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REGIONE CALABRIA
ASSESSORATO AGRICOLTURA FORESTE E FORESTAZIONE
Dipartimento n.6
PIANO FORESTALE REGIONALE
2007-2013
PARTE I
Accademia Italiana di Scienze Forestali
Dipartimento di Difesa del Suolo, Università della Calabria
Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari e Forestali,
Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria
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OBIETTIVO 1
1. MIGLIORAMENTO DELL’EFFICIENZA E DELL’EFFICACIA DELLA PIANIFICAZIONE E DELLA GESTIONE DEL SISTEMA FORESTALE REGIONALE
1.1 AZIONE 1A: ADEGUAMENTO DELLA NORMATIVA REGIONALE DI RIFERIMENTO
Nel paragrafo 6.4 Parte I, abbiamo rilevato come al momento non vi siano a livello regionale specifici strumenti di legge in materia di foreste, se non relativi all’assetto istituzionale e operativo per la gestione delle funzioni amministrative.
Il quadro normativo appare quindi carente delle normative di legge e regolamentari che recepiscano le norme quadro e le direttive nazionali in questa materia e attraverso cui siano esplicitate anche le linee politiche e operative nell’ambito delle specifiche competenze regionali di settore.
L’opportunità della creazione di uno specifico quadro normativo di settore emerge quindi da diverse esigenze e obiettivi:
- applicare alla realtà regionale le linee di politica nazionale e, attraverso esse, quelle di politica comunitaria e internazionale;
- esplicitare le linee di politica forestale nell’ambito delle specifiche competenze regionali, coordinando le stesse con il quadro più complessivo e organico della politica regionale;
- supportare la pianificazione e migliorare l’efficienza di gestione delle azioni di settore attraverso la creazione di un quadro organico di norme a contenuto tecnico e di procedure amministrative, in grado di snellire i procedimenti amministrativi e di rendere al tempo stesso più efficace la verifica preliminare e l’azione di controllo sugli interventi pubblici e privati;
- assicurare la massima coerenza nel rapporto trilaterale tra vincoli e norme di tutela / obiettivi di conservazione e di sviluppo / realtà ed esigenze locali.
Il quadro normativo di settore, per rispondere ai suddetti obiettivi ed esigenze potrebbe articolarsi come segue:
1. Una legge forestale regionale che:
- indichi i principi e le norme di riferimento in grado di dare attuazione alle linee e agli obiettivi della politica forestale nazionale, comunitaria e internazionale per la gestione delle foreste e, più in generale, delle azioni forestali in rapporto alla realtà regionale e agli orientamenti della politica regionale;
- recepisca le norme previste da leggi quadro nazionali e da provvedimenti nazionali di recepimento di direttive comunitarie indicando le modalità, le procedure e gli strumenti di attuazione a livello regionale;
- definisca l’ambito e le procedure di applicazione dei vincoli nonché le azioni di tutela dagli stessi derivanti, con riferimento al vincolo idrogeologico e al regime dell’uso dei suoli e delle attività boschive ma anche ai vincoli e alle
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azioni di tutela legate ai nuovi obiettivi della politica forestale (biodiversità, cambiamento climatico, desertificazione,ecc.);
- delinei e supporti l’intervento pubblico in questo settore indicando i soggetti, le procedure e gli obiettivi da perseguire in rapporto alla prevenzione dei rischi e al risanamento dei danni nelle foreste e nel territorio;
- coordini l’applicazione della normativa forestale con le altre norme di tutela e con gli altri interventi pubblici di carattere regionale e locale.
2. Un regolamento forestale regionale che:
- definisca i procedimenti amministrativi e la normativa tecnica per l’attuazione degli interventi soggetti a tutela in base alla legge forestale;
- indichi le norme di prevenzione contro i rischi di danno alle foreste e ai territori vincolati, con particolare riferimento alla prevenzione degli incendi boschivi e del dissesto idrogeologico.
3. Regolamenti locali:
- da adottarsi da parte dei soggetti pubblici cui siano attribuite le funzioni amministrative previste dalla legge;
- che dovrebbero disciplinare i procedimenti amministrativi di competenza del soggetto pubblico destinatario di funzioni;
- che potrebbero introdurre eventuali specificazioni alla normativa regionale sulla base di particolari esigenze locali già individuate dalla legge o dal regolamento regionale.
4. Strumenti di pianificazione e programmazione degli interventi pubblici.
5. Altri provvedimenti amministrativi regionali e locali previsti dalla legge forestale per dare attuazione a specifiche attività.
6. Strumenti di pianificazione della gestione forestale dei boschi di proprietà privata, resi obbligatori o facoltativi in rapporto alla dimensione aziendale e all’eventuale accesso a incentivi pubblici.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· redazione di un testo di proposta di legge forestale regionale;
· redazione del testo o dei testi delle nuove Prescrizioni di Massima e Polizia Forestale o di un regolamento forestale regionale/comprensoriale in attuazione della legge forestale regionale;
· aggiornamento annuale del piano pluriennale regionale antincendi boschivi conforme alla legge quadro n. 353/2000;
· introduzione della normativa di riferimento per la lotta alle fitopatie;
· introduzione della normativa di tutela per la conservazione e miglioramento della biodiversità;
· introduzione della normativa per la regolamentazione della fruizione turistica.
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1.2 AZIONE 1B: ADEGUAMENTO E COMPLETAMENTO DEL QUADRO CONOSCITIVO E
DEI SUPPORTI DI GESTIONE
Ogni atto di corretta programmazione richiede una adeguata base conoscitiva, che consenta di tradurre le indicazioni di programma in interventi concreti e mirati al raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Questo stesso Piano Forestale parte da un quadro conoscitivo, sviluppato nella prima sezione, che fa tesoro di tutte le conoscenze attualmente disponibili riguardo non solo alle risorse forestali, ma anche all’ambiente fisico della Calabria nel suo insieme e agli aspetti normativi, organizzativi e d’altra natura che determinano la particolare fisionomia dell’amministrazione pubblica forestale della regione.
Ciò non toglie che ulteriori conoscenze e informazioni debbano essere acquisite per fornire al piano stesso una concretezza di obiettivi. È per questo motivo che nella seconda delle azioni strategiche che sorreggono la stesura del piano è stata posta la necessità d’integrare il quadro delle conoscenze esistenti per quegli aspetti che sono giudicati attualmente insufficienti.
L’operazione più appropriata consiste nell’individuare, attraverso lo sviluppo delle varie parti del piano, quali sono i momenti conoscitivi che occorre approfondire per dare maggiore concretezza e credibilità all’attuazione futura del piano stesso. In altre parole, è il Piano Forestale che individua in prima battuta le necessità d’informazione e conoscenza, cui dovrà essere data immediata risposta già dai primi anni dalla sua attuazione.
La prima necessità che si impone con molta evidenza è quella di dare congruenza alle informazioni di varia fonte e origine (ISTAT, Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio, Censimento Generale dell’Agricoltura, ecc.), che riguardano le stesse risorse forestali. In questo senso, si ritiene di dovere proporre l’attivazione di un sistema informativo che comprenda l’inventario forestale della regione, ma non si risolva solamente in esso. L’inventario dovrà essere infatti momento principale del sistema informativo delle risorse forestali della Calabria, che sarà accompagnato da altre iniziative, che vedono nella carta forestale regionale, nell’inventario dei terreni rimboschiti, nella carte del pericolo e dei rischi da incendi boschivi un necessario complemento.
Il progetto dell’inventario forestale della Calabria può essere elaborato in tempi ravvicinati, sfruttando anche l’ipotesi maturata in altre regioni di procedere all’implementazione degli inventari regionali attraverso l’infittimento della rete di rilevamento del II Inventario Forestale Nazionale e la lettura di immagini telerilevate.
Per quanto riguarda i rimboschimenti, vista l’importanza che rivestono per la Calabria e la superficie che occupano, sarebbe opportuno predisporre la realizzazione di un inventario ad hoc.
La Calabria è tra le regioni maggiormente colpite dagli incendi boschivi per cui bisognerà definire delle linee guida per la perimetrazione delle aree percorse dal fuoco, un censimento delle strutture e infrastrutture antincendio oltre alla già citata redazione delle carte del pericolo e dei rischi da incendi.
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La regione, particolarmente ricca di aree protette, dovrebbe inoltre predisporre delle linee guida per la gestione degli habitat forestali nelle aree della Rete Natura 2000.
Tutte queste fonti informative concorreranno alla realizzazione di un sistema informativo forestale funzionale non solo, a problemi conoscitivi e ricognitivi, ma anche a esigenze di programmazione e realizzazione degli interventi, in quanto i dati del sistema, prontamente disponibili, potranno essere direttamente utilizzati dagli operatori pubblici e privati.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· predisposizione dell’inventario forestale regionale;
· predisposizione dell’inventario dei terreni rimboschiti;
· predisposizione della carta forestale;
· realizzazione di un sistema informativo forestale;
· redazione della carta del pericolo e dei rischi da incendi boschivi;
· censimento delle strutture e infrastrutture antincendio;
· definizione delle linee guida per la perimetrazione delle superfici boscate percorse da incendio;
· realizzazione di un catasto delle opere di bonifica a carattere intensivo;
· definizione delle linee guida per la gestione degli habitat forestali nei siti della Rete Natura 2000.
1.3 AZIONE 1C: PIANIFICAZIONE COMPRENSORIALE E AZIENDALE, PROGRAMMAZIONE E PROGETTAZIONE DEGLI INTERVENTI, MONITORAGGIO FISICO E
FINANZIARIO DEGLI INTERVENTI PROGRAMMATI
Pianificazione e gestione forestale indicano due attività strettamente connesse l’una all’altra che da sempre contraddistinguono l’azione dei forestali, pur nei profondi cambiamenti nel modo di concepire il bosco che hanno portato a significativi mutamenti nel complesso rapporto uomo - bosco - ambiente.
La pianificazione forestale si divide in tre diversi livelli pianificatori: territoriale, comprensoriale e aziendale.
La pianificazione a livello territoriale o di primo livello compete alla regione che, sulla base di una analisi dettagliata delle caratteristiche dei sistemi forestali e di quelli a essi collegati (inventari forestali, statistiche sulle imprese di prima e seconda lavorazione del legno, manodopera, ecc.), delinea la programmazione a medio e lungo termine, definisce le linee generali di politica forestale e stabilisce le linee operative per la salvaguardia delle caratteristiche ambientali, sociali ed economiche del comprensorio.
La pianificazione di secondo ordine o a livello di comprensorio, rappresenta la fase di passaggio e di collegamento tra la pianificazione di primo e di terzo livello. Spetta a organismi pubblici delegati dalla regione, oppure a enti
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pubblici anche consorziati tra di loro e/o con privati, oppure ad associazioni di privati. Essa consente di perseguire obiettivi comuni in rapporto alle specifiche condizioni di ciascuna area, di coordinare e razionalizzare gli interventi sul territorio, di valorizzare le produzioni anche di aziende di piccole dimensioni che altrimenti trovano difficoltà nelle utilizzazioni e nella commercializzazione dei loro prodotti, di realizzare economie di scala, di corrispondere alle esigenze delle popolazioni locali, di valorizzare il territorio nel suo complesso. Concorre alla definizione in ambito locale della pianificazione nel rispetto delle dinamiche ambientali e socio-economiche del territorio.
Questo tipo di pianificazione si concretizza nella redazione di un piano forestale comprensoriale; tale attività richiede una approfondita analisi di carattere qualitativo e quantitativo della realtà territoriale in grado di rappresentare le caratteristiche dell’area dal punto di vista ecologico e dei sistemi forestali. Richiede inoltre l’analisi del tessuto delle imprese di utilizzazione presenti sul territorio, con riferimento anche alle tecnologie eventualmente impiegate nella fase di utilizzazione e alla relativa viabilità interna al bosco, alla possibile utilizzazione delle masse che si possono ricavare e quant’altro possa risultare utile a meglio caratterizzare le diverse situazioni. Questi elementi dovranno essere accompagnati da cartografie tematiche che consentano di avere immediatamente percezione dell’area oggetto di interesse e delle sue principali caratteristiche sotto molteplici aspetti (geologico, pedologico, idrografico). Inoltre, dovranno essere tali da poter essere continuamente aggiornate nel momento in cui si opera sul territorio stesso in modo che diano una rappresentazione aderente alla realtà.
In assenza di una pianificazione di terzo livello o aziendale, cioè il piano di assestamento, le prescrizioni contenute nel piano forestale comprensoriale saranno vincolanti nella gestione di tutti i demani forestali pubblici e delle proprietà private. Nel caso di proprietà private di limitata estensione, per le quali anche nel futuro potrebbe essere problematica, per ragioni di ordine finanziario, la redazione di piani di assestamento, il piano forestale comprensoriale rappresenterà il documento vincolante ai fini della gestione.
La pianificazione a livello aziendale, spetta agli enti pubblici e ai privati proprietari di boschi, sia singoli che associati. Essa consiste nella redazione di un piano di assestamento o piano economico dei beni silvo-pastorali o piano di gestione, congruente con quello comprensoriale, nel quale sono prescritte le regole per una gestione che non penalizzi gli interessi del proprietario e salvaguardi, nel contempo, sia gli interessi della collettività sia la continuità della produzione e dei servigi che il bosco è in grado di fornire. Sono descritte e quantificate, particella per particella, le operazioni colturali da eseguire sul soprassuolo, indicandone la distribuzione sul terreno e l’anno di esecuzione.
Da quanto emerso dalla descrizione dello stato attuale della pianificazione in Calabria (cfr. par. 5.1 Parte I), si evince che in questa regione, così importante dal punto di vista forestale, vi è una carenza pianificatoria, determinata dalla mancanza di piani di secondo e terzo livello o non applicazione di quelli esistenti; da qui deriva la necessità di programmare nei prossimi anni la redazione di piani comprensoriali e piani aziendali su foreste di proprietà pubblica e privata.
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A seguito della stesura di questo nuovo Piano Forestale Regionale, si propone a livello comprensoriale, per territori che siano più o meno vasti e che presentano al loro interno, sia a livello forestale sia economico e sociale, caratteristiche comuni e per i quali è possibile individuare obiettivi comuni di gestione territoriale e coordinare la gestione dei sistemi forestali, la redazione di piani comprensoriali.
Questi piani riguarderanno la gestione di territori di proprietà di comuni, enti o privati consociati tra loro e vista la forte presenza di rimboschimenti in Calabria, alcuni di essi potrebbero essere gestiti in modo unitario con piani di questo tipo, in modo da fornire uniformità alle indicazioni gestionali e da migliorarne e incentivarne l’applicabilità.
Per una pianificazione di maggior dettaglio che stabilisca e quantifichi gli interventi bisogna scendere al livello di azienda, e i singoli enti o proprietari boschivi, come singoli o associati, dovranno impegnarsi nella redazione di piani di assestamento o di gestione che assicurino loro redditi, derivati dalla produzione legnosa, ma che salvaguardino anche i valori ambientali e naturalistici che le loro proprietà possiedono.
La regione si impegnerà nella definizione di linee guida che stabiliscano dei criteri generali per la redazione dei piani comprensoriali e aziendali e di una normativa che disciplini la pianificazione, con incentivi per la sua realizzazione e applicazione. Altri punti fondamentali risultano: la programmazione, la progettazione esecutiva e il monitoraggio fisico e finanziario dell’attuazione degli interventi pubblici o realizzati con incentivi pubblici. Anche in questo caso la regione dovrà provvedere alla predisposizione di linee guida e/o disposizioni normative che disciplinino queste attività.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· realizzazione di un sistema informativo forestale;
· definizione delle linee guida per la redazione dei piani forestali comprensoriali e aziendali;
· definizione delle linee guida/disposizioni per la programmazione, per la progettazione esecutiva nonché per il monitoraggio fisico e finanziario dell’attuazione degli interventi pubblici o attuati con incentivi pubblici.
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OBIETTIVO 2
2. MIGLIORAMENTO DELL’ASSETTO IDROGEOLOGICO, CONSERVAZIONE DEL SUOLO, FISSAZIONE DEL CARBONIO
2.1 AZIONE 2A: GESTIONE FORESTALE ORIENTATA ALLA CONSERVAZIONE DEL
SUOLO
Il territorio della Calabria, come ampiamente descritto nel capitolo 1 Parte I, presenta delle peculiarità che lo rendono particolarmente vulnerabile in termini idrologici e di erosione dei suoli.
In questo contesto il mantenimento della copertura forestale in buono stato funzionale rappresenta pertanto un obiettivo prioritario da perseguire anche in una ottica moderna di gestione integrata delle risorse naturali. La necessità di una visione integrata acqua-bosco diventa imprescindibile anche alla luce dei rapidi cambiamenti innescati a livello planetario dall’attività antropica. Questo nuovo approccio ecosistemico nell’ambito delle politiche ambientali è stato introdotto dalla Svizzera in occasione del forum mondiale sull’acqua, tenutosi alla fine di marzo 2003. L’approvvigionamento idrico del pianeta può essere garantito solamente assicurando, in modo prioritario, la protezione e l’utilizzazione sostenibile degli ecosistemi quali le foreste, che captano l’acqua, la filtrano, la immagazzinano e infine la ridistribuiscono.
Il ruolo del bosco nel ciclo dell’acqua oggi viene inquadrato nel panorama più ampio della sostenibilità della gestione forestale. Ma il principio della sostenibilità implica anche una nuova cultura dell’acqua, assumendo nuovi valori sociali e ambientali, che trascendono gli interessi economici in gioco (www.gruppo183.org). Dalla prospettiva che apre il nuovo principio di sostenibilità, l’acqua e il bosco non possono essere considerati come semplici beni economici, come semplici canali o magazzini di acqua o come semplici magazzini di legno. Da ciò deriva la necessità di approcci integrati in tema di gestione delle risorse.
Le tre dimensioni di base su cui poggia la gestione forestale sostenibile riguardano la tutela dell’ambiente, il rispetto delle esigenze sociali e l’ efficienza economica.
Nella tutela dell’ambiente, oltre all’aumento della biodiversità e al contenimento dell’incremento di CO2 in atmosfera, rientra anche la conservazione del suolo nei tre aspetti tra loro interconnessi e riguardanti l’efficacia del bosco sulla regimazione idrica, il suo ruolo sulle risorse idriche e nella lotta alla desertificazione.
Sono aspetti tra loro complementari perché l’efficacia dei sistemi forestali nel controllo dell’idrologia superficiale lungo i versanti determina una maggiore disponibilità di acqua nel suolo, un minore dilavamento e conseguentemente minore erosione superficiale. Il controllo dell’erosione contribuisce, altresì, a non alterare la capacità di invaso dei suoli con ricadute a scala di bacino sulla trasformazione degli afflussi in deflussi.
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L’interazione tra bosco e ciclo dell’acqua si manifesta in maniera differente nei diversi ambienti forestali, è funzione del contesto climatico e dipende dalla scala spaziale e temporale di analisi dei fenomeni. Tali relazioni possono essere valutate, infatti, nella dimensione spaziale, a livello di popolamento e a scala di bacino, e in quella temporale in funzione delle modificazioni conseguenti a cause naturali (eventi calamitosi) o antropiche (incendi, pascolo, tagli irrazionali).
Una peculiarità che i boschi presentano nei confronti delle altre caratteristiche del bacino idrografico (la morfologia, la geologia, le condizioni climatiche) è quella di essere l’unico fattore modificabile in tempi relativamente brevi per cause naturali o antropiche (IOVINO e VELTRI, 2004).
I processi attraverso i quali il bosco interviene sul ciclo dell’acqua riguardano l’intercettazione della pioggia, che si manifesta a livello di soprassuolo, l’infiltrazione, che si sviluppa a livello del suolo e l’evapotraspirazione che coinvolge entrambi. Insieme regolano direttamente e indirettamente i volumi d’acqua presenti nel suolo, e quindi anche i processi erosivi, a cui sono in buona parte legate le modalità di generazione dei deflussi.
Sono condizionati dall’ambiente climatico (regime pluviometrico, condizioni termiche, ventosità, radiazione) e variano in relazione alle condizioni strutturali dei popolamenti (composizione specifica, densità, età, profilo verticale). Queste ultime hanno una loro dinamicità, dovuta a cause naturali o a fattori antropici che sono strettamente connessi all’attività forestale ovvero alle diverse modalità esecutive degli interventi e alla loro relativa pianificazione spaziale e temporale, cioè alla gestione forestale.
Nel settore montano tali interazioni assumono particolare rilevanza perché l’idrologia del versante è predominante su quella del collettore.
Sull’effetto antierosivo del bosco esiste una convergenza di opinioni degli studiosi, giacché la scarsa erosività dei suoli forestali e la conseguente limitazione della portata solida dei corsi d’acqua proveniente da bacini molto boscati sono fatti generalmente ammessi. Infatti i processi di distacco delle particelle di suolo sono dovuti sia alla energia con cui le gocce di acqua arrivano al suolo, sia alla erodibilità intrinseca dei suoli stessi, mentre il trasporto delle particelle per ruscellamento è connesso alla quantità di acqua che scorre in superficie, non riuscendo a penetrare nel suolo. Il bosco interviene in questo processo con un’azione di tipo meccanico e biologico, cioè proteggendo il suolo con il meccanismo dell’intercettazione e migliorandolo nel contempo con il rifornimento di sostanza organica a causa della decomposizione della lettiera.
In occasione di piogge intense, il bosco esplica una importante azione di dissipazione della forza viva delle gocce d’acqua, che, per effetto delle chiome, del sottobosco e della lettiera, raggiungono il suolo con velocità ridotta senza alterarne la struttura (CIANCIO e IOVINO, 1995).
La gestione forestale è strettamente connessa alla difesa del territorio in particolare per quanto riguarda l’attuazione di interventi mirati a garantire l’efficacia dei boschi sul controllo del deflusso delle acque meteoriche e dei fenomeni erosivi. Ciò ha portato in passato, a partire dal secondo dopoguerra, al
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rimboschimento di ampie superfici (120000 ha in 20 anni) nell’ambito della realizzazione di numerose opere di sistemazione idraulico-forestale, nonché alla realizzazione della viabilità di servizio necessaria all’attuazione degli interventi e alla loro successiva manutenzione.
Queste azioni, svolte da soggetti pubblici, si integravano con una “cura diffusa” del territorio condotta dalle popolazioni residenti, attraverso gli interventi selvicolturali e il mantenimento della funzionalità delle sistemazioni idraulico-agrarie.
Il venir meno di queste attività a seguito del progressivo spopolamento dei territori montani e quindi della riduzione dell’attività agricola e forestale è andato pian piano assumendo dimensioni tali da pregiudicare, o comunque mettere a rischio, l’equilibrio idrogeologico del territorio.
In questo contesto l’attività forestale da parte degli enti pubblici costituisce, come indicato anche dalla Legge n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo, uno degli strumenti fondamentali per garantire la salvaguardia del territorio nella sua più ampia accezione.
La conservazione del suolo, intesa come insieme delle operazioni che sinergicamente mirano a contenere i danni derivanti da errata gestione delle risorse e da incuria in territori caratterizzati da evidenti fattori di rischio, delinea un ambito di intervento tipicamente trasversale. Esso, per sua natura, assume quindi caratteristiche interdisciplinari, interprofessionali e interistituzionali, nel senso che coinvolge più tecniche, più specializzazioni professionali ed è suddiviso fra i servizi agroforestali, ambientali e relativi alle opere dell’amministrazione pubblica.
