e nel Pia-no attuativo ospedaliero (PAO) dell’Azienda ospedaliera universitaria e dell’AOU Mayer, oltre che nei documenti di programmazione dell’Ispo e della Fondazione Gabrie-le Monasterio per le parti di specifica competenza.Successivamente il POAV viene presentato dal direttore della programmazione, previa intesa con la Conferenza dei sindaci e con il rettore dell’Università competente, alla Giunta regionale che lo approva, dopo aver acquisito il parere della competente Commissione del Consiglio re-gionale, che ha 60 giorni per esprimersi sulla proposta di Piano operativo di Area Vasta.Il Piano operativo di Area Vasta ha una valenza tempora-le 2016-2020, coincidente con le indicazione del Piano regionale di sviluppo e con Il Piano sociosanitario Integra-

della popolazione di un dato territorio (Area Vasta), e compatibile con le risorse disponibili.

I Dipartimenti interaziendali di Area Vasta (DIAV) strumenti operativi della programmazione di Area VastaI DIAV ai sensi del dell’articolo 9 della legge 84 del 2015 rappresentano uno strumento di coordinamento tecnico professionale finalizzato a supportare la programmazio-ne strategica di Area Vasta.Sono costituiti dai direttori di Dipartimento e dai direttori delle U.O. mediche della Asl e dell’AOU, delle U.O pro-fessionali (Infermieri, riabilitazione, tecnici di radiologia, tecnici di laboratorio, ecc.) dai rappresentanti dell’Univer-sità per la didattica e ricerca, da un rappresentante dei medici di famiglia, un rappresentante dei pediatri di libe-ra scelta, un rappresentate degli specialisti ambulatoriali.Ne faranno parte i rappresentanti del Privato accreditato, del Terzo settore non profit, delle associazioni dei malati e dei rappresentanti delle Società scientifiche, per garan-tire la partecipazione di tutti gli attori alla definizione di percorsi assistenziali condivisi che utilizzino al meglio e in maniera integrata e centrata sui pazienti tutte le risorse disponibili su un territorio.I Dipartimenti Interaziendali di Area Vasta sono:• Il luogo della rappresentanza e della elaborazione

tecnico professionale, multidisciplinare e multiprofes-sionale, per la standardizzazione dei processi orga-nizzativi e dei processi produttivi, in modo da ridurre in maniera consistente la variabilità, nella rete ospe-daliera e nei territori, degli stessi processi assistenziali con recupero di efficienza (riduzione dei costi) e au-mento della qualità e appropriatezza, omogeneità ed equità di accesso ai servizi.

• Unvolanoorganizzativoetecnicoprofessionale,po-sto a cavallo tra i Dipartimenti aziendali della Usl e i Dipartimenti della AOU, per ridefinire e riorientare le reti assistenziali, specialistiche e tempo dipendenti, e quindi per rafforzare i legami funzionali ed assisten-ziali con le zone distretto attraverso le forme organiz-zate della medicina generale (AFT e Case della salute) e della pediatria di libera scelta.

• Lostrumentoperlospostamentodelfocus,attraversoi modelli delle reti assistenziali, dal prodotto assisten-ziale ospedaliero e/o territoriale, al processo produtti-vo assistenziale, per riequilibrare gli asset organizza-tivi interaziendali, ed evitare duplicazioni e sprechi di risorse, con recupero di professionalità.

• Luogodipianificazionedellosviluppoedellaforma-zione di risorse umane.

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868 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

dei servizi territoriali è un prerequisito fondamentale per la riorganizzazione della rete ospedaliera, secondo un modello di rete complanare e incentrata sul trattamento delle patologie per acuti.

ConclusioniLa legge 84/2015 pone delle sfide molto importanti a cui è chiamato non solo il management, ma tutto il corpo degli operatori e dei professionisti, chiamati a partecipa-re a questo processo di cambiamento in forma attiva e propositiva come forse non avveniva da anni. Per rendere questo processo veramente un motore per il cambiamento e l’innovazione è necessario:1. Supportare questo processo con atti regionali e azien-

dali in cui si riconosca il ruolo strategico delle risorse umane, e quindi di tutti gli operatori, che rappresen-tano una risorsa inestimabile per la difesa del servi-zio della sanità pubblica per i cittadini. Un servizio pubblico centrato sulla valorizzazione professionale, basato sul merito e la professionalità, sul rispetto delle competenze e sulla capacità di riaffermare i principi di umanizzazione, presa in carico e sostegno ai citta-dini nei loro percorsi assistenziali.

2. Fornire al sistema organizzativo prefigurato dalla leg-ge di riforma basato su reti complanari tra ospedali, e tra ospedale-territorio-case della salute-domicilio-strutture intermedie, strumenti robusti e tecnologie in-formatiche unitarie ed omogenee (cartella elettronica unica, registri operatori, condivisione e fruibilità del sistema Ris-Pacs, ricetta elettronica) che favoriscano le connessioni tra i vari punti delle reti e che abbiano il focus sulla tracciabilità del paziente nei diversi punti della rete e del percorso assistenziale. In tal modo si liberano risorse professionali da utilizzare nella cura dei pazienti anziché in pratiche burocratiche o nell’u-tilizzo di strumenti e procedure informatiche obsolete ed inefficienti.

3. Infine è necessario che oggi si riaffermi il ruolo del servizio pubblico come il livello della pianificazione, programmazione, ovvero come il livello strategico di governo dell’offerta ad ampio spettro che include, sot-to la regia e il controllo del Servizio pubblico, tutti i soggetti erogatori (dal Privato accreditato, alle or-ganizzazioni del Terzo settore, fino al privato puro). Il settore pubblico quindi definisce i fabbisogni, le modalità di monitoraggio, la dimensione dell’offerta, appropriata e di qualità, e assegna ai diversi attori in maniera coordinata ed integrata il ruolo per rag-giungere gli obiettivi di salute, di diagnosi e terapia

to Regionale, ma ha uno scorrimento ed aggiornamento annuale in base alle necessità, agli obiettivi di efficienza e di efficacia, e alla compatibilità economica stabilita dal-la Giunta regionale.Il monitoraggio puntuale delle azioni e degli obiettivi del POAV viene effettuato dal direttore della programmazio-ne, anche a cadenza infrannuale, attraverso il Nucleo tecnico e i Gruppi appositamente creati nei DIAV, ed è oggetto di relazione annuale alla Giunta regionale attra-verso l’assessore alla salute della Regione Toscana.Quindi la legge 84/2015 dà finalmente all’Area Vasta una chiara connotazione organizzativa gestionale, attra-verso il POAV, per riallineare tutti i soggetti del sistema attorno ai percorsi e bisogni dei pazienti, in un proces-so globale di reingegnerizzazione che sul lungo periodo può portare fino ad un valore di -20% dei costi assisten-ziali, come affermano i dati internazionali sui processi di fusione e concentrazione di Aziende sanitarie.Un processo virtuoso che porta a liberazione di risorse da reinvestire verso settori strategici come l’innovazione, la prevenzione e l’assistenza dei non autosufficienti gravi.

Lo sviluppo e il potenziamento delle zone distrettoIl potenziamento delle zone distretto, come livello di orga-nizzazione e gestione dei servizi sanitari e socio sanitari, rappresenta il secondo asse strategico organizzativo del-la legge di riforma del Servizio sanitario toscano.Infatti, di fronte a un processo di concentrazione delle Unità sanitarie locali a livello di Area Vasta (3 in tutta la Regione) parallelamente si assiste a un riassesto delle zone sociosanitarie (il valore tendenziale ed ottimale è quello di 8 zone distretto per ciascuna Area Vasta con esclusione dell’Isola d’Elba). In tal modo esse assumono una dimensione geografica che consente una adeguata attribuzione di risorse umane, strumentali ed economiche, e un livello ottimale di erogazione dei servizi.In tal modo la zona distretto diventa il livello di prossimità gestionale ed organizzativo, vicino ai territori e ai citta-dini, per allineare i servizi ai bisogni dei cittadini, e nel-lo stesso tempo governare tutti i processi della continuità assistenziale, nelle sue varie forme (strutture intermedie, ospedali di comunità, assistenza domiciliare), e le pre-stazioni specialistiche in una stretta interrelazione con gli stabilimenti ospedalieri di riferimento territoriale. Infine la zona distretto è il livello ottimale di erogazione dei servizi di alta integrazione, da erogarsi anche con i servizi so-ciali dei Comuni del territorio di competenza in una ottica unitaria ed integrata.La realizzazione del progetto di crescita e potenziamento

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869N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

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per i cittadini, evitando duplicazioni inutili, interventi inappropriati, e garantendo quindi l’economicità del sistema. Alta e qualificata committenza e controllo di qualità sulle prestazioni erogate, questo il ruolo del Servizio pubblico.

L’obiettivo finale è quello di riconfigurare il sistema socio-sanitario della Toscana secondo un principio semplice e basilare, ovvero fare in modo che in qualsiasi punto del sistema (ambulatorio, ospedale, ecc.) il cittadino acceda per un bisogno sanitario, sia lo stesso sistema, attraverso i suoi operatori, che decodifichi il bisogno, ne definisca la priorità e la necessità di livello assistenziale, e lo allochi nel posto giusto, prossimale alla residenza dello stesso cittadino, o centro di alta specializzazione.

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870 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

Lorenzo RotiResponsabile Settore Organizzazione delle cure e percorsi della cronicità. Regione Toscana

AbstractLa riorganizzazione del Servizio sanitario regionale molta enfasi sul rafforzamento dei livelli di governo e di organizzazione a livello territoriale ed in particolare a livello delle cure primarie.A fronte di una revisione della rete ospedaliera regionale, anche a seguito delle indicazioni nazionali (D.M. 70/2015), il SSR ha rilanciato il ruolo e l’importanza delle zone-distretto quale luogo della programmazione e della costruzione di reti cliniche e assistenziali intergrate sanitarie e sociosanitarie, puntando su una forte valorizzazione delle cure primarie orientate alle comunità.L’approccio del sistema delle professioni e dei servizi deve essere quello proattivo e centrato sul principio del Population Health and Care Management, secondo un modello capace di promuovere un miglioramento sia delle azioni di prevenzio-ne primaria (es. stili di vita, vaccinazioni) e secondaria, sia della gestione delle malattie o condizioni di bisogno croniche. Le Aggregazioni Funzionali Territoriali della medicina generale identificano il bacino di assistiti attorno al quale costruire un lavoro di équipe multiprofessionali e multisciplinari responsabili dei risultati di salute e del miglior utilizzo delle risorse messe a disposizione dal SSR e presenti nelle comunità.

I Servizi territoriali

L’assetto organizzativo territoriale dopo la riorganizzazione del SSRIl ridisegno complessivo dell’assetto organizzativo del servizio sanitario regionale è finalizzato a rendere so-stenibile, maggiormente coerente ed efficace il sistema delle cure e di assistenza in uno scenario di profondo e rapido cambiamento del profilo epidemiologico e sociale dei bisogni di salute e nel mutato quadro del livello di finanziamento del sistema.

Tra i principi sui quali è stata mossa la riorganizzazio-ne del SSR, risultano particolarmente significativi, oltre a quelli generali relativi alla salute, come diritto per il singolo cittadino e dovere della collettività e all’equità come fondamento di un sistema di garanzia pubblico, i seguenti:• icittadini,leassociazionieprofessionisticomeattori

responsabili nel concorrere al funzionamento efficien-te del sistema sanitario regionale e al perseguimento dei suoi obiettivi di salute;

• losviluppodelleprofessionalitàedellecompetenzeinogni ruolo e profilo professionale all’interno del Servi-zio Sanitario Regionale;

• rafforzamentodeiprocessidiintegrazionesocio-sani-taria, sia nella fase di pianificazione sia di organizza-zione ed erogazione;

• valorizzazione dell’organizzazione dell’assistenzaper processi e della multidisciplinarietà;

• nellecure;• unsistemainformativoorientatoallagestionedeibiso-

gni di salute del cittadino in tutti i punti della rete delle cure;

• la valorizzazione del sistema del volontariato comeelemento di coesione sociale e di presidio capillare dei servizi.

A fronte dello scenario economico, sociale ed epidemio-logico del nostro paese, è oramai unanime l’opinione, anche nelle politiche sanitarie a livello internazionale, di dover rafforzare i servizi territoriali attraverso una organizzazione delle cure primarie capace di operare in équipe multiprofessionali, multidisciplinari (sanitarie e sociosanitarie), secondo un approccio proattivo di Popu-lation Care Management, orientato alla comunità e ca-pace di promuovere un miglioramento sia della azioni di prevenzione primaria (es. stili di vita, vaccinazioni) sia di

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871N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

dell’integrazione sociosanitaria, compresi i servizi per la salute mentale e le dipendenze e della non autosufficienza.Essa esercita inoltre una funzione propria di governo, nel rispetto degli obiettivi e delle risorse messe a disposizione dall’Azienda e degli atti di programmazione locale e sul-la base di protocolli di cura e delle indicazioni dei bisogni espressi anche dalla medicina generale dei percorsi inerenti le cure primarie, la specialistica territoriale, l’attività dei con-sultori e la continuità assistenziale ospedale- territorio.La zona-distretto rappresenterà quindi il livello di gover-no locale, per la programmazione operativa, con e nelle comunità, delle attività e dei servizi sociosanitari. Sarà il livello nel quale le associazioni di volontariato e i soggetti del No profit sotterrano con la partecipazione, la co-pro-gettazione e la co-responsabilizzazione, la realizzazione e promozione di interventi innovativi e sostenibili per raf-forzare un welfare di comunità di garanzia.

Il direttore di zona-distretto si raccorda per questo con il direttore del presidio ospedaliero di zona, che è invitato permanente all’ufficio di direzione della zona distretto, al fine di garantire, nell’ambito della programmazione aziendale, l’integrazione delle attività specialistiche nelle reti integrate sanitarie e socio- sanitarie territoriali e a sup-porto dei percorsi di continuità ospedale- territorio, con particolare riguardo alla presa in carico delle cronicità e della complessità.

Il direttore di zona-distretto si avvale, per le funzioni ge-stionali, di un ufficio di direzione composto dai i respon-sabili delle unità funzionali zonali, dai coordinatori per le attività di assistenza infermieristica e riabilitativa pro-fessionale, dai coordinatori delle AFT e dal coordinatore sociale.Le unità funzionali zonali, previste nella L.R. 40/2055 e s.m.i. e integrate da DGRT 317/2016, comprendono:a) Cure Primarie (ex attività sanitarie di comunità);b) Salute mentale adulti;c) Salute Mentale Infanzia e Adolescenza;d) Dipendenze;d) Cure Palliative;e) Integrazione Sociosanitaria – Non autosufficienza e

Disabilità.

