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1 Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Fisica A. A. 2011/2012 Tesi di Laurea Radioattività fossili di breve vita media nel Sistema Solare Primordiale da una stella AGB vicina Relatore Laureanda PROF. MAURIZIO MARIA BUSSO PAOLA TINIVELLI Secondo Relatore DOTT. OSCAR TRIPPELLA

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Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali

Corso di Laurea in Fisica

A. A. 2011/2012

Tesi di Laurea

Radioattività fossili di breve vita media nel

Sistema Solare Primordiale da una stella

AGB vicina

Relatore Laureanda

PROF. MAURIZIO MARIA BUSSO PAOLA TINIVELLI

Secondo Relatore

DOTT. OSCAR TRIPPELLA

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Alla mia famiglia

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3

“La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero.

Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza”

Albert Einstein

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INDICE:

INTRODUZIONE ......................................................................................... 8

CAPITOLO 1. CLASSIFICAZIONI E DIAGRAMMA DI

HERTZSPRUNG E RUSSEL .................................................................... 10

1.1 CLASSIFICAZIONE ........................................................................... 10

1.2 DIAGRAMMA H-R............................................................................. 13

CAPITOLO 2. GENERAZIONE DI ENERGIA ......................................... 15

2.1 LA SORGENTE DELL’ENERGIA .................................................... 15

2.1.1 Ipotesi Chimica .............................................................................. 15

2.1.2 Ipotesi gravitazionale .................................................................... 16

2.1.3 Ipotesi Nucleare ............................................................................. 17

2.2 FASI EVOLUTIVE .............................................................................. 20

2.2.1 Fasi termonucleari di equilibrio .................................................... 20

2.2.2 Fase di contrazione in quasi-equilibrio ......................................... 20

2.2.3 Fasi dinamiche di caduta libera ..................................................... 21

CAPITOLO 3. CENNI DI EVOLUZIONE STELLARE ........................... 23

3.1 INTRODUZIONE ................................................................................ 23

3.2 COLLASSO E FORMAZIONE DELLA PROTOSTELLA ............... 24

3.3 FASE DI PRE-SEQUENZA ................................................................ 27

3.4 FASE DI SEQUENZA PRINCIPALE ................................................. 30

3.4.1 Fase termonucleare della Sequenza Principale ............................. 30

3.4.2 Combustione dell’idrogeno: la catena p-p .................................... 30

3.4.3 Il ciclo CNO .................................................................................. 31

3.5 LE GIGANTI ROSSE E LA COMBUSTIONE DELL’ELIO. ........... 33

3.6 IL BRACCIO ASINTOTICO DELLE GIGANTI (AGB) ................... 36

3.7 LE FASI EVOLUTIVE FINALI DELLE STELLE MASSICCE. ...... 37

CAPITOLO 4. LA NUCLEOSINTESI DA CATTURE p, n & α IN FASI

AGB ............................................................................................................ 39

4.1 L’EVOLUZIONE LUNGO L’AGB E IL TERZO “DREDGE-UP” .. 39

4.2 IL TERZO DREDGE-UP E LE CATTURE NEUTRONICHE .......... 44

4.2.1 Mescolamenti convettivi e perdite di massa ................................. 44

4.2.2 La catture neutroniche ................................................................... 46

CAPITOLO 5. RADIOATTIVITA' FOSSILI NEL SISTEMA SOLARE E

LORO NUCLEOSINTESI. ........................................................................ 49

5.1 MISURE DI RADIOATTIVITA' FOSSILI ......................................... 49

5.2 IL MODELLO DI CONTAMINAZIONE DA UNA STELLA AGB . 54

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5.3 UN CALCOLO AGGIORNATO DEL CONTRIBUTO DA UNA

STELLA AGB VICINA ............................................................................. 57

CONCLUSIONI ........................................................................................... 61

BIBLIOGRAFIA ......................................................................................... 63

ELENCO DELLE FIGURE:

Figura 1.1 Righe spettrali ............................................................................. 13

Figura 1.2 Diagramma H-R .......................................................................... 13

Figura 2.1 Catena p-p ................................................................................... 18

Figura 2.2 Ciclo CNO................................................................................... 19

Figura 2.3 Produzione di energia dalla catena p-p e dal ciclo CNO ............ 19

Figura 3.1 La Nebulosa Planetaria detta “Egg Nebula” (nebulosa a uovo) . 23

Figura 3.2 Traccia di Hayashi ...................................................................... 25

Figura 3.3 IRAS 18.162-2.048, UNA PROTOSTELLA ............................. 26

Figura 3.4 Andamento in funzione di T dell’energia prodotta nell’unità di

tempo dall’unità di massa del materiale per la catena p-p e per il ciclo CNO.

....................................................................................................................... 32

Figura 3.5 La galassia M100, con il “residuo” dell’esplosione della

supernova SN1979C, a circa cinquanta milioni di anni luce dalla Terra. I dati

raccolti da Chandra e da diversi altri strumenti ci mostrano una sorgente di

raggi X che è rimasta praticammente immutata durante il periodo di

osservazione che va dal 1995 al 2007. Questo fa pensare che il buco nero sia

alimentato, o da materiale in caduta verso di esso proveniente dalla

supernova, oppure da una stella binaria compagna. ...................................... 38

Figura 4.1 Primo e secondo dredge-up ........................................................ 40

Figura 4.2 L’evoluzione nel tempo della posizione delle shells nucleari e

dell’inviluppo in una stella AGB ................................................................... 45

Figura 4.3 Rappresentazione della inter-shell di He durante un interpulso. 46

Figura 5.1 Grafico di 26

Mg/24

Mg vs 27

Al/24

Mg. Esso mostra la correlazione

tra l’eccesso di 26

Mg oggi e l’27

Al, rivelando che l’eccesso di 26

Mg era

originariamente sotto forma di 26

Al. I dati provengono da varie fasi, con

differente 27

Al/24

Mg, di un meteorite ricco di inclusioni di calcio e

alluminio. Esso cadde nel villaggio messicano di Allende nel 1969. La figura

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dimostra la presenza di 26

Al con una abbondanza di 26

Al/27

Al= al

tempo della cristallizzazione. ........................................................................ 52

Figura 5.2 Iniezioni di materiale proveniente da differenti sorgenti stellari in

una sequenza di nubi molecolari. La nube iniziale del Sole contiene gas e

grani provenienti da diverse generazioni di stelle formate in differenti nubi

molecolari, così come un inventario più locale di isotopi di vita media breve,

intermedia, o lunga. ....................................................................................... 53

Figura 5.3 Diagramma in cui vengono schematizzati i tempi scala e gli

eventi della nucleosintesi che contribuiscono alla nebulosa solare. ............. 55

ELENCO DELLE TABELLE:

Tabella 3.1 Tempi scala evolutivi nelle fasi di pre-seguenza principale ..... 29

Tabella 5.2 Nuclei caratterizzati da una breve vita nel Sistema Solare

Primordiale .................................................................................................... 54

Tabella 5.3 Predizioni di Wasserburg et al. 2006 ......................................... 59

Tabella 5.4 I miei risultati ............................................................................. 60

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INTRODUZIONE

In questa tesi, dopo avere discusso lo stato delle conoscenze sulla struttura,

l’evoluzione e le sorgenti di energia delle stelle che sono propedeutiche alla

comprensione della loro nucleosintesi (primi tre capitoli) mi dedicherò

all’approfondimento delle fasi finali delle stelle di massa piccola o

intermedia (da 1 a 8 volte la massa del Sole), delineandone l’importanza

nella produzione di nuclei da catture protoniche, neutroniche e di particelle

. In seguito utilizzerò modelli di nucleosintesi disponibili presso il gruppo

di Astrofisica di Perugia per riesaminare un problema cosmogonico che ha

suscitato nell’ultimo ventennio grande interesse. La spettroscopia di massa

di altissima precisione eseguita su materiali meteoritici molto antichi ha

rivelato che nei primi solidi del Sistema Solare, formatisi in meno di 1

milione di anni dalla contrazione della nebulosa originaria, erano presenti

isotopi instabili di tempo di dimezzamento breve (tra 0.7 e 2 , nei casi

più celebri di 26

Al e 60

Fe). La loro presenza è stata accertata dalla

correlazione tra i loro prodotti di decadimento (26

Mg, 60

Ni, ecc) e

l’abbondanza dell’isotopo più abbondante della specie genitrice (nei casi

citati, 27

Al e 56

Fe). Una concentrazione elevata di nuclei così poco longevi è

incompatibile con l’idea che la loro abbondanza fosse semplicemente quella

media del mezzo interstellare da cui il Sole si è formato, sia per i lunghi

tempi scala di questa formazione, sia perchè l’astronomia gamma ci ha oggi

mostrato che l’equilibrio tra produzione stellare e decadimento per questi

nuclei è molto bassa (molto più bassa di quella misurata per il sistema solare

antico). L’unica spiegazione plausibile identificata dalla ricerca recente è

che una stella (gigante rossa o supernova) abbia espulso il proprio materiale

vicino (spazialmente e temporalmente) alla nebulosa solare in contrazione.

Esiste oggi un acceso dibattito tra i sostenitori dello scenario in cui la

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contaminazione sia avvenuta da una comune gigante rossa (come il Sole

stesso diventerà tra qualche miliardo di anni) o abbia richiesto una

Supernova vicina. Decidere tra le due possibilità è reso difficile da

incertezze sia dei modelli stellari di riferimento che dei parametri nucleari

dei nuclei radioattivi in questione. In passato, il gruppo di Perugia, in

collaborazione con il CALTECH, ha sostenuto (anzi ha ideato: vedere per

es. Wasserburg et al. 1994; Busso et al. 2003; Busso 2011) lo scenario di una

gigante rossa (in fase AGB: vedere il capitolo 4 per le definizioni). Negli

ultimi due anni, però, molte novità sono comparse in letteratura

sull’argomento. Esse riguardano: 1) una nuova determinazione della vita

media del 60

Fe (con il raddoppio del valore prima stimato); 2) una modifica

della sezione d’urto di cattura neutronica del 60

Fe stesso e una revisione al

ribasso (per un fattore 3) della sua abbondanza iniziale; 3) una revisione

(aumento) del tasso di reazione per la cattura 25

Mg(p,)26

Al.

Utilizzando i menzionati nuovi elementi, ora disponibili, intendo ricalcolare

(nel capitolo 5) la produzione degli isotopi radioattivi di vita breve da una

stella di piccola massa (circa 3 volte quella del Sole) mostrando come questo

modello offra una credibile sorgente per le radioattività fossili del sistema

solare.

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CAPITOLO 1. CLASSIFICAZIONI E DIAGRAMMA

DI HERTZSPRUNG E RUSSEL

1.1 CLASSIFICAZIONE

Le stelle ci appaiono fisse nel cielo perché sono lontanissime dalla Terra, ciò

nonostante esse sono ben visibili per la grande energia che emettono.

Di media una stella è composta per il 70% da idrogeno e per il 28% da elio,

mentre il resto è costituito da carbonio, azoto, ossigeno e altri elementi.

