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RASSEGNA STAMPA di martedì 19 marzo 2019 SOMMARIO “Ecco il pensiero che fa futuro” (il pensiero-ragazzo): è il titolo dell’editoriale di Luigino Bruni su Avvenire di oggi. Ecco le sue riflessioni: “Il 15 marzo 2019 sarà ricordato come la prima azione globale, e davvero mondiale, promossa da ragazze e ragazzi per cambiare il mondo. Una data fondamentale per la nostra epoca. Lo capiremo sempre meglio in futuro. È una novità che dovrebbe farci fermare tutti a riflettere in profondità sui molti dei suoi significati. L’infanzia e l’adolescenza sono un patrimonio dell’umanità e della Terra, il primo bene comune globale, quello che ha più valore perché in sé contiene la possibilità stessa della continuazione della vita umana. Nel primo “Venerdì per il futuro” globale abbiamo visto che le ragazze e i ragazzi hanno anche un loro proprio punto di vista sul mondo. Fanno molte cose, come e più degli adulti, e con le loro azioni cambiano e migliorano il mondo ogni giorno. I ragazzi e le ragazze, però, non sanno solo fare: sanno anche pensare, pensano diversamente dagli adulti e hanno molte idee, perché non occorre diventare adulti per iniziare a pensare veramente. La nostra civiltà rispetta, almeno sulla carta delle dichiarazioni comuni, i bambini e i ragazzi, ma non conosce, e quindi non apprezza, il loro pensiero sul mondo. Nei convegni, qualche volta, invitiamo i bambini e i ragazzi a cantare una canzoncina, a fare una scenetta, e poi li confiniamo in sale apposite, nei loro programmi paralleli. Non riusciamo a invitarli e a trattenerli nelle sale di tutti, dove sarebbero invece preziosissimi. Perché il loro punto di vista è essenziale. Hanno idee anche sull’economia, sulla politica e, ancora di più, sull’ambiente. Le pensano e le dicono con linguaggi loro, ma le dicono dopo averle pensate. Vivono e guardano lo stesso mondo dei genitori, ma lo guardano e lo vivono diversamente, e quindi lo pensano diversamente. Il pensiero dei ragazzi è troppo assente dal nostro tempo presente, come del resto era assente nei tempi passati. Il Novecento è stato il secolo che ha introdotto nella sfera pubblica il pensiero femminile, che ha cominciato a cambiare il mondo. Il XXI secolo potrà essere il secolo che conoscerà il protagonismo del pensiero dei ragazzi e delle ragazze. I bambini e i ragazzi hanno sempre pensato, ma il mondo da loro pensato non era considerato dagli adulti qualcosa di interessante né, tantomeno, di utile per la vita sociale, economica, politica. E così questo grande patrimonio è rimasto in massima parte trascurato, dimenticato, non valorizzato. Avremmo avuto una società, una economia e una politica migliori se avessimo preso sul serio anche questo diverso pensiero. Sarebbero state più giuste, più sostenibili, più belle. Il modo con cui i ragazzi e le ragazze guardano all’economia e la pensano, ad esempio, non è il modo adulto. Loro, molto più di noi, vedono i beni economici all’interno delle relazioni. Sono più sensibili alla diseguaglianza, alla povertà e all’ambiente, danno poco peso al denaro, sono generosi. Il loro è un pensiero concreto e quindi vivo: non c’è, ad esempio, la fame nel mondo, ma ci sono bambini, ragazzi e persone concrete che hanno fame. Il loro pensiero è concreto, è vivo, si tocca. Il 15 marzo 2019 abbiamo visto che i ragazzi e le ragazze dovrebbero e dovranno partecipare al dibattito pubblico su tutti i temi. Interagire con i politici e gli economisti, raccontare le loro esperienze e esprimere il loro pensiero, che dovrà essere conosciuto dai principali politici ed economisti, perché ne hanno bisogno. Il pensiero dei ragazzi è un dono per la società intera. Finora lo abbiamo dimenticato, Greta, le sue compagne e i suoi compagni ce lo hanno ricordato. Il Bene comune sarà più vicino quando sarà accolto e ascoltato anche il pensiero dei ragazzi. Il pensiero-ragazzo è stato ed è il grande assente nel dibattito pubblico fino a questo 15 marzo. Ora è arrivato, e non ne deve più uscire” (a.p.) 3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Unità nella diversità

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  • RASSEGNA STAMPA di martedì 19 marzo 2019

    SOMMARIO

    “Ecco il pensiero che fa futuro” (il pensiero-ragazzo): è il titolo dell’editoriale di Luigino Bruni su Avvenire di oggi. Ecco le sue riflessioni: “Il 15 marzo 2019 sarà

    ricordato come la prima azione globale, e davvero mondiale, promossa da ragazze e ragazzi per cambiare il mondo. Una data fondamentale per la nostra epoca. Lo

    capiremo sempre meglio in futuro. È una novità che dovrebbe farci fermare tutti a riflettere in profondità sui molti dei suoi significati. L’infanzia e l’adolescenza sono un

    patrimonio dell’umanità e della Terra, il primo bene comune globale, quello che ha più valore perché in sé contiene la possibilità stessa della continuazione della vita umana. Nel primo “Venerdì per il futuro” globale abbiamo visto che le ragazze e i ragazzi hanno anche un loro proprio punto di vista sul mondo. Fanno molte cose, come e più degli adulti, e con le loro azioni cambiano e migliorano il mondo ogni giorno. I ragazzi e le ragazze, però, non sanno solo fare: sanno anche pensare,

    pensano diversamente dagli adulti e hanno molte idee, perché non occorre diventare adulti per iniziare a pensare veramente. La nostra civiltà rispetta, almeno sulla carta

    delle dichiarazioni comuni, i bambini e i ragazzi, ma non conosce, e quindi non apprezza, il loro pensiero sul mondo. Nei convegni, qualche volta, invitiamo i bambini e i ragazzi a cantare una canzoncina, a fare una scenetta, e poi li confiniamo in sale apposite, nei loro programmi paralleli. Non riusciamo a invitarli e a trattenerli nelle

    sale di tutti, dove sarebbero invece preziosissimi. Perché il loro punto di vista è essenziale. Hanno idee anche sull’economia, sulla politica e, ancora di più,

    sull’ambiente. Le pensano e le dicono con linguaggi loro, ma le dicono dopo averle pensate. Vivono e guardano lo stesso mondo dei genitori, ma lo guardano e lo vivono

    diversamente, e quindi lo pensano diversamente. Il pensiero dei ragazzi è troppo assente dal nostro tempo presente, come del resto era assente nei tempi passati. Il

    Novecento è stato il secolo che ha introdotto nella sfera pubblica il pensiero femminile, che ha cominciato a cambiare il mondo. Il XXI secolo potrà essere il secolo che conoscerà il protagonismo del pensiero dei ragazzi e delle ragazze. I bambini e i

    ragazzi hanno sempre pensato, ma il mondo da loro pensato non era considerato dagli adulti qualcosa di interessante né, tantomeno, di utile per la vita sociale, economica,

    politica. E così questo grande patrimonio è rimasto in massima parte trascurato, dimenticato, non valorizzato. Avremmo avuto una società, una economia e una

    politica migliori se avessimo preso sul serio anche questo diverso pensiero. Sarebbero state più giuste, più sostenibili, più belle. Il modo con cui i ragazzi e le ragazze

    guardano all’economia e la pensano, ad esempio, non è il modo adulto. Loro, molto più di noi, vedono i beni economici all’interno delle relazioni. Sono più sensibili alla

    diseguaglianza, alla povertà e all’ambiente, danno poco peso al denaro, sono generosi. Il loro è un pensiero concreto e quindi vivo: non c’è, ad esempio, la fame nel mondo, ma ci sono bambini, ragazzi e persone concrete che hanno fame. Il loro

    pensiero è concreto, è vivo, si tocca. Il 15 marzo 2019 abbiamo visto che i ragazzi e le ragazze dovrebbero e dovranno partecipare al dibattito pubblico su tutti i temi.

    Interagire con i politici e gli economisti, raccontare le loro esperienze e esprimere il loro pensiero, che dovrà essere conosciuto dai principali politici ed economisti, perché ne hanno bisogno. Il pensiero dei ragazzi è un dono per la società intera.

    Finora lo abbiamo dimenticato, Greta, le sue compagne e i suoi compagni ce lo hanno ricordato. Il Bene comune sarà più vicino quando sarà accolto e ascoltato anche il

    pensiero dei ragazzi. Il pensiero-ragazzo è stato ed è il grande assente nel dibattito pubblico fino a questo 15 marzo. Ora è arrivato, e non ne deve più uscire” (a.p.)

    3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Unità nella diversità

  • Visita dei vescovi del Triveneto in Croazia Gesti di pace per contrastare odio e violenza Al termine dell’Angelus il dolore del Papa per l’attentato di Christchurch La piaga della corruzione impoverisce e toglie fiducia nel sistema La denuncia del Papa durante l’udienza ai funzionari della Corte dei Conti italiana AVVENIRE Pag 3 Dai gesti e dalle parole dei Papi i frutti del dialogo con l’islam di Mimmo Muolo La prossima visita di Francesco in Marocco nel solco di un cammino avviato da tempo Pag 8 Don Diana, il prete con l’odore delle pecore che ci insegna ad essere uomini di Maurizio Patriciello 6 – SERVIZI SOCIALI / SANITÀ IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VII San Camillo, c’è l’accordo di Lorenzo Mayer Incontro a Milano, cessione in arrivo a Villa Salus: mancano solo i dettagli. Nota comune: impegno a tutelare il personale e a potenziare le strutture esistenti e la ricerca LA NUOVA Pag 22 San Camillo a Villa Salus. Sindacati in allerta: “Vigiliamo” di E.P. Primi concreti passi per la vendita della struttura: operazione da 25 milioni CORRIERE DEL VENETO Pag 8 Villa Salus compra il San Camillo. I sindacati: “Garanzie sul lavoro” di Giacomo Costa Accordo quasi chiuso, 20 milioni sul tavolo. Il nodo della casa di riposo Stella Maris 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 20 Chiese senza fedeli, solo un uso culturale le può rianimare di Enrico Tantucci Si dibatte dopo il caso della “profanazione” dell’Ospedaletto. Don Caputo: “Uso da ripensare”. Tesserin: “Dobbiamo salvare un enorme patrimonio d’arte” Pag 22 La mamma di Micol: “Dove ho sbagliato?” Ma con lei c’era un amico che è sparito” di Carlo Mion Il dramma dei genitori della ragazza veneziana morta per una sospetta overdose Pag 28 Rissa tra senzatetto, arriva la Polizia In via Querini IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag II Eraclea rialza la testa: “Dei casalesi si sapeva” di Giuseppe Babbo All’incontro pubblico diversi esponenti della comunità e delle associazioni sono usciti allo scoperto: “Siamo rimasti in silenzio per vent’anni, ora basta” Pag IV Show in chiesa, la parola ora passa agli avvocati di d.gh. Pag XI Cristiani e islamici: “A chi semina odio offriamo fraternità” di gi.gim. Incontro alla Cita dopo l’attentato in Nuova Zelanda Pag XI Botte tra barboni in mensa a Ca’ Letizia

