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GIORNALE DEL CIRCOLO DEI SAMBENEDETTESI BIMESTRALE: febbraio - aprile - giugno - agosto - ottobre - dicembre Redazione e Amministrazione Via M. Bragadin, 1 - 63039 S. Benedetto del Tronto Tel. 0735 585707 (dalle ore 17,00 alle ore 19,00) Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70 % - DCB Ascoli Piceno - Distribuzione gratuita - GIUGNO 2009 N. 3 LA QUOTA ASSOCIATIVA È DI 25,00 www.circolodeisambenedettesi.it [email protected] [email protected] L’inaugurazione della nuova filiale della Banca di Ripatransone si è distinta anche per la sua originalità con i gazebo posti al cen- tro socializzante della nostra città, quasi a ricordare che lo scopo principale delle BCC è quello di guardare alla realtà locale, ai problemi immediati e di porsi come suol dirsi “a misura d’uomo”. Continua a pag. 2 Quale Europa! Quale Italia! Quale S. Benedetto! QUALE EUROPA? Finalmente!!! È l’espressione colta in più ambienti al termine di una campagna elettorale cominciata per le elezioni europee congiunta con quelle locali e finita con un referendum all’insegna di una sveglia che non è riuscita a svegliare neppure chi la esibiva. In questi 60 anni di Repubblica, mai argomentazioni così sciocche, mai insulti così truculenti, hanno arricchito un dibattito che poi non c’è stato. Ci saremmo aspettati una presentazione seria dei pro- blemi europei. Suggerimenti per superare una crisi di livello mondiale. La presentazione di una collaborazione rivolta al bene di tutti. Avremmo visto e sentito ben volentieri Autorità di altre nazioni venirci a parlare dei problemi comuni. Avremmo voluto percepire questa unione che partita dal 1951 con la CECA si è andata sempre più allargando con il trattato di Nizza. Quali progressi o regressi ha portato questo osannato o vituperato Euro nelle altre nazioni. Avevamo voglia di sapere perché in altri stati c’è tanta resistenza a far parte dell’Europa. La politica este- ra “comune” quali problemi deve affrontare? Si è maturata una chiara coscienza degli interes- si comuni europei per tradurla nella capacità di una politica estera unica e coerente? Nessuno ha aperto un serio dibattito sulla questione dell’immigrazione, sul rischio xenofobia in Europa, sulla concezione utilitaristica ed egoistica sempre più diffusa. Questi solo alcuni problemi per guardare con fiducia all’Europa del futuro. Dobbiamo pensare ad un’Europa solo del commer- cio e del consumo o anche all’Europa del diritto, della cultura, della lingua, delle tradizioni? Tutto il nostro passato umanistico sarà fagocitato da un progresso scientifico che ci porta a dimenticare altre dimensioni dell’uomo? Così succederà per la nostra lingua? Nulla di tutto questo abbiamo ascoltato. QUALE ITALIA? I problemi della nostra Nazione non hanno trovato migliore trattamento. Sulla crisi tutti gli schieramen- ti politici hanno la ricetta del tornasole, ma non fun- ziona per colpa degli altri. È perché la stiamo viven- do sulla nostra pelle che ci siamo accorti degli aumenti generalizzati e della diminuita capacità d’ac- quisto del denaro, non certo da un mondo politico futile e litigioso. Nessuno ci ha mai detto che la vita- lità, la spinta propulsiva di un Paese, non si misura solo attraverso gli indicatori economici. Sulle pagine dei giornali, nei dibattiti “sapienziali”, nes- suno ci ha mai detto che un Paese è vivo quando è ancora capace di produrre cultura ed arte. Questo perché l’arte e la cultura nascono quando un popolo ha voglia di andare oltre, di non accontentarsi del necessario, ma di spingersi fino alla ricerca dell’essenziale. E si continua a boccheggiare dietro le puerili riforme della Pubblica Istruzione e poi ci si lamenta dei risultati scolastici dei nostri ragazzi. Del Paese che fu la culla della cultura e dell’arte rimangono solo i fasti. Gli investimenti in questo settore sono tra i più bassi d’Europa e il rischio è quello che l’Italia venga tenuta in considerazione più per il suo glorioso passato che per il suo presente. Dal 20 aprile è in funzione la nuova filiale San Benedetto del Tronto - Via Curzi, 19 QUALE S. BENEDETTO? Proprio in questi giorni è apparso sulla stampa loca- le un resoconto dell’attività dei tre anni dell’attuale Amministrazione. È il Sindaco che inizia l’esposi- zione del bilancio evidenziando una coincidenza, il 18 giugno, che mi sembra alquanto pretestuosa. Nel metodo poi che ormai è diventato tipico della politi- ca italiana, non mi trova d’accordo, perché se si chiede collaborazione alla minoranza, contempora- neamente non la si “picchia”. Segue un ricco elenco delle cose fatte che certamente vogliono riqualificare la nostra città. Mi permetto, intanto, un consiglio: dare maggiore pubblicità alle opere fatte, specie quelle di socializzazione, perché molti le ignorano e invece potrebbero usufruirne. Mentre si invita ad una accelerazione del Piano Regolatore Generale evitando clientelismi che hanno fatto della nostra, la città dalle vie storte, si consiglia un po’ più di ponderazione, quando si deve intervenire a modificare certi assetti di storici ambienti. Si chiede un certo ordine nelle molteplici manifestazioni specie nel periodo esti- vo e un freno al costituirsi di Associazioni col solo scopo di chiedere finanziamenti. Faccio mia la conclusione della comunicazione del nostro Sindaco, al quale auguro ad maiora: “Ricordare e guardare avanti, costruire e collaborare alla costruzione del domani della città è il giusto atteggiamento che riteniamo di coltivare e chiediamo anche alla minoranza di fare pro- prio. Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. Se come cittadini apprezziamo il presente e amia- mo la nostra città, come politici dobbiamo prestare attenzione soprattutto al futuro, che è la fina- lità di ogni sforzo, il deposito di progetti e sogni da tradurre in pratica e non lasciare sulla carta”. Il Direttore Il Circolo dei Sambenedettesi ha rinnovato il Consiglio direttivo nel corso dell’assemblea generale che si è tenuta sabato 13 giugno. Resta alla presidenza dell’associazione per voto unanime Benedetta Trevisani, affiancata dai vicepresidenti Vincenzo Breccia, figura storica del Circolo, e Giuseppe Merlini, giova- ne e valente studioso della civiltà marinara. Fanno parte del Consiglio Lorenzo Nico, in qualità di tesoriere, Francesca Mascaretti, segretario verbalizzante, Giancarlo Brandimarti, addetto stampa, Franco Tozzi, consigliere aggiunto, e inoltre i consiglieri Massimo Donati, Vittoria Giuliani, Alfredo Isopi, Pietro Merlini, Stefania Mezzina, Alceo Micucci, Nicola Piattoni, Nazzarena Prosperi. L’Associazione, che ha appena concluso un triennio denso di impegni, di realizzazioni e di proposte, ancora una volta si pone come pre- senza incisiva e punto di riferimento per ini- ziative volte a promuovere la realtà cittadina nei suoi aspetti formali e sostanziali. RINNOVO DEL DIRETTIVO LA BANCA DI RIPATRANSONE ha aperto una nuova filiale nella nostra città

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GIORNALE DEL CIRCOLO DEI SAMBENEDETTESIBIMESTRALE: febbraio - aprile - giugno - agosto - ottobre - dicembre

Redazione e Amministrazione Via M. Bragadin, 1 - 63039 S. Benedetto del TrontoTel. 0735 585707 (dalle ore 17,00 alle ore 19,00)

Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - 70 % - DCB Ascoli Piceno - Distribuzione gratuita - GIUGNO 2009 N. 3

LA QUOTA ASSOCIATIVA È DI € 25,00

www.circolodeisambenedettesi.it [email protected] [email protected]

L’inaugurazione della nuova filiale della Banca di Ripatransonesi è distinta anche per la sua originalità con i gazebo posti al cen-tro socializzante della nostra città, quasi a ricordare che lo scopoprincipale delle BCC è quello di guardare alla realtà locale, ai

problemi immediati e di porsi come suol dirsi “a misura d’uomo”. Continua a pag. 2

Quale Europa! Quale Italia! Quale S. Benedetto!

QUALE EUROPA?Finalmente!!! È l’espressione colta in più ambiential termine di una campagna elettorale cominciata perle elezioni europee congiunta con quelle locali efinita con un referendum all’insegna di una svegliache non è riuscita a svegliare neppure chi la esibiva.In questi 60 anni di Repubblica, mai argomentazionicosì sciocche, mai insulti così truculenti, hannoarricchito un dibattito che poi non c’è stato. Cisaremmo aspettati una presentazione seria dei pro-blemi europei. Suggerimenti per superare una crisi di livello mondiale. La presentazione di unacollaborazione rivolta al bene di tutti. Avremmo visto e sentito ben volentieri Autorità di altrenazioni venirci a parlare dei problemi comuni. Avremmo voluto percepire questa unione chepartita dal 1951 con la CECA si è andata sempre più allargando con il trattato di Nizza. Qualiprogressi o regressi ha portato questo osannato o vituperato Euro nelle altre nazioni. Avevamovoglia di sapere perché in altri stati c’è tanta resistenza a far parte dell’Europa. La politica este-ra “comune” quali problemi deve affrontare? Si è maturata una chiara coscienza degli interes-si comuni europei per tradurla nella capacità di una politica estera unica e coerente? Nessunoha aperto un serio dibattito sulla questione dell’immigrazione, sul rischio xenofobia in Europa,sulla concezione utilitaristica ed egoistica sempre più diffusa. Questi solo alcuni problemi perguardare con fiducia all’Europa del futuro. Dobbiamo pensare ad un’Europa solo del commer-cio e del consumo o anche all’Europa del diritto, della cultura, della lingua, delle tradizioni?Tutto il nostro passato umanistico sarà fagocitato da un progresso scientifico che ci porta adimenticare altre dimensioni dell’uomo? Così succederà per la nostra lingua? Nulla di tuttoquesto abbiamo ascoltato.

QUALE ITALIA?I problemi della nostra Nazione non hanno trovatomigliore trattamento. Sulla crisi tutti gli schieramen-ti politici hanno la ricetta del tornasole, ma non fun-ziona per colpa degli altri. È perché la stiamo viven-do sulla nostra pelle che ci siamo accorti degliaumenti generalizzati e della diminuita capacità d’ac-quisto del denaro, non certo da un mondo politicofutile e litigioso. Nessuno ci ha mai detto che la vita-lità, la spinta propulsiva di un Paese, non si misurasolo attraverso gli indicatori economici. Sulle pagine dei giornali, nei dibattiti “sapienziali”, nes-suno ci ha mai detto che un Paese è vivo quando è ancora capace di produrre cultura ed arte.Questo perché l’arte e la cultura nascono quando un popolo ha voglia di andare oltre, di nonaccontentarsi del necessario, ma di spingersi fino alla ricerca dell’essenziale. E si continua aboccheggiare dietro le puerili riforme della Pubblica Istruzione e poi ci si lamenta dei risultatiscolastici dei nostri ragazzi. Del Paese che fu la culla della cultura e dell’arte rimangono solo ifasti. Gli investimenti in questo settore sono tra i più bassi d’Europa e il rischio è quello chel’Italia venga tenuta in considerazione più per il suo glorioso passato che per il suo presente.

Dal 20 aprile è in funzione la nuova filialeSan Benedetto del Tronto - Via Curzi, 19

QUALE S. BENEDETTO?Proprio in questi giorni è apparso sulla stampa loca-le un resoconto dell’attività dei tre anni dell’attualeAmministrazione. È il Sindaco che inizia l’esposi-zione del bilancio evidenziando una coincidenza, il18 giugno, che mi sembra alquanto pretestuosa. Nelmetodo poi che ormai è diventato tipico della politi-ca italiana, non mi trova d’accordo, perché se sichiede collaborazione alla minoranza, contempora-neamente non la si “picchia”. Segue un ricco elencodelle cose fatte che certamente vogliono riqualificare la nostra città. Mi permetto, intanto, unconsiglio: dare maggiore pubblicità alle opere fatte, specie quelle di socializzazione, perchémolti le ignorano e invece potrebbero usufruirne. Mentre si invita ad una accelerazione del PianoRegolatore Generale evitando clientelismi che hanno fatto della nostra, la città dalle vie storte,si consiglia un po’ più di ponderazione, quando si deve intervenire a modificare certi assetti distorici ambienti. Si chiede un certo ordine nelle molteplici manifestazioni specie nel periodo esti-vo e un freno al costituirsi di Associazioni col solo scopo di chiedere finanziamenti. Faccio mia la conclusione della comunicazione del nostro Sindaco, al quale auguro ad maiora:“Ricordare e guardare avanti, costruire e collaborare alla costruzione del domani della città è ilgiusto atteggiamento che riteniamo di coltivare e chiediamo anche alla minoranza di fare pro-prio. Tutti siamo chiamati a fare la nostra parte. Se come cittadini apprezziamo il presente e amia-mo la nostra città, come politici dobbiamo prestare attenzione soprattutto al futuro, che è la fina-lità di ogni sforzo, il deposito di progetti e sogni da tradurre in pratica e non lasciare sulla carta”.

Il Direttore

Il Circolo dei Sambenedettesi ha rinnovato ilConsiglio direttivo nel corso dell’assembleagenerale che si è tenuta sabato 13 giugno.Resta alla presidenza dell’associazione pervoto unanime Benedetta Trevisani, affiancatadai vicepresidenti Vincenzo Breccia, figurastorica del Circolo, e Giuseppe Merlini, giova-ne e valente studioso della civiltà marinara.Fanno parte del Consiglio Lorenzo Nico, inqualità di tesoriere, Francesca Mascaretti,segretario verbalizzante, Giancarlo

Brandimarti, addetto stampa, Franco Tozzi,consigliere aggiunto, e inoltre i consiglieriMassimo Donati, Vittoria Giuliani, AlfredoIsopi, Pietro Merlini, Stefania Mezzina, AlceoMicucci, Nicola Piattoni, Nazzarena Prosperi.L’Associazione, che ha appena concluso untriennio denso di impegni, di realizzazioni e diproposte, ancora una volta si pone come pre-senza incisiva e punto di riferimento per ini-ziative volte a promuovere la realtà cittadinanei suoi aspetti formali e sostanziali.