Tradizionalmente, gli interventi di difesa del suolo curati dalla amministrazione forestale consistono nelle opere di sistemazione idraulico-forestale, che si pongono in continuità e in contiguità con le opere idrauliche e di bonifica, affidate ad altri soggetti. Considerato il significato che la copertura arborea e arbustiva riveste nella conservazione del suolo e nella stabilità dei versanti nelle aree collinari e montane, emerge non solo la necessità di aumentare l’indice di tale copertura, ma anche di gestire correttamente le risorse forestali.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· monitoraggio delle aree già sottoposte a interventi di sistemazione del suolo, e di quelle a pericolosità idrogeologica (L. n. 183 del 1989);
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti attuati con tecniche finalizzate alla conservazione del suolo;
· interventi di miglioramento o ripristino delle aree boschive danneggiate dal fuoco o da altre avversità naturali;
· manutenzione della viabilità silvo-pastorale;
· realizzazione di opere pubbliche di salvaguardia idrogeologica nelle aree gravemente colpite da incendi boschivi conformemente all’Art. 10 legge 353/2000.
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2.2 AZIONE 2B: INTERVENTI DI BONIFICA MONTANA A CARATTERE ESTENSIVO
Gli interventi di bonifica montana a carattere estensivo si riferiscono alle opere di rimboschimento con finalità di conservazione del suolo, al controllo della vegetazione in alveo e sulle sponde dei corsi d’acqua, e al recupero delle aree precalanchive e calanchive.
I rimboschimenti tradizionalmente hanno costituito e costituiscono uno strumento sinergico e di completamento delle opere di natura idraulica nell’ambito della sistemazione dei bacini montani. In questo campo in Calabria c’è una consolidata tradizione nata dalla politica di restaurazione forestale dei territori completamente denudati per effetto delle distruzione del bosco eseguita su ampie superfici.
Il recupero dei territori collinari e montani, con limitazioni tali da precludere ogni possibilità di utilizzazione agricola, insieme alla naturalizzazione dei rimboschimenti (cfr. par. 3.6 Parte II), rappresentano oggi un obiettivo strategico nella salvaguardia e valorizzazione ambientale. I nuovi orientamenti della politica forestale dell’Unione Europea sono tesi a incentivare la riforestazione e l’afforestazione di superfici agricole e non, con finalità sia ambientali che produttive. Inoltre, nel Programma Nazionale per la Lotta alla Desertificazione, approvato con delibera del CIPE del 21 dicembre 1999, tra le misure da adottare per la protezione del suolo figura, oltre alla gestione sostenibile dei boschi, l’ampliamento della superficie forestale.
I rimboschimenti rappresentano pertanto una soluzione sempre più diffusamente adottata nell’ambito del restauro ambientale di aree degradate ma anche di territori nei quali l’agricoltura diventa progressivamente marginale.
In Calabria, la degradazione dei suoli per cause antropiche, che è la manifestazione più evidente della desertificazione, interessa, considerando solamente le superfici a rischio medio alto e alto, circa 300000 ha di superficie.
Molte di queste aree ricadono nei territori collinari e montani nei quali, oltre a una oculata gestione del suolo, bisognerà ampliare la copertura forestale che rappresenta il mezzo più efficace per contrastare l’erosione superficiale e per attenuare gli effetti devastanti di fenomeni naturali particolarmente intensi.
Il mezzo tradizionalmente utilizzato è rappresentato appunto dai rimboschimenti, che rientrano nel più vasto campo della gestione territoriale e, per l’obiettivo che con essi si persegue, si configurano come interventi di restauro ambientale.
Le soluzioni tecniche variano in relazione alle diverse situazioni e possono ricondursi alla ricucitura paesaggistica delle aree forestali disperse nel mosaico territoriale, alla ricolonizzazione forestale di aree abbandonate dall’agricoltura, al recupero di versanti degradati e/o di terreni marginali.
Il primo caso riguarda i rimboschimenti destinati a costituire uno dei principali strumenti di ricucitura dei lembi residuali di vegetazione naturale e seminaturale nelle aree dominate dall’attività agricola. Ciò richiede che in fase di pianificazione e di progettazione si tenga in adeguato conto della complessità dei rapporti spaziali e funzionali intercorrenti tra gli elementi del paesaggio e la
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connessa varianza multiscalare nei diversi ordini gerarchici impiegati nella descrizione del paesaggio (CHIRICI et al., 2000).
Inoltre, bisogna valutare i processi naturali di conquista dello spazio da parte della vegetazione forestale e adottare modalità di intervento atte ad assecondarli; a esempio l’inserimento a piccoli gruppi di ecotipi locali, sulla falsa riga del pattern naturale della vegetazione, accelera la riconquista al bosco delle aree nude e la rioccupazione per via autonoma di vuoti e radure (CIANCIO, 2001).
La ricostituzione spontanea della copertura forestale su campi e pascoli abbandonati è un fenomeno sempre più frequente e probabilmente più veloce di quanto si pensava, perché spesso le prime fasi della successione classica arbusteto-vegetazione arborea, si succedono in tempi brevi, rendendo così concreta la possibilità di una più rapida ricostituzione arborea su vaste superfici a partire da nuclei di specie già affermate (GIORDANO, 1995; NOCENTINI, 2000).
Molto dipende dalla vicinanza di nuclei di disseminazione di specie arboree, dalle condizioni del suolo, dal regime idrologico, dalla presenza e dalla possibilità di movimento di specie animali che possono favorire o inibire la disseminazione e l’affermazione delle piante arboree e arbustive (GUIDI et
al.,1990; BAGNARESI e MINOTTA, 1994; NOCENTINI, 2000). In questi casi è necessario un attento monitoraggio dei processi in atto in modo da ricavare indicazioni che possono essere utili per assecondare i meccanismi spontanei o per creare le condizioni favorevoli al loro innesco in aree limitrofe.
Il recupero dei versanti in preda a intensi fenomeni di erosione e delle aree dimesse dall’agricoltura rappresentano ambiti ancora oggi molto rappresentati e nei quali le modalità di intervento sono diverse dai due precedenti casi.
Nella progettazione di un impianto con specie forestali, l’obiettivo che si vuole perseguire è funzione anche delle condizioni ambientali entro cui ricadono le aree interessate. La loro individuazione a scala di bacino andrebbe effettuata avvalendosi di strumenti di supporto alla pianificazione del territorio. La valutazione dell’attitudine del territorio, intesa come idoneità potenziale, consiste nella scelta dei fattori ambientali da considerare al fine della distribuzione spaziale delle aree nelle quali la loro combinazione è tale da soddisfare i requisiti richiesti per l’uso considerato (CORONA et al., 1998).
A questo fine l’applicazione di metodi di valutazione del territorio, come a esempio la Land Capability Classification, consente, in funzione del livello e del tipo di limitazioni, di eseguire una prima discriminazione tra le aree in cui è possibile realizzare impianti per arboricoltura da legno e quelle da recuperare al bosco mediante rimboschimenti. La capacità d’uso dei suoli, infatti, dipende sia dalle caratteristiche fisico-chimiche dei suoli, che da alcuni elementi del territorio (pendenza, stabilità dei versanti, condizioni climatiche, ecc.) che condizionano direttamente la possibilità di un determinato uso (es. limitazioni nella scelta delle colture, nella meccanizzazione, ecc.) o rendono il territorio vulnerabile ai processi di degradazione (es. erosione) (DIMASE e IOVINO, 1988).
L’altro aspetto da considerare riguarda la valutazione dei riflessi negativi che gli interventi progettati possono avere: dal decespugliamento alle eventuali opere di livellamento e spietramento del versante e, almeno nei primi anni post-
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impianto, alle cure colturali. È necessario, pertanto, un vaglio e una pianificazione iniziale, un controllo in fase di esecuzione e, eventualmente, un intervento di ripristino al termine dei lavori (CORONA et al., 1996). L’impiego scorretto e intempestivo della meccanizzazione può causare costi indiretti che controbilanciano, in alcuni casi, i numerosi e giustificati motivi che ne hanno favorito la diffusione (LUCCI, 1993). Essa, infatti, ha una minore capacità di adattamento alle precipue caratteristiche stazionali, spesso assai mutevoli anche nell’ambito di un solo cantiere di rimboschimento.
Nella fase preparatoria i rischi in situ predominanti sono: a) erosione superficiale diffusa, incanalata e di massa; b) compattamento del suolo; c) asportazione e riduzione della sostanza organica o suo trasferimento in porzioni meno attive del suolo; d) alterazione del bilancio idrico del suolo; e) deterioramento dell’attività biologica e del ciclo degli elementi nutritivi (CORONA et al., 1996).
Anche se l’evoluzione tecnologica consente adattamenti o miglioramenti al fine di operare in sicurezza ambientale nelle aree più svantaggiate e a rischio, è necessario comunque valutare l’opportunità di limitare l’intensa meccanizzazione di determinati interventi alle condizioni stazionali migliori.
Insieme a questi aspetti preliminari, i problemi tecnici da affrontare in fase di progettazione sono riconducibili a:
- analisi puntuale dei caratteri ambientali dell’area interessata dall’intervento (diagnosi della stazione): il termine stazione indica l’insieme delle condizioni ambientali che possono influenzare la crescita e lo sviluppo di una comunità vegetale. Gli elementi che concorrono a definire i caratteri ecologici della stazione sono climatici, pedologici e vegetazionali, tra i quali esistono precise relazioni. Oggi l’inquadramento ecologico dovrebbe essere completato anche da indagini sulla fauna e avifauna dell’area. Sono tutti fattori che consentono di conoscere l’ambiente in cui si deve operare e quindi decisivi per le azioni da intraprendere;
- definizione della tecnica colturale da applicare (scelta delle specie, materiale d’impianto, tecnica di impianto, cure colturali).
In merito alla scelta della specie è noto che bisogna conciliare le preferenze ecologiche di ciascuna specie con le possibilità di adattamento alle condizioni ambientali. Gli elementi da esaminare sono: a) condizioni climatiche e pedologiche dell’area; b) autoecologia delle specie (temperamento nei confronti dei principali elementi climatici, esigenze edafiche); c) adattabilità alle caratteristiche stazionali (in generale le specie indigene e le provenienze locali sono quelle che meglio si adattano alle condizioni ambientali in cui si opera).
Riguardo alle tecniche d’impianto (il decespugliamento, la lavorazione del suolo con eventuale spietramento e, in situazioni morfologiche particolari, modellamento dei versanti, la semina o la piantagione), dovranno essere seguite con modalità diverse in relazione alle condizioni morfologiche e pedologiche e a quelle climatiche dell’area con l’obiettivo di: a) eliminare e controllare la vegetazione preesistente; b) facilitare la piantagione e ridurre fenomeni di competizione per acqua, luce ed elementi nutritivi; c) creare migliori condizioni
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per l’impianto, l’attecchimento e il rapido e proporzionato sviluppo degli apparati radicali; d) determinare il massimo sfruttamento delle acque piovane, specialmente dove il regime pluviometrico è sfavorevole e il rapporto precipitazioni/evapotraspirazione è deficitario.
Le cure colturali (risarcimenti, controllo della vegetazione arbustiva e erbacea, lavorazioni superficiali del suolo) dipendono molto dal tipo di vegetazione e dal suo grado di sviluppo che è legato alla fertilità del suolo, alla precedente destinazione e al precedente trattamento (decespugliamento). Tali interventi potranno essere finanziati per i primi tre anni dall’impianto, periodo necessario alle piantine per assumere dimensioni tali da superare la concorrenza.
Un discorso a parte merita il recupero delle aree soggette a intensi fenomeni di erosione di tipo calanchivo. In situazioni di abbandono colturale la sistemazione estensiva “in verde” dei calanchi, basata essenzialmente su indirizzi naturalistici, dovrebbe oggi infatti essere privilegiata rispetto alla capillare sistemazione idraulico-agraria un tempo operata direttamente dagli agricoltori. Tale sistemazione “in verde” si basa essenzialmente sulla realizzazione di briglie in terra, con la ricolonizzazione naturale aiutata dall’uomo delle risultanti colmate, corredata da semine e piantagioni di specie erbacee e arbustive nei compluvi minori e da affossature nelle aree precalanchive.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· monitoraggio delle aree già sottoposte a interventi di sistemazione del suolo, e di quelle a pericolosità idrogeologica (L. n. 183 del 1989);
· valutazione dell’attitudine del territorio e individuazione di aree idonee;
· interventi di rimboschimento;
· controllo della vegetazione in alveo e lungo le sponde dei corsi d’acqua minori;
· recupero delle aree precalanchive e calanchive;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio;
· realizzazione di opere infrastrutturali e complementari agli interventi;
· interventi di miglioramento o ripristino delle aree boschive danneggiate dal fuoco o da altre avversità naturali;
· realizzazione di opere pubbliche di salvaguardia idrogeologica nelle aree gravemente colpite da incendi boschivi conformemente all’Art. 10 legge 353/2000;
· formazione e qualificazione del personale.
2.3 AZIONE 2C: INTERVENTI DI BONIFICA MONTANA A CARATTERE INTENSIVO
Gli interventi di bonifica montana a carattere intensivo si riferiscono a opere volte alla stabilizzazione dei versanti, alla correzione dei torrenti, alla viabilità silvo-pastorale.
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Nell’ambito di quest’azione la regione si impegnerà a definire le linee guida per la realizzazione, gestione e manutenzione degli interventi a carattere intensivo.
La stabilizzazione dei versanti prevede interventi anche con tecniche di ingegneria naturalistica, quali: viminate, cordonate, fascinate, ecc. e interventi di consolidamento e opere di sostegno: palificate e muri a secco.
La correzione dei torrenti verrà eseguita tramite opere trasversali come briglie per la correzione della pendenza e opere di trattenuta e/o opere longitudinali di protezione delle sponde.
Nelle sistemazioni idraulico-forestali devono essere privilegiate le tecniche di ingegneria naturalistica e, in ordine a questo aspetto, occorre che l’amministrazione forestale si impegni a promuovere specifiche azioni di formazione professionale, per migliorare il livello operativo delle maestranze forestali.
Per quanto concerne le strade silvo-pastorali saranno previste la manutenzione ordinaria e straordinaria, l’adeguamento funzionale di alcune strade esistenti e qualora vi sia la necessità la realizzazione di nuove.
Tra le azioni operative a carattere intensivo si ricordano:
1. sistemazione delle frane e delle aree in dissesto tramite canalizzazione delle acque di superficie, piccole opere di consolidamento e interventi sulla vegetazione;
2. sistemazione dei corsi d’acqua minori, con interventi di sponda e in alveo;
3. ripulitura e ripristino delle normali sezioni di deflusso dei corsi d’acqua minori;
4. sistemazione delle frane che interessano le aree forestali.
Gli organi competenti dovranno delineare i principi di sostenibilità e di efficienza da adottare nel dimensionamento delle opere e i principi di integralità (scala di bacino), gradualità e continuità da adoperare nella programmazione degli interventi.
Uno strumento che potrebbe risultare utile per enti e proprietari boschivi è il catasto delle opere di bonifica montana a carattere intensivo, questo dovrà prevedere il censimento delle opere esistenti e la compilazione di un apposita scheda associata a ciascuna opera con l’indicazione della tipologia dell’opera stessa, lo stato di conservazione e di efficienza, gli interventi previsti per la sua manutenzione. Tale scheda inserita nel catasto implementato in un Sistema Informativo Territoriale renderà i dati prontamente disponibili e facilmente consultabili da tutti gli utenti.
Infrastrutture per la viabilità silvo-pastorale
Un discorso a parte merita la viabilità silvo-pastorale, in quanto risulta fondamentale non solo per la bonifica montana e la conservazione del suolo, ma anche per la prevenzione e lotta agli incendi boschivi e per la realizzazione di rimboschimenti e impianti a scopi produttivi e per la gestione forestale in genere.
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La viabilità di servizio all’attività silvo-pastorale è distinta in :
- strade silvo-pastorali;
- piste forestali;
- sentieri.
Tra le attività che la regione si impegna a disciplinare rientrano la manutenzione ordinaria e straordinaria, la realizzazione e riapertura delle piste forestali, la manutenzione e la realizzazione dei sentieri e la realizzazione e l’utilizzo di teleferiche.
La manutenzione ordinaria comprende interventi realizzati mediamente ogni anno e finalizzati: al controllo della funzionalità e ripulitura delle opere di regimazione idraulica, alla sistemazione dei solchi nel piano stradale prodotti dall’erosione idrica, alla risagomatura del fondo stradale e delle banchine ed eventuale ripristino del fondo stradale per brevi tratti (non superiori al 10% del tracciato), alla risagomatura delle scarpate per brevi tratti (non superiori al 10% del tracciato).
La manutenzione straordinaria comprende gli interventi realizzati ogni 10 o più anni ovvero, nel caso di strade prevalentemente utilizzate per attività selvicolturali, per intervalli temporali pari al tempo medio intercorrente tra due operazioni di taglio consecutive nell’area servita dalla strada.
Gli interventi consistono in: risagomatura delle scarpate, risagomatura dell’intera carreggiata e delle banchine ed eventuale rifacimento di gran parte del fondo stradale, riparazione o ricostruzione di opere per l’attraversamento degli impluvi o il drenaggio delle acque, riparazione o ricostruzione delle opere di stabilizzazione del fondo stradale, delle scarpate e delle aree limitrofe, realizzazione di nuove opere per il drenaggio delle aree di transito e delle aree di carico.
È possibile prevedere anche la realizzazione e riapertura di piste forestali di larghezza non superiore a 3 m, a esclusione delle aree temporanee per la raccolta e selezione del materiale, queste ultime di estensione non superiore ai 400 m2. Al termine delle operazioni di esbosco o di cantiere le aree interessate dalle piste forestali devono essere rese non transitabili e ripristinate. Il ripristino prevede: la rimozione degli elementi artificiali, l’inerbimento delle aree di raccolta e lavorazione, la realizzazione delle opere minori che risultano necessarie per la difesa dall’erosione idrica dei suoli e la stabilità dei pendii a seguito dell’apertura di varchi nel soprassuolo ovvero della risagomatura del terreno.
Sarà disciplinata la manutenzione e la realizzazione di nuovi sentieri ovvero l’ampliamento di alcuni esistenti, la cui larghezza non può essere superiore a 1.20 m, a eccezione delle aree destinate alla sosta, di estensione non superiore a 20 m2.
Potrà anche essere prevista l’installazione e l’esercizio delle linee di teleferica, permanenti o temporanee ai fini dell’esbosco del materiale legnoso ricavato dalle utilizzazioni boschive o da altri interventi di natura forestale. Le linee di teleferica sono distinte in: linee temporanee di gru a cavo tradizionale o a cavo mobile e linee di teleferica permanenti.
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Nei boschi a fustaia o nei cedui in conversione è consentita l’apertura di varchi nel soprassuolo della larghezza adeguata per l’installazione delle linee di teleferica e l’esercizio di gru a cavo e di altre macchine operatrici forestali a fune. Le distanze tra le linee sono correlate al tipo di bosco, al trattamento, all’intensità di taglio e alle macchine da impiegare.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· monitoraggio delle aree già sottoposte a interventi di sistemazione del suolo, e di quelle a pericolosità idrogeologica (L. n. 183 del 1989);
· realizzazione di sistemazioni idraulico-forestali;
· manutenzione della viabilità silvo-pastorale;
· realizzazione di un catasto delle opere di bonifica a carattere intensivo;
· formazione e qualificazione del personale.
2.4 AZIONE 2D: PREVENZIONE E CONTENIMENTO DEL RISCHIO DI DESERTIFICAZIONE
La Calabria insieme a Sardegna, Sicilia, Basilicata e Puglia è tra le regioni a più alto rischio di desertificazione, come descritto nel paragrafo 1.2.3 Parte I, per cui il ruolo della gestione forestale sostenibile nella prevenzione e lotta a tali fenomeni diviene fondamentale.
Determinate configurazioni di fattori fisici predisponenti (aridità, siccità, erosività della pioggia, morfologia, orografia, suoli altamente erodibili derivanti da rocce calcaree o formazioni sedimentarie argilloso-sabbiose) ampliano gli effetti dei processi di degrado innescati dai fattori di pressione antropica (es. pascolo e incendi). Nel breve periodo, i principali impatti sono la diminuzione della copertura forestale, la semplificazione strutturale e compositiva delle cenosi, l’aumento a scala di bacino dell’erosione reale media annua; nel lungo periodo, la potenziale desertificazione, almeno nelle zone climaticamente più sensibili. Le formazioni forestali più diffuse in tali aree sono le pinete di pini mediterranei, la macchia bassa, le garighe e i boschi di leccio e di sughera.
L’efficacia dei sistemi forestali nel controllo dell’idrologia superficiale lungo i versanti determina una maggiore disponibilità di acqua nel suolo, un minore dilavamento e conseguentemente minore erosione superficiale, che è uno dei sintomi più significativi della desertificazione, legata alla alterazione, per cause naturali o antropiche, della copertura vegetale.
Le linee operative di gestione sostenibile dei sistemi forestali per contrastare e prevenire i processi di desertificazione possono essere ricondotte alle seguenti tipologie di interventi:
- recupero delle aree degradate mediante la realizzazione di rimboschimenti;
- naturalizzazione di sistemi forestali semplificati nella composizione e nella struttura;
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- miglioramento dei boschi cedui favorendo una loro conversione a fustaia dove questa è possibile (in boschi di proprietà pubblica e in terreni non in forte pendenza);
- contenimento dei fattori di degrado rappresentati da pascolo e incendi.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· monitoraggio delle aree sensibili alla desertificazione;
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti attuati con tecniche finalizzate alla prevenzione e contenimento del rischio di desertificazione;
· interventi di rimboschimento.
2.5 AZIONE 2E: MIGLIORAMENTO DELLA CAPACITÀ DI FISSAZIONE DEL CARBONIO
ATMOSFERICO
Le foreste ed i suoli forestali costituiscono un importante serbatoio di carbonio. I suoli forestali, in particolare, contengono anche in ambienti temperati più della metà del carbonio totale presente nell’ecosistema. Le foreste dei climi temperati, in particolare, presentano un bilancio del carbonio positivo, accumulando cioè attraverso i processi fotosintetici più CO2 di quanta ne venga rilasciata dalla respirazione delle piante e della componente biologica dei suoli. Tale capacità di fissazione è dovuta in primo luogo alla progressiva espansione naturale della superficie coperta da foreste, a causa della riduzione delle aree dedicate all’agricoltura in ambiente montano.
Questa attività di fissazione netta potrebbe essere ulteriormente stimolata da un lato da attività di afforestazione (nel caso di interventi su terreni non precedentemente forestati), riforestazione (nel caso di ricostituzione della foresta in aree recentemente deforestate) e/o di sviluppo dell’arboricoltura da legno, dall’altra attraverso un’attenta e razionale gestione delle foreste esistenti che massimizzi la quantità di carbonio sequestrata nei suoli, nelle piante e nei prodotti forestali.
Con la ratifica della Convenzione Quadro sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), l’Italia partecipa allo sforzo internazionale di riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra attraverso l’impegno e le modalità di attuazione definite dal Protocollo di Kyoto (PK), formalmente in vigore dal 16 Febbraio 2005. L’Italia ha elaborato il Piano Nazionale per la riduzione delle emissioni di gas responsabili dell’effetto serra 2003-2010 (delibera CIPE n. 123 del 19 Dicembre 2002) e si è impegnata a realizzare e aggiornare l’Inventario Forestale Nazionale e dei Serbatoi di Carbonio (IFNC 2003). Le modalità di riduzione delle emissioni, per il periodo 2008-2012 pari a 487.1 Mt CO2 equivalenti, sono contenute nel Piano dettagliato per la realizzazione del Potenziale massimo Nazionale di Assorbimento di Carbonio, triennio 2004-2006 (PPNAC).
Il PPNAC rappresenta, attualmente, il riferimento per l’azione politica nazionale di attuazione del PK nel settore agro-forestale. L’elemento portante del PPNAC è la realizzazione del Registro nazionale dei serbatoi di carbonio agro-
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forestali la cui funzione primaria è quella di certificare le quantità di carbonio sequestrate nei serbatoi (sinks) dei sistemi agro-forestali italiani (biomassa epigea, ipogea, necromassa, lettiera, sostanza organica del suolo).
