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P SICO N EURO E NDOCRINO I MMUNOLOGIA E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATA IL MANUALE Francesco Bottaccioli Anna Giulia Bottaccioli

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Page 1: PSICONEURO - Doctor33 · ISBN 978-88-214-3766-3 ... 40 2 • Mutamenti nelle basi delle scienze biologiche ... a firma J. Watson e F. Crick, accompagnato da un

Euro 55,00

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Diverso e unico rispetto a quanto � nora pubblicato sulla PNEI, questo volume riassume in sé � loso� a, � sio-logia e clinica.

Garantisce una trattazione estesa e aggiornata del modello PNEI, sia dal punto di vista epistemologico, sia da quello � siologico.

Mostra, nella sezione dedicata alla prevenzione, le evidenze scienti� che sul ruolo dell’ambiente � sico e so-ciale, dell’attività � sica, dell’alimentazione, della meditazione, delle psicoterapie, delle terapie complementari. Nella sezione clinica, in dialogo critico con i modelli dominanti, presenta una nuova lettura della � siopatologia e della cura integrata.

È scritto in modo unitario, utilizzando i contributi specialisti presenti come approfondimenti integrativi. Non è quindi una collezione di contributi di vari Autori.Il libro si rivolge:

• agli studenti che trovano sempre più frequentemente la PNEI come disciplina nel loro piano di studi;• ai professionisti della cura, consegnando loro un modello innovativo di prevenzione e cura, ricco

di indicazioni operative e di suggerimenti;• ai ricercatori e ai docenti perché diano il loro contributo al cambiamento paradigmatico in atto.

Francesco Bottaccioli (Umbertide 1949) si è laureato con lode sia in Filoso� a e Storia della scienza, alla Sapienza Università di Roma, sia in Neuroscienze cognitive e Psicologia, all’Università dell’Aquila. È membro della direzione scienti� ca e docente dei Master in Psiconeuroendocrinoimmunologia delle Università degli Studi dell’Aquila e di Torino. Ha fondato la Società Italiana di Psiconeuroendocrinoim-munologia (SIPNEI), di cui è stato il primo Presidente e, successivamente, il Presidente onorario. Ha pubblicato numerosi articoli, saggi e libri di successo, di cui alcuni sono stati pubblicati in altre lingue. Ha collaborato, dalla sua fondazione, all’inserto “Salute” del quotidiano La Repubblica e ad alcune Opere dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, tra cui “XXI secolo” e “Treccani Medicina”.

Anna Giulia Bottaccioli (Roma 1987) si è laureata con lode in Medicina e Chirurgia alla Sapienza Università di Roma, dove ha proseguito la sua specializzazione in Medicina Interna. È docente dei corsi SIPNEI (Società Italiana di Psiconeuroendocrinoimmunologia) e SIMAISS (Scuola di medicina integrata) accreditati per la Formazione continua in medicina. È medico esperto in Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese. Socio ordinario SIPNEI, Lazio. È attiva nella ricerca clinica con pub-blicazioni peer-review.

PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIA E SCIENZA DELLA CURA INTEGRATAIL MANUALE

PSICONEUROENDOCRINOIMMUNOLOGIAE SCIENZA DELLA CURA INTEGRATAIL MANUALE

Francesco BottaccioliAnna Giulia Bottaccioli

ISBN 978-88-214-3766-3

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Genetica ed epigenetica: la rivoluzione biologica in corso

CAPITOLO

Agli inizi del secolo presente, nel giro di pochi anni, si sono accese e spente grandi fiammate di entusiasmo attorno alla genetica. La decifrazione dei 3 miliardi di basi che compongono il geno-ma umano avrebbe segnato una svolta epocale, ci avrebbe consentito di conoscere nel dettaglio e in modo completo il “libro della vita”, le istruzioni genetiche che definiscono l’essere umano. Avrebbe anche indelebilmente diviso la storia della biologia in due ere: prima e dopo il Progetto Genoma, come scrisse nel 1999, sul New England Journal of Me-dicine, Francis Collins, direttore dello statunitense National Human Genome Research Institute [1].

ASCESA E CADUTA DEL PROGETTO GENOMA

Il completo sequenziamento delle basi del DNA umano, avvenuto nei primi anni del XXI secolo, ha dato vita a un’esplosione di studi con l’obiettivo di trovare la relazione tra caratteristiche del genoma e tratti biologici, psicologici e comportamentali umani, e ovviamente tra genoma e malattie.La tecnica usata è quella GWAS (Genome-Wide Association Study), che consiste nello studio dell’in-tero genoma di un essere umano: una possibilità ormai alla portata dei laboratori, anche di quelli privati, che la offrono alle singole persone a un co-sto inferiore a 100 dollari.Il disegno dello studio è semplice, direi elementa-re, forse troppo, come vedremo: si tratta di con-frontare il genoma di un campione il più ampio possibile, per esempio di obesi, con un campione analogo di persone normopeso e individuare le aree del genoma degli obesi che presentano una maggiore frequenza di difformità rispetto al geno-

ma dei normopeso. In queste difformità si trove-rebbe la chiave per comprendere e quindi curare l’obesità. Questa procedura è stata usata per lo studio delle più comuni malattie (dalle internistiche alle psi-chiatriche), ma anche per le caratteristiche fisiche (per esempio l’altezza), per i comportamenti (per esempio l’orientamento sessuale), per le attitudini (per esempio l’intelligenza).

