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FrancoAngeli Renato de Polo La psicoterapia psicoanalitica: un’archeologia del futuro PSICOTERAPIE

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È possibile individuare un modello di cura psicoanalitica che sia dotato di chia-rezza, rigore e semplicità? Che conservi ciò che è ancora valido della tradizionema introduca innovazioni fondate sull’esperienza e sugli inevitabili sviluppi delpensiero psicoanalitico? È possibile in altri termini dire ancora qualcosa di psi-coanalitico che sia originale nel duplice senso di collegato alle origini ma anchedi nuovo rispetto ad esse?

Il volume intende essere una risposta a tali interrogativi in un momento storicoin cui sembra imporsi al contrario la Babele delle lingue psicoanalitiche siarispetto alle origini sia agli sviluppi più attuali. L’autore, per rispondere alledomande sopra citate, usa una bussola che ha un duplice riferimento: i pensieri egli orientamenti più attuali da un lato e il pensiero di Freud dall’altro. In questomodo ci mostra, usando una visione binoculare, la sopravvivenza nel presente diincongruenze non ancora risolte risalenti alle origini e che richiedono l’impegnoper nuove soluzioni. Il volume mostrerà il progressivo apparire di tali soluzioniche andranno a comporre il quadro teorico non solo di una nuova psicoterapia psi-coanalitica ma anche di interventi psicoanalitici in contesti extra clinici.

Renato de Polo, psicologo, psicoterapeuta e psicoanalista, membro della Società Psi-coanalitica Italiana (SPI), è presidente dell’'Associazione di Psicoterapia di Gruppo (APG)ed è stato presidente della Confederazione delle Organizzazioni Italiane per la RicercaAnalitica sui Gruppi (COIRAG) e direttore della rivista Gruppi. Attualmente responsabiledel settore adulti della psicoterapia nel Centro Medico Santagostino e docente in scuoledi specializzazione in psicoterapia, opera nell’ambito della clinica psicoanalitica indivi-duale e gruppale occupandosi anche di formazione, ricerca e analisi socioculturale. Auto-re di numerosi articoli, ha curato con Antonio Imbasciati e Renato Sigurtà il volume Scher-mi violenti (Borla, 1998) e con Francesco Caggio e Alida Gottardi Maggio, è un bel meseper la prima classe. Prime letture di antichi registri scolastici (Mimesis, 2010). Ha pubblica-to il volume La bussola psicoanalitica tra individuo, gruppo e società (FrancoAngeli, 2007).

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La psicoterapiapsicoanalitica:un’archeologiadel futuro

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LA PSICOTERAPIA PSICOANALITICA: UN’ARCHEOLOGIA DEL FUTURO

FrancoAngeliLa passione per le conoscenze

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Indice

1. La Babele delle lingue. Si può evitare? pag. 9

1. Un quadro preliminare tra tradizione e innovazione » 91.1. Sigmund Freud. Luci e ombre nel pensiero

delle origini » 111.2. Franco Fornari. Da Freud a una nuova psico-

analisi » 121.3. Emanuele Severino. Un interlocutore molto si-

gnificativo » 14

2. Primi passi di un viaggio “sui generis”: incongruenze,conflitti, interrogativi oggi come ieri » 232.1. La contrapposizione tra modello relazionale e

modello intrapsichico » 282.2. Pulsione contrapposta a relazione. Ovvero

l’idea che la pulsione si contrapponga comeprincipio originario alla relazione » 29

2.3. Metapsicologia sì, metapsicologia no » 302.4. Scientificità o non scientificità della psico-

analisi » 312.5. Nasce prima l’individuo o la relazione con

l’altro? » 332.6. Relazione contrapposta a interpretazione (l’in-

terpretazione come fondamentale fattore tera-peutico contrapposta al privilegio della rela-zione) » 34

2.7. Sì o no alla pulsione di morte? » 36

3. Al di là delle incoerenze: prospettive » 38

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3.1. Scientificità della psicoanalisi. È possibile, maoccorre impegno pag. 40

3.2. L’intrapsichico e la relazione. Come una coppiapuò andare d’accordo » 41

3.3. Mondo onirico e mondo della veglia al di là delmoralismo » 42

3.4. La donna senza corpo. Così non si soffre » 45

2. Chiarezza, rigore, semplicità. Non è impossibile » 49

1. Verso un nuovo modello di psicoterapia psicoanaliti-ca? Ancora? Ebbene sì » 491.1. Alle origini della pratica psicoanalitica » 501.2. Dall’ipnosi al setting psicoanalitico: l’ascolto » 511.3. La libera associazione » 531.4. Una teoria della sofferenza » 551.5. Tra desiderio e opposizione: il conflitto » 561.6. Il caso di Laura: voglio essere curata, anzi no » 571.7. Voglio avere successo. O no? » 601.8. Il deficit ovvero la Mancanza Fondamentale » 611.9. Il transfert: un ponte sul vuoto » 661.10. Il controtransfert: contro che? » 771.11. L’identificazione proiettiva: cercasi discarica

volenterosa e libera subito » 901.11.1. Il fattore terapeutico » 941.11.2. La funzione della parola » 101

