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R ammino C R acconti in C ammino A CURA DELLA PARROCCHIA SAN FILIPPO NERI - MILANO La parola... “Comunicare” significa trasmettere pensieri e scambiare opinioni, esperienze, informazioni. La “parola”, ambito sul quale fissiamo la nostra ri- flessione in questo numero di Racconti in Cam- mino, costituisce uno degli strumenti attraverso i quali l’uomo comunica. L’esperienza quotidiana attesta che essa non è l’unico strumento che l’uomo utilizza per comu- nicare con i propri simili: ad essa si uniscono, ad esempio, i gesti, la mimica facciale, la postura del corpo, i suoni e le immagini. Tuttavia, le parole (meglio forse sarebbe dire “il linguaggio”, artico- lato nelle diverse lingue diffuse nel mondo), pro- dotte con la voce o scritte, rappresentano lo strumento più completo inventato dagli esseri umani. Attraverso le parole, l’uomo riesce ad articolare il proprio pensiero, a spiegare concetti complessi, a stabilire relazioni sociali, ad espri- mere sentimenti e stati d’animo. Esse costitui- scono, dunque, il mezzo di comunicazione più adeguato che l’uomo ha a disposizione per par- tecipare alla vita della sua comunità ed è proprio per la delicatezza e la centralità di questo “strumento” che abbiamo voluto avviare una riflessione, esaminandola da vari punti di vista. Vi auguriamo una buona lettura ed un buon santo Natale. La Redazione N. 37 - 25 novembre 2018 EDITORIALE La Parola si è fatta carne don Denis Parola e dialogo in una socie- tà complessa Francesca Zanchi La Comunicazione richiede Ascolto Giuseppe Lagattolla Se mi ascolti... io ti parlo i bambini di quinta elementare e le loro maestre I miei classici, le loro parole… cacciatori di bellezza Walter Cristiani Il mio cuore trabocca di gioia Andrea Zanchetta Natale Massimo Motta Un Natale strano si avvicina... SOMMARIO 2 4 6 8 10 13 14 16

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R ammino C

R acconti in C ammino

A CURA DELLA PARROCCHIA SAN FILIPPO NERI - MILANO

La parola...

“Comunicare” significa trasmettere pensieri e scambiare opinioni, esperienze, informazioni. La “parola”, ambito sul quale fissiamo la nostra ri-flessione in questo numero di Racconti in Cam-mino, costituisce uno degli strumenti attraverso i quali l’uomo comunica.

L’esperienza quotidiana attesta che essa non è l’unico strumento che l’uomo utilizza per comu-nicare con i propri simili: ad essa si uniscono, ad esempio, i gesti, la mimica facciale, la postura del corpo, i suoni e le immagini. Tuttavia, le parole (meglio forse sarebbe dire “il linguaggio”, artico-lato nelle diverse lingue diffuse nel mondo), pro-dotte con la voce o scritte, rappresentano lo strumento più completo inventato dagli esseri umani. Attraverso le parole, l’uomo riesce ad articolare il proprio pensiero, a spiegare concetti complessi, a stabilire relazioni sociali, ad espri-mere sentimenti e stati d’animo. Esse costitui-scono, dunque, il mezzo di comunicazione più

adeguato che l’uomo ha a disposizione per par-tecipare alla vita della sua comunità ed è proprio per la delicatezza e la centralità di questo “strumento” che abbiamo voluto avviare una riflessione, esaminandola da vari punti di vista.

Vi auguriamo una buona lettura ed un buon santo Natale.

La Redazione

N. 37 - 25 novembre 2018 EDITORIALE

La Parola si è fatta carne don Denis

Parola e dialogo in una socie-tà complessa

Francesca Zanchi La Comunicazione richiede Ascolto

Giuseppe Lagattolla Se mi ascolti... io ti parlo

i bambini di quinta elementare e le loro maestre

I miei classici, le loro parole… cacciatori di bellezza

Walter Cristiani Il mio cuore trabocca di gioia

Andrea Zanchetta Natale

Massimo Motta

Un Natale strano si avvicina...

SOMMARIO

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Ci sono stati momenti in cui avete ca-pito che una parola veniva da Dio, che proprio lui ve la rivolgeva, e la rivolgeva a voi, proprio a voi?

Io credo che, ripensando al nostro cammino, riusciamo ad accorgerci di particolari che al momento non avevamo colto, di cose di cui non ci eravamo ac-corti, di parole che – solo ora ce ne ren-diamo conto - venivano proprio dal Si-gnore per noi…

Abramo ha sperimentato una Parola che lo raggiungeva, che era disposto ad ascoltare, che gli faceva delle promesse che lo hanno condotto a realizzare la sua vita e a diventare per tutti i popoli un segno importante, una vera benedizione.

Mosè ha sentito che Dio lo chiamava ad essere il liberatore del popolo di Israele; ha accolto questa parola, seppur impegnativa, e si è mosso anche contro il Faraone, risultandone vittorioso e realizzando la propria vita e quella di un popolo.