In sintesi, la strategia mostrata nel PPNAC prevede la conservazione delle risorse forestali esistenti e una loro gestione appropriata (in modo che il carbon
sink sia ottimizzato) e la promozione di interventi tra i quali la costituzione di nuove foreste (afforestazione e riforestazione) che devono contribuire alla sicurezza idrogeologica del territorio e all’aumento del volume di biomassa disponibile per la produzione di energia rinnovabile. Esistono due condizioni affinché queste attività forestali siano valide ai fini del PK, ovvero devono avere avuto inizio dal 1990 in poi e devono essere collegabili ad interventi di natura antropica.
Un elemento chiave nei progetti forestali di rimboschimento (Art. 3.3 del PK) è la stima degli stock (depositi) di carbonio e delle loro variazioni (sink − pozzi o siti di accumulo e source − sorgenti o siti di emissione), con un livello di precisione sufficientemente accurato. I progetti di questo tipo di interventi devono prevedere la certificazione del carbonio assorbito attraverso una metodologia a corredo del progetto stesso, volta a valutare la migliore performance investimento/assorbimento di carbonio in tonnellate di CO2 equivalente nel quinquennio 2008-2012. Tali misure possono essere eseguite sulla base di dati rilevati in campo (variabili dendrometriche, misure della necromassa, analisi di laboratorio su campioni prelevati, ecc) o mediante tecniche di osservazione a distanza non invasive – per esempio tecniche micrometeorologiche (Eddy
Covariance).
In Calabria, secondo i dati dell’ultimo Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio (2005) vi sono 612931 ha di superficie forestale, la biomassa anidra è pari a 82 Gt, quindi lo stock di carbonio calcolato ad ettaro risulta pari a 64.51 t ha-1. Con l’applicazione delle Misure previste nel PFR e quindi l’ampliamento delle superfici forestali e la gestione dei boschi esistenti si potrà conseguire un aumento della quantità di carbonio fissato.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti attuati con tecniche finalizzate all’aumento della capacità di fissazione del carbonio atmosferico;
· interventi di rimboschimento;
· interventi di piantagione di specie forestali;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio;
· realizzazione di opere infrastrutturali e complementari agli interventi.
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OBIETTIVO 3
3. TUTELA, CONSERVAZIONE E MIGLIORAMENTO DEL PATRIMONIO FORESTALE ESISTENTE
3.1 AZIONE 3A: PREVENZIONE E LOTTA AGLI INCENDI BOSCHIVI
L’andamento del fenomeno degli incendi boschivi in Calabria, pur evidenziando i positivi risultati degli ultimi anni conseguiti dalle strutture regionali, in particolare nel contenimento delle superfici percorse, testimonia la necessità di compiere un ulteriore sforzo per la difesa del patrimonio forestale e ambientale, delle infrastrutture e della popolazione. In generale appare necessario sviluppare ulteriori azioni finalizzate al raggiungimento di obiettivi specifici:
1. prevenzione degli incendi boschivi;
2. vincoli sulle aree bruciate ricostituzione dei soprassuoli percorsi da incendi e interventi per la salvaguardia della pubblica incolumità.
1. Prevenzione degli incendi boschivi
La prevenzione degli incendi boschivi si esplica in azioni di tipo “attivo”, relative alle attività di educazione ambientale e a quelle di riduzione e controllo del combustibile, con effetti sulla probabilità di innesco e di propagazione del fuoco, attraverso l’attività selvicolturale, e di tipo “passivo”, che comprendono le attività per l’avvistamento/segnalazione dei focolai e per la predisposizione delle infrastrutture (viabilità, punti di rifornimento, rete radio di comunicazione, ecc.) e dei mezzi di lotta attiva (veicoli, aeromobili, ecc.).
Prevenzione attiva
Tra le principali attività di prevenzione rientrano l’informazione e l’educazione ambientale, che hanno lo scopo di sensibilizzare la popolazione sia nei confronti dei comportamenti che possono essere causa di incendio sia sul comportamento da tenere in presenza di questi eventi. Tale aspetto è particolarmente importante poiché la maggior parte degli incendi boschivi in Calabria, così come nel resto d’Italia, sono causati dall’uomo, volontariamente o involontariamente. È inoltre da sottolineare che la popolazione può svolgere un ruolo fondamentale nella prevenzione, evitando di provocare incendi e contribuendo in modo diretto o indiretto alla estinzione.
Nel corso degli anni l’informazione e l’educazione nella prevenzione antincendio boschivo hanno acquisito un valore e una diffusione non trascurabili. L’importanza assunta da tali attività è ribadita anche dalla Legge n. 353/2000 (Legge-quadro in materia di incendi boschivi) che la inserisce a pieno titolo tra le attività finalizzate alla conservazione del patrimonio boscato (GIOVANNINI e MARCHI, 2005).
È quindi di estrema importanza sviluppare un’azione con doppia finalità:
a. informazione della popolazione (entità del fenomeno, conseguenze, numeri utili per la segnalazione degli eventi, ecc.);
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b. educazione ambientale, rivolta prevalentemente ai giovani e alle scuole, finalizzata sia al miglioramento delle conoscenze e della sensibilità verso l’ambiente, con particolare riferimento agli incendi boschivi, sia allo sviluppo della consapevolezza del proprio ruolo nella tutela e salvaguardia del patrimonio ambientale.
È inoltre di estrema importanza svolgere azioni finalizzate alla tutela della popolazione, attraverso l’informazione sui comportamenti di autoprotezione da tenere in presenza di incendi boschivi, anche in considerazione dei tragici eventi avvenuti in diversi paesi dell’area mediterranea negli ultimi anni.
Per quanto attiene agli interventi selvicolturali è opportuno che nella programmazione annuale delle opere di forestazione e di gestione del patrimonio agro-forestale vengano considerati prioritari quelli effettuati nelle aree a maggiore rischio di innesco e propagazione del fuoco. In senso generale, è inoltre necessario che nella progettazione e organizzazione degli interventi selvicolturali si tenga conto del rischio di incendi e si mettano in pratica quindi tutte le azioni per il controllo del combustibile, con particolare riferimento alla riduzione della necromassa.
La prevenzione selvicolturale è un aspetto di grande importanza, visto che alle regioni è demandata anche la possibilità di concedere contributi ai proprietari privati per l’esecuzione di interventi selvicolturali finalizzati alla prevenzione ma che determinano effetti di carattere più generale.
La gestione dei boschi, infatti, va oltre il problema specifico e assume rilevanza anche in tema di altri rischi ambientali (desertificazione, aumento di CO2 in atmosfera, risorse idriche, perdita della biodiversità), con positive ricadute socio economiche che hanno un forte legame con il problema degli incendi.
La gestione secondo i principi della selvicoltura sistemica, basata su interventi cauti, continui e capillari, rappresenta la strada da percorrere per favorire una maggiore efficienza complessiva dei sistemi forestali e, di conseguenza, una più elevata resistenza e resilienza anche nei confronti del fuoco.
In questa ottica tutti gli interventi finalizzati a esaltare la complessità strutturale e funzionale dei boschi, alla naturalizzazione dei rimboschimenti e al miglioramento dei cedui, si configurano anche come interventi di prevenzione. Per tali motivi queste azioni, che devono essere previste nel piano antincendi boschivi, non possono che scaturire dalla pianificazione forestale a diverso livello. Spetta quindi alla integrazione tra la pianificazione antincendi e quella forestale stabilire nelle diverse realtà le tipologie di interventi più appropriate.
Gli effetti di tali interventi non si limitano solo alla diminuzione di biomassa potenzialmente combustibile e a una maggiore resistenza alla infiammabilità dei popolamenti, ma determinano una minore facilità di propagazione del fuoco, una maggiore percorribilità del bosco e quindi una più facile estinzione, si hanno minori danni e una più pronta ricostituzione del bosco.
Poiché, oltre alla macchia mediterranea, le formazioni maggiormente interessate dagli incendi sono i rimboschimenti e i boschi cedui, è opportuno far riferimento alla gestione di queste due tipologie forestali per evidenziare in quale
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misura e per quali effetti la gestione si coniughi con la prevenzione (IOVINO et
al., 2005).
Prevenzione passiva
a. Interventi per il miglioramento del sistema organizzativo e di gestione degli eventi
Altro obiettivo è lo sviluppo di azioni volte al miglioramento dell’organizzazione e gestione del sistema decisionale e del sistema operativo di lotta attiva. È necessario consolidare e migliorare l’operatività a livello regionale costituendo la SOUP (Sala Operativa Unificata Permanente), in sostituzione del COR (Centro Operativo Regionale), e dotandola delle attrezzature necessarie per la corretta gestione contemporanea dei numerosi eventi che si verificano in certi periodi dell’anno.
Per consolidarne e migliorarne l’operatività a livello regionale o provinciale (COP) è necessario:
- agire sui livelli di collaborazione con il Corpo Forestale dello Stato, i Vigili del Fuoco e le associazioni di volontariato;
- migliorare lo scambio di informazioni tra i vari livelli decisionali coinvolti, compresi quelli nazionali, attraverso costituzione della SOUP;
- riesaminare la distribuzione territoriale delle risorse disponibili;
- completare e implementare la formazione e l’addestramento del personale per innalzarne le capacità operative e migliorare l’integrazione delle risorse umane impiegate sui singoli eventi;
- riesaminare la consistenza e l’efficienza delle attrezzature, dei mezzi e dei DPI e predisporre un programma di aggiornamento/miglioramento.
b. Valutazione e analisi delle infrastrutture e dei mezzi di prevenzione e lotta
Di fondamentale importanza è la predisposizione di un sistema di avvistamento/segnalazione efficiente in grado di garantire il contenimento dei tempi di risposta dei mezzi di estinzione, in modo da affrontare gli incendi prima che assumano dimensioni difficilmente controllabili. In tal senso è indispensabile disporre di una rete radio efficiente. È altresì importante conoscere e programmare l’eventuale potenziamento delle strutture e infrastrutture di supporto all’attività AIB, quali gli invasi e i punti per l’approvvigionamento idrico dei mezzi terrestri, i viali e le fasce parafuoco, la viabilità di servizio, le elisuperfici e le basi operative.
2. Vincoli sulle aree bruciate, ricostituzione dei soprassuoli percorsi da incendi e interventi per la salvaguardia della pubblica incolumità
La normativa nazionale (L. 353/2000, capo II, art. 10, commi 1 e 2) impone alcuni vincoli e divieti sulle aree percorse da incendio che indirizzano e limitano le possibili attività per la ricostituzione dei soprassuoli. Tra i vari obblighi c’è quello del rilevamento delle superfici boscate percorse da incendio, questa è un’attività particolarmente importante sia sul piano ambientale che su
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quello normativo. Le finalità del rilievo possono essere diverse e comprendono aspetti legati alla necessità di disporre di dati statistici a livello locale, regionale e nazionale. Particolarmente impegnativa è poi la predisposizione da parte dei comuni di un catasto degli incendi, la loro localizzazione e relativa perimetrazione, al fine di apporre il vincolo quindicennale al mutamento di destinazione di uso del suolo e il vincolo decennale di inedificabilità, di pascolo e di caccia. In tal senso è necessario che a livello regionale si svolgano delle azioni di supporto a tale attività, come l’indicazione di metodologie per la definizione delle modalità operative per la perimetrazione delle aree percorse dal fuoco, al fine di agevolarne la costituzione e l’aggiornamento.
Per quanto attiene poi agli interventi di ricostituzione dei soprassuoli, possono essere attuate attività di rimboschimento e di ingegneria naturalistica con fondi pubblici e nei primi cinque anni, solo dove siano presenti “documentate situazioni di dissesto idrogeologico e nelle situazioni in cui sia urgente un intervento per la tutela di particolari valori ambientali e paesaggistici”, ottenute le autorizzazioni da parte delle competenti autorità. Tali attività devono essere sicuramente attivate dove ci siano manifesti rischi per la pubblica incolumità o a tutela di insediamenti abitativi, produttivi o di infrastrutture. Nella realizzazione di questi interventi si dovrebbe prevedere l’impiego del materiale rimasto in loco dopo il passaggio del fuoco, sia esso vegetale o lapideo.
Dove si voglia procedere a effettuare interventi di ripristino senza contributi pubblici in proprietà private percorse da incendio è necessario valutare sia gli aspetti ecologici legati agli effetti del fuoco sia le strategie di ricostituzione per via naturale, non escludendo comunque un’analisi economica ( es. la stima del mancato reddito in caso di utilizzazione anticipata o per deterioramento della qualità tecnologica del legname).
La ricostituzione e il ripristino dei boschi percorsi dal fuoco è comunque un problema molto delicato perché riguarda l’interazione fra molteplici fattori. Molto spesso la migliore strategia si basa sul sostegno dei meccanismi naturali di recupero. Sul piano operativo si possono seguire tre strade:
- il non intervento;
- interventi a sostegno delle dinamiche naturali;
- il rimboschimento artificiale posticipato.
La prima opzione (non intervento) consiste nel lasciare alla libera evoluzione il soprassuolo dopo il passaggio del fuoco. Questo vuol dire proteggerlo da altri eventi perturbativi. In particolare il pascolo e il ritorno del fuoco.
In pratica, si opta per una forma di gestione passiva. Anche se, a rigore, non è così. Infatti, è necessario monitorare attentamente le dinamiche evolutive. Questa opzione appare la più indicata quando:
- la stazione presenta pendenze accentuate insieme a suoli facilmente erodibili, soprattutto a seguito di incendi di forte intensità che aumentano il rischio di erosione;
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- il tipo di vegetazione interessata dall’incendio è rappresentata dalla macchia mediterranea;
- l’incendio è stato di bassa intensità e le piante hanno subìto danni ridotti alle chiome;
- il fuoco ha percorso superfici limitate o ha assunto una forma molto frastagliata, tale da garantire un elevato rapporto margine-superficie.
La seconda opzione si concretizza sostanzialmente con interventi colturali finalizzati a favorire l’insediamento e/o lo sviluppo della rinnovazione delle specie arboree.
Conseguentemente le tecniche per il recupero per via naturale dei soprassuoli percorsi dal fuoco seguiranno due strategie diverse in relazione alla composizione specifica e alla forma di governo del bosco prima dell’evento.
Nel caso dei cedui il passaggio del fuoco può agire come una ceduazione e la rinnovazione delle specie presenti normalmente avviene alla ripresa vegetativa.
In generale, il taglio dei polloni morti e, ove necessario, la succisione o la tramarratura sono le operazioni che vengono tradizionalmente consigliate per favorire il ripristino della vitalità delle ceppaie assecondando l’emissione di polloni proventizi.
Per quanto riguarda le matricine, è utile rilasciarne sempre il maggior numero possibile non solo per favorire la disseminazione ma anche per conservare habitat indispensabili per la fauna, soprattutto gli uccelli, che possono a loro volta favorire la dispersione del seme. A tal fine, se non vi sono rischi particolari per l’incolumità di eventuali visitatori può essere utile lasciare in piedi grossi esemplari o gruppetti di polloni anche gravemente compromessi.
La valutazione delle possibilità di sopravvivenza è, inoltre, particolarmente utile per dimensionare gli interventi di recupero in soprassuoli cedui già interessati da avviamento a fustaia. In questi casi interventi andanti di riceppatura troppo tempestivi rischiano di azzerare situazioni che invece, sulla base di una valutazione più attenta e meno affrettata, potrebbero rivelare la possibilità di conservare il soprassuolo in modo da salvaguardare anche gli investimenti già effettuati.
Un caso particolare è costituito dai cedui di castagno, dove la mortalità in tempi successivi all’incendio, causata dagli effetti postumi delle scottature, è un fenomeno abbastanza comune. Per questo motivo, soprattutto quando il ceduo prima dell’incendio è in buone condizioni di fertilità e struttura e la maggior parte dei polloni appare danneggiata, il taglio raso di tutto il soprassuolo può risultare l’opzione migliore.
Per le fustaie il recupero per via naturale può far riferimento a diverse strategie operative in relazione alla o alle specie presenti.
La rinnovazione naturale del pino d’Aleppo e del pino marittimo è particolarmente favorita dal passaggio del fuoco. Il pino d’Aleppo ha coni serotini e costituisce delle vere e proprie banche di seme sulla chioma. I coni del pino marittimo non sono serotini ma si aprono gradualmente durante il periodo estivo;
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il passaggio del fuoco facilita la rinnovazione di queste specie anche attraverso l’eliminazione della vegetazione concorrente.
La terza opzione da valutare, dove non è possibile attendere i tempi della ricostituzione naturale, magari a fronte di un interesse legato ad altre attività economiche (es. attività turistiche) è costituito dall’impianto artificiale. Generalmente si tratta di interventi molto onerosi che necessitano anche della predisposizione di un piano colturale per almeno 5-10 anni al fine di garantire l’affermazione dell’impianto, in tale piano devono essere previsti tutti gli interventi di normale manutenzione, quali il risarcimento, la lotta alle infestanti e un eventuale primo diradamento.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· aggiornamento annuale del piano pluriennale regionale antincendi boschivi conforme alla legge quadro n. 353/2000;
· definizione delle linee guida per la perimetrazione delle superfici boscate percorse da incendio;
· redazione della carta del pericolo e dei rischi da incendi boschivi;
· censimento delle strutture e infrastrutture antincendio;
· formazione e qualificazione del personale;
· informazione e educazione ambientale in relazione alla prevenzione antincendio;
· dotazione delle squadre AIB dei dispositivi di sicurezza (DPI) e di macchine e attrezzature;
· impiego di velivoli leggeri nelle attività di estinzione di incendi boschivi;
· realizzazione di opere di prevenzione colturale e di strutture e infrastrutture antincendio;
· realizzazione di opere pubbliche di salvaguardia idrogeologica nelle aree gravemente colpite da incendi boschivi conformemente all’Art. 10 della legge 353/2000;
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti attuati con tecniche finalizzate alla prevenzione degli incendi;
· interventi di miglioramento o ripristino delle aree boschive danneggiate dal fuoco o da altre avversità naturali;
· monitoraggio delle discariche (margini stradali, alvei dei fiumi) durante la stagione estiva.
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3.2 AZIONE 3B: MONITORAGGIO DEGLI ASPETTI FITOPATOLOGICI E INTERVENTI
PREVISTI
L’estrema varietà di ambienti forestali di cui la Calabria è ricca, dal punto di vista fitopatologico comporta una certa attenzione alle possibili patologie in atto e sui diversi metodi di lotta da applicare.
Nonostante in Calabria non siano segnalati attacchi preoccupanti, risulta particolarmente importante l’attento monitoraggio delle cenosi forestali, in modo da avere un quadro sempre aggiornato sulla tipologia e l’incidenza delle fitopatologie in atto, la conoscenza approfondita delle condizioni ambientali in cui si dovrà operare e la necessità d’intervento. Verranno quindi individuati, caso per caso, i mezzi di lotta più opportuni in relazione alla natura della causa patogena, ma anche alle caratteristiche del popolamento interessato.
Si sottolinea il fatto che data la complessità di attuazione dei metodi di lotta fitosanitaria e l’ampiezza, di norma, delle superfici interessate, gli interventi non possono essere realizzati dai privati ma devono ricadere sugli Enti pubblici competenti.
Qualora l’attacco di un patogeno risulti potenzialmente dannoso dovranno essere effettuati interventi di lotta localizzata.
Di fondamentale importanza, come misura di prevenzione generica nel settore della difesa fitosanitaria, è l’informazione nei confronti dei proprietari e degli operai forestali, onde evitare danni causati dal patogeno agli umani durante le operazioni in bosco (es. processionaria).
Una delle problematiche fitoiatriche di maggiore preoccupazione in Calabria riguarda infatti la processionaria del pino, un lepidottero defogliatore infeudato alle varie specie di pino presenti nel bacino del Mediterraneo. Le estese defogliazioni che causa, seppur non direttamente mortali per le piante attaccate, spesso costituiscono una perturbazione per l’ambiente e lo stress causato alle piante si ripercuote sia sulla produttività dei popolamenti (incremento in massa legnosa, produzione di semi, ecc.) nonché sulla suscettività della stessa all’attacco di altri fitofagi e patogeni. Il notevole impatto che le pullulazioni del defogliatore hanno da sempre avuto sulle funzioni economiche, paesaggistiche e ricreative delle pinete ha indotto il legislatore a emanare due successivi Decreti Ministeriali (D.M. 20/05/1926 e D.M. 12/02/1938), che ne hanno resa obbligatoria la lotta. Nel 1998 il Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, con il Decreto del 17 aprile, ha rinnovato e aggiornato la lotta alla processionaria del pino.
Per quanto riguarda la processionaria, la regione potrebbe avviare una serie di attività, programmate in più annualità e in collaborazione con gli enti e gli uffici che operano sul territorio, finalizzate al mantenimento della densità di popolazione del defogliatore al di sotto della soglia di danno.
La prima di queste fasi dovrebbe essere finalizzata all’individuazione dell’andamento dell’infestazione della processionaria nelle varie pinete del territorio regionale. Da questa fase emergeranno delle indicazioni inerenti il potenziale biotico del lepidottero, l’andamento dei voli degli adulti e il periodo in cui avvengono le ovideposizioni.
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Inoltre, l’adozione di precise tecniche selvicolturali, l’impiego di entomopatogeni, quali i preparati a base di Bacillus thuringiensis var. kurstaki, o l’impiego diretto di antagonisti naturali del defogliatore, tra cui in particolare si ricordano i parassitoidi oofagi (i cui effetti si registrano nel breve e medio termine), nell’intento di abbattere le popolazioni del fitofago potrebbero trovare ampia applicabilità così com’è avvenuto in altri comprensori pinetati (PALMERI, 2006).
In particolare, soddisfacenti risultati con effetti nel lungo periodo sono stati ottenuti in Francia e in Spagna con l’adozione di pratiche selvicolturali dirette alla diversificazione specifica delle pinete, mediante il taglio dei pini su limitate aree, in modo da favorire lo sviluppo di latifoglie e ostacolare la diffusione della processionaria durante la ricerca della pianta ospite per la deposizione delle uova. Si tratta di una pratica da effettuare in modo progressivo con l’accortezza di non creare aperture troppo estese (oltre i 1000 m2) che, al contrario, potrebbero facilitare il volo e la ricerca dell’ospite vegetale da parte delle femmine del fitofago all’interno delle pinete.
L’impiego di preparati a base di B. thuringiensis potrebbe essere previsto, qualora ritenuto necessario, solo nelle aree caratterizzate da attività antropiche (aree sosta, zone attrezzate, piste da sci, aree pic-nic, ecc.) limitatamente ai perimetri delle suddette.
La sinergica collaborazione con gli altri enti potrebbe permettere di vagliare, tra le varie specie di oofagi presenti nei diversi comprensori, quelli maggiormente performanti sia a riguardo dell’efficacia nella ricerca e nell’attacco della vittima e sia nella capacità di adattare in tempi brevi il livello delle loro popolazioni a quelle dell’ospite. L’allevamento massale di questi antagonisti naturali potrebbe trovare spazio nelle strutture della Biofabbrica di Lamezia.
Il lavoro che la compagine potrebbe sviluppare dovrebbe condurre, nel lungo periodo, a una riduzione degli interventi di lotta direttamente indirizzati contro il defogliatore. Ciò diverrà possibile se verranno attuate le azioni previste che, aumentando la biodiversità delle pinete e riducendo contemporaneamente le perturbazioni antropiche non potranno che avere ripercussioni positive anche sugli aspetti paesaggistici ed ecologici.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· monitoraggio della tipologia e entità delle fitopatie;
· introduzione della normativa di riferimento per la lotta alle fitopatie;
· formazione e qualificazione del personale;
· interventi di miglioramento o ripristino delle aree boschive danneggiate dal fuoco o da altre avversità naturali;
· prescrizione di interventi di lotta alle fitopatie.