  • Pag XIII Piantato un albero di pesco per ricordare suor Armanda di l.gia. CORRIERE DEL VENETO Pag 8 La chiesetta di inizio ‘900 diventa una… rotatoria di Andrea Rossi Tonon Jesolo, per risolvere il traffico dell’incrocio è stata costruita la rotonda dove c’è l’oratorio Pag 10 Aumentata la sorveglianza in tutti i luoghi di culto e preghiera di gi.co. Chiese e moschee contro il rischio terrorismo 8 – VENETO / NORDEST LA REPUBBLICA Pag 12 Verona, le associazioni cattoliche bocciano la famiglia sovranista di Paolo Rodari Dagli oratori alle Acli no al raduno: si teme la strumentalizzazione della Lega CORRIERE DEL VENETO Pag 4 Congresso delle famiglie: bufera e denunce di Angiola Petronio … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Un Paese incerto non cresce di Federico Fubini Pag 1 Accordi e giri di valzer di Antonio Polito Pag 15 La mano tesa del Papa ma Pechino non ha fretta di Massimo Franco AVVENIRE Pag 1 Ecco il pensiero che fa futuro di Luigino Bruni L’ “azione globale” di ragazze e ragazzi Pag 1 Riecco i signori del complotto di Antonio Maria Mira Attacchi all’ambiente, a Greta, ai giovani Pag 2 Stop al trionfo assassino della società dello spettacolo di Umberto Folena La strage suprematista in Nuova Zelanda e la sfida che ci sta davanti IL FOGLIO Pag 1 Chiesa sinizzata di Matteo Matzuzzi Il cardinale Parolin ribadisce i motivi dell’intesa con Pechino (anche a costo di cedere qualcosa) IL GAZZETTINO Pag 1 Il rischio di una guerra tra islamici e suprematisti di Alessandro Orsini Pag 6 Segnali Papa – Pechino: adesso nessun incontro. Ma Xi invita il Vaticano di Franca Giansoldati Pag 23 Si scrive Tav, si legge Territori ad Alta Velocità di Francesco Antonich LA NUOVA Pag 5 “Fiero di esser qui a combattere. Questa è una guerra di civiltà” di Francesco Semprini L’ultima intervista di Lorenzo Orsetti Pag 8 L’Europa, idea antica da settant’anni simbolo di pace di Vincenzo Milanesi CORRIERE DEL VENETO

  • Pag 1 Le parti invertite del terrore di Stefano Allievi Dopo Cristchurch

    Torna al sommario 3 – VITA DELLA CHIESA L’OSSERVATORE ROMANO Unità nella diversità Visita dei vescovi del Triveneto in Croazia Venezia. «Con questo viaggio, in particolare, abbiamo voluto conoscere meglio tale realtà e comprendere come ci si muove e come si affrontano qui le sfide dell’annuncio del Vangelo oggi. Abbiamo affrontato insieme alcune tematiche che appartengono ormai a tutte le Chiese europee»: così il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, presidente della Conferenza episcopale del Triveneto, ha commentato l’incontro svoltosi la settimana scorsa in Croazia tra i vescovi di Veneto, Friuli - Venezia Giulia e Trentino - Alto Adige e quelli locali, al fine di approfondire la conoscenza e vivere un reciproco scambio di esperienze. L’episcopato croato comprende cinque arcidiocesi e undici diocesi, oltre a un ordinariato militare retto dall’arcivescovo Jure Bogdan, in un paese dove si registrano 3,6 milioni di battezzati, pari all’85 per cento della popolazione. «Come Chiesa italiana e ancor più del nord-est - ha dichiarato Moraglia - siamo da sempre in stretto rapporto con la Chiesa croata». Diverse le tematiche affrontate: «Ci siamo confrontati, tra l’altro, sulla visione cristiana della persona e della famiglia che può continuare a offrire alle nostre società europee di oggi una proposta evangelica in grado di diventare ricchezza per tutti. Abbiamo insomma condiviso situazioni differenti ma non lontane tra loro e guardando sempre all’unico Signore e all’unico Vangelo, da annunciare in modo certamente umile, ma, nello stesso tempo, da far risuonare con voce chiara, forte, consapevole ed efficace». Durante la visita i vescovi si sono recati al santuario nazionale di Marija Bistrica, celebrandovi l’eucaristia, incontrando successivamente l’arcivescovo di Zadar, Želimir Puljić, e alcuni presuli della Conferenza episcopale croata. Al termine del colloquio, i vescovi del Triveneto hanno donato ai fratelli croati una riproduzione della “croce di Aquileia” che tradizionalmente simboleggia le diocesi del nord-est italiano. A conclusione del breve viaggio, l’omaggio alla tomba del beato Alojzije Stepinac, cardinale e arcivescovo di Zagabria dal 1937 al 1960 (beatificato da Giovanni Paolo II nel 1998), la visita al museo a lui dedicato, e l’incontro con l’arcivescovo di Zagreb, cardinale Josip Bozanić. Gesti di pace per contrastare odio e violenza Al termine dell’Angelus il dolore del Papa per l’attentato di Christchurch «Preghiera» e «gesti di pace» per «contrastare l’odio e la violenza»: li ha invocati Papa Francesco al termine dell’Angelus di domenica 17 marzo, in piazza San Pietro, esprimendo il proprio dolore per il sanguinoso attentato di Christchurch. In precedenza il Pontefice aveva dedicato la riflessione al brano evangelico di Luca (9, 28-36) che narra l’evento della Trasfigurazione. Cari fratelli e sorelle, buongiorno! In questa seconda domenica di Quaresima, la liturgia ci fa contemplare l’evento della Trasfigurazione, nel quale Gesù concede ai discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni di pregustare la gloria della Risurrezione: uno squarcio di cielo sulla terra. L’evangelista Luca (cfr. 9, 28-36) ci mostra Gesù trasfigurato sul monte, che è il luogo della luce, simbolo affascinante della singolare esperienza riservata ai tre discepoli. Essi salgono col Maestro sulla montagna, lo vedono immergersi in preghiera, e a un certo punto «il suo volto cambiò d’aspetto» (v. 29). Abituati a vederlo quotidianamente nella semplice sembianza della sua umanità, di fronte a quel nuovo splendore, che avvolge anche tutta la sua persona, rimangono stupiti. E accanto a Gesù appaiono Mosè ed Elia, che parlano con Lui del suo prossimo “esodo”, cioè della sua

  • Pasqua di morte e risurrezione. È un anticipo della Pasqua. Allora Pietro esclama: «Maestro, è bello per noi essere qui» (v. 33). Vorrebbe che quel momento di grazia non finisse più! La Trasfigurazione si compie in un momento ben preciso della missione di Cristo, cioè dopo che Lui ha confidato ai discepoli di dover «soffrire molto, [...] venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (v. 21). Gesù sa che loro non accettano questa realtà - la realtà della croce, la realtà della morte di Gesù -, e allora vuole prepararli a sopportare lo scandalo della passione e della morte di croce, perché sappiano che questa è la via attraverso la quale il Padre celeste farà giungere alla gloria il suo Figlio, risuscitandolo dai morti. E questa sarà anche la via dei discepoli: nessuno arriva alla vita eterna se non seguendo Gesù, portando la propria croce nella vita terrena. Ognuno di noi, ha la propria croce. Il Signore ci fa vedere la fine di questo percorso che è la Risurrezione, la bellezza, portando la propria croce. Dunque, la Trasfigurazione di Cristo ci mostra la prospettiva cristiana della sofferenza. Non è un sadomasochismo la sofferenza: essa è un passaggio necessario ma transitorio. Il punto di arrivo a cui siamo chiamati è luminoso come il volto di Cristo trasfigurato: in Lui è la salvezza, la beatitudine, la luce, l’amore di Dio senza limiti. Mostrando così la sua gloria, Gesù ci assicura che la croce, le prove, le difficoltà nelle quali ci dibattiamo hanno la loro soluzione e il loro superamento nella Pasqua. Perciò, in questa Quaresima, saliamo anche noi sul monte con Gesù! Ma in che modo? Con la preghiera. Saliamo al monte con la preghiera: la preghiera silenziosa, la preghiera del cuore, la preghiera sempre cercando il Signore. Rimaniamo qualche momento in raccoglimento, ogni giorno un pochettino, fissiamo lo sguardo interiore sul suo volto e lasciamo che la sua luce ci pervada e si irradi nella nostra vita. Infatti l’Evangelista Luca insiste sul fatto che Gesù si trasfigurò «mentre pregava» (v. 29). Si era immerso in un colloquio intimo con il Padre, in cui risuonavano anche la Legge e i Profeti - Mosè ed Elia - e mentre aderiva con tutto Sé stesso alla volontà di salvezza del Padre, compresa la croce, la gloria di Dio lo invase trasparendo anche all’esterno. È così, fratelli e sorelle: la preghiera in Cristo e nello Spirito Santo trasforma la persona dall’interno e può illuminare gli altri e il mondo circostante. Quante volte abbiamo trovato persone che illuminano, che emanano luce dagli occhi, che hanno quello sguardo luminoso! Pregano, e la preghiera fa questo: ci fa luminosi con la luce dello Spirito Santo. Proseguiamo con gioia il nostro itinerario quaresimale. Diamo spazio alla preghiera e alla Parola di Dio, che abbondantemente la liturgia ci propone in questi giorni. La Vergine Maria ci insegni a rimanere con Gesù anche quando non lo capiamo e non lo comprendiamo. Perché solo rimanendo con Lui vedremo la sua gloria. A conclusione della preghiera mariana il Papa ha invitato a pregare per le vittime dell’attentato in Nuova Zelanda. Quindi ha rivolto espressioni di saluto ai gruppi presenti in piazza. Cari fratelli e sorelle, in questi giorni, al dolore per le guerre e i conflitti che non cessano di affliggere tutta l’umanità, si è aggiunto quello per le vittime dell’orribile attentato contro due moschee a Christchurch, in Nuova Zelanda. Prego per i morti e i feriti e i loro familiari. Sono vicino ai nostri fratelli musulmani e a tutta quella comunità. Rinnovo l’invito ad unirsi con la preghiera e i gesti di pace per contrastare l’odio e la violenza. Preghiamo insieme, in silenzio, per i nostri fratelli musulmani che sono stati uccisi. Rivolgo un cordiale saluto a tutti voi, qui presenti: fedeli di Roma e di tante parti del mondo. Saluto i pellegrini della Polonia, quelli di Valencia in Spagna, e quelli di Cajazeiras in Brasile e Benguela in Angola. Quanti angolani! Saluto i gruppi parrocchiali provenienti da Verona, Quarto di Napoli e Castel del Piano di Perugia; gli alunni di Corleone, i chierichetti di Brembo in Dalmine e l’associazione “Uno a Cento” di Padova. A tutti auguro una buona domenica. Per favore non dimenticatevi di pregare per me. Buon pranzo e arrivederci! La piaga della corruzione impoverisce e toglie fiducia nel sistema La denuncia del Papa durante l’udienza ai funzionari della Corte dei Conti italiana La corruzione è una «piaga» sociale che «impoverisce tutti, togliendo fiducia, trasparenza e affidabilità all’intero sistema». È la denuncia di Papa Francesco, che