All’interno delle stelle avvengono continuamente reazioni termonucleari di

fusione, che generano una costante emissione di calore e raggi luminosi. Le

stelle visibili a occhio nudo dalla terra, in condizioni ottimali, sono circa

6000; tutte appartengono alla nostra Galassia.

Con il perfezionamento delle tecniche spettro-fotometriche (introduzione

della fotografia, analisi spettrale del reticolo, invenzione del

fotomoltiplicatore e, più di recente, delle camere CCD) verificatosi nei primi

del 1900, è stato possibile estrarre una quantità sempre maggiore di

informazioni dalla radiazione stellare, raccolta da telescopi sempre più

potenti (e capaci, altresì, di estendere l’intervallo di lunghezza d’onda

esplorato al di là della banda ottica). Ciò, unitamente alle nuove conoscenze

teoriche, maturate negli stessi anni, ha permesso un interpretazione

sistematica e coerente della radiazione luminosa proveniente dalle stelle (sia

nel continuo che nella struttura a righe di assorbimento degli spettri stellari)

e lo sviluppo dei primi tentativi di modellizzazione degli interni e delle

atmosfere stellari.

Da un’analisi dell’intensità delle righe si risale, in primo luogo, alla

temperatura stellare.

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L’inviluppo delle righe spettrali dei vari elementi forma lo spettro stellare,

ma le diverse righe appaiono con intensità diverse a seconda della

temperatura della stella, dipendendo dalle distribuzioni di Boltzmann e Saha

per l’eccitazione e la ionizzazione degli atomi fotosferici. Con un’analisi

fine si può anche risalire all’abbondanza dei singoli elementi e quindi

ricostruire la composizione chimica. Applicando tutto ciò all’analisi degli

spettri di stelle di colore diverso, otteniamo una classificazione stellare in

funzione della temperatura e quindi anche una correlazione tra questa e i

colori.

Questa classificazione, ottenuta ad Harvard nel 1905, divide gli spettri in

“tipi spettrali” distinti da lettere dell’alfabeto. Ciascun tipo poi è stato

suddiviso in 10 sottotipi contraddistinti da una cifra da 0 a 9. In ordine di

temperatura decrescente (e colore dal blu al rosso), i tipi spettrali sono:

O B A F G K M.

Le stelle rosse (K, M) hanno una temperatura superficiale relativamente

bassa (tra 4500 e 2500 ), le azzurre (O, B) temperature assai elevate

(50000 – 20000 ). Le stelle bianche (A) stanno tra 15000 e 9000 circa; le

stelle gialle e arancione (F, G) hanno temperature tra 9000 e 5000 gradi. Il

Sole (classificato come una stella di tipo G2) ha una temperatura superficiale

“efficace” di 5780 .

L’interpretazione dei colori stellari è data dalla distribuzione di Planck;

anche secondo la semplice approssimazione di Wien, il massimo della

radiazione irraggiata da un corpo caldo cade a una lunghezza d’onda tanto

più corta quanto più alta è la sua temperatura.

Nel 1916 Hertzsprung e Russel mostrarono che la classificazione sopra

descritta è incompleta, e che le stelle possono essere classificate in forma bi-

parametrica (vedi paragrafo successivo), usando anche la loro luminosità.

Questo portò a definire “classi di luminosità” indicate per convenzione con i

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numeri romani. Il Sole è di classe V, caratteristica delle stelle che stanno

facendo la combustione dell’idrogeno.

Per misurare la luminosità vera di una stella è necessario correggere lo

splendore apparente misurabile al telescopio per la distanza. Poiché le stelle

ci appaiono come puntiformi, esse emettono onde sferiche, la cui intensità

decresce con il quadrato della distanza. Dato che l’intensità può variare,

come menzionato, di molti ordini di grandezza, se ne effettua una misura

logaritmica, chiamata magnitudine. Essa è definita a meno di una costante

additiva ed è moltiplicata per un fattore di calibrazione (che vale -2.5).

Questa tecnica permise una interpretazione quantitativa delle classificazioni

visuali antiche (usate a partire da Ipparco). In esse le stelle visibili erano

raggruppate secondo la loro “grandezza” (magnitudine); “prima grandezza”

indicava una stella molto luminosa, mentre la “sesta grandezza”

rappresentava il limite della visibilità. Il segno negativo della costante

moltiplicativa discende di qui.

La misura della distanza delle stelle è in assoluto la più difficile in

Astronomia, non essendo a priori determinabile dalla osservazione diretta.

Le principali unità di misura in cui le distanze vengono espresse sono l’unità

astronomica, l’anno luce, il parsec o i suoi multipli (Kiloparsec,

Megaparsec).

L’unità astronomica corrisponde alla distanza media tra la Terra e il Sole ed

equivale a 149000000 circa.

L’anno luce (ly) equivale alla distanza percorsa in un anno della luce, che

nel vuoto è pari a circa 9.500 miliardi di Km.

Il Parsec (pc) corrisponde alla distanza dalla Terra di una stella che avesse

una “parallasse” (angolo sotto cui è vista dalla stella la distanza Terra-Sole)

di 1 secondo d’arco (una frazione pari ad una parte su 206265 di un

radiante). Il parsec quindi corrisponde a circa duecentomila unità

astronomiche, o anche a 3.26 anni luce.

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Figura 1.1 Righe spettrali

1.2 DIAGRAMMA H-R

Figura 1.2 Diagramma H-R

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All’inizio del XX secolo gli astronomi Ejnar Hertzprung (danese), e Henry

N. Russell (statunitense) proposero il diagramma che illustra la relazione tra

temperatura e luminosità delle stelle.

Il diagramma H-R è uno strumento che costituisce un metodo per

classificare le stelle in forma bi-parametrica. La possibilità di una simile

rappresentazione è legata al fatto che l’equilibrio di una massa gassosa sotto

l’azione della gravità può essere descritto da equazioni in cui tutte le

variabili possono essere determinate se si fissano due parametri (per esempio

pressione e densità centrali, oppure luminosità e temperatura superficiali).

Le stelle nel diagramma si ordinano in base alla temperatura superficiale (o

al colore, o al tipo spettrale) e alla loro magnitudine assoluta (o alla

luminosità). Ponendo in ascissa i tipi spettrali o la temperatura superficiale

in senso decrescente e in ordinata la magnitudine assoluta decrescente

(luminosità crescente), la maggior parte delle stelle si pone lungo la

diagonale del diagramma detta Sequenza Principale.

Molte altre stelle si collocano in alto a destra rispetto alla sequenza

principale e sono dette “giganti rosse”. Ancora più in alto troviamo le stelle

supergiganti. Questi nomi dipendono dal fatto che le curve che definiscono

oggetti di pari raggio hanno coefficiente angolare positivo: in basso a destra

si trovano i raggi minori, muovendosi verso sinistra e verso l’alto i raggi

aumentano.

Nella parte bassa del diagramma, si raggruppa una piccola quantità di stelle,

dette nane bianche: esse sono i residui compatti (condensati di Fermi)

lasciati dalle stelle ordinarie al termine della loro evoluzione.

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CAPITOLO 2. GENERAZIONE DI ENERGIA

E FASI EVOLUTIVE

2.1 LA SORGENTE DELL’ENERGIA

In passato l’origine dell’energia irradiata da una stella e in particolare dal

sole è stata attribuita a varie cause, soprattutto a processi chimici ed al

graduale consumo di energia gravitazionale.

Il vero processo che fornisce una spiegazione quantitativamente accettabile

della luminosità del sole è oggi noto: si tratta della fusione di quattro protoni

in un nucleo di elio.

2.1.1 Ipotesi Chimica

Prendiamo come esempio le reazioni chimiche esotermiche del Carbonio

(C+O₂→ CO₂) e supponiamo che la massa solare sia costituita da 1/3 di

carbonio e 2/3 di ossigeno (all’incirca il rapporto trovato nei meteoriti).

Poiché 1g di Carbonio, bruciando, può fornire circa erg, il Sole

potrebbe fornire un’energia totale

E =

Tenuto conto della luminosità del Sole, pari a L erg/s, il Sole

avrebbe una durata

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Il valore ottenuto è troppo piccolo rispetto all’età del Sole, nota da dati

geologici sulle rocce terrestri e lunari, pari a anni.

2.1.2 Ipotesi gravitazionale

L’energia gravitazionale di un astro, nell’ipotesi di densità costante (o

usando una media opportuna della densità stessa), è data da :

Per il Sole sappiamo che :

Usando i dati sopra elencati nella formula trovata per otteniamo:

J.

Secondo il teorema del Viriale, enunciato da Poincaré nel 1900,

all’equilibrio una massa gassosa sotto l’azione della gravità è caratterizzata

dalla relazione:

dove U è l’energia interna quella gravitazionale (per una versione più

completa del teorema si veda la sezione 3.1). Metà dell’energia

gravitazionale va perciò a riscaldare il gas (garantendo il valore di U), l’altra

può essere irradiata. Assumendo che essa garantisca la vita del Sole,

venendo irradiata con la potenza oggi osservata (pari alla luminosità L), la

durata del periodo di attività del Sole dovrebbe essere dell’ordine di:

anni

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Questo è il valore che Kelvin e Helmoholtz derivarono alla fine del XIX

secolo e che quindi prende il loro nome. Tuttavia anch’esso è troppo piccolo

rispetto all’età delle rocce ( anni) e perciò nemmeno l’energia

gravitazionale può spiegare la luminosità del Sole osservata.

2.1.3 Ipotesi Nucleare

Una stella come il Sole può rimanere in una situazione di equilibrio

energetico per circa 1010

anni. I principali processi attraverso cui la fusione

dell’idrogeno avviene nel centro, formando l’elio, sono riassunti nelle Figure

2.1 e 2.2.

Nel primo di essi (detto catena p-p) due protoni liberi (o atomi di H

ionizzato) si incontrano, superando la barriera repulsiva dovuta alla carica

elettrica. In teoria, un nucleo con due protoni eventualmente formatosi

dovrebbe chiamarsi elio, e sarebbe l’2He; tuttavia questo isotopo non esiste

stabilmente in natura, sicché uno dei due protoni decade, emettendo un

positrone (o elettrone positivo) ed un neutrino e trasformandosi in un

neutrone. Il nucleo formato comprende allora un protone ed un neutrone ed è

l’isotopo pesante dell’idrogeno, chiamato deuterio (2D). La reazione ora

descritta comporta quindi un decadimento radioattivo (regolato dalle

interazioni deboli) oltre che una fusione nucleare (regolata dalle interazioni

forti). Nelle condizioni fisiche solari, l’interazione debole in questione,

chiamata “decadimento beta inverso” (e che prevede la rottura di un protone

nel nucleo composto formatosi, con formazione di un neutrone e con la

liberazione di un elettrone positivo e di un neutrino) è assai poco efficiente,

perciò la prima reazione di Figura 3a è anche la più lenta e la sua lentezza

spiega i lunghi tempi-scala dell’evoluzione stellare sulla sequenza principale.

