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45 RAPPRESENTAZIONE E DISEGNO La percezione visiva Obiettivi della visione • Ricca comprensione di ciò che è nel mondo • Localizzazione degli oggetti • Come gli oggetti cambiano nel tempo • Conseguenze per un sistema: Capacità di riconoscere e manipolare gli oggetti Capacità di interagire fisicamente con l’ambiente Input al processo visivo: l’occhio • Raccoglie la luce dagli oggetti nella scena e crea un’immagine 2-D • Occhio umano o del robot: lente + retina – lente (o foro): focalizza la luce da più punti della scena sulla retina – retina = sistema di elementi fotosensibili che converte la configurazione di luce in impulsi elettrici Output del processo visivo • Rappresentazione della scena 3D • Mappa della scena – Posizione sistema VS posizione oggetti della scena – Posizione relativa degli oggetti • Colori, forme, composizione • Rappresentazione cinematica della scena • Identificazione di oggetti noti e meno noti Conclusioni La visione costruisce un modello del mondo a partire dalle configurazioni di luce sulla retina Rapporto figura-sfondo L'occhio riceve lo stimolo esterno luminoso che, passando attraverso il cristallino, forma sulla retina l'immagine capovolta. Poi, tramite il nervo ottico, l'immagine passa al cervello che la elabora, capovolgendola ancora. Gli stimoli sensoriali, che arrivano sulla retina e determinano il campo visivo, vengono elaborati dal cervello: cosa ci permette di individuare e distinguere i vari oggetti nell'insieme degli stimoli stessi? Vedere e distinguere gli oggetti significa organizzare una parte del campo visivo, separata da contorni, come figura in primo piano e spostare il resto in secondo piano, considerato come sfondo. Un ruolo molto importante è svolto dai margini: infatti essi hanno una "funzione unilaterale", servono cioè a delimitare solo quelle parti del campo visivo che hanno carattere di figura, mentre la zona interfigurale, che assume fenomenicamente carattere di sfondo, è priva di forma: non ha cioè margini chiarimenti distinti. Nelle figure è affrontato il fenomeno appena esposto che può essere determinato da diversi fattori visivi, ecco alcuni esempi: il contrasto dei contorni concavi e convessi

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RAPPRESENTAZIONE E DISEGNO

La percezione visiva Obiettivi della visione • Ricca comprensione di ciò che è nel mondo • Localizzazione degli oggetti • Come gli oggetti cambiano nel tempo • Conseguenze per un sistema:

– Capacità di riconoscere e manipolare gli oggetti – Capacità di interagire fisicamente con l’ambiente –

Input al processo visivo: l’occhio • Raccoglie la luce dagli oggetti nella scena e crea un’immagine 2-D • Occhio umano o del robot: lente + retina – lente (o foro): focalizza la luce da più punti della scena sulla retina – retina = sistema di elementi fotosensibili che converte la configurazione di luce in impulsi elettrici Output del processo visivo • Rappresentazione della scena 3D • Mappa della scena – Posizione sistema VS posizione oggetti della scena – Posizione relativa degli oggetti • Colori, forme, composizione • Rappresentazione cinematica della scena • Identificazione di oggetti noti e meno noti Conclusioni La visione costruisce un modello del mondo a partire dalle configurazioni di luce sulla retina Rapporto figura-sfondo

L'occhio riceve lo stimolo esterno luminoso che, passando attraverso il cristallino, forma sulla retina l'immagine capovolta. Poi, tramite il nervo ottico, l'immagine passa al cervello che la elabora, capovolgendola ancora. Gli stimoli sensoriali, che arrivano sulla retina e determinano il campo visivo, vengono elaborati dal cervello: cosa ci permette di individuare e distinguere i vari oggetti nell'insieme degli stimoli stessi? Vedere e distinguere gli oggetti significa organizzare una parte del campo visivo, separata da contorni, come figura in primo piano e spostare il resto in secondo piano, considerato come sfondo. Un ruolo molto importante è svolto dai margini: infatti essi hanno una "funzione unilaterale", servono cioè a delimitare solo quelle parti del campo visivo che hanno carattere di figura, mentre la zona interfigurale, che assume fenomenicamente carattere di sfondo, è priva di forma: non ha cioè margini chiarimenti distinti. Nelle figure è affrontato il fenomeno appena esposto che può essere determinato da diversi fattori visivi, ecco alcuni esempi:

il contrasto dei contorni concavi e convessi

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il contrasto dei colori

la grandezza delle figure (che porta a considerare la zona più piccola come figura)

le parti più vicine (che tendono a raggrupparsi)

l'orientamento spaziale (tende ad essere "figura" la zona del campo i cui gli assi coincidono con le direzioni principali dello spazio: la verticale e la orizzontale) Quando non agiscono delle condizioni che regolano il rapporto figura-sfondo, privilegiando una parte del campo visivo sulle altre, entra in campo la soggettività dell'osservatore.

Il disegno e il linguaggio grafico Il disegno è una forma di comunicazione non verbale che si esprime mediante segni grafico-pittorici in virtù del significato del segno stesso o delle convenzioni che ad esso vengono attribuite. Il disegno è un linguaggio: un oggetto qualsiasi lascia un segno su una superficie; un uomo preistorico copre la roccia con graffiti; un bambino col gesso traccia segni sul muro; Archimede disegnava figure sulla sabbia e si lasciava uccidere per non interrompere il lavoro; centinaia di disegnatori riempiono tavole con il progetto di oggetti che poi molti useranno oppure che non saranno mai realizzati; tecnici grafici con l’ausilio di elaboratori elettronici e stazioni grafiche producono immagini, le ruotano, le sezionano, le ombreggiano, le colorano. E l’elenco potrebbe continuare, perché il disegno è un mezzo di comunicazione istintivo ed immediato, usato dall’uomo fin dalla preistoria, prima ancora dell’invenzione della scrittura e dell’alfabeto. Che cosa significa disegnare Disegnare significa effettuare una lettura della realtà che ci circonda: quando disegniamo, con qualunque mezzo e per qualsiasi scopo, dobbiamo osservare attentamente, cercare di memorizzare e collegare ciò che abbiamo visto al movimento della nostra mano che traccia segni sul foglio. Ricorda che, prima che sul foglio, il disegno si deve formare nella tua mente: solo così potrai affermare di riuscire a vedere con il disegno. Inoltre con il disegno possiamo comunicare agli altri quello che la nostra mente ha elaborato: il disegno è cioè un linguaggio e come ogni linguaggio anche il disegno è basato su convenzioni e regole, su segni e simboli stabiliti da norme ed abitudini, tipiche di ogni epoca e cultura Certamente ti sarà capitato di sentir parlare di disegno geometrico, disegno tecnico, disegno dal vero ed altre classificazioni del genere, per cui avrai giustamente pensato che esistono molti tipi di disegno, diversi tra loro sia negli scopi che vogliono raggiungere sia nelle tecniche adoperate. In certi casi tra un tipo e l’altro di disegno ci sono poche cose in comune, cosicché si può essere esperti in disegno tecnico senza avere nessuna familiarità con il disegno artistico e viceversa. Altre volte, invece, per apprendere un certo tipo di disegno bisogna conoscerne altri: non è pensabile, ad esempio, eseguire i disegni tecnici senza sapere nulla del disegno geometrico; né è possibile riuscire a fare disegni geometrici se prima non hai acquisito una certa pratica nell’uso degli strumenti che ti servono per disegnare. Concludendo, esistono diversi tipi di disegno: il disegno a mano libera, il disegno strumentale, il disegno scientifico, il disegno prospettico, il disegno cartografico, il disegno progettuale, il disegno assonometrico, il disegno simbolico ed ognuno di loro ha un differente impiego. Disegno a mano libera = Per disegno a mano libera si intende un disegno rapido, fatto a penna o a matita, che serve a comunicare o a ricordare una forma, una funzione oppure a dare istruzioni; tale disegno prende comunemente il nome di schizzo. Disegno strumentale = Rientrano in questa categoria varie forme di disegno (costruzioni geometriche, rappresentazioni grafiche e disegno tecnico) che hanno in comune la caratteristica di essere eseguiti con strumenti tecnici idonei come riga, squadre, compasso, tecnigrafo, ecc. Disegno scientifico = Deve essere un disegno molto preciso ed accurato, adatto a rappresentare un oggetto, una pianta, un animale, ecc. senza pretese stilistiche o intenzioni estetiche, ma descrivendone con accuratezza le caratteristiche. E' il tipico disegno che troviamo nelle enciclopedie, nelle pubblicazioni scientifiche, nei libri di testo. Permette di visualizzare i concetti espressi a parole.