Isaia coglie che Dio rivolge all’umanità una parola importante e la trascrive per le genera-zioni future così che possa raggiungere tutti: «Ora così dice il Signo-re che ti ha creato… Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho

chiamato per nome: tu mi appartieni. Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotte-rai, la fiamma non ti potrà bruciare, poi-ché io sono il Signore, tuo Dio… Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo… Non temere, perché io sono con te».

Cosa suscita in noi riascoltare questa parola che Dio oggi di nuovo ci rivolge?

Maria ha accolto l’invito dell’angelo da parte di Dio a diventare la madre di Ge-sù, ha superato le paure, ha percorso questa strada, ed è diventata un dono per ogni uomo, per ciascuno di noi. Sen-za di lei non avremmo Gesù!

I discepoli hanno raccolto i testi in cui sentivano che Dio aveva parlato e li han-no chiamati Bibbia. E oggi ciascuno di noi può ascoltare una Parola e cogliere co-

LA PAROLA SI È FATTA CARNE

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me Dio attraverso di essa ci parla, ci in-terpella, ci consola, ci richiama, ci ama…

Insomma, Dio parla, si rivolge a singoli e a popoli, interviene nella storia e si rende presente, guida, suggerisce, dialo-ga, sussurra…

E a un certo punto si fa Parola tanto da prendere corpo in Gesù, e l’evangeli-sta Giovanni, ripensando proprio alla sua vita, decide di scrivere il suo Vangelo e lo inizia proprio così: “In principio era la Parola, e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio… Tutto è stato fatto per mezzo di lui [Gesù] e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”.

La Parola definitiva di Dio perciò è Gesù, e nella Bibbia questa parola risuo-na e può ancor oggi raggiungere ciascuno di noi. I Vangeli ci interpellano, ci mo-strano l’immagine di Dio che in Gesù si svela, e tutti gli altri libri biblici alla luce del Vangelo, alla luce della morte e risur-rezione di Gesù, contribuiscono a svela-re questo Mistero che è Dio che sceglie di entrare nella nostra storia e di parlar-ci.

Di più: sceglie di dialogare con noi. Noi siamo il popolo della Parola, di un Dio non lontano, trascendente, innomi-nabile, inscrutabile, ma di un Dio che questa parola l’ha pronunciata e continua a pronunciarla, e continua a parlare a ciascuno.

Allora dentro le migliaia di parole che

ascoltiamo e pronunciamo ogni giorno, serve uno spazio per questa singolare Parola che ha da dirci molto più delle parole del mondo, può trasformare la nostra vita, darle un senso e una dignità, mostrarle cose che altrimenti non ve-dremmo e guidarci a camminare verso una vita sempre più piena…

Ogni giorno è una nuova occasione per fermarci e per ascoltare. E dentro l’ascolto della vita, del cuore, dell’altro, della Parola, Lui può raggiungerci e par-larci. E noi possiamo ascoltare e rispon-dere a nostra volta…

Signore, insegnaci ogni giorno a met-terci di nuovo in ascolto di te!

don Denis

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Una parola muore / appena è detta / dice

qualcuno. Io dico che comincia / appena a

vivere / quel giorno

Emily Dickinson In un tempo come il nostro, mai così

lontano dal silenzio e dominato dalla chiacchiera, è opportuno fermarsi a riflet-tere sulle parole, sul loro senso o non senso, sul loro uso o abuso, sulla loro im-portanza e potere.

La parola nasce con l’uomo, ne è il trat-to costitutivo, poiché l’uomo nasce, si svi-luppa e si modella dentro un linguaggio, un sistema di relazioni di cui le parole so-no segni strutturali e attivi.

Il linguaggio, riconoscibile già nel primo grido del neonato, è la piattaforma origi-naria in cui si inscrive quella ricerca di dia-logo e di relazione che caratterizza il fon-do di ogni anima umana, spingendola in-cessantemente all’incontro io – tu.

Ricerca ed incontro posti in essere pro-prio dalla parola, che si configura quasi come la ragion d’essere dell’uomo, come ammettono anche le scienze umane a partire dalla psicanalisi, che dice che l’es-sere umano non usa semplicemente le parole, ma “è fatto di parole, vive e respi-ra nelle parole” (Massimo Recalcati).

Intuizione, questa, già presente in So-crate, il grande filosofo greco, quando diceva che l’anima è fatta di parole perché è ricerca e dialogo, è pensiero che vive e si alimenta nel confronto che solo il lin-guaggio delle parole rende possibile.

La cultura antica infatti, sia nelle narra-zioni biblico – religiose che in quelle filo-

sofico – letterarie, aveva un senso alto e nobile della parola, a cui attribuiva un po-tere creativo.

Lo mostra con grande evidenza l’incipit della Bibbia, quando racconta che fu la potenza della Parola di Dio a creare il mondo: “Dio disse: sia la luce! E la luce fu” (Genesi 1,3).

Lo stesso concetto torna con forza nel Vangelo di Giovanni: “In principio era il logos, la Parola…Tutto ciò che esiste è stato fatto dal logos…” (Giovanni 1,1-4).

Ma già sei secoli prima della narrazione giovannea, il filosofo Eraclito aveva indivi-duato nel logos, parola, pensiero, l’archè, il principio che dà origine a tutte le cose, il substrato che tiene unito e stabilmente interconnesso il molteplice.