R I N N O V O D E L D I R E T T I V O

LA BANCA DI RIPATRANSONEha aperto una nuova filiale nella nostra città

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LU CAMPANÒ - pagina 2

Sede Legale: Via A. Cardarelli, 2463039 San Benedetto del Tronto (AP)Tel. 0735 81820 - Fax 0735 789049

www.consorti.info - [email protected]• Lavori Stradali• Recupero Calcinacci

Consorti Vincenzo & Figli S.r.l.

Gli interventi della Dirigenza e delle Autorità Civili sono statitutti improntati a dimostrare che proprio in un momento partico-lare di crisi che stiamo attraversando, questi Istituti di credito,sorti tra la fine del 1800 e gli inizi del 1900, sono quelli che piùdi altri riescono a capire i problemi della gente, perché a talescopo sorsero. Infatti possiamo leggere nelle “Vicende Ripane” diAlfredo Rossi, che la società Cooperativa, intitolata allora comeCassa Rurale Operaia di Ripatransone si poneva lo scopo di“miglioramento morale ed economico dei suoi soci mediante atticommerciali, escluso qualunque fine politico e fornendo lorodenaro a ciò necessario”. Possiamo affermare come ancora una volta da Ripatransone ci ègiunto l’invito ad una collaborazione per un miglioramento eco-

nomico dei citta-dini. Senza farriferimento “aicorsi e ricorsidella storia” vo-gliamo ricordareche nel citatoperiodo storico,ci fu un prete diRipa t ransonenella nostra città

ad organizzare Cooperative e Società, educando al risparmio e almutuo soccorso. Fu don Francesco Sciocchetti che nel “1893fondò la Società di S. Giuseppe, che fu il nucleo originario e l’as-se portante delle sue molteplici realizzazioni sociali, e che rag-giunse ben presto i 400 iscritti. Era una associazione di mutuosoccorso, che aveva per motto “Religione, Lavoro, Risparmio” edintendeva promuovere la cooperazione tra contadini e operai.Altre iniziative furono quelle d’una specifica “Società operaia”(1896); d’un magazzino sociale, realizzato nel 1898 come coope-rativa di consumo; d’una CASSA RURALE, fondata nel 1902;

d’una cooperativa frapescatori messa in piedicon l’aiuto dei murriani(la “Società della pesca”,del 1902); d’una“Società femminile dimutuo soccorso Madon-na del Rosario”, sempredel 1902”. (Chiaretti: IlMovimento cattolico aS. Benedetto del Tronto,pag. 68).Questa è la storia, larealtà oggi è “Una Ban-ca di Ripatransone” che,come si può constatare

dal Bilancio fat-to conoscerenell’Assembleadei Soci tenutail 24 Maggio2009, è in cre-scita confer-mando il suoradicamento nelterritorio e lavolontà di sup-portare sempredi più lo sviluppo socio-economico delle realtà locali. La Banca è presente nel territorio Piceno, oltre che con la sede diRipatransone, anche con le filiali di Grottammare, Montefioredell’Aso, Porto D’Ascoli e S. Benedetto del Tronto. Oltre le duegià esistenti nella nostra città, dal 20 aprile funziona la nuovafiliale in Via Curzi, 19, proprio davanti alle Poste Centrali. Meritodi questa espansione va al Presidente dott. Michelino Michetti eal Consiglio di Amministrazione, in particolare, come è statoricordato durante l’Assemblea, al Direttore generale PietroGiuseppe Colonnella.Il nostro Vescovo, Mons. Gervasio Gestori, ha benedetto i nuovilocali il giorno dell’inaugurazione avvenuta il 16 maggio 2009.

Pietro Pompei

No, non si tratta della trasmissione di Daria Bignardi su“La 7”, né tantomeno si tratta delle invasioni dellepopolazione provenienti dal nord Europa che, nella

seconda metà nel 400 d.C., portarono alla caduta dell’ImperoRomano d’Occidente. No! Ma di qualcosa di molto simile. Si tratta di quello che accade alla nostra città nel fine settima-na, in particolare la sera, quando si accende la “movida” “denoialtri” ed alla già sofferente situazione del traffico e dei par-cheggi cittadini, specialmente al centro, si aggiunge il caricodei veicoli di una “orda scalmanata” di gente in cerca di svagoe di divertimento, appunto dei “barbari”.In nome della vitalità delle “attività del centro”, tutto è consen-tito. Saltano tutte le regole, già piuttosto labili, e ogni posto èbuono per lasciare la macchina. Che i parcheggi in città sianocarenti non è una novità, che non si riescano a trovare soluzio-ni alternative convincenti neanche (parcheggi satellite, coper-tura dell’Albula), ma arrendersi allo sfascio è deprimente. Auto in doppia file, auto in sosta vietata, auto di fronte ai passicarrabili, auto sui marciapiedi e via dicendo. L’ultima modasono le auto sotto la vecchia pescheria, quando non arrivano apiazzarsi davanti ai portoni degli edifici dell’isola pedonale.Per non parlare dei motorini che sono collocabili e collocatiovunque. Le biciclette invece sono rigorosamente attaccate aipali della luce, possibilmente dove il marciapiede si restringe,per meglio agganciare con conseguente strappo, la giacca dipelle o il maglione. Tutto accade dopo le venti del sabato,quando chi dovrebbe vigilare, termina il servizio. Solo in esta-te i Vigili prolungano il loro orario sino alle 24, ma nel restan-

te periodo, dopo le oreventi, traffico, sosta edaltri problemi analoghisono demandati allaPolizia ed ai Carabinieri iquali, purtroppo, solita-mente sono “in altre fac-cende affaccendati”.Quando intervengono poi, non sempre hanno le idee chiare.Una pattuglia della Polizia, chiamata a sanzionare un’autoparcheggiata di fronte al cancello di un passo carrabile rego-larmente segnalato, nella notte di un sabato invernale, ha pro-vato a sostenere con salomonico pronunciamento che, poichéil passo carrabile è rilasciato dal Comune, sono solo i vigiliche possono elevare la relativa contravvenzione!!!!!! E sicco-me i Vigili dopo le venti non sono attivi, la sosta… era quasilegittima!Il cittadino è inerme di fronte a queste situazioni, alla prepo-tenza di chi è sicuro di agire indisturbato. A parte le invasioni del sabato, non è che durante la settimanale cose vadano molto meglio. Ci sono zone della città offlimits, dove il vigile di quartiere è una chimera. Macchine par-cheggiate in tripla fila di fronte ai bar di periferia, sino adoccludere le strade; auto in sosta perenne sui parcheggi riser-vati al carico ed allo scarico delle merci o a quelli per i porta-tori di handicap.Nelle invasioni del sabato sera poi, c’è anche altro: musica atutto volume sino a tarda ora; bottiglie di birra a profusione(puntualmente abbandonate per strada il giorno dopo); schia-mazzi; marmitte sfondate, ecc. ecc. Tutto perfettamente illega-le, tutto perfettamente tollerato. Tutto illegalmente legittimo. Nello sfogliare il fotolibro dei “Vigili di una volta”, mi sonoricordato del divieto di transito estivo per le motociclette, sullungomare, dopo le ore 24 e di come i vigili dell’epoca fosse-ro capaci di farlo rispettare.Il mondo cambia e non sempre in meglio. Tranne forse per iterritori degli ex barbari del ‘400 d.C. A viaggiare nel nordEuropa tutto quello che riguarda la viabilità, il traffico, l’urba-nizzazione in generale, è esemplare. Le strade, la segnaletica,i parcheggi, i marciapiedi, le aiuole, e via dicendo, tutto è fun-zionale ed ordinato, lindo e pinto a testimoniare una collettivaaffezione alla cosa pubblica, al pubblico decoro. In definitiva,a dimostrazione del raggiungimento di un alto grado di civi-lizzazione che noi, giorno dopo giorno andiamo perdendo.

Il destino delle parole: “VOLGARE”

All’origine delle parole c’è sempre un aggancio precisoad un significato di cui la parola stessa si fa carico, sta-bilendo un rapporto vincolante tra significato e signifi-

cante. Così è anche per l’aggettivo volgare e il sostantivo volga-rità che rimandano al vulgus latino, cioè al popolino inteso comelo strato più basso della società del tempo per risorse economi-che, culturali e morali. Da qui anche comportamenti caratteriz-zati da gestualità e linguaggi rozzi, spregevoli sia da un punto divista estetico che etico. Insomma per volgare si intendeva, eancora si intende, la feccia della società.

Da sottolineare, però, che la volgaritànon identifica necessariamente il cetobasso in quanto tale. Il poeta latinoOrazio, nato da padre libertino (schiavoaffrancato), nell’antica Roma potevaassurgere al massimo grado di raffina-tezza per meriti letterari e dire “Odiprofanum vulgus et arceo” (Odio ilvolgo profano e me ne tengo ben lonta-no). Socialmente parlando il livellobasso, opposto all’alto, non è dunquesufficiente per imputare di volgaritàuna persona o uno strato sociale. Anzi,ci rendiamo conto - oggi più che mai -che la fascia cosiddetta alta per potereeconomico e politico cade troppo spes-so di livello andando a sguazzare nella

melma della volgarità con linguaggi e comportamenti che piùtronfi e pacchiani non si può. Quello che ci preoccupa, semmai, è altro: mentre restano nette,anzi si accentuano, le discriminazioni tra ricchi e poveri, gover-nanti e governati, che mantengono vivi i privilegi di casta, sem-brano del tutto annullate le demarcazioni di valore tra alto ebasso in senso etico. Nel lassismo generalizzato che ha sostitui-to il vecchio “vivi e lascia vivere” con “fa’ quello che ti pare pur-ché lo possa fare impunemente”, la distinzione tra lecito e ille-cito si annulla per chi ovviamente se lo può permettere. Ne risul-ta un imbarbarimento di ritorno che scombina i costumi socialiper un malinteso liberismo che si traduce in libertarismo, libe-rando tutti dal senso della decenza. E’ così che il “volgare”, originariamente partito dal vulgus, haconquistato le sfere alte della società, abbattendo gli argini adifesa che solo la cultura può porre, in un’evoluzione della vol-garità tanto progressiva quanto invasiva.

Benedetta Trevisani

LE INVASIONI BARBARICHE di Nicola Piattoni

Continua da pag. 1

LA BANCA DI RIPATRANSONE

Orazio

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Adestra di chi percorre il lungomareTrieste in direzione nord-sud, al nume-ro civico 28, appare un villino transen-

nato e in stato di abbandono, destinato facil-mente ad essere abbattuto per far posto a chi saquale nuova costruzione. Peccato! Si perderàper sempre un edificio in stile Liberty deiprimi anni del secolo passato. Uno dei villinipiù interessanti che hanno contrassegnato l’ini-zio nella nostra città del turismo balneare perun’attiva borghesia locale, provinciale e nazio-nale. Di questo villino, tra l’altro, si possonoancora ammirare interessanti affreschi, perquanto sbiaditi, nella parte più alta sotto il tetto.Dai dati in nostro possesso, grazie alla diligen-te e scrupolosa ricerca del dott. GiuseppeMerlini e alle informazioni ricevute gentilmen-te dagli ultimi proprietari e loro congiunti èstato possibile risalire all’origine della costru-zione e alla prima proprietà. Ad abitare il villi-no, senza dubbio uno dei primi del nascentelungomare, poco più a sud di quello del dott.Giovanni Bozzoni (adibito, in parte, da subito,a Centro oftalmologico dal proprietario), ful’ing. Oscar Morpurgo, che vi soggiornò con lafamiglia dal luglio 1929 (facilmente l’annodella costruzione) fino al febbraio 1935.Tuttavia Oscar Morpurgo e la sua famiglia nonfurono i primi proprietari del villino. La primaintestazione dell’edificio è di Remo Ruffini edErcole Olivieri che già nel giugno del 1929 lovendettero a Benedetto Levi, suocero di OscarMorpurgo; questi, in realtà, non fu mai il pro-prietario dello stabile che rimase intestato alpadre della moglie. In parte, dopo, tornò nellemani dei primi proprietari Ruffini-Olivieri e nel1935 l’intero villino fu acquistato da GiovanniMattei. Il nome del villino, tuttavia, fu dato daiMorpugo: villino Fiammetta in nome della pic-cola figlia di Oscar, che allora aveva un anno.

Chi era Oscar Morpurgo? Un cittadinomarchigiano, nato ad Ancona nel 1895, sposa-to a Perugia nel 1921 con Kolia Levi, da cuiebbe tre figli, nati nella città umbra dal 1922 al1928. Dai cognomi si evince che i due erano diorigine ebrea.

L’anno successivo alla nascita dell’ulti-mogenita, esattamente, come si è detto, nel

luglio 1929, Morpurgo si trasferisce a S.Benedetto del Tronto. L’ingegnere appartenevaad una famiglia di commercianti e il suo trasfe-rimento nella città adriatica è legato alla suaattività nello specifico campo della tessitura edel commercio di filati. Ma il motivo del cam-bio di residenza per lui e la sua famiglia fu, conogni probabilità, non tanto o non solo quellodel commercio, quanto quello politico. Da undocumento, consegnatomi in fotocopia daldott. Giuseppe Merlini, pubblicato a Perugiatra le schede biografiche di personaggi notevo-li della città umbra, dal titolo “GuglielmoMiliocchi, il ‘Mazzini di Perugia’”, appare ilnome di Oscar Morpurgo tra “ i fratelli masso-nici” che “vennero a patire grosse condanne”tra la fine del 1926 e l’inizio del 1928 “arresta-ti e confinati per periodi più o meno lunghi”. Ilnostro personaggio, ebreo e antifascista, inqualche modo, quindi, fu costretto ad emi-grare a S. Benedetto. Si tenga presente chel’ultima figlia (i primi due erano maschi) nac-que nel 1928. Legittima la sua preoccupazionedi tener lontana tutta la famiglia da Perugia epiù che opportuno il trasferimento a S.Benedetto. Qui, infatti, formò un temporaneosodalizio nella specifica attività dei tessuti, pro-duzione e vendita, con due sambenedettesi, nondi origine, che già operavano nel settore mani-fatturiero, il più noto era Aurelio Bruglia, pro-veniente da Offagna (Ancona), l’altro eraTelemaco Trezzi, nato a Carate Brianza (Mi),ma proveniente da Castelfranco Veneto (TV).Nel 1935 l’ing. O. Morpurgo si trasferìancora, prima ad Ancona, successivamente,nei pressi di Como. La proprietà sambenedet-tese, come si è detto, fu acquistata da GiovanniMattei, grosso commerciante di scarpe che,dopo aver permesso alla figlia di abitarvi quasisubito dopo il matrimonio con FilippoCosignani, gliela donò nel 1953. L’ultimo deitre figli nati dal matrimonio, Antonio (1928),Reno (1930), Giovanni (1932), unico supersti-te, vive a Latina. Tuttavia, più che la storia deiproprietari dello stabile, che pur dicono qualco-sa per la società, l’economia, la partecipazionealla vita pubblica della città, prima, durante edopo l’ultima guerra mondiale, a noi interessa

inquadrare la figura del primo abitante per lasua tragica fine nel campo di sterminio diAuschwitz.