  • rivolgendosi ai funzionari della Corte dei Conti italiana - ricevuti in udienza nella mattina di lunedì 18 marzo, nell’Aula Paolo VI - ha invitato a «prevenire e colpire l’illegalità e gli abusi» attraverso efficaci «controlli sulla gestione e sulle attività delle pubbliche amministrazioni». Cari fratelli e sorelle, sono lieto di accogliere tutti voi, che rappresentate la grande famiglia della Corte dei Conti: giudici, personale amministrativo, familiari e amici. A ciascuno rivolgo il mio saluto, ad iniziare dal Presidente, Dott. Angelo Buscema, che ringrazio per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro. Questo istituto della Repubblica Italiana incarna una eticità, che è la stessa che soggiace al funzionamento dello Stato, al quale «compete la cura e la promozione del bene comune della società» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 40). La Corte dei Conti, infatti, svolge un indispensabile servizio orientato secondo giustizia verso il bene comune. E questo non è un concetto ideologico o solo teorico, ma è legato alle condizioni di pieno sviluppo per tutti i cittadini e può essere realizzato tenendo conto della dignità della persona nella sua integralità. Per questa ragione, lo Stato, in tutte le sue articolazioni, è chiamato ad essere il difensore dei diritti naturali dell’uomo, il cui riconoscimento è una condizione per l’esistenza dello Stato di diritto. Pertanto, il bene della persona umana, intesa sempre nella sua dimensione relazionale e comunitaria, deve costituire il criterio essenziale di tutti gli organi e i programmi di una Nazione. Questo principio è essenziale anche per svolgere con saggezza la delicata funzione di magistrato contabile. Essa richiede non solo una elevata professionalità e specializzazione, ma anzitutto una coscienza personale rettamente formata, uno spiccato senso della giustizia, un generoso impegno verso le istituzioni e la comunità. Nello svolgimento di questo compito, il magistrato credente può trovare aiuto nel riferimento a Dio; il magistrato non credente sostituirà il riferimento al trascendente con quello al corpo sociale, con un diverso significato, ma con uguale impegno morale. Il controllo rigoroso delle spese frena la tentazione, ricorrente in coloro che occupano cariche politiche o amministrative, a gestire le risorse non in modo oculato, ma a fini clientelari e di mero consenso elettorale. «Occorre dare maggior spazio a una sana politica, capace di riformare le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di superare pressioni e inerzie viziose. Tuttavia, bisogna aggiungere che i migliori dispositivi finiscono per soccombere quando mancano le grandi mete, i valori, una comprensione umanistica e ricca di significato, capaci di conferire ad ogni società un orientamento nobile e generoso» (Lett. enc. Laudato si’, 181). In tale prospettiva si colloca anche l’importante ruolo che la Magistratura contabile riveste per la collettività, in particolare nella lotta incessante alla corruzione. Questa è una delle piaghe più laceranti del tessuto sociale, perché lo danneggia pesantemente sia sul piano etico che su quello economico: con l’illusione di guadagni rapidi e facili, in realtà impoverisce tutti, togliendo fiducia, trasparenza e affidabilità all’intero sistema. La corruzione avvilisce la dignità dell’individuo e frantuma tutti gli ideali buoni e belli. La società nel suo insieme è chiamata a impegnarsi concretamente per contrastare il cancro della corruzione nelle sue varie forme. La Corte dei Conti, nell’esercizio dei controlli sulla gestione e sulle attività delle pubbliche amministrazioni, rappresenta un valido strumento per prevenire e colpire l’illegalità e gli abusi. Al tempo stesso, può indicare gli strumenti per superare inefficienze e storture. Da parte loro, i singoli amministratori pubblici devono avvertire sempre più la responsabilità di operare con trasparenza e onestà, favorendo così il rapporto di fiducia tra il cittadino e le istituzioni, il cui scollamento è una delle manifestazioni più gravi della crisi della democrazia. Il controllo rigoroso delle spese da parte della magistratura contabile da un lato, e l’atteggiamento corretto e limpido dei responsabili della cosa pubblica dall’altro, possono frenare la tentazione di gestire le risorse in modo non oculato e a fini clientelari. I beni comuni costituiscono risorse che vanno tutelate a vantaggio di tutti, specialmente dei più poveri, e di fronte a un loro utilizzo irresponsabile lo Stato è chiamato a svolgere una indispensabile funzione di vigilanza, debitamente sanzionando i comportamenti illeciti. Cari magistrati della Corte dei Conti Italiana, vi incoraggio a proseguire con serenità e serietà nel vostro ruolo, che è centrale nella definizione di importanti momenti di coordinamento della finanza pubblica. Possiate sempre essere animati dalla consapevolezza di rendere un servizio, volto a far crescere nella società la cultura della legalità. A tutti voi, qui presenti, rivolgo anche l’invito a vivere questo tempo di

  • Quaresima come occasione per fissare in profondità lo sguardo su Cristo, Maestro e Testimone di verità e di giustizia. La sua parola è sorgente inesauribile di ispirazione per tutti coloro che si dedicano al servizio del bene comune. Il periodo quaresimale è per eccellenza quello del combattimento spirituale, dell’“agonismo”, e questo ci stimola a vivere la nostra vita personale e il nostro servizio alla cosa pubblica non in maniera inerte, rassegnata ai mali che riscontriamo in noi e intorno a noi. Gesù Cristo ci sprona ad affrontare il male apertamente e ad andare alla radice dei problemi. Ci insegna a pagare di persona in questa lotta, non per la ricerca di un eroismo velleitario e per un malcelato protagonismo, ma con l’umile tenacia di chi porta avanti il proprio lavoro, spesso nascosto, resistendo alle pressioni che il mondo non manca di esercitare. Nell’affidarvi alla protezione di San Giuseppe, “uomo giusto”, benedico tutti voi e il vostro lavoro. E vi chiedo per favore di pregare anche per me. Grazie. AVVENIRE Pag 3 Dai gesti e dalle parole dei Papi i frutti del dialogo con l’islam di Mimmo Muolo La prossima visita di Francesco in Marocco nel solco di un cammino avviato da tempo Due visite in altrettanti Paesi a maggioranza musulmana, Abu Dhabi e Marocco, nel giro di due mesi, aggiungono un altro anello alla catena degli eventi senza precedenti nel pontificato di papa Francesco. Ma non è solo per questo che i due viaggi, evidentemente concatenati, si segnalano come un fatto unico. Al di là infatti del loro indubbio valore sul piano del dialogo islamo-cattolico, essi ci permettono di ritornare su una questione più profonda e negli ultimi tempi spesso controversa: la continuità magisteriale che lega l’attuale Pontefice ai suoi due immediati predecessori. Chi guarda a papa Bergoglio senza le diottrie del pregiudizio non può in effetti non vedere nel suo atteggiamento dialogante con il mondo musulmano il riflesso e il naturale sviluppo di quanto fatto prima di lui da Karol Wojtyla e Joseph Ratzinger. Egli sta agendo proprio nel solco tracciato dai suoi due immediati predecessori, che è poi la strada aperta dal Concilio Vaticano II. E ne è ulteriore conferma la stessa visita in Marocco, in programma il 30 e 31 marzo, che non può non richiamare alla mente il memorabile viaggio di papa Wojtyla nel 1985, coronato dal discorso che rivolse il 19 agosto ai giovani musulmani. Nello stadio di Casablanca il pontefice ora santo ricordò ai suoi interlocutori che «la Chiesa cattolica guarda con rispetto e riconosce la qualità del vostro cammino religioso, la ricchezza della vostra tradizione spirituale». «Anche noi, cristiani, siamo fieri della nostra tradizione religiosa», aggiunse il Papa enumerando poi i punti di contatto fra le due religioni e non nascondendo le differenze, a partire da quella più importante e fondamentale, concernente la figura e il ruolo salvifico di Gesù Cristo. Soprattutto, però, Giovanni Paolo II rimarcò il concetto che «se in passato cristiani e musulmani, generalmente ci siamo malcompresi, e qualche volta, ci siamo opposti e anche persi in polemiche e in guerre», oggi – così disse – «io credo che Dio c’inviti a cambiare le nostre vecchie abitudini. Dobbiamo rispettarci e anche stimolarci gli uni gli altri nelle opere di bene sul cammino di Dio». Parole che non ci si stupirebbe di sentir pronunciare da Francesco (così come infatti è avvenuto già più volte) e che soprattutto riecheggiano l’insegnamento di Nostra Aetate, cioè appunto del Concilio: «La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio... Se nel corso dei secoli non pochi dissensi e inimicizie sono sorti tra cristiani e musulmani, il sacrosanto Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e ad esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà». Oggi, a distanza di 34 anni vediamo in questa posizione il baluardo posto sin da allora contro la deriva dello scontro di civiltà. Uno scudo così impenetrabile che – è bene riconoscerlo – ha resistito malgrado tutti gli eventi tragici di questi decenni. Se infatti quello scontro è stato evitato, e non c’è stato il minimo appiglio per ammantare violenze dovute ad altre cause delle mentite spoglie di una guerra di religione, lo si deve proprio alla barra del timone sempre tenuta ferma da Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e ora da Francesco sulla stella polare del dialogo interreligioso. La prima conferma arrivò da lì a un anno, quando proprio san Giovanni Paolo II invitò ad Assisi i leader religiosi di tutto il mondo – islamici compresi naturalmente – per invocare insieme la pace, in un tempo segnato dalla contrapposizione tra le grandi Potenze e dall’incubo dell’olocausto

  • nucleare. Assisi, come sappiamo, ha segnato un punto di non ritorno nei rapporti tra le religioni e il suo spirito ha permeato sempre più anche i rapporti tra cristiani e musulmani. Al punto che nel 2001, persino di fronte all’«inqualificabile orrore» dell’11 settembre, lo stesso Giovanni Paolo II non parlò mai di matrice islamica dei luttuosi eventi, pur condannandoli senza appello e ricordando che «mai le vie della violenza conducono a vere soluzioni dei problemi dell’umanità». Anzi, il successivo 23 settembre, durante la visita in Kazakhstan, Paese a maggioranza musulmana, sottolineò esplicitamente che «la religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto ». E il 24 gennaio 2002, di nuovo ad Assisi dove aveva nuovamente invitato i leader religiosi, aggiunse: «Non v’è finalità religiosa che possa giustificare la pratica della violenza dell’uomo sull’uomo». Purtroppo a quel «giorno buio per l’umanità» (così papa Wojtyla definì l’11 settembre) ne seguirono diversi altri, senza che però mutasse di una virgola l’atteggiamento del magistero pontificio. Quando l’11 marzo 2004 la principale stazione di Madrid fu colpita da una serie di esplosioni che causarono 191 morti e più di duemila feriti, nuovamente Giovanni Paolo II non fece alcuna menzione della matrice islamica degli attentati. E anche Benedetto XVI seguì la stessa linea di fronte agli attentati di Londra, il 7 luglio 2005, arrivando anzi a invocare: «Fermatevi in nome di Dio». Convinzione ribadita anche a un gruppo di giornalisti che lo avvicinarono, come ricordato di recente anche da Salvatore Mazza su queste stesse colonne, in Val d’Aosta durante la sua breve vacanza: «Non direi violenza islamica, si tratta di piccoli gruppi fanatizzati, e non dobbiamo confondere». Anche Papa Ratzinger dunque non ha mai parlato di terrorismo islamico, semmai di «pernicioso fanatismo di matrice religiosa» e di «falsificazione della religione stessa» (7 gennaio 2013, discorso al Corpo diplomatico). Nella lettera Ecclesia in Medio Oriente, del 2012, egli stesso sottolineava che «i musulmani condividono con i cristiani la convinzione che in materia religiosa nessuna costrizione è consentita, tanto meno con la forza» e che «la minaccia di fondamentalismo tocca indistintamente e mortalmente i credenti di tutte le religioni». Una frase 'copiata' da Francesco nel 2016, nella consueta conferenza stampa in aereo, tornando dalla Gmg di Cracovia: «Gli islamici non sono tutti violenti. In tutte le religioni c’è sempre un piccolo gruppetto fondamentalista. Anche noi ne abbiamo». È vero che in questo coro a più voci qualcuno ha tentato di indicare come nota stonata il discorso di Benedetto XVI a Ratisbona, ma l’operazione va respinta senza appello. Perché quel discorso, lungi dall’essere antislamico (come in effetti avvenne a causa di una grave distorsione mediatica) è un gigantesco dito puntato contro la cattiva coscienza dell’occidente che ha relegato la religione nel sottoscala della subcultura. Lo testimonia il fatto che, chiarito l’iniziale fraintendimento, 38 intellettuali musulmani, successivamente diventati 138, risposero con una lettera di riflessione intitolata Una parola comune. E che quando nel settembre del 2012 papa Ratzinger si recò in Libano, persino Hezbollah lo accolse con striscioni di benvenuto. Tre Pontificati, una sola linea, dunque. Avvalorata e rafforzata di volta in volta da gesti e incontri di rilievo storico, come la prima visita di un Papa in una moschea (Giovanni Paolo a Damasco nel 2001), poi reiterata da Benedetto XVI a Istanbul nel 2006 e da Francesco nel 2014 (entrambi nella Moschea Blu). Nel pontificato di Francesco quei gesti avvengono con frequenza ancora maggiore, a partire dalla sua preghiera per la pace in Siria, pochi mesi dopo l’elezione, che di fatto scongiurò l’allargamento del conflitto alle grandi Potenze. Né è possibile dimenticare l’abbraccio con l’imam Omar Abboud e il rabbino Abraham Skorka, invitati al viaggio in Terra Santa, davanti al Muro del pianto nel 2014. Oppure i diversi incontri con l’imam di al-Azhar, Ahmad Al-Tayyb, culminati nel viaggio in Egitto nell’aprile 2017. Oppure ancora le parole pronunciate in difesa di una delle minoranze musulmane più perseguitate al mondo, i Rohingya, durante la visita in Myanmar e Bangladesh nel dicembre dello stesso anno. La novità dell’ultimo periodo è che non si tratta più di segni a senso unico. La conferma del verdetto di innocenza per Asia Bibi da parte della Corte supremo del Pakistan, la 'Dichiarazione di Islamabad' contro il terrorismo e le violenze compiute dagli estremisti in nome della religione, firmata all’inizio di gennaio da più di 500 predicatori islamici pachistani, e la stessa dichiarazione comune sulla 'Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune', siglata durante la storica visita ad Abu Dhabi, la prima di un Papa nella penisola arabica, costituiscono non solo un importante passo verso un dialogo sempre più effettivo ed efficace, ma anche la prova che il dialogo è l’unico vaccino possibile contro lo scontro di civiltà. Papa Francesco sta rafforzando