Lo sviluppo dei servizi territorialiIl rafforzamento del ruolo dei servizi territoriali e delle cure primarie in particolare è probabilmente l’obiettivo strategi-co dichiarato più rilevante nel processo di riforma avviato. La capacità di dare seguito e rendere effettiva questa scelta

prevenzione secondaria che di gestione delle malattie o condizioni di bisogno croniche.

Con questo fine, la LR 84/2015 ha ulteriormente raffor-zato il ruolo delle zone distretto, sia in funzione della loro prerogativa nell’organizzazione dei servizi sia del ruolo di garanzia rispetto alla capacità di ottimizzare le risorse e assicurare l’integrazione sociosanitaria a livello locale, mediante gli strumenti della programmazione sanitaria e sociosanitaria territoriale (Piani Integrati di Salute – PIS) approvati dalle conferenze integrate dei sindaci locali (di cui art. 34 LR41/2005 e s.m.i), e costruite sulla base de-gli indirizzi regionali ed aziendali, mediante un proces-so di partecipazione dei cittadini e dell’associazionismo locale. Sono strumento di questa visione, per il governo e/o la gestione unitaria integrata dei servizi sociali e so-ciosanitari, le Società della Salute o le Convenzioni per l’esercizio delle funzioni di integrazione sociosanitaria in attuazione di quanto previsto dall’art. 70 bis della l.r. 40/2005 e s.m.i..Anche con l’intento di accrescere il ruolo delle zone-di-stretto, in corso del 2016 si procederà ad una prima revi-sione del numero di zone distretto presenti nel territorio re-gionale per addivenire progressivamente a ambiti zonali che abbiano un bacino di assistiti di almeno 100.000 residenti, salvaguardando comunque alcune specificità (es. Elba).

Le zone-distretto, con la riforma, riacquisiscono come stru-mento proprio della pianificazione e programmazione progettuale, il PIS, nell’ambito del quale sono definiti:a) gli obiettivi di salute e di contrasto alle disuguaglianze

nella salute e assistenza sanitaria, tenendo conto del profilo di salute e dei bisogni sanitari e sociali delle popolazioni;

b) le strategie e le azioni per la promozione della salute anche attraverso il cambiamento degli stili di vita;

c) la rete dei servizi e degli interventi attivati sul territorio;f) le priorità di allocazione delle risorse provenienti dal

fondo sanitario regionale e di quelle dei comuni;g) le modalità operative dell’integrazione delle cure pri-

marie con il livello specialistico attraverso reti cliniche integrate e strutturate;

i) la distribuzione sul territorio dei relativi presidi;l) gli strumenti di valutazione di risultato relativi agli

obiettivi specifici di zona.

La zona-distretto assume in via definitiva la funzione di organizzare e gestire la continuità e le risposte territoriali

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872 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

specialistiche necessarie ad assicurare la presa in carico a livello di popolazione da parte delle AFT, a partire dai percorsi per la cronicità.

La riorganizzazione dei servizi territoriali sarà condotta in questa direzione a partire da alcuni temi e scelte di politica sanitaria ritenuti prioritarie nell’agenda del SSR affinché al cambiamento degli assetti istituzionali e ma-cro-organizzativi, seguano al più presto le azioni capaci di impattare significativamente sul miglioramento dei per-corsi e dell’accessibilità alle cure da parte dei cittadini toscani che già oggi possono contare un servizio sociosa-nitario, fatta da professionisti e sostenuto da un livello di servizi, tra i migliori in Italia.

Politiche e temi prioritari per la riorganizzazione dei servizi territoriali• Unaforteenfasisullepoliticheperlacronicitàel’in-

vecchiamento attivo;• lariorganizzazionedellamedicinageneraleattraverso

le AFT, che lavoreranno assieme al pool di infermieri e OSS di riferimento la popolazione di assistiti della AFT e agli specialisti, per prendere in carico i pazienti, con una o più malattie croniche (in particolare i diabetici, i cardiopatici, broncopatici) e personalizzando la presa in carico e l’accesso alle prestazioni di cura e assisten-za, in maniera coordinata e graduata secondo livelli di intensità in proporzione ai bisogni del paziente;

• agireinmanieraproattivasucolorochetroppevoltesi recano al pronto soccorso o vengono ricoverati più volte o assumono molti farmaci senza che ci sia qual-cuno che ne pianifichi l’assistenza ed eviti il continuo ricorso alle cure ospedaliere;

• recuperarel’enfasisullaprevenzioneprimariaaparti-re dalle vaccinazioni e dagli screening oncologici (ad esempio attuando l’accordo regionale con la Pediatria di famiglia che gestirà tutto il piano vaccinale infanzia);

• coinvolgereinmanieraproattivaeresponsabileilpa-ziente e i caregiver a partire dal lavoro di supporto all’autogestione del malato cronico (self management) ma guardando anche, in collaborazione con i Dipar-timenti di prevenzione, al lavoro da fare sulla popola-zione a rischio e non ancora malata;

• attivareglistrumentiproprideldigovernoclinicoperle prestazioni a maggiore rischio di in appropriatezza (es. RMN muscolo scheletriche, ecografie addomina-li, ecocolordoppler vascolari am anche visite cliniche) dovrà essere supportato dall’attuazione dei criteri di accesso per priorità clinica;

di sistema, dipende anche dalla capacità di definire con chiarezza le priorità di salute e sanitarie sulle quali vei-colare l’interpretazione più corretta della riorganizzazione del SSR e per le quali procedere con progressività ad una riallocazione progressiva delle risorse strutturali, tecnolo-giche e professionali, verso un sistema di servizi sanitari, fortemente integrato, sviluppato secondo la logica trasver-sale delle reti clinico assistenziali sanitarie e sociosanitarie, verso il superamento della storica, quanto tribale, separa-zione dei servizi ospedalieri e territoriali.Questo processo richiede una revisione profonda anche delle modalità e forme organizzative nelle Aziende sani-tarie, a partire dalla ridefinizione delle “unità minime di produzione”, per loro natura multi professionali e multidi-sciplinari, come nucleo operativo di base, sia negli ospe-dale per intensità di cura sia nelle cure primarie.La visione da promuovere nell’ambito delle cure primarie è quella che a livello internazionale è stata identificata attraversi le Affordable Care Unit (ACU). Si tratta di grup-pi di medici di cure primarie, integrati da medici spe-cialisti e professionisti sanitari, che ha la responsabilità (accountability), della salute e delle risposte sanitarie da assicurare al bacino di assistiti ridisegnando i processi di cura e assistenza in una logica non più compartimentale/dipartimentale ma trasversale e basata su PDTA definiti e negoziati. Nella nostra regione abbiamo di fatto già avviato, attraverso la istituzione delle 115 Aggregazioni funzionali della medicina generale (AFT) operanti nelle zone-distretto, un processo evolutivo delle cure primarie che ha in se questo tipo di prospettiva.L’enfasi sulle cure primarie è quindi una scelta che il si-stema conferma e rafforza perché, come oramai ampia-mente evidente in letteratura, può garantire una più alta qualità dell’assistenza a minor costi, senza snaturare il “core” delle cure primarie (assistenza di primo contatto, coordinamento delle cure e assistenza attraverso i diversi setting), promuovendo una profonda innovazione attra-verso l’uso di sistemi informativi integrati (ad es. il fasci-colo sanitario elettronico), l’approccio population-based management delle malattie croniche, il coinvolgimento at-tivo dei pazienti/cittadini, il miglioramento continuo della qualità professionale e organizzativa.Sarà compito delle Aziende sanitarie e dei direttori della programmazione, avvalendosi sia del Dipartimento della medicina generale sia dei Dipartimenti specialistici azien-dali e interaziendali, curare, in questo processo di riorga-nizzazione, la costruzione dei sistemi di programmazio-ne, degli strumenti operativi e di co-responsabilizzazione per la partecipazione/integrazione delle componenti

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873N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

per il rientro a domicilio, in sinergia con gli interventi sociali già in atto (Pronto badante);

• semplificare della prescrizione ausili assistenziali aipazienti disabili a domicilio come alla dimissione dall’ospedale (letti ortopedici, sedie da comodo, ausili per cure della persona, presidi antidecubito);

• promuoverelatelemedicinacomestrumentoordinariodi supporto alla erogazioni di prestazioni specialisti-che (es. elettrocardiogramma) o di supporto ad attività riabilitative per facilitare l’accesso alle prestazioni ri-manendo più vicino possibile al domicilio assicurando così comunque l’apporto delle competenze specialisti-che per bisogni già in carico ai servizi;

• proseguirenelladiffusionedelleesperienzedelleCasedella Salute (CdS)/UCCP (unità complesse di cure pri-marie), quale presidio di riferimento per ciascuna AFT in termini di ottimizzazione della continuità medica diurna (H16), integrazione con il sistema dei servizi sociali, disponibilità territoriale di attività specialistica ambulatoriale e diagnostica.

• assicurarelaprenotazionedelleprestazionidiappro-fondimento diagnostico o di follow-up direttamente laddove si generi una prescrizione (a livello della me-dicina generale come dell’ambulatorio specialistico);

• potenziarelalogicaPull nei processi di pianificazione e continuità alla dimissione ospedaliera anche attra-verso la presenza nei presidi ospedalieri di zona delle agenzie di continuità ospedale territorio, quale funzio-ne propria della zona-distretto;

• potenziareiprogettidomiciliarisiainfasepostacutache nella gestione quotidiana nell’ambito della sanità di iniziativa, utilizzando anche risorse del Fondo so-ciale europeo per incrementare le tutele dell’anziano e della famiglia divenuta fragile dopo un episodio di ricovero (infermiere, assistente alla persona e fisiotera-pisti a domicilio);

• portarea regime il sistemadi assistenza intermediain fase post dimissione, al fine di evitare ricoveri inap-propriati in RSA, riattivare funzionalmente l’anziano e potenziare le capacità assistenziali della famiglia

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874 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

La nuova rete ospedaliera

Maria Teresa Mechi1, Valtere Giovannini2, Rocco Damone2, Edoardo Majno2, Paola Magneschi1, Simona Balzanti3, Lucia Turco2, Franca Martelli2, Adele Mezzenzana2

1 Qualità dei Servizi e reti cliniche Regione Toscana; 2 Direzioni della programmazione Area Vasta; 3 Ars

AbstractAll’interno del sistema di indirizzi normativi che caratterizzano oggi le linee evolutive della Pubblica Amministrazione, anche il sistema sanitario regionale è chiamato a rispondere in maniera significativa, orientando la pianificazione degli assetti erogativi e dei livelli di assistenza secondo criteri volti a coniugare la massimizzazione dell’appropriatezza dei servizi offerti con l’efficienza del sistema stesso. La finalità primaria delle modifiche degli assetti istituzionali previste dal nuovo modello di rete ospedaliera della Regione Toscana è l’attuazione di soluzioni che, in maniera strutturata, permettano la riconnessione e l’efficace messa in rete degli erogatori e delle competenze professionali al fine di assicurare le necessarie sinergie ed utilizzare nella maniera più efficace le potenzialità presenti.

Ogni Servizio sanitario, in ragione della esigenza di evol-versi per rispondere compiutamente alla trasformazione degli scenari di riferimento, deve poter assicurare un pro-cesso continuo di rimodellizzazione, sia nei suoi aspetti normativi che per quanto attiene agli assetti organizzativi. Ricerca, innovazione, ed orientamento agli obiettivi di sa-lute sono gli elementi chiave per una buona assistenza che, per poter essere assicurata e mantenuta, deve avere alla base un’organizzazione in grado di supportarla adeguata-mente, modificandosi ed adattandosi in maniera coerente.Il SSR toscano ha ottenuto risultati importanti negli ultimi

due decenni, oggi occorre prendere atto della necessità di affrontare una sfida più grande che lo scenario attuale ci impone:La funzionalità complessiva di un sistema organizzativo composto da più Aziende dipende infatti non solo dai livelli di funzionalità di ciascuna ma, in quota parte rile-vante, dall’interazione tra le diverse Aziende che ne fan-no parte, la quale è a sua volta fortemente condizionata dal sistema delle relazioni di natura istituzionale che, in particolare, caratterizzano in modo significativo l’assetto dei sistemi sanitari pubblici.

Tabella 1

• ilridimensionamentodelfinanziamentodelSSN• lavariabilitàdellaqualitàdellecure• ladiffusionedellemalattieprevenibilielarilevanzadelfenomenodellafragilitànegli anziani• ilpersisteredelledisuguaglianzenellasalute• lanecessitàdiintrodurreconpiùefficacialeinnovazioni

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875N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

guate in relazione alle competenze richieste, dall’altra, di fare emergere e catturare le sinergie potenzialmente disponibili in un sistema popolato da attori caratterizzati da mission diverse.Le stesse recenti disposizioni introdotte nell’aprile 2015 dal DM n.70 in tema di standard ospedalieri impongo-no che la nuova pianificazione regionale rilanci ulteriori interventi di sistema derivanti dall’obbligo di attuare le nuove disposizioni normative.

Occorreva quindi affrontare in maniera decisa i problemi relativi al coordinamento di reti complesse per la ricerca delle migliori condizioni che rendano possibile il perse-guimento di una razionalità di sistema in grado di assicu-rare un’offerta di sempre maggiore valore per i pazienti. Esistono oramai evidenze che questo è difficilmente rea-lizzabile se non perseguito mediante la creazione di un sistema aziendale fortemente integrato.

Il nuovo modello ha come assunto di base una declinazio-ne avanzata dell’Area Vasta, pensata per rappresentare il luogo di concertazione strategica tra Azienda ospeda-liero universitaria ed Azienda sanitaria territoriale e che, per la sua composizione ed i meccanismi di governo indi-viduati, rappresenta un luogo adeguato di elaborazione di policy in rapporto dialettico con la Regione, rilevante e istituzionalmente forte per la capacità di sintesi e di co-ordinamento tra le due Aziende che hanno mission diver-sa e concorrono alla costruzione dell’offerta ospedaliera complessiva.

La creazione di reti ospedaliere aziendali con un livello unico di governo e l’introduzione di una leadership speci-fica per la programmazione delle reti ospedaliere intera-ziendali di Area Vasta rappresentano un grande progetto di cambiamento con ricadute potenziali di ampia portata.