Dalla documentazione in nostro possesso èpossibile seguire gli ultimi giorni della sua vita.

Residente in una villa di sua proprietà aCassina Rizzardi (Co) dove si era trasferito conla sua famiglia, nel 1943 da un documentodella Questura di Como nel fasc. “MorpurgoOscar” (il nome stesso come titolo dell’interofascicolo indica di per sé una certa notorietà delpersonaggio) risulta che furono confiscati i suoibeni; questi, consegnati alla Cariplo, rimaseronel dopoguerra per un certo periodo a Valdagnopresso la Direzione generale di PubblicaSicurezza per essere in seguito depositati pres-so la sede della Banca d’Italia di Vicenza. Senon fosse tragica la conclusione della perse-cuzione dell’ ebreo O. Morpurgo, certi parti-colari della forzata alienazione dei suoi benisarebbero oggetto di una commedia all’italianae non solo: dalla villa venne sottratto, a favoredi un generale tedesco, uno dei tre “preziosipianoforti”, abbandonati (così si legge neldocumento) dal proprietario Oscar Morpurgoal momento della requisizione. Come se ciònon bastasse la stessa Ambasciata di Germaniaa Fasano del Garda pare fosse interessata aduno dei due pianoforti restanti. Si registrò allo-ra un sussulto di dignità nazionale (!!) da partedel Ministero delle finanze della RepubblicaSociale Italiana (allocata, come si sa, nelle vici-nanze, a Salò), che tramite il Ministero degliEsteri intervenne perché almeno questi fosseroesenti da requisizione da parte tedesca e rima-nessero in Italia. Sotto questo documento c’èuna data: 18 dicembre 1944-XXIII(chissà per-ché non XXII dell’Era fascista). Tragica la dataperché il proprietario era già stato deportato,come fra poco si dirà, nel gennaio del 1944,quasi un anno prima. Che questi pianoforti fos-sero veramente preziosi (è facile immaginarecome lo fosse in particolare quello destinato algenerale tedesco) è provato da un altro docu-mento, che porta la data del febbraio1945. In un fascicolo con tanto disigle, sotto il titolo “Sequestro beniebraici da parte delle autorità tede-sche in Italia” è scritto chiaramentePianoforti rinvenuti nella Villa exMorpurgo di Cassina Rizzardi(Como). Se si dà un valore distinto,fra tutti i beni sottratti alla villa, ai trepianoforti, significa che questi effet-tivamente erano “preziosi”.

L’ultimo trasferimento delnostro concittadino pro temporenon ha niente a che fare con la suavolontà. Fu un trasferimento forzatoe drammatico che dovrebbe indurci aserie riflessioni sullo sterminio neicampi di concentramento. Il 30 gen-naio 1944 dalla stazione di Milanopartì un treno: il carico umano diquel convoglio, la cui sigla eraRSHA, aveva per destinazioneAuschwitz-Birkenau. Erano ammas-sati in quell’angusto spazio ben 605tra uomini, donne e bambini, tuttiebrei, diretti alle camere a gas. Di

essi solo 120 sopravvissero. Purtroppo tra que-sti non c’è il nome di Oscar Morpurgo. Fu uno,quindi, dei sei milioni sterminati dall’odio raz-ziale e dal silenzio assordante del mondo inte-ro. Nell’elenco dei muti nomi non appaionoquelli della moglie Kolia Levi e dei figliAngioliero, Stelio e Fiammetta. Essi si salvaro-no dallo sterminio perché il padre fu previden-te nell’inviarli in tempo nella vicina Svizzera.

Se la nostra città volesse ricordare conuna lapide questo nostro concittadino se nonaltro perché l’ha scelta per sé e la sua famigliaper un tempo determinato e, forse, per goderealcuni anni di tranquilla serenità, quel suonome, scolpito sul marmo, sarebbe un concretosegno di “memoria”. Ma dove collocare la lapi-de? Il villino fra poco sarà abbattuto dal tempoe dall’abbandono, è vero, e dai legittimi pas-saggi di proprietà, ma anche dalla corrosivadimenticanza e dalla noncuranza dei nostri esi-gui beni culturali. Allora anche OscarMorpurgo, l’ebreo deportato ad Auschwitz,omnis morietur.

Ma forse l’ultima parola non è stata anco-ra scritta. Su “Il Messaggero” del 20 dicembre2000 si riporta la notizia che l’Amministrazionecomunale approva il nuovo regolamento edili-zio e “pone sotto tutela le ville Liberty rimastenel primo tratto del Lungomare Trieste, perchédi interesse architettonico e culturale”. Poichétra queste poche ville superstiti c’è la villaFiammetta (Morpurgo), ci si chiede se la deli-bera sia ancora vigente. Se la risposta fossepositiva sarebbero salve villa (“di interessearchitettonico e culturale”) e memoria (ladeportazione e l’uccisione di un ebreo, nostroconcittadini pro tempore).

* Mi corre l’obbligo di ringraziare per le noti-zie fornitemi, oltre a Giuseppe Merlini,Fiammetta Morpurgo Rossi residente aMilano, Giovanni Cosignani, Virginia FalàCosignani, Giorgio Mataloni, Aldo Trezzi eFederico Sciocchetti.

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PAVIMENTI IDROSANITARI

Via Pasubio, 99 (S.S. 16)PORTO D'ASCOLITEL. 0735/753131

O S C A R M O R P U R G Onostro concittadino pro tempore, deportato e morto ad Auschwitz (*) di Tito Pasqualetti

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amministrazione e stabilimento:Via Leonardo Da Vinci, 24/26

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FUNI METALLICHE PER OGNI USO

A PROPOSITO DELL’AZIENDA UNICA OSPEDALIERA

Alla fine degli anni sessanta, in sinergia con la crescitaeconomica, sociale e della popolazione di San Benedettoanche l’Ospedale “Madonna del Soccorso” iniziò il suo

sviluppo.Da pochi anni, dal piccolo Ospedale di Via Pizzi, oggi ScuolaMedia “Sacconi”, si era trasferito nel nuovo edificio costruito sulterreno donato dalla N.D. Voltattorni.L’organizzazione della Sanità a quel tempo era completamentediversa dall’attuale. Non esisteva ancora il Sistema SanitarioNazionale (S.S.N.) e gli Ospedali erano gestiti autonomamente daun Consiglio si Amministrazione espressione della Società Politicalocale.Il Dott. Giorgi, Presidente di quel Consiglio d’Amministrazione,

con grande lungimiranza, avviò un programma di ConcorsiPubblici per dotare l’Ospedale delle varie specialità mediche chemancavano.Alla Chirurgia diretta dal Prof. Sorge e alla Medicina diretta dalProf. Geraci, fino ad allora uniche specialità esistenti, si aggiunse-ro la Radiologia con il Prof. Dardari, L’Ostetricia e la Ginecologiacon il Prof. Mainelli, la Pediatria con il Prof. Benatti, l’Ortopediacon il Prof. Baregazzi, l’Otorino con il Dott. Boccabianca,l’Oculistica con il Dott. Bozzoni, il Laboratorio Analisi con il Prof.Mucci.La professionalità e la fama di tutti questi professionisti chevenivano dalle maggiori Università italiane, avevano qualifi-cato l’Ospedale tanto da farlo apprezzare come uno deimigliori della Regione.Malgrado ciò, ci fu bisogno di una sollevazione popolare con gran-de partecipazione degli abitanti di San Benedetto, che sfociò anchenel blocco della Statale Adriatica, per ottenere che il nostroOspedale non fosse declassato come gli Organi Provinciali aveva-no deciso.Ho fatto questa premessa per chiarire che le difficoltà di sviluppodella Sanità Ospedaliera di San Benedetto hanno radici lontane esempre derivanti da indirizzi e decisioni di Organi superiori, allo-ra Provinciali, oggi Regionali.Eppure, e questo fa ancor più riflettere, San Benedetto è sempre laquinta città delle Marche per popolazione e senz’altro la prima perflussi e presenze turistiche ed è così vicina alle cittadinedell’Abruzzo confinante che quest’ultime gravitano non solo dalpunto di vista sanitario ma anche sociale e commerciale nellanostra città.Nel 1978, con la Legge 833 dello Stato, inizia una nuova era della

Sanità Italiana. Entra in funzione il Sistema Sanitario Nazionale(S.S.N.) e tutte le attività sanitarie, comprese quelle ospedaliere,vengono gestite da un Comitato di Gestione che dipende finanzia-riamente e in parte dal punto di vista gestionale dall’Assessoratoalla Sanità della Regione.Il territorio Regionale viene suddiviso in 24 U.S.L. e la nostra, concapofila San Benedetto, che comprende anche altri Comuni limi-trofi, è la numero 22. Sono gli anni dal ’78 al ’94. Si susseguono quali Presidenti delComitato di Gestione il Cav. Cappella, il Rag. Falaschetti, il Dott.Zazzetta e l’Ing. Cameli. Il nostro Ospedale si arricchisce via via di nuovi reparti qualiCardiologia, Geriatria, Psichiatria, Neurologia, Rianimazione,Diabetologia, Oncologia; il Pronto Soccorso acquisisce una suaautonomia e viene inoltre completato l’ampliamento strutturalecon notevole aumento di cubatura.Con l’aiuto di una sottoscrizione popolare e su indicazione di ungrande Radiologo come il Prof. Dardari si acquisisce un apparec-chio per la TAC, il secondo della Regione dopo quellodell’Ospedale di Ancona.L’Ospedale quindi stava crescendo anche con il supportopositivo di nostri politici in Giunta Regionale.Stranamente però iniziarono denunce anonime e le visite quasigiornaliere dei NAS.Denunce con conseguenti avvisi di garanzia che solo dopo anni

sono state derubricate con il classico “Perché ilfatto non sussiste” ma che, come ben comprensi-bile, crearono sconcerto e timori negliAmministratori. Ed infine nel ’94 con Legge Regionale, delle 24U.S.L. furono create 13 A.S.L. e la gestionepassò ai Direttori Generali nominati dalla GiuntaRegionale e che alla stessa Giunta dovevanorispondere. Il primo Direttore Generale ad essere nominatonella A.S.L. 12 fu il Dott. Salvi, Manager di altaqualità, che tentò fin da subito di qualificareancor più l’Ospedale ma che trovò notevoli resi-stenze a livello Regionale tanto da essere “licen-ziato” dopo solo un anno dal suo insediamento.Evidentemente dava fastidio la sua indipenden-

za, il suo non essere uno “yes man”, ma di essere e di agire da veroManager nell’interesse delle popolazioni della A.S.L. dove erastato nominato.A riprova di ciò il Dott. Salvi fu chiamato dalla Regione Toscanaa dirigere la A.S.L. di Grosseto dove acquisì premi di prestigionazionale.Da quel momento la Regione Marche ha nominato a gestire laSanità della A.S.L. 12 cosiddetti “Manager” con una forte pro-pensione al servilismo verso gli Organi Regionali, tranne i rari casidel Dott. Marabini che però ebbe anch’esso vita amministrativamolto breve e del Dott. Petrone, attuale Manager.

Questi cosiddetti “Mana-ger” non solo si sono limi-tati a gestire l’ordinariaAmministrazione senzaseguire minimamente lacontinua evoluzione diconoscenze e di tecnologiadella Medicina moderna,ma hanno anche nominatoPrimari di importantireparti contro il parerenegativo di tutto il corpomedico per poi, dopo unanno, “consigliare” le dimissioni agli stessi Primari da loro nomi-nati. Purtroppo ancor oggi si pagano le conseguenze di questi errori.C’è da fare un’altra considerazione, ovvero la colpevoleindifferenza dei politici locali.E’ di circa un mese fa la notizia che la Giunta Regionale ha deli-berato l’integrazione dei due Ospedali di Ascoli e San Benedetto ela costituzione fra i due Ospedali dell’Azienda Ospedaliera.Sembrava proprio una bella notizia, una delle poche belle notizieche arrivava da Ancona da tanti anni a questa parte.Anche perché sarebbe stata la quarta Azienda Ospedaliera delleMarche dopo quelle di Ancona Torrette, Ancona Salesi e Pesaro. La particolarità dell’Azienda Ospedaliera è che la stessa ha auto-nomia gestionale e finanziaria anche rispetto a tutte le altre attivitàsanitarie del territorio (Medicina di base, Poliambulatori, ServiziIgiene e Sanità, Servizio Veterinario etc). Sarebbe senz’altro posi-tivo se questa autonomia, come in altre realtà, fosse di un soloOspedale. Le perplessità cominciano a nascere quando, come nelnostro caso, gli Ospedali sono due distanti 25 Km l’uno dall’altro.Anche perché esistono diversi doppioni di reparti di specialità, chenon permetterebbero quelle economie di scala che potrebbero edovrebbero liberare risorse finanziarie tali da consentire di pro-grammare la creazione di nuovi reparti specialistici che possanodare una risposta sanitaria a 360° all’utenza e anche per dotare lespecialità già esistenti di personale, tecniche ed attrezzature alpasso con gli sviluppi tumultuosi della medicina moderna.La programmazione sanitaria riconosce alcuni parametri oggettiviquali, in primis, l’epidemiologia, poi la popolazione, la geografia,la geomorfologia del territorio, la presenza di grandi vie di comu-nicazione.Nel caso specifico, invece, questa programmazione appare tuttaconcentrata sulla politica.C’è da augurarsi che siano solo “rumor” da campagne eletto-rali quelli provenienti da vari candidati di Ascoli che si arroc-cano in una difesa a priori di tutti i reparti dell’Ospedale di Ascoli,relegando di conseguenza il nostro Ospedale “Madonna delSoccorso” a poco più di un’infermeria o posto di primo soccorso.E’ pur vero che, per tutto quello che ho cercato di spiegare prece-dentemente (soprattutto l’insipienza di alcuni Direttori Generaliassegnati dalla Regione a San Benedetto) alcune specialità si sonodi molto rafforzate in Ascoli (come per esempio la Radiologia e laCardiologia), ma esistono comunque anche a San Benedetto delleeccellenze che debbono essere valorizzate.Vorrei fare un’ultima considerazione: se l’Azienda Ospedaliera èunica, unico sarà il Direttore Generale che avrà sicuramente la suasede in Ascoli con tutto ciò che ne potrà conseguire.E allora, per finire, non è certo da scartare la soluzione dell’u-nico Ospedale, da costruire ex novo, baricentrico tra Ascoli eSan Benedetto che permetterebbe sicuramente quelle economie discala tali da investire in un’offerta sanitaria efficiente e completaper tutta l’utenza della provincia e la diminuzione della mobilitàpassiva.Non vedo neanche problemi di distanze da alcuni paventate. AdAncona, per esempio, l’Ospedale dal centro città è stato trasferitoa Torrette in una moderna struttura e la distanza dal centro diAncona a Torrette è più o meno quella che esisterebbe da Ascoli oda San Benedetto all’Ospedale Unico da costruire ex novo.