L’alleanza big science-big media

Nel primo decennio del XXI secolo sono usciti i primi risultati di questi studi, presentati in for-ma molto eccitante e di grande presa sull’opinio-ne pubblica. In questi anni, infatti, si è saldata un’aperta alleanza tra ricercatori, editori di riviste scientifiche e direttori dei grandi mass media, a cui poi si è aggiunto il volano senza freni dei social media, con effetti di amplificazione e persistenza dell’informazione mai visti nella storia dell’uma-nità.La “gioiosa macchina da guerra” dell’informa-zione genetica ci ha regalato, in ordine di tempo (tralasciando le bufale di giornata, come l’iden-tificazione del gene dell’infedeltà coniugale): la scoperta della genetica delle psicosi, della depres-sione, dell’orientamento sessuale, dell’alcolismo, dell’altezza, dell’intelligenza, dell’obesità e di altro ancora.Nei corsi di laurea in psicologia, biologia e medi-cina, accanto alla genetica delle malattie ha fatto la sua comparsa, come materia di insegnamento con i relativi textbook, la genetica comportamentale, che, dopo alcuni anni di irresistibile ascesa, vede aprirsi al suo interno un dibattito a tutto campo (Box 4.1).

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Parte 2 • Mutamenti nelle basi delle scienze biologiche40

e/o intelligenti aumenta la probabilità per i figli di essere come i genitori. Ma non è assolutamente documentabile la base genetica. Uno studio sull’intero genoma di oltre 3500 per-sone ha trovato una grande variabilità genetica associata al quoziente intellettivo, confermando che l’intelligenza e altre funzioni cognitive sono “ereditabili e poligeniche” [5]. Il fenomeno è spie-

Quale bilancio può presentare questa grande in-dustria della ricerca ai propri azionisti, che poi in larga misura saremmo noi cittadini?Un bilancio molto deludente [4] che, tra l’altro, ha definitivamente chiarito la differenza tra ere-ditarietà e genetica. L’altezza e l’intelligenza, per esempio, hanno un tasso di ereditarietà elevato, nel senso che nascere in una famiglia di persone alte

Box 4.1 Il dibattito all’interno della genetica comportamentale

A distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, sono usciti i libri dei due più noti studiosi delle genetica comportamentale basata sugli studi sui gemelli, entrambi professori al King’s College di Londra. Quello di Robert Plomin è il textbook della materia giunto alla sesta edizione. Quello di Tim Spector è un ampio saggio che tratta tutta la vasta materia della genetica e dell’epidemiologia comportamen-tale, anche sulla base della sua ventennale esperienza di direttore del Registro dei gemelli britannici, che costituisce il più grande database sui gemelli del mondo. L’overview di Plomin mantiene l’approccio classico di un campo di ricerca che lui stesso ha contri-buito a segnare. Dopo avere fatto alcuni esempi dei “successi della genetica” nello spiegare malattie dello sviluppo (l’autismo), disordini psichiatrici gravi (la schizofrenia), ma anche differenze compor-tamentali (il peso corporeo e l’intelligenza), conclude rivolto al suo lettore: «Il messaggio è semplice: la genetica gioca un ruolo maggiore nel comportamento» (Plomin, 2013, p. 5). Non che l’ambiente non conti, avverte Plomin, ma è sottomesso alla genetica. Le stesse esperienze che influenzano lo sviluppo individuale sono il prodotto della genetica di quell’individuo. «Le persone creano la propria esperienza per ragioni genetiche» (ivi). Con un approccio che appare schiettamente tautologico, Plomin sostiene che quelle che si presentano come cause ambientali in realtà possono essere lette come cause genetiche. Per esempio, se in una casa ci sono molti libri, la qual cosa può certamente influire, ammette, nello sviluppo intellettivo di un bambino e nel suo successo scolastico, questo non è un fattore ambientale, ma può essere il prodotto della genetica, in quanto «i fattori genetici possono influire sui tratti genitoriali che li legano sia al numero di libri che i genitori hanno nella loro casa sia al successo scolastico dei loro figli» (ivi).Spector introduce il suo libro confessando: «Fino a tre anni fa ero uno dei tanti scienziati che da-vano per scontata la visione genocentrica dell’universo. Avevo passato gli ultimi 17 anni a produrre centinaia di studi sui gemelli, nel tentativo di convincere il mondo scientifico e un pubblico scettico che praticamente ogni caratteristica e ogni patologia risentiva di un’influenza genetica determinante» (Spector, 2013, p. 15). Qualche riga più avanti, Spector presenta subito uno dei problemi irrisolti della genetica comportamentale, da cui è partita la sua riflessione autocritica: la discrepanza tra il grado di ereditarietà di un tratto o di una patologia, tendenzialmente alto o anche molto alto, e la sua effettiva comparsa nei discendenti che, anche nei monozigoti, il più delle volte è al di sotto del 50% delle possibilità che la malattia si presenti in entrambi. «Compresi – scrive Spector – che la mia visione tradizionale della genetica e del ruolo dominante dei geni andava modificata». L’esplosione della ricerca in campo epigenetico ha poi rapidamente completato il cambio di paradigma che l’epi-demiologo britannico ci presenta nel suo saggio, che conclude con le seguenti parole: «Benché resti ancora molto da capire riguardo all’epigenetica, con quello che abbiamo imparato finora possiamo riscrivere irreversibilmente i postulati genetici fondamentali» (ivi, p. 301).

Riferimenti bibliograficiPlomin R., DeFries J.C., Knopik V.S. et al. (2013), Behavioral genetics, VI ed., Worth Publisher, New York.Spector T. (2013), trad. it. Uguali, ma diversi. Quello che i nostri geni non controllano, Bollati Boringhieri, Torino.