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3.3 AZIONE 3C: CONSERVAZIONE E MIGLIORAMENTO DELLA BIODIVERSITÀ
Il territorio calabrese presenta, nel complesso, una elevata biodiversità, con notevole ricchezza floristica e vegetazionale, a causa di vari fattori: le forti variazioni climatiche, in relazione all’altitudine e ai versanti; la notevole diversità di substrati geo-pedologici e di situazioni geomorfologiche; la diffusa naturalità, essendo le aree coltivate e urbanizzate di limitata estensione (SPAMPINATO, 2003).
La biodiversità genetica degli alberi forestali in Calabria è sicuramente molto elevata: oltre alla presenza di specie endemiche (Pinus leucodermis), si hanno pool genetici specifici e peculiari per specie forestali ad ampio areale, quali Abies alba e Pinus nigra var. calabrica. I boschi di ontano napoletano e farnetto, inoltre, pur occupando modeste superfici a scala regionale, sono altamente rappresentati rispetto alla superficie nazionale (rispettivamente del 49.5% e 42.1%).
Si ricorda inoltre che, a livello di ecosistema, la Costa Viola, in provincia di Reggio Calabria, caratterizzata da un tratto di mare, da una zona costiera e da aree collinari comprese tra lo Stretto di Messina e l’Aspromonte, è uno dei più importanti bottle neck europei per la migrazione primaverile dei Falconiformi, che, dopo aver svernato in Africa, raggiungono i luoghi di nidificazione in Europa. Fra queste specie particolarmente importante è il Falco pecchiaiolo (Pernis apivorus), più conosciuto come Adorno, oggetto, soprattutto nel passato, di intensa attività venatoria da parte degli abitanti della zona.
La situazione forestale calabrese è ricca in diversità non solo in termini floristici ma anche fisionomici e strutturali. La massima parte dei boschi può essere definita come “foreste semi-naturali”, cioè, ai sensi della nomenclatura internazionale (UN, 2000), né “foreste non disturbate dall’uomo”, né “piantagioni forestali” artificiali. La coevoluzione fra realtà ecologica e realtà socio-economica ha determinato trasformazioni significative nelle condizioni del paesaggio forestale a scala locale e, conseguentemente, variazioni della biodiversità (CIANCIO et al., 2005). In particolare, l’attività antropica ha comportato:
- la modifica della composizione floristica delle foreste originarie, con il conseguente aumento di sistemi monospecifici. I boschi misti autoctoni di faggio e abete bianco, evoluti verso faggete o abetine pure, rappresentano uno degli esempi più interessanti della Calabria;
- la modifica della struttura delle foreste originarie (da disetanee a coetanee);
- la eliminazione delle fasi di sviluppo biologiche mature e senescenti e con esse il declino delle specie forestali associate a queste fasi;
- la creazione, nei pascoli e in terreni agricoli degradati o abbandonati, di impianti monospecifici che spesso non rispondono a requisiti di naturalità non solo in termini di composizione e struttura, ma anche di funzionalità e di capacità di resistere agli impatti antropogenici;
- la drastica riduzione delle superfici forestali nelle aree planiziali.
Alla origine delle attuali dinamiche quantitative delle superfici forestali vi sono tre fenomeni principali:
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- incendi boschivi;
- ricolonizzazione boschiva del paesaggio rurale;
- realizzazione di piantagioni da legno e rimboschimenti su superfici agricole.
Le foreste percorse da incendio subiscono variazioni estensive e rapide nello stato della biodiversità, a scala sia di specie sia di popolamento e di paesaggio. Gli incendi modificano infatti la struttura cronologica e la composizione specifica dei popolamenti e, conseguentemente, influenzano la capacità di incorporare successivi fenomeni perturbativi (altri incendi, epidemie di patogeni, ecc.) e hanno forti conseguenze sull’articolazione del mosaico ambientale. La modifica è, entro certi limiti, temporanea e reversibile.
Nella maggior parte delle foreste colpite, la fitocenosi originaria viene sostituita da specie pioniere, con evidenti trasformazioni della composizione specifica, mentre nelle formazioni a macchia e gariga, anche se fortemente danneggiate, il soprassuolo si ricostituisce in breve tempo (5 o 6 anni) e la composizione floristica resta pressoché invariata.
La colonizzazione spontanea del paesaggio rurale da parte delle cenosi forestali è un fenomeno che, a seconda dei casi, può rappresentare un elemento positivo o di criticità per la conservazione della biodiversità a scala locale. Le formazioni forestali che si espandono a partire dai “margini forestali” o dai nuclei di “alberi fuori foresta” possono rappresentare una grande riserva di biodiversità e svolgere l’importante funzione di corridoio ecologico nelle aree rurali, in particolar modo per la macrofauna selvatica.
In alcuni casi, tuttavia, la trasformazione del paesaggio rurale può provocare l’alterazione di habitat specifici per alcuni tipi di uccelli. Inoltre, la riconquista da parte del bosco di aree un tempo a pascolo o a coltura agricola può provocare la scomparsa di formazioni antropiche e condurre a una omogeneizzazione del paesaggio, con conseguenze negative nelle aree a prevalente valenza turistica, dove il pubblico predilige in genere paesaggi variati, con compresenza di bosco, prati e coltivi.
Le piantagioni forestali possono rappresentare un elemento di criticità per la conservazione della biodiversità a scala nazionale, regionale o locale, ma anche una positiva opportunità, se realizzate secondo adeguati criteri di compatibilità ambientale e con attenzione alla ricomposizione del tessuto ecopaesistico.
I fattori di criticità per la conservazione della complessità dei sistemi forestali e quindi della loro diversità biologica derivano soprattutto da due diversi e contrastanti fenomeni:
- la progressiva marginalizzazione, con conseguente abbandono di molti boschi;
- la semplificazione delle tecniche colturali e la concentrazione delle utilizzazioni nei boschi, soprattutto cedui, che si trovano in condizioni di accessibilità e di mercato favorevoli.
Nel primo caso le conseguenze per la conservazione della biodiversità possono essere positive, soprattutto nel breve periodo, in particolare in relazione
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all’aumento dell’età e al progressivo arricchimento del suolo attraverso il continuo apporto di sostanza organica. Il principale effetto negativo è legato al maggior rischio di incendio. Nel medio e lungo periodo, soprattutto in soprassuoli con strutture fortemente semplificate dalla gestione, la conservazione e l’aumento della biodiversità dovrebbero essere perseguite favorendo una maggiore diversità strutturale attraverso i meccanismi naturali di autorganizzazione del sistema.
Il fenomeno dell’abbandono può modificare la diversità paesaggistica per la perdita di alcune particolari forme colturali, come il castagneto da frutto, o come le pinete di laricio colonizzate dal faggio (IOVINO e MENGUZZATO, 2000). In taluni casi può essere opportuno conservare questa diversità, che ha valore storico e culturale oltre che naturalistico, recuperando le tecniche tradizionali di coltivazione.
Il secondo caso comporta rischi sicuramente maggiori per la tutela della biodiversità dei sistemi forestali. Il fattore di maggiore criticità appare oggi legato alla presenza nei cedui di provvigioni legnose superiori a quelle che normalmente si prelevavano in passato. Questa situazione tende a spingere la proprietà verso un uso eccessivo di questi boschi, con effetti negativi sull’assetto del territorio e sul paesaggio, con gravi danni dal punto di vista bioecologico.
In questi casi la ripresa delle ceduazioni riporta indietro il sistema, annullando la possibilità di favorire la sua evoluzione verso strutture più complesse. Appare quindi opportuno controllare questo fenomeno per non dilapidare rapidamente un vero e proprio “capitale naturale” maturato negli ultimi decenni e perdere così una buona occasione per il miglioramento dell’efficienza funzionale dei boschi.
L’obiettivo della conservazione e del miglioramento della biodiversità forestale in Calabria può essere perseguito sia attraverso l’implementazione di buone pratiche di gestione forestale sostenibile, sia mediante misure specifiche.
Nel primo caso si tratta di tutte quelle misure che:
- favoriscono la naturalizzazione dei sistemi forestali semplificati;
- sostengono l’applicazione di forme di gestione basate su sistemi colturali che fanno parte delle tradizioni locali (a es. castagneti da frutto, trattamento delle pinete di laricio basato su tagli a scelta a piccole buche, ecc.);
- incentivano la pianificazione forestale a livello aziendale e comprensoriale garantendo la differenziazione nel tempo e nello spazio degli interventi previsti in modo da mantenere la diversità biologica a livello di paesaggio. La pianificazione dovrà individuare e sottoporre a tutela, differenziando la gestione, le zone più delicate quali aree riparie lungo corsi d’acqua minori, aree di nidificazione o di riproduzione di particolari specie animali, ecc.;
- sostengono la gestione di habitat di interesse comunitario e prioritario secondo i criteri della Rete Natura 2000.
Le misure specifiche riguarderanno invece:
- la puntuale identificazione sul territorio dei boschi vetusti e la loro caratterizzazione vegetazionale e strutturale, nella prospettiva della creazione
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di una rete regionale specificatamente dedicata;
- il rilascio di alberi e porzioni di bosco a invecchiamento indefinito;
- la tutela di specie rare o sporadiche.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti attuati con tecniche finalizzate alla conservazione e miglioramento della biodiversità;
· introduzione della normativa di tutela per la conservazione e miglioramento della biodiversità;
· definizione delle linee guida per la gestione degli habitat forestali nei siti della Rete Natura 2000;
· definizione di linee guida per l’individuazione e la gestione dei boschi vetusti.
3.4 AZIONE 3D: GESTIONE E MIGLIORAMENTO DELLE FORESTE PUBBLICHE
In Calabria, come risulta dai dati inventariali, il patrimonio forestale di proprietà pubblica ammonta a circa 213˙000 ha. Di questi il 52% appartiene ai comuni, il 32% alla regione e in minor misura allo stato, il 12% risulta attribuito a proprietà pubblica di tipo non noto o non definito, il 4 % ad altri enti pubblici (prevalentemente ARSSA).
Le finalità della gestione possono ricondursi ai seguenti aspetti:
- conservazione del suolo;
- tutela dell’ambiente, del paesaggio e delle risorse di particolare interesse naturalistico, culturale e storico;
- tutela della biodiversità e protezione della flora e della fauna;
- promozione di un uso sociale del bosco e delle attività ricreativo-culturali a esso correlate;
- incremento della produzione legnosa e di sviluppo delle attività di trasformazione del legno;
- valorizzazione dei prodotti non legnosi e secondari;
- recupero e manutenzione del patrimonio edilizio forestale (ex ASFD trasferiti alla Regione e ad altri Enti).
Da tali finalità scaturiscono gli indirizzi da seguire, volti a valorizzare le risorse forestali, ambientali, culturali e architettoniche del territorio demaniale attraverso un insieme di azioni interconnesse che si riconducono ai principi dello sviluppo sostenibile del territorio.
In questa ottica diventa improcrastinabile dotarsi di piani di gestione che rappresentano gli strumenti irrinunciabili per la programmazione delle attività di gestione di questo enorme patrimonio.
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La redazione dei piani di gestione consente di valutare e quantificare le eventuali carenze tecniche e finanziarie che possono ostacolare il conseguimento degli obiettivi e favorire così la realizzazione di politiche di incentivi e di sostegno tecnico mirate e adeguate alle reali necessità. A tal fine, sono delineati, i principali criteri generali da seguire per la redazione dei piani della proprietà pubblica della Regione Calabria, la cui gestione, in base al comma 2 dell’art. 4 della L.R n. 9 del 16 maggio 2007, è trasferita o delegata alle province.
Il piano di gestione, che consente di mettere in relazione le esigenze della proprietà con i vincoli e le opportunità determinate dalla gestione sostenibile, dovrà definire, caso per caso, le norme vincolanti e di indirizzo per organizzare e pianificare l’insieme delle azioni necessarie a raggiungere gli obiettivi che si intendono conseguire.
Il piano di gestione individua i valori d’uso delle risorse e propone una serie di attività, tecniche ed economiche, da svolgere in vista della realizzazione più o meno graduale degli obiettivi.
Il piano definisce per ciascun bosco gli obiettivi a lungo, a medio e a breve termine. Gli obiettivi a lungo termine fanno riferimento agli orientamenti generali previsti dalla politica forestale regionale. Inoltre, oltre a fornire tutti gli elementi necessari alla conoscenza dei popolamenti forestali presenti, pianifica gli eventuali interventi colturali utili a conseguire gli obiettivi prefissati.
Per quanto concerne i boschi di proprietà pubblica, vista l’assenza di una legge forestale regionale, le modalità di utilizzazione da applicare faranno riferimento ai piani di assestamento e/o di gestione o dai piani di taglio approvati dalla Regione, ove esistenti. In caso contrario seguiranno le norme previste dalle nuove Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale che sono parte integrante di questo piano.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· redazione di piani di gestione e/o assestamento delle foreste pubbliche;
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti secondo le finalità della gestione pubblica;
· ecocertificazione;
· sviluppo di sistemi di utilizzazione, macchine e attrezzature a basso impatto ambientale nelle attività di lavorazione/trasporto/trasformazione dei prodotti legnosi;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio.
3.5 AZIONE 3E: GESTIONE E MIGLIORAMENTO DELLE FORESTE DI PROPRIETÀ
PRIVATA
I boschi privati in Calabria ricoprono un superficie piuttosto ampia, come già descritto nel paragrafo 5.3 Parte I, ma uno dei maggiori problemi è rappresentato dalla polverizzazione della proprietà, e dal fatto che la maggior parte delle aziende ha boschi con superfici di 2-5, massimo 10 ha.
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La pianificazione e la gestione dei boschi privati in Calabria si inserisce in un quadro in cui da un lato c’è la necessità che l’utilizzazione del bosco sia sempre e comunque riportata nell’ambito di una gestione sostenibile, dall’altro, la ridotta dimensione media dei boschi privati in molti casi non consente al singolo proprietario di attuare economie di scala e rappresenta un ostacolo per una gestione efficiente in termini finanziari.
Una politica forestale responsabile deve promuovere gli investimenti, consentendo ai proprietari privati di operare senza ulteriori penalizzazioni in termini economici e pensare al bosco non come una miniera da cui estrarre quanto occorre, ma come un bene da trasmettere alle generazioni future in condizioni almeno pari, se non addirittura migliori, rispetto a quelle in cui ci è stato consegnato. Si fa notare che i proprietari privati da sempre hanno sviluppato la loro attività in bosco sul principio della continuità della produzione, non trascurando quindi le esigenze delle generazioni future.
Lo stato e la regione devono incoraggiare la proprietà ad attuare la pianificazione forestale e ad attivare i processi operativi connessi alla gestione. I proprietari boschivi devono essere messi nelle condizioni di accettare le sfide che provengono dai mutamenti sociali, economici e culturali avvenuti negli ultimi decenni. Su queste basi è possibile proporre una strategia in grado di coniugare la gestione sostenibile, la conservazione della biodiversità e la possibilità di non deprimere la produzione legnosa.
Per superare i problemi legati alla frammentazione della proprietà rurale, la creazione di strutture associative può essere una possibile soluzione per favorire lo sviluppo del settore forestale privato. Oltre ad appositi strumenti tecnico-giuridici, una concreta possibilità di attivazione dell’associazionismo può essere quella di collegare operativamente la gestione a forme di pianificazione a basso costo.
Nei boschi privati, quasi sempre però la gestione si è svolta in mancanza o a latere di un piano di assestamento. Il costo di progettazione è uno dei motivi di questa condizione. Una sensibile riduzione di tali costi può essere ottenuta adottando strumenti di pianificazione semplificati, come i piani sommari.
I piani sommari possono limitarsi a esplicitare la strategia gestionale attraverso: a) un sintetico quadro conoscitivo (inquadramento topografico delle unità di gestione e loro caratterizzazione quali-quantitativa); b) l’articolazione nel tempo e nello spazio degli interventi selvicolturali; c) la predisposizione di un sistema semplificato di monitoraggio della dinamica dei popolamenti e degli effetti degli interventi.
In taluni casi, i piani potrebbero anche essere finalizzati all’offerta di servizi ricreativi strutturati dietro corresponsione di uno specifico importo da parte dell’utente (per esempio, per l’attività venatoria in riserva, per l’equitazione, il tiro con l’arco, ecc.). In alcuni contesti di particolare pregio ambientale o storico-culturale, i piani potrebbero inoltre essere propedeutici al finanziamento di attività di ripristino e di conservazione del paesaggio, prevedendo l’indennizzo dei proprietari e/o di imprese terze per la manutenzione dei sentieri, delle aree di sosta, della segnaletica, di alcuni manufatti tradizionali legati alle attività in foresta, ecc. (C.S.A.F./M.A.F., 1990).
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Attualmente l’Unione Europea finanzia gli interventi forestali nell’ambito della politica agricola. La concessione di contributi per favorire la coltivazione con specie a legno pregiato e con specie a rapido accrescimento è condizione necessaria ma non sufficiente per corrispondere alle richieste di legno e, più in generale, alle esigenze della società.
Una politica specifica di incoraggiamento alla selvicoltura e alla gestione del bosco assicurerebbe risultati bioecologici, ambientali e produttivi in tempi più brevi e fornirebbe maggiori garanzie di successo di quanto non possa fare una coltivazione ex novo. Sarebbe opportuno concedere contributi non solo per le singole operazioni colturali, come si fa attualmente, ma anche in favore e a sostegno delle aziende forestali in quanto tali.
In conclusione è necessario che, in primo luogo, la gestione dei boschi privati faccia riferimento ai criteri di sostenibilità e di conservazione della biodiversità.
In secondo luogo, la pianificazione forestale deve essere coerente con i diversi strumenti di programmazione territoriale; e, nel rispetto della dinamica naturale dei sistemi in cui si opera, deve tener conto del principio di incertezza e di indeterminazione tipico di tutto ciò che è complesso. Ciò richiede conoscenze tecniche di cui raramente dispone il singolo proprietario privato. C’è dunque l’esigenza di favorire la creazione di strutture associative e la promozione di una assistenza tecnica aggiornata.
In terzo luogo, l’ecocertificazione dà la garanzia che i prodotti legnosi provengono da boschi coltivati secondo i criteri della gestione sostenibile. L’associazione in consorzi dei proprietari privati per la produzione di legno con metodi “ecocompatibili” e per la sua certificazione rappresenta un’altra opportunità da sviluppare.
Una gestione forestale rispettosa dei valori del bosco può essere resa operativa a patto che la società, nel suo complesso, si impegni a farsi carico, attraverso un adeguato sistema di incentivi finanziari e/o sgravi fiscali, dei maggiori costi che essa comporta. In questo quadro occorre dare un sostegno alle aziende che operano con i suddetti criteri.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· redazione di piani di gestione e/o assestamento delle foreste di proprietà privata;
· interventi di miglioramento dei boschi e delle superfici forestali esistenti di proprietà privata;
· ecocertificazione;
· incentivazione delle forme di gestione associata delle imprese forestali;
· incentivazione di idonee infrastrutture a basso impatto ambientale nell’ambito della gestione associata (es. strade, linee elettriche);
· regolamentazione del pascolo e dell’allevamento in bosco;
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· sviluppo di sistemi di utilizzazione, macchine e attrezzature a basso impatto ambientale nelle attività di lavorazione/trasporto/trasformazione dei prodotti legnosi;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio;
· assistenza tecnica alla proprietà privata.
3.6 AZIONE 3F: MIGLIORAMENTO E NATURALIZZAZIONE DEI RIMBOSCHIMENTI
I rimboschimenti a grande scala effettuati in passato hanno visto l’utilizzo del pino laricio nel Castanetum freddo e Fagetum caldo di PAVARI e, limitatamente al settore calcareo, pino nero, e dei pini mediterranei nel Lauretum. In minor misura sono stati utilizzati cerro, castagno e conifere esotiche, quali douglasia, pino insigne, pino strobo e, nella fascia ionica, su circa 20000 ha, eucalitti.
La realizzazione su ampie superfici di popolamenti monospecifici di conifere ha consentito di utilizzare al meglio le poche risorse disponibili in suoli molto erosi e di creare condizioni microambientali favorevoli per l’insediamento di specie caratteristiche degli stadi successionali più avanzati.
Nel settore montano e di alta collina i rimboschimenti di pino laricio ricadono per gran parte nelle associazioni comprendenti litosuoli e suoli bruni acidi, derivanti da rocce plutoniche e metamorfiche, poco profondi o sottili e caratterizzati da tessiture grossolane, drenaggio rapido, reazione da moderatamente a fortemente acida, bassa capacità di scambio cationico e ridotta capacità di ritenuta idrica.
Suoli nel complesso poveri e con limitazioni di natura fisico-chimica che insieme a quelle stazionali (pendenza dei versanti e rischio di erosione) li fanno rientrare nella V e VI classe di capacità d’uso secondo la classificazione della Land Capability (DIMASE e IOVINO, 1988). Condizioni che precludono ogni possibilità di utilizzazione agricola e indicano, invece, buone capacità d’uso forestale.
In tali situazioni diventa indispensabile una gestione oculata del bosco e dei rimboschimenti e, ove possibile, continuare a rimboschire.
Dove, invece, il pino laricio è stato impiegato su suoli derivanti da strati alterni di arenarie e calcari marnosi (pseudogley), i risultati, in termini di accrescimento, non sono stati altrettanto soddisfacenti, perché in questi suoli le caratteristiche del drenaggio (fenomeni di idromorfia) limitano notevolmente lo sviluppo dell’apparato radicale in profondità.
Nel settore di bassa collina su regosuoli sono stati impiegati eucalitti e, nelle situazioni pedologiche più favorevoli, conifere mediterranee tra le quali prevalentemente il pino d’Aleppo. In questo contesto sono state rimboschite aree sottoposte a intensi fenomeni erosivi, a tratti anche di tipo calanchivo.
In merito agli eucalitteti che hanno interessato larga parte della fascia ionica calabrese in analoghe condizioni pedologiche, i risultati in termini
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produttivi nel complesso non sono soddisfacenti, almeno per quelle che erano le aspettative. Numerose ricerche hanno evidenziato che, nonostante le difficili condizioni stazionali, la copertura con eucalitti esplica, invece, un’efficace azione di protezione del suolo e di regimazione delle acque. Azione non modificata sostanzialmente neanche dalla ceduazione che può essere migliorata con il rilascio degli scarti di lavorazione sul letto di caduta (CANTORE et al., 1994; CINNIRELLA et al., 1998).
Tali effetti positivi possono però esaurirsi nei successivi cicli agamici, in quanto col tempo diminuisce la vitalità delle ceppaie e con essa la prioritaria funzione per la quale sono state realizzate queste piantagioni. È necessario pertanto, in quest’ottica pensare a una loro graduale sostituzione con specie capaci di innescare una dinamica evolutiva.
Dall’analisi di 5 piani pilota di gestione dei rimboschimenti relativi ad altrettante realtà che, interessando differenti contesti pedoclimatici del territorio calabrese, sono rappresentative, in termini selvicolturali e dendro-auxometrici dei popolamenti artificiali prevalentemente di pino laricio (A.FO.R., 1999), è emerso che:
- la densità, rapportata all’età media dei popolamenti, è ovunque ancora elevata;
- i valori di provvigione sono alti, ma la distribuzione delle piante in classi diametriche evidenzia ancora una buona percentuale di soggetti di piccole dimensioni che dovrà essere eliminata in tempi brevi;
- in quasi tutti i popolamenti sono in atto processi evolutivi testimoniati dalla presenza diffusa e spesso abbondante di novellame di latifoglie diverse in relazione ai contesti ambientali.