2. Ordine e caos: il problema dell’inconscio » 110

3. La cura nel sociale e del sociale. Quale psicoanalisi? » 123

1. I principi e il metodo dell’analisi onirica come bus-sola per l’intervento in diversi contesti: individuali,gruppali, istituzionali » 1231.1. Freud, individuo, società » 1271.2. Il sogno, il desiderio, il trauma » 1301.3. Il trauma e il collasso del pensiero » 1321.4. Le costanti di teoria e prassi alla base di un in-

tervento psicoanalitico in contesti individuali,gruppali, istituzionali » 135

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1.5. Quadro sintetico riassuntivo pag. 1401.6. Il gruppo di psicodinamica con insegnanti: una

seduta » 1421.7. L’assenza della funzione psicoanalitica della

mente nel conflitto sociale: il film Munich » 1471.8. In conclusione » 151

2. “Il respiro del corso”. Diario delle lezioni in unascuola di psicoterapia, di Simona Loliva » 154

Riferimenti bibliografici » 167

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1. La Babele delle lingue. Si può evitare?

1. Un quadro preliminare tra tradizione e innovazione

Questo libro nasce da un impegno assunto con un gruppo di allievidella Scuola di specializzazione in psicoterapia della Coirag alcuni anni fa.Era una delle mie prime lezioni di un corso di psicoterapia psicoanaliticaindividuale, in cui cercavo di spiegare i primi elementi del modello teoricocontenuto nelle pagine seguenti. Sapevo che avrebbero avuto qualche diffi-coltà nel comprenderlo perché contiene punti di vista differenti da quellitradizionali usati nelle Università da cui provenivano. Però pensavo che talidifficoltà sarebbero state superate senza troppa fatica quando avessi loromostrato la connessione con gli elementi originari del pensiero psicoanaliti-co rispetto ai quali proponevo quelle differenziazioni che mi sembravanonecessarie per rendere tale pensiero più rigoroso, organico e adatto ai com-piti dello psicoterapeuta. Ero anche convinto che le idee che andavo elabo-rando avevano un requisito: quello di rendere il quadro teorico più semplicee quindi più facilmente utilizzabile.

La loro iniziale reazione non fu propriamente quella che mi aspettavo,anche se, con il senno di poi, era prevedibile. Mi resi ben presto conto cheinvitandoli a ragionare sulla validità di teorie già date per scontate e intro-ducendo anche nuove ipotesi, che secondo me avrebbero potuto rendere piùsemplice il quadro teorico complessivo, rischiavo invece di renderlo ancorpiù complicato. Per dar loro almeno la speranza che sarebbe sorta comun-que in un futuro non troppo distante una luce di inaspettata chiarezza esemplicità, con una certa baldanza promisi che avrei condensato in circatrenta pagine i concetti essenziali della psicoterapia psicoanalitica e che neavrei così dato loro un quadro essenziale caratterizzato da pochi elementiutili per orientarsi prima nello studio e poi nella prassi professionale consufficiente e preliminare chiarezza.

L’impegno è stato almeno in parte disatteso, perché le pagine sono

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state molte di più. Non ce l’ho fatta a mantenere la promessa, perché misono accorto che il pensiero psicoanalitico che propongo contiene aspettidi novità superiori a quanto avessi previsto. Ho pensato quindi che fossenecessario offrire spazi di spiegazione più ampi rispetto al progetto ini-ziale. Però non ho voluto comporre un testo accademico intessuto di cita-zioni e rimandi alla letteratura cosiddetta scientifica, dove il pensiero ori-ginale dell’autore rischia spesso di disperdersi. Ho inteso al contrario rac-cogliere l’essenziale delle idee che ho sviluppato in tanti anni di attivitàpsicoanalitica clinica e sociale raccogliendole in un insieme articolato do-ve la teoria e la prassi sono strettamente connesse. Mi sarebbe piaciutocitare tutti i momenti dell’esperienza in cui un’idea già coltivata è diven-tata certa, illuminandosi di una luce particolare, ed è diventata parte di unquadro di riferimento stabile per la mia attività, ma non ho avuto suffi-cienti risorse di memoria per realizzare questo desiderio in modo ampio esistematico. Però, quando m’è riuscito, non ho mancato di sottolinearel’evento. Si può così spiegare e giustificare perché nel volume ritorni piùdi una volta il riferimento a momenti della mia attività clinica in cui si èimposta un’idea nuova capace di irrigare, come una fonte d’acqua, diversipercorsi di senso. L’insistenza nel testo su alcuni esempi e su alcune ideetestimonia il ricordo di tali momenti “magici” in cui una lunga riflessioneè arrivata a una conclusione che conteneva il premio meritato per la faticadella ricerca.

