rassegna stampa - noidellafidas.com · “solo i paesi che pagano per il plasma sono...

23
Mertedì 22 maggio 2018 Rassegna associava 2 Rassegna Sangue e emoderiva 8 Rassegna sanitaria, medico-scienfica e Terzo seore 12 Prima pagina 17 Rassegna stampa A cura dellUfficio Stampa FIDAS Nazionale

Upload: vuongphuc

Post on 17-Feb-2019

214 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Mertedì 22 maggio 2018

Rassegna associativa 2 Rassegna Sangue e emoderivati 8 Rassegna sanitaria, medico-scientifica e Terzo settore 12 Prima pagina 17

Rassegna stampa

A cura dell’Ufficio Stampa

FIDAS Nazionale

Rassegna associativa

COSENZA CHANNEL.IT Talassemia in Calabria, il presidente regionale di FIDAS:

«Trasfusioni fondamentali» Posted by Redazione Cosenza Channel

Date: lunedì, 21 maggio, 2018

«In Calabria vivono circa 800 talassemici dei 7000 presenti in Italia, ognuno dei

quali ha bisogno di almeno 24 trasfusioni di sangue periodiche all’anno, circa ventimila unità di sangue all’anno raccolte dai donatori di sangue calabresi

consentono a queste persone di poter vivere e di poter fare una vita normale». Con queste parole il presidente Regionale della Fidas Calabria, Antonio Parise, che

nei giorni scorsi ha partecipato a un convegno sulla talassemia a Lamezia Terme, da i numeri di questa malattia ereditaria del sangue che comporta l’anemia, cioè una

diminuzione della quantità di emoglobina utile al trasporto dell’ossigeno nel sangue. «Essendo una patologia a trasmissione genetica non esiste nessun farmaco per cu-

rare questa malattia – commenta il presidente Parise- quindi la trasfusione rappre-senta l’unica ancora di salvezza. La Calabria in particolare ha una concentrazione di

talassemici tra le più alte in Italia». Nei giorni scorsi ha fatto il giro del paese il caso della donna talassemica che ha par-

torito due gemellini, la quale ha avuto bisogno più circa 100 unità di sangue per tutta la durata della gravidanza.

«Casi del genere ci riempiono il cuore e ci danno lo sprono per continuare a fare di più e a fare meglio, – conclude Parise- purtroppo però in diverse realtà territoriali le

donazioni di sangue sono in calo e le richieste sono sempre in aumento. L’appello dunque a chi è in buona salute, anche in vista del periodo estivo, a donare il sangue,

per salvare una vita».

http://www.cosenzachannel.it/2018/05/21/talassemia-in-calabria-il-presidente-regionale-di-fidas-

trasfusioni-fondamentali/

Rassegna

sangue e emoderivati

ANSA.IT Con sequenziamento Dna presto trasfusioni sangue “su misura” 21 maggio 2018

(ANSA) - ROMA, 21 MAG - Grazie al sequenziamento del genoma po-trebbe essere possibile fare trasfusioni di sangue 'su misura', evi-tando il rischio di reazioni allergiche dovute ad antigeni diversi da quelli che definiscono il gruppo sanguigno. Lo afferma uno stu-dio preliminare della Harvard Medical School pubblicato da Lan-cet Hematology. Oltre a quelle che definiscono il gruppo, dallo 0 alle lettere A o B, e al cosiddetto 'fattore Rh', spiegano gli autori, centinaia di altre sostanze presenti nel sangue possono scatenare una risposta immunitaria, al punto che si calcola che negli Usa fi-no a 16 persone l'anno muoiano per questo problema. I ricercato-ri hanno costruito un database degli antigeni potenzialmente peri-colosi, circa 300 legati ai globuli rossi e 33 alle piastrine, svilup-pando un software per riconoscere velocemente la presenza di una di queste proteine a partire dall'analisi completa del Dna. Il sistema è stato validato confrontando l'analisi a partire dal Dna di un grup-po di 300 soggetti con quella, molto più lunga, fatta 'a mano' sul sangue, ottenendo una precisione del 99%. "Le complicazioni do-vute alle trasfusioni sono comuni nei pazienti che hanno bisogno di trasfusioni periodiche - spiegano gli autori -, ma con le tecnolo-gie correnti sarebbe costoso tipizzare il sangue per tutti gli antige-ni. L'algoritmo che abbiamo sviluppato può essere applicato inve-ce a costo contenuto una volta che si ha la sequenza del Dna". (ANSA).