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Disegno prospettico = Il disegno prospettico, del quale esistono esempi prestigiosi in architettura, è tecnicamente e funzionalmente intermedio tra quello a mano libera o pittorico e quello strumentale o meccanico. Serve a rappresentare un oggetto tridimensionale in base a un determinato punto di vista, che dipende più da un criterio scientificamente elaborato che non da un’interpretazione personale ed artistica. Appare quindi dotato di tutte le distorsioni angolari e gli scorci con i quali l’occhio umano lo percepisce, ma gli angoli esatti, le dimensioni e le stesse distorsioni vengono determinati in base a processi matematici e non a semplici impressioni visive. Un disegno prospettico, anche se tracciato in base a criteri scientifici, può essere completato con linee colorate, effetti di chiaroscuro e vari dettagli nello stesso stile nel disegno a mano libera. In tal caso, si passa dalla categoria del disegno funzionale a quella del disegno artistico. Disegno cartografico = Già in uso fin dall'antichità come indispensabile aiuto per i naviganti, consiste nel rappresentare la superficie terrestre o una sua parte su un foglio di carta. A seconda delle dimensioni e della porzione di territorio raffigurata si hanno diversi tipi di carte che vengono classificate in base alla scala utilizzata. Si parte da quelle più particolareggiate, in scala fino a 1:10.000, che prendono il nome di mappe o piante e servono a rappresentare terreni o città e paesi. Le carte topografiche hanno una scala che varia da 1:10.000 a 1:200.000, sono le più usate e descrivono il terreno con le sue caratteristiche planimetriche (rilievi, avvallamenti, dirupi, ecc.) utilizzando le curve di livello o isoipse, cioè linee che uniscono tutti i punti situati alla stessa quota. Inoltre, per rendere maggiormente precisa la raffigurazione, attraverso opportuni simboli riportano le varie opere costruite dall'uomo (ponti,ferrovie, dighe, strade, case, chiese, gallerie, confini, ecc.). Pertanto per "leggere" una carta topografica occorre fare attenzione alla legenda dei simboli. Si passa poi a carte con scale sempre più piccole che consentono di rappresentare zone molto grandi della terra, come le corografiche o regionali, per proseguire con le carte geografiche e arrivare fino ai planisferi e mappamondi. In base ai fenomeni rappresentati avremo poi carte fisiche, politiche, economiche, storiche, ecc. Le carte nautiche hanno lo scopo di fornire indicazioni per la navigazione, come profondità dei fondali, scogli, boe, porti, zone pericolose, fari, ecc. In questi ultimi anni la cartografia si è avvalsa dell'utilizzo di riprese aeree o satellitari. Disegno progettuale = E' il tipico disegno eseguito su un tecnigrafo o col computer (CAD) molto usato nell'industria per progettare oggetti, costruzioni architettoniche, pezzi meccanici, ecc. Segue le regole delle proiezioni ortogonali (disegno in 2D), che presentano l'oggetto per mezzo di una o più figure perpendicolari dette viste, che possono variare, ma essenzialmente sono tre: vista di fronte o prospetto: profilo proiettato sul piano verticale; vista di lato o fianco : profilo proiettato sul piano laterale; vista dall'alto o pianta: profilo proiettato sul piano orizzontale. Questi disegni sono piatti, da eseguire con la massime precisione, sempre in scala e per lo più quotati, cioè con l'indicazione delle misure. Spesso viene aggiunta la raffigurazione dell'oggetto sezionato. Disegno assonometrico = E' usato per rappresentare forme architettoniche, mobili e pezzi di macchine spesso a completamento delle proiezioni ortogonali. L'oggetto è rappresentato con una visione d'insieme in un'unica figura; le linee che lo compongono non convergono verso punti di fuga (prospettiva), ma sono parallele tra loro secondo i tre parametri di larghezza, altezza e profondità. In tal modo l'osservatore percepisce il senso della tridimensionalità spaziale (3D). Esistono differenti tipi di assonometrie, più o meno semplici da realizzare; le principali sono: isometrica: visione equilibrata dell'oggetto simile a quella dell'uomo. cavaliera: visione frontale, con maggiore evidenza del prospetto. monometrica: visione dall'alto con maggiore evidenza della pianta. esplosa: visione dell'oggetto con gli elementi staccati. trasparente: visione contemporanea esterna ed interna dell'oggetto. Disegno simbolico = Appartengono a questa categoria i segnali stradali, i cartelli indicatori in genere, marchi di fabbrica e simboli. In questo caso, l’immagine non raffigura un oggetto in modo realistico o fotografico, ma in maniera stilizzata e allusiva per esprimere un concetto o comunicare velocemente delle indicazioni. Si tratta di un tipo di disegno sempre più diffuso, anche in ambito tecnico, ed è piatto, a sagoma rigida, con forme geometriche abbastanza regolari, spesso monocromatico e senza fronzoli né abbellimenti. La costruzione dei disegni simbolici risponde a precise leggi di comunicazione visiva.