Oggi però, in una società globalizzata, sfuggente e liquida quale è la nostra, tra-passata ormai nel “postcontemporaneo”, l’originario e nobile senso delle parole si è eclissato nella coscienza comune, a causa dell’eccesso di informazione, prodotta dalla rivoluzione mediatica, a cui siamo costantemente esposti e che rischia di trasformarci in passivi utenti di parole al-trui.

Parole spesso unidirezionali, fatte di annunci o slogan, dette non per attivare pensiero e dialogo, ma per indebolire le parole vive del pensiero autonomo, quelle di cui è fatta l’anima.

Secondo alcuni studiosi stiamo vivendo una nuova fase storica e antropologica, caratterizzata dall’ingresso nell’info-sfera: la civiltà dell’informazione e delle parole.

Una vera rivoluzione, che presenta tutti

PAROLA E DIALOGO

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i vantaggi ma anche tutti i rischi dei cam-biamenti epocali.

Se i vantaggi sono, con evidenza, le op-portunità straordinarie di conoscenza del-la realtà nei più diversi campi e le infinite possibilità, offerte dalla “rete”, di stare in contatto con “gli altri”, spezzando recinti e chiusure che per secoli hanno isolato individui e società dal grande resto del mondo, i rischi sono anche più seri.

Subissati da valanghe di messaggi me-diatici, noi, neocittadini dell’infosfera, assi-stiamo infatti a una progressiva riduzione del tempo necessario per pensare e pas-sare al vaglio le troppe news che ci rag-giungono da ogni lato.

Diventa sempre più difficile farsi un giu-dizio autonomo e dire parole nostre, quelle che pongono le domande e cerca-no il dialogo, dando avvio a progetti nuovi e a processi costruttivi.

Poter disporre di parole nostre, auto-nome, sarebbe un’opportunità preziosa per assicurarci il necessario orientamento in un mondo così complesso, ma anche per metterci al riparo dal fondo oscuro delle manipolazioni del consenso che si

celano dietro gli infiniti fili della “rete” e che fanno capo ai pote-ri che controllano la rete stessa, programmandola. Opportunità non impossibile, se solo ci impegniamo a salvaguar-dare i nostri spazi di riflessione, rifiutando il ruolo di fruitori pas-sivi dei media. Riappropriati delle parole vere, quelle che interrogano e cerca-no, diventa allora bello e utile vivere connessi alla rete e respi-

rare l’aria dell’infosfera, un’aria che ci può aiutare a uscire dalla solitudine e dall’indi-vidualismo e ci può dare tanti strumenti in più per far arrivare fin nei luoghi più lonta-ni e bui le nostre piccole, ma potenti pa-role, che possono forse dare inizio a cose nuove, a processi insperati, nella direzio-ne di una crescita comune di valori umani.

Non dimentichiamo però che le parole, creature viventi, hanno una loro “fisicità”.

Leggere o pesanti, vivaci o silenziose, le parole possono essere balsami miracolosi che curano e salvano, oppure pietre pe-santi che feriscono e uccidono; vibrazioni che fanno innamorare e accendono spe-ranze, oppure parole di silenzio, perché il mondo dell’anima, come quello della vita, non è tutto dicibile con le sole parole chiare e distinte.

Sta a noi fare un uso responsabile delle parole, con rispetto e gratitudine verso di loro, accogliendo l’invito al dialogo di cui sono portatrici, sia con i nostri “prossimi”, che camminano al nostro fianco, sia den-tro la grande “rete”.

Francesca Zanchi

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La Comunicazione richiede Ascolto. Senza Ascolto non c’è Comunicazione. Infatti, la possibilità di capire e di farsi ca-pire aumenta se si attivano processi co-municativi bidirezionali all’interno dei qua-li gli obiettivi, le percezioni e gli interessi dei vari interlocutori possano essere og-getto di ascolto e di riconoscimento reci-proco.

Se riesco a pormi in una dimensione di ascolto con il mio interlocuto-re, attivo un at-teggiamento partecipativo e valorizzo lo scambio comu-nicativo. In poche parole, l’ascolto costi-

tuisce il primo passo in ogni relazione. Infatti, ascoltando attivamente riesco a pormi “nei panni dell’altro”, riconosco il suo punto di vista e percepisco e com-prendo le preoccupazioni e le emozioni che l’altro mi sta comunicando.

Stiamo riflettendo su un tema che ha anche a che fare con la dignità della per-sona. Un ascolto attento e partecipativo infatti dichiara, anche se non a parole, che la persona con la quale stiamo parlando è degna del tempo che le riserviamo e che stiamo considerando con serietà ed atten-

zione i messaggi che ci sta comunicando, disposti ad accogliere una prospettiva di-versa dalla nostra.

Per riuscire in questo intento, tuttavia, è necessario mettere da parte i nostri in-nati bisogni di farci valere e di avere sem-pre ragione. Nella comunicazione, infatti, spesso tendiamo ad impossessarci dei di-

scorsi dell’altro, mettendoli al servi-zio delle nostre tesi e dei nostri interes-si. Al contrario, dovremmo sforzar-ci di ascoltare l’al-tro ed “andare ver-so di lui”. Per arri-vare a ciò dobbia-mo quindi cercare

di governare il nostro temperamento,

ascoltando l’altro con attenzione e pa-zienza, senza continue interruzioni, ed evitando di proferire giudizi che, inevita-bilmente, costruiscono una barriera fra gli interlocutori.