L’obiettivo del rimboschimento è di ricostituire un vero e proprio bosco. Un obiettivo che non si raggiunge in pochi anni o decenni ma che richiede tempi più lunghi. Il susseguirsi delle fasi di preparazione del suolo, semina o piantagione, cure colturali, rappresenta l’avvio di un processo i cui effetti iniziano a manifestarsi fin dai primi anni e gradatamente proseguono, tranne dove subentrano fenomeni di disturbo dovuti a cause antropiche (incendi, pascolo) o a cause naturali.
La gradualità è insita nel sistema: a una fase iniziale in cui gli effetti immediati sulla regimazione delle acque lungo i versanti e sul controllo dell’erosione sono dovuti alle tecniche di preparazione del suolo, come nel caso del gradonamento, subentra quella di protezione del suolo (per effetto della copertura arborea) e poi quella di miglioramento delle caratteristiche biologiche e fisico chimiche del suolo. Il popolamento a sua volta modifica le condizioni microstazionali perché varia la quantità, la qualità delle radiazioni solari e la distribuzione della luce al suolo, variano anche le condizioni di temperatura e di umidità e si hanno apporti di sostanza organica al suolo (CIANCIO e IOVINO, 1995; BARBATI, 1999-2000). Il miglioramento del suolo avviene lentamente per le difficili condizioni pedologiche in cui si è spesso operato (suoli molto erosi), per la ridotta quantità di materia organica prodotta dai giovani rimboschimenti, per la lenta decomposizione della sostanza organica e della lettiera che tende ad accumularsi sul suolo, per la bassa alterabilità degli aghi e/o per la modesta
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attività della pedofauna dovuta ai suoli fortemente degradati (MANCINI, 1956, 1960, 1975).
Questi processi rappresentano le prime relazioni funzionali tra la vegetazione introdotta e i fattori ecologici del sito e diventano più evidenti quando cominciano a manifestarsi fenomeni di naturalizzazione a seguito dell’insediamento di specie caratteristiche degli stadi successionali più avanzati.
La mancanza dei diradamenti è risultata, tuttavia, uno dei punti deboli della gestione dei rimboschimenti che oggi è alla massima attenzione del mondo tecnico e politico. A una fase ben riuscita di attecchimento delle piante e di copertura del suolo dovuta alla tecnica di preparazione del terreno, alla scelta delle specie e alla qualità del postime impiegato, nonché alle prime cure colturali, troppo spesso non hanno fatto seguito i diradamenti che trovano i loro presupposti in aspetti di natura bioecologica, colturale ed economica (CIANCIO, 1986)
La naturalizzazione dei rimboschimenti si configura quindi come una prosecuzione dell’attività di ricostituzione boschiva avviata nel secolo scorso, quando, gli interventi hanno interessato vaste superfici in preda a intensi fenomeni erosivi. Ciò ha determinato, anche per il momento storico e socio economico in cui sono stati realizzati i rimboschimenti, l’impiego prevalente di pino nero e pini mediterranei e in mescolanza o, più raramente in piccoli gruppi, anche di conifere esotiche: scelte dettate in molte aree dal dover operare in situazioni oggettivamente difficili, nelle quali era necessario affidarsi a specie che dessero garanzia di elevato attecchimento e di rapido accrescimento in modo da coprire in breve tempo il suolo.
In molti di questi rimboschimenti sono in atto processi di naturalizzazione, che determinano anche una graduale e continua trasformazione del paesaggio. In Calabria, così come in molte altre aree, si è passati dai versanti completamente denudati e fortemente erosi dei primi anni cinquanta a quelli modellati dal gradonamento, agli attuali, con popolamenti monospecifici di conifere nei quali è in atto la dinamica evolutiva (IOVINO e MENGUZZATO, 2001).
La naturalizzazione dei rimboschimenti, secondo NOCENTINI (2000), richiede una valutazione dell’efficienza evolutiva, intesa come complesso di fattori interagenti che riguardano le componenti biotiche e abiotiche del sistema, la scelta dei caratteri e delle modalità degli interventi e la verifica continua della risposta per valutare l’efficacia dell’intervento colturale sull’aumento della complessità e dell’efficienza generale. In questo modo si esclude l’individuazione di un modello di naturalità rappresentato da una composizione floristica e da un tipo strutturale predefinito, l’introduzione artificiale di specie ritenute “più naturali” e si tende, invece, a valorizzare al massimo livello la dinamica evolutiva intrinseca dei popolamenti presenti, attraverso un sostegno ai processi naturali, agevolando i nuclei promettenti e favorendo la rinnovazione naturale.
Per favorire la naturalizzazione dei rimboschimenti in Calabria, è opportuno intervenire con una serie di misure che riguardano innanzitutto la realizzazione di interventi colturali tendenti a sostenere l’evoluzione dei soprassuoli originati dal rimboschimento verso formazioni a struttura e composizione più complessa attraverso la diffusione spontanea e l’affermazione delle specie forestali tipiche dell’area.
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Nei rimboschimenti più giovani, gli interventi finalizzati alla naturalizzazione si concretizzeranno in diradamenti, tendenti a garantire inizialmente il miglioramento della stabilità individuale. Il tipo dell’intervento dipende dal temperamento della specie; l’intensità dovrà essere moderata, in modo da non provocare bruschi cambiamenti. Non si dovrà, in ogni caso, tendere alla regolarizzazione della struttura, ma piuttosto ad accentuare le eventuali disformità presenti e a favorire le specie autoctone.
Nei rimboschimenti di maggiore età (superiore ai 50-60 anni), se le condizioni generali di stabilità lo consentono, si procederà a una riduzione graduale della copertura, favorendo, laddove presente, la rinnovazione naturale.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi colturali per il miglioramento e la naturalizzazione dei rimboschimenti;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio.
3.7 AZIONE 3G: GESTIONE DEI BOSCHI NELLE AREE PROTETTE (L. 394/91) E NELLE
AREE DEL SISTEMA NATURA 2000 (DIRETTIVA HABITAT E DIRETTIVA UCCELLI), ORIENTATA AGLI SPECIFICI OBIETTIVI DI TUTELA E CONSERVAZIONE.
La Calabria è una regione con un’ampia superficie coperta da boschi, i parchi e le riserve naturali sono uniformemente diffusi sul territorio regionale. Con 55˙888 ha (PSR 2007-2013) essa occupa i primi posti nella graduatoria delle regioni italiane con il maggior territorio protetto. Le aree protette consentono la salvaguardia delle peculiarità etno-culturali ed economiche, dei numerosi esemplari floro-faunistici e dei caratteri geomorfologici delle stesse.
La gestione pianificata degli spazi naturali e seminaturali, nelle aree a valenza naturalistico-paesaggistica, si prefigge la conservazione e la valorizzazione degli ambiti di interesse in un ottica di multifunzionalità.
La definizione della gestione sostenibile delle risorse forestali all’interno delle aree protette e dei siti della Rete Natura 2000 deriva dall’interazione fra obiettivi di tutela e caratteristiche degli ecosistemi presenti. Gli obiettivi di tutela previsti dalla legge quadro sulle aree protette (394/91), che devono essere concretizzati nella zonizzazione, variano dalla preservazione all’uso delle risorse.
La zonizzazione è disciplinata dalla L. 394/91 all’art. 12 comma 2, questo prevede che all’interno del piano per il parco sia definita l’organizzazione e l’articolazione del territorio in aree o parti caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela.
Il piano suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a. riserve integrali (zona A) nelle quali l’ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b. riserve generali orientate (zona B), nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del
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territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell’Ente Parco e di manutenzione delle opere esistenti;
c. aree di protezione (zona C) nelle quali, in armonia con le finalità istitutive, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvopastorali nonché quelle di pesca e raccolta di prodotti naturali; inoltre, è incoraggiata la produzione artigianale di qualità e sono ammessi gli interventi di manutenzione e restauro delle opere esistenti;
d. aree di promozione economica e sociale (zona D), più estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
Le linee di gestione forestale, quindi, sono stabilite in relazione alla zonizzazione, alla reale situazione dei boschi all’interno di ciascun Parco e al grado di naturalità dei sistemi forestali.
Nella zona A l’obiettivo è la preservazione. Tutti i popolamenti forestali, indipendentemente dal loro grado di naturalità, dovranno essere lasciati alla libera e indisturbata evoluzione. Essi tenderanno, in tempi più o meno lunghi, ad aumentare la propria complessità e capacità di autorganizzazione. La gestione dovrà definire e mettere in atto una rete di monitoraggio (aree di saggio permanenti, transect, ecc.) con un programma dettagliato di rilievi al fine di verificare l’andamento dei processi.
Nella zona B la conservazione si concretizza nella selvicoltura sistemica in presenza di sistemi forestali poco alterati nella loro funzionalità dall’azione antropica. Tende invece alla naturalizzazione per quei sistemi forestali fortemente semplificati nella composizione e nella struttura.
La selvicoltura sistemica è una «selvicoltura estensiva», in armonia con la natura. Una selvicoltura configurabile con l’attività che l’uomo svolge come componente essenziale del sistema bosco (CIANCIO e NOCENTINI, 1996a; 1996b; 1999).
Questo tipo di selvicoltura tende alla formazione di boschi misti che non presentano una struttura definita nello spazio e nel tempo. La selvicoltura sistemica non mira a forme strutturali regolari, coetanee o disetanee. I boschi trattati secondo i criteri della selvicoltura sistemica evolvono verso la costituzione di silvosistemi autopoietici in equilibrio dinamico con l’ambiente. La struttura e la composizione derivano dall’interazione fra interventi colturali e retroazioni del sistema.
Per quanto concerne i sistemi forestali semplificati gli obiettivi di conservazione si concretizzano nella naturalizzazione (NOCENTINI, 2000).
Nelle zone C e D, in relazione alle caratteristiche dei sistemi forestali presenti, ma anche a considerazioni di tipo socio-economico, oltre alla
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selvicoltura sistemica e alla naturalizzazione può essere prevista anche la selvicoltura tradizionale.
Nelle fustaie coetanee i popolamenti sono costituiti da piante della stessa età o di età alquanto vicina. Il trattamento prevede interventi colturali in relazione all’età del popolamento – sfollamenti, diradamenti, tagli di miglioramento e di rinnovazione.
Nel prevedere il mantenimento della selvicoltura tradizionale della fustaia coetanea nelle zone protette è comunque consigliabile:
- allungare i turni;
- tendere verso sistemi di trattamento basati sulla rinnovazione naturale;
- adottare tagli di rinnovazione su piccole superfici piuttosto che uniformi su ampie superfici;
- salvaguardare le specie secondarie e sporadiche;
- favorire il rilascio di alcune piante del vecchio ciclo (eredità biologica).
Il bosco disetaneo, nella sua accezione più precisa, è caratterizzato da una struttura a copertura permanente e da rinnovazione pressoché continua. È quindi costituito da alberi di diversa età e di varie dimensioni (diametro e altezza) che sono intimamente mescolati per piede d’albero.
La struttura del bosco disetaneo coltivato è pluristratificata e legata al trattamento a taglio saltuario o da dirado o a scelta o di curazione.
Se gestita con continuità la fustaia disetanea manifesta una notevole stabilità. Il bosco assume un aspetto che appare “naturale”, ma che dipende strettamente dalle continue cure del selvicoltore per mantenersi in efficienza. La fustaia disetanea rappresenta infatti il massimo di colturalità. Un popolamento come prima descritto si riscontra nella realtà solo raramente. Laddove questa forma colturale si realizza è opportuno mantenerla perché spesso ha valore culturale e paesaggistico oltre che produttivo.
Il bosco ceduo si caratterizza per la facilità di rinnovazione che si ottiene per via agamica e per seme e, in genere, per la notevole resistenza alle avversità biotiche e abiotiche.
La gestione del bosco ceduo nelle aree a selvicoltura tradizionale, è riconducibile a due diverse ipotesi di lavoro:
1. il mantenimento del governo a ceduo;
2. la conversione in fustaia;
A breve e a medio termine, qualora sussistano o permangano oggettive, particolari condizioni, può essere mantenuto il governo a ceduo, purché si valorizzi questa forma colturale con le opportune modifiche degli ordinamenti e con il graduale, continuo e capillare miglioramento.
Allo scopo di favorire la conservazione del suolo e il mantenimento o l’ingresso di specie arboree ecologicamente più coerenti nelle formazioni
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governate a ceduo, si consiglia di prescrivere, nelle zone a selvicoltura tradizionale, un turno.
Oltre ai vantaggi di ordine ecologico sopra menzionati, un allungamento del turno rispetto a quello consuetudinario corrispondente ai valori minimi previsti dalle Prescrizioni di Massima e di Polizia Forestale consente di ridurre, a parità di massa legnosa asportata, la superficie delle singole tagliate, con positive conseguenze sulla qualità visiva del paesaggio.
Le cure colturali che si dovrebbero effettuare nei cedui sono pratiche ormai in disuso. Sarebbe opportuno recuperare alcune di queste pratiche, quali la propagginatura per colmare i piccoli vuoti, la succisione e la tramarratura per ripristinare la facoltà pollonifera delle ceppaie in via di esaurimento.
In sintesi, nella gestione dei cedui semplici, matricinati e composti è utile:
- allungare i turni;
- ridurre la superficie dei tagli;
- porre dei limiti di pendenza per le superfici da utilizzare;
- lasciare fasce di rispetto lungo i corsi d’acqua, gli impluvi, i crinali;
- salvaguardare alberi vecchi, di specie rare o sporadiche;
- prescrivere le cure colturali tradizionali (sfollamenti sulle ceppaie, tramarratura, ecc.).
Nel caso dei cedui matricinati può essere valutata la possibilità di avviare la conversione a ceduo composto.
La conversione in fustaia può essere attuata con metodi diversificati in relazione alle caratteristiche del ceduo e alla forma di proprietà.
Nella zona D la scelta si amplia: la selvicoltura tradizionale e l’arboricoltura da legno trovano qui il contesto per una razionale applicazione, ma anche la selvicoltura sistemica e una gestione orientata alla naturalizzazione possono essere implementate in relazione al tipo di proprietà e alla disponibilità di specifici contributi.
All’interno di un’area protetta, l’arboricoltura da legno permette di conseguire varie finalità:
- l’aumento della produzione legnosa a livello locale può contribuire a attenuare la pressione sui boschi esistenti;
- può essere realizzata una copertura arborea che ha valore ambientale e paesaggistico;
- nel caso degli impianti sostitutivi delle colture agrarie, si eliminano per un periodo più o meno lungo i danni ecologici conseguenti all’uso-abuso di concimi e di presidi fitoiatrici.
I limiti alla diffusione dell’arboricoltura da legno in un Parco Nazionale derivano innanzitutto dalla zonizzazione: nella zona A e, di norma, nella zona B, non è possibile realizzare nuovi impianti con le caratteristiche tipiche
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dell’arboricoltura. Nelle zone C e D questa attività può essere incentivata a patto che vengano rispettati i seguenti criteri:
- scegliere specie autoctone o quantomeno “familiari” nel paesaggio dove si opera;
- operare solo in stazioni con elevata fertilità e nel campo di idoneità climatica ed edafica della specie;
- nel disegnare gli impianti seguire i confini naturali cercando di evitare la creazione di limiti geometrici o comunque non in armonia con il disegno del paesaggio locale;
- non eliminare gli elementi di vegetazione naturale eventualmente presenti (siepi, macchie, vecchi alberi);
- se presenti rispettare le sistemazioni idraulico-agrarie tradizionali (terrazzamenti, fossi di scolo, ecc.);
- se indispensabile per la difesa degli impianti, usare solo mezzi di lotta biologica.
Per quanto riguarda le aree individuate ai sensi della Direttiva Habitat, giova ricordare che gli obiettivi della Rete Natura 2000 sono: promuovere un nuovo modello di conservazione del patrimonio naturale, integrato con uno sviluppo sostenibile e organizzato in una rete ecologica europea. La tutela e la conservazione del patrimonio naturale, identificato negli habitat e nelle specie floristiche e faunistiche selvatiche del territorio europeo, dovranno tener conto delle esigenze economiche, sociali e culturali delle realtà territoriali, che entrano a far parte della Rete. In ragione del fatto che il programma Natura 2000 riconosce l’uomo come fautore di molte delle valenze naturalistiche di habitat meritevoli di tutela, la stessa ha l’obiettivo di conservare oltre gli ambienti naturali, anche quelli seminaturali.
La Direttiva non fornisce alcuna indicazione sulle linee guida da perseguire per la gestione dei SIC e delle ZPS; tale compito è designato alle autorità nazionali e regionali, che necessariamente devono sviluppare piani di gestione volti alla conservazione dei siti, per ognuno dei quali indicando le migliori strategie di azione da realizzare secondo adeguati strumenti. In quest’ottica si rende indispensabile altresì tener presente gli eventi storici del territorio, che hanno determinato le caratteristiche qualitative e quantitative di particolari habitat meritevoli di conservazione, o che in qualche modo ne hanno determinato la frammentazione e/o la riduzione.
La pianificazione e la gestione forestale sono riconosciute come attività connesse e necessarie alla gestione, con finalità di conservazione, dei Siti della Rete Ecologica Natura 2000. Nell’ambito delle politiche di settore dovrebbero quindi essere definite a livello regionale le linee guida a cui deve ispirarsi la gestione forestale al fine di garantire la salvaguardia delle specie e degli habitat oggetto di protezione da parte delle direttive comunitarie.
Il punto cardine della gestione forestale nei siti di Natura 2000 è rappresentato dalla funzionalità e dalla capacità autopoietica del bosco. In tal
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senso, gli interventi devono essere individuati tra le pratiche che si rendono indispensabili per la stabilità del sistema che ha richiesto la misura di protezione. La gestione deve tendere a garantire la funzionalità e l’efficienza ecologica del bosco.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi colturali finalizzati agli specifici obiettivi di preservazione e conservazione;
· definizione delle linee guida per la gestione degli habitat forestali nei siti della Rete Natura 2000;
· redazione di piani di gestione volti alla conservazione dei siti della rete Natura 2000;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio.
3.8 AZIONE 3H: GESTIONE ORIENTATA DEI BOSCHI URBANI, PERIURBANI E DI
PARTICOLARE INTERESSE TURISTICO-RICREATIVO
I boschi periurbani e di interesse turistico-ricreativo possono essere così definiti:
- Boschi periurbani: formazioni forestali di origine naturale o artificiale, di proprietà pubblica o privata, posti nelle vicinanze di un centro urbano o di un’area metropolitana in cui le funzioni sociali e ricreative siano enfatizzate. Non vi è un criterio di classificazione legato a una distanza standard ma è possibile definire periurbano un bosco raggiungibile a piedi o in bicicletta dagli agglomerati urbani oppure servito dalla rete di trasporti pubblici afferente alla città.
- Boschi di particolare interesse turistico-ricreativo: sono boschi che per le loro caratteristiche intrinseche o per il carattere dell’ambiente in cui si trovano, esercitano una forte attrazione nei confronti dei flussi turistici e ricreativi. Tali boschi non sono necessariamente posti nelle immediate vicinanze di insediamenti urbani ma la provenienza dei fruitori è principalmente di origine urbana. Le attività turistico-ricreative possono necessitare di attrezzature o accorgimenti particolari (basti pensare ai boschi nelle località di sport invernali) ma normalmente il bosco di per sé costituisce una risorsa inesauribile per turismo e le attività ricreative qualora vengano adottati particolari accorgimenti per una frequentazione corretta, consapevole, sicura e creativa.
In questo ambito vanno considerati anche parchi e boschi urbani e orti
botanici che svolgono un importante ruolo sia per la tutela e conservazione della biodiversità sia dal punto di vista didattico e turistico-ricreativo. Gli orti botanici in particolare rivestono un ruolo fondamentale come laboratori aperti che permettono a ragazzi e studenti di avere un contatto con la natura e di imparare a riconoscere le diverse specie vegetali.
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Per quanto riguarda la situazione calabrese si indicano alcuni orti botanici e parchi presenti nei comuni di Soverato (CZ), Cittanova (RC), Lamezia Terme (CZ), Catanzaro.
Il Giardino botanico "Santicelli" di Soverato occupa una superficie di 6 ha e contiene una collezione di oltre 1000 specie di piante arboree, arbustive ed erbacee, tra le quali si riscontrano particolari ecotipi della costa jonica e specie in via di estinzione. Il giardino è principalmente costituito da macchia mediterranea, con un arboreto di specie indigene, ma anche da centinaia di specie esotiche europee ed extraeuropee, che hanno dimostrato uno straordinario adattamento alle condizioni pedoclimatiche dell’area. Il giardino botanico è visitato tutto l’anno, nei periodi primaverili e autunnali prevale l’attività didattica verso le scolaresche, nel periodo estivo le visite guidate per i turisti e gruppi organizzati, mirate a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di conservare la più grande varietà di specie vegetali. Spesso viene fornito supporto anche nello svolgimento di tesi di laurea.
Anche il Giardino della Villa Comunale di Cittanova, realizzato alla fine dell’800, rappresenta un concreto e riuscitissimo esempio di unione vegetale tra specie botanicamente ed ecologicamente distanti tra loro. È costituito da una vegetazione rigogliosa di specie tipiche della fascia mediterranea, di cui il leccio, il pino domestico, l’alloro e il corbezzolo sono i più tipici rappresentanti. Ma al suo interno si sono affermati con sorprendente successo, raggiungendo grandi dimensioni, maestosi cedri del Libano, cedri dell’Atlante, sequoie della California, Liriodendron Tulipifera (albero dei tulipani), Gerstroemia Indica, querce rosse, palme delle Canarie, esemplari pressocché unici in Italia. Una forte impronta scientifica è offerta da esemplari di Cycas Revoluta e di Ginkgo Biloba. Si tratta certamente di un unicum ambientale e naturalistico di grande valore, un orto botanico di eccezionale bellezza e rarità, il più imponente polmone verde della piana di Gioia Tauro e per questo tutelato ai sensi degli artt.1 e 4 della legge 1-06-1939, e dunque sottoposto a tutela monumentale.
Il Parco suburbano Dosso-Comuni a Lamezia Terme, comprende un bosco-parco di circa 80 ha, comprendente il giardino botanico Garcea. Il bosco, in questione, è residuo di un secolare bosco di querce sempreverdi (sughera, leccio) e caducifoglie (roverella e cerro), rimboschito a partire dal dopoguerra con pino domestico, pino marittimo, pino d’Aleppo e cipressi, il sottobosco è quello tipico della macchia mediterranea. Il giardino botanico è stato realizzato a partire dal 1972 nella parte più bassa dove era stato dimesso un vecchio vivaio forestale, esso comprende una varietà di piante che supera le 1000 specie. Sono presenti tutte le piante arboree ed arbustive indigene dell’ambiente calabrese, le piante della macchia mediterranea ed alcune specie a rischio di estinzione a causa della dequalificazione degli ambienti naturali. Il giardino botanico è sede di un’intensa attività didattica con scuole di vario ordine e grado, al suo interno vengono organizzate feste degli alberi, convegni e manifestazioni.
Un grande parco urbano denominato “Bosco Pineta e Giardino Li’ Comuni” è ubicato nel quartiere Siano, a ridosso del centro storico di Catanzaro, esso ha un’estensione di 85 ha ed è attrezzato per il tempo libero, l’escursionismo, il trekking a cavallo, l’attività didattica. Su quest’area a partire del 1972 è stato
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realizzato un giardino botanico e oggi ha una dotazione di decine di piante sempreverdi e caducifoglie, con oltre 1000 specie arboree, arbustive, suffruticose ed erbacee, di interesse ornamentale, agronomico, forestale, aromatico e medicinale. Nella collezione sono presenti tra l’altro, la quasi totalità delle piante autoctone della macchia mediterranea, nonché alcune specie minacciate di estinzione.