Quali sono questi momenti? Cercherò di darne un assaggio introduttivopreceduto però dalla citazione dei personaggi più importanti che mi hannoispirato e accompagnato in un percorso di ricerca che si è mosso all’internodi coordinate ben definite caratterizzate dalla conservazione di ciò che nellatradizione risulta ancora valido e dall’innovazione resa necessaria dal-l’aprirsi di nuovi orizzonti non ancora prima riconosciuti. Mi sembra ovviocitare Freud come matrice originaria della tradizione ma anche come sim-bolo di fatto di uno sviluppo affidato al futuro. Un altro autore che mi è ri-sultato esemplare per il suo coraggio di pensare al di là di schemi collaudatie di stereotipi ideologici è stato Franco Fornari.

Un terzo personaggio, di cui ho riconosciuto la grande utilità nei mo-menti in cui un’idea già sviluppata in ambito psicoanalitico mi sembravarichiedere un supplemento “energetico” di senso è stato il filosofo Ema-nuele Severino. È stato per me essenziale nei momenti in cui sentivo che ipensieri che andavo sviluppando richiedevano tale contributo.

Cercherò ora di chiarire più precisamente quale posto del tutto unico einsostituibile ciascuno di loro abbia avuto nella mia ricerca. Sottolineo peròche citerò ognuno di loro non in primo luogo per le caratteristiche note e di

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grande rilievo che ne hanno consacrato il posto nella storia del pensiero, maper il contributo che da loro ho tratto per procedere con maggiore sicurezzanella costruzione di un pensiero psicoanalitico dotato di chiarezza, rigore ecoerenza con le finalità che ci proponiamo nel nostro lavoro nella clinica ein altri contesti.

1.1. Sigmund Freud. Luci e ombre nel pensiero delle origini

Una delle caratteristiche del suo pensiero, che mi ha spesso colpito ècome tratta spesso un argomento seguendo successivamente o contempora-neamente punti di vista opposti che possono sconcertare chi ne cerchi unacoerenza. Però prima o poi lascia delle tracce molto significative per av-viarsi verso un’idea che risolva la contraddittorietà contenuta nell’uso ditesi opposte. Non posso che definirlo con due aggettivi: perturbante estraordinario. Mostrerò per esempio che il suo concetto di inconscio e dirimozione (vedi cap. 2) è un ineccepibile esempio di un pensiero in bilicosull’orlo del vuoto di significazione, che ha tuttavia attirato una sterminataschiera di cultori di psicoanalisi che hanno affrontato il rischio di cadere. Cisono anche talvolta (o spesso?) riusciti perché hanno resistito all’attrazionedel vuoto utilizzando ancore e strutture di sicurezza comunque presenti làdove il pessimismo nichilistico freudiano non aveva assunto la dominanza.Mi riferisco come esempio alla teoria freudiana del simbolo come appigliosicuro, che contiene nell’implicito le significazioni universali onnipresenti einconsce del pensiero dell’essere umano e quindi propone un riferimentopieno di significazione, persino eccessiva. Anche in questo caso non si puòche ripetere: perturbante ma straordinario.

Analoghe considerazioni possono essere sviluppate su temi fondamen-tali della teoria come la pulsione di morte (vedi cap. 1), il rapporto tra indi-viduo e società (vedi cap. 3), il problema della scientificità (vedi cap. 1), iltrauma (vedi cap. 3), il rapporto tra relazione e intrapsichico (vedi cap. 1) ealtri, come esempi dello stesso tipo: a rischio del vuoto di senso.