  • questa certezza con l’indicazione accorata dei problemi da affrontare insieme, a partire dalla questione migrazioni, che resta uno dei fattori di instabilità più forti sullo scenario mondiale. In Marocco, infatti, visiterà un centro per i migranti, come a ricordare la centralità del problema e a sottolineare che cristiani e musulmani sono anche da questo punto di vista sulla stessa barca. Ad Abu Dhabi, del resto, Francesco ha usato la metafora dell’arca per ricordare quanto sia necessaria la fratellanza per «solcare i mari in tempesta del mondo». Un’immagine che richiama le tante imbarcazioni di disperati colate a picco tra le due sponde del Mediterraneo. E che in un certo senso è un monito affinché a non naufragare sia l’intera arca dell’umanità. Pag 8 Don Diana, il prete con l’odore delle pecore che ci insegna ad essere uomini di Maurizio Patriciello «I veri galantuomini sono quelli che non fanno professione né di eroi né di vigliacchi, sono quelli che ieri non gridavano 'Viva la Germania' e oggi non gridano né 'Viva l’America' né 'Viva la Russia'». Non so per quali misteriosi ingranaggi di pensieri mi ritornano in mente queste parole di Curzio Malaparte mentre ci prepariamo a celebrare il venticinquesimo anniversario dell’orribile omicidio di don Peppino Diana. Aveva 36 anni appena questo prete aversano quando fu trucidato dalla camorra mentre si accingeva a celebrare la messa. Era la festa di san Giuseppe. La camorra, la mafia, la ’ndrangheta scelgono con cura la data in cui colpire. Non deve essere un giorno qualsiasi: don Pino Puglisi venne ucciso nel giorno del suo compleanno, don Peppino Diana in quello del suo onomastico. Mai avrebbero pensato di diventare eroi o santi questi due preti meridionali che nemmeno si conoscevano. Credo che ne avrebbero riso al solo pensiero. Una risata calda, aperta, schietta. Una fragorosa e ricca risata meridionale. Eroe? E che vuol dire? Può accadere, certo. E tante volte accade. T’incammini, procedi, ci credi, fai sul serio. E a qualcuno tutto questo dà fastidio. Uno dei clan più sanguinari e insidiosi che la storia delle mafie ricordi è proprio quello nato e sviluppatosi nel paese di don Peppinio, Casal di Principe. Il cosiddetto 'clan dei Casalesi'. Tanti di quegli ignobili e tristi figuri erano suoi vicini di casa, vecchi amici di scuola, compagni di giochi adolescenziali. Poi le strade si divisero. Mistero della vita. Nati nello stesso paese, battezzati nella stessa chiesa, zapparono le stesse terre, studiarono nella stessa scuola, si espressero nello stesso, gustosissimo dialetto partenopeo con quel particolare accento che sa d’inglese. Eppure, uno consumerà la sua vita per riscattare il popolo che ama dalle grinfie degli altri che quel popolo odiano, maltrattano, umiliano fino ad affossarlo. Il prete don Giuseppe Diana e i camorristi di Casal di Principe. Un braccio di ferro. Strade parallele. Lotta tra bene e male. Eppure, strano a dirsi, non era don Peppino a temer di loro, ma loro a tremar di lui. Loro, armati di pistole e mitragliette, con macchine di lusso e conti in banca; loro che vantavano agganci con la politica e la mafia siciliana. Questi “duri” tanto fragili e spavaldi, spiavano il piccolo prete armato di Vangelo. Golia e Davide. Loro vorrebbero offrire alla sua parrocchia, banchi e suppellettili, calici d’argento e pissidi d’oro. Sculture di santi e madonnine in legno pregiato, in memoria di parenti e amici uccisi. Perché l’amico d’infanzia li tiene a distanza? Perché non accetta le loro offerte? Perché ostenta di non temerli? Perché non chiede? Perché continua a predicare e scrivere contro di loro? Perché non fa l’elogio funebre ai funerali dei loro cari? Perché mette a dura prova la loro pazienza? Don Peppino è un uomo, un galantuomo, non è un vigliacco. Non si è mai schierato dalla parte del più forte, non ha mai parteggiato per il potente di turno, chiunque esso sia. Don Peppino è un prete. Un semplice prete. Un vero prete. Don Peppino è un vero 'Casalese'. Tra le tante cose che i camorristi devono immediatamente restituire alla società civile c’è anche il nome del paese in cui don Peppino e migliaia di persone perbene sono nati e che loro hanno usurpato. Loro non sono i 'Casalesi', ma quelli che hanno insozzato, calpestato, insanguinato le strade, le case, la vita di Casale. Don Peppino è il vero Casalese. E lo uccisero. A tradimento lo uccisero. Sono passati 25 anni da quel tragico e dolorosissimo 19 marzo 1994. Sembra ieri, sembra un secolo, un’eternità. Mi telefonarono. Corsi. Peppino stava riverso in una pozza di sangue in chiesa. Una pugnalata al cuore. Credetti di svenire. Sul presbiterio, impietrito, in silenzio, angosciato, addolorato, il volto bianco come la tovaglia dell’altare, stava l’allora vescovo di Aversa, Lorenzo Charinelli e qualche confratello. Li raggiunsi. Ci abbracciammo. Nessuno osava parlare. Un nodo ci serrava la gola. Il vescovo sussurrò:

  • 'Preghiamo… preghiamo'. Peppino era morto. Possibile? La camorra aveva dunque vinto? Il male aveva prevalso? Invece. L’uccisione di Peppino segnò la condanna a morte del 'clan dei Casalesi'. Lentamente, ma inesorabilmente, da quel giorno iniziò il declino di quei ceffi che avevano terrorizzato il nostro territorio. Sbocciava la primavera del riscatto. I campi si ricoprivano dei fiori della dignità ritrovata. Nei cuori la speranza iniziò a galoppare. Sono stati anni incredibili. Impegno. Coraggio. Arresti. Pentimenti. Carcere duro. Confische. Comitati. Cortei. Cultura. Preghiera. Scuola. Sono passati venticinque anni e non c’è stato un giorno in cui non ci siamo confrontati con don Peppino Diana. Che non gli abbiamo chiesto consiglio, forza, aiuto. Che non abbiamo pregato per lui e pregato lui di pregare per noi. Don Peppino Diana, un prete che ci ha insegnato cosa vuol dire essere preti: peccatori e limitati ma innamorati di Gesù, e impregnati dell’odore delle pecore. Preti che per strappare le pecore ai lupi sono disposti a tutto, anche a dare la vita. Un prete, don Peppino, che ci ha insegnato cosa vuol dire essere uomini. Torna al sommario 6 – SERVIZI SOCIALI / SANITÀ IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag VII San Camillo, c’è l’accordo di Lorenzo Mayer Incontro a Milano, cessione in arrivo a Villa Salus: mancano solo i dettagli. Nota comune: impegno a tutelare il personale e a potenziare le strutture esistenti e la ricerca Strada in discesa per la compravendita dell'ospedale Irccs (Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico riconosciuto dal Ministero alla Salute) San Camillo degli Alberoni al Lido e della casa di riposo. Dopo novant'anni e più la struttura sanitaria volterà pagina. ACCORDO - I Camilliani lasciano e passano la mano. La svolta è stata annunciata ieri, nel tardo pomeriggio, da un comunicato congiunto tra i Camilliani, che cederanno la proprietà, e la Congregazione delle suore Mantellate, serve di Maria che rileveranno l'istituto di cura lidense facendolo entrare nel circuito con Villa Salus. La schiarita, di una trattativa che, pur con interlocutori diversi si prolunga da almeno due anni, è giunta al termine di un incontro non in città ma convocato in laguna ma a Milano, città dove hanno base operativa e amministrativa i due ordini religiosi. Il fatto che si sia arrivati ormai ai dettagli, la stretta finale della vicenda, lo si evince dalla nota unitaria diramata alla fine della riunione. OBIETTIVI - L'unità di intenti è chiara, per arrivare a una conclusione, anche se, nella nota, non si fa riferimento ad alcuna data, nemmeno ipotetica e si ribadisce, senza entrare nei dettagli, ciò che era già stato assicurato anche nei precedenti incontri. Ecco la parte saliente del testo: «Si sta procedendo in particolare per giungere alla definizione degli accordi e la relativa predisposizione dei contratti recita la nota - in linea con quanto già rappresentato in Prefettura a Venezia nella scorsa primavera. Le parti sono giunte a chiarire gran parte delle tematiche negoziali e tecniche e si sono date appuntamento in tempi brevi per un nuovo incontro finalizzato a risolvere gli ultimi aspetti normativi e burocratici, fiduciosi che le trattative, nel rispetto delle procedure di consultazione sindacale previste dalla normativa vigente, potranno concludersi in tempi celeri». Dunque c'è la volontà di fare in fretta, in quanto tempo però non viene rivelato. Ribaditi, poi, tutti gli impegni presi nell'incontro in Prefettura di quasi un anno fa a Venezia. «Le parti confermano l'impegno scrivono i Camilliani e le Suore Mantellate - di tutelare il personale e l'occupazione, di salvaguardare e potenziare le strutture esistenti e l'eccellenza della ricerca, di renderle sempre più sinergiche con il Servizio Sanitario Regionale del Veneto». Dunque nessuna smobilitazione e il mantenimento del personale dell'eccellenza e della professionalità guadagnate sul campo. Sarà un fondo, ad acquisire la proprietà immobiliare del San Camillo che poi verrà gestito dalle Suore Mantellate, quindi rimanendo, per le proprie finalità, nel controllo di un'altra congregazione religiosa. La Casa di riposo rientra nel pacchetto della compravendita in corso, ma poi dovrebbe essere affidata a una cooperativa per la gestione. Intanto l'attuale proprietà dei Camilliani darà il via, secondo i piani prefissati, ai lavori richiesti dal Ministero per il rinnovo della classificazione ad Irccs. Il cantiere dovrà essere avviato quando, in estate,