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sire una più realistica e raffinata comprensione delle cause dei comportamenti, in cui gli effetti di alcuni geni dipendono dalle scelte degli stili di vita. Questa sarà la miglior difesa contro il cattivo uso dell’informazione genetica.Questo cambiamento di visione, basato sull’in-terdipendenza tra stress e 5-HTTLPR, ci con-durrà a comprendere perché stress e depressione riguardano la gran parte di noi [3].

UN FALLIMENTO CHE VIENE DA LONTANO

Il 25 aprile del 1953, Nature pubblicò un lavoro dal titolo “Molecular Structure of Nucleic Acids”, a firma J. Watson e F. Crick, accompagnato da un disegno con cui si proponeva la doppia elica come modello di organizzazione del DNA.Stabilita la struttura del DNA, occorreva chiarire la collocazione e il ruolo dei geni.I geni, scrive Crick a metà degli anni Sessanta, sono una «porzione della enormemente lunga molecola di acido nucleico»; il ruolo di «ciascun gene è quel-lo di dirigere la sintesi di una particolare proteina. Tuttavia il gene non controlla questo processo di-rettamente. Una serie di copie di lavoro del gene viene fatta in un altro acido nucleico, conosciuto come RNA. (…) Il flusso dell’informazione va da DNA"RNA"Proteina» [6, pp. 40-41].Precedentemente egli aveva chiarito che quella direzione del flusso di informazione, dal DNA alla proteina, non è un fatto secondario, anzi è il cuore della moderna biologia molecolare, al punto che, mettendo nel conto molti rimproveri, che del resto non mancheranno, per l’uso di una parola aborrita in ambito scientifico, lo chiamerà «dogma centrale della biologia molecolare».Nel 1970, dopo che erano emersi alcuni fatti che mettevano in discussione il dogma centrale, Crick torna sulla questione ribadendo la validità del dog-ma, riassunto nell’immagine (Figura 4.1) con cui ha corredato il suo lavoro [7]. Secondo il dogma centrale della biologia molecolare il trasferimento dell’informazione è quello indicato dalle frecce con-tinue. I trasferimenti indicati dalle frecce tratteggia-te sono rari o del tutto assenti, mentre l’assenza di frecce, per esempio tra proteine e DNA, significa che la relazione è assolutamente improbabile. Quin-di non è possibile una relazione Proteina"DNA o una relazione Proteina"Proteina o anche una relazione Proteina"RNA.

gabile facilmente e può essere riassunto in un’effi-cace battuta: nell’ereditarietà dell’intelligenza non entra solo il codice genetico, ma anche il codice postale! E quindi l’educazione, il livello scolastico familiare, il reddito.Ma la storia che meglio spiega il fallimento della visione riduzionistica, che ha ispirato la ricerca genetica degli ultimi anni, è quella della genetica della depressione.

Il trasportatore della serotonina: la breve vita di una star

Nel 2003, un affermato ricercatore di origini israe- liane, Avshalom Caspi, professore di psicologia e neuroscienze in prestigiose università americane e inglesi, pubblicò un lavoro con cui si riteneva di avere trovato le basi genetiche della depressione, rintracciate in una variante del promotore del gene che codifica per il trasportatore della serotonina (in sigla, 5-HTTLPR): la variante corta (e cioè con una minore sequenza delle basi), rispetto alla variante lunga, avrebbe conferito un rischio mag-giore di depressione.La prestigiosa rivista scientifica Science, alla fine del 2003, inserì lo studio di Caspi tra le maggio-ri scoperte scientifiche di quell’anno. Negli anni seguenti, decine di laboratori sparsi nel mondo si inserirono in questo filone di ricerca impegnan-do molte risorse umane e finanziarie. Nel 2009, una meta-analisi, pubblicata su JAMA, la rivista dell’Associazione medica americana, concluse pe-rò che non c’è alcuna evidenza che la variante corta del promotore del gene per il trasportatore della serotonina conferisca un aumento del rischio di depressione indipendentemente dall’ambiente [2]. Ciò ha indotto Caspi a fare un bilancio critico della ricerca in campo genetico, incluso il suo stesso lavoro, come si può leggere nel brano seguente, tratto da una sua ampia review pubblicata sull’A-merican Journal of Psychiatry:

Per oltre un secolo, il pubblico è stato nutrito con una dieta di determinismo, che è iniziata con i primi del Novecento con l’eugenetica […]. A metà secolo è intervenuto il determinismo ambientale, esemplificato da B.F. Skinner. Alla fine del XX secolo, l’opinione pubblica è stata spinta verso il determinismo genetico, secondo cui i fattori non genetici hanno scarsa impor-tanza per la salute mentale e il comportamento.Il determinismo è pericoloso. Dobbiamo acqui-

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di avere diversi RNA prodotti dallo stesso gene, da cui si possono formare molte (anche molte decine di) proteine diverse tra loro.

3. La comunicazione proteina-proteina è dimo-strata dai cosiddetti prioni, che sono proteine che assumono una diversa conformazione in base al contatto con altre proteine e che, come noto, possono dare origine a malattie peculiari come la variante umana della Creutzfeldt-Jakob, detta anche malattia della mucca pazza.

4. La retroazione dell’RNA sul DNA è ben attiva sia nella forma della cosiddetta trascrittasi inver-sa, usata dai virus per stampare DNA a partire dall’RNA, sia nella forma dei microRNA che, come vedremo più avanti in questo capitolo, impediscono l’attività di altri RNA e che quindi non consentono al DNA di trasmettere le pro-prie informazioni.

5. Questo vuol dire che non tutti gli RNA vengono tradotti in proteine.

6. Le proteine sono una fonte essenziale di co-municazione con il DNA; anzi, sono i segnali (fattori di trascrizione, enzimi) che attivano la macchina del DNA che, per sua natura, è inerte.