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Computer Graphic = Insieme delle tecniche, degli strumenti matematici e dei programmi finalizzati alla realizzazione di grafica con un calcolatore elettronico, in particolare relativi alla visualizzazione di oggetti generati con l'ausilio del calcolatore e alla loro elaborazione. Tali tecniche, sviluppate a partire dagli anni '60 e strettamente correlate con quelle di creazione di modelli geometrici, servono come supporto per l'uso del calcolatore nel disegno industriale (CAD) e nella conseguente produzione tramite macchine a controllo numerico (CAM). Importanti applicazioni della Computer Graphic : _ realizzazione di dispositivi di simulazione (es. flight simulator per l'addestramento al volo); _ creazione di sistemi di previsione degli sviluppi futuri di un fenomeno; _ analisi visiva di dati sperimentali o statistici; _ produzione di filmati di animazione sostitutivi dei tradizionali metodi di disegno dei cartoni animati; _ creazioni artistiche (computer art). Realtà virtuale = La Realtà Virtuale è una evoluzione della Computer Graphic; consiste in una particolare tecnica di simulazione per cui lo sperimentatore, grazie a speciali dispositivi come guanti, tute, caschi con visore, dotati di sensori collegati ad un calcolatore elettronico, è in grado di "entrare" nel modello di ambiente simulato (o creato ex novo) e di interagire con esso. Le prime esperienze di Realtà Virtuale sono state condotte dalla N.A.S.A. e dalle forze armate degli U.S.A. In meno di un decennio varie agenzie formative ed educative se ne sono impadronite, per cui se ne avvalgono, tra l'altro, l'Architettura, la Medicina, la Storia, l'Archeologia. L' utilità maggiore della Realtà Virtuale è quella di consentire la creazione o l'esplorazione di situazioni non direttamente fruibili per costi, dimensioni o pericolosità o semplicemente per la diversa temporalità. Proporzionamento e ordini architettonici ORDINI ARCHITETTONICI Nell’architettura classica l’ordine architettonico è il sistema di norme destinate a regolare la composizione, in un sistema organico, di elementi architettonici; riguarda pertanto la disposizione degli elementi fondamentali di un organismo architettonico secondo precise norme stilistiche e proporzionali. Il concetto di ordine nacque con la civiltà greca nel periodo che va dal VI al III secolo a.C., dal momento in cui si pose l’esigenza di dare fondamento razionale all’architettura, determinando e misurando lo spazio attraverso l’uso di elementi codificati e ripetibili. Partendo dal sistema costruttivo di tipo trilitico utilizzato per la comune realizzazione degli edifici, la volontà di fissare nella pietra ciò che era già stato sperimentato nelle costruzioni in legno trovò una prima applicazione nell’edificazione dei templi. Le corrispondenze tra elementi lignei e lapidei sono spesso riscontrabili nelle singole parti che compongono l’organismo architettonico: le scanalature della colonna ricordano le venature del legno, il collarino rappresenta la cerchiatura fatta alla testa della trave con una fascetta di bronzo per infiggere il palo nel terreno, l’abaco la tavola posta tra l’elemento verticale ed orizzontale, l’echino i sacchi di iuta pieni di sabbia che venivano posti sotto l’abaco per poggiare l’architrave lentamente, senza movimenti bruschi. Alla base della formalizzazione degli ordini c’era la ricerca dell’armonia e delle proporzioni delle parti, che si concretizzò con la scelta e la ripetizione di un modulo (generalmente il raggio di una colonna misurato all’altezza dell’entasi). Il modulo è l’unità di misura che si assume per fissare criteri di proporzionalità. La più antica codifica degli ordini architettonici a noi pervenuta è opera del romano Vitruvio che, nel suo trattato De architectura (I secolo a.C.), codificò cinque ordini architettonici, distinguendoli in tre principali (dorico, ionico e corinzio) e due secondari (composito e tuscanico). Il trattato, giunto fino a noi attraverso traduzioni medievali prive di illustrazioni, durante il Rinascimento venne studiato ed interpretato da numerosi trattatisti, i quali a loro volta fornirono versioni differenti basandosi sull’osservazione delle rovine romane. Nell’architettura romana antica è frequente trovare elementi di ordini diversi composti secondo un uso iniziato in epoca ellenistica. Gli ordini architettonici impiegati secondo questa logica finirono così per rivestire una funzione prettamente decorativa più che portante. In epoca medievale si assistette alla quasi totale dissoluzione della normativa architettonica classica, mentre durante il Rinascimento l’esigenza di un inquadramento razionalmente comprensibile dello spazio e delle superfici fece rinascere l’interesse per gli ordini architettonici. In particolare nel Cinquecento la morfologia degli ordini classici venne ricostruita dai trattatisti e codificata in canoni che definirono i cinque ordini in base a rapporti dimensionali proporzionali al diametro di base della colonna.

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Il Neoclassicismo si espresse con il ritorno ad una rigorosa applicazione degli ordini classici, mentre durante l’Ottocento l’impiego degli ordini classici, pesantemente condizionato dagli insegnamenti accademici, finì per diventare un puro esercizio formale. ELEMENTI COMPONENTI L’ORDINE ARCHITETTONICO

La TRABEAZIONE è la parte portata immediatamente sovrastante le colonne e posta orizzontalmente su di esse. E’ composta da: - La cornice è il bordo o coronamento modanato della trabeazione. - Il fregio è la parte della trabeazione situata sopra l’architrave e decorata con bassorilievi. - L’architrave è l’elemento architettonico costituito da un corpo parallelepipedo disposto orizzontalmente e retto da piedritti. La COLONNA è un elemento architettonico di sostegno a sezione circolare variabile. E’ composta da: - Il capitello è l’elemento architettonico che conclude superiormente la colonna e costituisce il raccordo tra la medesima e la trabeazione. - Il fusto è la parte sostanziale della colonna, costituita da una struttura verticale a sezione circolare variabile, scanalata o no, in genere formata da vari blocchi (rocchi) sovrapposti. - La base è la parte inferiore della colonna. Il PIEDISTALLO, mancante nell’ordine classico, è il basamento della colonna. E’ composto da: - La cimasa è la parte superiore modanata del piedistallo. - Il dado è la parte intermedia, liscia, del piedistallo. - Lo zoccolo è l’elemento architettonico d’appoggio del piedistallo.

PROPORZIONAMENTO DEGLI ORDINI ARCHITETTONICI Secondo Vignola, nota l’altezza totale di un ordine architettonico, il piedistallo dovrebbe essere un terzo dell’altezza della colonna e la trabeazione un quarto. Per ottenere queste dimensioni bisogna dividere l’altezza data NO in diciannove parti uguali, quattro delle quali sono destinate al piedistallo B, dodici alla colonna A e tre alla trabeazione C. Definita in tal modo l’altezza della colonna, è possibile ricavare la dimensione del suo raggio nell’entasi a seconda dell’ordine architettonico di appartenenza. Il diametro della colonna (doppio modulo) corrisponde a quello delle circonferenze ottenute suddividendo l’altezza della colonna in sette parti uguali (nell’esempio) nell’ordine tuscanico, in otto parti uguali nell’ordine dorico, in nove parti uguali nell’ordine ionico ed in dieci parti uguali negli ordini corinzio e composito, secondo una regola proporzionale consolidata. Le tre semicirconferenze P, Q, R, suddividono l’altezza del fusto in tre terzi; quello in basso è il terzo inferiore e posiziona l’entasi della colonna, i due in alto rappresentano rispettivamente il terzo medio ed il terzo superiore. Infine il sommoscapo (sezione superiore della colonna) deve avere un diametro pari ai cinque sesti dell’imoscapo (sezione inferiore della colonna).