  • è prevista l'ispezione della commissione ministeriale chiamata a confermare l'Irccs al Lido anche per il prossimo biennio. LA NUOVA Pag 22 San Camillo a Villa Salus. Sindacati in allerta: “Vigiliamo” di E.P. Primi concreti passi per la vendita della struttura: operazione da 25 milioni Lido. La vendita dell'ospedale San Camillo del Lido entra nel vivo e promette di risolversi in tempi celeri. Ieri a Milano c'è stato il primo incontro tra i Padri Camilliani, attuali proprietari dell'istituto di ricovero e cura a carattere scientifico degli Alberoni, e la Congregazione delle Mantellate serve di Maria, già titolare di Villa Salus e interessata all'acquisto della struttura lidense. La vendita dell'ospedale del Lido è stata decisa già nel 2017, scelta avvallata nei mesi scorsi dall'apposita commissione pontificia cui spetta l'ultima parola sulla vendita degli ospedali religiosi. Per l'operazione nei mesi scorsi si era ipotizzata una somma compresa tra i 20 e i 25 milioni di euro, compresi i lavori da 4,5 milioni di euro per riordinare i due piani dell'ospedale e i due piani della casa di riposo necessari per l'ospedale, in attesa di capire chi e in quali condizioni sarà a gestirlo nei prossimi anni.Resta da capire come si muoverà il fondo immobiliare straniero, ma con sede in Italia, pronto a metterci i soldi dopo aver ricevuto il via libera dalla commissione pontificia a Roma. E le prossime tappe dei due soggetti gestori: l'ospedale Villa Salus per la parte ospedaliera, la cooperativa padovana Codess per la casa di riposo Stella Maris. Al tavolo tecnico di ieri si è intanto iniziato a parlare di contratti e di aspetti burocratici. Le parti hanno confermato l'impegno a tutelare personale e occupazione, potenziare le strutture esistenti e l'eccellenza della ricerca, sempre più sinergiche con il Servizio Sanitario Regionale.«Registriamo e speriamo che sia vero», il commento di Giancarlo Da Lio, Cgil, «Non meno di otto giorni fa abbiamo visto gruppi di dirigenti aggirarsi per i locali dell'ospedale. Nel corso della trattativa, non c'è stata linearità verso i sindacati». E per Carlo Alzetta, Cisl, quest'incertezza ha inciso sui lavoratori in fuga e sugli utenti: «Le prerogative sindacali sono state compromesse, speriamo nel riassestamento della struttura». La Uil promette di vigilare: «Non vogliamo perdere posti di lavoro». CORRIERE DEL VENETO Pag 8 Villa Salus compra il San Camillo. I sindacati: “Garanzie sul lavoro” di Giacomo Costa Accordo quasi chiuso, 20 milioni sul tavolo. Il nodo della casa di riposo Stella Maris Venezia. Mancano solo gli ultimi passaggi previsti dalla legge e una serie di firme, poi si potrà aprire la nuova stagione dell’ospedale San Camillo e della casa di cura Stella Maris. Ieri pomeriggio, dopo un lungo incontro a Milano, i padri Camilliani e la congregazione delle Mantellate Serve di Maria – ovvero la proprietà di Villa Salus di Mestre – hanno assicurato di aver finalmente definito i dettagli per la cessione della struttura lidense, dandosi poi appuntamento il prima possibile per affrontare gli ultimi aspetti normativi e burocratici; prima di considerare chiusa l’operazione bisognerà passare anche per la consultazione sindacale – sottolineano gli stessi istituti religiosi – ma la speranza è quella di riuscire comunque a risolvere tutto in tempi brevi, dopo mesi di incertezza. Intanto, i dettagli della trattativa restano riservati, con l’unica indicazione di una definizione degli accordi «in linea con quanto già presentato alla Prefettura di Venezia la scorsa primavera». Il prezzo di cessione si dovrebbe aggirare intorno ai venti milioni di euro (a cui potrebbero aggiungersene altri cinque di interventi). Un anno fa, però, sempre a Ca’ Corner, si era anche garantita la continuità occupazionale e dei servizi: un problema essenziale per i sindacati, che in mancanza di nuove informazioni si stavano preparando a tornare dal prefetto dopo aver steso le proprie bandiere davanti alle porte dell’ospedale. «Nell’ultimo anno ci è quasi sembrato che, all’interno del San Camillo, ci fossero posizioni differenti riguardo alla vendita, tali da giustificare tanta opacità – lamenta Pietro Polo, della Uil –. Abbiamo avuto rassicurazioni, ma non conosciamo alcun dettaglio. Eppure le partite sono tante: non solo l’occupazione, ma anche la gestione della struttura, quella degli appalti e dei bandi, i rapporti con le altre realtà che lavorano nell’ospedale. Su questo neanche una parola». L’istituto di ricovero e cura a carattere scientifico (Irccs) San Camillo è una delle tre strutture del suo genere in Veneto,

  • specializzata nella neuroriabilitazione motoria; tra le corsie del Lido si trattano ictus, parkinson, traumi cranici, lesioni midollari, malattie rare e demenze, per un totale di circa ventimila prestazioni ambulatoriali in convenzione e altre 7.500 fuori accordo, ogni anno; i suoi 115 posti letto (15 riservati ai pazienti «fuori Regione») garantiscono circa 650 ricoveri annuali. Oltre ai ricercatori, sono impegnati nella struttura almeno duecento lavoratori. La vocazione scientifica del San Camillo comunque non è mai stata messa in discussione, né in fase di trattativa né con i fatti: nell’ultimo anno la struttura ha continuato ad investire per nuovi macchinari, ha nominato un nuovo direttore scientifico (il quarantenne pescarese Dante Mantini, rientrato dall’estero) e soprattutto si è aggiudicata 1,7 milioni di euro in finanziamenti alla ricerca da parte del ministero, la cifra più alta. A preoccupare di più le sigle, semmai, è l’affidamento della struttura collegata, la casa di riposo Stella Maris: i suoi 130 posti letto e i suoi circa cento dipendenti – molti dei quali a tempo determinato – dovrebbero passare sotto la gestione della cooperativa Codess, che i sindacati conoscono bene per le numerose controversie aperte negli ultimi anni. «Vogliamo sapere in che modo subentreranno e quali saranno gli effetti sui contratti», insiste Polo. Torna al sommario 7 - CITTÀ, AMMINISTRAZIONE E POLITICA LA NUOVA Pag 20 Chiese senza fedeli, solo un uso culturale le può rianimare di Enrico Tantucci Si dibatte dopo il caso della “profanazione” dell’Ospedaletto. Don Caputo: “Uso da ripensare”. Tesserin: “Dobbiamo salvare un enorme patrimonio d’arte” È solo l'uso culturale ed espositivo quello che "tira" per le chiese di Venezia dismesse o non più utilizzate. L'unico che, a parte casi clamorosi, come quello dell'ex chiesetta della Misericordia "trasformata" in moschea per il Padiglione dell'Islanda della Biennale 2014, non susciti le proteste del Patriarcato, come è avvenuto in questi giorni in cui si è parlato di profanazione per il finto matrimonio allestito all'interna della chiesa dell'Ospedaletto ora gestita dall'Ire.Tra pochi giorni ad esempio riaprirà finalmente, dopo un lungo restauro, la magnifica ex chiesa di San Lorenzo, chiusa praticamente da un secolo al di là di qualche evento isolato, come il «Prometeo» di Nono di parecchi anni fa, o alcune mostre in occasione della Biennale. È pronta a diventare un centro di ricerca artistica e ambientale legato al tema degli oceani, chiamato Ocean Space. Lo spazio, di proprietà del Comune, è stato ceduto in concessione a lungo termine, in cambio appunto del restauro dell'ex chiesa, alla baronessa Francesca Thyssen-Bornemisza, cofondatrice di TBA21-Academy, un'istituzione che conduce artisti, scienziati e leader di pensiero a una o una più profonda comprensione dell'oceano attraverso la lente dell'arte e generando soluzioni creative alle sue questioni più urgenti. Un uso compatibile, che non ha suscitato proteste. Così è, sostanzialmente, per i molti edifici di culto oggi chiusi, come è in buona parte anche per l'Ospedaletto, che però vengono utilizzati per mostre legate anche alla Biennale. «Alcune chiese hanno un ruolo centrale nell'attività della Diocesi. Altre non sono utilizzate. E il loro uso andrà ripensato, nel rispetto degli usi consentiti e con il consenso di tutti i soggetti coinvolti, per altre iniziative», ha dichiarato solo pochi giorni fa don Gianmatteo Caputo, responsabile dei Beni culturali della Diocesi veneziana. Il problema è appunto passare dalle parole ai fatti. Proprio don Caputo a novembre ha «battezzato» la riapertura della magnifica chiesa di San Beneto, che si affaccia sull'omonimo campo, a due passi da Palazzo Fortuny e che era però «sparita» alla vista, se non quella esterna dalla facciata, da quasi quarant'anni. Come per molte altre chiese veneziane chiuse da tempo (circa una trentina secondo un recente censimento dello Iuav). Restaurata e manutenuta grazie a un laboratorio-cantiere degli artigiani della Cna sarebbe dovuta essere, era stato annunciato allora, parzialmente riaperta al culto e comunque alla visita di veneziani e turisti. Ma da allora le porte di San Beneto sono rimaste chiuse. Annunciata da tempo anche la riapertura della chiesa di San Fantin, parzialmente al culto e all'uso culturale, dopo un lungo intervento di ristrutturazione che

  • l'ha dotata anche di un impianto di climatizzazione, e quella del Tempio Votivo del Lido, dopo i restauri. Ma entrambe al momento restano ancora chiuse. Prima del caso della chiesa dell'Ospedaletto, il precedente di quella di San Salvador. A sollevarlo è il dottor Alessandro Tamborini, già autore di polemiche lettere e proteste nei confronti del precedente amministratore parrocchiale don Massimiliano D'Antiga, poi rimosso dal Patriarca Francesco Moraglia. «Mi riferisco» scrive Tamborini «alla recente profanazione della chiesa di San Salvador, nel 2018, in questo caso di proprietà dello stesso Patriarcato e addirittura sede parrocchiale, che è stata svenduta dall'ex amministratore parrocchiale don D'Antiga per uno scandaloso concerto in stile satanico con ballerine seminude, circoli di candele, figuranti mascherati, scenografie inquietanti e per un uso sconcertante e commerciale della chiesa per un videoclip. L'altare principale e la storica Trasfigurazione del Tiziano vennero ricoperti da drappi neri e simbologie varie e il tutto alla presenza del Santissimo. Nonostante segnalazioni, lettere e denunce, da Moraglia e dal Patriarcato nessun intervento: tacciono complici sulle loro proprietà, ma attaccano le altre?». E allega anche alcune immagini che testimonierebbero l'uso improprio fatto in quell'occasione della chiesa di San Salvador. «Il problema delle chiese chiuse e da riutilizzare riguarda non solo la Curia, ma tutte le istituzioni cittadine, perché si tratta di un patrimonio artistico, architettonico e culturale da salvaguardare, consentendone usi, però, che siano compatibili e rispettosi della natura di questi luoghi». Il primo procuratore di San Marco Carlo Alberto Tesserin è stato uno dei primi a lanciare l'allarme sul problema del mantenimento del patrimonio delle chiese veneziane, anche quando non possono più essere destinate al culto, per il calo del numero dei fedeli e dei sacerdoti - in linea con quello demografico - e anche per i costi economici della manutenzione non più sopportabili da parte del Patriarcato in assenza di finanziamenti pubblici. E ora, dopo le polemiche seguite al finto matrimonio nella chiesa dell'Ospedaletto gestita dall'Ire, ripropone la sua valutazione.«Il problema del riuso delle chiese veneziane esiste e va affrontato» commenta Tesserin «perché è certamente destinato ad aggravarsi ma non è di facile soluzione e richiede uno sforzo che non può essere richiesto solo al Patriarcato, ma che deve coinvolgere un po' tutti. A cominciare dal ministero dei Beni Culturali che potrebbe - come chiediamo da tempo anche per la Basilica di San Marco - estendere il meccanismo dell'Art Bonus (che consente di detratte ai privati fino al 65 per cento di quanto investito sul patrimonio culturale) anche al sistema ecclesiastico. Bisogna arrivare a una gestione di tipo imprenditoriale delle chiede dismesse che non abbia però lo scopo di fare profitti su di esse, ma di garantirne la custodia, la manutenzione e la conservazione». Secondo il primo procuratore di San Marco esistono già degli esempi virtuosi.«Penso ai frati francescani che gestiscono la Basilica dei Frari anche con l'introduzione del biglietto d'ingresso per i turisti» spiega «che consente però la manutenzione della chiesa. O istituzioni come la Scuola Grande di San Rocco, che, grazie anche al contributo del volontariato, garantisce anche la manutenzione dell'omonima chiesa. Purtroppo i fondi pubblici, in passato anche la stessa Regione ha sostenuto nel tempo con propri fondi la manutenzione delle chiese veneziane, si sono di fatto esauriti per questo tipo di interventi e bisogna quindi necessariamente rivolgersi anche ai privati o attivare nuovi meccanismi di finanziamento. Sappiamo perfettamente che non è facile, ma è una strada obbligata da percorrere per mantenere lo straordinario patrimonio contenuto all'interno di queste chiese e la stessa salvaguardia fisica di questi edifici. È quello che cerchiamo di fare anche con la Basilica di San Marco, nonostante le difficoltà. Sarebbe importante però che anche il Ministero dei Beni Culturali guardasse con più attenzione al patrimonio delle chiese anche per un sostegno economico oltre alla doverosa azione di tutela delle Soprintendenze». Pag 22 La mamma di Micol: “Dove ho sbagliato?” Ma con lei c’era un amico che è sparito” di Carlo Mion Il dramma dei genitori della ragazza veneziana morta per una sospetta overdose «Ti senti come quando hai ripescato un naufrago che stava annegando e mentre lo stai portando a terra, ad un metro della riva, ti scivola dalle mani ed annega». Manuel