Insomma, il dogma centrale della biologia moleco-lare non c’è più, anche se troppa ricerca in campo genetico prosegue come se nulla fosse successo, co-me se il dogma di Crick fosse ancora vivo e vegeto.

Il genoma come dispositivo adattativo

Al posto del paradigma riduzionista e determinista, incarnato dal “dogma centrale”, è emerso un nuovo paradigma che vede il genoma non più come un centro direttivo che impartisce istruzioni all’orga-nismo, bensì come un «dispositivo adattativo che risponde alle esigenze ambientali regolando l’espres-sione genica», secondo la definizione data da Evelin Fox Keller, storica e filosofa della genetica [8].Del resto, il programma ENCODE (Encyclopedia of DNA Elements), che ha identificato tutte le re-gioni codificanti del DNA umano [9], ha stabilito che quelli che tradizionalmente vengono chiamati geni, cioè le regioni del DNA che codificano per proteine, rappresentano poco più dell’1% di tut-to il DNA. Ha anche stabilito che la grandissima parte del restante 99% di DNA, che appunto non codifica per proteine, non è materiale inerte, non è junk, spazzatura, come era stato definito negli anni Ottanta. Definizione a lunga vita, rintracciabile ancor oggi nel sentire scientifico comune.

E, affinché sia chiara la portata del dogma, Crick chiude il suo articolo con le seguenti parole: «La scoperta dell’esistenza di uno dei tre sconosciu-ti trasferimenti potrebbe fra crollare l’intera base intellettuale della biologia molecolare». Quindi, riassumendo, secondo Crick il genoma contiene solo alcune regioni codificanti, che sono i geni; ogni gene codifica per una proteina, seguendo una logica programmata e cioè non essendo condizionato da effetti di retroazione degli altri componenti della vi-ta della cellula. Ciò che conta, ribadisce lo scienziato inglese, sono le informazioni contenute nel DNA, che verranno trasmesse fedelmente al messaggero RNA, il quale le tradurrà in proteina. In questo modello, la vita è l’assemblaggio di molecole pro-dotte da una collezione di geni, punto a punto (un gene-una proteina), senza alcuna possibilità che essa retroagisca sulle condizioni che l’hanno prodotta.La ricerca dei decenni successivi si incaricherà di demolire il dogma, mostrando che: 1. Non contano solo le regioni codificanti, ma an-

che il resto del genoma, che rappresenta circa il 99% di tutto il DNA.

2. Dallo stesso gene possono venire più proteine, tramite un meccanismo noto come “splicing alternativo”, che consiste nel montare in modi diversi le sequenze genetiche codificanti e quin-

PROTEINARNA

DNA

Figura 4.1 Crick F. (1970), “Central dogma of molecular biology”, Nature 227: 561. Secondo il dogma centrale del-la biologia molecolare, il trasferimento dell’informazione è quello indicato dalle frecce continue. I trasferimenti indicati dalle frecce tratteggiate sono rari o del tutto assenti, mentre l’assenza di frecce, per esempio tra proteine e DNA, significa che la relazione è assolutamente improbabile.

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Crick, Jacques Monod e gli altri biologi riduzio-nisti (Box 4.2, 4.3 e 4.4).La figura di Waddington è di grande interesse perché costituisce un modello di scienziato siste-mico, che rifiuta il riduzionismo grossolano che dominava il suo tempo e, al tempo stesso, non abbandona il solido terreno della verifica scien-tifica. Il suo modo di studiare la vita ci ricorda anche la grande importanza che la filosofia ha per le scienze della vita [10]. La filosofia di riferimento di Waddington era infatti quella del filosofo della scienza Alfred North Whitehead (1861-1947), una filosofia a orientamento sistemico, a differenza di quella di Crick, fondata sul realismo empirista.

Definizione

L’epigenetica è lo studio dei cambiamenti nell’e-spressione genica che non sono causati da muta-zioni genetiche e che possono essere ereditabili [11]. L’epigenetica quindi, più in generale, indica un determinato assetto dell’espressione genica che condiziona l’insieme delle attività della cellula in risposta agli stimoli ambientali. Si tratta cioè di un cambiamento adattativo, che può essere fisiologico o patologico. Questo tipo di segnatura, legata allo stato di salute di un organismo, può essere rever-sibile, a differenza della segnatura che interviene nella formazione dell’organismo (ontogenesi), il quale è caratterizzato da cellule che, per forma e funzioni, sono molto diverse tra loro, pur venendo tutte dallo stesso patrimonio genetico costituito dall’ovulo fecondato (cosiddetto zigote).

Secondo i 594 ricercatori che hanno contribuito al progetto ENCODE [9], più dell’80% del genoma ha un’attività biochimica, di cui, come abbiamo visto, una minuscola frazione serve a codificare proteine, mentre il resto serve ad attività regolato-rie la cui gran parte produce RNA non codificanti, che, come vedremo, svolgono una fondamentale attività epigenetica. Queste regioni regolatorie del DNA sarebbero le aree più importanti del genoma anche ai fini evolutivi, perché spiegherebbero da dove vengono, per esempio, le differenze tra il no-stro cervello e quello dei nostri cugini scimpanzé. È noto, infatti, che dal punto di vista genetico c’è una larghissima sovrapposizione tra noi e loro, an-che se le funzioni mentali sono molto diverse. Così, è ormai assodato che i nostri geni sono in numero simile a quello dei vermi della terra: 23.000 circa. La differenza, quindi, non starebbe tanto nei geni e nel loro numero, quanto nei meccanismi complessi di regolazione, nei pattern di espressione genica, guidati dai meccanismi epigenetici.