Piero Ripani

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Ceccò e “la Tellina”

“Era di primo mattino e il sole appena sortoluccicava tremolando sulle scaglie del mareappena increspato “, così inizia il racconto de“Il gabbiano Jonathan Livingston” di R. Bach,ma la giornata di Ceccò era iniziata da unpezzo a scaricare casse di pesce da portare inpescheria. A quell’ora lo trovavi, dopo il molosud, a una decina di metri dalla battigia, a don-dolarsi con “lu tellenare”, camminandoall’indietro in una posizione che gli era statafamiliare fin dalla fanciullezza. Ma chi è stato Ceccò? Allora non c’era la tele-visione a solleticare la fantasia alla ricerca dinomi spesso indecifrabili. Fin dal concepi-mento trovavi tutto prestabilito, compreso ilnome a continuare quello di un nonno o diqualche parente morto in mare. Lo chiamaro-no Francesco, il cognome, Del Zompo, servi-va solo per l’anagrafe, perché, da noi, eri piùfacilmente individuabile ricorrendo al sopran-nome, un vezzo che ci siamo portati dietrodagli antichi Romani.Era nato l’11 febbraio 1911 negli anni di crisiche precedettero la prima grande guerra e gli

armamenti erano il primo pensiero dei gover-nanti e, come sempre, a soffrirne di più furonoi poveri. E’ proprio vero, in molte famiglie sinasceva con il lavoro pronto, a girare la ruotasopra un masso: si era così piccoli che non siriusciva a far leva sul ferro in altro modo.“Vota ci vota”, era il primo “sussidiario” sulquale si incominciava a leggere la vita. E ilnostro Francesco incominciò lì in attesa dicontinuare la sua vita in quei 33 metri senzamai alzare la testa.Man mano che gli anni aumentavano cresce-vano anche le responsabilità, tanto più se,come allora era usuale, le bocche da sfamaredentro casa erano numerose. Sui giovani pesa-va anche il mantenimento dei vecchi, la pen-sione era ancora un desiderio. Quando per laprima volta si mise intorno alla vita nu nuc-chie di canapa e con in mano la pèzze (unafelpa bagnata tagliata da un vecchio cappello)per lisciare la canapa, allora si accorse di esse-re avanzato socialmente. La maggiore età nonera questione di numeri, ma di lavoro. E lo fuancora di più quando si sentì dire: “Queste jèlu spaghe de Ceccò”. Con questo nome com-presso era entratoappieno nellasocietà degli adulti.Così la vita si sareb-be svolta a filar spa-ghi e a tenderli danu palafèrre all’al-tro, se la guerra conla sua azione deva-statrice non avesseimposto un fuggifuggi nei paesi interni.Fu allora che incontrò Anita, la donna dellasua vita. Dal loro matrimonio nacquero quat-tro figli, ma solo tre sono sopravvissuti: Anna,Albertina e Gianfranco. Le prime avvisaglie diuna crisi della lavorazione dello spago e lenecessità di una numerosa famiglia spinseroCeccò verso un lavoro più remunerativo, quel-lo “de lu zautte” chiamato anche “sbarzuc-

che,. termine d’antica origine veneziana con ilquale in molte marinerie adriatiche si è solitiidentificare, ancora oggi, il facchino di porto,cioè colui che provvede a scaricare il pescatodalle barche e portarlo al mercato, a rifornirele stesse imbarcazioni di reti, attrezzi, alimen-ti e quant’altro occorre durante le giornate dipesca. Molti di questi lavori si svolgevano lamattina presto e pertanto rimaneva tempo perarrotondare la paga mettendo le “nasse”, trap-pole che un tempo si costruivano anche convimini, per la pesca in particolare delle seppie.C’era il tempo anche di trascinare “lu tellena-re” con un movimento ritmico aiutandosi conuna fascia che faceva forza sui fianchi e cam-minando all’indietro. E tra telline e vongole,seppie ed anche cannelli, alla fine si riusciva amettere da parte qualche soldino.Siamo intorno agli anni ’60, quando la nostracittà principiò veramente a manifestare grandiambizioni turistiche che la portarono a vederenel tratto di mare, Albula-Porto d’Ascoli, illuogo giusto a tale scopo. Fu allora che Ceccòintuì la possibilità di iniziare l’attività di bagni-no che ben presto diventò il suo lavoro pre-

ponderante.Incominciò conalcuni “casotti” inlegno, che poteva-no essere facilmen-te rimossi nel pe-riodo invernale. Imiglioramenti an-nuali, le richiestesempre più nume-rose dei forestieri, i

nuovi regolamenti portarono Ceccò ad unacostruzione stabile e dignitosa. In questiuomini costruiti sui sacrifici fin dalla primainfanzia, trasparivano una umanità, una genti-lezza d’animo ed una signorilità verso l’ospi-te che li faceva ricercare ed amare. Quei voltisegnati dalla fatica di una vita stagliata dalleintemperie, mostravano dei tratti che davanosicurezza. E i turisti ritornavano, anzi erano

soliti prenotarsi per l’anno seguente per pauradi non ritrovare il loro bagnino che era sem-pre prodigo di consigli. In tutto questo gli fudi valido aiuto la moglie Anita che continua agestire l’attività, così come il suo Francescola voleva, con l’aiuto delle figlie e figlio,generi e nuora, nipoti. Tra di essi il nostroGiulio, barbiere, che porta, in quel luogo, unaventata di sambenedettesità, attingendo allenumerosissime esperienze del suo mestiere.Molti sono i personaggi tipici della nostracittà che rivivono nei suoi racconti. Ed è inte-ressante conoscere come Ceccò trovò il nomeda dare al suo nuovo chalet. Due dottori che iSambenedettesi non dimenticheranno mai perla loro bravura e per la loro cordialità ed uma-nità: il chirurgo Sorge e il radiologo Dardari,erano soliti, nei pochissimi momenti liberi,passeggiare sul lungomare. Un giorno Ceccòsi fece coraggio e chiese loro aiuto nella ricer-ca del nome da dare al suo nuovo chalet. Idottori che tante volte lo avevano visto trasci-nare lu tellenare, suggerirono subito LaTellina… e nel racconto, Ceccò aggiungeva:“Nelle loro parole, si avvertì la voglia di unbuon piatto di spaghetti alle telline”. Unavoglia che ci porteremo nella tomba, poichéquesti molluschi ormai restano solo sullascritta che ci ha lasciato Ceccò. Ora Egli non c’è più, lasciando un vuotoincolmabile nel cuore di Anita, un esempio dilaboriosità e di onestà ai figli e familiari, uninsegnamento che molti altri come lui cihanno lasciato, a saper perseguire quei valorisui quali hanno desiderato fosse il futuro dellanostra città.

Guardiamoci attorno e facciamo attenzione perché lecose belle e piacevoli, alle volte, sono più prossime diquanto non sembri. Il 21 marzo è stata rappresentata,

presso il Teatro “San Filippo Neri” di San Benedetto, la com-media in dialetto La pacinzie de lu curate (“La pazienza delparroco” per i meno “acculturati”) nell’ambito della rassegnaInvernacolando, organizzata dal locale laboratorio teatrale. Lospettacolo, frutto della penna e della vena creativa di VittoriaGiuliani, è risultato graditissimo al numeroso pubblico presen-te, parte del quale non ha potuto assistervi per la limitatacapienza della sala. La commedia, prodotta dall’AssociazioneTeatrale “Ribalta Picena” con il patrocinio del Circolo deiSambenedettesi, ha piacevolmente sorpreso per l’impattocomunicativo immediato che ha avuto sul pubblico. Si è cioèverificato quella specie di miracolo che solo il teatro può com-piere: catturare l’attenzione di chi assiste fino al punto di ren-derlo partecipe e di farlo interagire con chi si muove sullascena. Ciò è stato possibile perché il teatro di Vittoria Giulianiè – prima ancora che con la testa – un’opera concepita con ilcuore, in cui i sentimenti semplici e il sano buon senso di cuiè intessuta ci comunicano atmosfere paesane ancora vive e pul-santi nei cuori di chi quel mondo ha avuto la ventura di viverloin prima persona o lo ricorda filtrato attraverso i racconti di

genitori e parentivari. Così le brighedi una retara unpo’ impicciona einev i tab i lmentepettegola alle presecon un marito sem-pliciotto che ha tro-vato nella sua fintasordità l’antidotomigliore per resi-

stere all’asfissiante petulanza della moglie, crea-no situazioni di esilarante comicità in cui si pos-sono facilmente rintracciare casi di vita orecchia-ti o direttamente vissuti. Punto di riferimento ditutto lo spettacolo sono appunto donna Giggetta,la retara, e lu curate che costituiscono il centromotore di tutta l’azione scenica: l’angoscia diuna nonna la cui nipote deve rinunciare per l’en-nesima volta a ricevere la Prima Comunione per-ché il padre si è bevuto perfino i soldi per com-prare il vestitino adatto; il ritorno di una “gene-rosa” pecorella smarrita che suscita invidia per-ché, dopo aver conquistato un bel nobile milane-se, veste di lusso e se ne va in giro con la tumobbele con annes-so sciufferre; le ansie di una madre con una figlia diciassetten-ne da maritare, che chiede informazioni al curato perché lafiglia parla ‘nghe nu giuvanotte che de mestire fa lu befòlechee lei non sa cosa significhi; il dramma di un povero sacrestanoche si è visto sfiorare da lu batucche della campana improvvi-samente staccatosi e che per la paura è diventato sordo, balbet-ta e spera di guarire scolandosi le bottiglie del vino “sante” cheil curato tiene da parte per la messa; la passione di un giovane,rifiutato dalla famiglia dell’amata, che, con la complicità delcurato, vorrebbe organizzare una fuitina con la sua bella pro-prio nel locale sottostante la canonica; le pretese di personalis-sima giustizia sociale da parte della perpetua che sottrae rego-larmente vettovaglie dalla dispensa del curato per sostenere lapropria famiglia in difficoltà: come si vede un universo varie-gato in cui l’effetto comico si ottiene dalla giustapposizionesulla scena dei personaggi, che in questo contesto assumono laconsistenza di macchiette, capaci di esasperare i propri statid’animo trasmettendo così al pubblico una gamma di senti-menti che passano, attraverso un ritmo forsennato, dal dram-matico al grottesco.

Tutto questo è sostenuto dalla perfezione del dialetto diVittoria, che non è tanto una perfezione di carattere formale, mache trova la sua efficacia proprio perché l’autrice “pensa” escrive immediatamente in vernacolo senza transitare attraversola riflessione formale nella lingua nazionale. Ne scaturisceinfatti una spontaneità dell’eloquio, abbinata ad una semplicitàdella comunicazione che, in tal modo, risulta vivace, colorita,efficacissima nei suoi intenti, senza mai scadere nella banalitào peggio nella volgarità. Altro indubbio merito dello spettacolo è stato quello di averavvicinato al mondo del vernacolo molti giovani che, nella per-fetta simbiosi che solo il teatro riesce a realizzare, hanno sapu-to assorbire dagli “anziani” quella passione per la nostra linguavernacolare che è la migliore - e del resto unica - garanzia peruna sua lunga e fortunata sopravvivenza.Ci sia permesso infine ringraziare Vittoria Giuliani, GioacchinoFiscaletti (il nostro impareggiabile curato), il regista AlfredoAmabili e tutti quanti, in virtù della comune passione per il dia-letto e le tradizioni culturali di San Benedetto, hanno reso pos-sibile questa esperienza che, dopo la felice accoglienza ricevu-ta, crediamo meriti di essere riproposta.