Il suo studio su questi argomenti colpisce sia per la ricchezza dellecontraddizioni in cui è immerso, che comportano il rischio di paralisi delpensiero, ma ancor più quando il lettore attento coglie le tracce per la so-luzione, forse non chiaramente registrata neppure dallo stesso Freud. Ditutto ciò saranno date ampie argomentazioni. La parte iniziale del librosarà dedicata proprio al rilievo delle incongruenze o contraddizioni freu-diane come base per l’avvistamento di soluzioni necessarie per lo svilup-po della psicoanalisi. Ho affidato al finale del libro le argomentazioni sul-

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l’inconscio freudiano, in primo luogo perché solo alla fine sono riuscito aidentificare con molta chiarezza la sua figura spesso evanescente come unfantasma inafferrabile che comunque si è aggirata nella penombra lungotutto lo svolgimento della mia ricerca. Ma mi è anche piaciuto lasciareche l’inconscio, il “colpevole” delle smisurate fatiche, che lo psicoanali-sta deve affrontare nella sua professione, emergesse, come è buona prassi,solo alla fine.

L’inconscio così individuato ci permetterà inoltre di spiegarci più chia-ramente i difetti più comuni spesso rilevabili nella teoria e nella prassi psi-coanalitica: il moralismo e il pedagogismo, come ideologie utilizzate percompensare la mancanza di una base più consistente.

Se non abbiamo una mappa per raggiungere una meta desiderata nonpossiamo fare altro che fidarci di una voce esterna che ci dice dove è beneincamminarci e di qualcuno che ci insegni a mantenere la buona e retta via.Nella prassi psicoanalitica invece, come assunto di base, noi andiamo o do-vremmo andare alla ricerca di percorsi che sono già inscritti nell’oscuritàdella mente dei nostri utenti e dovremmo dare la nostra collaborazione auna scoperta di qualcosa che era già a portata dei loro occhi e che un velodi oscurità impediva di vedere.

Se però la base è un inconscio vuoto, dobbiamo chiedere ad altri dovesiamo, che cosa dobbiamo fare e come dobbiamo muoverci, cioè dobbiamorisolvere la questione in termini morali e pedagogici. Ma così ci trasferiamodalla stanza dello psicoanalista a quella del moralista o del pedagogo senzaavvisare il nostro cliente.

1.2. Franco Fornari. Da Freud a una nuova psicoanalisi

È l’autore che in psicoanalisi ha avuto il coraggio di riesaminarel’opera maggiore di Freud, l’Interpretazione dei sogni, di notarne le in-congruenze e di inaugurare nuove vie derivanti dalla loro eliminazione. Èstato negli ultimi anni il mio riferimento più significativo perché ha rea-lizzato un’originale versione degli elementi classici della psicoanalisi,mantenendo però contemporaneamente una sua libertà creativa nello stu-dio e nel rispetto delle origini. Inoltre ha dato una base teorica per inter-venti psicoanalitici in diversi contesti, gruppali, istituzionali e culturali.Ho trovato in lui conferma di idee che andavo maturando e ispirazioneper nuovi percorsi mentali. Perciò, oltre a Freud, è l’autore psicoanaliticoche ho citato più spesso specialmente perché ha avuto il merito di propor-re un ordine là dove regnava il disordine o addirittura il caos: nel-

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l’inconscio. La sua idea che l’inconscio contenga le cosiddette unità disignificazione affettive (i coinemi), paragonabili a un corredo geneticoche dà vitalità all’organizzazione mentale di ogni persona, come il ventonelle vele o come gli affetti rispetto al pensiero razionale, è geniale. Inquesto modo ha collocato giustamente in primo piano la teoria del sim-bolo che Freud aveva formulato ma lasciato un po’ in disparte. Fornari haraggruppato poi le diverse significazioni in pochi raggruppamenti: le figu-re della famiglia d’origine, il corpo e il connubio vita-morte. Ogni “cosa”del mondo risulterà così avere una duplice significazione: quella razionalee quella che dipende da come i bambini significano il mondo, che apparefiltrato dall’immagine del padre, della madre, del corpo, nel bene e nelmale. E ciò vale per ogni ambito dove c’è un pensiero.

Il pensiero di Fornari ha tentato di realizzare un processo di depurazio-ne dalle scorie ideologiche di tipo moralistico e contromoralistico presentinell’impianto teorico freudiano e in buona parte c’è riuscito; è arrivato ad-dirittura ad applicare la sua analisi al pensiero del fondatore della psicoana-lisi, scoprendone le inevitabili paure nell’esplorazione dell’inconscio e leconseguenze che tali paure hanno avuto sulla formulazione della teoria psi-coanalitica: l’analisi dell’ideologia freudiana è diventata perciò anchel’analisi delle difese mentali di Freud nella sua avanzata in territori mentaliche nessuno prima di lui aveva avuto l’ardire di violare. Un’audacia chesfiora l’ubris in Freud, un’identica audacia anche in Fornari? Può darsi, pe-rò il risultato è degno per il primo (Freud) della grande valutazione che itempi moderni gli hanno riservato, per Fornari la valutazione che, dopo lasua scomparsa, gli è stata attribuita, non ha sufficientemente corrisposto alvalore del suo pensiero.