Il nuovo modello è stato pensato per essere in grado di:• offriremigliorioutcomes per i pazienti;• garantireunamaggioreomogeneitànell’applicazione

degli standard di cura;• assicurare migliore accessibilità per l’intero spettro

dell’offerta ospedaliera;• ridurrelaframmentazionenell’erogazionedeiservizi;• massimizzare l’efficienza in un quadro governato

di cooperazione tra Aziende sanitarie territoriali ed Aziende ospedaliero universitarie e tra Aree vaste;

• rendere possibile l’introduzione ottimale delle nuovetecnologie;

Il sistema sanitario della Regione Toscana da molti anni è ritenuto una delle realtà di spicco nel panorama naziona-le, come dimostrano i risultati raggiunti in termini di qua-lità delle risposte assistenziali e di corretto utilizzo delle risorse. Questo è stato possibile grazie ad una consolida-ta propensione all’innovazione che ha consentito di pre-correre ed anticipare, in molti ambiti di intervento, scelte che hanno poi trovato seguito in altri contesti analoghi.È quindi logico ed auspicabile che da questa realtà sca-turiscano decisioni che hanno la giusta ambizione di contribuire alla ricerca di soluzioni al problema che at-tanaglia i sistemi sanitari ‘evoluti’ legato al crescente e, ad oggi inarrestabile, squilibrio tra fondi a disposizione e spesa sanitaria.

Le logiche che ispirano la recente riforma del SSR ed i risultati attesi si rifanno ad assunti in gran parte affermati da tempo ed ampiamente condivisi a livello nazionale ed internazionale.Negli ultimi anni nella stessa Toscana si è assistito all’in-troduzione graduale di meccanismi organizzativi che consentissero la graduale attuazione di tali principi e, in ragione di ciò, i modelli organizzativi via via introdotti hanno consentito di far penetrare elementi importanti di innovazione che, prevedibilmente, hanno evidenziato nel tempo quelle criticità che solo con il passaggio a soluzio-ni più avanzate possono essere superate.Nello specifico la L.40/2005, mediante la declinazione delle Aree Vaste, aveva introdotto un livello di coordina-mento e di incontro stabile e strutturato tra le direzioni aziendali. Questo modello aveva via via evidenziato una debolezza intrinseca, legata alla veste giuridica indivi-duata in prima applicazione, che non ha consentito di go-vernare efficacemente l’attuazione, a livello delle singole a Aziende, delle scelte scaturite nel perimetro concertati-vo allargato. Le criticità insite nel precedente sistema di governance nell’Area Vasta sono correlabili alla presen-za di una pluralità di Aziende territoriali tra di loro in po-tenziale competizione ed hanno fatto si che non sia stato possibile contenere uno sviluppo in parte disarmonico dei servizi sanitari dovuto anche a spinte legate a problemi locali ed alla necessità di un perseguimento troppo par-cellizzato dell’equilibrio economico finanziario, tanto da far permanere forme lasse di integrazione all’interno del sistema ed una eccessiva frammentazione in alcuni settori di attività.È invece sempre più pressante la necessità, da una parte, di evitare ridondanze e duplicazioni e di assicurare la fruibilità ai cittadini delle risposte qualitativamente ade-

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876 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

• favorirelosviluppodicompetenzesecondoledifferen-ti tipologie di specializzazione richieste;

• consentireunamaggioreintegrazioneconlacompo-nente accademica per le attività didattiche e di ricerca nell’ambito della programmazione di Area Vasta.

La realizzazione di una nuova rete ospedaliera regionale è rivolta a dare risposte efficaci in tempo reale a tutti i cittadini che ne hanno bisogno, offrendo un servizio di qualità ancora migliore di quello già di grande valore esistente ed in grado di garantire ed assicurare l’innova-zione tecnologica riducendo gli attuali costi di gestione – fare meglio con meno – grazie all’assenza di ridondan-ze operative, alla definizione di percorsi chiari ed espli-citi (per i professionisti ed i pazienti), alla individuazione, formalmente definita, della missione di ogni nodo della rete ed alla affermazione di nuove modalità di collabora-zione ed interazione fra i professionisti di tutta la rete e di nuove soluzioni organizzative in grado di facilitare l’af-fermazione piena e formalizzata dell’interdisciplinarietà e dell’interprofessionalità, oltre ad una forte integrazione con la medicina del territorio attraverso la realizzazione di percorsi integrati.

Le linee di indirizzo regionali per la revisione della rete ospedaliera prevedono:• lavalorizzazionedellaprossimitànell’accessoalsiste-

ma dei servizi;• lamassimaqualitàesicurezzaperilpaziente;• ilmantenimentoedilpotenziamentodell’offertadiser-

vizi specialistici in tutti gli ospedali della rete.

La costruzione delle reti ospedaliere aziendali, di Area Vasta e regionale comporta:- una nuova suddivisione dei compiti degli ospedali del-

la rete regionale, per la piena sicurezza della risposta diagnostica e terapeutica-assistenziale;

- una diversa regolazione dei flussi pazienti all’interno della rete per creare nuovi attrattori negli ospedali di piccole/medie dimensioni e ridurre la mobilità non ne-cessaria verso le Aziende ospedaliere;

- la concentrazione delle attività ad alta complessità/specializzazione e delle tecnologie nelle sedi adegua-te in base al livello di complessità clinico assistenzia-le assegnato, rendendole disponibili a tutte le équipe accreditate per il loro utilizzo e favorendone l’utilizzo massimale.

La nuova programmazione ospedaliera è improntata alla

definizione delle funzioni da prevedere nelle singole re-altà ospedaliere in una logica di rete, prevedendo ruoli diversificati in relazione al differente apporto al soddisfa-cimento della domanda espressa dalla popolazione del-le singole zone, senza ricorrere ad una lettura rigida di livello quale quella prospettata dalla classificazione degli ospedali in base ai livelli proposti dal DM 70/2015.Il modello individuato si basa sulla realizzazione di per-corsi clinico-assistenziali messi in atto da parte dei sin-goli nodi, grazie ad una valorizzazione delle specifiche competenze, in un assetto organizzativo di tipo non ge-rarchico volto alla forte integrazione tra tutte le strutture coinvolte.Il ruolo dei singoli presidi e stabilimenti di cura e le funzio-ni presenti sono definiti in funzione del loro apporto alla realizzazione dei percorsi di cura in una logica di rete e nello specifico:• potenziamentodell’apportospecialisticomediconegli

ospedali di prossimità mediante un’interazione stretta tra le UUOO specialistiche degli ospedali provinciali e dell’AO con le UUOO di medicina interna degli ospe-dali di prossimità, secondo una pianificazione defini-ta a livello aziendale e di Area Vasta, in modo da assicurare un elevato livello di qualità delle cure per determinate tipologie di problematiche specialistiche, evitando una mobilità non necessaria e riqualificando i presidi periferici;

• trasferimentodelleattivitàaminorecomplessitàpressoi presidi zonali e di prossimità, con incremento com-plessivo dei volumi di produzione e riduzione dei costi unitari;

• concentrazionedellaproduzionedelleprestazioniadalta complessità, soprattutto in campo chirurgico, pres-so ospedali di riferimento che concentrino la tecnolo-gia e le competenze di elevata specializzazione in riferimento ad un bacino geografico e di popolazione “ottimale” (di Area Vasta o regionale).

Questo ridisegno consentirà ai professionisti di operare in modo più efficace e, soprattutto, offrirà una migliore assistenza per tutti gli utilizzatori del sistema sanitario, massimizzando e sfruttando i punti di forza di tutti gli ospedali della rete, in tal modo consentendo di fornire un’assistenza sicura e di alta qualità.

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878 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

La riforma e i Dipartimenti oncologiciComplessità, omeostasi e cambiamento

Luisa Fioretto1, Simone Cheli2, Gianni Amunni31 Direttore Dipartimento oncologico, AUSL Toscana centro;2 Scuola di Scienze della salute umana, Universi-tà di Firenze; 3 Direttore operativo Istituto tumori toscano

AbstractL’oncologia con il suo peso in termini di incidenza, prevalenza e complessità assistenziale rappresenta una delle sfide più ardue per il sistema sanitario del nostro Paese e può rappresentare oggi un fondamentale banco di prova per le aspirazioni insite nella riforma del sistema sanitario della Toscana. Per articolare operativamente una riforma ambiziosa come quella in corso nella Regione Toscana è necessario considerare tre livelli di analisi: (i) i principi fondanti della riforma e le sue linee di indirizzo; (ii) il livello organizzativo delle Aziende sanitarie, dei Dipartimenti e delle reti regionali; (iii) il livello dell’attività professionale degli operatori e la domanda e la percezione dei servizi da parte degli utenti. Tanto più possiamo anticipare i processi sistemici in atto, sia quelli omeostatici spontanei, che quelli organizzativi pianificati, tanto più possiamo minimizzare la variabilità e le turbolenze nell’erogazione delle prestazioni sanitarie.

L’obiettivo di questo contributo è quello di declinare alcu-ni principi generali utili allo sviluppo di un Dipartimento oncologico. Il contesto di riferimento di tale processo è il quadro della riforma del Sistema sanitario della Toscana (SST) delineato dal L.R. 84 del 28/12/2015 congiunta-mente al percorso di istituzione dell’Istituto toscano tumori (ITT) a partire dall’approvazione del piano costitutivo (DCR n. 140 del 29/07/03) e la sua effettiva individuazione come struttura regionale di governo clinico (LR n. 40 del 25/02/2005, Art. 43). Il SST ha recepito precocemente per il settore dell’oncologia la necessità di costituire una rete di servizi e di Dipartimenti quali nodi della rete. La Regione Toscana sin dal 1998 ha riconosciuto come pri-orità operativa “il coordinamento e l’integrazione degli interventi in ambito regionale, attraverso la previsione di un sistema organizzativo nel quale ogni livello operativo agisce nell’ambito delle rete oncologica regionale sulla base di protocolli specifici e linee guida” (DCR n. 18 del 03/02/1998; Istituto toscano tumori, 2009, p. 15). Sin da questi primi atti di indirizzo la funzione assistenziale e organizzativa di un Dipartimento è interconnessa a quella della rete oncologica e viceversa.In un’ottica sistemica così come le strutture territoriali (re-

parti, gruppi oncologici multidisciplinari, ecc.) rappre-sentano i nodi e le relazioni nella rete dipartimentale, i Dipartimenti rappresentano i nodi della rete oncologica regionale. “La comune appartenenza dei Dipartimenti on-cologici alla rete è alla base di una necessità di coordina-mento degli stessi nell’ottica della coerenza, sostenibilità e appropriatezza delle azioni” (Amunni 2015, p.  84). Pertanto ogni indirizzo operativo, consolidato o riforma-to, del Dipartimento si muove lungo interlocuzioni intra-ziendali, interaziendali e di rete. Ed in particolare oggi, nel momento in cui stiamo fronteggiando, una ridefinizio-ne del SST, i nuovi e più estesi Dipartimenti, si trovano a dover conciliare due esigenze solo apparentemente con-trastanti: mantenersi coerenti con i principi fondanti e gli organismi istitutivi della rete oncologica (Accoglienze ITT, Centro oncologico di riferimento dipartimentale Gruppi oncologici multidisciplinari, continuità ospedale-territorio, ecc.), e dall’altro adattarsi al nuovo contesto amalgaman-do le specificità dei propri nodi intradipartimentali con le specificità dei propri interlocutori periferici (altri presidi ospedalieri, nodi locali degli altri Dipartimenti, ecc.).Una simile sfida richiede una prospettiva sovraordinata rispetto a quali siano i processi organizzativi del cambia-

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di incidenza si stima si verifichino, nel corso dell’an-no, circa 363.000 nuove diagnosi (esclusi i carcinomi della cute), di cui oltre 194.000 (54%) fra gli uomini e 169.000 (46%) fra le donne; nel corso della vita in media un uomo su 2 e una donna su 3 si ammaleranno di tumore; la mortalità è in riduzione e l’Italia si attesta tra i paesi a più alto incremento dell’aspettativa di vita a 5 anni (87% per la mammella femminile, 91% per la prostata) dalla diagnosi oncologica (AIOM-AIRTUM, 2015).

• Datiorganizzativi: l’oncologia italiana evidenzia una crescente complessità organizzativa (AIOM 2015) data dal numero delle strutture e degli operatori coinvolti e soprattutto dalla complessità multidiscipli-nare dei percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali (PDTA) sia all’interno che all’esterno dei Dipartimenti (Barni & Fioretto, 2013); nel 75% dei Dipartimenti esi-stono esperienze volte a introdurre e valutare nuovi modelli assistenziali (Simultaneous Care, Cronic Care Model) e nella maggioranza dei casi esistono setting assistenziali comuni (Intensità di cura) a livello intra (83,3%) o inter (65,7%) dipartimentale (Bretti et al. 2015).

• Datifarmaco-economici: la spesa per i farmaci onco-logici in Italia è passata da poco più di 1 miliardo di euro nel 2007 a oltre 3 miliardi nel 2014, con un tasso annuo di crescita superiore al 15%, collocandosi per la prima volta nel 2014 al primo posto con 3,2 miliardi di euro e raggiungendo infine circa il 20% della spesa totale (FAVO 2016); i costi pro-capite per anno di cura oscillano tra 50 e 150 mila euro, con un incremento previsto nel 2018 a +17% e nel medio periodo sino a valori stimati in +47% (Tomirotti 2016).

Questa concomitanza di fattori sostanzia la rilevanza dell’oncologia, quasi fosse un barometro nella compren-sione di quella che viene appunto definita la tempesta perfetta (Ricciardi et al., 2015) con cui il SST si deve confrontare. In sintesi: più malati, per più tempo, a costi unitari elevati e crescenti. Molti osservatori si sono spinti al punto da ipotizzare come probabile o quanto meno possibile per l’oncologia “una minaccia crescente alla nostra capacità di assicurare l’accesso e offrire un’assi-stenza di alta qualità ai pazienti” (Metropol & Schulman 2007, p. 185).