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Figura 2.1 Catena p-p

Il deuterio formato reagisce poi molto più velocemente con un altro protone,

dando così origine all’3He. Due nuclei di

3He possono infine fondersi

producendo 4He e due protoni, a temperatura di circa .

II processo finora descritto richiede soltanto la presenza di protoni; esso è

perciò l’unico che abbia potuto realizzarsi nelle stelle più vecchie, formatesi

all’inizio della vita delle galassie. Infatti durante il Big Bang la nucleosintesi

degli elementi non poté procedere molto, a causa della rapida diminuzione

della temperatura, e solo circa i 2/3 dell’He e una certa quantità di Li, Be e B

furono sintetizzati.

Le prime stelle dovettero perciò essere composte di H e He, senza tracce di

elementi pesanti. Nelle generazioni stellari successive, invece, la presenza di

scorie di C, N ed O (circa l’1% nel Sole) può dare avvio al ciclo illustrato nella

Figura 3b), in cui gli elementi suddetti fungono da catalizzatori. In questo

ciclo, che inizia dal 12

C, la reazione più lenta è la quarta [14N(p,γ)

15O], sicché

l’azoto si accumula e, durante la combustione dell’H, le tracce di C e O

inizialmente presenti si trasformano in azoto in modo pressoché completo.

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Figura 2.2 Ciclo CNO

Per il ciclo CNO la dipendenza dalla temperatura è molto più ripida che per

la catena p-p. Lo stesso vale per il tasso di produzione energetica dai due

processi (Ep-p ed ECNO). Come mostra la Figura 2.3, esiste una temperatura T0

per la quale i due processi hanno all’incirca la stessa efficienza: essa

corrisponde a stelle leggermente più massicce del Sole. Per stelle di massa più

alta (con T centrali maggiori) prevale il ciclo CNO, per stelle di massa più

piccola (come il Sole) prevale la catena p-p.

Figura 2.3 La produzione di energia dalla catena p-p e dal ciclo CNO

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2.2 FASI EVOLUTIVE

Dopo il chiarimento della generazione di energia, fu possibile riconoscere

che l’evoluzione delle stelle avviene mediante il passaggio ripetuto

attraverso lunghe fasi di equilibrio o quasi-equilibrio e brevi periodi di

instabilità, riassumibili come segue.

2.2.1 Fasi termonucleari di equilibrio

Si tratta di fasi in cui l’irraggiamento stellare è sostenuto dalla produzione di

energia termonucleare nelle regioni centrali con alta temperatura (T ≥

).

Si può valutare la durata di queste fasi considerando che le trasformazioni

nucleari liberano tipicamente energie dell’ordine di Mc2.

In prima approssimazione, sempre considerando il Sole, si ottiene:

.

Si tratta quindi di fasi estremamente lunghe, capaci di giustificare l’età delle

rocce.

2.2.2 Fase di contrazione in quasi – equilibrio

Nelle fasi in cui le temperature centrali non permettono combustioni

termonucleari, le stelle tendono a raffreddarsi per le perdite radiative. Il

Teorema del Viriale ci permette di valutare che si può arrivare a nuove

configurazioni con maggiore temperatura centrale attraverso configurazioni

di quasi equilibrio in tempi di Kelvin-Helmoholtz (K-H).

I tempi di contrazione di K-H sono brevi e rappresentano fasi evolutive che

coprono intervalli tra combustioni termonucleari successive in quanto

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consentono di aumentare la temperatura nelle regioni centrali, fino a

raggiungere le temperature di innesco delle nuove reazioni.

2.2.3 Fasi dinamiche di caduta libera

Quando la pressione stellare non mantiene lo stato di quasi equilibrio e la

stella non può perciò sorreggersi contro la gravità, la dinamica prende il

sopravvento e non sono possibili soluzioni di equilibrio. La stella collasserà

e i tempi-scala saranno molto brevi. Per vederlo basta considerare che

l’equazione del moto di una sfera di gas sotto l’azione della gravità può

scriversi:

Se non fa in tempo a svilupparsi un gradiente di pressione si avrà:

L’equazione allora diventa:

con:

se i valori col suffisso “0” rappresentano lo stato iniziale. Si ha allora:

con:

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Se a t=0 la sfera era ferma,

; sostituendo

e

ottengo:

Effettuando l’ulteriore sostituzione: :

Ora, a , e ; quindi ottengo:

Il tempo di caduta libera si ha quando r=0 (

)

Inserendo la densità media del sole 1 g, si ottiene:

min

Si intuisce quindi come solo le assai più lunghe fasi termonucleari o di

quasi-equilibrio corrispondano a stelle realmente osservabili, perché quelle

di contrazione sono troppo rapide.

Le fasi di collasso non possono essere trattate con sequenze di modelli

quasi-stazionari, ma con calcoli che introducono la dinamica (come visto

sopra in modo semplificato). In generale una trattazione completa include

equazioni differenziali alle derivate parziali nel tempo t e nelle tre coordinate

spaziali, risolvibili con simulazioni numeriche fluidodinamiche.

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CAPITOLO 3. CENNI DI EVOLUZIONE STELLARE

3.1 INTRODUZIONE

Analizzando la posizione che le stelle occupano nel diagramma H-R,

abbiamo notato che le stelle presentano proprietà assai diverse per quanto

riguarda temperatura superficiale, luminosità e raggio. Per studiare la loro

struttura e l’evoluzione che esse subiscono nel tempo, dobbiamo però

cercare quelle proprietà che tutte le stelle hanno in comune; in particolare

non possiamo accorgerci nel breve corso della nostra esistenza che una stella

invecchia.

L’evoluzione di una stella avviene in tempi lunghissimi non solo rispetto alla

vita umana, ma anche a quella di tutta la storia dell’umanità.

Figura 3.1 La Nebulosa Planetaria detta “Egg Nebula” (nebulosa a uovo).

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Il primo passo per la formazione di una stella è l’addensamento del gas

interstellare in nubi molecolari relativamente dense (

e fredde ( , che presentano locali concentrazioni di densità

denominate “cloud-cores”. Tali addensamenti sono determinati da varie

cause, senza le quali la gravità sarebbe insufficiente a generare la stella. Tra

queste cause ci sono: la diffusione magnetica, variazioni locali della

pressione esterna, radiazioni ultraviolette provenienti da oggetti caldi.

Per lo più queste condizioni si realizzano nei bracci a spirale della Galassia.

Poiché la Galassia è stimata avere una massa di circa 100 miliardi di masse

solari in stelle e la sua età è di circa 14 miliardi di anni, ciò comporta che il

ritmo medio di formazione stellare è un po’ meno di 10 masse solari per

anno. Naturalmente nelle fasi iniziali tale ritmo può essere stato molto più

elevato perché era disponibile molto gas.

3.2 COLLASSO E FORMAZIONE DELLA PROTOSTELLA

L’evoluzione di una nube interstellare dipende dalla competizione fra la

forza gravitazionale che tende a farla contrarre e le forze interne (termica,

magnetica, centrifuga, più le forze dissipative) che le si oppongono. Come

abbiamo appena detto le nubi dense sono molto fredde, condizione ideale

perché la gravità abbia il sopravvento e possa dare inizio al collasso del gas.

Il fisico inglese J.Jeans fu il primo nel 1926 a porre le basi quantitative per

l’analisi di questo processo. Jeans dimostrò che una nube di data temperatura

e densità può subire il collasso gravitazionale solo se la sua massa supera un

certo valore critico, detto “massa di Jeans”.

Nubi grandi, dense e fredde si contraggono, mentre nubi piccole, di bassa

densità e calde si espandono.

Per capire meglio il metodo con cui la stella supera il valore della massa di

Jeans e perciò raggiunge l’equilibrio, vediamo una forma un po’ più

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quantitativa del Teorema del Viriale, che descrive l’addensarsi di un sistema

di n particelle. Essa è data da:

dove I è il momento di inerzia e l’energia interna è U

. Una

dimostrazione si trova ad esempio in: Bertotti et al. “Physics of the Solar

System”, Cambridge Univ. Press. L’energia gravitazionale è

con

.

All’equilibrio, quando , si ha la trasformazione di metà

dell’energia gravitazionale in energia interna: l’altra metà è disponibile per

alimentare gradi di libertà non termici e, in assenza di questi, può essere

dissipata per irraggiamento.

Figura 3.2 Traccia di Hayashi

La massa per cui si raggiunge questo equilibrio è la Massa di Jeans

, dove T è la temperatura espressa in gradi Kelvin e n è il numero

di particelle per cm3.

I meccanismi che innescano la instabilità gravitazionale e, quindi, la

contrazione, sono tuttora oggetto di indagine.

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Una delle ipotesi più accreditate viene attribuita al ruolo dei campi magnetici

che permeano la nube. Inizialmente il nucleo centrale sarebbe in equilibrio

perché la pressione magnetica bilancerebbe la forza gravitazionale: i campi

magnetici, tuttavia, lentamente decadrebbero, diffondendo verso l’esterno,

sicché a un certo punto si romperebbe l’equilibrio e avrebbe luogo il

collasso.

Un’altra ipotesi è che il collasso venga innescato da una compressione della

nube prodotta da un agente esterno, per esempio l’esplosione di una

supernova avvenuta nelle vicinanze.

Una volta iniziata la contrazione, la densità aumenta e, quindi, il valore della

massa di Jeans diminuisce: di conseguenza, la nube può spezzarsi in

frammenti, ciascuno dei quali collassa separatamente, dando origine a una

stella. Il collasso gravitazionale è un processo assai rapido, che si svolge sul

tempo di scala dinamico, (pari al tempo di KH per la nume

madre). L’oggetto che si forma prende il nome di Protostella.

Figura 3.3 IRAS 18.162-2.048, UNA PROTOSTELLA

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3.3 FASE DI PRE-SEQUENZA

Quando il collasso gravitazionale ha temine e la stella raggiunge una

configurazione di equilibrio idrostatico, il suo punto rappresentativo nel

diagramma H-R cade in quella che viene detta traccia di Hayashi. In seguito,

la stella continua a contrarsi, anche se più lentamente, sicché la sua

temperatura interna aumenta. Nel diagramma H-R essa percorre, a seconda

della sua massa, una delle tracce evolutive illustrate in figura (3.2), fino a

raggiungere la sequenza principale. Il suo punto rappresentativo si sposta

prima verso il basso (perché il suo raggio e, quindi, la luminosità

diminuiscono) e poi verso sinistra e un po’ verso l’alto (perché la sua

temperatura cresce così fortemente da determinare un aumento di luminosità

nonostante il proseguimento della contrazione). La durata di questo periodo

evolutivo della stella, che prende il nome di fase di “pre-sequenza”, è

dell’ordine di tempo di scala di Kelvin-Helmholtz (che corrisponde al tempo

necessario perché l’energia potenziale gravitazionale sia convertita in

energia termica e la fusione nucleare possa avere inizio): essa può andare da

meno di anni per le stelle più massicce ad alcune unità per

anni per quelle di massa più piccole.