Questo non significa che non si possa dissentire su ciò che l’altro mi sta comuni-cando. Una divergenza sui contenuti espressi dall’altro è sempre possibile e richiede la necessità ed il coraggio di pre-cisare il nostro diverso punto di vista, sen-za tuttavia pretendere di avere ragione a tutti i costi, squalificando la posizione

LA COMUNICAZIONE RICHIEDE ASCOLTO

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dell'altro e la sua persona. Un ascolto ed una comunicazione efficace riducono le tensioni e ci permettono di sviluppare relazioni più chiare e autentiche.

Ascoltare non è facile però, non è natu-rale e, come diceva Goethe, è un’arte che va appresa ed affinata con il tempo. Un allenamento che riconosce, prima di tut-to, l’importanza di tacere e di rispettare quel silenzio temporaneo che consente all'altro di parlare e facilita, in chi ascolta, l'attenzione e la concentrazione su quanto gli viene comunicato.

L’ascolto fa da contraltare al silenzio: mentre un altro parla, io taccio ed ascolto. La-scio spazio all’al-tro. In un certo senso, mi metto

da parte. I grandi comunicatori si distinguono pro-prio per questa capacità. Una capacità che ri-chiede di abban-donare ogni idea di protagonismo, consa-pevoli del fatto che, talvolta, le parole tol-gono anziché aggiungere.

Durante un’udienza ai Volontari di “Telefono Amico Italia”, che ha avuto luo-go nel marzo 2017 in occasione dei 50 anni di attività di questa Associazione, pa-pa Francesco evidenziava come «attra-verso il dialogo e l’ascolto possiamo con-tribuire alla costruzione di un mondo mi-

gliore, rendendolo luogo di accoglienza e rispetto, contrastando così le divisioni e i conflitti» ed esortava i presenti a prose-guire con entusiasmo rinnovato il loro prezioso servizio alla società «...perché nessuno rimanga isolato, perché non si spezzino i legami del dialogo, e perché non venga mai meno l’ascolto, che è la manifestazione più semplice di carità ver-so i fratelli.».

In quell’occasione papa Francesco sot-tolineava l’importanza del servizio svolto da questa Associazione “...specialmente nell’odierno contesto sociale, segnato da

molteplici di-sagi alla cui origine si tro-vano spesso l’isolamento e la mancanza di

dialogo. Le grandi città, pur essendo sovraffollate, sono emble-ma di un ge-nere di vita

poco umano a cui gli individui si stanno abituando: indifferenza diffusa, comunica-zione sempre più virtuale e meno perso-nale...”.

Ascolto e dialogo, quindi, si configurano come strumenti che possono aiutare gli individui a conoscersi ed a comprendersi meglio, nella necessaria ricerca di strade e percorsi orientati al bene comune.

Giuseppe Lagattolla

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La comunicazione parte non dalla bocca

di chi parla, ma dall’orecchio di chi ascolta

anonimo

Con i bambini di quinta elementare ab-biamo intrapreso un lavoro incentrato sulla comunicazione, non solo per cono-scere e rilevare gli elementi fondanti del sistema comunicativo, ma anche per me-glio essere consapevoli dell’importanza e dei rischi connessi a un gesto che è inna-to, vitale e prezioso nella vita di ognuno di noi.

Ne è scaturita una riflessione a ruota

libera in cui i bambini hanno espresso il loro pensiero ma anche i loro disagi di fronte a comunicazioni a volte inefficaci, o inascoltate da parte degli adulti che li cir-condano e che per primi dovrebbero por-re attenzione nei loro confronti.

- - - “Quando comunichiamo, a voce, con

uno scritto, ma soprattutto con gesti e mimica, dobbiamo essere chiari e precisi: infatti se il mio messaggio non è chiaro o se dico col corpo o col tono della voce qualcosa di diverso posso essere frainte-so, con conseguenze negative sia per chi parla che per chi ascolta. Non ba-sta essere precisi nel contenuto del messaggio, ma anche responsa-bili di quello che vogliamo dire, e dobbiamo impa-rare ad assumerci

tutte le conseguenze che un messaggio o una modalità sbagliata di comunicazione può portare, quindi è essenziale pensarci bene prima di dire qualcosa. Inoltre, il messaggio non deve essere urlato, ma esposto in modo che l’altro sia disposto ad ascoltarlo: non deve essere offensivo, e quando mi esprimo devo cercare di mettermi nei panni di chi mi ascolta.

È poi importante che le cose dette sia-no significative, perché ci sembra di per-der tempo a stare ad ascoltare chi dice sciocchezze. Poi, è meglio aspettare che chi parla abbia concluso, senza interrom-perlo o pensando di aver capito quello che ci vuole dire, rispondendo poi a tema, senza divagare e senza pensare di aver già capito anche se l’altro non ha terminato il suo pensiero.