L’EPIGENETICA

La ricerca in campo epigenetico è esplosa con il nuovo secolo, ma è una linea di ricerca antica, con-temporanea e alternativa a quella che ha dominato la biologia per tutta la seconda metà del Novecen-to. L’epigenetica, con le ricerche e i libri del biolo-go inglese Conrad Hal Waddington (1905-1975) a metà del Novecento, era l’altra faccia della ricerca in campo genetico, rappresentava il paradigma alternativo a quello che si è imposto con Francis

Box 4.2 I due paradigmi: contenuti scientifici

Genetica riduzionista• Un gene " una proteina.• DNA invariante fondamentale.• Il genoma è chiuso in se stesso: «Non si può

concepire alcun meccanismo in grado di tra-smettere al DNA una qualsiasi istruzione» (Monod, 1970).

Epigenetica• Un genotipo " più fenotipi.• «La coppia di genitori dona alla prole un set

di potenzialità, non un set di caratteristiche già formate» (Waddington, 1961).

• I singoli geni interagiscono tra di loro lungo vie che sono organizzate in sistemi.

Riferimenti bibliograficiMonod J. (1971 [1970]), Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, Mon-dadori, Milano, trad. it. di Le hasard et la nécessité. Essai sur la philosophie naturelle de la biologie moderne, Editions du Seuil, Paris.Waddington C.H. (1961), The nature of life, Atheneum, New York; Idem (1979), L’evoluzione di un evoluzionista, a cura di F. Voltaggio, Armando, Roma.

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Box 4.4 Le origini dell’epigenetica

Tra il 1939 e il 1943, prima di essere arruolato nell’esercito inglese durante la Seconda guerra mon-diale, Conrad H. Waddington pubblica due libri e alcuni articoli nei quali presenta la sua innovativa visione della biologia e della genetica. In questi testi troviamo per la prima volta, in epoca moderna e con un preciso significato scientifico, i termini “epigenetica” ed “epigenotipo”.All’origine della ricerca del biologo inglese c’è la domanda fondamentale dell’embriologia, la scienza che studia la formazione di un nuovo essere vivente: quali sono i meccanismi che portano dal genotipo al fenotipo e cioè dal patrimonio genetico contenuto nella cellula fecondata (zigote) all’individuo concreto? Waddington, nel 1942, definisce epigenetici i meccanismi che conducono al fenotipo ed epigenotipo «la concatenazione di processi legati insieme in un network, così che un disturbo in una fase precoce dello sviluppo può causare a più lunga distanza, gradualmente, anor-malità in numerosi organi e tessuti». L’epigenetica è quindi strettamente legata all’embriologia, ma Waddington aveva anche interessi nel campo della genetica, che aveva studiato al California Institute of Technology di Pasadena con uno dei grandi della nuova scienza: l’americano Thomas H. Morgan, Nobel per la medicina nel 1933 e notissimo per i suoi studi sulla genetica della Drosophila melano-gaster, il moscerino della frutta. Il programma di ricerca di Waddington è fin dall’inizio orientato a connettere embriologia e genetica, convinto che le dinamiche dello sviluppo di un nuovo essere siano più complesse delle informazioni contenute nei geni, ma che sono quest’ultimi a guidare lo sviluppo dell’embrione. Non è un caso che i suoi due primi libri siano dedicati uno alla genetica (An Introduction to Modern Genetics, New York, 1939) e l’altro alla combinazione di embriologia e genetica (Organisers and Genes, Cambridge, 1940).David L. Nanney, genetista americano con forti legami con l’Italia, per ragioni scientifiche ma anche per i suoi studi giovanili in Lettere classiche, nel 1958 pubblica, sulla rivista dell’Accademia delle Scienze statunitense, un articolo che, riprendendo esplicitamente le ricerche di Waddington, avanza alcune idee fondamentali sui sistemi di controllo epigenetico a livello cellulare. Se Waddington

Box 4.3 Crick e Waddington a confronto: biologia, fisica e filosofia

CrickIl compito principale della biologia del Nove-cento: critica del vitalismo e spiegazione della vita in termini fisico-chimici.

Le filosofie di riferimento sono quella del fisico Schrödinger e quella del filosofo della scienza Popper.Da Schrödinger, che lo influenzò al punto da in-durlo a passare dalla fisica alla biologia, riprende un approccio che guiderà tutta la sua ricerca: trovare la centrale di comando della vita. «Il ciclo vitale di un organismo è controllato da un gruppo di atomi supremamente ben ordinato» (Schrödinger, 1944).Da Popper riprende la sua critica alla visione sistemica della scienza.

WaddingtonIl compito principale della biologia del Nove-cento: spiegare l’emergenza di nuove proprie-tà non contenute nei costituenti fisico-chimici elementari.La filosofia di riferimento è quella sistemica di Whitehead.Occorre conoscere il molto piccolo (atomi e molecole), ma all’interno dei diversi livelli di complessità. «La fisiologia deve comprendere la fisica del-le molecole, che stanno però dentro la cellula vivente e quindi in strutture diverse da quelle inanimate. […] L’individuo è un’unica realtà: corpo e mente» (Whitehead, 1926).

Riferimenti bibliograficiSchrödinger E. (1944), What is life?, trad. it. Cos’è la vita?, Adelphi, Milano, 1995.Whitehead A.N. (1926 [2001]), Science and modern world, trad. it. La scienza e il mondo moderno, Bollati Boringhieri, Torino.