Sistemi complessi e reti clinico-professionaliL’assunto di base dell’analisi dei sistemi complessi è: fin quando il sistema è stabile la dimensione favorisce l’o-

mento auspicato e quali siano i processi omeostatici di mantenimento dell’attuale modello organizzativo. Qual-siasi sistema (biologico, personale, familiare, aziendale, sociale, ecc.) tende infatti al raggiungimento ed al mante-nimento di una determinata omeostasi in cui si leggerà gli accadimenti futuri attraverso le lenti delle abitudini pas-sate (Maturana & Varela 1992). Lo vediamo ogni giorno nella difficoltà, se non impossibilità, dei nostri pazienti nel figurarsi gli stravolgimenti conseguenti alle nostre dia-gnosi. La perdita dei capelli, l’incapacità di affrontare sforzi fisici significativi, la difficoltà nel rapportarsi con il partner, il mantenimento del ruolo familiare e sociale, il ri-dimensionamento del proprio progetto di vita: tali aspetti rappresentano diverse declinazioni di questo fenomeno.Se, mutatis mutandis, trasliamo questa minaccia perso-nale nelle nostre preoccupazioni professionali rispetto ai cambiamenti che ci attendono, dobbiamo accettare come noi stessi e i nostri operatori guarderemo a questa riforma con gli occhi del nostro recente passato e cercheremo, esplicitamente o implicitamente, volutamente o involonta-riamente, di ritornare all’omeostasi a noi nota. Pragma-ticamente dobbiamo attenderci una possibile resistenza nel riconoscimento operativo del nuovo livello sistemico della rete oncologica regionale (Dipartimenti oncolo-gici di Area Vasta) e che potrebbe determinare anche una possibile riduzione degli standard e degli outcome assistenziali. Questo non significa arrendersi al conser-vatorismo o ad una ciclicità gattopardesca, ma piuttosto considerare attentamente quali siano i processi comuni, incontrollati, di un sistema organizzativo e cercare di anti-ciparli/contenerli con misure preventive/correttive. Tanto più un sistema è complesso (come la rete oncologica to-scana e i neonati Dipartimenti), tanto più sono rilevanti e ricorsive le spinte omeostatiche.Per le caratteristiche di complessità diagnostico-terapeu-tica, per la forte esigenza di approccio multidisciplinare e per i crescenti aspetti di farmaco-economia, l’oncologia rappresenta un banco di prova ed un possibile laborato-rio nello sviluppo di Dipartimenti professionali di ampia portata che debbano confrontarsi con casistiche estese e andamenti cronici. L’oncologia si colloca metaforicamente nell’occhio del ciclone di quella che da molti è definita la tempesta perfetta (Ricciardi et al. 2015) che incombe sul nostro sistema sanitario. Ovvero quella malaugurata, anche se prevedibile congiuntura, in cui si intersecano dati diversi:• Datiepidemiologici: sono circa 3 milioni (3.036.741)

i casi prevalenti (4,9% della popolazione italiana), con un incremento del 17% rispetto al 2010; in termini

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880 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

meostasi, quando si instaurano cambiamenti incontrollati la deriva esponenziale ha ripercussioni sul sistema stesso e su quelli attigui. Nel momento in cui ci accingiamo ad operare un cambiamento in un sistema complesso, cosa ci dobbiamo attendere? O meglio, qual è un modello di lettura dei sistemi complessi utile ad anticipare le possibili alternative?Secondo i risultati degli studi trentennali del premio Nobel Ilya Prigogine, un sistema complesso si caratterizza per una continua alternanza tra stati prossimi ad un equili-brio e stati lontani da un equilibrio (Nicolis & Prigogine 1977). Per quanto usuale, ricorrente e rassicurante sia una condizione di equilibrio, rappresenta spesso il risulta-to di un investimento enorme di risorse per ingannare dei cambiamenti in atto. Ciò con cui ci dobbiamo confrontare è la necessità di revisionare e modificare ricorsivamente i nostri processi organizzativi, dando per scontata l’assun-zione che gli sforzi che oggi facciamo daranno risultati solo nel breve periodo. Come qualsiasi organismo, anche le organizzazioni umane fronteggiano una continua pres-sione selettiva che per sua natura è inarrestabile, come la proverbiale Regina Rossa che Alice mai riesce a raggiun-gere, metafora evoluzionistica della selezione naturale (Van Valen 1973).Pertanto, nell’accingerci a definire e testare dei nuovi mo-delli organizzativi dipartimentali, dobbiamo essere con-sci della caducità delle nostre programmazioni e della necessità di processi ricorsivi di assessment, pianificazio-ne, attuazione e di nuovo assessment. Quello che oggi stiamo formulando ed iniziando a testare sono ipotesi che dovremo portare a verifica e rivalutare nei prossimi mesi e nei prossimi anni. Da un punto di vista sistemico, la ri-forma rappresenta una rimodulazione della rete assisten-ziale oncologica nella quale ognuno di noi già operava. Il cambiamento che cerchiamo di governare è pertanto una ridefinizione di tale rete sia in senso verticale (ad es. i nuovi Dipartimenti rappresentano un nuovo livello ge-rarchico), che in senso orizzontale (ad es. i confini terri-toriali della Azienda di riferimento si sono enormemente allargati). Nello specifico dell’oncologia è ipotizzabile una ridefinizione che a partire dallo stesso ITT coinvolga progressivamente (nel tempo e nello spazio) tutti i nodi e tutte le relazioni della rete oncologica regionale. È quindi auspicabile porsi in una posizione dubitativa, da princi-piante, rispetto alla funzione e all’efficacia dei nostri na-scenti Dipartimenti: “Nella mente di principiante ci sono molte possibilità, in quella da esperto poche” (Suzuki-Ro-shi 1978, p. 26). Tanto più consideriamo i nostri modelli organizzativi delle ipotesi aperte e suscettibili a revisione,

tanto più i diversi livelli che compongono la rete assisten-ziale oncologica nella quale siamo immersi, avranno la possibilità di adattarsi progressivamente ai cambiamenti. Quello che spetta alle direzioni aziendali e dipartimentali è appunto una presenza assidua nel monitorare e imple-mentare i processi già in atto e quelli da noi introdotti o modificati.

Ipotesi per un modello dipartimentale di oncologiaNel corso degli ultimi anni sono state condotte alcune in-dagini a livello italiano sul benessere dell’oncologia ed in particolare sullo stato dell’arte dei suoi Dipartimenti. L’analisi di una survey condotta dal Collegio italiano dei primari oncologi medici ospedalieri (CIPOMO) (Bretti et al. 20015) ha evidenziato una correlazione positiva tra maggiore implementazione dei percorsi unitari dipar-timentali di accoglienza e presa in carico, capacità di allocazione delle risorse e capacità propositiva di solu-zione delle problematiche organizzativo- assistenziali. Sono emerse altresì alcune necessità tra cui:(i) una maggiore sensibilizzazione culturale delle reti ri-

spetto alle funzioni di un Dipartimento oncologico; (ii) una maggiore condivisione e applicazione dei PDTA in tutto il Dipartimento;

(ii) un maggiore fund-raising a livello dipartimentale (ri-cerca clinica finanziata, donazioni, % ribaltamento rimborsi AIFA, ecc.);

(iii) una formazione gestionale e manageriale rivolta ad un maggior numero di operatori. Da un punto di vista del clima organizzativo, emerge come punto di forza la dimensione valoriale, mentre come criticità e come ulteriore area formativa la dimensione della comuni-cazione sia nel sistema di relazione tra gli operatori che con i pazienti (Cheli & Velicogna 2015). Questi risultati sono facilmente spiegabili ed accomunabili a quelli di altre nazioni ed in genere di tutte quelle reti assistenziali caratterizzate da una complessità assi-stenziale tipica delle patologie croniche con forte con-notazione multidisciplinare (Addicott 2015).

Le indagini condotte a livello nazionale sono servite a formulare delle ipotesi nello sviluppo di quelli che in seno al CIPOMO sono stati definiti dei processi di diparti-mentalizzazione (Fioretto & Fasola 2015). Il focus della discussione all’interno dell’oncologia italiana si è infatti progressivamente spostato dal concetto di struttura e di Dipartimento a quello di rete e di processo. Secondo que-sta prospettiva lo sviluppo del Dipartimento oncologico deve discendere dall’analisi della rete assistenziale che rappresenta un continuum dalla singola équipe sino al

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domicilio. In tal senso il Dipartimento oncologico di una Azienda sanitaria al fine di assicurare un governo unita-rio del percorso avrà una componente gestionale diretta, data dalle strutture dedicate totalmente o prevalentemente all’oncologia che ad esso afferiscono, ed una componen-te funzionale data dallo sviluppo di forti interconnessioni e integrazione con competenze e strutture collocate fuori dal Dipartimento. Il Dipartimento alla luce di una rinno-vata cultura di dipartimentalizzazione potrà inoltre rap-presentare la piattaforma privilegiata per riformulare la struttura e l’organizzazione dei nuovi percorsi intra ed extraospedalieri ed esplorare nuovi modelli organizzativi e/o di setting assistenziali.Il processo di dipartimentalizzazione (Fioretto 2015, pp. 7-16) si pone come una macromisura per costruire percorsi efficaci entro i quali ogni competenza o livello operativo colloca il proprio agire nell’ambito di una rete di interconnessioni predefinite tra le diverse e numerose figure professionali. Professionisti che operano nuclear-mente, o più marginalmente, integrando i loro interventi attorno ai pazienti che dovrebbero restare il punto fermo e insieme la causa finale del nostro operare.Di seguito vengono delineate alcune fasi ineludibili nel-la costruzione di un processo di dipartimentalizzazione, all’interno di una più vasta rete di assistenza multilivello dell’area oncologica:1. Mappatura: la prima e fondamentale fase corrisponde

alla mappatura delle specificità del contesto di riferi-mento a diversi livelli con analisi delle nuova realtà aziendale nel suo insieme e per presidio ospedaliero in termini di: valutazione della domanda oncologica relativa al rispettivo bacino di utenza, distribuzione della casistica, dati di attività, risorse professionali e tecnologiche ed ancora strutture, processi assistenzia-li, comunicazione intra e inter dipartimentale, rapporti col territorio, ecc. Al fine di avere una rilevazione ba-sale e un primo modello di assessment, stiamo condu-cendo presso il Dipartimento oncologico dell’ex-ASF uno studio pilota per la valutazione delle caratteristi-che della rete e dei suoi sottosistemi. Lo studio preve-de un modello basato sulla metodologia della Social Network Analysis (Scott & Carrington 2014) che vuole integrare sia dati organizzativi hard, che dati comuni-cativi soft. La fase di mappatura deve inoltre prevede-re tre processi autoptici prioritari per la sopravvivenza del Dipartimento: (i) i processi di assessment ricorsivi da effettuarsi alla fine di ogni fase (assessment center); (ii)  i processi di apprendimento continuo (knowledge management), ovvero le modalità con cui i risultati de-

contesto ospedaliero, aziendale, politico-amministrativo, sociale, ecc. E questo continuum è caratterizzato da pro-cessi, ovvero ricorrenze auto-organizzative, piuttosto che da procedure calate dall’alto e necessariamente o incon-trovertibilmente recepite.Un Dipartimento rappresenta quindi un singolo livello di un ben più vasta rete (genericamente intesa) che si esten-de in senso verticale-gerarchico (es. reparto, Dipartimen-to, Area Vasta, Regione, ecc.) ed in senso orizzontale-territoriale (es. presidio ospedaliero, territorio, medici di medicina generale, volontariato, ecc.). Nel momento in cui io vado a declinare la mia idea di Dipartimento devo considerare le dimensioni specifiche del sistema/rete di riferimento per anticipare pro e contro delle diverse scelte organizzative. A seconda, ad esempio, della dimensione (quanti nodi e quante relazioni), della densità (rappor-to tra nodi e relazioni), della plasticità (modificabilità di nodi e relazioni) di una rete: una struttura, una riunione multidisciplinare GOM, una équipe, un operatore svol-gono funzioni ben diverse lungo il percorso diagnostico-terapeutico assistenziale del paziente. Un contesto ter-ritoriale come quello orbitante attorno al presidio ospe-daliero del Mugello, rispetto a quello fiorentino di Santa Maria Nuova delineano necessariamente sottosistemi ben diversi all’interno della medesima rete assistenziale. Una prospettiva procedurale e strutturale porterebbe a ripro-porre modalità simili in contesti diversi. Una prospettiva processuale e sistemica presuppone un’analisi ed una sar-torializzazione dei sottosistemi all’interno della medesima cornice dipartimentale. Contestualizzando tali afferma-zioni al rapporto costitutivo tra ITT (rete oncologica so-vraordinata regionale) e il Dipartimento (rete aziendale) dobbiamo rimarcare la necessità di mantenere due pro-spettive fondamentali: da un lato, al di là delle specificità territoriali, la funzione dipartimentale deve essere attuata in maniera omogenea; dall’altro il Dipartimento deve de-clinare questa dimensione funzionale sia in rapporto alla propria Azienda di riferimento che in rapporto al governo clinico della rete regionale (Amunni 2015, pp. 84-85).

La realizzazione di una forma organizzativa dipartimen-tale con autonomia gestionale, con il superamento dei confini strutturali e la carica innovativa che alla luce della riforma in corso può implicare, rappresenta una questio-ne cruciale per l’oncologia ed il suo sviluppo futuro. Il Dipartimento oncologico rappresenta il livello ospedaliero di coordinamento e integrazione tra tutte le strutture e i servizi coinvolti nel percorso del paziente diagnosi-cura-riabilitazione ed in una logica di continuità ospedale-

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glienza e presa in carico. L’attuazione operativa va sostenuta dalla costruzione e/o implementazione di facility e service (piattaforme informatiche unitarie per documentazione sanitaria e flussi dati) in interfaccia con tutti i sistemi disponibili. La riuscita di questa fase dipende dalla pervietà dei canali comunicativi e di feedback e dalla concomitante raccolta delle informa-zioni per il funzionamento dei processi operativi e per la loro rivalutazione. Avvenendo tutto questo in una dimensione performativa è prioritario che le direzioni sostengano e promuovano un principio pragmatico di error-friendliness.

5. Rivalutazione e monitoraggio: come anticipato lo sviluppo di una rete dipartimentale richiede una riva-lutazione ed un monitoraggio continui per favorirne l’adattamento ai cambiamenti temporali e contestua-li. Appare necessaria l’adozione di indicatori unita-ri di sistema per la valutazione del processo nel suo insieme, nonché delle dimensioni professionali, orga-nizzativo-gestionali e relazionali. In particolare nella realizzazione di un nuovo e più esteso Dipartimento oncologico è necessario pianificare delle rivalutazio-ni a scadenze brevi distribuite sia a livello verticale-gerarchico che a livello orizzontale-territoriale dentro il sistema. Sempre assumendo, secondo una prospet-tiva bottom-up, che debbano essere i risultati ed i dati raccolti a definire concretamente la percorribilità della strada intrapresa e delle possibili alternative.