Certo, noi bambini siamo esperti in tat-tiche di distrazione e diciamo cose senza senso per attirare l’attenzione o per far ridere, a volte facciamo solo finta di esse-re attenti: magari sembriamo concentrati ma i nostri pensieri sono altrove e in real-tà le parole non ci arrivano, non ascoltia-mo veramente, facciamo solo finta. Altre

SE MI ASCOLTI… IO TI PARLO

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volte non ci interessa proprio quello che ci viene detto e ci distraiamo con qualsiasi cosa abbiamo a portata di mano o con i compagni che ci sono vicini.

Però, anche a noi capita di essere igno-rati. A volte gli adulti sono ipnotizzati dai loro cellulari e mentre noi parliamo non ci stanno affatto ascoltando: lo capiamo per-ché i loro occhi non si scollano dallo schermo e rispondono si si senza aver sentito nulla. In questi casi, abbiamo impa-rato a fare dei tranelli: ad esempio, faccia-mo quello che vogliamo e poi se ci sgrida-no diciamo: “Ma te l’ho chiesto e hai ri-sposto di si”. Oppure facciamo apposta a fare qualcosa di sbagliato per attirare la loro attenzione. Quando un adulto non ci ascolta ci sentiamo frustrati, inutili e in-compresi perché se anche quello che dobbiamo dire per loro è una cosa da bambini, è comunque importante per noi, in quel momento! A volte le mamme sono così concentrate su Facebook che anche se siamo seduti vicini ci sentiamo soli e ignorati. C’è da dire che noi ci lamentia-mo che non ci ascoltano, ma poi facciamo esattamente la stessa cosa.

Allora cosa possiamo fare? Magari pos-siamo essere noi ad insegnare ai grandi,

iniziando ad ascoltare quello che ci dicono, così loro impa-reranno ad ascoltare noi. Infat-ti se reagiamo con sotterfugi, o facendo quello che voglia-mo, o ignorando le cose che ci dicono, peggioriamo solo la situazione. Dobbiamo far capi-re ai grandi che quando abbia-mo bisogno di parlare c’è bi-sogno di qualcuno che ci

ascolti, che siano i genitori, ma anche i nonni, i fratelli più grandi e gli amici.

Qualcuno di noi si sente così inascolta-to che sceglie come suo interlocutore il proprio cane! Così non va bene, dobbia-mo proprio cambiare le cose: dobbiamo imparare ad ascoltare di più, essere capaci di esprimere i nostri bisogni con corret-tezza e pretendere che gli altri ci ascoltino e si rivolgano a noi in modo adeguato e comprensibile, con pazienza e serietà.”

- - - Crediamo che non ci sia altro da ag-

giungere. Certo i loro sono pensieri da piccoli, e il mestiere dei bambini è quello di mettere alla prova i grandi, ma in que-sta riflessione hanno dato prova di avere ben chiari i limiti e i rischi di una comuni-cazione mal gestita, anche se non sono sempre in grado di applicarli. Compito di tutti noi educatori è quello di dare il buon esempio, accompagnandoli nella crescita, segnando per primi la strada corretta da tenere e non dimenticando mai che ci os-servano, sempre, anche quando pensiamo di non essere visti.

I bambini di 5 A e 5 B

della primaria Gabbro

e le loro maestre, Laura e Cristina

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“Ma quale luce apre l’ombra da quel bal-

cone, ecco l’oriente e Giulietta è il sole”.

Romeo

Prima di tutto intendiamoci sulla defini-zione di classici. I frammenti amorosi di Saffo sono un classico, generazioni di aedi e rapsodi che hanno alimentato con i loro racconti l’Iliade e l’Odissea sono un patri-monio classico, così come le opere latine di Virgilio, Ovidio e Catullo ma anche il De Bello Gallico di Cesare sono da consi-derarsi tali. Non solo; scorrendo sul filo del tempo si scopre la bellezza classica di Bernart de Ventadorn e dei trovatori dell’Amor cortese nella Francia del XII secolo le cui suggestioni verranno cattura-te dagli stilnovisti italiani stimolando a loro volta la genialità creativa di Dante, Petrar-ca e Boccaccio.

Dall’Italia la letteratura impregnata di classico stimolerà l’immaginario meravi-glioso del teatro di Shakespeare , e poi il romanticismo di Goethe, quindi la funzio-ne eternatrice della poetica di Foscolo, fino ad arrivare alla Francia rivoluzionaria di Olympe De Gouges la girondina capace di declinare la politica sulla bellezza inte-riore delle donne, chiudendo con Leopar-di che con “La ginestra” ha intuito che la fragilità della persona è un’arte del vivere.

Impossibile qui nominare tutti i classici che formano la “corrente del golfo della letteratura”; quello che conta è conside-rarli classici perché sono belle le loro for-me e perché le loro parole continuano ad aprire interrogativi sul nostro modo di essere nel tempo d’oggi.

Il segreto? Le parole di un testo classico raramente emettono giudizi di colpevo-lezza. La loro lettura riesce invece ad esporre la nostra mente ad un prolungato movimento nel tempo e nello spazio in cui i nostri quesiti sull’esistenza di oggi trovano ascolto, collocazione, decifrabili-tà. In altre parole, le parole dei classici ci servono ancora per vivere, forse meglio di quanto facciamo con mille tecnologie capaci di rappresentare la novità, non il futuro.