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Capitolo 4 • Genetica ed epigenetica: la rivoluzione biologica in corso 45

dire che i meccanismi epigenetici, con modalità e stabilità diverse, intervengono in diversi contesti o, meglio, in tutte le fasi della vita: dalla forma-zione dello zigote (ovulo fecondato) alla sviluppo dell’embrione fino alla vita dell’organismo svilup-pato (Box 4.5).Quindi, l’epigenetica studia i cambiamenti cellu-lari senza mutazioni genetiche, che possono essere reversibili o irreversibili, ereditabili o non eredita-

Com’è possibile, infatti, che da un’unica cellu-la, dotata di un unico patrimonio genetico, possa sorgere l’enorme diversità interna che troviamo in un organismo? La spiegazione sta nella segnatu-ra epigenetica permanente che, senza cambiare i geni di quella cellula che diventerà un neurone o dell’altra che diventerà un epatocita o una cellula cutanea, ne modula l’espressione genica segnando permanentemente il loro destino. Possiamo quindi

si era posto il problema di come si passa dalla cellula fecondata all’organismo, Nanney si pone il problema di come si passa da un unico genoma, che è la base di ogni organismo complesso, a una pluralità di cellule, molto diverse tra loro. Già a occhio, infatti, un neurone è diverso da una cellula del fegato o della cute. Come è possibile, se il patrimonio genetico è lo stesso? E inoltre, come si mantiene questa differenziazione cellulare? Nanney sostiene che nella cellula, accanto al sistema genetico, opera anche un sistema epigenetico nel senso indicato da Waddington e cioè che è re-sponsabile della differenziazione cellulare. Questo sistema conferisce stabilità alla configurazione cellulare e conferisce alla cellula una memoria che può essere trasmessa alle cellule figlie. «Per questa ragione – scrive – cellule con lo stesso genotipo possono non solo manifestare differenti fenotipi, ma queste differenze, nello stesso ambiente, possono persistere indefinitamente durante la divisione cellulare» (Nanney, 1958). Infine, ipotizza il genetista, i sistemi di controllo epigenetico stanno con tutta probabilità nel nucleo, nei cromosomi, e non nel citoplasma, come veniva da più parti suggerito.Si tratta di un gruppo di osservazioni e soprattutto di idee scientifiche di grande rilievo, assolutamen-te complementari a quelle di Waddington, che per la prima volta mettono in evidenza la dimensione cellulare della ricerca epigenetica. Dimensione cellulare che verrà ripresa, pochi anni dopo, da un grande della ricerca biologica, il torinese Salvatore Luria, cresciuto alla scuola di Giuseppe Levi che, tra il 1969 e il 1986, ha dato tre Nobel per la medicina: lo stesso Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini. Ebreo, fuggito dall’Italia nel 1938 dopo le infami leggi razziali di Mussolini, diventa cittadino americano con il nome di Salvador Edward Luria e, nel 1960, in un lavoro sulle relazioni tra virus e cancro, dà la prima precisa definizione di epigenetica in chiave di biologia cellulare.«Cambiamenti nell’espressione delle potenzialità genetiche», così Luria definisce le modificazioni epigenetiche indotte nelle cellule a livello nucleare. Con quali meccanismi biochimici? Negli anni Settanta alcuni lavori documentarono che certe precise zone del DNA, contenenti la base citosina, sono oggetto di deposito di gruppi metilici. Fu così scoperto il primo meccanismo epigenetico, la metilazione del DNA.Nei primi anni Ottanta fu dimostrato che i geni metilati sono inattivi e cioè non esprimono le infor-mazioni che contengono. Verso la fine degli anni Ottanta il genetista inglese Robin Holliday pub-blicò un lavoro che dimostra l’ereditarietà dei difetti epigenetici acquisiti da una cellula trasformata in senso maligno: per la prima volta si parla di “epimutazione” e cioè di una mutazione che altera l’attività del DNA senza cambiarne la sequenza.Negli anni Novanta si scopre un altro fondamentale meccanismo epigenetico: le modificazioni delle cosiddette code istoniche, cioè di precise porzioni di proteine che avvolgono il DNA. Infine, nei primi anni del secolo presente, emerge un terzo potente meccanismo: l’attività dei cosiddetti microRNA e cioè di piccole stringhe di acido ribonucleico che invece di “codificare” e cioè di dare origine a proteine – come di solito fanno gli RNA, che funzionano da stampo per il montaggio degli amino-acidi di cui sono composte le proteine – interferiscono con gli altri RNA, impedendone l’attività.

(Tratto, con qualche taglio, da: Bottaccioli F. (2014), Epigenetica e Psiconeuroendocrinoimmunologia, Edra, Milano, pp. 28-30, a cui si rinvia anche per la bibliografia indicata nel Box.)

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l’estensione dell’eredità epigenotipica transgene-razionale non sono ancora del tutto chiare. Resta il fatto che, come vedremo, pur con queste limita-zioni, l’epigenetica transgenerazionale è accertata, il che apre rilevanti interrogativi sulla concezione tradizionale dell’evoluzione della specie umana.

I MECCANISMI EPIGENETICI NOTI

Il Box 4.6 richiama i concetti di base dell’organiz-zazione del genoma, eventualmente utili al lettore per comprendere i meccanismi epigenetici illu-strati in questo paragrafo. Al momento attuale, i meccanismi di regolazione epigenetica identificati sono: la metilazione del DNA, il rimodellamento della cromatina tramite la marcatura degli istoni e l’azione dei microRNA (Figura 4.3).