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ENTASI DEL FUSTO DELLA COLONNA L’entasi è il rigonfiamento del fusto della colonna. Generalmente si trova ad un terzo della sua altezza ed ha lo scopo di correggere l’errore ottico che porta a percepire da lontano un assottigliamento verso la metà della colonna. Esistono due differenti metodi grafici per ottenere due diversi tipi di entasi: il primo viene destinato a colonne tuscaniche e doriche, mentre il secondo viene impiegato per colonne ioniche, corinzie e composite, dal profilo più slanciato. Nel primo caso (ordini dorico e tuscanico) il terzo inferiore del fusto resta rigorosamente cilindrico e la rastremazione (riduzione della sezione) inizia solo a partire da un terzo dell’altezza del fusto, non tramite due rette convergenti verso le estremità del sommoscapo, ma mediante due curve, appena accennate, il cui filo è ottenuto secondo una particolare costruzione che prevede la proiezione del sommoscapo AA’ sul diametro BB’, la successiva suddivisione dei segmenti BC e C’B’ in un determinato numero di parti uguali e l’analoga suddivisione dell’altezza dei due rimanenti terzi (terzo medio e terzo superiore) del fusto in altrettante porzioni equivalenti. I punti di intersezione delle verticali alzate dai punti individuati sul diametro del fusto al terzo medio con le orizzontali mandate dai punti individuati sull’altezza dei due terzi superiori, congiunti insieme, danno il profilo del fusto. Nel secondo caso (ordini ionico, corinzio e composito) il punto di larghezza massima della colonna è posto non all’imoscapo, ma ad un terzo del fusto: da qui parte sia la rastremazione naturale verso il sommoscapo, sia una rastremazione inversa verso l’imoscapo della colonna stessa. Il profilo curvo è ottenuto tramite una costruzione che prevede di tracciare la perpendicolare dell’asse del fusto nel suo terzo, individuando poi su di essa, a partire dal punto C di incontro delle due rette, un segmento equivalente ai due terzi (medio e superiore) del fusto. Dal vertice D di tale segmento si fa poi partire un fascio di rette sulle quali, a partire dalla loro intersezione con l’asse verticale, si riporta la dimensione del diametro della colonna nel suo terzo. L’unione dei punti così individuati genera il profilo del fusto della colonna col suo peculiare rigonfiamento, per cui la colonna risulta effettivamente “panciuta” al terzo medio, con un profilo affusolato verso i due estremi.

LE MODANATURE La modanatura è un elemento decorativo architettonico costituito da una fascia sporgente variamente sagomata secondo un profilo geometrico, continuo per tutta la sua lunghezza, con la funzione decorativa di sottolineare la suddivisione in parti dell’oggetto oppure di mediare il passaggio tra due superfici disposte ad angolo. Le modanature possono essere lisce oppure intagliate con decorazioni, prevalentemente vegetali stilizzate, o geometriche. Il Listello o Filetto è una modanatura sottile a profilo rettilineo, che media tra una modanatura più sporgente ed una meno sporgente. Presenta una superficie rettilinea verticale ed una orizzontale ed il suo profilo tende generalmente al quadrato. L’Astragalo o Tondino è una modanatura sottile a profilo curvilineo semplice (semicerchio convesso). Il Guscio o Cavetto è una modanatura concava con sezione a quarto di cerchio. L’Ovolo dritto o Echino è una modanatura convessa con sezione a quarto di cerchio. Il Toro o Bastone è una modanatura convessa a sezione semicircolare. Ha lo stesso profilo del tondino, ma dimensione maggiore. La Scozia o Trochilo è una modanatura concava con sezione a semicerchio o tre quarti di cerchio, con una sorta di depressione nel listello inferiore, posta alla base di una colonna come elemento rientrante intermedio tra le due sporgenze dei tori. La Gola dritta è una modanatura con sezione a doppia curva concava in alto e convessa in basso. La Gola rovescia è una modanatura con sezione a doppia curva convessa in alto e concava in basso.

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ORDINE DORICO L’ordine dorico si definì nel Peloponneso e si diffuse in tutta la Grecia continentale e nelle colonie dell’Italia meridionale e della Sicilia. Subì nel tempo una continua evoluzione stilistica, passando dalle forme più tozze del periodo arcaico a quelle equilibrate del periodo classico raggiungendo forme eleganti nel periodo ellenistico e romano, fino ad ispirare la codificazione dell’ordine tuscanico. CORNICE: sporgente e priva di dentelli FREGIO: suddiviso in metope (lastre marmoree quadrate decorate a bassorilievo) e triglifi (lastre marmoree rettangolari con tre scanalature) ARCHITRAVE: liscio CAPITELLO: formato da abaco (parallelepipedo schiacciato) ed echino (forma svasata) FUSTO: rastremato verso l’alto, ornato da un collarino, percorso da venti scanalature con crinale divisorio tagliato ad angolo vivo. Rapporto entasi-altezza 1:6 BASE: mancante nel modello greco (la colonna poggia direttamente sullo stilobate, il basamento dell’edificio), formata da plinto e toro nel modello romano ORDINE IONICO L’ordine ionico si sviluppò principalmente in età arcaica nelle città greche dell’Asia Minore, per poi diffondersi nelle isole, in Grecia, in Magna Grecia e nell’Etruria. In esso si fondono elementi propri del gusto greco con elementi desunti dalle vicine civiltà orientali. La sua ricchezza decorativa si contrappone alla severità dell’ordine dorico. CORNICE: decorata con dentelli FREGIO: continuo ARCHITRAVE: tripartito e coronato da modanature CAPITELLO: formato da abaco (parallelepipedo schiacciato, molto sottile e spesso decorato), pulvino (curvato in due ampie volute) ed echino (forma svasata, ornato con decorazioni ovoidali) FUSTO: doppiamente rastremato, percorso da ventiquattro scanalature con crinale divisorio arrotondato. Rapporto entasi-altezza 1:7 BASE: Ionica (formata da plinto, doppia scozia e toro) oppure Attica (formata da plinto, toro, scozia e toro) COSTRUZIONE DELLA VOLUTA IONICA SECONDO VIGNOLA La costruzione si imposta nell’occhio della spirale. Iniziamo la costruzione tracciando due segmenti uguali perpendicolari, che si intersecano nel loro punto medio O, in cui centriamo il compasso per disegnare una circonferenza di raggio uguale alla metà dei segmenti tracciati. Abbiamo così un punto P sulla circonferenza, estremo di uno dei diametri, da cui partirà la spirale. I due diametri della circonferenza corrispondono alle diagonali del quadrato inscritto. Dividiamo le sue mediane in sei parti uguali, numerandole in senso orario o antiorario, secondo lo sviluppo desiderato della spirale. Dai punti di divisione tracciamo quattro serie di parallele ai diametri della circonferenza, prolungandole all’esterno. Con centro nel punto 1 e raggio uguale alla distanza P1 descriviamo l’arco PA, che raccorderemo con il successivo di centro 2 e raggio uguale alla distanza A2 fino al punto B.