Quelle qui riportate sono delle possibili fasi indicative che cercano di riassumere ed attuare alcuni principi di-scussi precedentemente. In conclusione, possiamo affer-mare come la creazione di un Dipartimento rappresenti un rimodellamento ad uno specifico livello gerarchico e territoriale di una rete assistenziale pre-esistente. Come ogni sistema anche questa rete è sottoposta ai continui mutamenti del proprio contesto e dei contesti attigui. Tan-to più cercherà di incarnare un modello organizzativo aperto e permeabile a questi mutamenti, tanto più riuscirà ad adattarsi rendendo la sua permanenza sostenibile in termini organizzativi ed efficace in termini assistenziali.Il Dipartimento oncologico si va così configurando come motore vivo e organico per il governo clinico integrato dei processi “in sede”, nell’ambito della nuova AUSL. Un Dipartimento, come qualsiasi sistema umano complesso, è definito dalla sua capacità di generare, testare ed re-visionare un sistema di conoscenze che ne aumentino le possibilità di anticipare, fronteggiare e adattarsi a tali continui cambiamenti. “Tutto l’agire è conoscere e tutto il conoscere è agire” (Maturana & Varela 1992, p. 26).

gli assessment vengono elaborati, discussi e trasmessi in tutta la rete; (iii) i processi di valutazione e gestione delle carenze formative (learning organization).

2. Pianificazione processuale: il lavoro condotto dal CI-POMO sui processi di dipartimentalizzazione (Fioretto & Fasola 2015) rappresenta un tentativo di pianifica-zione in cui valutando vincoli e possibilità in termini di indirizzi, normative, best practice, epidemiologie, ecc. a livello regionale e nazionale si vadano a formulare delle direttive assistenziali e dei framework processuali. Ad esempio la continuità ospedale-territorio, i modelli di cura delle malattie croniche e di simultaneous care, rappresentano dei processi organizzativi di riferimen-to ineludibili per l’oncologia. In questa fase è inoltre necessario programmare eventuali interventi formativi volti da un lato a potenziare le competenze tecnico-scientifiche, dall’altro a creare un sistema di elaborazio-ne e condivisione dei sistemi comunicativi e valoriali.

3. Pianificazione operativa: la fase successiva, sulla qua-le tutti i nascenti Dipartimenti dovranno a lungo con-frontarsi, dovrebbe corrispondere all’interconnessione di risorse, know-what e know-how specifici già presen-ti all’interno della rete. Da un punto di vista gestionale, questa fase rappresenta probabilmente la più critica, in quanto prevede un processo di deframmentazione e ricostruzione dei processi assistenziali esistenti (inte-grazione professionale e strutturale attraverso l’utilizzo di setting assistenziali unitari e omogenei; portability delle competenze professionali; polarizzazione in ter-mini di focus hospital e/o focus team; implementazio-ne sistemi drug day e/o disease day; centralizzazione UFA; implementazione aspetti di farmacoeconomia e del ruolo dei farmacisti clinici). Nella misura in cui la pianificazione operativa corrisponde e viene vissuta come un processo di co-costruzione con gli operatori e di loro coinvolgimento, rappresenta una risorsa fonda-mentale nella sartorializzazione dei modelli ipotetici sui contesti dipartimentali.

4. Attuazione operativa: una volta formulati i processi di assistenza coerenti col nuovo Dipartimento, si avvia una fase di attuazione operativa caratterizzata dalla costruzione dei processi gestionali nel dettaglio della vita dipartimentale e dalla co-costruzione dei PDTA in-tra- e quando necessario inter-aziendali attraverso una chiara definizione in termini di livelli di prestazione chi, cosa, come, quando e dove. il tutto sorretto da un criterio di equità prestazionale, raggiungibilità su tutto il bacino di riferimento, trasparenza dei servizi offerti, accessibilità attraverso punti unitari di acco-

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884 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

Il Dipartimento di medicina ospedaliera

Giancarlo Landini1, Alessandro Natali2, Pasquale Palumbo3,, Grazia Panigada4, Francesco Bellandi51 Direttore Dipartimento delle specialistiche mediche Azienda USL Toscana centro (AUTC)2 Direttore Area gastroenterologica-nefrologica. Dipartimento delle specialistiche mediche AUTC3 Direttore Area malattie cerebrovascolari e degenerative. Dipartimento delle specialistiche mediche AUTC4 Direttore Area medica. Dipartimento specialistiche mediche AUTC5 Direttore Area cardiotoracica. Dipartimento specialistiche mediche AUTC

AbstractI Dipartimenti ospedalieri possono essere tecnico professionali o gestionali. Il secondo modello è quello scelto dalla Regione Toscana per la riforma delle USL. Oltre al direttore di Dipartimento sono previsti i direttori di Area e come organi di governo il Collegio di direzione e il Comitato di Dipartimento ed infine la Conferenza di Dipartimento. Il Dipartimento di medicina (“delle specialistiche mediche”) organizza le aree mediche per intensità di cure e collega con modalità orizzontale tutte le aree mediche degli ospedali aziendali. Sistemi di interrelazione con il territorio sono il day service multidisciplinare e le cure intermedie.

La struttura dipartimentale è la base di funzionamento delle Aziende sanitarie. E questo è ancora più vero per i Dipartimenti ospedalieri. I Dipartimenti possono essere fondamentalmente di due tipi; tecnico professionali o ge-stionali. La struttura tecnico professionale è solo di indi-rizzo programmatorio e non incide nel governo clinico della Azienda. Nella riforma della sanità toscana le linee di indirizzo regionali indicano che i Dipartimenti devono essere gestionali e devono avere anche il controllo del personale e della spesa.L’altro cardine per costituire un Dipartimento efficiente è la multidisciplinarietà. Il Dipartimento deve essere costitu-ito da specialistiche affini o complementari. Questo per-ché eventuali Dipartimenti monospecialistici tendono ad essere autoreferenziali e dividono i percorsi assistenziali invece di unirli. Inoltre i Dipartimenti ospedalieri devono essere a forte integrazione territoriale nel senso che sono “transmurali” controllando anche la specialistica di rife-rimento sul territorio. Questo garantisce la continuità dei percorsi specialistici e la loro coerenza evitando duplica-zioni e sprechi di risorse.

Nella USL Toscana centro i Dipartimenti ospedalieri in numero di 8 sono stati istituiti dal 1 giugno 2016 ed articolati in Aree di attività. Questi sono Dipartimenti di grosse dimensioni con più specialistiche che lavorano su percorsi comuni. Quindi le Aree servono per mantenere il controllo del sistema. I Dipartimenti danno la coerenza orizzontale alla Azienda (ad esempio riuniscono tutte le SOC specialistiche di una determinata disciplina) mentre le direzioni sanitarie danno la coerenza verticale in ogni singolo presidio coordinando l’attività fra i vari Diparti-menti localmente. Questo è il sistema migliore per gover-nare Aziende sanitarie come la Toscana centro che hanno 13 presidi ospedalieri e più di 2500 medici.Il personale è assegnato direttamente ai Dipartimenti per il tramite delle specifiche strutture organizzative (strutture complesse o semplici dipartimentali). Quindi i Dipartimen-ti implementati con la riforma hanno una doppia valenza tecnico-professionale e gestionale e mantengono il gover-no clinico della Azienda attraverso la gestione dei percor-si di cura in regime di ricovero ed ambulatoriale ad alta integrazione ospedale-territorio (attitudine “transmurale”

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885N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

conto della instabilità clinica e complessità assistenziale dei pazienti. Il Dipartimento ricovera i malati più instabili una area subintensiva multidisciplinare (livello 1B) in cui hanno accesso le discipline mediche e in particolare la medicina interna e la cardiologia e la medicina critica (anestesia e rianimazione).Il livello di degenza ordinaria (livello II) non è di per se’ omogeneo ed in questo va ricavato un livello 2A a più alta intensità in cui si concentrano più risorse di persona-le (medico ed infermieristico) e tecnologiche e questo in stretta connessione con il livello 1B. Nel setting 2A è pre-visto il ricovero di pazienti più instabili (MEWS > 3) o con patologie specifiche in particolare Area Stroke. Inoltre non può essere dimenticata la presenza di un day service multidisciplinare che connetta l’area medica direttamente con il territorio. In effetti il Dipartimento medico gestisce i percorsi medici dell’Azienda sanitaria in ospedale e tra ospedale e territorio (Fig. 1). Il nucleo della attività è costi-tuito dalla area medica organizzata per intensità di cure ed il day service multidisciplinare.L’area medica organizzata per intensità di cure deve pre-vedere un sistema che possa esprime un medico tutor ben

del Dipartimento). La complessità dei Dipartimenti in ter-mini di trasversalità delle strutture, risorse gestite e volumi di attività comporta la necessità di istituire delle aree fun-zionali omogenee.Le aree dipartimentali sono preferibilmente costituite da più strutture omogenee con particolare riferimento a pato-logie o ancora al criterio della rapidità ed intensità della cura. Il Collegio di Dipartimento è l’organo specifico di governo del Dipartimento ed è composto dal direttore di Dipartimento e dai direttori di Area. Esiste poi il Comitato di Dipartimento (previsto espressamente dalla legge re-gionale) che riunisce tutte le strutture complesse e semplici ed infine la Conferenza di Dipartimento che riunisce tutti i professionisti che appartengono a quel Dipartimento.Il Dipartimento medico, che nella Azienda USL Toscana centro è denominato “Dipartimento delle specialistiche mediche” ed è suddiviso in 4 aree specialistiche, è quello che governa le aree mediche di ogni ospedale in cui la medicina interna fa da “tessuto connettivo” ma in cui de-vono essere presenti anche le altre specialistiche di area con le loro peculiarità compresa la cardiologia. Le aree mediche sono organizzate per intensità di cura tenendo

Figura 1

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886 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

intensiva. La guardia di continuità è effettuata dall’aneste-sista-rianimatore, dal cardiologo e dall’internista secondo accordi locali. Vi devono essere dei protocolli condivisi di trattamento dei principali quadri sindromici e delle in-dicazioni preordinate dai reparti di degenza. Vi devono essere dei protocolli condivisi con il DEA per il ricovero dal DEA in questa area specifica (Fig. 2).Altro punto nevralgico è il day service multidisciplinare che deve diventare un sistema complesso di interfaccia con il territorio in particolare con il cronic care model e sanità di iniziativa e dotato di varie specialistiche con case manager infermieristico e gestione unitaria data dalla medicina interna. Si può fornire visita specialistica integrata con presa in carico, pacchetti diagnostici pre-ordinati (gestiti anche dai MMG), sistema di fast track per le urgenze differibili (ad es. TVP). In questa maniera il DS riduce al minimo i ricoveri programmati ad indiriz-zo diagnostico-terapeutico. Il day service terapeutico è utile per le terapie che non richiedono somministrazione

riconosciuto per ogni paziente. La maggior parte dei pa-zienti che si ricoverano in ospedale sono polipatologici complessi e quindi prevale la presa in carico da parte della medicina interna. Resta fondamentale la integrazio-ne tra le varie discipline, pur mantenendo ben identifi-cabile chi è il responsabile della SDO, e quindi devono essere previsti momenti di “cogestione” dei pazienti. Se la maggioranza dei casi saranno assegnati alla medicina interna una quota parte di pazienti, a seconda di criteri predefiniti, andranno assegnati anche alle altre speciali-stiche mediche. I protocolli di assegnazione devono esse-re condivisi fra le singole specialistiche e concordati con il Dipartimento di emergenza e accettazione.Nella sub intensiva multidisciplinare vi sono tre prese in carico principali (anestesista rianimatore, cardiologo ed internista) e quindi è una interfaccia interdipartimentale (fra medicina e medicina critica/d’urgenza). Il persona-le infermieristico è unico e gestito in maniera unitaria mirando ad avere “skills” comuni con quello di terapia

Figura 2

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887N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

altre caratteristiche delle cure intermedie sono l’ aspetto fisioterapico di attivazione motoria per la sindrome da ospedalizzazione e le caratteristiche di difficoltà sociale per il rinserimento immediato in famiglia. Questo tipo di servizio aspetta ancora di essere implementato in manie-ra conseguente nelle nostre aree vaste la riforma è l’occa-sione per poterlo varare.In definitiva essendo le nuove Aziende USL molto estese con numerosi centri ospedalieri il Dipartimento di medici-na è essenziale per dare coerenza al sistema e mettere in rete i servizi. La sua caratteristica multispecialistica che per essere funzionale deve comprendere anche la car-diologia permette di implementare percorsi diagnostico terapeutici in tutto il territorio della Azienda.Le specialistiche afferenti al Dipartimento danno vita ad una rete professionale coordinata nei vari presidi ospe-dalieri che funzioneranno da nodi della rete ed identifica al suo interno centri di servizio /riferimento, per volumi critici di attività, in modo da ottimizzare l’utilizzo delle risorse umane dedicate a quello specifico settore. Si ver-ranno così a creare dei centri, in rete, con offerta clinico strumentale rispondente alle necessità della popolazione.Creati i Dipartimenti la rete dei servizi della Azienda ter-ritoriale è pronta ad interfacciarsi con l’ Azienda ospeda-liero-universitaria con la finalità di creare la rete integrata di Area Vasta che permetta ai cittadini in qualsiasi punto hanno eccesso ai servizi del Dipartimento di raggiungere senza problemi le eccellenze necessarie per risolvere i loro problemi di salute con il paradigma della presa in carico condivisa.

continuative o osservazione clinica H24. L’altra funzio-ne fondamentale è che il day service consente dimissioni precoci “protette” ed inoltre consente di dare al DEA un alternativa al ricovero ordinario.Nella proiezione che le specialistiche ospedaliere devono avere sul territorio non si deve dimenticare il concetto del-le “Équipe multidisciplinari territoriali” con gli specialisti ospedalieri “on demand” nelle AFT e negli ambulatori dei MMG. Quindi si viene a creare un rapporto strutturale fra Dipartimento di medicina ospedaliero e Dipartimento di medicina generale territoriale / cure primarie. Questo può avvenire anche con il supporto della telemedicina particolarmente utile per la cardiologia e per la derma-tologia.Una altra interfaccia con il territorio del Dipartimento medico sono le cure intermedie che trovano diverse de-clinazioni ma che sono essenziali come funzione di “cu-scinetto” fra le due realtà assistenziali. Le cure intermedie non vanno confuse con la low care ospedaliera che può essere presente in un ospedale per intensità di cura (li-vello 3) o esternalizzata in Case di cura convenzionate ma che consiste in presenza di specialisti ospedalieri h24 ed infermieri ed amministrativamente produce SDO. Le cure intermedie sono extraospedaliere ma con presenza di specialisti ospedalieri generalisti (internisti o geriatri) come medici tutor e con figure mediche di verse come medici di continuità.Fondamentale è che nelle cure intermedie si può giunge-re come step down dall’ospedale ma anche dal territorio per pazienti che saranno seguiti anche dal loro MMG. Le

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888 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

Il Dipartimento di medicina generale

Vittorio BoscheriniMedico di medicina generale, Vice segretario nazionale FIMMG

AbstractDue sono le novità più importanti della legge di riordino del SST, la programmazione di Area vasta e il Dipartimento di medicina generale: la prima dovrebbe realizzare una più equa distribuzione nelle tre Aziende dei servizi specialistici di primo livello e contemporaneamente creare poli specialistici di secondo livello eliminando sprechi e duplicazioni, il secondo dovrebbe portare a compimento il processo d’integrazione della medicina generale salvaguardandone la peculiarità fonda-mentale; il rapporto di fiducia con i cittadini. La mancata realizzazione di uno dei due obiettivi avrebbe il significato di un parziale fallimento dell’ennesima riorganizzazione della sanità toscana. Chi ha a cuore il SST e la sua capacità di tutelare al meglio la salute dei cittadini toscani, nonostante i tagli che ne mettono in dubbio la sopravvivenza, non può altro che lavorare per la veloce attuazione di questi due obiettivi.