  • Camuffo racconta così la morte della figlia Micol, 36 anni, che una sospetta overdose da eroina si è portata via giovedì notte. Manuel e la moglie Rosalba da quattro giorni hanno un unico pensiero: ma abbiamo fatto tutto per farla uscire dalla droga? Una domanda che difficilmente li abbandonerà anche se a questa figlia bella, intelligente e piena di vita sono stati vicino in tutti i modi, senza mai abbandonarla. L'ultima a sentirla è stata proprio la mamma Rosalba, giovedì sera.Ma chi era Micol?«Una ragazza intelligente, piena di energia, che adorava sciare. E che a un certo punto, dopo mille traversie, ha pensato di essere riuscita a riprendersi in mano la sua vita. Ma non è stato così. Da anni oramai era lontana dalla droga, aveva seguito un percorso di disintossicazione in una comunità ed era quasi arrivata al traguardo. Il novanta per cento del percorso era stato fatto. Mancava poco e lei era convinta di essere in grado di gestire la situazione e di limitare i farmaci che i medici le avevano prescritto perché diceva di non volere essere più dipendente da nulla. Purtroppo non è stato così, non è stata in grado di controllare la situazione e la vita le è scivolata via dalle mani. Ai ragazzi che si trovano nella sua situazione dico: ascoltate i tecnici, i medici che vi seguono, loro sanno cosa devono fare. Ascoltateli. Micol aveva iniziato ad avere problemi con la droga poco più che adolescente. Compagnie sbagliate e mille traversie, studi abbandonati e che ora voleva riprendere. Era come riprendere a vivere da prima dell'uso di droga. Certi momenti della sua vita sono stati un calvario, ma aveva trovato la forza di ricominciare». Aggiunge il padre: «Micol ha sempre avuto lo spirito della crocerossina e doveva correre in aiuto a tutti, anche a chi non le era veramente amico. Negli ultimi tempi era in cura per stabilizzare l'umore e per riequilibrare il sonno. Per questo era seguita in maniera stretta dai medici. Nonostante ciò ha detto che doveva aiutare alcuni amici che avevano problemi di droga, Ci aveva spiegato che in particolare Nicola, un avvocato, le era stato vicino quando i problemi li aveva lei. Anche giovedì sera era da lui per questo motivo».L'ultima a parlarle è stata la mamma. Racconta la signora Rosalba: «Volevamo che rientrasse a casa. L'ultima volta l'ho chiamata al telefono alle 23.30. L'ho sentita tranquilla e sorridente. Mi ha detto salutandomi: stai tranquilla, chiamami domani mattina alle 9. Così ho fatto. Ho telefonato diverse volte alle 9, ma anche alle 10 e altre mille volte. Ma nessuno ha mai risposto al telefonino e al fisso. Solo alle 13.30 al numero di casa quel Nicola ha risposto e mi ha detto: stia tranquilla signora Micol è uscita per andare a comprare un pacchetto di sigarette. Quando rientra la chiamerà. Micol era già morta, in quella casa, da dieci ore come ha stabilito il medico legale intervenuto. Poi non lo abbiamo più sentito. È sparito nel nulla».Oggi sul corpo di Micol ci sarà l'autopsia. Per capire esattamente le cause della morte della donna bisognerà attendere l'esito degli esami tossicologici. Questo anche se il medico intervenuto ha scritto nel certificato dci morte: decesso da sospetta overdose. Il caso di Micol Camuffo ha fatto tornare alta l'attenzione dell'opinione pubblica sull'emergenza droga.Un'autentica piaga che sta mietendo, anche in questo inizio d'anno, una serie di vittime giovani e meno giovani. Veneziana, trentaseienne, Micol è stata trovata senza vita nell'appartamento di Venezia che condivideva con un amico nel primo pomeriggio di venerdì. La donna era stata protagonista appena dieci giorni fa di un video, diventato virale sul web, che le era costato una denuncia per atti osceni in luogo pubblico. Era stata ripresa da un telefonino mentre consumava un amplesso sotto il ponte di Calatrava. Erano arrivati i vigili urbani ed era scattata la denuncia. Ma prima di lei, in appena venti giorni, erano state altre tre le vittime legate al mondo della droga: quelle di Daniele Tribos, Matteo Doria e Sebastien Rosan. Il capogruppo del Pd, Monica Sambo, contesta il sindaco Luigi Brugnaro sul tema del record di overdose a Mestre. «È curioso - spiega Sambo - che questa Giunta non capisca dove stia sbagliando. Governano la Città da quattro anni e la situazione è peggiorata. Al massimo investimento in controllo e repressione, corrisponde il picco dei morti di overdose e dell'aumento dello spaccio e delle situazioni di degrado. In poche parole il Sindaco sta completamente fallendo. E' evidente che Brugnaro non è riuscito ad intervenire in modo incisivo, avendo sbagliato completamente la ricetta. Venezia, per anni, è stata un modello per tutta Italia per l'organizzazione dei propri servizi sociali, riuscendo a governare e fronteggiare il fenomeno, anche grazie agli innovativi servizi "di

  • strada", di prevenzione e riduzione del danno. Il modello Venezia però è stato in parte eliminato dalla Giunta Brugnaro. Gli effetti si vedono». Pag 28 Rissa tra senzatetto, arriva la Polizia In via Querini Si prendono a bottigliate fuori dalla mensa di via Querini. L'episodio ieri sera, poco prima dell'orario di cena. Alcune persone che frequentano la mensa dei poveri di Ca' Letizia, in pieno centro a Mestre, e che stavano attendendo di entrare per mangiare, hanno iniziato a litigare.L'atmosfera si è surriscaldata e sono volate bottiglie, tanto che è stato necessario l'intervento della polizia municipale per sedare gli animi e del 118 per medicare chi si era fatto male. Non è il primo caso che si verifica, né la prima rissa, tanto che in più di un'occasione gli abitanti stufi e stanchi della "clientela" abituale, e spesso alticcia, che staziona in via Querini, hanno chiesto il definitivo spostamento della mensa, al quale si è fortemente opposto però il Patriarca, Francesco Moraglia. La tensione, però, si taglia con il coltello, perché chi abita nei paraggi, non ne può davvero più. Ieri l'intervento delle forze dell'ordine è stato massiccio. IL GAZZETTINO DI VENEZIA Pag II Eraclea rialza la testa: “Dei casalesi si sapeva” di Giuseppe Babbo All’incontro pubblico diversi esponenti della comunità e delle associazioni sono usciti allo scoperto: “Siamo rimasti in silenzio per vent’anni, ora basta” «Non si poteva non sapere. Queste persone abitavano nel nostro territorio da molti anni». Eraclea rompe il silenzio. Ad un mese di distanza dal terremoto giudiziario che ha portato all'arresto del sindaco Mirco Mestre e di altre 49 persone, la comunità prova a reagire. Soprattutto per evidenziare la presenza nel territorio di gruppi legati alla criminalità organizzata. È l'effetto dell'incontro pubblico di ieri pomeriggio nel centro civico di Ca' Manetti, con i componenti della Commissione parlamentare antimafia, ovvero il capogruppo del Partito democratico in commissione antimafia, Franco Mirabelli, accompagnato dagli onorevoli Nicola Pellicani e Teresa Bellanova. Con loro l'ex sindaco Giorgio Talon e altri esponenti del Pd regionale, ma anche i rappresentanti delle principali associazioni di categoria, dei sindacati e del mondo del volontariato. Ma soprattutto tanti cittadini comuni, che hanno ribadito come il fenomeno mafioso a Eraclea fosse conosciuto e al tempo stesso ignorato. LO SCHIAFFO - Quasi uno schiaffo a quanto detto da molti in questi ultimi 30 giorni. Compresa l'attuale maggioranza, in sala rappresentata dagli assessori Patrizia Furlan e Michela Vettore. Ma anche un richiamo a quanto ribadito dal giudice del Tribunale del riesame che ha sostenuto come il sindaco dimissionario Mirco Mestre non potesse non conoscere i Casalesi. E in mezzo a chi ha rimarcato la presenza della mafia, c'è stato anche chi ha urlato la propria rabbia contro la maggioranza per non essersi dimessa dopo quanto successo. «In questa vicenda è mancata anche l'etica politica - ha detto il medico Renzo Baccichetto . Non possono esistere legami tra gruppi criminali e la comunità, compreso chi amministra». Ancora più dure le parole di Rosanna Pasqual, presidente del circolo Auser: «Siamo rimasti in silenzio per vent'anni ha commentato mentre queste persone si sono inserite nel nostro territorio. I loro figli andavano a scuola con i nostri e tutti abbiamo visto i furgoni, con bordo gli operai provenienti da Caserta, arrivare il lunedì e ripartire il venerdì. Di fronte a queste situazioni siamo rimasti indifferenti, ora dobbiamo essere i primi controllori del territorio». Di fuoco, le parole di una signora che dal pubblico ha preso la parola con veemenza: «Davvero nessuno si era accordo di nulla? Eppure, la mafia si vedeva ovunque. Prima non si poteva dire nulla, ora dobbiamo reagire». IL SACERDOTE E L'ARTIGIANO - A sottolineare la presenza della mafia nel litorale è stato anche don Giorgio Scatto, parroco nella comunità del Marango. «Nel 2016 quando ho scritto che nel nostro territorio esiste la mafia ha spiegato sono stato rimproverato da altri sacerdoti, secondo i quali esiste solo la delinquenza che però è un'altra cosa. Ora dobbiamo intraprendere un percorso di educazione alla legalità». A sostenerlo un Osservatorio contro le mafie, per esempio quello che verrà riattivato a Dolo, come ha sottolineato il giornalista Maurizio Dianese: «Da anni i giornali raccontano di queste