Mentre la stella attraversa la fase di pre-sequenza, la sua struttura cambia.

Inizialmente, quando si trova sulla traccia di Hayashi, essa è interamente

convettiva perché, essendo ancora abbastanza fredda, la sua opacità è

elevata; in seguito, col crescere della temperatura, l’opacità degli strati

interni diminuisce, sicché la stella sviluppa un nucleo radiativo, mantenendo

soltanto un mantello convettivo (ciò, tuttavia, non accade nelle stelle di

massa inferiore a , che rimangono interamente convettive).

Dal punto di vista osservativo, le stelle di pre-sequenza meglio studiate sono

quelle di massa più piccola (dell’ordine o inferiore alla massa del Sole),

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dette, dal prototipo delle classe, stelle di tipo T-Tauri, perché la loro

evoluzione è più lunga e le possibilità di osservazione sono maggiori.

Le caratteristiche spettrali di queste stelle suggeriscono che esse siano

circondate da dischi di gas e polvere, residui della nube primordiale. La loro

velocità di rotazione equatoriale (da circa 5 km al sec a oltre 50 Km al sec)

sono nettamente maggiori di quelle della stella di massa simile della

sequenza principale: ciò indica che nelle prime fasi di vita di una stella

intervengono meccanismi di frenamento (probabilmente legati allo sviluppo

di venti stellari molto intensi) che ne rallentano la rotazione.

Il valore che il gradiente di temperatura deve raggiungere e superare per dar

luogo alla convezione osservata nelle stelle sulla traccia di Hayashi è detto

valore critico di Scwarzschild. Quando esso viene raggiunto, il materiale ha

una elevata opacità, cioè assorbe fortemente la radiazione elettromagnetica,

determinando una rapida diminuzione della temperatura verso l’esterno e un

grande dispendio energetico per il trasporto del calore. In queste condizioni

tende allora a prevalere il trasporto termico per convezione. A T molto alta,

la materia è completamente ionizzata, assorbe con poca efficienza la

radiazione e il coefficiente di assorbimento è relativamente piccolo,

lasciando quindi prevalere l’equilibrio radiativo. Quando gli elettroni

cominciano a ricombinarsi a T più bassa, questo processo corrisponde ad un

cambiamento di stato a T costante; esso consuma molta energia, facendo

aumentare il coefficiente di assorbimento. Spesso è per questo motivo che si

innesca la convezione: alla base dell’inviluppo convettivo del Sole, per

esempio, si ha la prima ricombinazione dell’He. In generale, quindi,

all’interno di una stella si trovano sia strati in cui il trasporto di energia

avviene per irraggiamento (regioni radiative) che strati dove esso avviene

per convezione (regioni convettive). In alcune fasi della vita delle stelle può

anche accadere che essa sia totalmente convettiva (es. le protostelle) o

totalmente radiativa (certe stelle massicce in fasi avanzate).

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Stelle con masse minori di 0.5 masse solari restano sulla traccia di Hayashi

(sono cioè totalmente convettive) durante la loro fase di pre-sequenza

principale, agganciandosi alla sequenza principale nella parte bassa della

traccia di Hayashi. Per le stelle di massa maggiore di 0.5 masse solari la

traccia di Hayashi finisce ed inizia la traccia di Henyey, quando la

temperatura interna della stella diventa sufficientemente alta da far crollare

l’opacità centrale e far diventare il trasporto radiativo di energia molto più

efficiente del trasporto convettivo: la minima luminosità sulla traccia di

Hayashi per una stella di una data massa corrisponde perciò alla luminosità

più bassa alla quale la stella è ancora convettiva.

Il processo convettivo che avviene lungo la traccia di Hayashi ha come

conseguenza il raggiungimento di una composizione sufficientemente

omogenea della stella al momento in cui arriva nella fase di sequenza

principale (ZAMS, Zero-Age Main Sequence, sequenza principale d’età

zero).

Tabella 3.1 Tempi scala evolutivi nelle fasi di pre-sequenza principale. In

tabella sono riportati i tempi-scala caratteristici delle fasi iniziali evolutive

per stelle di massa diversa, a partire dalla traccia di Hayashi fino alla

sequenza principale.

Fase 15

Hayashi

Henyey -

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3.4 FASE DI SEQUENZA PRINCIPALE

3.4.1 Fase termonucleare della Sequenza Principale

La fase di Sequenza Principale del diagramma H-R corrisponde allo stadio

evolutivo in cui la sorgente di energia nelle stelle è la fusione dell’idrogeno,

l’elemento più abbondante nella materia cosmica. Durante questa fase le

stelle sono in equilibrio stabile, dato che l’energia fornita dalle reazioni

termonucleari mantiene la pressione al livello necessario per contrastare la

forza gravitazionale e impedire la contrazione. Le stelle trascorrono il 90%

della propria esistenza in questa fase.

Gli astronomi cominciano a chiamare “stella” un corpo celeste dal momento

in cui iniziano le reazioni termonucleari e il corpo è in equilibrio, cioè non è

più soggetto a contrazioni o espansioni fuori equilibrio.

Solo le stelle nell’intervallo possono rimanere in

equilibrio sulla Sequenza Principale. Stelle di massa maggiore non

raggiungono mai le temperature necessarie per l’innesco del processo e

proseguono nella fase di contrazione verso strutture di tipo planetario. Stelle

di massa maggiore risultano instabili a causa dell’elevata temperatura che

comporta una forte pressione di radiazione che rende instabile l’atmosfera.

3.4.2. Combustione dell’idrogeno: la catena p-p

Raggiunto quindi l’equilibrio idrostatico la protostella è animata da un

trasporto del calore di tipo convettivo e la superficie produce una luminosità

piuttosto elevata.

Una stella tipo il Sole nel diagramma H-R si muove verticalmente a

temperatura superficiale pressoché costante lungo la cosiddetto linea di

Hayashi e la sua luminosità decresce a causa della diminuzione

del raggio.

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Nel momento di arrivo sulla Sequenza Principale la stella si stabilisce sulla

linea di età zero ZAMS (Zero Age Main Sequence) per poi compiere piccole

escursioni sempre all’interno della sequenza principale stessa.

Solo quando la temperatura raggiunge circa i diventa efficiente il

canale di fusione di due protoni in un nucleo di deuterio. A circa

diventano efficienti anche la seconda e la terza reazione della catena p-p

1.44Mev

5.49Mev

12.85Mev

L’idrogeno allora inizia a consumarsi al centro trasformarsi in elio.

3.4.3 Il ciclo CNO

Il processo di combustione dell’idrogeno può, come detto, avvenire anche

tramite il ciclo CNO qui sotto illustrato.

(half-life of 9.965 minutes)

(half-life of 122.24 seconds)

In esso vi sono reazioni di diversa velocità che dipendono fortemente dalla

temperatura. Mentre solo la regione più interna e più calda della stella, il

nucleo, è adatta alla combustione completa dell’idrogeno, in zone più

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esterne possono mantenersi condizioni di combustione parziale, in cui solo

alcune delle reazioni (le più efficienti a bassa temperatura) sono attive.

Al di sotto di un limite di massa pari a circa , corrispondente ad una

temperatura centrale di 1 , prevale il meccanismo della catena p-p,

mentre per valori superiori è CNO a fornire il contributo maggiore alla

produzione di energia.

Figura 3.4 Andamento in funzione di T dell’energia prodotta nell’unità di

tempo dall’unità di massa del materiale per la catena p-p e per il ciclo CNO.

La dipendenza dalla temperatura della generazione di energia è molto

diversa per i due meccanismi di combustione: essa può essere approssimata

dalle relazioni:

Quando l’idrogeno è esaurito al centro del nucleo la stella si troverà alla

luminosità e alla temperatura massima per la sequenza principale; il punto

rappresentativo del diagramma H-R è chiamato turnoff o punto di svolta,

infatti esso è il punto in cui la stella lascia la sequenza principale e la sua

traccia evolutiva si volge verso destra in direzione delle giganti rosse.

La struttura interna della stella è ora cambiata. Vi è un nucleo di elio, un

sottile guscio di idrogeno nel quale avvengono reazioni nucleari con

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formazione di elio e produzione di energia e un più ampio inviluppo di

idrogeno. La pressione termica del gas diminuisce rapidamente e la forza

gravitazionale riprende il sopravvento ed inizia una nuova fase di

contrazione che aumenta i valori centrali di temperatura e densità.

L’idrogeno tuttavia non si è consumato del tutto ma ha spostato il suo raggio

di azione, continuando, come accennato, a consumarsi in un guscio sopra

alla zona di elio. L’energia liberata dalla combustione e dalla contrazione

centrale è depositata nell’inviluppo, il quale è obbligato ad espandersi e a

diventare convettivo per meglio trasportare la luminosità in eccesso:

l’inviluppo perciò diventa instabile e si espande penetrando nelle zone attive.

Si tratta della fase detta di “primo dredge-up”, perchè il materiale

all’interno, sottoposto a cambiamenti di composizione per reazioni nucleari,

può essere portato in superficie.

La stella porta materiale arricchito e si porta di nuovo sulla traccia di

Hayashi e quindi evolve lungo essa, aumentando la propria temperatura

grazie ad un aumento dell’attività della shell di idrogeno, mentre il nucleo si

contrae aumentando la densità: inizia ora la fase di gigante rossa (RGB, Red

Giant Brach).

3.5 LE GIGANTI ROSSE E LA COMBUSTIONE DELL’ELIO.

La varia in modo limitato lungo il ramo delle giganti rosse, mentre la

stella cresce in luminosità. Il nucleo di He invece, aumentato in massa dalla

combustione di H in shell, cresce di densità e temperatura, finché non si

raggiungono le condizioni per l’inizio della combustione dell’elio nel

nucleo.

Il comportamento successivo è discriminato dalla massa stellare, definendo

così varie fasi di evoluzione. Quando una stella esaurisce l’idrogeno, se ha

massa sufficientemente alta va incontro a una fase di contrazione che porta

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la temperatura centrale ad aumentare fino all’innesco della combustione

dell’elio. Se invece la massa è inferiore a circa , la contrazione del

nucleo viene ostacolata dalla pressione degli elettroni che degenerano da un

gas Maxwelliano a un condensato di Fermi.

Quando il nucleo raggiunge circa l’innesco di fusione dell’elio in

carbonio diventa inevitabile, ma avvenendo in un ambiente degenere esso

non comporta un aumento della pressione (che è determinata

sostanzialmente dagli elettroni degeneri, indipendenti da T) bensì soltanto

dalla temperatura dei nuclei.

Il valore di fu dimostrato da Schonberg e Chandrasekhar nel 1942

essere il limite superiore alla massa di un nucleo isotermo al di sopra del

quale non è possibile sorreggere la pressione degli strati sovrastanti la stella.

Il processo continua finché localmente non si raggiungono le condizioni per

rimuovere la degenerazione; a questo punto il nucleo si espande e

controbilancia il processo.