La metilazione del DNA

È il meccanismo epigenetico identificato da più tempo. Nei mammiferi la metilazione, cioè il depo-sito di un metile (CH3), avviene pressoché esclusi-vamente a livello del nucleotide citosina, che viene trasformata in 5-metilcitosina, all’interno dei di-nucleotidi CpG (dove “p” indica il gruppo fosfa-to che lega la Citosina alla Guanina). I CpG sono abbastanza dispersi nel genoma e circa il 70% di essi è metilato. Ci sono però delle concentrazioni di questi dinucleotidi, fino al 20% in più del nor-male, chiamate “isole di citosina”, collocate in aree strategiche, come le aree vicine ai siti in cui inizia la trascrizione o addirittura all’interno del gene. Que-

bili. Laddove per cambiamenti ereditabili occor-re intendere innanzitutto quelli trasmissibili alle cellule figlie. Questa ereditarietà si chiama di tipo mitotico perché si realizza quando la cellula, per garantire il normale ricambio tessutale, si divide in due cellule figlie tramite la mitosi: questa eredi-tarietà consente la stabilità del tessuto e degli or-gani. Consente cioè, per esempio, che una cellula epatica o una cutanea diano origine ad altre cellule epatiche e cutanee, rispettivamente. Ma consente che venga mantenuto ed eventualmente trasmesso (se la cellula si divide) anche l’assetto funzionale (o disfunzionale) di una cellula e quindi la sua segnatura epigenetica. Per esempio, la segnatura epigenetica infiammatoria di un neurone o di una cellula immunitaria, derivante da alimentazione, inquinamento ambientale, stress emozionale o al-tro, può diventare un pattern stabile di attivazione di quella cellula, con ovvie conseguenze sull’attivi-tà dell’organo e quindi sulla salute dell’individuo. Accanto all’ereditarietà di tipo mitotico c’è un altro tipo di ereditarietà che è di tipo meiotico1, che interessa cioè le cellule germinali, gli sperma-tozoi e gli ovuli, che garantiscono la perpetuazione della specie.Abbiamo ormai molti elementi che segnalano una trasmissibilità epigenetica di questo tipo, che va quindi dai genitori ai figli (ereditarietà meiotica o transgenerazionale). In quest’ultimo caso, però, le caratteristiche delle epimutazioni ereditate e

Box 4.5 L’epigenetica nelle diverse fasi della vita

I meccanismi epigenetici intervengono:• Nell’imprinting del genoma. Questo tipo di segnatura può essere parzialmente reversibile.

Il caso più rilevante e noto è quello della riattivazione di uno dei due cromosomi X che viene silenziato, con meccanismi epigenetici, nelle prime fasi della vita delle femmine (per i dettagli, si veda il testo).

• Nello sviluppo dell’embrione, segnando il destino delle diverse cellule che andranno a formare i diversi tessuti e organi. Questo tipo di segnatura è permanente (anche se può essere rovesciata in condizioni sperimentali particolari; si veda la nota 1) ed è trasmessa alle cellule figlie (eredi-tarietà mitotica).

• Nella vita dell’organismo sviluppato, segnando in modo stabile processi di adattamento o di disadattamento agli stimoli ambientali. Questa segnatura è stabile, ma è reversibile. Al tempo stesso può essere trasmessa, con dimensioni e caratteristiche ancora non sufficientemente chiarite, attraverso le generazioni (ereditarietà meiotica o transgenerazionale).

1 Così chiamata perché lo spermatozoo e l’uovo, maturando, riducono a metà il loro patrimonio genetico, consentendo così che con la fecondazio-ne le due metà unite formino un patrimonio genetico completo.

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Capitolo 4 • Genetica ed epigenetica: la rivoluzione biologica in corso 47

Box 4.6 L’organizzazione del genoma

Il genoma umano è organizzato in 44 cromosomi più 2 sessuali, che nella femmina sono XX e nel maschio XY. Situati nel nucleo della cellula, i cromosomi sono strutture di varia grandezza che com-pattano assieme DNA e proteine, istoniche e non istoniche, dando origine alla cosiddetta cromatina. Accanto a questo materiale genetico nucleare, la cellula dispone di altre informazioni genetiche contenute nel DNA dei mitocondri, che sono piccoli organelli citoplasmatici con un proprio DNA a forma circolare che svolgono funzioni metaboliche fondamentali. A differenza dei cromosomi, che sono forniti in parti uguali dai due genitori, i mitocondri sono di origine esclusivamente materna.Il DNA (acido desossiribonucleico) è fatto di due filamenti (o catene) che si avvolgono l’uno all’al-tro a formare, secondo il modello di Watson e Crick, una doppia elica in senso destrorso (cioè in senso orario) e antiparallelo (cioè la testa di un filamento si trova in rapporto con la coda dell’altro). Ciascun filamento è costituito da unità elementari chiamate nucleotidi, che sono composti da uno zucchero (il desossiribosio), da un gruppo fosfato e da una base. Le basi sono 4, appaiate a due a due: Adenina-Timina e Guanina-Citosina. Le basi stanno all’interno della doppia elica, mentre lo zucchero e il fosfato costituiscono l’impalcatura esterna. I legami dell’impalcatura sono forti (legame fosfo-diesterico), quelli che uniscono le basi dei due filamenti sono invece più deboli (legame fosforico), il che consente ai due filamenti di separarsi agevolmente in corso di trascrizione del DNA in RNA.Le proteine svolgono un ruolo chiave nel dare l’assetto al cromosoma e al DNA. Quelle istoniche, che sono le più abbondanti, sono piccole proteine basiche, ricche di arginina e lisina. Sono loro che danno un contributo decisivo all’impacchettamento del lunghissimo filamento di DNA (circa 2 m di nastro) in uno spazio di pochi micron di diametro. Come mostra la Figura 4.2, le proteine istoniche (H2a, H2b, H3, H4) si raggruppano a formare un nucleo, un rocchetto attorno al quale si avvolge il filamento di DNA. Questa unità di base, che si chiama nucleosoma, va a compattarsi ulteriormente tramite pezzi di DNA chiamati linker e una proteina istonica chiamata H1. Dal nucleosoma escono code, sede di attività epigenetica.Il grado di impacchettamento della cromatina è variabile nel cromosoma ed è fondamentale, in quanto stabilisce l’attività genica. Meno compatta è la cromatina, più attiva è quell’area e viceversa. Tradizionalmente si designa con il nome di eucromatina l’area del cromosoma che è attiva e con eterocromatina quella meno o per niente attiva. La macchina del DNA, che contiene le informazioni per la sintesi delle proteine, deve essere attivata. È di per sé virtualmente inerte; per esprimersi, deve essere attivata. Deve quindi srotolarsi, consentendo così l’accesso a un complesso di attivazione che è composto da fattori di trascrizione e da un enzima che si chiama RNA polimerasi. Su uno dei due filamenti viene a stamparsi un pre-RNA (detto anche “trascritto primario”) che trascrive la sequenza, che è composta da aree codificanti e non codificanti.