  • situazioni - ha detto . L'Osservatorio sarà utile per mettere un faro su queste vicende». A ribadire l'importanza di una nuova consapevolezza è anche Loris Pancino, segretario provinciale Cna: «Le aziende non vanno lasciate sole di fronte a simili situazioni, noi abbiamo aperto uno sportello specifico». Maurizio Billotto, presidente di Legambiente Veneto Orientale, ha ribadito l'importanza di una nuova etica anche imprenditoriale: «Abbiamo calcolato che da Bibione a Porte Tolle negli ultimi vent'anni abbiamo perso 11 chilometri di costa con nuove cementificazioni. Sono fenomeni che attirano certe organizzazioni, alle quali dobbiamo trovare la forza di opporci. Prima di tutto ricordandoci che esiste lo Stato». Pag IV Show in chiesa, la parola ora passa agli avvocati di d.gh. Venezia. Slitta a oggi l'annunciata inchiesta del consiglio di amministrazione dell'Ire sulla sfilata di moda di abiti nuziali e la celebrazione di un matrimonio con un finto prete all'inaugurazione della 24esima edizione di Sposarsi a Venezia con Noi, la rassegna dedicata al Pianeta Sposi, ospitata quest'anno nel complesso dell'Ospedaletto (la chiesa di Santa Maria dei derelitti, il cortile delle Quattro stagioni, la scala dei Sardi e la Sala della Musica). Un'inchiesta auspicata dalla dirigenza dell'Ire ma anche dal Patriarcato che sabato, in un comunicato, ha duramente condannato «l'inaccettabile uso deliberatamente commerciale che ne è stato fatto, con l'intervento oltretutto di un finto sacerdote in vesti liturgiche». Uso irrispettoso e gravemente lesivo della santità del luogo, nonché oltraggioso della fede e della sensibilità religiosa dei veneziani e della città, tanto da configurare un vero e proprio caso di profanazione. Si guarderanno in particolare lo scambio di email e il piano di produzione per verificare i fatti, preludio ad eventuali cause a tutela dell'immagine dell'Ire: gli organizzatori non avrebbero illustrato in modo dettagliato cosa avrebbero fatto, ma avevano ricevuto delucidazioni sulla sacralità del luogo che andava rispettata. Di solito è la Fondazione Venezia servizi alla persona, che gestisce l'utilizzo della chiesa consacrata e pertanto soggetta al diritto canonico, a chiedere l'autorizzazione della Curia. In questo caso il compito era stato lasciato agli organizzatori dell'evento che invece ora rimpallano la responsabilità alla fondazione. Di certo è che l'utilizzo effettuato va contro le disposizioni del patriarca Francesco Moraglia che nei mesi scorsi è più volte intervenuto per promuovere un uso delle chiese non più destinate al culto rispettoso delle sacralità dei luoghi e delle funzioni svolte, come mostre, concerti, incontri legati alla spiritualità. La vicenda intanto andrà per vie legali: l'ideatore dell'evento, Wladimiro Speranzoni ieri ha consultato un avvocato. E lo stesso ha fatto l'Ire. Gli organizzatori delFashion Show & Charity Event, Speranzoni e Donatella Mola, negano inoltre ogni responsabilità sul rito dello sposalizio celebrato dal finto prete, vestito con casula liturgica. Da parte sua l'attore Fabio Moresco preferisce non commentare la vicenda, limitandosi a dire che era lì per beneficienza: nel corso della serata sono stati raccolti 3 mila euro, destinati a Fondazione Città della Speranza e a Fondazione Lene Thun per attività per bambini malati. Pag XI Cristiani e islamici: “A chi semina odio offriamo fraternità” di gi.gim. Incontro alla Cita dopo l’attentato in Nuova Zelanda «A chi semina odio, rispondiamo seminando fraternità». Cristiani e musulmani di Marghera, domenica pomeriggio, hanno deciso di incontrarsi per elaborare un comunicato dopo le stragi messe a segno, venerdì, nelle moschee di Christchurch in Nuova Zelanda. «Se oggi condividiamo dolore, sgomento e preoccupazione, in realtà si legge nella nota scritta da Taher Khan, rappresentante della Comunità islamica della Cita e da don Nandino Capovilla, parroco della Resurrezione del popoloso rione - ciò che è più forte in tutti noi è la consapevolezza che seminando dialogo si raccoglierà un bene moltiplicato per tutti». Dialogo che continua, da anni, senza sosta, a Marghera dove sono continue le «belle esperienze di dialogo tra cittadini di fede cristiana e islamica di cui nessuno parla». «La nostra presa di posizione nasce si legge ancora nel comunicato - dal constatare che, quando si semina odio, si raccoglie solo un'escalation di odio, mentre quando si seminano rispetto, convivenza e fraternità, si vedrà fiorire una convivenza serena nella fiducia reciproca. Se stragi come quella di Christchurch sono solo episodi, non crediamo sia certamente marginale e residuale, come affermato dal ministro

  • dell'Interno, il clima d'odio che si diffonde a macchia d'olio in tutti gli ambienti della nostra città. Prendiamo la parola nel giorno in cui la comunità cristiana della Cita e quella islamica dello stesso quartiere, sono unite nel condannare non solo stragi come questa, ma ogni espressione e gesto di intolleranza verso chi professa la fede musulmana. Insomma, non bastano le parole di condanna: ci vuole un impegno di incontro e conoscenza. Non basta augurarci che non si ripeta: ci vuole un sempre più convinto seminare fraternità». Pag XI Botte tra barboni in mensa a Ca’ Letizia Mestre. Fanno a botte alla mensa dei poveri, un ferito. Serata movimentata quella di ieri, nella mensa di Ca’ Letizia in via Querini. A un certo punto è scoppiata una lite tra un paio di ospiti, passati quasi subito dalle offese alle mani. Sul posto sono arrivati gli agenti della Polizia municipale che hanno riportato la calma tra i due barboni, di cui uno è rimasto ferito. É probabile che, come avvenuto in passato in casi simili, per i litiganti scatti ora l’“espulsione” dalla mensa. Pag XIII Piantato un albero di pesco per ricordare suor Armanda di l.gia. In ricordo di suor Armanda la piantumazione di un albero di pesco seguito dal tradizionale e suggestivo lancio di palloncini colorati. A dieci anni dalla scomparsa di suor Armanda, al secolo Anna Bravi, per più di trent'anni insegnante e direttrice della scuola San Domenico Savio di Oriago, l'associazione che porta il suo nome insieme alla Fondazione Giovanni Paolo I hanno organizzato una serie di iniziative per ricordarla. Nella chiesa di S. Maria Maddalena don Carlo Gusso, i ragazzi e gli insegnanti della scuola, hanno ricordato la religiosa, il suo amore e la sua dedizione per i bambini, l'attenzione per gli ultimi e per la famiglia bisognose. Nella sala mensa della scuola è stata posta l'effige di suor Armanda mentre alla presenza del sindaco Marco Dori, dell'assessore Francesco Sacco, dei numerosi fratelli di suor Armanda, di don Carlo e don Cristiano Bobbo e del presidente dell'associazione Ugo Semenzato è stato piantato un albero di pesco. Il sindaco Dori ha ricordato con affetto il legame personale che lo lega a suor Armanda avendola avuta come insegnante. La cerimonia si è conclusa con un suggestivo lancio di oltre 100 palloncini colorati in cielo ai quali erano stati attaccati altrettante letterine dei bambini della scuola. Gli appuntamenti per ricordare una delle figure più care e rappresentative di Oriago continuano oggi alle 20.30 nella chiesa S. Maria Maddalena con il concerto per Un'amica che vive con l'esibizione dell'orchestra Tutto d'un fiato del Brass quintet mentre mercoledì 20 marzo si svolgerà un viaggio a Cerro di Bottanuco (Bergamo) paese natale di Suor Armanda con visita alle suore a Colognola e al Santuario della Madonna del Bosco. CORRIERE DEL VENETO Pag 8 La chiesetta di inizio ‘900 diventa una… rotatoria di Andrea Rossi Tonon Jesolo, per risolvere il traffico dell’incrocio è stata costruita la rotonda dove c’è l’oratorio Jesolo. Il cuore di Ca’ Pirami pulsa nel bel mezzo di una rotatoria nuova di zecca. Tra gli interventi di urbanizzazione realizzati di recente nella piccola frazione di Jesolo uno riguarda l’incrocio a raso che innestava via Pirami in via San Marco e dove ora ha preso forma una rotonda su cui sboccherà anche la nuova via Gelsomino. In mezzo, ma letteralmente in mezzo, c’è l’oratorio di Sant’Antonio Abate, inglobato nella rotonda, tanto che chi vuole accedere nella chiesetta deve fare lo slalom tra le auto. Un incrocio particolare che ha attirato l’attenzione di molti e rispetto al quale alcuni automobilisti hanno sollevato il dubbio che possa rappresentare un pericolo, tanto più che i clienti dei vicini bar e pizzeria, nelle ultime settimane, hanno iniziato a parcheggiare nel poco spazio pavimentato che circonda l’edificio sacro, in centro alla rotatoria. «Tutti i rilievi sono stati fatti e i permessi sono in regola», assicura l’assessore comunale Otello Bergamo, che spiega come i lavori siano ancora in corso e come a proporre quella soluzione inusuale sia stato un folto gruppo di residenti riunito nel Comitato Ca’ Pirami. «E’ un progetto di oltre dieci anni fa, pensato quando si lavorò alla lottizzazione - spiega il presidente del comitato Fabio Gerotto –. All’epoca c’erano state diverse idee e poi si è

  • optato per questa, di certo non si poteva spostare la chiesa». Rispetto al tema della sicurezza Gerotto assicura che saranno sistemate alcune fioriere per impedire il parcheggio selvaggio e l’individuazioni di soluzioni per la sicurezza di chi circola oltre alla realizzazione di un passaggio pedonale. La facciata dell’oratorio risale al 1918 mentre il resto della struttura, a navata unica, ha mezzo secolo. Si tratta quindi di un edificio storico a cui i residenti sono particolarmente legati, come conferma don Gianni Fassina: «È un luogo identitario, un segno importante di religiosità a cui le persone sono molto affezionate – spiega – Pochi anni fa hanno raccolto dei fondi per restaurarlo, dimostrando un grande amore». L’oratorio viene utilizzato solo a maggio per il rosario e il 17 gennaio in occasione dei festeggiamenti di Sant’Antonio Abate, santo patrono delle campagne: «In entrambe le occasioni sono presenti le forze dell’ordine a garantire la sicurezza – conclude il parroco –. Credo che nessuno correrà dei pericoli». Pag 10 Aumentata la sorveglianza in tutti i luoghi di culto e preghiera di gi.co. Chiese e moschee contro il rischio terrorismo Mestre. Le moschee, i centri culturali islamici che si trasformano all’occorrenza in luoghi di preghiera, ma anche le chiese cattoliche, perché se da una parte c’è il rischio dell’emulazione, dall’altra non è possibile neppure escludere la possibilità che qualche squilibrato voglia mettere in atto qualche forma di ritorsione. La tragedia di Christchurch, in Nuova Zelanda, dove una cellula di suprematisti bianchi ha ucciso cinquanta fedeli musulmani facendo fuoco contro due moschee, riecheggia anche nel Veneziano. Il prefetto Vittorio Zappalorto nelle scorse ore ha disposto l’aumento della sorveglianza in diversi luoghi di culto della provincia. Come detto, sono sorvegliati speciali tutti i punti di ritrovo della comunità musulmana – nel veneziano non esistono vere e proprie moschee, solo centri culturali adibiti a spazio di preghiera – ma anche le chiese di confessione cattolica, nell’ipotesi della «vendetta». Attenzione per entrambe le parti, insomma, visto che come è apparso chiaro in questi anni la nuova guerra del terrore si alimenta proprio dell’effetto emulazione. Poco più di un anno fa, a febbraio 2018, le forze dell’ordine lagunari hanno intercettato e arrestato quattro cittadini di origine kosovara che progettavano un attacco nel cuore di Venezia durante il Carnevale. Oggi in aula bunker il processo d’appello. Torna al sommario 8 – VENETO / NORDEST LA REPUBBLICA Pag 12 Verona, le associazioni cattoliche bocciano la famiglia sovranista di Paolo Rodari Dagli oratori alle Acli no al raduno: si teme la strumentalizzazione della Lega Roma. Ufficialmente non è stato ancora comunicato nulla. Ma è ormai certo che al Congresso Mondiale delle Famiglie in programma a Verona (dal 29 al 31 marzo) non ci sarà l'associazione più importante del mondo cattolico che lavora col preciso obiettivo di portare all'attenzione del dibattito culturale e politico italiano la famiglia come soggetto sociale, ovvero il Forum delle Associazioni Familiari guidato da Gigi De Palo. Il Forum raccoglie 47 associazioni e 18 Forum regionali che a loro volta sono composti da Forum locali e da 564 associazioni, per un giro complessivo di circa quattro milioni di famiglie e circa 12 milioni di persone. Ne fanno parte, fra gli altri, Azione Cattolica, Acli, Coldiretti, Rinnovamento nello Spirito, i movimenti degli oratori e dei circoli parrocchiali. Le ragioni del "no" a Verona sono principalmente di opportunità politica: il rischio che il Congresso sia strumentalizzato dalla Lega e dai partiti della destra è una realtà che almeno in via ufficiale il Forum non vuole correre. Ad oggi la Conferenza episcopale italiana non ha ancora detto nulla. Ma non è escluso che nei prossimi giorni da via Aurelia esca una voce in merito. La sensazione è che l'importante marcatura «sovranista» del Congresso - a Verona saranno presenti, tra gli altri, il presidente della Moldavia, Igor Dodon, l'ambasciatore dell'Ungheria presso la Santa Sede, Eduard Hasdsburg-Lothringen, il ministro della famiglia dell'Ungheria, Katalin Novak, l'ambasciatore polacco in Italia,