Quando la combustione dell’He si innesca in un nucleo degenere, essa è

esplosiva (Helium Flash) e genera una rapida oscillazione della stella. Si

ricordi che il nucleo degenere resta sempre di dimensioni ridottissime, infatti

le stelle giganti rosse sono sempre caratterizzate da un esteso e tenue

inviluppo ricco di idrogeno che circonda un nucleo molto piccolo e

massiccio.

Se una stella ha massa totale inferiore a , non potrà mai innescare la

fusione dell’elio: le stelle di questo tipo concluderanno la loro evoluzione

raffreddandosi sotto forma di nane bianche di elio. Durante la combustione

tutta la stella si sposta verso il blu. Al termine della combustione centrale

dell’elio, la traccia evolutiva continua lungo “il ramo asintotico delle

giganti”, o Asymptoic Giant Branch (AGB). Il punto rappresentativo della

stella nel diagramma H-R migra nuovamente verso l’alto e verso destra,

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avvicinando asintoticamente a quello che era il precedente ramo delle

giganti.

A quel punto la stella ha due shells attive, una di idrogeno e una di elio, al di

fuori del nucleo degenere ormai formato di carbonio e ossigeno.

Le stelle di massa compresa tra e vengono indicate col termine di

stelle di massa intermedie (IMS). Per esse l’elio si consuma nel nucleo senza

degenerazione, evitando così il flash. A e

si hanno

le condizioni per l’innesco del processo detto 3- (definito così perché

coinvolge tre nuclei di elio per creare il carbonio).

Il nucleo stellare si espande, la shell di idrogeno riduce la propria attività ma

resta la sorgente di energia dominante.

La fase di combustione dell’elio rappresenta la seconda fase più stabile

dell’evoluzione stellare.

Esaurito l’elio, il nucleo di carbonio-ossigeno è fortemente degenere e non

ospita reazioni nucleari; tuttavia al suo esterno si forma una shell dove

continua la combustione dell’elio.

Durante i processi fin qui descritti, la stella si sposta nel diagramma H-R,

dalla traccia di Hayashi, dove si trovava quando era alimentata solo dalla

shell di idrogeno, verso la zona delle alte temperature. Questa fase

corrisponde alla menzionata combustione centrale dell’elio. Quando questa è

terminata, le fasi AGB si accompagnano ad un ritorno sulla traccia di

Hayashi, seppure con temperatura leggermente maggiore.

Durante la combustione dell’He che precede la fase AGB le stelle occupano

una sequenza quasi orizzontale, che si estende dalle zone rosse a quelle blu

del diagramma; qui esse possono diventare dinamicamente instabili con

oscillazioni periodiche e perdita di massa: è il classico esempio delle

Cefeidi. Anche questo fenomeno, come la variazione delle dimensioni

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dell’inviluppo convettivo, è legato agli scambi di energia indotti dalla

ionizzazione dell’He alla base dell’inviluppo.

Per le stelle superiori a circa il ritorno alla traccia di Hayashi che porta

alle fasi AGB, comporta una espansione del bordo inferiore dell’inviluppo,

oltre il limite che era stato raggiunto dalla shell di H. Questo permette il

trasporto in superficie di prodotti della combustione con un cambiamento

delle abbondanze chimiche superficiali; in particolare, si ha un aumento

dell’elio e dell’azoto in superficie.

3.6 IL BRACCIO ASINTOTICO DELLE GIGANTI (AGB)

Il ramo asintotico delle giganti è stato definito come una regione del

diagramma H-R popolata da stelle di massa piccola o intermedia che

consumano elio e idrogeno in due shells esterne al nucleo degenere

composto di carbonio e ossigeno. La temperatura del nucleo è intorno a

e la densità vicina a

ma successivamente decresce

per creazione di coppie. La temperatura massima è quindi sulla shell di elio.

L’attività della shell di elio è intermittente perché il gas è al limite di

degenerazione elettronica e per riaccendere ogni volta la shell di elio occorre

eliminare la degenerazione con una contrazione dovuta al fatto che il guscio

viene continuamente arricchito dalla sovrastante shell di idrogeno.

Si ha un aumento di luminosità e questo genera una combustione instabile e

avviene un flash, che comporta una espansione e una nuova fase di

degenerazione: questo ciclo si ha con intervalli di qualche migliaia di anni.

L’azione alternata delle due shells è di trasformare progressivamente

idrogeno in elio ed elio in carbonio e ossigeno; questi prodotti vanno ad

accrescere la massa del nucleo degenere finché la massa dell’inviluppo non

è stata totalmente consumata.

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Nelle instabilità si sviluppano correnti convettive intermedie che generano il

“terzo dredge-up”. In queste condizioni altro materiale viene portato in

superficie e costituisce un prezioso aiuto nello studio dei processi della

stella. Vediamo nel prossimo capitolo con un po’ più di dettaglio le fasi

AGB che sono l’ambiente nel quale calcoleremo la produzione degli isotopi

radioattivi identificati nel Sistema Solare iniziale.

3.7 LE FASI EVOLUTIVE FINALI DELLE STELLE MASSICCE

Contrariamente alle stelle di piccola ( ) e media massa (

) che evolvono verso lo stadio di nane bianche, le stelle di grande

massa consumano in successione elementi sempre più pesanti fino al ferro,

in una struttura a cipolla caratterizzata da shells termonucleari, dove

avvicinandosi al centro si innesca la combustione dei nuclei sempre più

pesanti. Al termine delle fasi idrostatiche vanno incontro ad un collasso

violento con successiva espulsione dell’inviluppo; si tratta dell’evento della

supernova; il nucleo centrale, se sopravvive, forma una stella di neutroni o

un buco nero. In realtà esistono configurazioni stabili con raggi molto minori

e densità molto maggiori delle nane bianche.

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Figura 3.5 La galassia M100, con il “residuo” dell’esplosione della

supernova SN1979C, a circa cinquanta milioni di anni luce dalla Terra. I dati

raccolti da Chandra e da diversi altri strumenti ci mostrano una sorgente di

raggi X che è rimasta praticamente immutata durante il periodo di

osservazione che va dal 1995 al 2007. Questo fa pensare che il buco nero sia

alimentato, o da materiale in caduta verso di esso proveniente dalla

supernova, oppure da una stella binaria compagna.

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CAPITOLO 4. LA NUCLEOSINTESI DA CATTURE

p, n & IN FASI AGB

4.1 L’EVOLUZIONE LUNGO L’AGB E IL TERZO “DREDGE-UP”.

Le stelle lungo il braccio orizzontale presentano, a partire dal centro, un

nucleo convettivo in cui avviene la combustione dell’He, circondato da una

zona di He incombusto, poi da una shell di combustione dell’H e quindi

da un inviluppo convettivo ricco di H.

Il nucleo di He cresce in massa a seguito dell’avanzare della shell di H; nel

frattempo, la combustione centrale dell’He porta alla formazione di un

nucleo C-O. La crescita di quest’ultimo determina nuovamente, alla fine

della combustione centrale di He, un forte aumento della densità, oltre il

limite della degenerazione elettronica. L’energia del nucleo viene allora

persa efficientemente mediante un flusso di neutrini, perciò dopo

l’“helium-burning” il massimo di temperatura si sposta gradualmente

all’esterno, subito oltre il nucleo di C-O, dove l’He continua a bruciare in

una shell che diventa via via più efficiente.

A causa di ciò, il flusso di energia aumenta: per irraggiarlo, la stella si

espande ed estende anche verso il basso il proprio inviluppo convettivo,

mentre la shell di H si spegne perché spinta verso l’esterno, dove la

temperatura è più bassa. La stella si riporta verso la traccia di Hayashi una

seconda volta, finchè la shell di H si riaccende e diventa la sorgente di

energia dominante: la stella percorre allora il “ramo asintotico delle

giganti” (in inglese Asymptotic Giant Branch, o AGB).

Per le stelle di massa intermedia, durante l’avvicinamento all’AGB

(detto anche ‘Early-AGB’, o E-AGB), il raffreddamento e l’espansione

dello strato inerte di He, che interrompono la combustione dell’idrogeno in

shell, rendono i moti convettivi dell’inviluppo tanto efficaci da penetrare

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oltre la discontinuità H-He portando in superficie i prodotti di bruciamento

dell’H, prevalentemente 4He e

14N. Avviene allora un nuovo fenomeno

osservabile di cambiamento delle abbondanze superficiali (il secondo

dredge-up).

Figura 4.1 Primo e secondo dredge-up

Contemporaneamente, dell’idrogeno “fresco” presente in superficie è

riportato in profondità dai moti convettivi; questo rigenera, nelle zone

interne, il combustibile bruciato, sicché la discontinuità H-He si sposta

più in basso, dove la temperatura è maggiore, facilitando la riaccensione

della shell di H. Al termine della fase di E-AGB la struttura stellare è perciò

caratterizzata da un nucleo degenere di C e O, circondato da due shells (una

di He e l’altra di H) separate da uno strato sottile di He in equilibrio

radiativo. Proprio la presenza di un nucleo degenere rende questa

configurazione fortemente instabile. Mentre la shell di H brucia, quella di

He è inattiva e la massa di He tra le due aumenta acquistando maggiore

densità e temperatura; questo porta, in alcune decine di migliaia di anni,

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ad un innesco forzato della combustione dell’He, in condizioni semi-

esplosive (“Thermal Pulse” o “pulso termico”: si parla anche della fase

di “TP-AGB” per indicare tale processo).

L’equilibrio radiativo della zona inter-shell viene meno e si creano moti

convettivi, che trasportano i prodotti delle reazioni dell’He fino

all’interfaccia con l’H, arricchendo tutto lo strato intermedio di 12

C e 22

Ne,

che possono subire catture di particelle α. Quest’ultimo fatto determina la

produzione di neutroni attraverso reazioni (α,n), specie 13C(α,n)

16O la

22Ne(α,n)

25Mg, e contribuisce ai processi della nucleosintesi da catture

neutroniche lente (o “s”, dall’inglese “slow”). La stella intanto riorganizza la

sua struttura espandendosi, per irraggiare l’energia prodotta dalla shell di

He. Questa espansione raffredda l’interfaccia H-He, interrompendo la

combustione dell’H e i moti convettivi tra le shells.

Quando la shell di He è tanto estesa e fredda che le reazioni nucleari si

interrompono, tutta la struttura torna a contrarsi, scaldandosi e determinando

una nuova accensione della shell di H che torna ad alimentare la stella, fino

al pulso termico successivo. Questo processo si ripete più volte durante la

fase di TP-AGB. Iben (1977) mostrò che durante la fase di instabilità una

barriera di entropia separa l’He inter-shell dall’inviluppo, evitando che i

mescolamenti convettivi intermedi dei pulsi termici penetrino la shell di H e

portino idrogeno a contatto con zone dove l’elio sta bruciando. L’eccesso di

entropia si sposta poi verso l’esterno, l’instabilità convettiva si esaurisce e si

ha il menzionato raffreddamento, con espansione dell’inviluppo.