CHE PACINZIE CHE CE VO’ !...Due risate in compagnia del teatro di Vittoria Giuliani

Giancarlo Brandimarti

di Pietro Pompei

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Come ormai da qualche anno, anche que-sta primavera, a cavallo di aprile e mag-gio, il Circolo dei Sambenedettesi ha

organizzato i tradizionali “Giovedì delCircolo”. Chicca di apertura di questa serie diincontri pomeridiani su vari e variegati aspettidella “sambenedettesità”, è stata la proiezionesabato 18 aprile presso l’Auditorium dellaBiblioteca Comunale, del video di FrancoTozzi: “Una vacanza indimenticabile”. Inquesta occasione il folto ed attento pubblico hapotuto rivedere, tramite cartoline d’epoca origi-nali, la San Benedetto dei primi del ‘900, alseguito di una coppia di turisti scesi alla stazio-ne ferroviaria per trascorrere nella nostra citta-dina quella che poi si rivelerà, per l’appunto,“una vacanza indimenticabile”.I veri e propri “Giovedì” hanno poi avuto iniziopresso la sede del Circolo, il 23 Aprile con unpomeriggio a cura di Gabriele Cavezzi eBenedetta Trevisani. L’uno, con un breve e, alsolito, puntuale excursus storico ha relazionatosul cammino compiuto dalla nostra città pergiungere all’attuale profilo turistico-balneare.L’altra, tramite curiose amenità tratte dalle

“Cronache balneari dai giornali d’epoca” –da un lavoro di ricerca e rivisitazione diGiuseppe Merlini – ci ha riportato alle atmosfe-re di quegli anni, certamente lontanissime dalleodierne per usi e costumi. Il tutto arricchitodalle letture di Carla ed Antonietta Del Zompo,della Ribalta Picena, di poesie sui divertentiequivoci negli iniziali impatti tra la popolazio-ne locale ed i primi “frastire”.Il giovedì seguente c’è stato: “il dialetto traoralità e scrittura: la grammaticaimplicita”. Nel corso di questo incontro TitoPasqualetti ha evidenziato la grande diffusionedel dialetto nella realtà sambenedettese in unpassato pressoché prossimo e l’impellentenecessità, vista l’inevitabile sua evoluzione-trasformazione, di “fermare”, anche tramite lascrittura, quel bel patrimonio di memorie lin-guistiche che vanno perdendosi con la scom-parsa degli ultimi testimoni viventi. Ha prose-guito Nazzarena Prosperi, puntualizzando,anche con esempi esplicativi, sulla necessitàed importanza della conoscenza e relativobuon uso della “e muta” e degli accenti permeglio applicarsi alla lettura e alla scrittura indialetto. Infine Cristina Marziali, derivandodalla sua personale esperienza ha proposto ildialetto come lingua “del cuore”, rivendican-done, apertamente ed orgogliosamente, il sen-tirlo e viverlo come segno distintivo ed identi-ficativo di una data appartenenza.Il successivo appuntamento, curato, nell’ordi-

ne, da Isa Tassi e Francesca Mascaretti, haavuto come tema: “L’universo Femminile”.La prima relatrice ha portato all’attenzione –frutto di un paziente lavoro di raccolta di testi-monianze e di ricerca – le varie usanze, ritualitàe superstizioni che hanno accompagnato neisuoi diversi momenti – nascita, fidanzamento,matrimonio, etc. – la vita della donna sambene-dettese. A seguire, l’argomento della secondaparte è stato la “vòtera”: manifestazione forte esanguigna, tra religione e superstizione, intrisadi crudezza e di pressoché esclusivo appannag-gio femminile. Anche in questa occasione,momenti molto apprezzati sono stati quelliofferti dalle letture recitative della RibaltaPicena.Nell’incontro successivo si è avuta la presenta-zione, a cura di Benedetta Trevisani ed impre-ziosita da una lettura di Anna Lunerti dellaRibalta Picena, del libro di AntonellaRoncarolo, “Il Giardino Incantato”. Noveracconti che l’autrice ha scelto tra i molti rac-chiusi nel suo personale “cassetto di scrittrice”,per tracciare con essi “una linea sottile attraver-so gli eventi della storia”, quella appena dietrole spalle ed ancora a memoria d’uomo e quellache tutti noi stiamo scrivendo, vivendo la realtàdei nostri giorni. Degno sigillo di chiusura è stato, giovedì 21Maggio, il pomeriggio dei “Dialetti a confron-to”. Dopo un doveroso e sentito tributo allamemoria di Elvio Capriotti –“Marfule” – da

parte di Gabriele Cavezzi, il coordinatore di que-st’incontro, Pietro Pompei, ha messo in luce lapeculiarità del dialetto sambenedettese rispetto aquelli del territorio circostante dando poi spazioe voce agli ospiti giunti da realtà limitrofe comeGrottammare e Martinsicuro, nell’ordine MarioLanciotti ed Elio Di Mizio, e da Ascoli Piceno,nelle persone di Adriano Speri e GiulianaPiermarini. Dall’ascolto delle letture nei vari dia-letti, anche l’orecchio meno avvezzo ha potutoben apprezzare le caratterizzanti diversità disuono e di ritmo. Per finire in bellezza con il dia-letto sambenedettese, c’è stato l’ascolto dellaregistrazione di una “poesia-preghiera” di PietroPompei: “La Madonne de i cuppétte”, magistral-mente musicata da Don Piergiorgio Vitali ed ese-guita dalla Corale Polifonica “Padre Giovannidello Spirito Santo”. Con i saluti ed i ringraziamenti finali a tutti irelatori ed ai presenti – ed alle gentili ospiti checon i loro apporti “dolciari” hanno contribuitoad allietare ciascun dopo-incontro, la presiden-te del Circolo dei Sambenedettesi, BenedettaTrevisani ha dato l’arrivederci alla prossimaedizione de “I Giovedì del Circolo”.

23 MAGGIO 2009: siamo di nuovo in giro allascoperta di alcuni dei numerosi siti della nostraregione, tra i più interessanti per cultura ed arte.Come ogni anno, infatti, il Circolo deiSambenedettesi ha organizzato la gita sociale indue località veramente singolari delle Marche,che da noi marchigiani dovrebbero essere cono-sciute per la loro importanza storica e per l’imponenza architettonica: a volte si va lontanoper conoscere luoghi d’arte e bellezze naturali

di cui la nostra Italia abbonda, e magari non cisi accorge o non si acquisisce dimestichezzacon il “bello” che è presente nelle nostre vici-nanze, sia nel campo artistico che in quellonaturale. Le mete scelte per il 2009, dunque,sono state la Rocca di San Leo, in provincia diPesaro, e la Rocca Roveresca di Senigallia.La mattina del 23 eravamo in cinquanta nel pul-lman che ci ha condotto a nord della nostraregione; siamo penetrati in Romagna e poivia… nel Montefeltro. Lassù, a 639 metri d’al-titudine, si eleva superba ed elegante la Roccadi San Leo che domina la Val Marecchia: in ori-gine si chiamava Castello di Montefeltro, oggiè dedicata a San Leo. San Leo (o San Leone) era uno scalpellino cheinsieme a San Marino era fuggito dallaDalmazia quando al di là dell’Adriatico imper-versava la persecuzione di Diocleziano contro iCristiani. San Leone evangelizzò la zona, com-piendo numerosi miracoli, per cui a lui furonopoi dedicate la Rocca e il paese sottostante, dicui abbiamo ammirato la Pieve -costruzionepreromanica del IX secolo-, e il Duomo –ungrande monumento in stile romanico-lombar-do, la più alta espressione di arte e di fede esi-stente nel Montefeltro. Al seguito di un’espertaguida del luogo, abbiamo visitato i vari ambien-ti della Rocca: la parte nobile adibita ad abita-

zione dei Signori diMontefeltro succedutisi nelcorso dei secoli al comandodella fortezza, e il piano allorariservato agli armigeri e allaservitù che oggi è diventato unricco museo delle armi. Nelleprigioni scavate nella roccia viva, abbiamoosservato e toccato con mano gli orribili, cru-deli strumenti di tortura riservati all’epoca aiprigionieri, e usati anche dalla S. Inquisizioneper castigare eretici, impostori e oppositoridella fede cristiana.Siamo entrati dunque nella cella del conteCagliostro, il misterioso palermitano medico,guaritore, chiaroveggente, alchimista, massoni-co, impostore… che vi fu rinchiuso in totaleisolamento e vi trascorse alcuni anni di durissi-ma prigionia che lo condussero alla follia e allamorte. Fu seppellito nei dintorni ma, poiché delsuo cadavere sembra non si siano ritrovate trac-ce, circolano numerose leggende sulla sua fineo sugli inganni da lui perpetrati per sfuggire allamorte e rifarsi una vita.Dopo il pranzo consumato in un agriturismodella zona, durante il quale si sono consolidaticon serenità e soddisfazione gli amichevoli rap-porti tra i soci del Circolo, abbiamo raggiuntoSenigallia per una visita ai luoghi più caratteri-

stici: la Rotonda sul Mare, il lungomare, gliantichi palazzi - la città, colonia romana, fu fon-data nel 283 aC., dopo la sottomissione deiGalli Senoni dai quali prese il nome - , e infinela Rocca Roveresca, anch’essa una delle mag-giori opere di architettura militare sorta a ridos-so della fascia costiera adriatica per la difesadella città dalle incursioni dei nemici prove-nienti dal mare. Sui resti di una torre romanadel 3° secolo a.C., venne innalzata, in etàmedievale, una torre costiera di avvistamentoche nel corso dei secoli fu più volte ingrandita.La Rocca, così com’è oggi, fu fatta costruirenella seconda metà del secolo XV da GiovanniDella Rovere, da cui il nome.Abbiamo vissuto veramente una bella giornatadensa di curiosità e di fatti storici interessanti,ci siamo riempiti occhi e cuore delle notevoliopere artistiche e architettoniche visitate, e alritorno ci siamo ripromessi di far parte dinuovo della comitiva, nella gita sociale delprossimo anno.

Nazzarena Prosperi

I GIOVEDÌ DEL CIRCOLOdi Francesca Mascaretti

GITA A SAN LEO E SENIGALLIA

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LU CAMPANÒ - pagina 7

IIll ddiiaalleettttoo rriissppoonnddee aallll’’aappppeelllloo

Chi dice o pensa che il dialetto sia una lingua morta non è al passo con i tempi. Ieri, infat-ti, si poteva anche credere che la contemporaneità ci conducesse sempre più lontano dallalingua locale, sopravanzata e sconfitta dalla lingua nazionale. Oggi invece si vede il dia-

letto riconquistare importanti spazi vitali proprio là dove più conta: nelle scuole, tra i bambiniche la vita sociale e l’uso quotidiano indirizzano quasi esclusivamente alla lingua ufficiale dellanazione: un italiano ben ripulito dalle inflessioni dialettali.Ne abbiamo avuto esempi significativi in quest’ultimo scorcio dell’anno scolastico, quando le scuo-le elementari della città hanno concluso l’iter annuale con saggi molto interessanti sotto vari aspetti.

L’11 giugno, alle ore 21, presso il Teatro S. Filippo Neri èandata in scena la scuola elementare Zona Nord (I°Circolo didattico). Il testo teatrale raccoglieva alcuni deilavori svolti negli ultimi cinque anni nell’ambito delLaboratorio e del Progetto di Storia locale. Nel copionerecitato in dialetto e in italiano erano presenti canzoni escenette di ambientazione marinara riferite alla SanBenedetto della prima metà del novecento. Hanno recita-to tutti gli alunni delle classi V A e B con la partecipazio-ne ormai quinquennale del maestro di canto e musicaNazzareno Fanesi, di Gioacchino Fiscaletti e di VittoriaGiuliani, autrice ultrasperimentata dei testi interpretati.Piccole storie raccontate dai nonni a fare da filo condutto-re dello spettacolo suddiviso in due atti, sottolineando ilrapporto delle nuove generazioni con la storia, le situazio-ni, i costumi e la lingua del vecchio borgo marinaro.Veramente pregevole il lavoro di preparazione delle inse-gnanti che hanno fatto capo alla maestra SilvanaGuardiani, referente del progetto e presentatrice dellamanifestazione che si è tenuta alla presenza dei genitore

entusiasti e della dirigente scolastica, prof.ssa Giuseppina Carosi.Diversi i contenuti proposti nel corso del saggio finale che si è tenuto nel tardo pomeriggio del15 giugno alla scuola del Castello recentemente intitolata ad Armando Marchegiani. Il prof.Giancarlo Brandimarti ha curato la preparazione di una recita tutta in vernacolo sambenedetteseche ha attinto alle espressioni letterarie dei nostri più amati poeti dialettali, prima fra tutti BicePiacentini. Davvero sorprendenti le capacità interpretative dei giovanissimi attori, alunni delleclassi V A e V B, che hanno risposto con vivo entusiasmo alle sollecitazioni delle maestreCristina Costanzo ed Elvira Cappelli, affidandosialla guida di un così valido interprete della lettera-tura dialettale qual è il prof. Brandimarti, esponen-te autorevole della Ribalta Picena.Con “La votera” della Piacentini, recitata da duealunne incredibilmente brave per la loro età, e conil coro diretto dal maestro Paolo Incicco, origina-lissimo arrangiatore di “Barchette che fele” diVespasiani e “Serenatella a Maria” di anonimo, siè concluso il saggio tra l’entusiasmo e la commo-zione dei presenti. “Questo è teatro - ha detto in chiusura il prof.Brandimarti – e il teatro chiede passione e fatica ma restituisce valore. Meglio il palcoscenicodel teatro che il palcoscenico delle veline!” Un grande applauso ha sottolineato le sue parole.Il dialetto, dunque, riprende a vivere nella scuola che può riversarlo nella società, almeno finchéci sarà chi continuerà a credere che la lingua è storia che ci appartiene. Mantenere vivo il dialet-to, metterlo a disposizione delle nuove generazioni significa garantire al presente un atto diamore e di conoscenza.