Il giardino botanico si estende su un’area variamente inclinata e esposta a sud-est, dal cui punto più alto si può ammirare la costa ionica; al suo interno viene svolta un’intensa attività di divulgazione naturalistica verso le scuole secondarie, l’osservazione diretta delle piante, dalle medicinali alle succulente, alle arboree, contribuisce a facilitare i primi contatti dello studente con il mondo naturalistico e offre notevoli spunti per osservazioni didattiche. Il giardino offre anche un importante supporto per la realizzazione di tesi di laurea delle Facoltà di Scienze Agrarie e Architettura. Nell’ambito dell’attività didattica, periodicamente vengono effettuati stages di educazione naturalistica, forestale e ambientale, per studenti e insegnanti.
In considerazione del fatto che nel nostro paese il 96% della popolazione si dedica ad attività ricreative legate in qualche modo alle aree verdi e, in particolare, ai boschi, sia per il turismo estivo che invernale, la domanda di boschi orientati alla frequentazione turistica è molto elevata.
In Italia, non vi sono, allo stato attuale, indicazioni di legge o di piano a livello nazionale che comprendano tali esigenze. D’altra parte, le legislazioni e i piani regionali e locali sono orientati principalmente all’uso del bosco in aree protette oppure volti a regolare l’accesso, le attività di caccia e le modalità di raccolta di funghi, fiori e frutti di bosco oppure si rivolgono alla regolamentazione di attività particolari quali il cicloturismo, la pratica del motocross o l’escursionismo. Un ulteriore punto di riflessione per quel che riguarda le attività turistico-ricreative in bosco e per la gestione dei boschi urbani e periurbani è data dalla struttura di proprietà: la prevalente proprietà privata dei boschi in generale e dei boschi periurbani in particolare, impone l’adozione di forme di diritto condiviso che consentano la frequentazione e lo svolgimento di attività anche in boschi privati purché siano riconosciuti i benefìci reciproci che derivano da tali iniziative.
Nelle società urbane contemporanee, i boschi urbani e periurbani contribuiscono in maniera multiforme alla qualità dell’ambiente e alla sostenibilità delle nostre città e possono erogare una serie complessa di benefìci in relazione ad aspetti ricreativi, conservativi, paesaggistici, educativi o inerenti il miglioramento della qualità ambientale (effetti su clima locale, qualità dell’aria, inquinamento acustico, ecc.).
I ruoli classici dei boschi urbani e periurbani possono essere quindi riassunti come:
- paesaggistico e ricreativo: per la funzione che i boschi svolgono nel paesaggio e per la conservazione di particolari aspetti storico culturali oltre che quale sede di attività turistiche e ricreative, educative e di benessere sociale;
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- protezione e filtro: sia da eventi naturali più o meno eccezionali ma anche per l’abbattimento dell’inquinamento acustico, luminoso e, soprattutto, chimico sia in atmosfera che al suolo;
- ecologico e naturalistico: per la connessione tra aree rurali e tessuto urbano e la conservazione della biodiversità;
- produttivo: per la conservazione di un tessuto sociale attivo negli ambiti forestali anche se immediatamente vicini alle città: gli aspetti produttivi sono legati sia ai prodotti classici del bosco (legna e legname, prodotti non legnosi, ecc.), sia alla produzione di servizi connessi con le attività turistico ricreative (occupazione in programmi di ecoturismo, ippoturismo, cicloturismo, custodia e manutenzione, punti di ristoro, aziende silvo-turistiche, ecc.).
Non si tratta quindi di benefìci sempre e comunque materiali, anzi. Sempre più spesso la percezione del bosco da parte delle società urbane è connessa con una serie complessa di valori etici ed estetici, oltre che meramente economici e di benessere sociale. Fra i benefìci derivati dalla presenza di boschi urbani e periurbani vi sono anche quelli relativi alla salute umana: la ricaduta sociale e individuale è elevata senza dimenticare che si può registrare una riduzione delle spese sanitarie grazie alla prevenzione e al supporto terapeutico e riabilitativo che i boschi possono fornire: la silvo-terapia diventa una ulteriore destinazione potenziale per le attività (economiche e sociali, dirette e indirette) legate al bosco, funzione che peraltro è storicamente riconosciuta ai boschi urbani e periurbani.
La pianificazione, progettazione e gestione dei boschi urbani, periurbani e di particolare interesse turistico-ricreativo, si dovrebbe quindi fondare su un approccio olistico, sia per la molteplicità di relazioni ecologiche, sociali ed estetiche che il bosco propone, sia per la complessa rete di connessioni con gli strumenti di piano a livello nazionale, regionale e urbanistico. L’approccio deve essere multidisciplinare in un continuum che riunisca le competenze tecniche non solo del forestale ma anche l’apporto di figure nel campo agronomico, paesaggistico e urbanistico, di economisti, sociologi e esperti di diritto, nonché di professionalità emergenti nel campo psico-sociale e partecipativo.
La selvicoltura applicata a boschi urbani, periurbani e di interesse turistico-ricreativo riflette i dettami della selvicoltura sistemica anche se in particolari casi, la conservazione di paesaggi forestali con strutture trattate con criteri di selvicoltura tradizionale, possono costituire una fonte di attrazione turistica attraverso, a esempio, la predisposizione di ecomusei oppure quali paesaggi forestali di riferimento spesso percepiti da un vasto pubblico come paesaggi tipici di un determinato ambiente: si pensi alle strutture monoplane delle pinete litoranee dominate da pino domestico o al forte carattere dei boschi di abete rosso a finalità produttiva o ai lariceti infraperti della fascia montana o subalpina. In ogni caso, la percezione di naturalità da parte dell’insieme di fruitori, aspetto ritenuto sempre positivo nell’analisi delle motivazioni che attraggono le persone in bosco, è legato a criteri derivati dalla selvicoltura naturalistica: il mantenimento della biodiversità (a livello di specie e di habitat), di una funzionalità ecologica compiuta e di cicli sintonici con l’ecologia delle popolazioni arboree tende a
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massimizzare la naturalità dei processi ecologici che riguardano l’ecosistema forestale.
I criteri di intervento non sono diversi da quelli della selvicoltura classica. Sono gli obiettivi di scelta che possono cambiare. Se nell’insieme dei boschi ricreativi la gestione selvicolturale deve essere orientata in modo da minimizzare gli impatti umani sul bosco in modo da lasciarlo il più possibile alla propria autodeterminazione, in diversi casi è raccomandabile una serie di interventi volti a favorire le attività turistico-ricreative attraverso la regolazione della densità per favorire l’accessibilità e la frequentazione oppure, al contrario, il mantenimento di densità elevate in modo da provocare un effetto barriera laddove sia necessario, per motivi di sicurezza, disincentivare l’accesso a parti del bosco.
In particolare, è pensabile di operare, nell’ambito dei diradamenti, con criteri di selezione ed educazione del bosco in modo da enfatizzare gli aspetti di pregio cromatico e semantico attraverso la scelta degli alberi da favorire per il futuro. La presenza di specie arboree o arbustive che, per alcune loro caratteristiche, determinano particolari effetti percettivi e cromatici nel paesaggio è un criterio da enfatizzare nell’ambito degli interventi selvicolturali adottati in questi boschi. Si può trattare di specie con fioriture o fruttificazioni vistose oppure di specie che presentano particolari variazioni cromatiche a seconda dello stadio fenologico. Il pregio cromatico è quantificato come numero complessivo di specie aventi pregio cromatico, indipendentemente dalla loro copertura relativa. L’effetto visivo, infatti, è legato più alla presenza, anche saltuaria, di elementi che interrompono la monotonia cromatica che non alla presenza massiccia di una specie cromaticamente interessante. Considerazioni analoghe si possono fare per elementi di pregio quali, a esempio, specie rare o alberi monumentali, le tracce di pratiche colturali tradizionali, fisionomie inconsuete o aventi un positivo effetto estetico sul paesaggio.
Un ulteriore caso particolare sono gli interventi che, per motivi estetico-paesaggistici, si propongono di aprire scene e visuali in punti panoramici. Tali risultati sono ottenibili attraverso diradamenti o interventi di maturità che consentano di allungare il campo visivo per una visibilità relativa e assoluta priva di detrattori immediati.
Particolari aspetti della gestione forestale si rivolgono alla creazione di boschi con caratteristiche strutturali peculiari. Tratti di bosco denso governati a ceduo o impiantati a densità elevate con cicli di intervento di prelievo brevi possono costituire i cosiddetti “Boschi Sempre Giovani”, ossia piccoli tratti di bosco che, grazie al loro sviluppo relativamente ridotto, possono accogliere attività di gioco e di sperimentazione dei bambini: è stato infatti osservato che in strutture di questo tipo viene favorito il senso di familiarità, ridotto il senso di spaesamento spaziale così consentendo ai bambini di interagire direttamente con gli alberi in modo più semplice e immediato.
Infine, un ulteriore fattore nell’approccio selvicolturale ai boschi periurbani e di interesse turistico-ricreativo riguarda la gestione dei margini del bosco. Infatti, le situazioni di margine possono costituire di per sé elementi di attrazione o di allontanamento: l’effetto di invito a entrare in un bosco è spesso influenzato dalle condizioni accoglienti del margine del bosco.
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I boschi urbani, periurbani e di interesse turistico-ricreativo hanno, quale peculiarità, la frequentazione continua di un pubblico più o meno vasto: ciò impone una serie di scelte gestionali orientate all’esaltazione della sicurezza dei fruitori. Una questione specifica di sicurezza in bosco in ambiente mediterraneo è legato alla ricorrenza potenziale di incendi. In questo senso si rimanda al capitolo specifico per gli approfondimenti del caso (cfr. par. 3.1 parte I).
Un aspetto ulteriore è quello dei danni a cose e persone che possono intervenire in situazioni di instabilità della compagine arborea, non sempre e non necessariamente legati a fenomeni meteorici eccezionali.
Nel caso della gestione di boschi urbani, periurbani e di interesse turistico è necessario considerare la “stabilità” secondo tre diverse prospettive, complementari e interagenti fra loro:
- stabilità paesaggistica: conservazione del paesaggio culturale ovvero sua progettazione o ripristino per esaltarne i valori naturalistico, storico, percettivo, etico e estetico;
- stabilità bioecologica: mantenimento della funzionalità ecosistemica del bosco soggetto a dinamiche di senescenza/rinnovazione e di disturbo/resilienza;
- stabilità meccanica: mantenimento delle condizioni di sicurezza del bosco da fruire, salvaguardando l’incolumità dei visitatori. In tal senso, l’aspetto più rilevante riguarda la stabilità meccanica degli alberi e la prevenzione di crolli e sradicamenti.
Al fine del raggiungimento di livelli affidabili di sicurezza per la frequentazione di boschi urbani, periurbani e di interesse turistico-ricreativo la gestione della stabilità deve essere valutata a due livelli:
a. Stabilità a livello di bosco:
- definizione dei criteri di analisi e in particolare definizione delle zone di maggior rischio potenziale determinato dalla possibilità di caduta degli alberi o di parti di essi;
- inventario e analisi del sistema di viabilità e di itinerari con selezione dei percorsi a maggior rischio per transito, parcheggio, aree di interesse paesaggistico e turistico, aree di sosta e picnic e aree storiche;
- valutazione dei fattori di stabilità collettiva e degli aspetti strutturali e architetturali coinvolti a livello individuale e di popolamento;
- strutturazione di schede di monitoraggio e di informazione comprensive degli aspetti fitopatologici e dei macro-indicatori di danno e instabilità.
b. Stabilità a livello di singolo albero:
- definizione delle aree su cui realizzare le analisi puntuali (zone di parcheggio, sosta, massima frequentazione, zone di elevata frequentazione per attività sportive specifiche – piste da sci, percorsi di cicloturismo, aree attrezzate per gioco o altre attività sportive;
- individuazione degli alberi a rischio e analisi individuale di stabilità (visiva e eventualmente strumentale).
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Questi aspetti riferiti alla stabilità dei popolamenti e delle singole piante acquistano ancora maggiore importanza nella pianificazione e progettazione di parchi, giardini e orti botanici. Diviene fondamentale il monitoraggio continuo, la manutenzione attraverso potature e se necessario interventi di dendrochirugia per garantire l’incolumità dei visitatori.
Resta fondamentale la cosiddetta “gestione passiva” della sicurezza, ossia la predisposizione di un corredo informativo adeguato (pannelli, segnaletica, fogli illustrativi redatti in modo semplice ed efficace per un pubblico di diverse provenienze culturali e sociali) che possa produrre educazione non solo al bosco e alle sue caratteristiche ma anche ai potenziali pericoli che si possono incontrare.
Le esperienze di gestione partecipata sia dei boschi urbani e periurbani che di boschi a elevata frequentazione turistico-ricreativa si sono rivelate di grande beneficio e orientate alla soluzione di problemi e conflitti altrimenti negativi per il futuro stesso del bosco.
Per i forestali, migliori relazioni col pubblico possono costituire un risultato molto positivo per affrontare in modo più sereno, meglio accolto e accettato, ben riconosciuto il proprio lavoro. La partecipazione del pubblico richiede differenti approcci. Il ruolo dei conoscitori è già stato riportato ma altri gruppi debbono essere considerati, includendo i bambini, i giovani, gli anziani, le madri con bimbi piccoli, le minoranze etniche.
Nelle società urbane contemporanee, molti bambini non hanno la possibilità di avere un contatto e un accesso regolare con la foresta e la natura: la consapevolezza dei processi naturali e dei valori dell’ambiente è spesso esigua. Coinvolgere i bambini nella gestione dei boschi è un punto cardine per consolidare non solo una migliore gestione, ma anche per aprire nuove vie al coinvolgimento delle famiglie, delle associazioni e anche di singoli cittadini. Ed è il modo migliore per percorrere concretamente la via dello sviluppo sostenibile per il presente e il futuro.
In questo senso l’apertura di programmi di lungo termine con le scuole e le associazioni giovanili è un momento fondante la gestione.
Un ulteriore modalità concreta di coinvolgimento nella gestione risiede nella formulazione di contratti e accordi specifici che prevedano il conferimento di responsabilità gestionali a gruppi con diversi interessi e gradi di associazionismo. I circoli di anziani, le organizzazioni non governative, le cooperative di inserimento di diversamente abili, le associazioni scoutistiche, i gruppi parrocchiali, i movimenti ambientalisti o a indirizzo di impegno politico e sociale, possono essere coinvolti con varie forme di accordo (sia su base volontaria che remunerata) per assumersi la responsabilità diretta della gestione di alcuni aspetti della gestione dei boschi urbani, periurbani e di interesse turistico sotto la supervisione degli esperti responsabili e delle amministrazioni. Tali soluzioni possono avere anche un significato economico vista la possibilità di ridurre alcuni costi di gestione.
I criteri appena riportati sono volutamente orientati alla componente turistico-ricreativa ed educativa. Non va dimenticato che altre funzioni fondamentali sono associate alla presenza di tali boschi, prime fra tutte la
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conservazione delle risorse idriche e dei caratteri di naturalità. La componente produttiva di almeno alcuni tratti di bosco può essere oltremodo importante, sia dal punto di vista educativo sia perché, soprattutto in casi di proprietà privata, la possibilità di mantenere delle attività fonte di reddito consente a operatori e gestori di esprimere interesse e senso di appartenenza elevati.
Esempi di programmi specifici di gestione di boschi periurbani dove viene enfatizzata la funzione di conservazione delle acque, di regimazione idraulica o di produzione hanno aiutato i processi comunicativi e costituito una ulteriore serie di buone pratiche per attrarre non solo visitatori ma anche risorse e visibilità nel mondo forestale.
Un ultimo aspetto particolare legato a boschi urbani, periurbani e turistico ricreativi riguarda i rapporti fra bosco e salute, fra selvicoltura e benessere. In assoluto e fino a prova contraria, i boschi fanno bene e fanno star bene. Sono quindi parte della progettazione e gestione di tali boschi:
- la preparazione di percorsi per diversamente abili o di percorsi specifici per programmi di riabilitazione fisica o assistenza terapeutica;
- la predisposizione di percorsi per attività fisica con attrezzi, preferibilmente in materiali naturali, orientati a training specifici, oppure con corredo di informazioni di performance (calorie che si possono bruciare in un determinato percorso, funzionalità aerobica, risposta cardiocircolatoria);
- programmi specifici di riabilitazione per patologie motorie o della memoria, a esempio per pazienti affetti da sindromi di Alzheimer o Parkinson;
- programmi di sostegno per malattie genetiche quali la sindrome di Down;
- attività programmate di lavoro e di esercizio per patologie psicotiche deboli.
Bisogna poi tenere presente che i boschi possono essere a loro volta fonti di patologie e quindi la gestione (tramite prelievi mirati e modificazioni nel tempo) e la progettazione dovranno essere orientate a minimizzare le possibili sorgenti di cause patogeniche per le popolazioni umane (specie allergogeniche, specie velenose, specie urticanti, specie che ospitano parassiti o popolazioni di funghi e insetti dannosi per la salute umana).
Nell’ambito dei boschi di particolare interesse turistico-ricreativo va fatto cenno a boschi vetusti e alberi monumentali.
La Riserva Naturale Statale Biogenetica dei Giganti della Sila, situata nel comune di Spezzano della Sila (CS), per le sue caratteristiche può essere considerato un bosco vetusto. La specie floristica dominante è il pino laricio che nella riserva va a costituite una fustaia disetanea che va dai 350 e più anni di età dei cosiddetti "Giganti", ai 120 anni della pineta adulta, fino ai 10-15 anni della rinnovazione naturale. I "Giganti", che danno il nome all’area protetta, sono appunto costituiti da 53 eccezionali piante di pino laricio. Il pino di maggiori dimensioni ha un diametro di 187 cm, 43 metri di altezza e un volume di 62.184 m3.In questo popolamento si configurano i resti dell’antica, famosa e suggestiva
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silva brutia, segno tangibile di storia e cultura ed espressione simbolica del territorio calabrese.
Il termine monumentale riferito a un singolo albero viene utilizzato in Italia, in genere, per indicare sia soggetti di dimensioni eccezionali, spesso molto vecchi, che colpiscono per la loro maestosità e le loro forme inconsuete, sia alberi non necessariamente di dimensioni eccezionali ma di rilevante importanza perché testimoni di eventi storici e culturali. Gli alberi monumentali censiti in Calabria, dal Corpo Forestale dello Stato sono 35, ripartiti nelle diverse Provincie.
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Tabella 44 – Alberi monumentali in Calabria
Comune Prov Località Genere Specie Circonferenza Altezza
m m
Aprigliano CS Lardone Sequoia gigantea Dec. 6.8 25
Aprigliano CS Colleascine Sequoia gigantea Dec. 5.1 30
Aprigliano CS Lardone Abies nordmanniana Spach 4.6 25
Bianchi CS Centro abitato Ulmus campestris L. 4.3 20
Bocchigliero CS Macchia della
Giumenta Fagus sylvatica L. 4.05 16
Carpanzano CS Segreteria Castanea sativa Mill. 7 12
Celico CS Valle Scura Juglans regia L. 3.8 26
Colosimi CS Centro abitato Ulmus campestris L. 5 18
Laino Borgo CS Licari Quercus pubescens Willd. 4.65 23
Laino Borgo CS San Sinni Quercus pubescens Willd. 5.68 20
Laino Borgo CS Contrada Morgiolongo Quercus Crenata Lam. 4.1 31
Laino Castello CS Bongianni Quercus petraea Liebl. 5.2 30
Longobucco CS Cava dell'Orso Abies alba Mill. 4.6 28
Longobucco CS S. Barbara Pinus nigra Arn. var. laricio 5.25 22
Longobucco CS S. Michele Pinus nigra Arn. var. laricio 2.4 26
Rogliano CS Fravica Quercus petraea Liebl. 5.3 10
Rossano Calabro CS Leuca - Marina di
Rossano Quercus robur L. 7.7 20
Spezzano Sila CS Cupone Pinus nigra Arn. var. laricio 5.2 28
Spezzano Sila CS Fallistro Acer pseudoplatanus L. 6.34 25
Spezzano Sila CS Fallistro Pinus nigra Arn. var. laricio 5.81 43
Spezzano Sila CS Quattro Vie Pinus nigra Arn. var. laricio 4.05 26
Spezzano Sila CS Corvo Alto Pinus nigra Arn. var. laricio 4 35
Serra San Bruno CZ Agrimulara Abies alba Mill. 3.75 36
Serrastretta CZ centro abitato Celtis australis L. 4.2 16
Simbario CZ Bregghia Quercus petraea Liebl. 6.1 22
Simbario CZ Murgio Quercus petraea Liebl. 4.6 22
Simbario CZ Trainaro Quercus petraea Liebl. 5.4 18
Bagnara Calabra RC Contrada Covala Abies alba Mill. 3.9 25
Bagnara Calabra RC Pizzu Panu Pinus pinea L. 4.9 30
Bagnara Calabra RC Contrada Covala Quercus ilex L. 4.9 25
Delianuova RC Scuto Pinus pinea L. 6.4 35
Delianuova RC S. Francesco Pinus pinea L. 4.4 25
Delianuova RC Madonna della Salute Pinus pinea L. 5.2 25
S. Eufemia d'Aspromonte
RC Petrulli Pinus nigra Arn. var. laricio 4.15 28
Scido RC Pizzu Panu Pinus pinea L. 4.2 18
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In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi di miglioramento e gestione dei boschi urbani, periurbani e di particolare interesse turistico-ricreativo in relazione alle specifiche funzioni;
· definizione di linee guida per la progettazione/gestione dei boschi urbani, periurbani e di particolare interesse turistico-ricreativo;
· definizione di linee guida per le analisi sulla stabilità degli alberi (VTA);
· prescrizione di interventi di lotta alle fitopatie;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio.
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OBIETTIVO 4
4. AMPLIAMENTO DELLE SUPERFICI FORESTALI
L’ampliamento delle superfici forestali avviene attraverso l’impianto di specie arboree su terreni in cui la copertura forestale è stata distrutta, nel breve o lungo periodo, da fenomeni antropici, oppure su terreni con altre destinazioni d’uso (es. ex coltivi, pascoli abbandonati). Tali impianti o reimpianti, oltre a essere finalizzati alla ricostituzione boschiva (cfr. par. 2.2 Parte II), possono essere realizzati con finalità produttive.
In quest’ultimo caso essi si identificano perlopiù con le piantagioni di specie forestali per arboricoltura da legno, sia essa di qualità o di quantità. Casi particolari sono rappresentati dagli impianti realizzati per assolvere a particolari funzioni (ecologica/faunistica/paesaggistica), oppure in aree periurbane.
L’ampliamento delle superfici forestali rappresenta anche una misura per la mitigazione dell’aumento di CO2, ribadita a livello comunitario (Commissione Europea Com (98); Consiglio dei Ministri dell’Ambiente UE, 1998) e in Italia (Delibere CIPE, 1997 e 1998) in diversi documenti elaborati sulla base del protocollo di Kyoto (1997).
4.1 AZIONE 4A: REALIZZAZIONE DI IMPIANTI PER ARBORICOLTURA DA LEGNO, PER
LA PRODUZIONE DI BIOMASSE
L’obiettivo che si persegue con questi impianti è sostanzialmente diverso dai rimboschimenti in quanto la loro realizzazione è finalizzata a ottenere produzione di legno in modo da essere attenuata la pressione antropica sui boschi e, nel contempo, si valorizzano i fattori naturali di produzione, creando una copertura arborea di interesse anche ambientale. Accanto alla pioppicoltura che ha da sempre rappresentato il contesto classico dell’arboricoltura da legno, negli ultimi decenni diversi impianti a carattere forestale sono stati realizzati in questa ottica e altri potranno realizzarsi con il continuo aumento delle superfici agricole dimesse.