AGI.IT Sul plasma anche l’Economist può prendere una cantonata In un articolo pubblicato lo scorso 10 maggio sul mercato mondiale dei farmaci plasmaderivati, si afferma tra le altre cose che “solo i paesi che pagano per il plasma sono autosufficienti"

di GIANCARLO LIUMBRUNO 18 maggio 2018,21:15

Talvolta può succedere che anche una pubblicazione prestigiosa come l’Econo-

mist prenda una cantonata. In un articolo pubblicato lo scorso 10 maggio sul mercato

mondiale dei farmaci plasmaderivati, in cui si fa il confronto fra i paesi che pagano i

donatori e quelli, come il nostro, in cui invece la donazione è non remunerata, si affer-

ma tra le altre cose che “Solo i paesi che pagano per il plasma sono autosufficienti.

L’Italia, dove i donatori hanno una giornata libera dal lavoro, è vicina all’autosufficien-

za”.

Nel contesto dell’articolo l’allusione contenuta nell’inciso è quasi offensiva, ed è

smentita dai fatti, dal momento che meno del 20% dei donatori usufruisce di questa

possibilità, che è comunque ben diversa da un vero e proprio pagamento. L’articolo

però fornisce degli ottimi spunti per parlare della risorsa plasma, che è strategica per

tutti i paesi e che vede alcune minacce nel futuro a medio termine.

Il plasma, la componente liquida del sangue che si può ottenere per separazione da

una sacca di sangue intero o si può donare direttamente con un processo che si chia-

ma aferesi, ha moltissimi utilizzi. Il 20% circa del totale raccolto viene destinato a un

uso clinico, il restante 80% viene invece conferito alle industrie farmaceutiche che lo

utilizzano per produrre i cosiddetti farmaci plasmaderivati, come l’albumina o le immu-

noglobuline che vengono usate per trattare varie patologie, tra cui immunodeficienze

e malattie epatiche, o i fattori della coagulazione, usati per la cura dell‘emfilia.

Va spiegato ovviamente che non si tratta di un regalo al settore privato. Il plasma co-

me i pure i farmaci che ne vengono ricavati restano di proprietà delle Regioni che pa-

gano alle industrie soltanto la lavorazione. E non potrebbe essere altrimenti perché si

tratta di farmaci importanti, spesso veri e propri salva-vita.

Come correttamente affermato anche dall’Economist, l’Italia però dipende in parte dal

mercato estero. Un mercato dove, al contrario che in Italia, il donatore viene spesso

pagato per la donazione di plasma (vedi l’esempio tedesco). Parliamo di un mercato

globale il cui giro di affari si stima di circa 18,5 miliardi di dollari (e non 126 come af-

fermato dalla rivista), e che è in mano per lo più a industrie con base in America del

Nord. A colpire è in particolare il disequilibrio nel rapporto tra popolazione e produzio-

ne di plasmaderivati. A produrre il 44% dei medicinali plasmaderivati è una zona geo-

grafica che ospita appena il 5% della popolazione. L’Asia e l’area del Pacifico invece

contano il 57% della popolazione del pianeta ma producono il 19% dei medicina-

li plasmaderivati.

È quindi anche possibile, in futuro, che il mercato finisca per prendere la via dell’o-

riente, dove dovrà soddisfare richieste sempre crescenti di paesi come la Cina o

l‘India, paesi in cui il fabbisogno di immunoglobuline e albumina è già enorme e il si-

stema di raccolta interno non riesce minimamente a fare fronte alla mole di richieste

e i pazienti non vengono, ovviamente, trattati in modo adeguato. Diventa quindi fon-

damentale affrontare il problema plasma e sensibilizzare il mondo dei donatori, del

volontariato, del pubblico in generale sulla necessità di avvicinarsi di più all’autosuffi-

cienza perché la vita delle persone non può e non deve dipendere dal mercato e dal-

le sue leggi.