La scuola del Paese alto intolata adARMANDO MARCHEGIANI

Sono stati davvero i bambini i protagonisti della festa di intitola-zione ad Armando Marchegiani (1902-1987, premio Truentumnel 1986) della scuola d’infanzia e primaria di via Peppino

Impastato al Paese alto. Nella luminosa e calda mattinata di sabato 13giugno, infatti, gli alunni hanno accolto le autorità, i genitori, i lavo-ratori stessi della scuola e i cittadini con canti, disegni, tantissima alle-gria, grazie naturalmente al lavoro preparatorio svolto dalle maestredel III° Circolo didattico, che hanno allestito questa cerimonia cosìvivace in onore di uno dei figli più illustri della città di San Benedetto.Prima che venissero le scoperte le due targhe agli ingressi della scuo-la d’infanzia e di quella primaria, hanno portato il loro saluto la diri-gente Stefania Marini, il sindaco Giovanni Gaspari e il vescovoGervasio Gestori, che hanno ricordato la figura di Marchegiani, mae-stro per tanti studenti e per artisti oggi molto apprezzati, da MarcelloSgattoni ad Edoardo Vecchiola. La Marini ha parlato della crescita diquesta scuola, inaugurata nel 2004, che ha raccolto in un unico puntotre scuole preesistenti (la Castello, la Borgo Trevisani e la scuola di via Bixio). Il vescovo hainvitato a contraddire con l’esempio l’assunto secondo cui la scuola sarebbe oggi in crisi.Il sindaco ha sottolineato in particolare il grande affetto che circonda questa struttura del Paesealto, da parte di chi la frequenta come dal quartiere stesso, un affetto testimoniato per esempioin occasione delle recenti forti piogge, quando un lieve danno ha subito generato una mobilita-

zione generale, che ha fatto sì che gli alunni, alrientro a scuola il lunedì, non si accorgessero diquanto accaduto il sabato e la domenica.Puntuali alle 10,30, nello spazio antistante la scuo-la, i bambini di tutte le classi, vestiti di bianco,hanno dato inizio alla cerimonia di benvenuto,cantando alcuni brani, poi la cerimonia di intitola-zione vera e propria. Trasferimento all’internodella struttura, addobbato con disegni e pannelli, equi l’esibizione con canti in vernacolo, letture ani-mata di uno stralcio di “Lu pettore e lu freché” diBenedetta Trevisani e della poesia “La vòtera”, daparte della classe 5ª A. Poi la cerimonia di conse-gna del quadro del maestro Marchegiani da partedell’Amministrazione comunale. Infine l’esibizio-ne della classe 5ª B, nella poesia “Ste segnore”, unaltro canto in vernacolo, la proiezione di un videorealizzato dagli alunni delle classi quarte, l’estem-poranea e collage delle classi prime, seconde eterze, infine l’apertura di una mostra dei lavori.

Giovanni Desideri

ARTE & MANIFESTO

Arte & Manifesto è il nome della nuova associa-zione sambenedettese, una opportunità data aquanti gravitano intorno all’arte, un polo cultura-

le che condensa la sua essenza nel manifestarsi; una com-binazione perfetta, che i membri dell’Associazione siimpegneranno a rendere vincente. L’Associazione è com-posta da Poeti, Scrittori, Pittori, Scultori, Fotografi,Attori, Musicisti, alcuni dei quali hanno ottenuto ricono-scimenti e premi a livello Nazionale ed Internazionale.Saranno essi stessi i protagonisti che, grazie alla loro col-laborazione attiva, valorizzeranno l’arte attraverso eventiculturali di vario genere; tutti gli iscritti, che potrannoessere di qualsiasi nazionalità, sesso e religione, avrannoa loro disposizione la possibilità di mettersi in evidenzaattraverso le occasioni offerte dall’Associazione stessa:manifestare la propria arte. Il Presidente è Parlamenti Domenico, Mozzoni Emidio e Pasquali Miriam sono i vice Presidenti,la Segretaria è Emanuela Quintavalle, segue il Tesoriere e vice Segretario: Sandro Angelini.Silvia Raccichini è l’Organizzatrice degli eventi e curerà le relazioni pubbliche, Dina MariaLaurenzi è la Responsabile dell’immagine e Art director, seguono, infine, i Consiglieri. Questisono solo alcuni nomi ai quali gli interessati potranno fare riferimento, comunque, chiunquefosse interessato potrà rivolgersi al numero 3285546583 oppure 3284215214, per email:[email protected], o scrivere alla sede provvisoria di Monteprandone, via della Liberazione,463033 Centobuchi (A.P.) Arte & Manifesto, nonostante sia appena nata, è predisposta alla cre-scita sotto il segno della cultura.

Dina Maria Laurenzi

13 luglio - Piazza Matteotti dalle ore 18,30

LA CORDA DELLA MEMORIASerata dedicata ai funai dall’Assessorato alla Cultura

Il lavoro dei canapini e dei funai èstato per la città di San Benedetto unodegli aspetti più significativi di quellache viene definita “civiltà marinara”.Racconti, gesti, tradizioni anche attra-verso il documentario Funai dei fra-telli Croci, che ripercorre storie divita e tecniche di lavoro per una sera-ta indimenticabile sulla corda dellamemoria.

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ANCORA UN LIBRO DI UGO MARINANGELI

Pochi giorni fa, nell’Auditorium comunale, è stata presentata l’ultima ricer-ca storica di Ugo Marinangeli. Il titolo è AZIONE CATTOLICA E FASCI-SMO NEL PICENO e il sottotitolo” I fatti del maggio 1931”. La presenza

del Sindaco Giovanni Gaspari e quella del Vescovo Gervasio Gestori, oltre aoffrire particolare solennità e significato alla presentazione dell’opera, ha avvia-to, tra la puntualizzazione e il riconoscimento, la relazione ufficiale del prof. Paolo Trionfini, docente di storia dell’Università di Bologna e Vice presidentenazionale del movimento cattolico. Il prof. Tito Pasqualetti, coordinatore dell’in-contro, prima di presentare il relatore e dare la parola all’autore, ha voluto ricor-dare all’uditorio come l’ampia e duratura ricerca di U. Marinangeli si estende inmodo particolare su quattro aspetti della storia cittadina: la vita amministrativa epolitica dal 1946 in poi, l’attività peschereccia dalla fine dell’Ottocento a tutto ilNovecento, la storia della scuola e, infine, la storia dell’Azione cattolica con pre-ciso riferimento allo scontro tra fascismo e chiesa locale nel 1931 e dintorni. Daquesto ultimo aspetto, come era naturale, ha preso lo spunto l’oratore inqua-drando i singoli fatti e illustrando i numerosi documenti, rigorosamente scelti efotocopiati da Marinangeli, nella storia nazionale del periodo storico e nella dina-mica del forte contrasto tra Chiesa e Stato. Ne è risultato un esame critico, pun-tuale, esauriente della nostra piccola storia locale così da gratificare tutti quelliche hanno seguito con attenzione l’esposizione di un competente della materia edi uno studioso, fornito di sicuro metodo e di conoscenza certa dei quadri di rife-rimento.In questa prospettiva le figure per tutti i sambenedettesi care, come quelle del-l’avv. Renato Tozzi Condivi e di don Cesare Palestini, sono risultate di sicuroeffetto e di intenso impatto emozionale.La conclusione, come era ovvio, è stata affidata all’autore del libro, che ne haspiegato la genesi e le tappe della ricerca.

Il 17 maggio 2009 moriva don Filippo Collini, prete autentica-mente sambenedettese; lo vogliamo ricordare attraverso alcunistralci dell’omelia che il nostro Vescovo, Mons. Gervasio Gestori,ha pronunciato il giorno del funerale

“Tanti sono i ricordi che ciascuno ha di lui, autentico pretedella Chiesa del Signore e vero figlio di questa città di S.Benedetto del Tronto. Era orgoglioso di essere legato almondo della marineria e dei pescatori, ma è stato soprattuttoun pastore d’anime, sempre disponibile ai bisogni spiritualidi quanti erano affidati alle sue cure…Era a tutti nota la sua passione per la Sambenedettese, dellaquale si sentiva padre spirituale, e fedele rimaneva la pre-senza allo stadio “Ballarin”. Soprattutto tanti giovani potero-no godere della sua capacità inventiva di organizzare, connotevole fantasia pastorale, i campeggi estivi sulle lontane e

bellissime alpi dolomitiche nel Trentino. Amava il mare ed amava la montagna, amava la musica ed amava ilcalcio. Amava soprattutto fare il bene della gente, convinto che ogni occasione poteva servire per parlare delSignore e per portare le persone alla Chiesa…Era nato il 20 settembre 1922, 52 anni dopo lo storico evento romano di Porta Pia, e da questa data memora-bile per la vita libera della Chiesa aveva ereditato un sano senso di libertà, che gli permetteva di operare senzatroppe remore, tenendo presente la posta prioritaria in gioco: l’amore per Cristo e la salvezza delle anime… Il 14 settembre 1997 mi scrisse che non si sentiva di abbandonare completamente l’amata Parrocchia di S. PioX e di trasferire la sua attività sacerdotale nel centro della Città, anche se qui era nato e qui era vissuto da gio-vane prete. Aveva lasciato la responsabilità di Parroco, ma non poteva dimenticare quella Comunità, dellaquale si sentiva padre. Aggiungeva: “Penso che lei mi possa capire, la mia creatura è quella Parrocchia, a cuiho dato tutto, ben 26 anni di vita, a cui ho sacrificato anche tutta la mia famiglia”. Su richiesta del Circolo “Mare Bunazz” l’avevo incaricato di farsi vedere ogni tanto dai molti amici in quel-l’ambiente marinaro e di celebrare la santa Messa in alcune occasioni. Gli era connaturale fare questo, perchèsi sentiva figlio di quel mondo.Mons. Chiaretti gli scriveva il 1settembre 1994: “A S.Benedetto, dopo (o insiemecon) Mons. Traini, sei per tuttiuna vera ‘bandiera’ venerata edamata, che fa onore alla Città,come sambenedettese ‘figlio dipescatori’ (ami ripeterlo…), ealla Chiesa, come sacerdoteintegerrimo e zelante, legatocome nessun altro alla vita ealla storia della tua gente”. Sono parole semplici e vere,che per noi rimangono un ricor-do carico di nostalgia”.

LU CAMPANÒ - pagina 8

Poesia e arte sono due cose cheappartengono all’uomo interio-re. Nei più esse rimangono in

nuce semplicemente per tutta unavita. Cesare era riuscito invece a con-cretizzarle, a farle diventare l’altraparte cospicua per impegni e risultatidella sua vita.E così essa aveva sempre percorso un

doppio binario: da un lato il giovane geometra Cesare all’inizio profes-sionista iperattivo che poi si impiegava all’ufficio tecnico del comune diSan Benedetto, riusciva a laureasi per ben due volte all’università diUrbino in sociologia e pedagogia, per poi divenire, a seguito di un con-corso dal quale usciva vittorioso, dirigente della I ripartizione dei servi-zi sociali e culturali del comune;Dall’altro lato soprattutto negli anni 70 e 80 partecipava a concorsi emanifestazioni per la poesia e la critica d’arte; riceveva premi e ricono-scimenti in tutta Italia. Rivedendo le foto e le carte di quegli anni mi vengono in mente moltecose, alcune che attengono alla società altre alla persona: doveva trattarsidi un’altra Italia quella che Cesare insieme a molti altri stava costruendo;un clima culturale fortissimo, di dibattito acceso e vivace; egli si era cala-to completamente nella sua realtà impegnandosi su ogni fronte ed infattitra le pieghe della sua storia Cesare ha anche una certa frequentazione delpanorama politico locale, in particolare del partito socialista, che eglivedeva come uno strumento di innovazione delle idee. Eppoi tutti questi risultati e riconoscimenti per un uomo che “si era fattoda solo” dovevano essere stati una rivelazione per se stesso e per gli altried erano solo il frutto consolidato delle sue forze, del suo impegnocostante e di una passione incrollabile. Ma le radici erano già presen-ti; perché l’arte aveva sempre abitato nella famiglia Caselli sin dagli

anni venti del secolo scorso. Il padre Temistocle e lo zio Agostino eranostati i primi fotografi di San Benedetto, ed erano anche artisti (ossiadisegnatori e pittori) come lo era la maggior parte dei fotografi di que-gli anni. Dipinti, disegni, piccoli scritti erano materiali che erano statisempre presenti in famiglia.Ricordo le numerose domeniche in cui accompagnavamo nostro padrealla inaugurazione di un mostra da lui presentata, soprattutto nelleMarche e in Abbruzzo, e quel nuvolo di artisti che gli giravano intorno.Ricordo con commozione quel sorriso ingenuo ed ammirato che glicompariva nel volto quando osservando un dipinto ben fatto diceva“come è possibile rendere queste trasparenze?”.Ma soprattutto ricordo il suo innato talento come educatore dell’infan-zia, forse arricchito da quella concomitanza con la laurea in pedagogia:quei pomeriggi d’estate in cui costringeva a disegnare o scrivere temi oracconti per guadagnare punti che scriveva su una tabella, i quali allafine ci avrebbero fatto conquistare un agognato gioco: una scatola disoldatini, un’automobilina…Di tutte queste cose, direi, mi lascia una grande eredità: la maniera diaffrontare la realtà con intelligenza e il principio secondo cui la cono-scenza è lo strumento fondamentale per accedere ad ogni porta. Masoprattutto mi viene in mente una cosa che forse neanche aveva maidetto, ma che traspariva dal suo comportamento..., egli metteva uno spi-rito morale in ogni azione; sembra una banalità perché la parola moraleoggi ha perso gran parte del suo significato. Era come se si percepisse eme lo ricordo chiaramente nella mia infanzia, era come se egli si doman-dasse ad ogni passo ad ogni istante: è giusto quello che sto facendo? Epoi dava una risposta... che era la più giusta possibile, aldilà che riguar-dare i propri interessi o quelli degli altri. Questo senso di giustizia, direi,è il lascito più prezioso che un uomo desidererebbe ricevere come ere-dità da suo padre.

Benedetto, figlio di Cesare Caselli

A mmè ma revè

‘Sta vite jè ccuscì, ce lu sapème:mmeccò de ‘ode nesciù te lu passee tu te lu da rrebba’ a llu satanasse

che sta sempre a carria’ le pène.

Ma che te cride che i ‘uaie a tè te lasse?Tra ‘uaie e ‘ode pare nen facème

e più de sta’ cuntinte a nuie ce prème,più ce ne casche addòsse a ugne passe.

E ppù l’arme a Criste sògna reperta’,‘na vòte che te dice: “Mò zòcc’a ttè”,pelite nda te l’ha date ‘n pu d’anne fa.

Ma iéje je lu diche quanne zocc’a mmèe quanne loche i cunte ‘sògna fa’:

“Sti ‘ttènte, cunta bbè. A mmè ma revè”.

A CESARE CASELLI,sensibile cultore dell’arte pittorica e letteraria,va il ricordo del nostro Circolo.

Ricordiamo l’amicoElvio Capriotti “Marfule”

con una sua poesia

Don Filippo, il giorno della Prima Comunione

1945, Don Filippo ha celebrato la Prima Messa

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LU CAMPANÒ - pagina 9

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UNA PINACOTECA PER SAN BENEDETTO DEL TRONTO

L’affezionatolettore cheda tanti anni

legge assiduamentele pagine del gior-nale del Circolo, sistarà chiedendo ilperchè di un artico-lo che si svolge suun argomento af-frontato appena nelprecedente numero,con titolo quasiidentico.