Quando il sistema si rilassa, e la stella si contrae di nuovo, la barriera di

entropia è assente e i moti convettivi dell’inviluppo penetrano la

discontinuità H-He, mentre la shell di H è inattiva. Quando le zone

convettive più esterne penetrano nella zona intermedia tra le shells ha luogo

una nuova mescolamento in superficie di prodotti della nucleosintesi, che

modifica le abbondanze superficiali: si tratta del terzo dredge-up (TDU),

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durante il quale la fotosfera si arricchisce di prodotti del bruciamento di H ed

He (specie carbonio e elementi s). Si possono così formare le stelle al

carbonio, caratterizzate da un rapporto C/O > 1 in superficie: esse sono la

fonte principale della produzione del carbonio. Durante il fenomeno di

rimescolamento, protoni sono ingeriti dalla shell di He grazie a fenomeni

diffusivi alla base dell’inviluppo convettivo durante il terzo dredge-up:

l’iniezione di protoni nelle regioni interne arricchite di 12

C durante il pulso

precedente permette la formazione locale di una riserva di 13

C. Quest’ultima,

quando si ha la riaccensione della shell di H, consente l’innesco della

reazione 13C(α,n)

16O e l’instaurarsi di nuove catture protoniche. E' dalla

cattura α sul 13

C che si generano, in effetti, i più intensi flussi di neutroni,

capaci di spiegare le abbondanze cosmiche di circa il 50% dei nuclei tra Fe e

Pb, mediante catture neutroniche lente.

Per le stelle di massa intermedia, infine, la base dell’inviluppo convettivo è

sufficientemente calda da innescare direttamente nell’inviluppo parziali

catture protoniche, modificando ulteriormente le abbondanze superficiali di

12C (che diminuisce) e di

14N e

13C (che crescono); questo processo, che è

forse la principale fonte di produzione dell’azoto nella Galassia, è noto come

“hot-bottom burning”.

Un altro aspetto significativo dell’evoluzione delle AGB è la perdita di

massa (mass-loss) attraverso i venti stellari. Dopo la combustione centrale di

He, la pressione di radiazione dall’inviluppo va crescendo e la sua azione sui

materiali solidi che si stanno formando nell’inviluppo circumstellare dà

luogo ad un effetto-vela che spinge via la polvere; quest’ultima trascina il

gas con sé in un fenomeno complessivo di perdita di massa. Durante l’AGB

poi, al disopra di un certo ritmo di crescita in luminosità e raggio, il

“sistema-stella” diventa particolarmente instabile perché la pressione della

radiazione diventa così alta da poter efficientemente spazzar via direttamente

il gas; si hanno allora venti molto forti (“super-wind”), che espellono ciò

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che resta dell’inviluppo ricco di H, lasciando il nucleo di CO e gli strati di

He, che poi evolvono in una nana bianca. Inizialmente l’innesco di queste

fasi finali di perdita di massa è schermato, in luce visibile, dalla grande

profondità ottica del materiale espulso, che forma un inviluppo di polveri

fredde. Tuttavia, a mano a mano che le zone interne, prossime alle shells

nucleari, vengono esposte, la superficie stellare si riscalda abbastanza da

ionizzare, in tutto o in parte, l’inviluppo di gas e polveri e formare così

estese nebulose brillanti, chiamate “nebulose planetarie”. Nella cosiddetta

fase di post-AGB il nucleo della nebulosa evolve prima verso il blu (mano a

mano che emergono le zone calde); poi la riduzione della massa estingue le

reazioni nucleari nelle shells di H e He, il nucleo elettronicamente degenere

irraggia la propria energia termica residua (il gas di nuclei è ancora

Maxwelliano) raffreddandosi e la stella perde luminosità, scendendo lungo

la sequenza di raffreddamento delle nane bianche.

Poiché l’equilibrio di una massa degenere è particolarmente semplice, la

sequenza di raffreddamento teorica e la sua durata dipendono da pochi

parametri, in particolare dalla massa e dalla composizione del nucleo

stellare: essa può quindi essere usata, previo calibrazione dalle osservazioni,

per ricavare l’età dei sistemi stellari più antichi, in cui abbondano le nane

bianche. Questo è uno dei metodi più importanti per stimare l’età

complessiva della galassia.

Dal punto di vista osservativo le nebulose planetarie integrano quanto

mostrato direttamente dalle stelle AGB. Per esempio, un gruppo di nebulose

planetarie note come di “I tipo” (circa 1/4 del totale) furono mostrate, da

Peimbert, essere particolarmente ricche di N (N/O ≈ 1.2) e contenere

modesti arricchimenti di He e C (per nane bianche e nebulose planetarie

ordinarie l’arricchimento di 12

C è C/O ≈ 1.2). Esse potrebbero derivare da

stelle AGB particolarmente massicce (quindi di età breve e di difficile

osservazione diretta) ed essere il risultato della combinazione di primo e

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terzo dredge-up con i processi di hot-bottom burning. Altre nebulose

planetarie sono ricche di carbonio: esse discenderebbero dalle stelle al

carbonio; entrambe le classi di oggetti sono comuni nelle regioni a bassa

metallicità (cioè dove è piccola la presenza di elementi diversi da H e He),

come è da attendersi, poiché la scarsità di O rende più facile per il terzo

dredge-up far raggiungere alla stella la condizione C/O>1.

Un’ultima conseguenza del terzo dredge-up è la comparsa di abbondanze

cospicue di Li sulla superficie stellare. Questo, facilmente distrutto

nell’evoluzione precedente, potrebbe essere prodotto durante l’AGB

attraverso la cattura elettronica sul 7Be, il quale è prodotto dalla reazione:

3He +

4He →

7Be

4.2 IL TERZO DREDGE-UP E LE CATTURE NEUTRONICHE

4.2.1 Mescolamenti convettivi e perdite di massa

La figura 4.2 mostra, a titolo di esempio, il modello di una stella AGB di

e metallicità (composizione in elementi pesanti) solare proposta da

Straniero e al.(1997). In questo caso il mass-loss è stato approssimato

secondo la stima analitica di Reimers (1975) come:

, dove la costante

arbitraria di proporzionalità η è stata considerato pari a 1.5.

Nella figura sono mostrate le posizioni in massa delle shells di idrogeno

( ) e elio ( ), nonché quella del bordo dell’inviluppo convettivo ( ),

tra il 17-esimo e il 32-esimo pulso. Solo grazie ai modelli più recenti è stato

possibile confermare l’esistenza di questi TDU, ed è stato trovato che la

massa iniziale minima affinché essi possano avvenire è di circa 1.2-1.5

(per una composizione solare).

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Figura 4.2 L’evoluzione nel tempo della posizione delle shells nucleari e

dell’inviluppo in una stella AGB.

E’ stato osservato che i fenomeni di TDU hanno origine solo dopo alcuni

pulsi termici (generalmente 9-11) e terminano quando ancora le combustioni

di H e di He in shell sono attive e la massa dell’inviluppo è scesa ad un

limite critico di circa 0.5 (Straniero et al. 1997). I mescolamenti inoltre

risultano fortemente influenzati dal contenuto di metalli della stella,

aumentando in efficienza al decrescere di [Fe/H].

Il quadro generale dei fenomeni che avvengono nelle zone interne della fase

TP-AGB, è ben rappresentato in figura 4.3, dove sull’asse delle ascisse è

riportato il tempo e su quello delle ordinate la massa.

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Figura 4.3 Rappresentazione della inter-shell di He durante un interpulso.

4.2.2 La catture neutroniche

Le principali sorgenti neutroniche necessarie al compimento della

nucleosintesi dei processi s sono individuate da:

13C(α,n)

16O introdotta da Cameron (1954, 1957) e Greenstein (1954) e

22Ne(α,n)

25Mg, suggerita da Cameron nel 1960 a da Burbidge et al. (1957).

La sorgente 13C(α,n). Questa reazione è stata oggetto di un numero

consistente di studi, sulle stelle AGB di differenti tipi spettrali, che hanno

mostrato come l’andamento delle abbondanze degli elementi s possa essere

riprodotto solo se la reazione di cattura (α,n) sul 13

C fornisce la maggior

parte del flusso neutronico, a basse densità di neutroni (nn < 107

cm-3), con

temperature relativamente basse (T = 108 K) e su lungi tempi scala (decine

di migliaia di anni).

Perché questo evento si verifichi è però necessaria una penetrazione diretta

di una piccola quantità di protoni dell’inviluppo nell’He inter-shell, in

ciascun TDU.

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In tal modo infatti, durante l’interpulso, la regione ricca di 12

C, dove i

protoni (idrogeno) penetrano, si scalda per effetto della riaccensione dell’H

shell sovrastante ed avviene la seguente catena di reazioni, che consuma

tutto l’idrogeno entrato:

12C(p,γ)

13N(β

+ν)

13C

con un parziale contributo della reazione: 13C(p,γ)

14N

Il 13

C e l’14

N prodotti formano due sottili strati (13

C pocket e 14

N pocket )

come raffigurato in fig.1.14. Successivamente, quando la temperatura supera

i , la sorgente neutronica 13C(α,n)

16O si attiva, rilasciando i neutroni

necessari per le catture neutroniche. Nel modello proposto nel 1995 da

Straniero et al. si mostra che il 13

C viene completamente consumato

radiativamente durante l’interpulso: in questo modo i neutroni sono sia

rilasciati sia catturati localmente a temperature più basse di quelle tipiche di

un pulso convettivo, con una densità neutronica risultante bassa < 107 n/cm

3.

Recenti studi sui processi s assumono che la quantità di protoni penetrata sia

dell’ordine di , sufficiente per una buona spiegazione delle

osservazioni sulle stelle AGB. Rimane tuttavia da trovare un modello fisico

completo del mescolamento. Il problema sta proprio nella quantità di protoni

mescolati nella regione ricca di 12

C. Infatti se i protoni fossero troppo

abbondanti, dopo la produzione del 13

C desiderato ne rimarrebbero

abbastanza da essere catturati dallo stesso 13

C per produrre una quantità

rilevante di 14

N, chiudendo il ciclo CN. Poiché 14

N è un grande assorbitore

di neutroni, esso impedirebbe allora una efficiente nucleosintesi dei nuclei

pesanti; diventa essenziale che la quantità di protoni presenti sia limitata.

La sorgente 22

Ne(α,n). Il 22

Ne è prodotto naturalmente nella inter-shell di

He dalla conversione dei nuclei formati dal ciclo CNO prima in 14

N (nell’H-

shell) e poi in 22

Ne (nell’inter-shell all’inizio del TP), attraverso la catena

di reazioni:

14N(α,γ)

18F(β

+,ν)

18O(α,γ)

22Ne

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A differenza dei neutroni dovuti al 13

C, quelli dovuti al 22

Ne hanno una

densità ab b as t a nza elevata, . Anche se il fenomeno è

breve e il numero totale di neutroni rilasciato non è elevatissimo, l’alta

densità neutronica permette modifiche significative nelle abbondanze di

diversi nuclei a maggior contenuto di neutroni; poiché l’attivazione della

sorgente 22

Ne richiede temperature superiori a , questi isotopi

diventano anche indicatori sensibili dalla temperatura stellare.