La programmazione di Area Vasta ha la necessità della fattiva collaborazione dei medici di medicina generale e del Dipartimento perché l’individuazione dei servizi o meglio delle proiezioni dei servizi specialistici verso il ter-ritorio non può essere espressione dei bisogni di chi li produce, ma espressione dei bisogni del territorio e degli utenti e i medici di medicina generale si candidano come gli interpreti in termini di servizi dei bisogni assistenziali dei cittadini.Qualcuno ha avversato la creazione dei Dipartimenti di medicina generale affermando che, oltre a celare obiet-tivi corporativi, la legge non li ha mai previsti, non ricor-dando che la 502 prevedeva la netta separazione fra i produttori dei servizi specialistici e l’Azienda territoriale: si sarebbe così dovuto sviluppare un rapporto di com-mittenza, anche attraverso i medici di MG, nei confronti dell’Azienda ospedaliera. In realtà questa separazione fra l’ospedale e il territorio non si è realizzata perché, a parte una eccezione, nella quasi totalità delle Regioni sono state create Aziende di tipo misto dove il territorio e l’ospedale convivono. Quindi la medicina generale non ha potuto esercitare il governo clinico se non a livello distrettuale: purtroppo però il distretto e il territorio sono sempre stati subordinati all’ospedale.Ricordiamoci che già molti anni fa in Toscana, per riequi-

librare tale rapporto, furono create le Società della salute che non hanno colto interamente i loro obiettivi anche perché non hanno mai potuto gestire un loro budget. La ripartizione delle risorse fra ospedale e territorio veniva fatta a un livello nel quale il territorio era scarsamente rappresentato. Da non dimenticare, d’altra parte, il fatto che i dirigenti delle Aziende sanitarie provengono in gran parte dalla struttura ospedaliera.Ma quali sono i compiti di un Dipartimento di medicina generale? Il regolamento del 2006 dell’Azienda sanitaria fiorentina così individuava i compiti dei Dipartimenti:1. la razionalizzazione dell’utilizzo delle risorse umane e

tecnologiche, dei posti letto, dei materiali di consumo e dei servizi intermedi;

2. il miglioramento dell’efficienza gestionale dei processi assistenziali attraverso il coordinamento e l’integra-zione delle attività delle strutture del Dipartimento per raggiungere il miglior servizio a costi appropriati;

3. il miglioramento continuo della qualità dei servizi e delle prestazioni sanitarie con particolare riguardo all’umanizzazione dell’assistenza erogata all’interno delle strutture del Dipartimento;

4. il coordinamento e lo sviluppo delle attività di ricerca, studio, formazione e aggiornamento delle strutture del Dipartimento;

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889N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

brio è necessario alla sostenibilità del SSN, anche nell’ot-tica del necessario spostamento di gestione di patologie dall’ospedale al territorio.D’altra parte non si parla solo di organizzazione e di assistenza: non dobbiamo dimenticarci della didattica e della formazione. Il Dipartimento di medicina generale ai sensi del decreto legge 517, con un apposito accor-do con l’università, potrebbe diventare il luogo dell’inse-gnamento per gli studenti di medicina come lo sono altri Dipartimenti ospedalieri. In mancanza nell’ambito univer-sitario di un settore disciplinare della medicina generale, si potrebbe quindi aprire la strada per l’istituzione nei corsi d’insegnamento universitario di una struttura dipar-timentale specificamente adibita all’insegnamento della medicina generale. Tutto questo è indispensabile per la preparazione dei nuovi medici di medicina generale in un momento in cui gli ospedali sono sempre più rivolti alla fase di acuzie della malattia e alla giusta ricerca di inter-venti sempre più di eccellenza, riversando sul territorio tutta una serie di problematiche che prima erano di perti-nenza del livello specialistico e che ora vanno affrontate con strumenti e modelli che in tutti i Paesi sviluppati fanno riferimento alle cure primarie.Chi condivide tali obiettivi non può che auspicare quindi la rapida istituzione del Dipartimento di medicina genera-le in tutte e tre le Aziende toscane. Non vanno in questa direzione le proposte di attribuzione ai futuri direttori di Dipartimento di compiti e funzioni che sono proprie di un Dipartimento fatto da personale dipendente e che non tengono conto dell’inquadramento giuridico libero pro-fessionale dei medici di medicina generale. Non si può pretendere per esempio che obbligatoriamente si giunga ad un inquadramento gerarchico dei medici di medicina generale: con questo si rischia di raggiungere l’obiettivo finale di non applicare un fondamento della legge di ri-ordino.Ci si augura che l’integrazione della medicina generale all’interno del SST e la sua riorganizzazione, tesa sia ad aumentare la sua capacità di presa in carico di cittadini affetti da cronicità sia ad esercitare un ruolo di governo clinico a tutti i livelli della Azienda sanitaria, non sia resa vana da chi tenderebbe a creare un riequilibrio artificioso fra la medicina generale e la medicina di comunità.

5. la razionalizzazione e lo sviluppo dei percorsi dia-gnostici e terapeutici e di quelli volti a garantire la con-tinuità assistenziale anche all’esterno dei Dipartimenti;

6. lo sviluppo di modelli organizzativi innovativi nella ge-stione della risorsa umana e professionale, favorendo il lavoro di équipe interdisciplinare e multiprofessiona-le.

Come si può rilevare sono tutti obiettivi e compiti in comu-ne con la medicina generale e col suo Dipartimento e del resto non si può pensare di definire i livelli d’integrazione interprofessionali o i percorsi diagnostici e terapeutici sen-za interessarne uno dei principali attori.D’altra parte l’analisi delle attività nelle diverse Aziende sanitarie rileva una notevole difformità nelle prestazioni erogate dai medici di medicina generale e dalle loro for-me organizzative: motivo in più per pensare che occorra un Dipartimento che renda più omogenee tali prestazioni. Non è certo possibile lasciare che i cittadini toscani usu-fruiscano di livelli di tutela sanitaria così diversi da zona a zona.Ma non c’è solo questo, ci sono anche i compiti e le fun-zioni che i responsabili dei Dipartimenti svolgono nel col-legio di direzione dell’Azienda sanitaria. In questo Col-legio la legge precedente prevedeva la partecipazione di un medico convenzionato che però, in assenza di una organizzazione della medicina generale, rischiava di rappresentare solo se stesso. I compiti a tale livello sono definiti da leggi e regolamenti e sono molto importanti nella definizione degli obiettivi professionali di ogni sin-gola categoria e delle relative risorse per raggiungerli e, in ultima analisi, per la ripartizione delle risorse fra l’ospe-dale e il territorio. Non c’è bisogno di ricordare quanto quest’ultimo sia stato sempre penalizzato nonostante che la conferenza Stato-Regioni abbia stabilito di assegnare al territorio il 52% delle risorse complessive dell’Azienda, mentre il 43% sarebbe andato all’ospedale e il rimanen-te alla prevenzione. Siamo sempre rimasti costantemente lontani da tali parametri e sempre a vantaggio della strut-tura ospedaliera. Certamente non sarà la sola presenza di un direttore di un Dipartimento di medicina generale a determinare la soluzione di questo problema, ma potrà dare un apporto sostanziale a chi nell’Azienda è disposto ad affrontare il problema. È evidente che questo riequili-

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890 Riforma del Servizio sanitario toscano N. 209 - 2016

A cura del network degli infermieri dirigenti del SST

AbstractIl sistema sanitario toscano con la Legge regionale n. 84 del 28 dicembre 2015 ha intrapreso una nuova fase di riorganiz-zazione che si auspica essere di sviluppo per gli assistiti.Uno dei passaggi che nella fase legislativa ha prodotto maggiori discussioni è stata l’opportunità o meno di riconoscere alle professioni sanitarie autonomia gestionale. Corre l’obbligo precisare che, nel linguaggio da iniziati, con il termine di professioni sanitarie si fa riferimento a tutte quelle con formazione universitaria composita, con un primo ed un secondo ciclo di studi, ovvero quelle delle classi infermieristiche e ostetriche, della riabilitazione, tecniche e della prevenzione.

L’evoluzione del Sistema sanitario toscano ed il Dipartimento delle professioni infermieristiche ed ostetriche

Il tema dell’autonomia dei professionisti sanitari è di at-tualità ormai da diversi anni, il confronto è aperto sia in termini di pratica e responsabilità clinica ed assistenziale che in quelli organizzativi; è in questo secondo ambito che la legge di riorganizzazione del sistema sanitario to-scano interviene.Il recente dibattito si è infatti inserito, in una lunga storia nella quale la Regione Toscana è stata protagonista in quanto pioniera rispetto alle altre, come spesso si rileva in ambito sanitario; fin dalla Legge regionale 61 del 1990 era previsto che in ciascuna USL fosse attivato il Servizio di assistenza infermieristica all’interno del quale dove-vano essere previste le UUOO assistenza infermieristica ospedaliera, territoriale e della Scuola infermieri. Giova ricordare che a quella data gli infermieri italiani, pur in vigenza del mansionario, avevano da lustri a disposizio-ne una formazione manageriale visto che in coerenza col DPR 775 del 1965, fin da quell’anno, l’Università degli studi di Roma aveva istituito la Scuola speciale per diri-genti dell’assistenza infermieristica. Nell’esperienza infer-mieristica quindi si lavora allo sviluppo delle competenze

gestionali e direzionali da oltre cinquant’anni, ma mentre a livello nazionale non si era ancora arrivati a normare la dirigenza infermieristica la Regione Toscana con la LR 1 del 2 gennaio 1995 è intervenuta una seconda volta sul tema prevedendo, e precisando, che la responsabilità delle UO delle professioni infermieristiche, tecnico sani-tarie, di riabilitazione e di vigilanza ed ispezione fosse attribuita a dirigenti della relativa funzione, riconoscendo di fatto la validità della richiamata formazione.Successivamente anche a livello nazionale, con la Leg-ge 251 del 10 agosto 2000, si emanano linee guida per l’attribuzione in tutte le Aziende sanitarie della di-retta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni, e la revisione dell’organizzazione del lavoro, incentivando modelli di assistenza personalizzata. Si evidenzia come il legisla-tore colleghi la diretta gestione delle attività all’adozione di modelli di assistenza personalizzata, un ‘affermazione di principio che non sfugge al management della nostra Regione. Infatti fin dall’anno 2002 nelle Aziende USL to-scane, con latenza più o meno lunga e modalità operati-

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891N. 209 - 2016 Riforma del Servizio sanitario toscano

ti dalla salute dei nostri assistiti e dal benessere dei nostri operatori. Infatti il Dipartimento infermieristico ostetrico presiede alla funzione di governo aziendale dell’assisten-za infermieristica ostetrica e di base ed assicura, attraver-so le proprie articolazioni, la direzione, la gestione e la valutazione del personale assegnato e degli interventi as-sistenziali garantiti nell’ottica di assicurare un’assistenza centrata sulla persona assistita e sui suoi bisogni.Vediamo quindi di approfondire cosa prevede l’articolo 69 quinquies della LR 84/2015, ovvero quello che istitu-isce il Dipartimento delle professioni infermieristiche ed ostetriche, e quelli delle altre professioni sanitarie:Art. 69 quinquies – Dipartimenti delle professioni1. Presso ogni Azienda unità sanitaria locale sono costi-

tuiti:a) il Dipartimento delle professioni infermieristiche e

ostetriche;b) il Dipartimento delle professioni tecnico sanitarie e

della riabilitazione e della prevenzione.c) il Dipartimento del servizio sociale.

2. I Dipartimenti di cui al comma 1, hanno funzioni di tipo programmatorio e funzioni di tipo gestionale allo-cativo e operativo. Essi, all’interno delle aree organiz-zative di presidio e delle unità funzionali dei distretti e della prevenzione, organizzano e gestiscono le atti-vità e le risorse assistenziali e umane nel rispetto delle linee guida generali e della programmazione della direzione aziendale.

3. Per le finalità, di cui al comma 2, il Dipartimento delle professioni infermieristiche e ostetriche, il Dipartimento delle professioni tecnico sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione promuovono:a) le integrazioni e le sinergie necessarie allo svilup-

po delle risorse professionali ed il loro impiego più efficiente ed appropriato;

b) la responsabilità ed autonomia professionale nei percorsi assistenziali e nel processo di presa in ca-rico del paziente;

c) la valorizzazione delle competenze di base e spe-cialistiche, anche attraverso la formazione perma-nente e la ricerca, e dei componenti le équipe assi-stenziali;

d) le relazioni con gli altri Dipartimenti aziendali nel rispetto dei diversi mandati.