Rispetto a Freud Fornari afferma che alcuni pilastri della teoria come ilconcetto di rimozione hanno assunto un’importanza ingiustificata perchésono dipesi dall’aver attribuito ai pazienti moti difensivi che erano suoi (diFreud) e determinati da una sua paura di fronte all’apparire di contenuti in-consci o comunque inconfessabili. E le sue (di Fornari) argomentazioni nonsono facilmente smentibili. Però anche per Fornari può essere legittimoavanzare un’ipotesi: che il suo progetto, decisamente giustificato e valido,di mettere ordine nell’inconscio freudiano e di realizzare collegamenti do-tati di dimostrata (“ostensibile” nel suo linguaggio) certezza con il mondodella coscienza, lo abbia spinto nella pratica alla definizione di schemitroppo automatici per ciò che attiene i processi di simbolizzazione-interpretazione. Ha dato l’impressione, da un certo punto in poi, di volerecreare una rete di significazioni capace di catturare qualsiasi cosa senza se esenza ma. Questo difetto ha permesso ai suoi critici di oscurare l’altrettanto

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evidente valore della sua ricerca, della sua creatività e della sua originalità:un insieme di qualità unico.

Tale riconoscimento non mi ha però impedito di valorizzare e di collo-care in primo piano sullo scenario, accanto alla teoria del simbolo, le com-ponenti tradizionali dell’apparato psicoanalitico, sia pur rivisitate e addirit-tura ricreate: l’ascolto, una teoria della sofferenza, la teoria del conflitto, deldeficit, il trauma, il transfert ecc.

In particolare ho dato un posto nell’inconscio anche agli effetti del di-sordine mentale e al non pensiero, ovvero al vuoto di significazione, noncome una caratteristica dell’inconscio, ma come un effetto di collassi delpensiero conscio.

1.3. Emanuele Severino. Un interlocutore molto significativo

Attualmente la psicoanalisi, a causa di difetti primordiali ma anche diuna certa inerzia degli psicoanalisti sui fondamenti della propria ricerca,corre un duplice rischio: cercare nelle neuroscienze la propria identità e ilconseguente riconoscimento di essa o coltivare, in modo del tutto inconsa-pevole, l’ambizione a proporsi come una sorta di nuova filosofia. Perquanto riguarda il primo rischio, credo che non sia molto temibile, perchél’idea di fondare un ambito scientifico sui risultati provenienti da un altro èun errore epistemologico, ovvero una prassi antiscientifica che prima o poisi rivelerà per quello che è, per il secondo invece il commento non può cheessere più complesso. È certo che una filosofia inconsapevole di sé, comespesso accade negli psicoanalisti, è una cattiva filosofia nel migliore dei ca-si e una follia nel peggiore. Se infatti intendiamo per filosofico l’ambito delpensiero su di sé e sul mondo, sarebbe bizzarro che questo ambito non fos-se cosciente dei propri contenuti.

Comunque nel nostro agire è presente una qualche filosofia inconsape-vole, che appare particolarmente quando ci poniamo interrogativi fonda-mentali sul senso del nostro essere e del nostro fare: “Chi sono?”; “Qual è ilnostro destino?”; “Che cos’è la verità?” ecc. Perciò lo psicoanalista al lavo-ro inevitabilmente formula su di sé e sull’interlocutore interrogativi che siavvicinano a quelli filosofici. Però è diverso il momento in cui ci poniamointerrogativi per esempio sulle origini di una sofferenza incomprensibileche ci viene comunicata da una persona che ci chiede aiuto e il momento incui ci poniamo più in generale il problema della sofferenza dell’essereumano, del suo destino mortale, della verità dei suoi atti oppure dei proces-si di autocoscienza e della loro differenza rispetto ai processi di conoscenza

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del mondo. In quest’ultimo caso ci muoviamo in un territorio che da mil-lenni è abitato da cultori di filosofia e dovremmo quanto meno sapere chegià tante risposte sono state date a questi interrogativi, per non rischiare dipresumere di inventare la classica acqua calda e per di più un po’ torbida.

Identico discorso dovremmo fare quando Freud afferma che: «La psi-coanalisi […] si propone unicamente di cogliere in modo non contradditto-rio un aspetto della realtà» (Freud, 1921, p. 455).