Tuttavia, proprio a causa delle alte temperature richieste, la sorgente 22

Ne

gioca un ruolo dominante solo in stelle di massa intermedia, dove durante i

pulsi termici si raggiungono anche (Iben 1975). Nelle stelle di

piccola massa, la massima temperatura sfiora appena i e questa

sorgente neutronica è solo marginalmente attivata.

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CAPITOLO 5. RADIOATTIVITA' FOSSILI NEL

SISTEMA SOLARE E LORO NUCLEOSINTESI.

5.1 MISURE DI RADIOATTIVITA' FOSSILI

Dagli studi sui meteoriti che si sono formati nel Sistema Solare, datati

grazie a isotopi di lunga vita media, è stato stabilito che l’età del Sistema

Solare è circa anni.

La misura in cui un nucleo radioattivo sopravvive fino ad oggi dipende

infatti dal proprio tempo di vita. La specie di vita più breve che si conserva

oggi, dagli inizi del sistema solare, con una piccola ma significativa

abbondanza, è 235

U ( anni). Per un isotopo che avesse

anni, oggi l’abbondanza sarebbe diminuita rispetto a quella

iniziale di un fattore . Noi consideriamo pertanto estinti tutti i

radioattivi originali nel Sistema Solare con anni.

Nonostante ciò, esiste la prova, dai prodotti di decadimento e dalla loro

correlazione con specie stabili, che all’inizio del Sistema Solare erano

presenti vari nuclei con tempi di vita tra 0.1 e 10 Myr. La stessa esistenza di

questi nuclei è singolare e la prima domanda che essi ci pongono è se la loro

concentrazione sia spiegabile con l’abbondanza di equilibrio tra produzione

e decadimento nella Galassia.

Considerando la produzione a lungo termine nella storia della galassia, che

duri un tempo T precedente alla formazione del Sole, l’abbondanza dei

nuclei stabili è facilmente descrivibile come (Busso et al. 1999):

T. Qui rappresenta il tasso di produzione medio, assunto essere il

prodotto di un fattore di produzione stellare invariate nel tempo e di un

fattore di scala p(t), dipendente dal tempo ma di cui si può assumere la

media p .

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Un nucleo radioattivo di breve vita R prodotto nello stesso processo, che è in

equilibrio nel mezzo interstellare tra la produzione e il decadimento, avrà

analogamente abbondanza (vedi referenza citata): . Qui

p(T) è il valore del fattore di scala al momento della formazione del Sistema

Solare. Quindi un rapporto di abbondanze tra un isotopo radioattivo e uno

stabile diventa, all’incirca .

Se il materiale è separato dal mezzo interstellare (“ISM”) per un periodo

senza un’ulteriore aggiunta di nuovi nuclei, la sua abbondanza decrescerà

esponenzialmente, come exp(- . Per nuclidi con anni (per

esempio 41

Ca, 26

Al), tempi di isolamento di pochi milioni di anni sono

sufficienti a diminuire notevolmente la loro abbondanza, fino a renderla

trascurabile (per una trattazione completa vedere Schramm & Wasserburg

1970).

Consideriamo uno stato di riferimento iniziale, nel quale il materiale solare

cominci a formarsi dall’ISM, in cui siano presenti vari nuclei radioattivi. La

loro esistenza nel Sistema Solare Primordiale non può essere determinata

oggi da misurazioni dirette (sono estinti), ma dipende dalla presenza dei loro

prodotti di decadimento e dal fatto che questi prodotti di decadimento siano

correlati quantitativamente con le proprietà chimiche dell’elemento genitore,

e non con l’elemento-figlia.

Per esempio, se il Sistema Solare si è preservato isolato dal suo stato iniziale

(0) fino a oggi, la relazione che governa un nucleo estinto R che decade in

un figlio D è la seguente:

. Qui sono le abbondanze

in numero iniziali dei nuclei D e R. Consideriamo ora un nucleo stabile I

(Indice) dello stesso elemento cui appartiene il prodotto di decadimento; e

consideriamo anche un altro isotopo S (stabile) dello stesso elemento cui

appartiene il genitore instabile R (per esempio, S è l’27

Al se R è l’26

Al; allora

I è il 24

Mg). L’isotopo S serve come surrogato di R, che non esiste più, nelle

misure.

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Si ha:

(5.1)

Qui

e

.

è il rapporto isotopico iniziale

dell’isotopo-figlia prima del decadimento del nucleo genitore R.

Per 26

Al (che decade in 26

Mg) noi usiamo l’isotopo-indice 24

Mg; per 107

Pd

(che decade in 107

Ag) usiamo l’isotopo-indice 109

Ag. In questi esempi, il

rapporto

corrisponde a 27

Al/24

Mg e 108

Pd/109

Ag

rispettivamente, dove corrisponderebbe a (

26Al/

27Al)

0 o

(107

Pd/108

Pd)0.

Questo mostra che il rapporto isotopico

è correlato

linearmente con il rapporto

.

Per osservare oggi effetti in , i campioni studiati si dovrebbero essere

formati velocemente con una distribuzione di valori e si dovrebbero

essere preservati fin oggi in un sistema isolato.

Evidenze sulla presenza di nuclidi radioattivi di breve vita media possono, in

conclusione, essere identificate solo da analisi accurate degli spostamenti

isotopici relativi ai valori solari medi.

Il primo nuclide instabile di vita media minore degli attinidi scoperto nei

materiali antichi del sistema solare fu lo 129

I, identificato dal suo prodotto di

decadimento 129

Xe da JH Reynolds (1960). Questa scoperta cruciale fu poi

seguita da quelle del 107

Pd e dell’26

Al (Lee et al. 1976, 1977). Quest’ultimo

era presente all’inizio del Sistema Solare in grande quantità nonostante la

vita media molto breve ( ).

Va notato che, per i nuclei con anni, per esempio 41

Ca, 26

Al, 60

Fe, e

53Mn, l’abbondanza inferita nei meteoriti antichi dipende sia dalla loro

abbondanza al tempo iniziale di riferimento (0), preso come momento della

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formazione del Sistema Solare, sia dal tempo di formazione ( ) dei

meteoriti che li contengono.

Figura 5.1 Grafico di 26

Mg/24

Mg vs 27

Al/24

Mg. Esso mostra la correlazione

tra l’eccesso di 26

Mg oggi e l’27

Al, rivelando che l’eccesso di 26

Mg era

originariamente sotto forma di 26

Al. I dati provengono da varie fasi, con

differente 27

Al/24

Mg, di un meteorite ricco di inclusioni di calcio e

alluminio. Esso cadde nel villaggio messicano di Allende nel 1969. La figura

dimostra la presenza di 26

Al con una abbondanza di 26

Al/27

Al= al

tempo della cristallizzazione.

Infatti, anche solo poche centinaia di migliaia di anni di tempo di formazione

dei meteoriti porta questi ad avere concentrazioni di isotopi radioattivi non

identiche a quella iniziale.

È ormai ben chiaro che alcuni dei materiali nell’ISM dai quali si è formato il

sistema solare sono stati assemblati da detriti provenienti da stelle differenti,

nate in differenti nubi molecolari in diversi tempi (Figura 5.2.). Quindi per

nuclei radioattivi con vita media sufficientemente lunga l’abbondanza

rifletterà la semplice abbondanza di equilibrio nell’ISM.

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Figura 5.2 Iniezioni di materiale proveniente da differenti sorgenti stellari in

una sequenza di nubi molecolari. La nube iniziale del Sole contiene gas e

grani provenienti da diverse generazioni di stelle formate in differenti nubi

molecolari, cosi come un inventario più locale di isotopi di vita media breve,

intermedia, o lunga.

Per i nuclei radioattivi di breve vita media, invece, può essere richiesto che

le loro abbondanze riflettano iniezioni di nuovo materiale sintetizzato da

sorgenti stellari immediatamente prima della formazione della nebulosa

solare. I primi oggetti formati all’interno del sistema solare da fusione o

cristallizzazione si pensa siano le inclusioni refrattarie ricche di calcio e

alluminio (CAIs). Altri oggetti (come meteoriti di ferro) sono il risultato di

una fusione planetaria che avviene dopo la formazione dei CAIs, per alcuni

milioni di anni.

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Tabella 5.2 Alcuni nuclei di breve vita nel Sistema Solare Primordiale.

L’ultima colonna fornisce i rapporti di abbondanza inferiti per i meteoriti

oggetto di misura.

5.2 IL MODELLO DI CONTAMINAZIONE DA UNA STELLA AGB.

Supponiamo che la massa espulsa sia ben mescolata con una parte della

nube molecolare e che la nebulosa solare si formi da questo materiale.

Assumiamo inoltre che la materia espulsa e la nube abbiano all’inizio

ognuna la propria composizione uniforme. La composizione del materiale

proveniente dall’inviluppo stellare è determinata dal modello di

nucleosintesi stellare e dal tempo scala tra la produzione ( ) e la

formazione di un oggetto solido nella nebulosa solare ( ). Come

riferimento assumiamo che la formazione dei CAIs segni l’inizio

dell’evoluzione della nebulosa solare; essa avvenga dopo milioni di anni

dall’espulsione dell’inviluppo della stella contaminatrice. Questo sarà per il

sistema solare il tempo . Gli altri oggetti meteoritici, meno refrattari o

conseguenti a processi di fusione e differenziazione chimica, si formeranno

in seguito, ad un tempo dalla espulsione dell’inviluppo

stellare, o ad un tempo dalla formazione del sistema solare (Figura

5.3)

Rad. Ref. Mean Life (Myr)

(NP /NI )E SS

26 Al 36 Cl

41 Ca

60 Fe

107 Pd

205 Pb

27 Al 35 Cl

40 Ca

56 Fe

108 Pd

204 Pb

1.05

0.43

0.15

2.2(**)

9.4

22

5 · 10−5

10−4

≥ 1.5 · 10−8

10−7 − 10−6

2.0 · 10−5

1 − 2 · 10−4 (?)

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Figura 5.3 Diagramma in cui vengono schematizzati i tempi scala e gli

eventi della nucleosintesi che contribuiscono alla nebulosa solare.