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Proseguiamo centrando in 3 con raggio B3 fino al punto C e ripetiamo il procedimento fino al punto N, centrando in tutti i punti fino al dodicesimo. Il profilo interno della voluta si ottiene in maniera analoga, basandosi però sui centri 1’, 2’, 3’... 12’, che si trovano ad un quarto della distanza che intercorre fra i precedenti punti, verso l’interno.

ORDINE CORINZIO L’ordine corinzio si sviluppò dalla fine del secolo V a.C. e fu poi molto diffuso nell’architettura romana. Il primo esempio di capitello corinzio risale al secolo IV a.C. nel tempio di Apollo a Bassae. Secondo la tradizione l’inventore fu l’architetto Callimaco, che si ispirò ad un cesto depositato come offerta votiva sulla tomba di una giovane, coperto da una lastra quadrangolare, intorno al quale era cresciuta una pianta di acanto. CORNICE: decorata con dentelli FREGIO: continuo costituito da una decorazione vegetale, da bucrani (elementi decorativi a testa di bue) e da patere (elementi decorativi a forma di scodella) ARCHITRAVE: tripartito e coronato da modanature CAPITELLO: caratterizzato da foglie stilizzate di acanto e caulicoli (elementi ornamentali rappresentanti steli arrotolati), sovrastati dall’abaco (parallelepipedo schiacciato, talvolta modanato) FUSTO: doppiamente rastremato, percorso da scanalature con crinale divisorio arrotondato. Rapporto entasi-altezza 1:8 o 1:9 BASE: Composita: formata da plinto, toro, doppia scozia e toro ORDINE COMPOSITO L’ordine composito ebbe origine dall’inserzione nel capitello corinzio romano di volute analoghe a quelle dell’ordine ionico. Quest’ordine tipicamente romano, già presente in età augustea (palestra di Pompei), fu largamente utilizzato soprattutto in età flavia e severiana (arco di Tito, terme di Caracalla). Questo stile architettonico romano, utilizzato per la prima volta nell’Arco di Tito (81 d.C.), risulta da una

combinazione dell’ordine ionico e di quello corinzio. CORNICE: decorata con dentelli FREGIO: continuo ARCHITRAVE: tripartito e coronato da modanature CAPITELLO: caratterizzato da foglie stilizzate di acanto e caulicoli (elementi ornamentali rappresentanti steli arrotolati), sovrastati dal pulvino (curvato in due ampie volute) e dall’abaco (parallelepipedo schiacciato, talvolta modanato) FUSTO: doppiamente rastremato, percorso da scanalature con crinale divisorio arrotondato. Rapporto entasi altezza 1:8 o 1:9 BASE: Composita: formata da plinto, toro, doppia scozia e toro ORDINE TUSCANICO L’ordine tuscanico si definì in ambiente etrusco ed italico (Paestum, tumulo della Cucumella a Vulci) come variante locale dell’ordine dorico. Venne impiegato anche nell’architettura romana e fu poi ripreso ed elaborato in età rinascimentale, soprattutto dal Cinquecento in poi. CORNICE: sporgente e priva di dentelli FREGIO: suddiviso in metope (decorazione a bassorilievo) e triglifi (con tre scanalature) ARCHITRAVE: liscio CAPITELLO: formato da abaco (parallelepipedo schiacciato) ed echino (forma svasata) FUSTO: rastremato verso l’alto, percorso da venti scanalature con crinale divisorio tagliato ad angolo vivo, oppure liscio. Rapporto entasi-altezza 1:6 BASE: Tuscanica: formata da plinto e toro

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“Codesta Tavola raffigura i cinque ordini architettonici dei quali il dorico, lo ionico e il corinzio sono greci, mentre gli altri due sono romani. I cinque ordini sono qui uniformati alla medesima altezza, affinché si possano distinguere mediante la loro diversa grossezza, su un’alzata comune, le loro diverse caratteristiche; poiché bisogna sapere che l’ordine toscano, conosciuto anche con il nome di ordine rustico, deve avere un diametro che sia la settima parte della sua altezza, base e capitello compresi. Il dorico, conosciuto con il nome di ordine solido, l’ottava parte. Lo ionico, considerato ordine medio, la nona parte. Il corinzio e il composito, chiamati ordini delicati, la decima parte. Vitruvio ha rifiutato a quest’ultimo la denominazione di ordine per via della corrispondenza dei rapporti con il corinzio, sostenendo giustamente che non sono gli ornamenti a determinare l’ordine, bensì la differenza del rapporto tra la loro grossezza e la loro altezza. I cinque ordini sono conformi alle misure stabilite dal Vignola, uno dei dieci commentatori di Vitruvio e quello generalmente più seguito in Francia. Questo autore conferisce al piedistallo A un terzo dell’altezza dell’ordine B, alla trabeazione C, un quarto di B; egli mantiene la medesima proporzione per tutti e cinque gli ordini. [...] Il piedistallo A, l’ordine B e la trabeazione C sono, dunque, i tre componenti principali di un ordine architettonico; ma è B che viene chiamato “ordine propriamente detto”, comprende la base D, il fusto E ed il capitello F: è proprio quest’ordine che conferisce al piedistallo ed alla trabeazione la loro esatta proporzione.” DIDEROT, D’ALAMBERT L’Encyclopédie ELEMENTI DI DISEGNO TECNICO METODI DI RAPPRESENTAZIONE

La rappresentazione architettonica è un insieme di modi per raffigurare un'opera edilizia, ovvero per raggiungere una conoscenza migliore di ciò che è rappresentato. Essendo un'opera di architettura una struttura complessa e articolata sulle tre dimensioni spaziali in larga scala, a differenza di altre forme artistiche quali per esempio la pittura e la scultura, non si presenta in maniera "completa" allo spettatore: per esempio, un dipinto è fatto per essere visto standogli di fronte, una scultura può prevedere di girarci intorno, ma di un'architettura si possono avere solo delle impressioni parziali dell'insieme (ad esempio solo la facciata di un edificio, solo una stanza per volta, solo una veduta aerea) e solo con uno sforzo intellettivo possiamo valutare l'insieme di un complesso architettonico. Per venire incontro a queste difficoltà esistono vari metodi di fornire una rappresentazione semplificata dell'edificio. Il metodo più rappresentativo è quello di creare un modellino tridimensionale in scala, ma ben più diffuse sono le rappresentazioni grafiche, che tramite segni convenzionali esemplificano realtà architettoniche e urbanistiche. Attraverso la scelta di rappresentazioni che privilegiano taluni aspetti rispetti ad altri si ha una vera e propria "operazione di conoscenza", rispetto a una più semplice raffigurazione dell'oggetto.

Nel disegno tecnico occorre rappresentare in modo completo su un supporto bidimensionale oggetti tipicamente tridimensionali (geometria descrittiva), realizzando delle proiezioni. La proiezione è di tipo conico (o centrale) quando si suppone che l’osservatore sia a distanza finita dall’oggetto e dal piano di proiezione π con l’occhio posto nel punto di visuale V.