L’arboricoltura da legno è, infatti, una coltivazione di un semplice insieme di alberi forestali, costituente un sistema artificiale temporaneo o transitorio che può anche evolversi verso un ecosistema forestale, allo scopo di ottenere in tempi più o meno brevi produzioni legnose in elevata quantità e con specifiche qualità, in relazione alle diverse regioni fitogeografiche, alle condizioni ambientali e socio-economiche (CIANCIO et al., 1981-82).
L’arboricoltura da legno si può realizzare in tre luoghi economici. Il primo riguarda gli impianti sostitutivi delle colture agrarie nell’ambito dell’azienda agraria, dove esistono strutture e condizioni socioeconomiche idonee a ottimizzare la produzione di qualità. Il modulo colturale è intensivo, quasi sempre completo e il sistema è temporaneo, cioè è reversibile al variare delle mutevoli condizioni di mercato tra prodotti agricoli e assortimenti legnosi. Il secondo riguarda gli impianti su terreni marginali all’agricoltura ed è il luogo economico dove si
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possono ottenere produzioni di qualità o di quantità e il modulo di coltivazione varia per intensità in relazione all’obiettivo prefissato.
Il sistema può essere temporaneo o transitorio in quanto con opportuni interventi è suscettibile di evolvere verso sistemi stabili e autonomi. Il terzo luogo economico si configura con gli impianti su terreni a tipica vocazione forestale, nei quali il modulo di coltivazione è meno intensivo. Il sistema è transitorio per capacità intrinseca di evoluzione verso un ecosistema forestale e diventa decisiva la scelta dei metodi colturali per conseguire la rinnovazione naturale e il definitivo passaggio dalla tipica attività dell’arboricoltura da legno a quella specifica della selvicoltura.
Nel caso degli impianti sostitutivi delle colture agrarie si tende a ottenere il massimo della produzione di legno di qualità o in grandi quantità, negli altri due (terreni marginali all’agricoltura e terreni a tipica vocazione forestale) si effettuano scelte di gestione dirette alla naturalizzazione del sistema (CIANCIO, 2000).
La realizzazione di questi impianti in ambiti prettamente agricoli comporta modificazioni dei rapporti spaziali e funzionali intercorrenti tra gli elementi dell’ecotessuto paesistico. Ciò richiede che in fase di pianificazione e di progettazione si tenga conto della complessità dei suddetti rapporti e la connessa varianza multiscalare nei diversi ordini gerarchici impiegati nella descrizione del paesaggio (CORONA e MARCHETTI, 2002).
L’arboricoltura da legno si identifica, pertanto, con un sistema di tipo agronomico in cui il modulo di coltivazione varia in relazione agli obiettivi da conseguire: produzione di qualità o di quantità.
A tale fine bisogna distinguere gli impianti finalizzati all’arboricoltura di qualità da quelli di quantità (CIANCIO et al., 1992). I primi sono realizzabili in condizioni ambientali ottimali, su piccole superfici, e destinati alla produzione di assortimenti legnosi di elevato valore tecnologico, ottenuti utilizzando, oltre ai pioppi, soprattutto latifoglie con legno di pregio. In queste situazioni è possibile effettuare piantagioni di noce, ciliegio, frassini, aceri, ecc., con tecniche colturali tipiche degli impianti delle colture arboree da frutto (lavorazioni profonde, concimazioni, irrigazioni, eventuali trattamenti fitosanitari, densità di impianto definitive, potature).
Gli impianti per arboricoltura di quantità, invece, sono realizzabili dove vi sono condizioni ambientali più difficili, impiegando conifere a rapido accrescimento, capaci di utilizzare al meglio le poche risorse disponibili in suoli spesso con serie limitazioni di natura pedologica. In questo caso gli assortimenti prevalenti saranno utilizzati per la produzione di biomasse per usi energetici oltre alle tradizionali destinazioni quali: pannelli, di carta e cartone, di imballaggi e per falegnameria industriale.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi di piantagione di specie forestali;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio;
· realizzazione di opere infrastrutturali e complementari agli interventi.
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4.2 AZIONE 4B: REALIZZAZIONE DI FILARI E BOSCHETTI CON FUNZIONE
ECOLOGICA/FAUNISTICA/PAESAGGISTICA
Particolare aspetto della pianificazione territoriale e di quella forestale è costituito dalle modalità di progettazione e gestione di filari e boschetti con funzione ecologica/faunistica/paesaggistica. Si tratta di elementi diffusi del paesaggio urbano e rurale dove la componente arborea è presente in popolazioni a struttura lineare più o meno condizionata da interventi di gestione da parte dell’uomo oppure in gruppi di alberi, relitti di formazioni boschive pre-esistenti o risultato di programmi localizzati di piantagione. Sono strutture di connessione ecologica, elementi semiologici fondamentali nell’analisi e nelle procedure operative di architettura del paesaggio, nonché caratteri distintivi nella progettazione di connessioni funzionali di mobilità (greenways). Sono altresì elementi semantici di rilievo nel quadro costruttivo e percettivo del paesaggio.
I filari in senso stretto, popolazioni di alberi e arbusti a sviluppo lineare, sono disposti prevalentemente lungo gli assi stradali urbani ed extraurbani, lungo i percorsi ciclabili e pedonali, a corredo e supporto di attività agricole oppure per costituire effetti di filtro o barriera visiva, acustica e frangivento sia in ambiti rurali che urbani. Sono tratti di vegetazione che possono concorrere alla costituzione di corridoi ecologici, elemento fondamentale delle reti ecologiche.
I filari possono essere realizzati utilizzando una o più specie, in relazione agli obiettivi e allo spazio a disposizione. La densità degli alberi è solitamente colma a maturità: in filari densi la distanza minima tra gli alberi (misurata come distanza fra le chiome a maturità) è di 0.50 m mentre la distanza massima dipende dalla funzione di destinazione del filare così come dagli effetti scenici desiderati. La scelta tra filari densi e radi deve rispondere a esigenze specifiche di progetto (trasparenza, creazione di barriera visiva). Per la distanza di filari di nuova realizzazione dai bordi delle strade restano ferme le disposizioni del Codice della strada che indicano una distanza minima pari all’altezza potenziale dell’albero a maturità. Dal punto di vista di scelta delle specie arboree e arbustive da utilizzare è da privilegiare il riferimento a filari campestri e di margine fra città e campagna nonché l’uso di specie indigene o appartenenti al patrimonio di tradizione rurale. Nel caso di nuovi impianti e di ristrutturazione di filari urbani pre-esistenti è necessario che siano considerati:
- la forma e dimensione delle aree permeabili di impianto: privilegiare la messa a dimora su aiuola continua non pavimentata o comunque di dimensioni sufficienti per gli scambi idrici e gassosi;
- la distanza interasse tra gli alberi che deve di nuovo considerare i possibili conflitti fra le chiome e gli apparati radicali a maturità;
- distanze appropriate da edifici, recinzioni e infrastrutture sotterranee.
Le siepi sono una ulteriore risorsa in termini ecologici ed estetici. Rappresentano aree di riposo bioecologico e corridoi per la fauna; garantiscono diversità a livello paesaggistico e di habitat diversi, consentono una migliore fruizione dell’ambiente rurale e svolgono talora un ruolo protettivo e frangivento grazie alla loro capacità di schermo. Le siepi possono essere monospecifiche e miste, sono impianti lineari, regolari a carattere continuo, costituiti da specie
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arbustive o arboree con portamento arbustivo con funzione di micro-connessione della trama vegetazionale.
Nell’ambito delle formazioni lineari, un ruolo particolare è rivestito dalle cosiddette barriere vegetali ossia delle fasce boscate miste ad alta densità di impianto (copertura pari al 100%), a impianto irregolare, composte da specie arboree e arbustive resistenti alle emissioni inquinanti atmosferiche e sonore, in grado di assorbire e trattenere polveri nonché abbattere il rumore e la velocità del vento. Svolgono inoltre funzioni di mascheramento, ridefinizione dei margini edificati, creazione di habitat di transizione o permanenti per diverse specie vegetali e animali.
Le caratteristiche progettuali delle barriere vegetali, in termini di composizione specifica, densità e sesto di impianto della barriera dipendono dalle funzioni richieste: le barriere visive sono solitamente fasce alberate in unico filare con alberi disposti secondo un sesto d’impianto variabile, da denso a rado, e profondità minima nell’ordine di alcuni metri, oppure plurifilare con sesto d’impianto fitto o rado e disposizione a quinconce. Le specie arboree costitutive, selezionate preferibilmente fra le autoctone, vanno scelte fra quelle che mostrano un alto grado di complessità di architettura della chioma, qualora si tratti di specie caducifoglie, mentre per le sempreverdi sono preferibili le specie a chioma compatta e fillotassi complessa.
I gruppi di alberi e boschetti rappresentano di nuovo elementi preziosi nel paesaggio e nell’assetto ecologico degli ambiti rurali e urbani. Le considerazioni sulla loro progettazione e gestione sono analoghe a quanto riportato per le formazioni lineari. È utile comunque ricordare che i boschetti e i gruppi di alberi, anche di piccole dimensioni, qualora progettati e gestiti in modo da conferire alla struttura caratteri di informalità e naturalità possono conferire un aspetto speciale al paesaggio e alla fruizione estensiva dell’ambiente fino a sviluppare un senso di bosco anche in superfici minime. La progettazione fondata su criteri ecologici rigorosi enfatizza, tra l’altro, il ruolo che gruppi di alberi e boschetti possono assumere in una dimensione di rete ecologica come punti di rifugio o di sosta per popolazioni animali e vegetali.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi di piantagione di specie forestali.
4.3 AZIONE 4C: REALIZZAZIONE DI FORESTE PERIURBANE
Le città sono ambienti altamente dinamici e decisioni strategiche vengono continuamente prese su numerosi aspetti dello sviluppo urbano, delle infrastrutture, di sviluppo socio-economico, di destinazione d’uso del suolo e via di seguito. Una visione strategica di sviluppo delle funzioni sociali e ambientali del bosco non riguarda solo la gestione dei boschi esistenti ma anche la realizzazione di nuovi complessi forestali. A tal fine, la componente strategica può essere affrontata attraverso metodologie specifiche (a esempio l’analisi multicriteriale, l’analisi swot o le analisi gerarchiche di problemi e soluzione di
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conflitti) che consentano una migliore collocazione dei futuri boschi attraverso un percorso critico condiviso.
I soggetti da coinvolgere devono essere non solo le diverse autorità amministrative territoriali (comunali, provinciali, regionali e nazionali), parti attive nella gestione e progettazione dei boschi periurbani, ma anche una serie di altri soggetti pubblici e privati (tecnici, proprietari, associazioni, scuole, organizzazioni di categoria e ovviamente esperti del settore forestale e ambientale e attori economici locali).
Il processo progettuale inizia considerando le alternative per la localizzazione del nuovo bosco nell’ambito del paesaggio di riferimento: realizzare un nuovo bosco non è sempre e comunque un miglioramento. Il carattere del paesaggio esistente va considerato attentamente, nel caso di paesaggi aperti di valore, aree con speciali qualità culturali e storiche, habitat di particolare pregio, paesaggi rurali con valenze culturali peculiari.
Qualora possibile i nuovi boschi devono essere collocati laddove siano facilmente raggiungibili e accessibili in modo da favorire la loro fruizione futura e promuovere legami e attività potenziali per la comunità locale, aumentare il senso di appartenenza in una sorta di processo di adozione del nuovo bosco da parte della comunità.
I boschi periurbani sono infatti differenti dagli altri boschi non per ciò che intrinsecamente sono ma per quanto viene loro richiesto e ciò pone delle sfide progettuali specifiche. Gli aspetti ricreativi infatti assurgono spesso quale obiettivo primario: dovrà essere chiaro fin dall’inizio che tipo di attività ricreative sono preferite o da favorire poiché in relazione a ciò saranno diversi i requisiti richiesti in termini di progettazione del bosco, di attrezzature di supporto, di sicurezza.
Il bosco come spazio sociale non significa solo fare esperienza della natura, rilassarsi, fare attività fisica ma anche incontrare altre persone, organizzare eventi: è necessario che la struttura del futuro bosco mantenga le caratteristiche di naturalità pur evolvendo in strutture accoglienti, che possano ospitare facilmente passeggiate e, frammisto a spazi aperti più o meno attrezzati dove sedersi o stendersi per riposare, chiacchierare, organizzare incontri formali e informali. Particolare attenzione va prestata nell’introdurre attrezzature e servizi in funzione delle differenze culturali locali. In alcuni casi l’introduzione di oggetti artificiali può venir percepita come una intrusione in un ambito naturale.
Le questioni chiave da tener in considerazione nel percorso progettuale sono:
- il grado di mescolanza e armonizzazione fra diversi elementi del paesaggio: bosco, spazi aperti, acqua, ecc;
- i confini e i margini del bosco;
- la scelta delle specie da utilizzare e i sesti di impianto;
- infrastrutture, attrezzature e tipologia delle informazioni;
- qualità dell’esperienza progettuale.
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In generale, la diversità strutturale e di spazi è solitamente apprezzata da un ampio spettro di fruitori. Invece di boschi densi con strutture chiuse, un mosaico di boschi, spazi aperti e elementi d’acqua sono percepiti positivamente.
La preparazione di linee guida per la progettazione di boschi periurbani e di interesse turistico-ricreativo, divulgate anche in manuali di semplice lettura e applicazione, può essere un valido aiuto non solo alla progettazione classica ma anche per aprire le porte alla partecipazione al progetto da parte di soggetti delle comunità locali.
Requisiti tecnici per il rimboschimento, strumenti concreti di coinvolgimento degli attori locali, supporto alla scelta delle specie arboree da utilizzare sono alcuni dei temi che possono essere sviluppati in tali manuali.
Alla base dei criteri di progettazione devono comunque sempre essere considerazioni ecologico-funzionali sul paesaggio, oltre che estetiche e sociali.
La progettazione non riguarda solamente il momento di costituzione di un bosco. La progettazione deve rispondere anche a possibili cambiamenti di destinazione, necessità di trasformazione dei boschi periurbani. Casi concreti in cui è necessario progettare delle trasformazioni sono quando un bosco a frequentazione sociale o turistica non risponde più alle esigenze e domande della comunità, oppure quando la gestione non è più in grado di adattare le caratteristiche del bosco in relazione alle aspettative del pubblico. Così, in alcuni casi, la presenza di eventi di disturbo o perturbazione (attacchi di patogeni e parassiti, incendi) impone una riprogettazione del bosco.
Ma non è solo il bosco nel suo complesso che può richiedere una trasformazione: può essere necessario migliorare o ridirezionare i percorsi per mostrare una varietà di micro-habitat al fine di migliorare la qualità dell’esperienza di bosco o per evitare situazioni di pericolo.
La progettazione dei boschi periurbani va sviluppata nell’ambito di piani di progetto locale in modo da far emergere il paradigma della progettazione permanente, intimamente collegato con la gestione continua e capillare del bosco.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· definizione di linee guida per la progettazione/gestione dei boschi periurbani e di particolare interesse turistico-ricreativo;
· interventi di piantagione di specie forestali;
· realizzazione di strutture e infrastrutture antincendio;
· realizzazione di opere infrastrutturali e complementari agli interventi.
4.4 AZIONE 4D: GESTIONE, INDIRIZZO E CONTROLLO DELLA PRODUZIONE DI
MATERIALE DI PROPAGAZIONE FORESTALE A SOSTEGNO DELLE AZIONI PREVISTE DAL
P.F.R.
Per la corretta realizzazione di rimboschimenti e di impianti di arboricoltura da legno, è fondamentale la qualità del materiale di propagazione
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forestale (MPF – sementi, piantine o parti di piante) al fine di conservare la biodiversità, valorizzare le entità tassonomiche e gli ecotipi di elevato valore genetico, salvaguardare le specie arboree in estinzione.
La legislazione relativa al materiale di propagazione è regolata dal Decreto Legislativo n. 386 del 2003 “Attuazione della direttiva 1999/105/CE relativa alla commercializzazione dei materiali forestali di moltiplicazione”.
Per sostenere l’attività di rimboschimento e di arboricoltura da legno diventa fondamentale prevedere a livello regionale, in ottemperanza anche alle attuali norme vigenti, da un lato l’individuazione di boschi da seme, in aggiunta a quelli già iscritti nel Libro Nazionale, e di un apposito centro regionale per la produzione di semi forestali certificati in loco, dall’altro, le strutture necessarie per la produzione del materiale di impianto.
Al fine di garantire la qualità del seme, è necessario procedere ad allestimenti di sementi forestali condotti con sani, razionali metodi selettivi, raccolte dettate da opportuni e appropriati principi genetici tendenti a un progressivo, graduale miglioramento del patrimonio forestale. Da tutto ciò scaturisce la necessità di realizzare un centro per la lavorazione e la certificazione delle sementi forestali. Infatti il territorio calabrese è particolarmente ricco di alcune specie, con la produzione di piante forestali altamente selezionate da destinare potenzialmente non solo nell’ambito regionale, ma proponendosi come la più importante realtà del centro-sud nel settore vivaistico-forestale. Raccogliendo e lavorando direttamente le sementi nel territorio regionale, si avrà l’opportunità di coinvolgere e specializzare manodopera locale e, di conseguenza, rilanciare l’attività del vivaio Acqua del Signore, contribuendo significativamente al rilancio delle attività di ricostituzione boschiva e di produzione di legno fuori foresta sia nel territorio regionale calabrese che in quello delle altre regioni meridionali.
Il seme raccolto nei boschi sarà lavorato e selezionato interamente nel centro, per poi avere varie destinazioni. Una quota verrà impiegata direttamente nella produzione vivaistica; la parte rimanente potrà essere destinata alla vendita. Il Centro provvederà anche alla creazione e alla valorizzazione di intere collezioni vegetali delle singole aree regionali (GRADI, 2005).
La Banca del Germoplasma potrà assicurare il mantenimento della vitalità delle sementi per lunghissimi periodi, anni e decenni. Inoltre si potranno mantenere ex-situ le collezioni di materiale genetico raccolto in Calabria il cui utilizzo sarà di fondamentale importanza in caso di eventi avversi eccezionali (incendi, attacchi parassitari, ecc.) o di altra necessità.
Con la realizzazione di un centro regionale per la produzione di semi forestali certificati si attendono i seguenti risultati:
- lavorazione locale delle sementi: i semi raccolti in Calabria verranno lavorati direttamente in loco, garantendone l’origine e la qualità;
- salvaguardia del patrimonio genetico autoctono: impiegando seme direttamente raccolto in Calabria si limiteranno i rischi di inquinamento genetico intraspecifico;
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- rilancio dell’attività vivaistica: la regione rilancerà le sue attività vivaistiche affiancandole con quelle più specifiche della produzione delle sementi, garantendo così un servizio economicamente conveniente al territorio regionale;
- produzione di sementi certificate da impiegare nel centro o da commercializzare;
- impiego e valorizzazione di manodopera locale.
Ai fini di consentire la produzione di materiale in quantità sufficiente e di elevata qualità, è opportuno concentrare gli interventi su tre strutture, di adeguate dimensioni, dove sia possibile razionalizzare e meccanizzare tutte le fasi da attuare durante il ciclo di produzione delle piantine: una destinata alla produzione di postime da impiegare nella zona fitoclimatica del Lauretum di PAVARI, e due in quella del Castanetum per soddisfare le richieste relativamente alla stessa zona fitoclimatica e per quella del Fagetum.
La scelta delle zone dovrà tener conto di quelle che sono le necessità di una struttura moderna in termini di superficie, morfologia del terreno, disponibilità di acqua, che sia agevolmente accessibile per i mezzi di trasporto, vicina alle grandi vie di comunicazioni, ecc., questo facile accesso richiede un forte impegno finanziario e umano.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· monitoraggio dei boschi da seme;
· definizione di linee guida per la gestione dei boschi da seme;
· interventi colturali per il miglioramento della produzione dei boschi da seme;
· individuazione di un apposito centro regionale per la produzione di semi forestali certificati in loco (Banca del Germoplasma);
· individuazione e gestione dei vivai forestali;
· formazione e qualificazione del personale.
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OBIETTIVO 5
5. SVILUPPO DELLE PRODUZIONI E DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE
5.1 AZIONE 5A: SVILUPPO E MIGLIORAMENTO DELLA FILIERA LEGNO
La Calabria, come è stato ampiamente illustrato nei precedenti capitoli, possiede un patrimonio forestale tra i più importanti in Italia per la superficie che occupa, per la presenza delle moltissime specie che lo caratterizzano, per le produzioni sia in termini quantitativi che qualitativi che è in grado di offrire. Un patrimonio che, però, sotto molteplici aspetti non è assolutamente valorizzato se il 47% della massa è costituita da legna per combustibili e il tondame grezzo rappresenta appena il 17% del valore complessivo della massa utilizzata.
Le motivazioni di questo stato di fatto non sono certo legate allo scarso valore tecnologico degli assortimenti (il pino laricio, l’abete, il faggio, il castagno, le querce forniscono assortimenti di pregio che solo raramente vengono pienamente valorizzati). La motivazione è certamente da attribuire alla inconsistenza della filiera foresta-legno, spesso limitata alla sola utilizzazione dei lotti, mentre la prima lavorazione, soprattutto nel caso degli assortimenti di maggiori dimensioni avviene nelle regioni limitrofe, soprattutto, Sicilia, Puglia e Campania.
La filiera legno si sviluppa attraverso i seguenti segmenti principali:
- la produzione di legname di qualità (segati e tranciati): l’offerta è limitata, la domanda è legata alla presenza delle imprese di trasformazione industriale;
- la produzione di biomassa per gli impianti termici domestici: l’offerta è contenuta e la domanda è condizionata dai costi degli impianti e dalle modalità di stoccaggio e alimentazione;
- la produzione di legna da ardere (per camini e forni a legna): l’offerta è buona, la domanda è stagionale e con prezzi molto differenziati a seconda della specie, dei consumi in aree urbane, rurali o turistiche;
- la produzione di paleria a uso agricolo e per l’ingegneria naturalistica: l’offerta è buona, ma la domanda è limitata dalla presenza non capillare delle imprese di lavorazione e dalla possibilità di impiego di materiali alternativi a costi competitivi;
- la produzione di pannelli (lamellari e truciolari): l’offerta del materiale grezzo è potenzialmente buona ma la domanda è limitata e rarefatta;
- la produzione di carbone vegetale (in particolare sulle Serre): l’offerta è potenzialmente buona ma la domanda limitata e rarefatta, con prezzi non sempre remunerativi per la proprietà.
A oggi purtroppo, in Calabria, la filiera foresta-legno si ferma prevalentemente solo alla prima trasformazione in quanto i prodotti legnosi subiscono le successive trasformazioni fuori regione. Così facendo, buona parte del valore economico del prodotto si disperde fuori dall’area di produzione. Le
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imprese di prima trasformazione esaminate sopravvivono grazie alla loro flessibilità e adattabilità.
Non mancano anche realtà che sono state in grado di trovare un collegamento forte e stabile con le industrie di seconda lavorazione all’interno della regione per cui riescono a coprire specifiche nicchie di mercato come i mobilifici e la falegnameria artigianale, oppure la produzione di carbone vegetale, in cui le produzioni di qualità e su commessa rivestono una grande importanza.
La promozione del mercato del legno a livello regionale rappresenta un’azione necessaria e prioritaria per lo sviluppo dell’economia locale. L’appropriata indagine del mercato del legno attraverso opportune analisi per conoscere e valutare la destinazione finale dei prodotti, ma soprattutto l’incentivazione a una maggiore integrazione verticale tra i vari soggetti economici della filiera costituiscono gli aspetti di maggiore rilevanza per la valorizzazione dell’offerta locale.