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Se l’iniezione e il mescolamento sono istantanei, il rapporto tra il nuclide

radioattivo di vita breve R e il nucleo stabile S è dato da:

(5.2)

Qui e

sono le abbondanze in numero di nuclei S nella nube

solare (“solar cloud” o SC) e nell’inviluppo AGB, rispettivamente. Se il

contributo di un nuclide stabile S dalla stella alla nube è piccolo paragonato

con l’abbondanza originaria nella SC, si ottiene, al momento dell’espulsione

dell’inviluppo:

. (5.3)

Qui e

sono le abbondanze in numero (o per mole) di nuclei S

nella nube e nei materiali della stella AGB, rispettivamente. Uno scenario

auto-consistente richiede che il fattore di diluizione sia lo

stesso per tutte le coppie di isotopi. Se un oggetto si è formato al tempo

dopo l’evento produttivo, la efficace diventa

(5.4a)

con

(5.4b)

Il termine

è > 1 se S è prodotto nella stella, è < 1

se S è distrutto. Notiamo che, per un dato modello stellare, il valore

può variare tra diversi ordini di grandezza per differenti specie S; lo stesso è

vero per il termine

per differenti specie R. Per confrontare i dati di

nuclei di breve vita nel Sistema Solare Primordiale con un qualunque

modello AGB, si deve stabilire un fattore di diluizione per una coppia di

nuclei e poi paragonare i risultati con tutti gli altri. Come vedremo tra poco

questa sarà anche la tecnica seguita in questa tesi.

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Dato che il tempo di formazione è critico, si deve scegliere una coppia con

caratteristiche ben definite e con un tempo di vita del radioattivo ben

determinato (Wassemburg et al 1994,1995).

5.3 UN CALCOLO AGGIORNATO DEL CONTRIBUTO DA UNA

STELLA AGB VICINA

Stimare i possibili contributi provenienti dalle differenti sorgenti stellari

dipende poi dall’esistenza di adeguati modelli evolutivi per le stelle in

questione. Modelli dettagliati della nucleosintesi da catture neutroniche

(necessari per 41

Ca, 60

Fe, 107

Pd) e protoniche (necessari per 26

Al) sono stati

sviluppati a Perugia negli scorsi anni.

Su questi modelli sono basati i conti da me eseguiti, per stimare le

abbondanze nell’inviluppo stellare, al fine di determinare il fattore di

diluizione necessario e verificare se esista un valore unico di quest’ultimo

che spieghi tutte le misure. I modelli citati seguono l’evoluzione stellare

dalla sequenza principale fino alle fasi finali di TP-AGB.

I risultati della nucleosintesi dipendono crucialmente dai tassi delle reazioni

nucleari; nel nostro caso sono particolarmente importanti le reazioni di

produzione neutronica, quelle di cattura protonica su nuclei intermedi (che

portano alla produzione di 26

Al) e quelle di cattura lenta di neutroni (processi

s). Si ha così che vari parametri indipendenti determinano la produzione dei

nuclei con breve vita per la fase di TP-AGB. Tra questi i più importanti sono

la massa stellare iniziale e la sua composizione (o “metallicità” Z). Infatti, da

questi parametri discende la densità neutronica (che cresce con la

temperatura, quindi con la massa iniziale). Essa deve essere elevata (nn >

1010

n/cm3) per permettere una adeguata probabilità di formazione del

60Fe,

che richiede la cattura neutronica sul nucleo instabile 59

Fe.

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Oltre che al 60

Fe, i modelli delle catture neutroniche nella inter-shell ricca di

He (vedi Capitolo 4) contribuiscono anche alle abbondanze di 41

Ca e 107

Pd.

Al di sopra della zona di He la shell di H avviene a temperature

sufficientemente elevate ( ) da attivare i cicli più caldi del

gruppo CNO e anche le successive sequenze di catture che portano fino

all’26

Al. Quest’ultimo è però prodotto in misura considerevole (26

Al/27

Al >

0.002-0.003) solo in presenza di mescolamenti efficienti che alimentino la

combustione con materiale sempre “fresco”. In queste condizioni, il nostro

gruppo (Palmerini et al. 2011) ha mostrato che la produzione tipica (da stelle

di mass 1.5-3 ) è di circa 26

Al/27

Al 1-2 (questo sarà il nostro valore

di riferimento).

In conclusione, per derivare i contributi di una stella AGB alla nebulosa

proto solare, è richiesto di seguire la nucleosintesi in fase AGB e considerare

la produzione netta derivante sia dalla combustione di H che da quella di He.

Un calcolo del tipo menzionato fu fatto da Wasserburg et al. 2006. Esso

mostrò come una produzione adeguata di isotopi instabili, capace di fornire

un fattore di diluizione unico (e quindi spiegare insieme le concentrazioni

nel sistema solare di iniziale di 26

Al, 41

Ca, 60

Fe e 107

Pd) fosse fornita da una

stella AGB di circa 3 , con contenuto di elementi pesanti pari a circa 1/3

del solare (quindi una stella abbastanza vecchia).

La necessità di scegliere un modello così anomalo (è improbabile trovare

vicino alla nebulosa solare in formazione una stella vecchia, non nata in

loco) era dovuta essenzialmente al fatto che l’abbondanza stimata allora per

il 60

Fe nella nebulosa solare era dell’ordine di 60

Fe/56

Fe = , un valore

molto elevato, tale da richiedere un’alta densità neutronica. (Una bassa

“metallicità” favorisce un’alta densità neutronica per la scarsità di Fe

presente).

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Come detto, con l’ipotesi citata sulla metallicità, per una diluizione di circa

, tutte le misure degli instabili nel sistema solare iniziale potevano

essere spiegate, come mostrato dalla Tabella 5.3.

Tabella 5.3 Predizioni di Wasserburg et al. 2006, da una stella AGB di

bassa metallicità, per le radioattività fossili del Sistema Solare. I valori tra

parentesi sono quelli assunti per ricavare la diluizione e il parametro Δ.

Come già menzionato, i risultati di Tabella 5.3 possono ora essere rivisti,

sperando in una soluzione fornita da una stella che abbia più probabilità di

essere nelle vicinanze del Sole e abbia quindi la sua stessa composizione.

Questo abbasserà la densità neutronica, riducendo la produzione di 60

Fe. ma

le nuove stime sulla sua abbondanza iniziale nel sistema solare sono ora 60

Fe/56

Fe = (Huss et al. 2012). Inoltre:

1. è stata quasi raddoppiata la stima del suo tempo di decadimento,

passando da una vita media di a (Rugel et al. 2009),

facilitando la sopravvivenza di una maggiore quantità di ferro nel

mezzo interstellare.

2. è stata rivista al rialzo la stima del tasso di reazione 25

Mg(p,)26

Al,

così facilitando la produzione anche di questo nucleo.

Utilizzando le nuove prescrizioni nucleari, io ho ricalcolato i modelli di

Wasserburg et al. 2006, inserendo i nuovi parametri.

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Come fatto nel lavoro citato, la procedura seguita è stata la seguente.

1) Ho scritto le formule (5.4a,b) per nuclei con parametri ben determinati,

quali 41

Ca e 26

Al. Per essi, l’abbondanza stimata nel sistema solare iniziale si

riferisce effettivamente al momento (formazione dei CAIs in cui sono

stati misurati). Dalle due equazioni di tipo (5.4) ricavo perciò i due parametri

liberi, cioè il fattore di diluizione (che nella formula è scritto come

e il tempo intercorso dall’espulsione dell’inviluppo

stellare al momento (cioè ).

2) Ho verificato che la produzione di 60

Fe e il valore nel sistema solare

dedotto dalla (5.4) usando i parametri appena determinati fosse accettabile

date le nuove misure che ne indicano un rapporto iniziale 60

Fe/56

Fe =

.

3) Ho rifatto lo stesso calcolo per il 107

Pd, considerando anche l’ulteriore

tempo di decadimento , perché per esso si conosce l’abbondanza

(107

Pd/108

Pd = ) in meteoriti ferrosi, che devono avere una età di

formazione di alcuni ( ). Ho così verificato che l’età dei

meteoriti corrispondenti (chiamati pallasiti) sia nell’intervallo permesso.

Tabella 5.4 I miei risultati

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I risultati del mio calcolo sono esposti nella Tabella 5.4. In essa, come per

Wasserburg et al. 2006, indico tra parentesi i valori che impongo come noti

per determinare gli altri parametri. Anche la produzione di 26

Al

nell’inviluppo della stella a Δ1 = 0 è stato messo tra parentesi, perché preso

dai calcoli di Palmerini et al. 2011. I valori per il 60

Fe sono invece dedotti

dal procedimento. Essi sono indicati in grassetto e mostrano ora un buon

accordo con i dati sperimentali.

CONCLUSIONI

In questa tesi ho esaminato il problema della sintesi stellare di nuclei

radioattivi con vita media tra 0.1 e 10 , che sono stati riconosciuti essere

presenti ancora attivi nella nebulosa solare iniziale.

Le loro alte concentrazioni nei meteoriti antichi e il loro breve tempo di

decadimento rendono impossibile l’ipotesi che essi siano stati ereditati dal

valore di equilibrio che si stabilisce nel mezzo interstellare tra produzione e

decadimento. Per essi è necessario che il Sistema Solare sia stato

contaminato da una stella vicina, giunta al termine della sua evoluzione

proprio mentre il Sole si formava.

Tra i modelli proposti per la produzione contemporanea delle specie

considerate (26

Al, 41

Ca, 60

Fe e 107

Pd) il gruppo di Perugia ha sostenuto in

passato quello di una stella di massa relativamente piccola (circa tre volte la

massa solare), che produca 26

Al per catture protoniche e gli altri nuclei per

catture neutroniche. La maggiore difficoltà finora era costituita dal 60

Fe, per

cui era stata prevista una abbondanza iniziale nel sistema solare di 60

Fe/56

Fe

= .

Recentemente, le stime della concentrazione di 60

Fe sono state ridotte di un

fattore 3 e contemporaneamente misure della sua vita media hanno proposto

quasi un raddoppio del valore accettato prima per quest’ultima. Entrambi i

risultati favoriscono il modello di stelle di piccola massa, richiedendo una

minore produzione di 60

Fe e permettendo allo stesso nucleo di sopravvivere

più a lungo nel mezzo interstellare.

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Utilizzando questi nuovi suggerimenti, ho ricalcolato la nucleosintesi da

stelle AGB per i nuclei in esame. Ho potuto così mostrare che una stella di

circa 3 volte la massa del Sole, giunta al termine della sua evoluzione circa

mezzo milione di anni prima della formazione dei primi solidi del Sistema

Solare e che abbia diluito il proprio materiale di un fattore circa pari a 500

(entrambi valori plausibili nella letteratura corrente) potrebbe essere la

sorgente contaminante.

Il risultato è importante anche per la ricerca di nuovi pianeti di tipo terrestre

fuori dal sistema solare: essi si formerebbero con l’ausilio necessario di

sorgenti radioattive di calore, come il decadimento dell’26

Al (che emette un

quanto gamma di 1.8 MeV). La quantità di calore necessaria è però elevata,

circa 50000 J/mole e la concentrazione dell’26

Al deve perciò essere essa

stessa elevata, com’era nelle prime fasi di vita del Sistema Solare, ma come

non è nel mezzo galattico medio.

Se la formazione di pianeti come la Terra richiede questa fonte di calore così

intensa e rara allora i pianeti simili al nostro sono assai poco comuni o

inesistenti del tutto altrove, data la piccolissima probabilità di un incontro

casuale con una stella in fase terminale, che sembrerebbe invece necessario.

Siamo soli nell’Universo?

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