Da un’osservazione attenta, apparirà chiaroche il centro del discorso, questa volta, vienespostato da quella che è l’attuale e appenainaugurata Pinacoteca, con sede espositiva aPalazzo B. Piacentini, a quella che è invece la“raccolta dimenticata”, ovvero la sostanziosacollezione di opere pittoriche in possesso delComune di San Benedetto del Tronto, in senoal quale sono state elette le tele attualmenteesposte.In un totale di più di seicento pezzi, a quantorisulta dall’inventariazione ufficiale, sono adoggi fruibili al pubblico, secondo una sceltadettata dall’esiguità degli spazi espositivi,solo una cinquantina di opere, mentre le altre

continuano a giacere in magazzini e camereblindate.Si tratta di una collezione notevole incremen-tatasi con varie, generose donazioni nel corsodel tempo, e che annovera numerosi nomiimportanti, anche di artisti contemporanei,

come Paolo Annibali, Pino Rosetti, MarioLupo, Valeriano Trubbiani, Giancarlo Orrù,Karl Konstabi, per non citarne che alcuni tra ipiù noti.La realizzazione di una Pinacoteca apparedunque ben lungi dal realizzarsi veramente,perchè la struttura che è stata voluta a PalazzoPiacentini è solo una parziale visione di uninsieme più vasto, volutamente tematizzataintorno all’argomento del mare.Essa appare però riduttiva rispetto alle poten-zialità dell’intera collezione, che offre unpanorama più completo sia sugli autori giàesposti (De Carolis, Chatelain eMarchegiani), ma anche sui tributi che nelcorso degli anni molti altri artisti, anche dirilievo internazionale, hanno voluto apportarealla città di San Benedetto del Tronto, e chepotrebbero dar vita ad una galleria vera e pro-pria, se collocati in uno spazio consono.Spazi che esistono in abbondanza, qualunquesiano invece le opinioni correnti, perchè edi-fici di grandi dimensioni, inutilizzati per i piùsvariati motivi, nella nostra bella città se netrovano in buon numero, a partire proprio dalMercato Ittico, che annovera stanze vuote eluminosissime che ben si presterebbero aduna simile destinazione d’uso.Al di là di tutti i potenziali ostacoli chepotrebbero essere trovati per la concreta rea-lizzazione di un progetto di tal fatta, appareindubbio che, come in ogni altra attivitàumana, sia solo la volontà di fare il motoreprimo dell’azione.Bisogna avere la consapevolezza che esisteun patrimonio nascosto che potrebbe essereun valore aggiunto per l’attrattiva turisticadella città, eche, come i pro-verbiali talenti,sarebbe scioccoe volgare lascia-re inutilizzatonel timore diperderlo, mache bisognereb-be far fruttare inmodi e luoghi

adeguat i ,senza con-tentarsi dir i s u l t a t ip a r z i a l ima cercan-do sempredi sfruttareal megliole poten-zialità pos-sedute.Sarebbe questa una lezione da imparare dainostri cugini d’oltremare, gli inglesi, i quali,pur non possedendo nemmeno una piccolaparte del nostro immenso patrimonio artisti-co, riescono a valorizzare le loro realtà moltomeglio di quanto noi non sappiamo fare,mentre spesso in Italia, e così anche nellanostra parziale ma sintomatica realtà, trascu-riamo quello che abbiamo per pigrizia, o sem-plice negligenza.Se poi si volesse obiettare che le tele in pos-sesso del Comune non siano di elevata qualitàartistica, si potrebbe rispondere che non ètanto questo il punto in questione, quantoquello di esaltare al massimo ogni risorsa adisposizione per rendere San Benedetto sem-pre più un paese al passo con i tempi.Troppo spesso si finge di non ricordare che laricchezza maggiore del nostro paese è il turi-smo, che si può allettare solo con un’offertaampia e variegata, e che accontentarsi di pro-getti sbrigativi per ostentare il risultato finalenon è soddisfacente né per chi li realizza, matantomeno per chi ne fruisce.

Cristina Marziali

C’è un silenzio che prega, e un altroche consuma. La via nasconde i ciottoli.Crocchi di panni appesi alle finestre.Il panorama simula la nebbiaquanto basta per partorire un sogno.Cala il sole in un’iride, tu chiami da una conchiglia che ti soffia in cuore.

Da “Musica leggera” di Enrica Loggi, Maroni 2000

La poesia di Enrica Loggi si è offerta alpubblico di amici ed estimatori l’8 maggioscorso nel clima propizio del Teatrodell’Olmo, la cui particolare spazialitàfavorisce una sorta di compenetrazione traattore e spettatore annullando quasi ladistanza tra chi dice e chi ascolta. “Un altro maggio” il titolo dell’evento cheha proposto la poesia di Enrica, edita e ine-dita, in una lettura a più voci dove le diver-se caratteristiche timbriche hanno creatoun effetto orchestrale con suggestivevarianti interpretative. La voce poetica come animazione del testoe momento condiviso nell’esplorazione dinuovi orizzonti di senso ai quali dà acces-so la parola riscattata dalla banalizzazionedell’uso quotidiano: è anche questo ilmerito dell’impegno poetico di EnricaLoggi che viene da lontano e dura neltempo avendo oggi alle spalle parecchiepubblicazioni.

La storia che racconto potrebbe essere stata pensata da unbravo narratore per essere inserita in uno di quei roman-zi che abbracciano un lungo arco di tempo, dove le vite

dei protagonisti si intrecciano casualmente.Invece è una storia vera e mi è stata raccontata da GioacchinoFiscaletti, sambenedettesse doc e memoria storica della sua terra.

Giuseppe Fiscaletti, padre di Gioacchino, morì in un incidentein mare nel 1937 quando il figlio aveva solo otto anni. Si ripe-teva così una delle tragedie della gente sambenedettese, conuna giovane vedova e una famiglia numerosa da mantenere. Unaiuto arrivò da Benedetta Ottaviani “la pannelletta”, che, graziealle sue conoscenze, riuscì a far entrare Gioacchino nell’Istituto“Piccoli amici del Sacro Cuore - Derelitti e figli di pescatorimorti in mare”. In questo istituto Gioacchino ha potuto studia-re per cinque anni a Sottomarina di Chioggia e Pellestrina. Durante l’estate del 1939, i ragazzi e gli assistenti della scuolatrascorsero le loro vacanze in colonia nella scuola elementare diForno di Canale, oggi Canale d’Agordo, paese natale di AlbinoLuciani che diventerà Papa Giovanni Paolo I, il papa dei trentagiorni. I paesaggi dolomitici della valle agordina rimarrannoimpressi nella memoria di Fiscaletti, tanto da ritornare in queiluoghi magici nell’estate del 1989.Circa un anno fa, il 24 agosto, il vescovo di Belluno ha cele-brato una messa presso la Chiesa parrocchiale di San GiovanniBattista di Canale D’Agordo, rito che venne trasmesso in diret-ta sulla Rai. La trasmissione seguì poi con un bel ricordo del

concittadino Don Albino Luciani, Papa Giovanni Paolo eimmagini della valle.Gioacchino Fiscaletti, sommerso dai ricordi, prende carta epenna e scrive al sindaco di Canale D’Agordo raccontandogli isuoi ricordi della valle e chiedendo del materiale sul Papa delleDolomiti.Dopo qualche giorno il postino recapita al suo indirizzo unpacco con libri e pubblicazioni della valle agordina e una lette-ra del sindaco Rinaldo De Rocco. Nelle parole commosse del primo cittadino c’è uno struggentericordo di San Benedetto: dal 1966 al 1976 il giovane futuro sin-daco era stato gelataio alla gelateria Veneta, assunto dall’indi-menticato Antonio Sagui. “Il mondo è piccolo caro Gioacchino”,scrive il sindaco. “Ricordo con nostalgia le abbuffate alRistorante “La Stalla”, al “Pescatore”, alla “Gastronomica”. Sesarà possibile verrò al più presto nella tua bella cittadina e titelefonerò. Prepara un bicchiere di Falerio Bianco”.

Antonella Roncarolo

Da una lettera... una risposta inaspettata!

EEnnrriiccaa LLooggggii

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II ““WWRRIITTEERRSS””

I carabinieri di Verona hanno recentemente identificato edenunciato all’autorità giudiziaria per danneggiamentoaggravato ben 48 giovani che da tempo imbrattavano lemura degli edifici pubblici e privati della città con scritteoscene e demenziali, nonché con scarabocchi di alcunsignificato artisticamente apprezzabile. E’ opportuno evi-denziare questa distinzione artistica perché ci sono taluniintellettualoidi che giustificano tali interventi imbrattatoricome nascoste necessità espressive dei giovani talenti,incoraggiandoli quindi implicitamente a proseguire neiloro comportamenti distruttivi. E’ inutile nascondere che ilfenomeno dei writers è largamente diffuso nella nostracittà, dove quasi tutti gli edifici sono insudiciati da inter-venti di vandali che, armati di bomboletta spray conte-nente vernice indelebile, danneggiano in maniera orribi-le e spesso irrimediabile le pareti dei fabbricati. Si pensi aquanti danni vengono arrecati ai proprietari degli edificied all’immagine della città che, votata al turismo, dovreb-be essere un modello di correttezza ed eleganza. A fron-te di questo fenomeno così diffuso ed inquietante non siavverte alcun sintomo di repressione da parte degli orga-ni di vigilanza per cui le bande di giovinastri, più o menodrogati, imperversano impunemente nelle nostre strade.Non sarebbe ora di intervenire con mano ferma e conmisure adeguate?

II PPAARRCCHHEEGGGGII

Il sabato e la domenica e negli altri giorni festivi e prefe-stivi, la nostra città si anima notevolmente per l’afflussodi molta gente che qui converge dai paesi limitrofi perdiporto o per acquisti nei numerosi negozi. Spesso però lapermanenza dei visitatori viene frenata o ostacolata dal-l’insufficienza dei parcheggi disponibili, per cui si notanoripetuti ed inutili tentativi da parte degli automobilisti perreperirne qualcuno fruibile. A fronte di questa pressantenecessità si rimane perplessi nel constatare il mancato uti-lizzo degli ampi spazi a disposizione nella zona dellaCapitaneria di Porto, dei cantieri navali e delle banchineadiacenti. Eppure sia il sabato che nei giorni festivi tuttele attività portuali sono sospese, per cui l’utilizzo delle

varie aree da parte degli automobilisti non recherebbeintralcio alcuno. Basterebbe, da parte delle autorità por-tuali e comunali, un minimo di coordinamento per rende-re disponibili ed utilizzabili aree molto ampie che, pergiunta, potrebbero costituire anche una buona entratafinanziaria ricavabile dai pagamenti delle soste. In temadi parcheggi, poi, è da rilevare che quando si accenna allapossibilità di crearne alcuni sotterranei, subito gli abitan-ti delle zone ipoteticamente coinvolte ed i vari comitati diquartiere insorgono adducendo ragioni più o fondate perimpedirne la realizzazione. Eppure dovranno rassegnarsi,prima o poi, ad accettare simili eventualità, considerandoil costante incremento della circolazione veicolare.

LLEE PPIINNEETTEE

Non sono benconservate: spe-cialmente quellamolto sfoltita diviale Trieste che èdivenuta decisa-mente poco acco-gliente perchépriva di sedili inlegno con spallie-ra e tuttora conpoche panchine inpietra degli anniTrenta. Anche lapineta di vialeBuozzi avrebbe bisogno di una maggior cura. Per fortunaquella destinata ad essere intestata ad Ugo Marinageli,che ne fu il promotore quando ricoprì la carica di asses-sore ai lavori pubblici, è conservata ottimamente e costi-tuisce un autentico polmone di verde per l’intera zona.Per chi non lo sapesse, precisiamo che intendiamo parla-re del parco a sud del complesso della GIL, situato in pros-simità del Campo Europa. Cogliamo lo spunto per affer-mare che non sarebbe insensato intestare le opere pub-bliche significative anche agli amministratori viventi chele realizzano, cercando con ciò di stimolare la loro ambi-zione a meglio concretamente operare con indubbio eimmediato beneficio collettivo.

II NNUUDDIISSTTII AALLLLAA SSEENNTTIINNAA

E’ di questeultime set-timane lanotizia diun inter-vento daparte diun’associa-zione loca-

le verso l’amministrazione comunale per l’istituzione diuna colonia di nudisti alla Sentina. La singolare iniziativatende a valorizzare la zona faunistica mediante la costru-zione di apposite strutture atte a favorire e ricevere gliamanti del nudismo; il che, nelle intenzioni dei proponen-ti, dovrebbe incrementare anche sensibilmente l’afflussoturistico. Riteniamo che gli abitanti della Sentina dovreb-bero essere ben contenti dell’iniziativa in quanto andran-no a liberarsi dall’assalto delle zanzare che in loco trova-

no il loro sito di nascita. E’ da prevedere infatti che l’in-vasione massiccia e giornaliera di folti nuclei di insettisulle bianche natiche dei nudisti certamente allevierà lepene dei residenti e degli abitanti dei dintorni,Martinsicuro compreso.

II DDIISSSSUUAASSOORRII

E’ con questo termine che vengono denominati i dossistradali che incontriamo su molte strade cittadine. Ingenere sono anche passaggi pedonali, giacchè vengonocaratterizzati dalle classiche e vistose strisce bianche.Ebbene, veniamo da più parti sollecitati a segnalare l’op-portunità di crearli su alcune arterie che sono diventate ascorrimento veloce e che si rivelano di grande pericolo-sità. Intendiamo riferirci a via Piemonte, nel tratto prossi-mo all’incrocio con via Asiago, al viale Marinai d’Italiavicino alla Capitaneria di Porto, a via Manzoni, a via Ferriecc…...