È una tesi che richiederebbe la definizione di non contraddizione e direaltà, temi che sono stati oggetto privilegiato, accanto ad altri, della filo-sofia sin dalla sua origine. In questo caso Freud pone la psicoanalisi den-tro il territorio filosofico o comunque in una zona intermedia, senza alcundubbio, anche se non sappiamo se ne fosse consapevole. In questo sensopotremmo dire che la filosofia può richiedere il riconoscimento della suapresenza senza che lo psicoanalista debba mettersi nei panni del filosofo ocomunque assumere vesti simili. È invece attualmente sempre più chiaroche tale assunzione di panni altrui è diffusa e merita attenzione nella mi-sura in cui la psicoanalisi allarga i propri orizzonti e si propone di dare uncontributo alla gestione di gruppi e di istituzioni oltre che all’analisi diproblemi politici a livello internazionale o anche nazionale. Si pone così ilproblema di una più precisa definizione della sua identità, della sua diffe-renza, ma anche della sua similarità nella competenza rispetto ad altriambiti del sapere.

Ma non intendo affrontare questo problema in questa introduzione cheperò mi è sembrata opportuna per mostrare e giustificare la soluzione cheho adottato non nel rapporto con la filosofia in generale ma con un suo rap-presentante di grande valore, per non dire sommo: Emanuele Severino.

Lo studio delle sue opere è per me di antica data ma, dopo un’estesainterruzione per il privilegio dato agli studi “psicoanalitici”, ho sentito lanecessità di una ripresa perché mi si ponevano interrogativi riguardanti in-congruenze e contraddizioni nella teoria e nella prassi, che richiedevanouna consultazione con il pensiero filosofico, ovvero con chi già aveva dedi-cato un grande impegno su tematiche simili. Mi ero già ampiamente sof-fermato sull’inconsistenza di concetti come la rimozione o sull’enigmaticitàdelle definizioni dell’inconscio, ma anche sulla visione confusa del rap-porto individuo e società e avevo già trovato nella teoria di Fornari esempidi ricerca rigorosa. Sentivo però che c’era ancora qualcosa di centrale chemi sfuggiva per arrivare a una tappa conclusiva del mio percorso e per av-viarmi verso un nuovo inizio.

Cominciai a consultare, ovvero a riprendere la lettura, delle opere chegià conoscevo, in cui Severino tratta il problema della contraddizione e

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della follia che domina l’inconscio del pensiero occidentale. Dove sarebbela follia, secondo Severino? Nella convinzione che ogni cosa oscilli tral’essere e il nulla e che quindi nasca dal nulla e in esso ritorni. Di qui laconseguenza “operativa”, sia pur illusoria, basata sulla volontà di potenzache domina il nostro mondo: gestire il processo di annullamento di ciò cheè e di nascita dal nulla di ciò che ancora non è1.

È un’idea che apparentemente sembra essere molto vicina o addiritturaidentica a un concetto che utilizziamo spesso: l’onnipotenza. Capita spessodi dire che una persona va incontro a delusioni perché si attribuisce doti erisorse di cui non dispone realisticamente, così che presume di poter realiz-zare finalità che si rivelano per lui irrealizzabili. Diciamo allora che è mos-so da aspirazioni onnipotenti e che nell’onnipotenza sta la sua follia, più omeno maligna, che gli provoca specifiche sofferenze. Più essenziale è aquesto proposito il concetto di follia di cui parla Severino. Per spiegare ladifferenza rispetto al concetto di onnipotenza userò come esempio quello diun atleta che vuole ottenere nella corsa un risultato che nessuno è mai riu-scito a ottenere e che le valutazioni scientifiche considerano un obiettivoimpossibile. Facilmente diremmo che persegue un obiettivo impossibile, acausa della sua aspirazione onnipotente. Ma rimarrebbe un giudizio conmargini di aleatorietà e di opinabilità perché è noto per esempio che sonostate ottenute attualmente prestazioni che erano considerate impossibili nelpassato. Dal punto di vista di Severino direi che l’impossibile per l’atletache corre è che ottenga il risultato che vuole… stando fermo. E la follia sta-rebbe nella convinzione che correre e star fermo siano la stessa cosa, cioèche la corsa sia la non corsa. Se poi l’atteggiamento contraddittorio dellamente si impone, il risultato diventerebbe sempre e comunque un sistemati-co niente, come quando si dice che una persona si scava la terra sotto i pie-di e si intende dire che così è responsabile del suo mancato sviluppo nelcammino della vita.