Questa conclusione è opposta a quella dell’Economist, secondo cui invece “rendere

legale il plasma a pagamento è l’ovvio primo passo”. Una posizione che, a parere di

diversi esperti, non è assolutamente condivisibile, e che oltretutto si basa su dati ine-

satti. L‘articolo in questione, nota ad esempio Patrick Robert del Marke-

ting Research Bureau, suggerisce che il plasma si raccoglie ancora nelle prigioni,

pratica vietata dal 1999. Esagera i dati sui plasmaderivati esportati dalla Svizzera e

anche il valore delle esportazioni di plasma dagli Usa, affermando che sono l’1,6%

dell’export totale. Sbaglia persino nel descrivere la differenza tra il tempo di una do-

nazione di sangue e una di plasma, affermando che per la prima servono 10 minuti e

per la seconda 60, quando la ‘forbice’ è molto più ristretta. Il dibattito è aperto, ma de-

ve essere portato avanti con dati più corretti.

Rassegna

Politica sanitaria,

Medico-scientifica e

Terzo Settore

QUOTIDIANOSANITA.IT Data protection officer. Da oggi possibile nomi-nare questa nuova figura. Chi deve adeguarsi alla nuova normativa? Tralasciando ospedali e case di cura che devono senza dubbio nominarlo, in area sa-

nitaria i soggetti per cui sorge il dubbio circa l’obbligo di tale nomina sono numerosi:

dai poliambulatori ai medici di base, dagli odontoiatri alle case di riposo. Alcuni vor-

rebbero evitare nuove "spese". Siamo sicuri che il possibile risparmio di qualche mi-

gliaio di euro l’anno valga la perdita delle garanzie e dei vantaggi che può offrirmi un

DPO preparato?

21 MAG - Da ieri è possibile nominare il Data Protection Officer: il Garante Privacy ha infatti attivato la pagina web a cui collegarsi per comunicare il nominativo del soggetto scelto dal Titolare e/o respon-sabile per svolgere tale funzione. Tralasciando ospedali e case di cura che devono senza dubbio no-minarlo, in area sanitaria i soggetti per cui sorge il dubbio circa l’obbligo di tale nomina sono numero-si: dai poliambulatori ai medici di base, dagli odontoiatri alle case di riposo e così via. Il punto di diritto attiene alla definizione del concetto di trattamento di dati relativi alla salute “su larga scala”, nozione quest’ultima piuttosto vaga e di difficile delimitazione. E così in questo giorni è un ri-corrersi di pezzi nei quali le diverse associazioni di categoria cercano di sostenere che i loro iscritti non sono tenuti a nominare il DPO oppure che (quando la situazione è borderline) chiederanno al Garante chiarimenti (in sostanza: “sosterremo davanti al Garante che per noi il DPO per noi non è necessario”). Qual’è esattamente l’obiettivo? Evitare ulteriori “spese” (l’onorario annuo al DPO) in capo alle di-verse categorie. Ora, io credo che sfugga il quadro complessivo. Il nuovo Reg.UE introduce un nuovo modo di “pensare” il trattamento dei dati: vivendo in un’epoca di dati digitali l’obiettivo del GDPR è non solo quello di proteggere i nostri dati (e con essi i nostri diritti fondamentali di cittadini - Cambrid-ge Analytica docet) ma anche quello di consentire - lecitamente - di fare circolare i dati: cioè di creare e sviluppare economia tramite i dati. Forse è sfuggito infatti che questo Regolamento è la spina dorsale della c.d. Data Economy, oggetto

di una specifica Comunicazione Europea - COM(2017) 9 final, 10 gennaio 2017 “Costruire un’econo-

mia dei dati europea” (per chi avesse voglia qui trova tutto) - secondo la quale nel 2020 l’economia

sui dati dovrebbe raggiungere il 4% dell’intero PIL europeo.