Quando Giulietta Capuleti scopre l’a-more di Romeo Montecchi, rivela il miste-ro che muove la vita, il suo aspetto più contraddittorio ed insondabile: “Il mio

unico amore nato dal mio unico odio! (…) O

sovrumana forza d’amore che mi fai amare

il nemico che odiavo”.

I MIEI CLASSICI, LE LORO PAROLE… CACCIATORI DI BELLEZZA

Olympe De Gouges

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Ecco l’esempio della capacita esplorati-va delle parole di un classico come “Romeo e Giulietta” e la loro straordina-ria similitudine con quelle di Catullo, Car-me 85: “Odio e amo. Forse ti chiederai co-

me sia possibile, non lo so ma è così … e mi

tormento”, quasi a stabilire una lezione per noi moderni a guardare dentro di noi prima che verso l’universo, a guardare quel microcosmo di idee di emozioni, di passioni, di contraddizioni inesplicabili che rendono la vita di ogni persona così dan-natamente complicata anche se, forse, proprio per questo, così affascinante.

Le parole dei classici ci spingono a capi-re la relazione vita/amore. Le parole di Romeo a Giulietta così come quelle di Odisseo a Nausicaa, descrivono la bellez-za dei maschi quando la forza del loro ge-nere è guidata dalla conoscenza; quando i maschi sanno ascoltare le femmine sanno entrare nella loro intelligenza, sanno gio-care con loro, sanno crescere con loro, rendendo l’amore completo. Oggi noi che modello d’amore proponiamo ai giovani?

E la complessità dell’ immaginario d’amore femmini-le? Nausicaa quan-do accoglie e salva Odisseo sull’isola dei Feaci, si inna-mora di lui e sa proporre del suo sentimento questa straordinaria arti-colazione: “Allo straniero offrite o ancelle, da man-giare e da bere, fatelo lavare nelle limpide acque del

fiume, ma … al riparo dal vento”. Sembra di vedere una mamma cui poggiano sul seno il suo piccolo appena nato mentre lei lo abbraccia in un gesto di protezione.

L’intreccio incredibile dell’amore fem-minile: sedurre e salvare la vita, curarla, proteggerla… l’articolazione infinita del femminile… Le parole di Nausicaa come quelle di Olympe De Gouges quando in-nanzi alla condanna a morte inflittale dal tribunale Rivoluzionario ad opera dei gia-cobini saprà ergersi sopra l’orrore della morte con la sua idea di libertà e di vita che vince: “Sono donna, temo la morte e ho

paura del vostro supplizio, ma… non ho

confessioni da fare… dall’amore di mio figlio

trarrò il coraggio”.

Non so se è chiaro: l’Odissea e l’Amle-to, Il Canzoniere e l’Infinito non servono per interrogare studenti ma per vivere meglio.

I cacciatori di bellezza sono tornati per avvolgerci in straordinarie riflessioni sul futuro.

Walter Cristiani

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Era ormai notte fonda, quando Maria salì sul tetto a pregare. Si alzò dalla stuoia e scese i tre gradini che separavano il piano rialzato per la famiglia dalla stalla di terra battuta.

Un attimo dopo attraversò la porta che portava all’esterno della casa. Un guizzo di brezza fresca la fece rabbrividire per un attimo, ma fu veramente un attimo. A pie-di nudi salì la scala esterna che portava al tetto: un solaio di travi e sterpi saldati col fango. Il buio della notte era cosparso della tenue luce delle stelle e la giovane contem-plò la sua città dormiente, assorta nei suoi sogni e nelle sue speranze. Che meraviglia! Amava pregare di notte, immersa nel silen-zio e nell’immensità di quel cielo infinito. Amava pregare, perché le pareva che dopo le sue meditazioni notturne tutto apparisse più chiaro ed ogni piccolo fatto della vita quotidiana acquistasse un senso. Amava pregare, anche quando quel senso non era così chiaro e lampante come avrebbe desi-derato. Allora s’affidava al suo Dio, il Padre d’Israele, perché sapeva che nel suo dise-gno imperscrutabile anche ciò che sembra-va inconcepibile assumeva un significato.

E quella notte il suo Dio la chiamò per nome… e la sua vita non fu più la stessa…

«Maria…» sussurrò la Voce nel silenzio. «…» «Maria... ti voglio bene, piccola mia…» «…» «Maria… sono sempre accanto a te.

Mentre preghi nella sinagoga, mentre cam-mini per strada, mentre ti occupi delle fac-cende della casa… mentre dormi, mentre sogni, mentre vegli nelle notti silenziose nella speranza di incontrarmi… Sì, Maria… sono sempre con te…»

«…»

«Perché il tuo giovane cuore si turba? Non cercavi forse sempre d’incontrarmi?! E perché vai alla ricerca di un senso in quello che io dico? Io ti ho scelta proprio perché tu sai seguire la mia voce anche quando non la senti… anche quando la strada è buia e non vi è ombra di sentie-ro… anche quando nella vita il senso sem-bra proprio non esserci. Ti ho scelta per-ché ti fidi di me… perché ti abbandoni a me… perché il tuo cuore è libero da false preoccupazioni…»

«…» «Non voglio che tu abbia paura. Non

temere… Io ti ho scelto proprio perché tu sai leggere gli eventi alla luce della mia Pa-rola… e nulla ti può spaventare. Ricorda il salmo, piccola mia… “Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore?”»