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Tale rappresentazione, detta prospettiva, produce ottimi effetti visivi ma risulta inutilmente complessa per i disegni meccanici, per cui è di scarso interesse industriale, sebbene sia frequentemente utilizzata in architettura.

Proiezioni parallele ortogonali Nella proiezione ortogonale il punto di visuale è all’infinito, in direzione tale che i raggi visuali siano perpendicolari al piano di proiezione π; inoltre l’oggetto ha una faccia principale parallela al piano π. La proiezione è pertanto la riproduzione esatta delle superfici in vista dell’oggetto, ma manca qualsiasi indicazione sulle superfici poste nella terza dimensione: si ovvia a questo inconveniente proiettando l’oggetto secondo tre direzioni ortogonali. La rappresentazione parallela ortogonale è quella più comunemente utilizzata nel disegno tecnico meccanico: essa può fornire 6 viste reali dell’oggetto ma solitamente ne bastano 3 o anche meno.

Vengono convenzionalmente chiamate pianta , prospetto e fianco le proiezioni che sono percepite come viste dall’alto, frontalmente e lateralmente. La disposizione delle viste sul disegno varia a seconda che la rappresentazione segua lo standard europeo (preferibile) o quello americano (sconsigliato, se usato deve essere indicato).

METODO EUROPEO METODO AMERICANO

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LE PROIEZIONI ORTOGONALI Le proiezioni ortogonali sono originate dallo scopo di proiettare su un piano (il foglio della rappresentazione) un oggetto posto nello spazio, che conservi le stesse caratteristiche geometriche e dimensionali dell’oggetto e che siano misurabili, riferendosi ad un rapporto predefinito fra le dimensioni dell’oggetto e della sua rappresentazione (scala grafica). Per ottenere ciò i raggi di proiezione devono essere paralleli fra loro e perpendicolari al piano di proiezione. Se pensiamo ad un oggetto tridimensionale posto nello spazio possiamo rappresentare la sua forma su un piano di proiezione che potremmo di volta in volta spostare opportunamente all’intorno dell’oggetto sempre con raggi proiettivi paralleli e perpendicolari al piano stesso. Si ottengono così immagini bidimensionali delle facce esterne dell’oggetto rappresentato. Se il piano è posto parallelamente al terreno, la proiezione ottenuta è definita come proiezione sul piano orizzontale e se spostiamo il piano parallelamente al terreno tagliando l’oggetto o ponendolo sopra di esso, in architettura chiamata pianta dell’oggetto.

Fig. Proiezioni ortogonali di un parallelepipedo su piani esterni alla figura Analogamente se il piano è posto perpendicolarmente al piano terreno (cioè al piano orizzontale) la proiezione ottenuta è definita come proiezione sul piano verticale (o verticale laterale ), e tutte le proiezioni sul piano verticale in architettura sono chiamate prospetti se si riferiscono alle facce laterali dell’oggetto, sezioni se si riferiscono al piano che taglia verticalmente l’oggetto. E’ evidente che se operiamo come sopra otteniamo di volta in volta immagini bidimensionali dell’oggetto rappresentato. Il sistema geometrico per ottenere contemporaneamente più immagini bidimensionali sul piano orizzontale e sul piano verticale dell’oggetto è definito, nella geometria proiettiva, come sistema delle proiezioni ortogonali piane : Il metodo delle proiezioni ortogonali piane consiste nel proiettare contemporaneamente su due piani fra loro ortogonali, il piano orizzontale PO ed il piano verticale PV ,che si incontrano lungo una retta, detta linea di terra LT . Se facciamo coincidere il piano orizzontale con il foglio da disegno e ribaltiamo il piano orizzontale lungo la linea di terra sul piano orizzontale otteniamo, sullo stesso foglio da disegno la figura proiettata sul piano orizzontale e quella proiettata sul piano verticale. Proiezioni di figure piane Proiezione di un punto Un punto P posto alla distanza y dal piano orizzontale PO e alla distanza x dal piano verticale PV incontra rispettivamente il piano orizzontale PO nel punto P1 ed il piano verticale PV nel punto P2

Fig. Proiezione di un punto P sui piani PO e PV – vista 3D

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Fig. Proiezione di un punto P sui piani PO e PV – vista 2D Proiezione di una retta Data una retta R si possono avere 4 casi : - 1° la retta interseca i piani PO e PV rispettivamente nei punti R1 e R2;

Fig. Proiezione di una retta generica – vista 3D

Fig. Proiezione di una retta generica – vista 2D - 2° la retta R è parallela al piano PV e quindi incontra il piano PO solo nel punto R1;

Fig. Proiezione di una retta parallela a PV – vista 3D

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Fig. Proiezione di una retta parallela a PV – vista 2D - 3° la retta R è parallela al piano PO e quindi incontra il piano PV solo nel punto R2;

Fig. Proiezione di una retta parallela a PO – vista 3D

Fig. Proiezione di una retta parallela a PO – vista 2D - 4° la retta è parallela ai due piani PO PV e quindi anche alla linea di terra T.

Fig. Proiezione di una retta parallela ai piani PO e PV – vista 3D

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Fig. Proiezione di una retta parallela ai piani PO e PV – vista 2D I punti di intersezione della retta sul piano orizzontale e verticale sono dette tracce R1 e R2. Proiezione di un piano Dato un piano H si possono avere 3 casi: - 1° il piano H interseca i piani PO e PV rispettivamente lungo le rette t1h e t2h;

Fig. Proiezione di un piano H– vista 3D

Fig. Proiezione di un piano H– vista 2D - 2° il piano H è parallelo al piano PV e quindi incontra il piano PO solo lungo la retta t1h parallela alla linea di terra;

Fig. Proiezione di un piano H parallelo a PV – vista 3D

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Fig. Proiezione di un piano H parallelo a PV – vista 2D - 3° il piano H è parallelo al piano PO e quindi incontra il piano PV solo lungo la retta t2h parallela alla linea di terra.

Fig. Proiezione di un piano H parallelo a PO – vista 3D

Fig. Proiezione di un piano H parallelo a PO – vista 2D Le rete di intersezione del piano sui piani orizzontale e verticale sono dette tracce th1 e th2. Condizioni di appartenenza Nelle proiezioni ortogonali delle figure geometriche si verificano le seguenti condizioni di appartenenza: - Condizione necessaria e sufficiente perché un punto P appartenga ad una retta r è che la proiezione del punto P1 sul pano orizzontale PO e P2 sul piano verticale PV appartengano alle proiezioni R1 e R2.

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Fig. Condizioni di appartenenza tra un punto ed una retta – vista 2D - Condizione necessaria e sufficiente perché una retta r appartenga ad un piano H è che la traccia R1 della retta r sul pano orizzontale PO e la traccia R2 della retta r sul piano verticale PV appartengano alle corrispondenti tracce th1 e th2 del piano H.

Fig. Condizioni di appartenenza tra una retta ed un piano –vista 2D Condizioni di parallelismo - Condizione necessaria e sufficiente perché due rette r ed s siano fra loro parallele è che le proiezionisul PO e sul PV delle due rette siano anche esse parallele fra loro.