Penso che nella clinica psicoanalitica dati di osservazione siano più cheabbondanti su come gli esseri umani possano essere travolti da pensiericontraddittori contenuti in messaggi dal doppio e opposto significato oppu-re da stimoli affettivi violentemente oppositivi o anche da esperienze senso-riali conflittuali come un fulmine a ciel sereno. Ed è altrettanto consuetoosservare come gli individui stessi riproducano da soli, con una sia pur re-lativa autonomia, quanto ho descritto come proveniente dall’esterno. Bastipensare agli incubi che ci fanno sobbalzare proprio nel momento in cui ciadagiamo in un meritato riposo o quando i gruppi basati sull’idea di realiz-

1 Cit. Severino (1972, 1988).

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zare il bene comune (altrimenti perché esistono?) passano il tempo a dila-niarsi al proprio interno. Siamo abituati come psicoanalisti a trattare questidati pensando che le contraddizioni e i conflitti nei quali siamo immersi di-pendano da una discordia tra due mondi: quello che conosciamo e control-liamo e quello che non conosciamo e non controlliamo: il cosiddetto incon-scio. Severino ci parla di un inconscio ancora più profondo, quello che fun-ziona come un motore produttore di… niente, come un’auto che ha il moto-re acceso ma non produce movimento perché ha il freno inserito e nessunoaziona le marce.

Ricordo a questo proposito un mio paziente silenzioso che mi si rivol-geva dicendomi: «Aiutami»; rispondevo: «Che cosa posso fare per te?»; lasua risposta era: «Ma io non ho bisogno di niente»; ma appena terminava lafrase riprendeva: «Aiutami» e si ripeteva la stessa scena. Penso che questopaziente stesse in questo modo tentando di riempire un suo vuoto terroriz-zante risultato da pensieri di questo genere: «Voglio l’aiuto che non voglio»o anche «Tu sei quello che mi aiuta non aiutandomi». Nella scena che hodescritto appariva invece almeno una logica, sia pur con vesti bizzarre, chepermetteva di capire a me e a se stesso la sua contraddizione che altrimentilo portava a essere totalmente incapace di comunicare perché il pensiero siassentava. Divenne quasi un figlio per me.

Penso che le zone dell’inconscio più lontane dalla nostra comprensionesiano quelle dove domina un vuoto di pensiero e quindi di significazione,esito di momenti traumatizzanti che hanno avuto effetti di collasso del pen-siero. Come psicoanalisti non siamo sufficientemente spesso consapevolidell’esistenza del focolaio traumatico più profondo, quello che ha prodottostati di non pensiero che influenzano gli stati mentali successivi. Si noti be-ne: non l’impensabile che potrebbe essere pensato, ma il vuoto come esitodel collasso del pensiero. Traggo queste idee dall’esperienza clinica in pri-mo luogo o dalle osservazioni sugli stati post traumatici, ma hanno avutoun ruolo conclusivo per il loro rigore le argomentazioni di Severino sul te-ma della follia che appare là dove non solo viene affermato che ogni cosapuò annullarsi, ma si pretende addirittura di dominare l’oscillazione tral’essere e il nulla: un “impossibile” sul piano della volontà perché il suocontenuto è assurdo nella misura in cui comporta l’identificazione del-l’essere al nulla. Le sue idee mi hanno permesso di completare i risultati giàottenuti diversi anni fa quando mi sono occupato del problema del sogno eho attribuito ai vuoti nello schermo del sogno la necessità di raccontarlo aqualcuno disponibile a prestare uno schermo onirico non difettoso. Già al-lora avevo intuito che lo schermo mentale nel sogno poteva presentare dei“buchi”, ovvero vuoti di pensabilità. Mi ero posto a questo proposito un

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interrogativo. Perché il sognatore sceglie un interlocutore esterno per narra-re del suo desiderio quando potrebbe più facilmente utilizzare il sogno stes-so non solo per metterlo in scena ma addirittura per darne a esso soddisfa-zione? Avanzai allora l’idea che il sognatore cercasse all’esterno qualcunoche fosse in grado di “pensare” il suo desiderio, a causa di un vuoto nel suopersonale schermo onirico. Di qui a dire che un difetto di pensabilità de-terminato da piccoli o grandi traumi costituisse il problema nucleare dellasofferenza psicologica il passo fu decisamente breve.

C’è poi almeno un altro punto del pensiero di Severino che consideroimportante come contributo per lo psicoanalista. Un contributo paragona-bile a un completamento d’immagine per il pensiero psicoanalitico, un in-sieme cioè di idee, che si accordano con quelle che già consideriamo no-stre, ma che a esse portano un’aggiunta di rigore e di chiarezza.