La riconosciuta funzione programmatoria rappresenta l’opportunità offerta al sistema perché nelle decisioni strategiche si consideri, attraverso la rappresentanza del direttore di Dipartimento, anche la visione che gli infer-

ve diverse, si sviluppa l’organizzazione dipartimentale al cui interno si prevede o la presenza di un Dipartimento delle Professioni Sanitarie o addirittura quella di un Dipar-timento Infermieristico Ostetrico ed uno delle professioni tecnico sanitarie o, in ultima analisi, la Direzione infer-mieristica. Nella LR 40 del 2005 - Disciplina del Servizio sanitario regionale, all’art. 62, il legislatore riafferma che la responsabilità delle strutture organizzative professiona-li deve essere affidata ad un dirigente delle professioni sanitarie o sociali di cui alla l. 251/2000 e successive modifiche per le unità operative relative alle corrispon-denti aree professionali classificate di livello dirigenziale secondo i criteri stabiliti dal Piano sanitario regionale. Si chiosa che il responsabile della struttura organizzativa è denominato direttore.Nonostante questa rassegna normativa le diverse Aziende USL e OU toscane non avevano regolamentato in modo omogeneo l’organizzazione delle professioni sanitarie e negli atti delle diverse Aziende si potevano trovare, fino allo scorso anno, due diverse formali organizzazioni. Una prima che aveva inteso la Direzione infermieristica profes-sionale come a governo dello sviluppo dei professionisti e non già anche della loro organizzazione e gestione, una seconda che, in logica dipartimentale o meno, aveva pre-visto le strutture organizzative con funzione sia di svilup-po professionale che di gestione operativa del personale assegnato. Eppure, in ogni Azienda toscana al dirigente infermieristico era richiesto di intervenire nella definizione del fabbisogno di personale, nella sua dislocazione nelle diverse strutture di assistenza o nella sostituzione di quelle assenti, oltre a sviluppare le migliori pratiche assistenziali possibili con le risorse a disposizione.È per questi motivi che, con la chiarezza che la LR 84 del 2015 ha prodotto, la Regione Toscana ha posto le basi per una nuova e sfidante prospettiva per le professioni infer-mieristiche ed ostetriche. Attraverso il suo articolato è come se si fosse affermato che alla colonna costituita da sempre da diagnosi e cura si affiancava in modo esplicito quella di assistenza infermieristica, come fosse una ulteriore sotto-lineatura della comprensione di quanto i bisogni epidemio-logici e sociali impongano adeguamenti al sistema.In altre parole si è ribadito che non può esserci cure sen-za care e se nessuno di questi territori è esclusivo di una professione appare evidente la prevalenza del medico nel curare e quella dell’infermiere nell’assistere. Una delle sfide della nuova organizzazione sarà allora quella di ri-cercare, la maggiore sinergia possibile tra le diverse pro-fessioni, nel rispetto dei singoli contributi e professionisti e nella certezza di perseguire obiettivi comuni rappresenta-

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892 N. 209 - 2016Riforma del Servizio sanitario toscano

continuità assistenziale che potrebbe essere favorita ulte-riormente dalla definizione di ruoli dirigenziali definiti in questa ottica.Questa opportunità è garantita attraverso le linee di in-dirizzo pubblicate con delibera 317 del 11 aprile 2016 nella quale, per la prima volta in Italia, indicato un para-metro per la stima delle necessità delle strutture organiz-zative semplici o complesse e vi si legge: “Nel Diparti-mento delle professioni infermieristiche e ostetriche dette strutture sono individuate in relazione alla sussistenza o meno di elementi oggettivi che ne giustifichino l’attivazio-ne (numero di dipendenti gestiti), avendo come parame-tro di riferimento un rapporto struttura operatori pari a 1/500 (min)-1/400 (max).” La prospettica disponibilità di strutture consente di accettare la sfida forse più impro-ba delle nuove Aziende: trovare il giusto equilibrio tra il centro, delle decisioni strategiche, e la diffusa periferia dove incontrare il cittadino e garantirgli assistenza.La gestione autonoma del capitale umano degli infermieri e delle ostetriche ottiene la massima flessibilità possibile, che seppur basata sulle competenze, offre margini di eco-nomicità altrimenti non ottenibili ed anche la possibilità di perseguire un ambiente favorevole affinché la forza lavoro infermieristica risponda ai bisogni di salute che cambiano contribuendo alla loro lettura.Gli infermieri giocano un ruolo proattivo nel garantire che le politiche sanitarie, i piani e le decisioni riguardanti la propria professione affinché siano specifici per la Regio-ne e rispettino i principi della leadership inclusiva, della governance efficace e della pratica regolamentata. Le pratiche di qualità sono monitorate e tese al miglioramen-to di performance ed esiti di assistenza.

Infine, ma prioritariamente, la gestione operativa autono-ma consente di promuovere organizzazioni che progetti-no e realizzino percorsi formativi e di sviluppo di carriera dei singoli professionisti assegnati, e dei gruppi di lavoro, in una logica che porti all’inserimento di operatori ade-guatamente competenti per fornire servizi completi incen-trati sulla persona. In questa ottica, riprendendo le affer-mazioni dei ricercatori del Cerismas, il Centro ricerche e studi in management sanitario dell’Università Cattolica, l’infermiere con ruoli diversificati in un’organizzazione non più verticale delle cure (organizzata cioè a silos sulla base delle specializzazioni del medico) ma orizzontale, in grado di raccogliere tutte le migliori soluzioni possibili per soddisfare i bisogni degli assistiti può essere risorsa decisiva. In Regione Toscana potremmo avviare sperimen-tazioni dei ruoli infermieristici elencati in questa ricerca.

mieri, le ostetriche e gli operatori sociosanitari e di sup-porto all’assistenza hanno degli assistiti. Inoltre attraverso la presenza nei momenti di programmazione aziendale, è possibile aumentare la coerenza tra gli obiettivi di si-stema, le risorse ed il capitale umano effettivamente di-sponibili, e gli esiti da perseguire sugli assistiti e sulla popolazione generale.La declinazione di questo punto si esprime attraverso la funzione allocativa: ad obiettivi condivisi si potrà condi-videre anche la definizione del personale assistenziale necessario al loro raggiungimento in modo che sia il corretto livello strategico a indicare le priorità aziendali ovvero quei settori dove sia necessario focalizzare un in-vestimento.Le funzioni programmatoria e allocativa si riferiscono quindi al governo strategico dove si riconoscono l’orien-tamento all’indirizzo ed al potenziamento dei sistemi e servizi sanitari, anche accompagnando lo sviluppo delle reti cliniche ovvero perseguendo una partnership con la medicina generale e con le Associazioni del terzo settore anche operando per aumentare la sicurezza nelle struttu-re del privato convenzionato.Gli infermieri potranno prevedere lo sviluppo di modelli organizzativi ed assistenziali innovativi anche ad eleva-ta autonomia tecnico-gestionale offrendo opportunità di maggiore sostenibilità al sistema. Infine, nello sviluppo delle Aziende con popolazione assistita ed estensione territoriale quali quelle del nuovo assetto del SST, solo il governo strategico assistenziale può offrire possibilità di assicurare omogeneità di assistenza a partire dalla con-divisione degli standard di presenze e dei conseguenti esiti attesi.Le funzioni gestionali ed operative richiamano invece la fase di assistenza diretta; in questo momento, cruciale per l’assistito, si esprimerà al massimo la collaborazione multi professionale e multidisciplinare; se saremo capaci di in-nescare un meccanismo co-evolutivo, di rispetto reciproco e riconoscimento di pari dignità, non ci sarà un professio-nista, sia esso medico, infermiere o fisioterapista, che non vedrà opportunità di soddisfazione e porremo le basi per determinare un clima organizzativo ideale.

Attraverso la gestione operativa, il Dipartimento infermie-ristico ostetrico sarà impegnato a garantire un progresso nella ricerca della continuità assistenziale; la gestione del personale consente infatti di garantire la continuità delle competenze laddove servono all’assistito, la filiera infermieristica, praticamente presente in tutti i contesti di assistenza e cura, è uno dei principali sostegni della

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capacità gestionali e le innovativa capacità di assunzione di responsabilità.In ciascuna Azienda sanitaria toscana il Dipartimento del-le professioni infermieristiche ed ostetriche rappresenta la quota prevalente dei professionisti in organico essendo presenti nella quasi totalità dei processi produttivi, si po-trebbe dire che sia l’ossatura del sistema sanitario.Il Dipartimento delle professioni infermieristiche ed ostetri-che è strumento di integrazione, tra i professionisti asse-gnati al suo interno, con la direzione aziendale e gli altri livelli di responsabilità nella dimensione strategica, con tutte gli altri professionisti in quella operativa.La sfida lanciata dalla legge di riorganizzazione solleci-ta gli infermieri toscani a proseguire nella tradizione di innovazione, nella costante ricerca di adeguare i modelli organizzativi ai cambiamenti sociali, epidemiologici ma anche organizzativi e strutturali; operando, secondo le migliori evidenze scientifiche disponibili, per garantire i diritti e perseguire l’equità di accesso alle cure e la soddi-sfazione degli assistiti.

In ambito ospedaliero, ad esempio, appare rilevante e pienamente condivisibile il rilancio dell’organizzazione per intensità di cura, attraverso lo strumento organizzati-vo individuato all’articolo n. 63 capo 3:“b) strutturazione delle attività ospedaliere in aree or-ganizzative di presidio, quali articolazioni del presidio ospedaliero al cui interno gli spazi, le tecnologie e i posti letto sono organizzati secondo le modalità assistenziali, l’intensità delle cure, la durata della degenza ed il regime di ricovero e messi a disposizione dei Dipartimenti e delle unità operative al fine di un utilizzo condiviso, negoziato e integrato. Tali articolazioni possono prevedere un re-ferente nominato dal direttore del presidio tra i direttori delle unità operative afferenti a tale area, sentiti i direttori dei Dipartimenti di cui all’articolo 69 bis ai quali tali unità operative appartengono”.Se queste aree possono ottenere quella quadratura che non sempre si è trovata nell’applicazione del modello degli ospedali per intensità di cura, gli infermieri sono pronti per offrire il loro contributo basato sulle tradizionali

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Giuseppe Nottoli1, Simone Baldi2, Alessandra Giani3, Rita Papi41 Direttore Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione USL Toscana Centro; 2 Direttore SOS Riabilitazione funzionale ex USL Firenze e Referente aziendale per la riabilitazione funzionale USL Toscana Centro; 3 Direttore SOS Area tecnico sanitaria Azienda ospedaliero universitaria di Siena; 4 Direttore UOP Diagnostica per immagini, Valdarno Azienda USL Toscana Sud Est

AbstractIl Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione rappresenta uno degli elementi di innovazione gestionale più significativi previsti dalla Legge di riforma. Come struttura della direzione aziendale assume un ruolo determinante nella gestione delle molteplicità delle competenze professionali espresse cui è chiesto di relazionarsi con una altrettanto differenziata articolazione organizzativa la quale, accanto alle funzioni dirigenziali di livello aziendale, richiede la previsione di responsabilità diffuse nei nodi della rete. La partecipazione ai processi di budget diventa il momento in cui si definiscono gli obiettivi gestionali sia sul piano dello sviluppo delle competenze che della scelta allocativa delle risorse. La standardizzazione delle procedure e dei processi assicura omogeneità nell’erogazione delle prestazioni anche in presenza di modelli organizzativi fra loro differenziati soprattutto nella prima fase di attuazione della riforma.

Il Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie della riabilitazione e della prevenzione

Fra le novità contenute nella legge regionale 84/2015 va sicuramente richiamata la previsione del Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione, non tanto perché si preveda per la prima volta una struttura dipartimentale relativa a questo ambito (nella pianificazione regionale era già prevista una struttura organizzativa), ma in quanto ne vengono definiti, contestualmente ed analogamente al Dipartimen-to delle professioni infermieristiche ed ostetriche, e al Dipartimento dei servizi sociali, le funzioni e le titolarità da esercitare nella nuova organizzazione aziendale. Più che una sfida, fra le tante che la LR 84/2015 ha aperto, questa previsione è un vero e proprio investimento che riguarda nello specifico circa un quinto dei professionisti presenti nelle Aziende ed il modo in cui essi saranno coin-volti nei processi di cambiamento del Servizio sanitario regionale e nella produzione dei servizi.Il riconoscimento della titolarità gestionale apre, per la

sua novità, tutti gli spazi necessari per sostenere una forte innovazione organizzativa senza la quale lo stesso SSR rischia di collassare.È assolutamente necessario per questo, acquisire il con-cetto che la titolarità gestionale non si coniuga con ge-rarchia professionale e che, in un sistema a matrice di moderne relazioni professionali, gli obiettivi gestionali non sono esclusivamente correlabili con le strutture che erogano le prestazioni previste dai LEA. Ciò consente di identificare preliminarmente due punti fra di loro colle-gati, su cui l’apporto del Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie e della riabilitazione e della prevenzio-ne può risultare decisivo ed innovativo: lo sviluppo della qualità professionale e l’uso efficiente delle risorse su cui svilupperemo il contributo.È utile tener presente gli aspetti di complessità che carat-terizzano il Dipartimento e ne motivano la previsione in relazione alle diverse professioni sanitarie che vi afferi-

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Sulla base di queste premesse la titolarità gestionale del Dipartimento si esplica nell’ambito professionale in termi-ni di qualità delle competenze tecniche e di condivisione dei processi assistenziali e, nell’ambito dell’utilizzo delle risorse, in termini di efficienza ed efficacia esercitando le seguenti funzioni:• assicuraregli strumenti e criteri omogenei nellapro-

grammazione e gestione strategica delle risorse pro-fessionali, l’innovazione e la promozione dei modelli operativi finalizzati all’erogazione di prestazioni dia-gnostiche, riabilitative e a carattere preventivo centra-te sulla persona e sulla collettività ed orientate all’ap-propriatezza e all’efficienza gestionale delle risorse;

• definireilfabbisognodirisorsenecessarieallafunzio-nalità dei servizi diagnostici, di riabilitazione e della prevenzione attraverso l’analisi dei bisogni relativi alle attività programmate, proponendo alla direzione aziendale i relativi piani annuali per le appropriate dotazioni organiche;

• gestire lerisorseattraversoimeccanismioperatividiprogrammazione, selezione, allocazione e valutazio-ne del personale delle aree tecnico-diagnostiche, della riabilitazione e della prevenzione, avvalendosi delle relative strutture professionali afferenti;

• definiregliobiettiviprofessionalidellestruttureafferen-ti ed i criteri della relativa valutazione;

• pianificare,diconcertoconlestruttureinteressate,lestrategie ed i contenuti formativi per le risorse umane assegnate in relazione agli obiettivi di attività e a sup-porto dell’innovazione gestionale ed operativa e dello sviluppo delle competenze professionali;

• promuovereesostenere losviluppodell’integrazioneprofessionale ed operativa nei processi assistenziali e di supporto in cui sono coinvolte le strutture afferenti;

• elaboraremodellioperativiinnovativiinrelazioneallosviluppo delle competenze professionali, alla disponi-bilità tecnologica, al cambiamento epidemiologico e del contesto normativo e sociale in cui i servizi sono operanti;

• concorrerealladefinizionedeicriteridivalorizzazio-ne degli incarichi e dei principi portanti del sistema premiante per i professionisti delle strutture afferenti.