Fig. Condizioni di parallelismo tra due rette– vista 2D - Condizione necessaria e sufficiente perché due piani Ha e Hb siano fra loro paralleli è che le tracce dei due piani siano anche esse parallele fra loro.

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Condizioni di perpendicolarità - Condizione necessaria e sufficiente affinché una retta r sia perpendicolare ad un piano a è che le proiezioni della retta siano perpendicolari alle tracce omonime del piano.

Fig. Condizioni di peprpendicolarità tra una retta ed un piano – vista 2D Le altre condizioni di perpendicolarità si possono così enunciare: - due rette sono tra loro perpendicolari quando è possibile far passare per una delle due un piano perpendicolare all’altra retta. - Due piani sono perpendicolari quando sono perpendicolari fra loro due rette appartenenti ai singoli piani. Proiezione di figure piane e tridimensionali La rappresentazione completa di una figura (piana o tridimensionale) avviene attraverso la sua proiezione su tre piani ortogonali: - PO Piano orizzontale; - PV Piano verticale; - PV1 Piano verticale ausiliario.

Fig. 15 Proiezione di una figura piana (quadrato) – vista 3D

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Fig. Proiezione di una figura piana (quadrato) – vista 2D

Fig. Proiezione di una figura tridimensionale (cubo) - vista 3D

Fig. 16 Proiezione di una figura tridimensionale (cubo) - vista 2D

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L’ASSONOMETRIA L'assonometria , come metodo grafico di rappresentazione degli oggetti nello spazio tridimensionale, viene descritta da MONGE nel trattato di "GEOMETRIE DESCRIPTIVE" edito nel 1794. L'assonometria si sviluppa, nel XIX sec., come metodo di rappresentazione sia militare (assonometria cavaliera militare) che per la rappresentazione di sistemi costruttivi nei manuali della seconda metà del XIX sec.. Nel secolo XX gli architetti del De Stil e del Movimento Razionalista (Gropius, Mies Van der Rohe, ecc.) hanno fatto largo uso dell'assonometria, tradizione che prosegue con gli strutturalisti (Wachsmann) per le possibilità che detta rappresentazione offre per rappresentare i reticoli spaziali e modulari architettonici e costruttivi.

Fig. Viste assonometriche di un cubo L’assonometria: definizione La proiezione assonometrica (assonometria) proietta una figura sopra un piano di rappresentazione (quadro) da un centro posto all’infinito (rette parallele proiettanti). Componenti essenziali dell’Assonometria Gli elementi fondamentali di riferimento per eseguire una assonometria sono: - UNATERNA FISSADI PIANIORTOGONALIFRA LORO DALL'INTERSEZIONE DEI QUALI DERIVANO TRE ASSI LE CUI PROIEZIONI SUL QUADRO SONO GLI ASSI DELL'ASSONOMETRIA(X, Y, Z,). - UN PIANO (DETTO QUADRO) SUL QUALE VENGONO PROIETTATI GLI ASSI X, Y, Z, GIACENTI NELLO SPAZIO ( per semplicità il quadro si fa coincidere con il foglio del disegno). - UNADIREZIONE L DIPROIEZIONE DEGLIASSIX, Y, Z. - UN’UNITA' DI MISURA (coefficienti di riduzione) DA MISURASI PARTENDO DAL PUNTO 0 ( punto d’incontro fra gli assi cartesiani). Ne risulta che l'angolazione degli assi proiettati ed il valore assunto dalle unità di misura sono in relazione dalla inclinazione assunta dalla direzione di proiezione rispetto al quadro. Da tale inclinazione derivano le diverse posizioni assunte dalla terna degli assi ed i valori dei rispettivi coefficienti di riduzione, dando luogo ai vari tipi di assonometria . L’assonometria a seconda della direzione di proiezione I rispetto al quadro assonometrico si distingue in: ASSONOMETRIA ORTOGONALE: Quando la direzione I è ortogonale al quadro assonometrico ASSONOMETRIA OBLIQUA: Quando la direzione I è obliqua al quadro assonometrico Assonometria Ortogonale Sintetizziamo, fra le possibili configurazioni assonometriche ortogonali, quelle che più vengono usate nel disegno architettonico e nel disegno di elementi del disegno industriale, ricordando che la caratteristica peculiare dell’uso dell’assonometria nella rappresentazione è di definire la forma e la dimensione degli oggetti rappresentati.

Fig. ASSONOMETRIA ORTOGONALE ISOMETRICA Coefficienti di riduzione Ix = Iy = Iz

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Da: ADRIANA BACULO “QUATTRO LEZIONI DI DISEGNO E RILIEVO”.- LIGUORI - NAPOLI

Fig. ASSONOMETRIA ORTOGONALE DIMETRICA (due angoli uguali) Coefficienti di riduzione Ix = Iz Iy = ½ Ix Da: ADRIANA BACULO “QUATTRO LEZIONI DI DISEGNO E RILIEVO”.- LIGUORI - NAPOLI

Fig. ASSONOMETRIA ORTOGONALE TRIMETRICA (tre angoli disuguali) Coefficienti di riduzione Ix = 0,9 Iy = 0,5 Iz = 1 Da: ADRIANA BACULO “QUATTRO LEZIONI DI DISEGNO E RILIEVO”.- LIGUORI – NAPOLI Assonometria Obliqua Le configurazioni assonometriche oblique applicate all’architettura permettono rappresentazioni di facile lettura, in particolare: - nell’assonometria monometrica le misure non variano sia in pianta che in alzato; - nell’assonometria dimetrica (cavaliera) il piano yz coincide con il quadro e, di conseguenza, con un prospetto.

Fig. ASSONOMETRIA OBLIQUA MONOMETRICA Coefficienti di riduzione Ix = Iy = Iz Da: ADRIANA BACULO “QUATTRO LEZIONI DI DISEGNO E RILIEVO”.- LIGUORI - NAPOLI

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Fig. Possibili configurazioni di un’assonometria obliqua monometrica

Fig. ASSONOMETRIA OBLIQUA DIMETRICA (cavaliera) Coefficienti di riduzione Ix = Iz Iy = ½ Ix Da: ADRIANA BACULO “QUATTRO LEZIONI DI DISEGNO E RILIEVO”.- LIGUORI - NAPOLI

Fig. Possibili configurazioni di un’assonometria obliqua dimetrica Planometria La planometria o assonometria cinese trasla verticalmente la pianta di un edificio mantenedo un prospetto parallelo al quadro.

Fig. Esempi di planometrie Da: TOM PORTER e SUE GOODMAN “MANUALE DI TECNICHE GRAFICHE” - ED. CLUP MILANO L’assonometria esplosa e traslata

E’ la rappresentazione dei singoli elementi costituenti organismi complessi distaccati l'uno dall'altro, che permette di rappresentare e definire le rispettive posizioni assunte dai vari elementi.