  • Konrad Glebocki - spaventi i vertici della Chiesa italiana i quali, infatti, finora hanno scelto un profilo basso e la strada del silenzio. Di certo la presenza di Matteo Salvini - con lui il ministro della famiglia Lorenzo Fontana, quello dell'istruzione Marco Bussetti e il governatore del Veneto Luca Zaia - non aiuta i presuli ad esporsi, anche per il rischio più che reale che il Congresso veronese sia trasformato, come ha scritto settimana scorsa non a caso anche Avvenire, «in una passerella del Carroccio». La presenza massiccia di leader sovranisti dell' Est europeo non era stata un problema un anno fa quando all'evento moldavo di Chisinau era intervenuto direttamente il segretario di Stato vaticano Pietro Parolin. Tuttavia, seppure non sia escluso che un esponente della Santa Sede sia presente, oggi c'è preoccupazione nelle gerarchie anche per l'incognita relativa all'impegno finanziario della stessa organizzazione dell' evento. Alcune voci hanno parlato del fatto che risorse cospicue sarebbero state promesse dall'internazionale sovranista dell'Est. Anche se Toni Brandi, organizzatore dell'evento, ha spiegato che gli oneri più impegnativi, circa 200mila euro, arrivano da un benefattore che ha attinto dai suoi risparmi personali. Di chi si tratta esattamente? «Non posso dirlo», ha detto Brandi «perché nel Vangelo si legge "non sappia la tua destra quello che fa la sinistra". E poi questo benefattore ha chiesto l'anonimato». L'uso del Vangelo per giustificare la propria azione politica è una costante nella Lega di Salvini che più volte, non a caso, cita «san Giovanni Paolo II» in contrapposizione al pontificato in corso e per giustificare le proprie prese di posizione. Sono uscite che infastidiscono non poco buona parte dei vescovi. La Chiesa locale, in ogni caso, pare possa essere presente con il vescovo Giuseppe Zenti che più volte ha difeso la Lega di Luca Zaia «perché più moderata di quella di Salvini». Le ragioni della sua presenza sarebbero tuttavia legate più al fatto che alla kermesse vi partecipa Ignazio Giuseppe III, patriarca della Chiesa Cattolica sira, che ad altro. CORRIERE DEL VENETO Pag 4 Congresso delle famiglie: bufera e denunce di Angiola Petronio Verona. «Bene ha fatto il dipartimento di Scienze Umane, con altri docenti, ricercatrici e ricercatori di ateneo a sottolineare come le tematiche proposte nel convegno e le posizioni degli organizzatori siano, a oggi, prive di fondamento e non validate dalla comunità scientifica internazionale». A tacciare di «empirismo» il XIII Congresso mondiale delle Famiglie che si terrà a Verona a fine marzo è il rettore dell’università scaligera, Nicola Sartor che si è riferito a una raccolta di firme fatta in ateneo contro la kermesse pro-family. «Per questo - ha spiegato Sartor - ho declinato la richiesta di utilizzo di spazi universitari per ospitare l’evento». Evento che anche ieri ha sollevato una ridda di polemiche, tra detrattori e sostenitori. E che ha rinfocolato l’ennesima lite nel governo gialloverde. Tra i primi in «cattedra» è tornato il vicepremier dei 5 Stelle Luigi Di Maio, che dopo aver bollato come «medioevo» il raduno mondiale si è lasciato andare a un «la famiglia è sacra, come è sacra la libertà delle donne. Mai nessun esponente dei Cinque Stelle sarà presente a questi convegni di chi dice che la donna deve stare a casa e di negazionisti del femminicidio». Un anatema che ha fatto infuriare gli organizzatori. «Di Maio - hanno risposto Antonio Brandi e Jacopo Coghe, rispettivamente presidente e vicepresidente del congresso veronese - ha scelto la poltrona comoda della casta e di offendere le famiglie. Le sue affermazioni sono da querela. È solo fango. Noi non vogliamo obbligare la donna a lavare e stirare...». A far da contraltare a Di Maio l’altro vicepremier, vale a dire il leghista Matteo Salvini che ha confermato la sua venuta a Verona. «Strano - ha detto - che parlare di famiglia susciti polemiche. Io voglio sostenere chi mette al mondo dei figli, perché le culle sono vuote... Poi se ci sono due uomini o due donne che si vogliono bene, evviva. Lo Stato non deve entrare nelle camere da letto». Ma a non condividere la sua posizione è il sottosegretario del suo ministero. Quel Carlo Sibilia, firmamento Cinque Stelle, che ha ribadito che «non si può ritornare a pensare alla famiglia come nel Medioevo». Gli organizzatori hanno incassato anche il sostegno del deputato di Forza Italia Luca Squeri secondo cui la famiglia tradizionale non può «essere un bersaglio per l’impeto censorio del politicamente corretto». «Impeto» che ieri è stato un fiume in piena. A rispondere a Salvini è stata l’onorevole Alessia Rotta, veronese e vicepresidente vicaria dei deputati Pd che ha attaccato anche il M5S «reo» di «fingere solamente di opporsi... Il congresso delle famiglie rappresenta un manifesto programmatico pericoloso da cui non possono

  • che uscire rafforzate le tesi misogine, omofobe, discriminatorie e di compressione dei diritti e della libertà individuali proposte dai relatori». Con qualcuno che escogita nuove forme di protesta. Con le Famiglie Arcobaleno che hanno deciso di non accettare inviti a talk show sul tema. «Il congresso di Verona è una vergogna che combatteremo in piazza il 30 marzo», ha dichiarato la presidente Marilena Grassadonia. Mentre il capogruppo Pd in consiglio comunale a Verona, Federico Benini ha reso «tangibile» la sua contrarietà. Da ieri e per tutti i giorni a venire fino al convegno, indosserà una maglietta bianca con disegnati due uomini che si tengono la mano. Con tanto di istruzioni per chi vuole seguirne l’esempio: «Dimostriamo a tutti che Verona non è omofoba e sessista. Invito tutti a seguirmi. Prendete un lenzuolo, una maglietta bianca, un asciugamano. Quello che volete. Con un indelebile nero, fate il mio stesso disegnino (è semplice pure per me che sono una frana). Appendete lenzuoli e bandiere sul davanzale o indossate le vostre magliette per strada. Facciamoci vedere». Ed è nato l’hastag #manonellamano. Torna al sommario … ed inoltre oggi segnaliamo… CORRIERE DELLA SERA Pag 1 Un Paese incerto non cresce di Federico Fubini Immaginate due linee che si intersecano e poi procedono in direzioni opposte. La prima sale, l’altra scende. Una rappresenta l’incertezza, l’altra lo stato di salute dell’economia. Entrambe le linee riguardano l’Italia e più quella dell’incertezza continua ad avanzare verso l’alto, più l’altra linea - quella che misura il reddito degli italiani - scivola in basso. Le due linee si muovono in modo uguale e contrario: come una va su, l’altra allo stesso tempo va giù. In altri termini l’economia non ce la fa proprio a crescere se chi deve comprare un macchinario per l’azienda, decidere di assumere un dipendente o acquistare un mobile per casa non riesce a capire poche cose fondamentali: quante tasse dovrà pagare tra qualche mese, quanto saranno cari gli interessi sul debito pubblico e dunque anche sul suo prestito in banca, chi starà seduto ai banchi del governo tra sei mesi. In quella intersezione fra la linea dell’incertezza e quella della crescita è racchiuso ciò che l’Italia sta diventando oggi, agli occhi dei suoi abitanti e del resto del mondo. Tutti i mesi migliaia di investitori che devono decidere se impegnare parte del loro denaro nel debito di Roma, in un’impresa esportatrice del Nord-Est o in un progetto turistico in Sicilia consultano proprio quell’indice dell’incertezza. Ne esiste uno relativo al sistema internazionale, uno sull’Europa e poi per tutte le principali economie del pianeta, Italia inclusa. Lo producono tre studiosi americani: Scott Ross Baker della Kellogg School of Management, Nick Bloom di Stanford e Steven Davis dell’Università di Chicago. In Europa spiccano due Paesi nei quali la misura dell’incertezza viaggia ai massimi o quasi, a significare che la nebbia sul futuro prossimo è fitta: la Gran Bretagna della Brexit e l’Italia. Guarda caso, hanno anche la crescita più bassa o sono in piena decrescita. Nel nostro Paese in dicembre il termometro della nebbia sulla politica economica era salito persino sopra i livelli di novembre 2016, alla vigilia del referendum di Matteo Renzi. Poi è sceso un po’, ma c’è francamente da dubitare che la distensione possa durare. Non passa settimana che le forze di governo non trovino argomenti per nuove liti. L’ultima proposta della Lega, una tassa «piatta» al 15% o al 20% per i lavoratori dipendenti ha il sapore di un’esperienza già provata: la campagna elettorale di un anno fa. Che la cosiddetta «Flat tax» per le famiglie costi sessanta miliardi di euro o cinque volte di meno, come sostiene la Lega, conta meno del fatto che solo per stabilizzare il deficit e il debito pubblico serviranno già 24 miliardi di nuove tasse o tagli di spesa tra pochi mesi. Prima ancora di pensare di spenderne altre decine in promesse fiscali al maggior numero possibile di elettori. Il sapore decisamente elettorale di quest’idea per ora non può che far salire ancora la linea dell’incertezza, con nuove ripercussioni sulla quella della crescita. Non è un buon momento per farlo. Anche a livello globale proprio il termometro dell’incertezza è vicino ai massimi da più di vent’anni proprio a causa della Brexit, dei venti di guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina e del rischio che la Casa Bianca di Donald Trump trascini anche l’Unione europea in un conflitto a colpi di dazi. Sempre per restare alle classifiche globali, secondo Global

  • Trade Alert l’Italia con la sua vocazione manifatturiera è il terzo Paese più danneggiato al mondo dalle misure protezioniste di altri governi. Abbiamo da perdere più che quasi chiunque altro da una spirale di ritorsioni commerciali fra Washington, Pechino e Bruxelles. Non è certo il momento di farci male da soli con una campagna elettorale permanente fatta di promesse improbabili. L’altro giorno a Londra City, la grande banca americana, ha tenuto un evento con trecento investitori così grandi da pesare molto sul mercato. Si è parlato di Italia a lungo. Alla fine si è tenuto un sondaggio fra i presenti: il 53% pensa che a fine anno lo spread fra titoli tedeschi e italiani – cioè il costo del nostro debito – sarà ancora intorno ai livelli attuali (che sono decisamente troppo alti), il 36% prevede che salirà ancora di più e solo l’11% si aspetta un miglioramento. Tutto ciò non fa che dirci che, come italiani, dovremmo vedere le scelte nella vita pubblica con la maturità con cui prendiamo le nostre decisioni personali. Nella vita privata sappiamo benissimo che non esistono soluzioni magiche, ma solo compromessi, qualche sacrificio e tanto realismo per migliorare le cose poco a poco. Non c’è ragione, come elettori, di credere in qualcosa di diver