Quindi non solo adempimenti, ma anche lo strumento principale per cominciare a ragionare e svilup-

pare potenzialità economiche tramite i dati.

Probabilmente è anche sfuggito che tale nuovo quadro apre le porte alle gestione dei dati per svilup-

pare ricerca e studi, per collaborare con le aziende del settore Medical Device per il monitoraggio

post commercializzazione sui DM (obbligatorio per tutti al maggio 2020 con il nuovo Reg. UE

2017/745) per finire con i nuovi orizzonti che si stanno aprendo con l’applicazione dell’Intelligenza

Artificiale in area sanitaria, tema su cui l’Europa il 25 aprile 2018 ha dato una svolta importante attra-

verso iniziative mirate al potenziamento della ricerca e del riutilizzo dei dati.

Alla sanità privata sfugge poi che questo nuovo quadro si interseca con le aperture in ambito di infor-

mazione sanitaria, ove oggi - dopo le legge Bersani sulla pubblicità (legge 248/2006), dopo le batta-

glie processuali sul Codice Deontologico e la nuova più ampia versione dell’art. 54 del suddetto Codi-

ce - il GDPR è in grado di fornire lo strumento giuridico per ragionare e progettare nuovi orizzonti: co-

me fidelizzare i pazienti tramite l’invio di newsletter, come creare profili dei pazienti per mirare la mia

comunicazione, come gestire correttamente il profili facebook della struttura, come attivare una app

della struttura sanitaria.

Ora, come si interseca quanto sopra con la nomina (o meno) del DPO? Il Data Protection Officer

è un garante interno che affianca il Titolare nel trattamento dei dati: senza dubbio svolge una attività

di controllo sui trattamenti, ma - se proprio si legge con attenzione - l’art. 39 alla lett. a) afferma anche

che il DPO è chiamato a “informare ed fornire consulenza al titolare del trattamento”: quindi (se bravo)

può legittimamente essere un propulsore di idee ed iniziative.

Poi è anche il soggetto che svolge una attività di “sensibilizzazione e formazione del personale che

partecipa ai trattamenti” (lett. b): e quindi aiuta il Titolare ed i suoi dipendenti a capire il GDPR, a ri-

spettarlo (evitando le sanzioni), ed a traghettare il precedente sistema privacy (sicuramente un po’

burocratico) verso il “nuovo sistema privacy” (dinamico e molto più ricco di potenzialità). In più, essen-

do un garante interno previsto dalla legge, può diventare il soggetto chiamato, in caso di sanzioni, a

risarcire parte delle sanzioni pagate, se ha svolto male i suoi compiti.

E veniamo ora a questi (temuti) oneri aggiuntivi. Da nessuna parte è scritto che il DPO svolge la sua

attività in esclusiva. Ne deriva che nulla osta alla possibilità che più soggetti di stessa area (es net-

work di soggetti delle stessa rea medica o di una stessa provincia o regione, anche attraverso la loro

sigla associativa) stipulino un contratto congiunto con un DPO per dividere le spese, assicurandosi

attraverso clausole di segretezza che lo stesso tuteli i diversi know how delle diverse organizzazione

professionale.

In sostanza è possibile - e lecito - trovare soluzioni che siano anche economicamente non troppo im-

pattanti. Allora la mia domanda è: ma siamo veramente sicuri che il possibile risparmio di qualche mi-

gliaio di euro all’anno (nell’ipotesi di DPO condiviso) valga la perdita delle garanzie e dei vantaggi che

può offrirmi un DPO preparato nonchè la perdita della possibilità di aprirmi gli occhi ed aggiornarmi

sulle diverse potenzialità di utilizzo dei dati nel mio settore?

Avv. Silvia Stefanelli

http://www.quotidianosanita.it/studi-e-analisi/articolo.php?articolo_id=61982&fr=n

Prima pagina