LLAA BBRREETTEELLLLAA

Torniamo sull’argomento per far notare l’essenzialità cheil progetto collinare venga raccordato con il casello del-l’autostrada di Grottammare perché le ventilate usciteall’altezza di via Sicilia e, più a nord, in corrispondenza divia Manzoni, oltre a quella indispensabile di via Manara,non farebbero altro che intasare il tragitto nord-sud eviceversa. Il percorso dovrebbe essere inteso non comevariante esclusivamente cittadina, che sarebbe di scarsautilità, bensì come collegamento intercomunale e di acces-so all’autostrada A/14. Ma vedremo mai la realizzazionedi tale opera?

SSPPAAZZII PPUUBBBBLLIICCII

In assenza di una regolamentazione che disciplini l’asse-gnazione di spazi pubblici, notiamo un aumento indiscri-minato di occupazione di suoli da parte di molti esercizicommerciali che invadono buona parte delle sedi stradalie dei marciapiedi con gazebo recintati che raggiungono,nell’insieme, cubature veramente notevoli. Quando poitali concessioni vengono rilasciate in strade ad alto scorri-mento veicolare, come quelli di via San Martino e viaCalatafimi, si offendono il buon gusto ed il buon sensoperché si costringono gli avventori a respirare tutti i gasdi scarico emanati dai tubi di scappamento di autovettu-re, camion ed autocorriere. Non sarebbe opportuno edurgente emanare disposizioni definitive che meglio razio-nalizzino l’uso degli spazi pubblici?

GGIIAARRDDIINNII PPRRIIVVAATTII

Molti giardini privati dei nostri concittadini sono scrupolo-samente nascosti alla vista dei passanti con stuoie telateaderenti alle cancellate di recinzione creando un’immagi-ne decisamente brutta, rivelatrice di un egoismo che nontiene in alcun conto la tutela dell’ornato pubblico. Se laprivacy in questo caso è tutelata in forma eccessiva, nonlo è affatto l’aspetto estetico delle strade e dei viali su cuitali recinzioni insistono. Ne consegue che gli stessi pro-prietari dei giardini non fanno bella figura. Se nonvogliono essere oggetto di curiosità da parte dei passanti,

c o n s i d e r i n ol’opportunità dicostruire unmuro di cintaintorno al pro-prio giardino,che sarebbecertamente piùdignitoso.

Vibre

Framéche Framéche Framéche Framéche Framéche Framéche Framéche

PPAARRCCOO FFOORRMMEENNTTIINNII:: IILL VVEERRDDEE AATTTTRREEZZZZAATTOO CCHHEE PPIIAACCEE

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6644001100 CCOOLLOONNNNEELLLLAA ((TTEE)) -- tteell.. 00886611 774488998811 -- SSttrraaddaa BBoonniiffiiccaa TTrroonnttoo kkmm.. 22++880000 ddaa iinnccrroocciioo SSSS 1166

Contrada Sgariglia63039 - Porto D’Ascoli (AP)Tel. 0735-75991 Fax 0735-759999

Web: www.gruppomarconi.itEmail: [email protected]

Intervento artistico-architettonico ispirato alla donna del mare:dal progetto all’opera

Il 29 maggio scorso scadeva il termine perla consegna dei progetti relativi alConcorso per un Intervento artistico

architettonico ispirato alla Donna del maresul terminale del molo nord. Il Concorso èstato bandito dal Circolo dei Sambenedettesiin collaborazione con la Facoltà diArchitettura di Ascoli Piceno (Università diCamerino), il Consorzio universitario Piceno,Il Comune di San Benedetto, la Capitaneria diPorto e la Provincia di Ascoli Piceno. Allo scadere del termine nella sede delCircolo erano pervenuti da varie parti d’Italiaben 18 plichi, un risultato molto positivo con-siderata la complessità dei progetti richiestiad architetti, designer industriali ed artistivisivi di età non superiore ai 35 anni. La com-missione costituita da un rappresentante diciascun ente partecipe sta già lavorando pervalutare i singoli elaborati allo scopo di sele-zionare i cinque che riceveranno i premi indanaro messi a disposizione dal CUP. L’iniziativa è importante sotto molteplici

aspetti. Innanzitutto s’indirizza ai giovani cuioffre occasioni di impegno per un progetto direstyling destinato ad un’areasensibile quale è l’intero brac-cio del molo nord con la relati-va parte terminale. Celebrainoltre significati e valoriimportanti della civiltà delmare andando ad incidere inluoghi consacrati dalla storiamarinara ma bisognosi direstauro, ammodernamento,rifunzionalizzazione per essereal passo con i tempi, offrendoall’attività portuale un ambien-te più funzionale e godibile.Per di più attiva efficaci siner-gie attraverso la cooperazionedi istituzioni, enti pubblici eprivati impegnati nella promozione sociale,economica e culturale dell’intero territorio.Espletata la prima fase del Concorso finoall’individuazione del progetto vincitore, toc-

cherà al Circolo dei Sambenedettesi, che èl’associazione committente, reperire i fondi

perché il progetto cartaceo sitraduca in un’opera di fatto.Compito arduo per il Circoloche è associazione onlus e disuo può contare soltanto sul-l’abnegazione dei consiglieri esul sostegno ideale dei soci.Tuttavia esiste nel Circolo, chenon ha vissuto l’idea come ipo-tesi puramente teorica, lavolontà precisa di arrivare allaconclusione di un iter che miraad offrire alla città un luogodell’anima, dove la sosta, lacontemplazione del mare, l’im-mersione nel mondo dellapesca possano realmente arric-

chire la vista e lo spirito dei frequentatori,siano essi cittadini o turisti.Siamo sicuri che le istituzioni pubbliche nonfaranno mancare il loro contributo economi-co, ma pensiamo che accanto a loro possano

e debbano intervenire le categorie imprendi-toriali, le istituzioni bancarie, soggetti pubbli-ci e privati, perché l’opera finale, che celebrail valore della femminilità marinaresca ricon-figurando il contesto che storicamente havisto la donna come nume tutelare del viag-gio per mare, possa essere ascritta a merito ditutta la città e dell’intero territorio.E’ invalso l’uso di parcellizzare le grandispese (perfino nei matrimoni, a sostegno didispendiosi viaggi di nozze), suddividendolein quote di varia entità in modo che diversi emisurati possano essere gli apporti dei contri-buenti. Quando saremo in grado di definire ilcosto per la realizzazione del progetto vinci-tore e nel caso in cui non venga dagli entipubblici un sostegno economico sufficienteall’impresa, ci rimetteremo alla generositàdei sostenitori privati che, ne siamo certi, tro-veranno nell’opera – per quello che significae per quello che realizza - una gratificazionepiena a fronte dell’onere contributivo.

Il Circolo dei Sambenedettesi

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Direttore ResponsabilePietro Pompei

Redattore CapoBenedetta Trevisani

RedazioneGiancarlo Brandimarti, Vincenzo Breccia, Giuseppe Merlini,

A. Stefania Mezzina, Nicola Piattoni, Antonella Roncarolo

CollaboratoriFrancesco Bruni, Benedetto Caselli, Giovanni Desideri,

Dina Maria Laurenzi, Cristina Marziali, Francesca Mascaretti,Tito Pasqualetti, Nazzarena Prosperi, Piero Ripani

Servizi fotograficiAdriano Cellini, Studio Sgattoni, Foto Capriotti, Franco Tozzi, Lorenzo Nico

Grafica e StampaFast Edit

A C Q U AV I VA P I C E N Avia Gramsci 11/15 (2ª zona ind.le)

tel. e fax 0735 [email protected] R A F I C A & S T A M P A

Quando andrà in stampa questo articolo non sapremoancora come effettivamente si sarà complicato l’intrec-cio tra i soci di maggioranza della Samb (cioè i fratelli

Tormenti), il futuro acquirente del pacchetto azionario dellasocietà Sambenedettese calcio (cioè il costruttore edile Spina), ela procura di Teramo che ha chiesto il sequestro conservativo deibeni dei Tormenti.Gli avvocati, i consulenti di vario tipo e i giornalisti in cerca dititoli sensazionali, ci sguazzeranno, in questa vicenda, come sar-dine in un mare ricco di plancton.Così la Samb si ritrova punto e a capo. Proprio come uno scara-beo che non riesce a risalire le pareti della trappola del formica-leone. Quando è quasi in cima, gli frana la parete e scivola dinuovo sul fondo. La Samb purtroppo sta proprio facendo la

parte dello scarabeo. E così è sempre stato, a partire dai tempiremoti della intricata e controversa dirigenza di Venturato. Piùche una sfortunata storia sembra un incubo: “Aiuto, sto cadendoin un pozzo senza fondo e non riesco a svegliarmi”.L’arresto dei fratelli Tormenti e la retrocessione della Samb èstoria recentissima. Ma questo è solo lo schianto finale. Le causehanno lunghe diramazioni nel tempo.Qualcuno forse ricorderà di una storia di fatture non chiare pro-prio nei primi tempi della loro gestione della Samb. I Tormentismentirono con decisione e il popolo rossoblu parlò di complot-to contro la Samb. Allora i Tormenti erano i salvatori dellaSamb e (allora) amati dagli Ultras. Salvatori, pensa un pò. Gliultimi in ordine di tempo, di una lunga... stirpe.Qualche altro invece ricorderà, durante l’estate scorsa, la burra-scosa vicenda tra il DS della Samb, l’avvocato Nucifora, emister Piccioni. La spuntò Piccioni e Nucifora fu giubilato.L’organico della squadra messo a disposizione di mister Piccionifu considerato dalla stampa non adeguato alle ambizioni dellaSamb, cioè quello di centrare l’obiettivo dei play off. Purtroppola stampa aveva peccato di ottimismo, in realtà l’organico era daplay out. Segnatamente a questi due campanelli di allarme, sorvolandosugli altri, potremmo dire: tanto tuonò che piovve. Due vicendeche poi, rotolando fino ad oggi, si sono ingrandite fino a diveni-re una valanga, con le conseguenze che abbiamo tutti sotto gliocchi.E mò, direte voi. E mò, sò cavoli amari, tanto per essere chiari.Vediamo di immaginarci alcuni scenari possibili. Per la veritànon saprei quanto affidabili data la situazione, ma prefiguriamo-

celi ugualmente. Non tantoper creare un’atmosfera dabar dello sport ma per farealmeno uno schizzo, anche seapprossimativo, del voltodella vittima: la Samb.Tanto per cominciare scartia-mo gli eventi improbabili.Già circolano voci di ripe-scaggio in prima divisione.Per come è messa la Sambeconomicamente e politica-mente (parlo di politica... cal-cistica) ci vorrebbe qualcunoche gli urlasse: “Alzati e cammina”. E chi potrebbe farlo? O...LUI oppure... Berlusconi oppure... Moratti oppure... Ci siamocapiti? Insomma uno in alto, molto in alto.Passiamo agli aventi possibili.Prima ipotetica scena: Spina con le lacrime agli occhi, svento-lando il fazzoletto, saluta dal finestrino la Samb che si allontanaprogressivamente. Un triste e doloroso addio.Cosa me lo fa pensare? La retrocessione e i gravi problemi dellafamiglia Tormenti potrebbero far pendere la bilancia dalla partedi quei consiglieri del gruppo Spina, forieri di istanze di pru-denza, che gli sussurrano: il rischio vale la candela?Ha detto Spina: “Voglio salvare la Samb ma ci sono dei proble-mi”. Non ha detto: “Risolveremo i problemi per salvare laSamb”. Notate la sottile differenza?Un altro scenario vede Spina, con la lancia in resta, che affron-ta i mulini a vento della burocrazia:sequestri giudiziari, bloccodei conti bancari, inibizione dei poteri di firma, scadenze dipagamenti, rinnovi di contratti ecc... ecc... ecc...Riuscirà il nostro eroe a superare tutti questi ostacoli? O almenoil primo, cioè l’iscrizione al campionato di seconda divisione?Mai chiudere la porta in faccia ai sogni. Ma Spina ci si vede neipanni di Don Chisciotte? Un imprenditore edile idealista?Mhhhhh!Uno altro scenario, per non dilungarmi tanto, l’ultimo, potreb-be mostrare la Samb messa in un angolo, in penombra, mesta,smunta. Una Samb che ha subìto di nuovo l’onta del fallimento.Infatti sembra che già siano partiti i primi decreti ingiuntivi che,detto terra terra, vuol dire: o paghi oppure il giudice mi darà ilpermesso di sequestrare i beni. E ci sono anche le prime messein mora. Squilli di tromba per annunciare, successivamente, leistanze di fallimento. Insomma il titolo del film è: “IlFallimento”. E sotto c’è scritto IMMINENTE, come negli stril-li dei cartelloni dei film di successo messi davanti al Pomponinegli anni ‘40. Cominciamo a strapparci i capelli per la disperazione? Ma no,dai! Tutto sommato, se certe situazioni s’incastrano (o permet-teranno che s’incastrino), il fallimento potrebbe essere l’uovo diColombo per far uscire di nuovo la Samb dalla palude Stigia.Come è avvento l’ultima volta, d’altra parte. Ce lo ricordiamo,vero? L’acquisto del titolo sportivo dal Fallimeneto. Costa pocoe non si corrono rischi.Lo so, un’altra figuraccia, però ci abbiamo fatto l’abitudine. Come sidice: “C’aveme lu muse che ce se pò roppe le mannelètte”!

Francesco Bruni

I partecipanti al concorso “Balconi e angoli fioriti” rice-veranno piacevoli premi e riconoscimenti venerdì 24luglio alle ore 18,00 presso la Palazzina Azzurra.Invitiamo tutti ad un simpatico pomeriggio rallegratodai doni e dall’intrattenimento musicale.

BREZZADI MARE Storia, arte, tradizione,folklore, enogastronomiasambenedettesi

MARTEDI’21 LUGLIO 2009PROGRAMMAORE 20.00 Cena con cucina tipica sambenedetteseORE 22.30 “SAN BENEDETTO IERI, OGGI, DOMANI”Intrattenimento a cura di artisti sambenedettesi

MERCOLEDI’22 LUGLIO 2009PROGRAMMAORE 20.00 Cena con cucina tipica sambenedetteseORE 22.30 Ricordi di “una storia condivisa”proiezione documentari e testimonianze della storia dei due Comuni

I TORMENTI DELLA SAMB

Due serate estivead Acquaviva Picenain onore diSan Benedetto del Tronto

Intervenite numerosi !!!