Nel caso delle proprietà pubbliche, la redazione di piani di gestione e di assestamento consentirà un più oculato uso del bosco, mentre nel caso delle proprietà private è necessario incentivare forme di gestione associata. In tutti i casi bisognerà favorire la produzione di materiale ecocertificato.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· analisi del mercato del legno;
· sviluppo di sistemi di utilizzazione, macchine e attrezzature a basso impatto ambientale nelle attività di lavorazione-trasporto-trasformazione dei prodotti legnosi;
· incentivazione delle forme di gestione associata delle imprese forestali;
· ecocertificazione;
· incentivazione di idonee infrastrutture a basso impatto ambientale nell’ambito della gestione associata (es. strade, linee elettriche).
5.2 AZIONE 5B: SVILUPPO DELLA FILIERA BIOMASSE COMBUSTIBILI
La Calabria ha delle ottime potenzialità in termini di produzione di biomassa, che possono anche essere aumentate mettendo in atto le Misure di attuazione prescritte dal presente piano per il miglioramento dei boschi esistenti e l’ampliamento delle superfici forestali.
La maggior parte della biomassa combustibile estratta attualmente è rappresentata dalla legna da ardere, ma il costante uso del bosco, anche attraverso la continuità nelle cure colturali, può portare a un incremento nelle estrazioni di materiale idoneo.
La necessità di approvvigionamento di biomassa offre, inoltre, opportunità di rivalutazione di terreni marginali che possono essere valorizzati per nuove attività di piantagione (es. Short Rotation Forestry).
La filiera biomassa può essere individuata da cinque fasi principali:
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- raccolta, definita come la fase più critica del processo, dove vengono impiegati operatori agricoli o forestali per le operazioni di taglio ed esbosco;
- trasporto-stoccaggio, dove la biomassa raccolta in apposite aree di stoccaggio viene prelevata e trasportata in un centro, preferibilmente baricentrico rispetto alle aree di raccolta e vicino all’impianto di produzione;
- pretrattamento;
- conversione;
- utilizzo-distribuzione.
Un miglioramento dell’efficienza nella filiera può derivare da interventi che agiscano sulle fasi suddette attraverso:
- lo sviluppo di sistemi di utilizzazione, macchine e attrezzature a basso impatto ambientale nelle attività di lavorazione-trasporto-trasformazione dei prodotti legnosi;
- la diffusione di caldaie e stufe ad alto rendimento, per il loro impiego nei nuclei abitativi delle aree montane.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· sviluppo di sistemi di utilizzazione, macchine e attrezzature a basso impatto ambientale nelle attività di lavorazione-trasporto-trasformazione dei prodotti legnosi;
· interventi di piantagione di specie forestali;
· incentivazione all’uso di biomasse combustibili in impianti domestici;
· incentivazione delle forme di gestione associata delle imprese forestali;
· incentivazione di idonee infrastrutture a basso impatto ambientale nell’ambito della gestione associata (es. strade, linee elettriche).
5.3 AZIONE 5C: SVILUPPO DELLE PRODUZIONI FORESTALI NON LEGNOSE
Le produzioni forestali non legnose riguardano, per la Calabria, principalmente: le castagne, le ghiande, i funghi.
La castanicoltura nelle aziende è caratterizzata da introiti positivi ma non sufficienti a garantire una continuità produttiva della coltura nel lungo periodo. Per assicurare una buona remunerazione dei fattori della produzione impiegati e per competere con le altre realtà castanicole nazionali, essa necessita di interventi che mirano essenzialmente al recupero degli impianti esistenti (produttività e stato fitosanitario), alla razionalizzazione delle tecniche colturali, all’individuazione delle migliori varietà locali e a processi che hanno come obiettivo la valorizzazione delle produzioni di pregio e della provenienza geografica.
In tale contesto, vanno valorizzati meglio i cinque prodotti calabresi rientranti fra i “prodotti agroalimentari tradizionali”. Si tratta di una varietà da frutto, delle castagne al mosto cotto, del pane, della farina e del miele di castagno. L’ottenimento di marchi D.O.P. e I.G.P., fino a oggi completamente assenti,
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rivaluterebbe ulteriormente la produzione e costituirebbe un importante volano per la riqualificazione dell’intero comparto. Anche il riconoscimento dei frutti, sia freschi che secchi, e della farina quali prodotti biologici o produzioni integrate, potrà contribuire al miglioramento complessivo della qualità dei prodotti castanicoli calabresi.
È necessario perseguire le seguenti strategie di interventi:
1. recupero produttivo dei vecchi impianti:
- migliorare gli impianti suscettibili di recupero produttivo ed economico, ricostituendo ex novo i popolamenti, per ottenere un prodotto competitivo, per qualità e quantità, sui mercati;
- aumentare la produzione unitaria del castagno da frutto e migliorarne la qualità, immettendo cultivar pregiate anche locali, che assommino all’alta qualità merceologica la resistenza alle malattie parassitarie (cancro corticale e mal dell’inchiostro). Tra le cultivar presenti in Regione si segnalano, la “Curcia” e la “Ruvellise”, particolarmente resistenti al mal dell’inchiostro.
2. valorizzazione del prodotto:
- far rimanere parte del valore aggiunto all’imprenditore, tramite l’acquisto di attrezzature di selezione e calibratura del frutto;
- migliorare e controllare la qualità del prodotto;
- tutelare la tipicità della produzione (D.O.P. e I.G.P.);
- orientare le produzione al mercato del fresco (che richiede standardizzazione ed elevata pezzatura);
- favorire l’associazionismo tra i proprietari.
Gli interventi dovranno essere finalizzati su imprenditori singoli e associati:
1. interventi a favore di azienda singola con lo scopo di salvaguardare e valorizzare la castanicoltura produttiva (a partire da 2.5 ha di superficie e con un numero di piante ad ha non inferiori a 60):
- recupero produttivo (potature, innesti, ricostruzione di popolamenti);
- acquisto di macchine agevolatrici per la potatura, la raccolta, la commercializzazione;
- strutture di stoccaggio e conservazione del prodotto;
- trasformazione del prodotto;
- azioni volte alla valorizzazione del prodotto con marchi D.O.P./I.G.P.
2. interventi a favore di strutture associative (cooperative, consorzi ecc.) allo scopo di salvaguardare la piccola unità colturale e favorirne l’accorpamento in unità castanicole produttive (interventi per associazioni con superficie aggregata a partire da 10 ha):
- costituzione catasto castanicolo;
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- recupero produttivo (potature, innesti, ricostruzione di popolamenti);
- acquisto di macchine agevolatrici per la potatura, la raccolta, la commercializzazione (dimensionate in base al numero degli ettari da servire);
- strutture di stoccaggio e conservazione del prodotto (dimensionate in base alla quantità di prodotto conferito);
- trasformazione del prodotto;
- azioni volte alla valorizzazione del prodotto con marchi D.O.P./I.G.P.
Per quanto riguarda la raccolta dei funghi, oltre alla corretta applicazione della L.R. n. 30/2001 che detta “norme per la regolamentazione della raccolta e commercializzazione dei funghi spontanei epigei freschi e conservati”, è auspicabile la creazione di un consorzio che promuova, oltre ad azioni mirate al razionale e corretto uso della risorsa fungo, le procedure volte al riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.) per il prodotto fresco, e il miglioramento dell’efficienza delle “filiere locali” per la produzione di prodotti essiccati e sott’olio.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· interventi di miglioramento dei castagneti da frutto;
· incentivazione delle forme di gestione associata delle imprese forestali;
· incentivazione di idonee infrastrutture a basso impatto ambientale nell’ambito della gestione associata (es. strade, linee elettriche);
· introduzione di marchi D.O.P. e I.G.P. su castagne e funghi
5.4 AZIONE 5D: SVILUPPO DELLE ATTIVITÀ DI TURISMO AMBIENTALE E
NATURALISTICO
La foresta ha assunto oggi un importante valore multifunzionale. Questo, unitamente al fenomeno di abbandono dei territori montani, soprattutto quelli dove l’agricoltura non rappresenta più l’attività principale, incentiva la valorizzazione di altre funzioni legate ai sistemi rurali e forestali, quali gli aspetti paesaggistici, la biodiversità, il patrimonio di conoscenze accumulate e le tradizioni locali.
In quest’ottica, le risorse forestali e naturali giocano un ruolo chiave nella possibilità di applicare i nuovi modelli di sviluppo delle attività turistiche. Data l’estrema variabilità delle risorse rurali e forestali della Calabria (cfr. par. 4.4 Parte I), l’unica possibilità di valorizzazione di tali risorse sembra perciò essere quella di sfruttare questa estrema diversificazione attraverso modelli di sviluppo basati su un approccio locale con un’ottica tesa all’impiego di fattori di attivazione endogeni.
In considerazione della grande eterogeneità delle situazioni, e unitamente alla presenza di una molteplicità di strutture di piccole dimensioni (agriturismi, rifugi), si rende necessario valorizzare le potenzialità endogene attraverso percorsi che permettano di mantenere o di acquisire una vera e propria “competitività
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territoriale”, in grado di affrontare la concorrenza sul mercato tramite la promozione della qualità ambientale come elemento distintivo del territorio e la collaborazione e concertazione fra le componenti sociali, economiche e politiche.
È necessario promuovere una sinergia con le attività agrituristiche, creando posti di pernottamento all’interno delle foreste anche attraverso la ristrutturazione di vecchi caselli forestali, caserme abbandonate, ecc., e l’ampliamento dell’offerta dei sentieri natura, ecc.
La manutenzione della viabilità silvo-pastorale e lo sviluppo della sentieristica verde rappresentano un elemento determinante per assicurare l’avvicinamento al bosco e alla montagna dalle confinanti zone rurali o periurbane.
Possono essere realizzati:
- corridoi naturali significativi dal punto di vista ambientale, es. lungo le linee fluviali o di crinale, allo scopo di consentire gli spostamenti della fauna, lo scambio biologico, lo studio naturalistico e l’escursionismo, la valorizzazione delle filiere agricole (es. vie del vino e dell’olio) e ambientali, in base alle caratteristiche dei luoghi;
- percorsi ricreativi di diverso tipo come sentieri o passeggiate, spesso di lunga distanza, appoggiati a canali, sedi ferroviarie dimesse e altre forme di viabilità (es. tratturi, mulattiere);
- itinerari panoramici e storici, sistemati in modo da essere fruibili dai pedoni e dai disabili con punti che consentano la sosta e il paesaggio.
La realizzazione della rete viaria (collegamenti) deve essere accompagnata dallo sviluppo di elementi per la sosta (posti tappa, aree attrezzate, agriturismi, preesistenze storiche, musei rurali, spacci di prodotti tipici, ecc.) a basso impatto ambientale, che possono apportare benefici economici alle comunità locali e innescare una struttura economico-produttiva non aggressiva per l’ambiente.
Si ricorda come la presenza turistica, anche se rispettosa per l’ambiente, può arrecare danno alla vegetazione e alla fauna. Si raccomanda pertanto di accompagnare la pianificazione delle opere suddette con attente analisi del territorio e del contesto vegetazionale in cui si inseriscono.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· incentivazione allo sviluppo di strutture e servizi per la fruizione degli habitat forestali e naturali;
· introduzione della normativa per la regolamentazione della fruizione turistica;
· manutenzione della viabilità silvo-pastorale;
· sviluppo della sentieristica.
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OBIETTIVO 6
6. SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO E SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO
6.1 ASPETTI GENERALI
L’esigenza dello sviluppo del potenziale umano e della sicurezza viene messa in evidenza dai documenti di politica comunitaria e nazionale e dai relativi strumenti di attuazione.
In ambito comunitario la formazione degli addetti al settore agricolo e forestale è una delle azioni prioritarie sia nella politica di sviluppo rurale che in quella di sviluppo regionale, nell’ambito degli obiettivi di miglioramento della competitività ma anche di tutela dell’ambiente.
In merito si richiamano le premesse al dispositivo del Reg. (CE) 1698/2006, punti 14 e 15:
“Per quanto riguarda il potenziale umano, è opportuno predisporre una serie di misure relative alla formazione, all’informazione e alle diffusione di conoscenze”.
“In materia di formazione, informazione e diffusione di conoscenze, l’evoluzione e la specializzazione dell’agricoltura e della silvicoltura richiedono un adeguato livello di formazione tecnica ed economica, comprendente conoscenze specialistiche nelle nuove tecnologie dell’informazione, nonché un’adeguata sensibilizzazione in materia di qualità dei prodotti, risultati della ricerca e gestione sostenibile delle risorse naturali, compresi i requisiti di condizionabilità e le pratiche produttive compatibili con le esigenze di salvaguardia e valorizzazione del paesaggio e di protezione dell’ambiente. È pertanto necessario estendere l’offerta di attività di formazione, di informazione e di diffusione di conoscenze a tutti gli adulti che esercitano attività agricole, alimentari e forestali. Tali attività vertono su materie che si riferiscono sia all’obiettivo «competitività del settore agricolo e forestale» sia a quello «gestione del territorio e ambiente”.
Da queste premesse scaturiscono le misure indicate, per l’Asse 1, all’art. 20 del Reg. (CE) 1698/2006 intese a promuovere la conoscenza e sviluppare il potenziale umano e in particolare le azioni nel campo della formazione professionale e dell’informazione, inclusa la diffusione di conoscenze scientifiche e pratiche innovative, rivolte agli addetti dei settori agricolo, alimentare e forestale.
Queste misure trovano riscontro nel Piano Strategico Nazionale per lo Sviluppo Rurale negli obiettivi riferiti all’Asse 1, e in particolare all’obiettivo: “Miglioramento della capacità imprenditoriale e professionale degli addetti al settore agricolo e forestale e sostegno del ricambio generazionale” ove si prevede, dal punto di vista sia imprenditoriale sia della manodopera aziendale, il miglioramento della capacità imprenditoriale e professionale degli addetti non solo le imprese agricole, ma anche le imprese silvicole e agro-industriali.
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Riguardo alla politica di sviluppo regionale, il Quadro Strategico Nazionale prevede che sia il FEARS (sviluppo agricolo) a finanziare prioritariamente le azioni formative dirette agli addetti del settore agricolo, alimentare e forestale, senza tuttavia escludere le stesse dall’intervento a carico del FSE e rimandando ai rispettivi programmi operativi e di sviluppo rurale l’indicazione della scelta o dei diversi “temi formativi” di competenza di ciascuno dei due fondi.
Si deve poi ricordare che anche il Regolamento (CE) n. 614/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 maggio 2007, riguardante lo strumento finanziario per l’ambiente (LIFE+) prevede specifiche attività formative nell’obiettivo LIFE+ “Informazione e comunicazione”, in materia di prevenzione degli incendi boschivi.
In ambito nazionale le Linee guida di programmazione forestale emanate con il decreto del Ministero dell’Ambiente DM 16-06-2005, ai sensi dell’art. 3 del D.Lgs. 227/2001, nel fornire indicazioni per la pianificazione regionale, dispongono che “Le azioni che verranno adottate dalle regioni attraverso i piani forestali dovranno tenere conto dei sei criteri per una gestione forestale sostenibile, individuati nell’allegato I della risoluzione L2 della conferenza interministeriale di Lisbona (2-4 giugno 1998), e degli indicatori quantitativi e qualitativi a essi correlati”.
Al riguardo lo stesso D.M. riporta nell’obiettivo 6 Mantenimento di altre funzioni e condizioni socio-economiche i seguenti criteri che riguardano appunto attività formative:
a. le maestranze forestali devono essere opportunamente formate e addestrate sui temi della sicurezza sul lavoro;
b. la formazione degli operatori ambientali, delle guide, della polizia provinciale e delle guardie venatorie deve essere incentivata.
Infine, oltre a richiamare in generale gli obblighi dei datori di lavoro a garantire la formazione, in merito agli specifici temi della sicurezza, degli operatori addetti a lavori a rischio, si richiamano le specifiche disposizioni della legge 21 novembre 2000, n. 353, “Legge quadro in materia di incendi boschivi”:
- L’art. 5 – comma 2 affida alle regioni l’organizzazione di corsi di carattere tecnico-pratico rivolti alla preparazione di soggetti per le attività di previsione, prevenzione degli incendi boschivi e lotta attiva ai medesimi.
- L’art. 3 – comma 3- lett. m) prevede che le regioni nell’ambito del piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi individuino le esigenze formative e la relativa programmazione.
- L’art. 7 – comma 3) dispone che il personale appartenente a organizzazioni di volontariato per poter essere impiegato nelle attività di spegnimento del fuoco deve essere dotato di adeguata preparazione professionale e di certificata idoneità fisica.
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6.2 AZIONE 6A: MIGLIORAMENTO DELLE CAPACITÀ IMPRENDITORIALI E
PROFESSIONALI
In conformità alle linee di politica comunitaria e nazionale si dovranno prevedere corsi di formazione, aggiornamento o addestramento rivolti:
- al miglioramento delle capacità tecnico-professionali degli imprenditori nello specifico settore di azione ma anche delle capacità di orientarsi in un mercato sempre più aperto e di valutare le opportunità che possono derivare da tale crescente apertura, nonché di andare incontro alle esigenze di protezione dell’ambiente espresse dalla società tramite un miglioramento delle performance ambientali delle imprese e dei processi produttivi. A tal fine, oltre alle materie di specifico interesse tecnico-professionale per il settore forestale dovranno essere trattati i temi inerenti la commercializzazione e il marketing;
- all’adeguamento professionale delle maestranze aziendali per migliorarne il livello qualitativo e per diversificare le figure professionali rispetto alle effettive esigenze del settore forestale.
In sintesi, la Misura prevista per l’attuazione di questa Azione è:
· formazione e qualificazione del personale.
6.3 AZIONE 6B: SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO
Come già evidenziato, la formazione degli addetti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro è prevista, oltre che dalla specifica normativa in questa materia, anche dalle Linee guida di programmazione forestale emanate con il decreto del Ministero dell’Ambiente DM 16-06-2005, in base alle quali le azioni adottate dalle regioni attraverso i piani forestali, in aderenza ai criteri per una gestione forestale sostenibile, tengono conto dell’esigenza che le maestranze forestali devono essere opportunamente formate e addestrate sui temi della sicurezza sul lavoro.
Naturalmente i corsi, rivolti sia alle maestranze private sia a quelle dipendenti da enti pubblici, saranno rivolti ai vari livelli aziendali e operativi modulando i corsi in base ai rischi specifici, ferma restando la formazione di base sulla materia.
Le priorità formative saranno dettate dai livelli di rischio e di danno di ciascuna attività.
I corsi dovranno comunque assicurare, in relazione sia alla eterogenea estrazione sociale e culturale degli addetti sia all’importanza fondamentale dei temi trattati, una documentabile verifica di apprendimento. Tale verifica deve essere attuata anzitutto durante lo svolgimento dell’attività didattica, secondo tappe che tengano conto dell’importanza dell’apprendimento di un argomento, o di gruppi di argomenti, ai fini della prosecuzione del corso. Deve poi essere attuata una verifica finale, attraverso la quale si possa dare atto che i corsisti abbiano effettivamente appresso in modo soddisfacente gli argomenti trattati.
310
Per quanto riguarda gli elevati rischi legati all’attività di spegnimento di incendi boschivi si ritiene necessario, anche in riferimento alle disposizioni della legge quadro n. 353/2000, prevedere corsi integrati relativi alle tecniche operative e alla sicurezza, vista la stretta interdipendenza tra sicurezza e conoscenza delle specifiche tecniche e procedure operative (vedi par. 3.1 Parte II)
In sintesi, la Misura prevista per l’attuazione di questa Azione è:
· formazione e qualificazione del personale.
6.4 AZIONE 6C: SICUREZZA E CAPACITÀ OPERATIVA DEL PERSONALE ADDETTO
ALLA PREVENZIONE E ALLA LOTTA AGLI INCENDI BOSCHIVI
Abbiamo visto come la legge quadro in materia di incendi boschivi affida alle regioni il compito dell’organizzazione di corsi di carattere tecnico-pratico rivolti alla preparazione di personale addetto alle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi .
A tal fine la suddetta legge prevede che le regioni nell’ambito del “piano regionale per la programmazione delle attività di previsione, prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi” individuino le esigenze formative e la relativa programmazione.
Inoltre la legge prevede che il personale appartenente a organizzazioni di volontariato, per poter essere impiegato nelle attività di spegnimento del fuoco, deve essere dotato di adeguata preparazione professionale e di certificata idoneità fisica.
Il funzionamento della complessa organizzazione antincendio può trarre efficacia solo dal razionale impiego delle risorse umane e strumentali disponibili. In questo ambito sono determinanti le capacità professionali delle risorse umane e l’efficienza del coordinamento tra le diverse strutture.
Se quello dell’efficacia è un parametro di grande importanza, è altrettanto vero che non vi può essere efficacia senza sicurezza.
Così la programmazione e la gestione delle varie fasi della difesa dagli incendi boschivi, dalla previsione alla lotta attiva, deve puntare sia sulla qualificazione tecnico-professionale degli operatori addetti a tutti i livelli dell’organizzazione antincendio sia sulla creazione di condizioni di sicurezza degli operatori addetti allo spegnimento degli incendi boschivi, che sono sottoposti a gravi rischi di infortunio e di morte.
A tale riguardo non è sufficiente agire sulle conoscenze e sulle dotazioni dei singoli operatori addetti allo spegnimento ma è necessario creare un “sistema di sicurezza” cioè un articolato insieme di azioni e di conoscenze in cui la sicurezza dei singoli operatori a rischio è frutto di adeguate misure di prevenzione e di specifica professionalità a tutti i livelli della catena di comando.
Pertanto si devono prevedere corsi di formazione, aggiornamento e addestramento nel settore dell’antincendio boschivo con il duplice obiettivo di:
311
- assolvere le esigenze e gli obblighi formativi in materia di sicurezza per gli operatori impegnati in attività di spegnimento che si trovano in situazioni di alto rischio di infortunio e di morte;
- formare, aggiornare e specializzare il personale impiegato nelle varie fasi della difesa dagli incendi boschivi per garantire il razionale impiego delle risorse e i migliori livelli di efficienza, di efficacia e di sicurezza dell’organizzazione AIB.
I corsi, articolati secondo i diversi ruoli e competenze, devono essere quindi centrati sia sul tema della sicurezza sia sulle tecniche operative e di coordinamento dell’attività antincendio.
Si deve sottolineare che la formazione in tema di sicurezza è obbligatoria per tutti gli operatori che svolgono mansioni a elevato rischio come quelle connesse all’estinzione degli incendi boschivi e che i corsi devono quindi certificare non solo la partecipazione ma anche l’apprendimento della materia da parte di ciascun allievo (rif. par. 3.1 Parte II).
I corsi devono essere rivolti a tutti i livelli, strutture e figure impegnate nella lotta agli incendi boschivi: volontari, operai e capisquadra delle squadre antincendio, vedette, tecnici addetti alle fasi di previsione e prevenzione, direttori delle operazioni di spegnimento, addetti e responsabili delle sale operative, con i seguenti obiettivi:
- garantire l’acquisizione di conoscenze obbligatorie, adeguate al ruolo e alle mansioni di ciascun addetto, necessarie alla sicurezza propria, degli altri operatori, di terze persone;
- fornire le conoscenze tecnico-operative adeguate al ruolo e alle mansioni di ciascun addetto;
- garantire la conoscenza dei rapporti con gli altri soggetti che operano nella propria struttura e nell’organizzazione antincendio nonché delle relative procedure operative;
- infondere motivazione per la propria attività e consapevolezza del proprio ruolo nell’ambito della propria struttura e dell’organizzazione antincendio.
Per i suddetti obiettivi è opportuno che la formazione avvenga nell’ambito di un progetto organico cioè che utilizzi contenuti, linguaggi e supporti didattici omogenei e coordinati nella costruzione di un percorso formativo complessivo di tutti gli addetti all’organizzazione regionale antincendio.
In sintesi, le Misure previste per l’attuazione di questa Azione sono:
· formazione e qualificazione del personale;
· dotazione delle squadre AIB dei dispositivi di sicurezza (DPI) e di macchine e attrezzature.
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