«…» «Io ho scelto te, Maria… e hai trovato

un posto speciale nel mio cuore. La tua preghiera incessante è giunta alle mie orecchie e ho deciso di esaudirla… Pro-prio così, piccola mia… la mia volontà ha trovato terreno fertile nel tuo animo doci-

IL MIO CUORE TRABOCCA DI GIOIA

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le… Ecco, nel tuo ventre germoglierà il seme di una nuova vita… il miracolo straordinario, che scaturisce dall’amore, si compirà nell’intimo del tuo corpo… e tu sarai il mio Santuario! Darai alla luce un bimbo, che chiamerai Gesù. Ma non sarà un bambino qualsiasi… perché in lui rico-nosceranno il mio volto. Sarà il re che tutti attendevano, sarà il sovrano che regnerà dal trono dei suoi padri ed il suo regno sarà eterno.»

«Mio Signore, ti prego… aiutami a capire… io sono fidanzata con Giuseppe e nessun uomo ha deposto in me il seme di una nuova vita…»

«Piccola mia, io stesso manderò il mio Spirito d’Amore: lo stesso soffio di vita che ha plasmato la mia creazione… Quel bimbo sarà dunque mio figlio… il mio figlio prediletto… Nulla è per me impossibile.»

«Mio Signore, la mia vita è nelle tue ma-ni. Avvenga di me quello che hai detto…»

All’alba Maria si svegliò ed aprì gli occhi. Una tenue luce stava lentamente germo-gliando da est. La giovane era ancora in ginocchio e le gambe le dolevano. Era ri-masta in preghiera tutta la notte, fino a quando si era addormentata esausta e… in un attimo le tornò alla mente quello che era successo. Istintivamente si guardò il ventre. Lo accarezzò dolcemente e poi sorrise.

Maria non ebbe paura. Anche se non sapeva come avrebbe raccontato ciò che era accaduto ai suoi genitori. Non poteva immaginare le loro reazioni di fronte a quel fatto che sembrava tanto straordinario quanto assurdo. Gioacchino ed Anna erano due genitori comprensivi e molto religiosi, l’avevano sempre ascoltata con attenzione ed amata senza riserve, ma non avrebbe potuto biasimarli se non avessero creduto alle sue parole.

Maria non ebbe paura. Anche se già ve-deva il volto barbuto di Giuseppe fissarla prima incredulo, poi adirato. Anche se il giovane era timorato di Dio, come avreb-be potuto persuadersi che nel grembo del-la sua futura sposa c’era un figlio che non era suo? Come avrebbe potuto accettare di crescere con lei un figlio che ai suoi oc-chi altri non poteva essere che il frutto di un tradimento? Come avrebbe potuto cre-dere che non solo lei non lo avesse tradito, ma che nel suo grembo stesse crescendo il futuro re d’Israele?

Maria non ebbe paura. Anche se, quan-do la sua condizione di futura madre fosse stata palese davanti agli occhi di tutta la comunità, nessuno le avrebbe più rivolto la parola. Dopo il fidanzamento con Giusep-pe lei era diventata ufficialmente la sua sposa, anche se ancora in attesa del matri-monio. Sola, con un bimbo nel ventre, ri-pudiata dal suo sposo, per lei si prospetta-va l’accusa di adulterio, con la conseguente condanna a morte per lapidazione.

Maria non ebbe paura. Anche se, qualo-ra fosse riuscita a scampare alla morte, il futuro le si sarebbe prospettato davanti pieno d’insidie. Abbandonata da tutti, avrebbe dovuto allevare in solitudine il suo bambino. Avrebbe dovuto cambiare paese ed abitudini. Avrebbe dovuto trovarsi un lavoro ed una casa. Avrebbe dovuto rico-struire la sua vita da zero e superare mille difficoltà.

Maria non ebbe paura… Anche se non sapeva cosa sarebbe stato di lei…

Maria non ebbe paura… Perché il suo Signore le aveva detto di non temere…

Maria non ebbe paura… Perché nulla era impossibile a Dio…

Andrea Zanchetta

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È Natale! Facciamo grande festa. Chi è il festeggiato? La domanda non

ha una risposta scontata. Per molti il fe-steggiato è ciò che comperiamo, perché

è la festa dei consumi. Per altri si fa festa perché nasce Gesù.