Per esempio la tradizione psicoanalitica classica prevede comeobiettivo della cura un ampliamento della consapevolezza di sé suffi-ciente per permettere ai soggetti in analisi di padroneggiare le proprie ri-sorse ma anche le proprie fragilità, e di assolvere con maggiore realismoai compiti che la vita richiede. Seguendo Freud ciò potrà avvenire se l’Ioriuscirà ad annettersi quelle parti del territorio inconscio che sono neces-sarie per le proprie necessità vitali. In altri termini questa idea si può an-che esprimere dicendo che la dimensione psicoanalitica della cura hacome centro operativo per l’analista l’attenzione a ciò che l’altro è perquello che è senza alcuna ambizione di costruzione secondo nostre pro-gettualità diverse da quelle che sono già inscritte nella mente e nel cuoredella persona di cui ci occupiamo.

Ovviamente lo psicoanalista non suppone che tutto si riduca a ciò cheappare, ma pone anche le condizioni affinché possa essere riconosciutoanche ciò che comincia ad apparire mentre prima era celato. Ma cosìstiamo dicendo qualcosa che è molto vicino ai principi essenziali della lo-gica severiniana quando, come contrappunto alla follia, intesa come ilvolere che una cosa divenga un’altra (e quindi anche si annulli), pone co-me pilastro del pensiero l’affermazione dell’identità di una cosa con sestessa (una cosa o, se si vuole, una persona è quella che è e non èun’altra). Se lette con attenzione queste affermazioni definiscono in modomolto chiaro ed essenziale anche il nostro assetto mentale e anzi addirittu-ra contengono la base per una nostra specifica etica, non necessariamenteidentica a quella socialmente dominante. Essa discende da quanto si dice-va prima: se il nostro compito è quello di comprendere-riconoscere qualisiano le risorse, le mancanze e a quale destino sono chiamate le personecon cui trattiamo, ne deriva che dobbiamo utilizzare qualsiasi occasione

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ci venga offerta per realizzare questo obiettivo. Se poi diciamo che il no-stro lavoro è basato sull’idea che ogni persona è quella che è e non puòessere diversa da sé, utilizzando il lessico severiniano, tale affermazionepuò essere addirittura posta come la base non solo per una nostra specifi-ca etica ma anche per il progetto di comprensione e riconoscimento del-l’identità dei nostri pazienti. Tale progetto vale infatti se ciò che ricono-sciamo o cerchiamo non è destinato ad affondare nel nulla o a uscirnecome un totale estraneo, ma suppone una permanenza che è anche al di làdi ciò che appare.

Sono però del tutto consapevole che l’impostazione del discorso psico-analitico qui delineata è profondamente diversa da quella che si basa sul-l’idea, sollecitata talvolta dagli stessi pazienti, che l’obiettivo della cura siail diventare altro da sé e che perciò l’impegno privilegiato stia nel realizza-re la propria diversità.

Penso che questa idea possa reggere sin quando non è voluta con coe-renza perché la realizzazione completa e integrale di tale diversità è il nulladi sé. Che cosa infatti c’è di maggiormente altro rispetto a sé del proprioannullamento?

Prima di procedere vorrei raccogliere le osservazioni, sin qui raccolte,sul pensiero di Severino che mi sembrano importanti per rendere, come hogià detto, ancor più solida la base delle idee che reggono la nostra prassipsicoanalitica:• il rilievo della diffusa convinzione, esplicita o implicita, che le cose

oscillino tra l’essere e il nulla (vanno nel nulla da cui sono uscite e viritornano). È una convinzione, paragonabile a una fede che né può es-sere dimostrata né regge logicamente. Tale convinzione stimola peròl’aspirazione a gestire il processo di creazione-annullamento. È la follianichilistica;

• la radice della follia: la credenza che una cosa che è possa non esserequello che è. L’affermazione contiene la negazione di se stessa, cioèammette di poter non essere. È un esito che porta con sé l’assenza dipensiero, ovvero il nulla, generatore di angoscia. Questa tesi ci per-mette di dare una versione più consistente all’usuale concetto di onni-potenza, depurandolo per di più dai margini di opinabilità che sono aesso legati. Chi infatti può dire che una grande idea (definita onnipo-tente) possa essere con certezza irrealizzabile? Non rischiamo di mi-surare i limiti dei nostri interlocutori sui nostri limiti? Seguendo Seve-rino l’impossibile diventa ciò che apre al nulla quando il pensiero sisviluppa identificando gli opposti. E la sofferenza più profonda sorgelà dove il pensiero si spegne e la sua assenza diventa intollerabile. Il