Il Dipartimento così strutturato, quale parte integrante del-la direzione aziendale, partecipa ai processi aziendali di budgeting mantenendo un costante confronto operativo sia con i Dipartimenti ospedalieri che con quelli territo-riali. Proprio nella fase di definizione del budget si defi-nisce l’equilibrio possibile fra le disponibilità delle risorse

scono e alla numerosità e differenze delle strutture dipar-timentali con cui interloquisce.La composizione professionale: 20 profili professionali delle classi di laurea 2a (riabilitazione), 3a (tecnico sani-taria assistenziale e diagnostica) e 4a (prevenzione) con contenuti professionali molto differenziati ma comunque accomunati dagli stessi livelli di responsabilità, definiti dagli ordinamenti e dai profili, nei confronti degli utenti e dell’organizzazione in cui sono inseriti. Un contesto che richiede di conseguenza una specifica capacità di lettura dei bisogni professionali e di elaborazione delle procedu-re e protocolli tecnico-professionali che non può trovare risposta all’interno di un modello influenzato dalla preva-lenza numerica o da una elaborazione teorica avanzata, come sarebbe stato nel caso di un Dipartimento unitario delle professioni sanitarie, così come è stato previsto inve-ce per le Aziende ospedaliere. È proprio la necessità di modelli non autoreferenziali, che potrebbero svilupparsi in risposta ad una omogeneizzazione dei modelli orga-nizzativi, a richiedere una struttura dipartimentale che assicuri il governo in termini di gestione organizzativa e professionale delle strutture professionali complesse e semplici previste per ciascuna area professionale affe-rente, coerente con l’articolazione capillare dei servizi al cittadino e con gli orientamenti della direzione aziendale.

Gli interlocutori e le dimensioni delle Aziende: la LR. n.84/2015 presenta tre elementi di cambiamento che condizionano le scelte organizzative: le dimensioni delle Aziende, le caratterizzazioni delle due macro reti ospe-daliera e territoriale e le diverse tipologie di funzioni di-partimentali. Tutto ciò richiede un governo centrale di in-dirizzo omogeneo ed una sua proiezione operativa nelle diverse articolazioni individuate per i livelli di assistenza.Alla molteplicità delle competenze professionali espres-se dall’area dipartimentale tecnico sanitaria e della ria-bilitazione e della prevenzione è chiesto di relazionarsi con una altrettanto differenziata articolazione organizza-tiva in un sistema a matrice che richiede la previsione di responsabilità diffuse nei nodi della rete. È necessario prevedere quindi una strutturazione organizzativa del Di-partimento dove le strutture di area professionale sopra richiamate si organizzano, con responsabilità dirigenzia-li, in strutture complesse e semplici coerenti alle macro reti ospedaliera e territoriale e, con la presenza di posizioni organizzative titolari di funzioni gestionali o professiona-li, nelle articolazioni operative individuate per l’erogazio-ne delle prestazioni e servizi, comprese le funzioni della direzione zonale.

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professionali sono chiamate a misurarsi per esprimere la loro capacità di integrazione con le altre figure e di rispo-sta ai bisogni di salute della popolazione.

All’interno del Dipartimento, l’Area della diagnostica per immagini può sviluppare, con la valorizzazione delle spe-cifiche competenze dei propri professionisti, alcuni obiet-tivi in grado di qualificare il sistema servizi diagnostici;– Sviluppo delle reti tecnologiche Ris-Pacs per il trasferi-

mento e il trattamento delle immagini radiologiche e delle altre informazioni cliniche, in modo da garantire diagnosi in tempi brevi, con efficacia e accuratezza. In questo campo i TSRM hanno le competenze neces-sarie per dare alle Aziende sanitarie e ospedaliere un contributo tecnico specializzato, sicuro e con costi minori rispetto a ditte o service esterni.

– Diffusione della teleradiologia con refertazione a distan-za, nei servizi radiologici di base e negli screening oncologici, per consentire ai cittadini della nostra Re-gione di usufruire di un servizio vicino alla propria residenza, con una riduzione significativa dei tempi di attesa e dei disagi correlati. Con l’implementazio-ne della teleradiologia è possibile infatti ottimizzare l’uso delle risorse tecnologiche e utilizzare appieno le competenze del tecnico di radiologia che, nell’ambito della radiologia convenzionale, potrà esercitare una autonoma attività professionale, come giuridicamente riconosciuto.

– Attivazione di  servizi di radiologia domiciliare, rivolti a pazienti fragili e non deambulanti. Questo servizio erogabile in condizioni di sicurezza, che è già attivo e apprezzato in altre Regioni, oltre all’aspetto dell’uma-nizzazione delle cure e dell’attenzione verso pazienti fragili, consente un riduzione dei disagi e dei costi e, all’interno degli obiettivi di riduzione dei ricoveri im-propri, consentirebbe al medico curante l’immediata disponibilità di immagini e informazioni diagnostiche anche con sistemi di telemedicina.

– Definizione di protocolli di qualità e di percorsi di ap-propriatezza  nell’uso delle complesse tecnologie  ra-diologiche,   che possono presentare condizioni  di rischio per utenti e operatori.  Il corretto utilizzo  del-le apparecchiature e la loro ottimizzazione anche ai fini della radioprotezione,  fanno parte delle compe-tenze e delle funzioni del tecnico di radiologia, che può garantire, anche in questo campo, un contributo fondamentale per l’innovazione e la sostenibilità della sanità della Toscana.

professionali, intese sia in termini di competenze che di volume di risorse, e gli obiettivi quantitativi e qualitativi per i quali le stesse risorse e competenze sono rese dispo-nibili alle strutture titolari dei livelli di assistenza. Deve ri-sultare ovvio che gli obiettivi definiti sono reciprocamente vincolanti proprio perché dalla loro definizione nascono gli impegni gestionali del Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie e della riabilitazione e della prevenzione sia sul piano dello sviluppo delle competenze che della scelta allocativa delle risorse. La variabilità delle soluzioni organizzative prevedibili sia in ambito ospedaliero che territoriale, a maggior ragione in questa prima fase di accorpamento, pur non consentendo la attuazione di mo-delli uniformi, mette comunque in evidenza la necessità di scegliere la modalità con cui le risorse professionali “stanno” dentro i processi operativi.Data per acquisita la condivisione e accettazione di un uso flessibile delle risorse professionali, la discussione può svilupparsi solo su un impiego delle stesse capace di rispondere ad un modello che deve coniugare la organiz-zazione per presidio (ospedaliero e/o territoriale) con la gestione per percorsi assistenziali: qui entra la titolarità e responsabilità gestionale del Dipartimento sugli standard professionali e sull’innovazione organizzativa che devo-no essere assicurati nella erogazione delle prestazioni anche quali elementi che assicurano omogeneità nel terri-torio aziendale, in termini di best practice, di gestione del rischio clinico, di sicurezza dell’assistito e dell’operatore, di approcci innovativi ai nuovi bisogni, di sviluppo delle competenze specialistiche e loro messa a disposizione.

Riteniamo di poter sottolineare la scommessa fatta dal legislatore sulla titolarità e responsabilizzazione delle professioni: ciò consente la previsione di nuovi modelli organizzativi che riconoscono ambiti di autonomia pro-fessionale anche attraverso l’attuazione di semplificazioni organizzative senza che ciò riduca il valore alla presta-zione erogata, modelli che richiedono un cambiamento culturale e gestionale sia da parte dei professionisti che del sistema stesso.Contestualmente, il presentarsi di nuovi bisogni clinico-epidemiologici e la disponibilità di innovazione tecnolo-gica, ha consentito lo sviluppo di nuovi modelli e spe-rimentazioni che possono ora sistematizzarsi in tutte le aree di riferimento del Dipartimento.In particolare la gestione della cronicità, l’utilizzazione di nuove tecnologie diagnostiche, lo sviluppo della teleme-dicina, la valorizzazione della cultura della prevenzione in alternativa alla riparazione, sono ambiti su cui le aree

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Un cambiamento che richiede l’espletamento del proprio mandato non solo attraverso risposte prestazionali di va-lutazione ed esercizio terapeutico ma anche con l’attiva-zione di un approccio proattivo all’interno delle nuove or-ganizzazioni territoriali quali le AFT e le Case della salute descrivendo il nuovo ruolo, ad esempio, del “fisioterapista di comunità”. Ciò implica la necessità di re interpretare un ruolo consolidato, svolto per lo più in ambulatorio o in palestra e indirizzarlo verso nuove strategie che sappiano attivare competenze e risorse della comunità agendo sulle motivazioni e sulle risorse del singolo della sua famiglia e del caregiver.L’innovazione organizzativa necessaria alle professioni della riabilitazione, per rispondere ai cittadini, deve sa-per trovare sinergie con gli altri attori che nella rete terri-toriale si confrontano con strategie adeguate alle risorse disponibili e ai nuovi bisogni.Da qui deriva la necessità, per le professioni sanitarie della riabilitazione, di consolidarsi nel Dipartimento dove condividere e confrontarsi su modelli e strategie che sup-portino la capacità di reinterpretare modelli operativi e di condividerli nei tavoli aziendali con le articolazioni dei Dipartimenti clinici o delle strutture zonali, per assicurare, in questa collaborazione, risposte ai bisogni emergenti at-traverso PDTA e protocolli che rendano competenti, sicure ed omogenee le risposte rese disponibili dal SSR.

Le azioni di prevenzione degli operatori del Dipartimen-to, tecnici della prevenzione ed assistenti sanitari, trovano il loro razionale nello svolgimento di attività dirette da un lato a preservare la salute dell’individuo e della collettivi-tà attraverso la promozione e l’educazione a stili di vita adeguati e dall’altro, a orientare i comportamenti dei sog-getti titolari di attività imprenditoriali al rispetto delle nor-me, ormai prevalentemente di derivazione comunitaria, che concernono la qualità della filiera alimentare dalla produzione alla distribuzione, la qualità degli ambienti di vita, ed il rispetto delle tutele che l’ordinamento giuridico prevede a tutela della salute e della incolumità dei lavora-tori negli ambienti di lavoro.Attività che abbracciano scenari così vasti e nel contempo tanto specifici da richiedere non solo alti livelli di compe-tenze specialistiche sui quali il Dipartimento è chiamato a svolgere un’azione sistematica di rafforzamento, ma che soprattutto impongono un approccio innovativo alla pro-grammazione basata sulla raccolta mirata dei bisogni di salute ancorata a dati epidemiologici. Ma altrettanto im-portante è la ridefinizione delle strategie di comunicazio-ne e di assistenza che favoriscano la crescita della con-

Le attività di diagnostica di laboratorio sono state carat-terizzate nel corso degli ultimi anni dall’inserimento di un elevatissimo livello di automazione che ha consentito l’avvio della riorganizzazione e razionalizzazione della rete dei laboratori regionali ed ha determinato un cam-biamento delle modalità operative e delle competenze richieste a tutto il personale presente evidenziando, fra altri aspetti, la necessità di una ridefinizione dei compiti e responsabilità all’interno del settore.L’Area professionale di laboratorio è inserita nei processi di riorganizzazione contribuendo, sia sul piano organiz-zativo che tecnico, alla riprogettazione del sistema dei laboratori assicurando, sia nei laboratori centrali hub che nei laboratori periferici spoke, le competenze idonee alle nuove funzioni e la previsione di nuovi modelli organiz-zativi capaci di assicurare la presenza del personale ne-cessario.Lo sviluppo della telerefertazione, accompagnata da azioni di formazione e dal riconoscimento di titolarità professionali, può svolgere un ruolo significativo nel con-sentire la copertura di attività quale quella trasfusionale o di anatomia patologica nella rete dei presidi ospedalieri.Significativo è il contributo che la diagnostica professio-nale di laboratorio può portare alle attività della medicina del territorio, nella gestione di alcune condizioni di croni-cità che richiedono il monitoraggio costante ad esempio dei parametri della glicemia o della coagulazione, con lo sviluppo della rete dei POCT. La disponibilità di que-ste apparecchiature gestite dal personale dell’assistenza territoriale, se non direttamente da parte del “paziente esperto”, porta ad un miglioramento nella gestione di questi pazienti sia in termini di costi che di tempestività del monitoraggio previsto.

L’Area professionale della riabilitazione funzionale, risul-ta identificata nel tempo nella pianificazione regionale. Oggi la sua funzione non si esaurisce più nella esclusiva azione riabilitativa così come richiamato nella sua deno-minazione; infatti le competenze professionali degli otto profili che la compongono sono richieste dal sistema in tutte le fasi del bisogno sanitario: dalle attività di preven-zione primaria all’expanded chronic care; dalle attività di cura proprie dell’ospedale per acuti alla specialistica ambulatoriale; dalla presenza nelle Agenzie di continu-ità H-T alle attività domiciliari integrate; dalle attività di riabilitazione propriamente dette e previste dai LEA alla gestione della cronicità con modelli di self management e paziente esperto propri di un approccio basato sulla comunità.

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relazioni professionali, conferma la necessità della presen-za del Dipartimento delle professioni tecnico-sanitarie, del-la riabilitazione e della prevenzione e l’importanza delle azioni che da parte sua possono essere messe in atto.L’obiettivo prioritario è la definizione ed attuazione di standard professionali che assicurino, attraverso procedu-re e protocolli tecnico-professionali basati sull’evidenza, una erogazione omogenea delle prestazioni e la parte-cipazione dei professionisti afferenti alla definizione di procedure e protocolli organizzativi nei PDTA in cui gli stessi sono coinvolti.

sapevolezza tra i cittadini e lo sviluppo di metodologie avanzate per la valutazione del rischio che si avvalgano anche di strumenti e istruzioni operative coerenti, specie laddove si rende necessaria anche l’adozione di misure coercitive, con modalità sensibili ai contesti e allo stesso tempo efficaci, assumendo come valore la trasparenza quale elemento di forza dell’agire professionale in tema di prevenzione e di riduzione dei fattori di rischio.

La situazione sopra descritta, che evidenzia la fase di tran-sizione sia sul piano organizzativo che dello sviluppo delle