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Fig. Esploso assonometrico di un tavolo da disegno (disegni tratti dal corso di “disegno dell’architettura” doc. Marco Cardini) Ombre in assonometria La lunghezza dell’ombra portata di un oggetto si trova tramite l’intersezione tra la direzione del raggio luminoso (inclinato di un angolo prestabilito) e la sua proiezione sul piano di riferimento: entrambe le componenti possono variare in funzione del risultato che si vuole ottenere.

Fig. Da:TOM PORTER e SUE GOODMAN “MANUALE DI TECNICHE GRAFICHE” - ED. CLUP MILANO Per disegnare l’ombra in assonometria occorre scegliere la direzione e l’inclinazione del raggio luminoso rispettivamente in pianta ed in alzato: in genere l’inclinazione si sceglie con angoli di 30°, 45°, 60° a seconda della lunghezza dell’ombra che si vuole ottenere. Nell’inclinazione a 45° l’altezza dell’oggetto è eguale alla lunghezza dell’ombra sul piano di riferimento. Il tracciamento dell’ombra di una figura tridimensionale si ottiene proiettando (secondo la direzione assegnata al raggio luminoso) gli spigoli di contorno delle superfici in ombra.

Fig.

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Fase 1 - Scelta della direzione della luce - Identificazione delle superfici non illuminate Fase 2 - Proiezione del contorno - Definizione dell’ombra portata. Il tracciamento dell’ombra di un oggetto composto da più solidi si ottiene tramite la definizione delle ombre dei singoli componenti. Nei casi in cui i solidi siano di diversa dimensione o forma, si dovrà tener presente anche l’ombra portata sull’oggetto di dimensioni minori.

Fig. Fase 1 - Costruzione dell’ombra portata del volume maggiore Fase 2 - Costruzione dell’ombra portata del volume minore Fase 3 - Costruzione dell’ombra portata del volume maggiore sul minore Fase 4 - Definizione dell’ombra portata La rappresentazione assonometrica nel disegno tecni co

Fig. Marcel Breuer Assonometria dello sgabello per la mensa del Bauhaus e della poltrona Wassily . (Disegno allegato al brevetto per i mobili in tubi di acciaio 1927)

Fig. Assonometria della poltrona di G.T. Rietved

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Fig. Assonometria dei componenti del progetto di una poltrona

Fig. Assonometria del progetto di un divano (disegni tratti dal “laboratorio di disegno ” doc. Marco Cardini)

Fig. Assonometria di un soggiorno Prospettiva Prospettiva centrale Si è detto che lo scopo della geometria descrittiva è quello di rappresentare le figure spaziali sopra un piano, in modo tale che, dalla rappresentazione piana, si possa risalire alla figura spaziale. La corrispondenza tra una figura spaziale e la sua rappresentazione piana non è però purtroppo biunivoca, quindi permette solo di rappresentare le figure, ma non di risolvere graficamente, mediante solo costruzioni piane, problemi di geometria spaziale a meno di non introdurre altri eventuali dati aggiuntivi. Ciascuno dei sistemi di regole che permettono la rappresentazione piana costituisce un "metodo" della geometria descrittiva. Poiché, la parte

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principale di tutti i metodi più usati nel passaggio dalla figura spaziale alla sua rappresentazione, è costituita da una proiezione, tali metodi si chiamano anche metodi di proiezione . ELEMENTI PRINCIPALI della prospettiva:

Punto di vista (PV): punto dove si immagina l’occhio dell’osservatore. Piano di terra o geometrale (PG): piano sul quale è appoggiato l’oggetto da rappresentare. Quadro o piano prospettico (PP): piano perpendicolare al piano di terra posto fra l’oggetto ed il PV; è su esso che si forma l’immagine in prospettiva dell’oggetto. Piano di orizzonte (PO): piano immaginario passante per PV e parallelo al piano di terra. Punto principale (P): proiezione ortogonale del punto di vista sul quadro detta anche distanza principale o semplicemente distanza perché indica la distanza dell’osservatore dal quadro Punto di stazione (Ps): proiezione ortogonale del punto di vista sul piano geometrale Linea di terra (LT): retta d’intersezione fra il quadro ed il piano di terra Punto sulla linea di terra (Pt): proiezione ortogonale del punto principale e del punto di stazione sulla linea di terra Linea di orizzonte (LO): retta d’intersezione fra il quadro ed il piano di orizzonte. Per costruzione è parallela alla linea di terra e la sua distanza da essa indica l’altezza dell’occhio dell’osservatore. Raggi visuali: rette che congiungono il PV con i punti che costituiscono l’oggetto da rappresentare (quali ad esempio retta PV-A,PV-B,PV-C) La scelta della posizione del punto di vista rispetto all’oggetto assume un’importanza fondamentale per la nitidezza della visione e per l’efficacia della prospettiva. In altre parole il punto di vista dovrà essere scelto in modo tale che la rappresentazione dell’oggetto che ne segue sia il più possibile simile alla rappresentazione reale. A tal fine è necessario tenere ben presente il campo visivo dell’osservatore cioè quella porzione di spazio misurata in gradi che una persona può vedere tenendo testa ed occhi assolutamente immobili. Nella tecnica del disegno prospettico l’ampiezza del campo visivo si identifica nel cono ottico ottenuto tirando dal PV raggi visuali che hanno una ben precisa proprietà: non devono formare con l’asse visivo PV-P angoli maggiori di 30°. Entro tali gradi, infatti, la percezione degli oggetti è buona e tale risulta essere anche l’immagine prospettica. Se invece si ampliasse il cono ottico in modo di avere angoli maggiori di 30°, si andrebbe incontro a delle particolari impostazioni prospettiche che deformerebbero l’immagine dell’oggetto in questione dando luogo alle cosiddette aberrazioni ottiche. La base del cono ottico (il cerchio visivo) è determinato dall’intersezione dei raggi visuali con il quadro e si dice che l’immagine è “percettivamente corretta” quando i raggi visuali, portati agli estremi dell’oggetto, stanno all’interno del cono.

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I punti di fuga Il primo passo per costruire un’immagine prospettica è la ricerca dei punti di fuga. Il punto di fuga di una retta è la traccia sul quadro della parallela alla retta stessa passante per il PV. Poiché esso appartiene alla linea di orizzonte, che rappresenta in prospettiva l’immagine dell’infinito (tale infatti è la distanza tra LO e LT) il punto di fuga di una retta rappresenta la prospettiva del suo punto all’infinito. Da ciò discende immediatamente il fatto che rette parallele hanno il medesimo punto di fuga F. In particolare: Le rette parallele al quadro non hanno punti di fuga, o meglio ammettono come punto di fuga il punto improprio della linea d'orizzonte. Esse sono rappresentate prospettivamente da rette tutte parallele fra loro ed alla LT; la loro distanza reciproca cambia al variare della distanza dal quadro prospettico.

Le rette perpendicolari al quadro hanno come punto di fuga il punto principale P. Se proviamo, infatti, a tracciare dal PV una parallela alla retta data incontreremo la LO in P. Le rette inclinate di 45° rispetto al quadro hanno invece come punti di fuga punti particolari: essi sono denominati punti di distanza e sono le intersezioni del cerchio di distanza con la LO.