Eccedere nei consumi può anche esse-re una cosa positiva: si fa girare l'econo-

mia e i soldi spesi in beni di consumo

generano ricchezza. Possedere offre un po' di felicità, è l'effimero che ci fa senti-

re superficialmente meglio. Di certo nes-suno può criticare chi compera oggetti e

li regala a parenti e amici. Ma cosa c'entra questo con la nascita

di Gesù? Scrive frate Tommaso da Cela-no nella Vita di san Francesco:

Un giorno i frati discutevano assieme se

rimaneva l’obbligo di non mangiare carne,

dato che il Natale quell’anno cadeva in

venerdì. Francesco rispose a frate Morico:

“Tu pecchi, fratello, a chiamare venerdì il

giorno in cui è nato per noi il Bambi-

no. Voglio che in un giorno come questo

anche i muri mangino carne, e se questo

non è possibile, almeno ne siano spalmati

all’esterno…” Voleva che in questo giorno i poveri

ed i mendicanti fossero saziati dai ricchi, e che i buoi e gli asini ricevessero una

razione di cibo e di fieno più abbondante del solito. Diceva:

“Se potrò parlare all’imperatore lo sup-

plicherò di emanare un editto generale, per

cui tutti quelli che ne hanno possibilità,

debbano spargere per le vie frumento e

granaglie, affinché in un giorno di tanta

solennità gli uccellini e particolarmente le

sorelle allodole ne abbiano in abbondan-

za”.

NATALE

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Natale giorno dell'abbondanza per tut-ti, animali compresi. Ma anche e soprat-

tutto al di sopra di tutte le altre solennità Francesco celebrava con ineffabile pre-

mura il Natale del Bambino Gesù, e chia-mava festa del-

le feste il gior-no in cui Dio,

fatto piccolo

infante, aveva succhiato ad

un seno uma-no.

La differenza tra il natale

consumistico e il Natale di San

Francesco è molto semplice

e precisa. Il santo aveva ben in mente chi fosse il festeggiato: Gesù.

Allora facciamo grande festa perché nasce chi ci offre la Salvezza.

“Fratelli, siate sempre lieti” dice San Paolo, e proprio in questo giorno dob-

biamo essere felici per il grande dono che riceviamo.

Non scordiamoci chi è il festeggiato e comportiamoci di conseguenza. Diamo

un senso, un valore alla festa. Il Natale può servire per riflettere sui valori etici

del nostro vissuto quotidiano e non per

fuggire da esso con abbuffate o con l'ulti-mo modello di qualcosa che tra un anno

sarà probabilmente da sostituire. Il consumismo entra nelle nostre case

negli anni sessanta/settanta ed eleva i consumi a stile di vita: consumiamo, eli-

miniamo, rimpiazziamo, mangiamo, be-viamo, viaggiamo… inventiamo bisogni.

Il Natale come festa pagana e consumi-stica ha pre-

so il soprav-vento nella

nostra so-

cietà, tutta-via chi vuole

può rita-gliarsi uno

spazio per pensare o

immaginare un neonato

che dorme sereno, pu-

ro, e che ha bisogno di essere accudito ed amato.

Un simbolo, certo, ma può servire per ricordare perché è importante ritornare

indietro, rifare il cammino per ritrovarsi, come i pellegrini verso Emmaus che, ri-

conosciuto Gesù, ritornano a Gerusa-lemme per riferire quello che era loro

accaduto. Tornare, con il nostro vissuto, le no-

stre esperienze del mondo in cui vivia-mo, ad una semplicità d'animo, alla mo-

destia interiore, alla gioia di essere umani

consapevoli che possiamo sbagliare. Tor-nare semplici per capire il Natale e ricor-

dare chi è il festeggiato! Massimo Motta

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Un Natale strano si avvicina, sembra assente il suo richiamo al saper dirsi il vero con gli occhi, c’è un’atmosfera densa di solitudine e di solitudini, il Bambino nasce

senza attesa e Dio si fa perfino più piccino per non esser calpestato, lo si vede

appena tra i pacchi, e il suo volto sembra smarrito fra memoria di bene e futuro confuso.

È un Natale che sembra dichiarare indignazione, non sta neppure in silenzio, un Natale senza desiderio.

È un Natale arido, freddo, disamorato e tra-

dito anche nelle piccole cose. E il Bambino non sa dove nascere.

Forse Natale è sempre stato così, nascosto nel gioco di luci e ombre.

Lui però è sempre stato vicino, dentro di

noi, forse attendeva a un passo soltanto, o voleva solo uno sguardo del cuore, oppure

era chiuso nella parte più intima della nostra

vita, là dove Dio e l’uomo lottano, si disar-mano e finalmente si ritrovano, per ricomin-

ciare insieme. Allora vorrei, amici, che ognuno di noi apris-

se squarci, e sapesse fare spazio, come fossi-

mo bambini che favoleggiano di angeli e di amici invisibili, e che sanno accostarsi ai mi-

steri senza paura. Guardiamo bene insieme: il nostro Natale è

dentro di noi, è dentro la storia che sa ridestare le speranze dell’uomo e fa rina-

scere l’attesa di Dio, è un Natale buono, che resiste, e non si rassegna inerte all’urto di tempi sterili e fedi incerte, ma vuole toccare le stelle senza ferirle.

Il Natale antico e sempre nuovo è dentro la nostra vita, nel lungo giorno e nella lunga notte di ogni vita, che nasce, che inventa i giorni lieti, e che accoglie l’Altro,

accoglie noi, accoglie te, e poi sorride e non se ne va più.

Fra’ B. M. Fusco