Coda istonica

Figura 4.2 Le proteine istoniche organizzate in un nucleo a otto componenti (due ciascuna) H2a, H2b, H3, H4 avvol-gono il filamento di DNA a formare il nucleosoma. Il collegamento tra i nucleosomi è assicurato da un DNA linker e dalla proteina istonica H1. Da questo “rocchetto” escono delle code che sono sede di fondamentali processi epigenetici.

Segue

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sa non deve stupire perché potremmo definirla una legge generale della biologia, così riassumibile: il significato del segnale dipende sempre dal contesto. La metilazione interviene quando una cellula si divide e occorre quindi trasferire la marcatura alle cellule figlie: l’operazione è garantita trami-te un enzima che si chiama maintenance DNMT, DNA metiltransferasi di mantenimento, in quanto mantiene la marcatura della cellula madre nelle cellule figlie. Ma la metilazione può essere anche fatta ex novo, quando viene silenziato un gene o addirittura, come vedremo, un intero cromosoma, come il cromosoma X. In questo caso l’enzima è denominato de novo DNMT.Dalle ultime ricerche sembrerebbe accertato che esiste anche un meccanismo inverso: la demetilazio-ne, cioè l’esistenza di enzimi capaci di cancellare o

ste isole sono normalmente non metilate e questa circostanza ci suggerisce la funzione normale della metilazione, che è quella di silenziare, di non far esprimere il gene, tramite la metilazione delle sue isole. Qui però troviamo un’importante eccezio-ne. Infatti, se la metilazione avviene nell’area del cosiddetto promotore (cioè l’area della sequenza nucleotidica che, ricevendo il segnale da un fattore di trascrizione, attiva il DNA), l’effetto è quello detto, cioè repressione dell’espressione genica. Se però vengono metilate le isole che si trovano all’in-terno delle sequenze codificanti, allora il significato è opposto: viene stimolata la trascrizione del DNA e quindi il gene viene indotto a esprimersi [12]. Quindi la metilazione ha effetti opposti (attivazione o repressione dell’espressione genica) a seconda di dove sono collocate le citosine metilate. La qual co-

Successivamente, l’RNA eliminerà le sequenze non codificanti (i cosiddetti introni) e unirà le se-quenze codificanti (i cosiddetti esoni), trasformandosi in RNA maturo pronto per il montaggio degli aminoacidi. Questo processo si chiama splicing, che significa appunto “montaggio”. Sarà questo RNA maturo che fungerà da istruzione per il montaggio degli aminoacidi nella catena polipeptidica, che poi, ripiegandosi in una conformazione tridimensionale, formeranno la proteina.Tuttavia è ormai noto da anni che lo splicing non ha una sola direzione, ma può avere più direzioni a seconda del montaggio delle diverse sequenze codificanti. Quindi, a partire dalla stessa sequenza di DNA, a seconda del tipo di splicing che si realizza e cioè di selezione degli esoni, si possono avere diversi RNA messaggero e quindi diverse proteine. Questo è il cosiddetto splicing alternativo, per cui da una stessa sequenza, per i diversi tagli che si possono operare, possono uscire molte decine di diversi RNA messaggero e quindi di proteine.

DNAmetilazione

demetilazione

RNAnon codificanti

Cambiamentinella conformazione

della cromatina

Segnaturadelle codeistoniche

Figura 4.3 I meccanismi epigenetici si influenzano reciprocamente.

Seguito

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Capitolo 4 • Genetica ed epigenetica: la rivoluzione biologica in corso 49

Gli RNA non codificanti possono essere non so-lo interferenti, ma anche attivanti il DNA; più in generale, svolgono funzioni di modulazione dell’e-spressione genica, nel senso che, in particolare, i lunghi (lncRNA) possono rendere la cromatina più o meno ricettiva all’azione dei fattori di tra-scrizione, oppure addirittura possono legarsi a essi e traslocarli in altri siti. Sempre gli lncRNA svolgono un ruolo centrale nel silenziamento del cromosoma X (si veda oltre) nelle femmine e in generale nell’imprinting del genoma.I microRNA (miRNA) sono invece al centro della ricerca per le funzioni fisiologiche sopra ricordate, a cui si aggiunge anche quella, molto intrigante, di essere parte del corredo genetico ed epigenetico che lo spermatozoo trasferisce all’ovulo; ma, soprattutto, per la loro possibile capacità diagnostica e terapeutica di alcuni tu-mori (come il cancro del colon e del pancreas) e delle malattie cardiovascolari. È un mondo in continua espansione: al momento in cui scriviamo queste pagine, sono più di 3000 i miRNA iden-tificati [17].

L’EPIGENETICA NELLE PRIME FASI DELLA VITA

Da quanto detto è intuibile che la modulazione epi-genetica intervenga fin dalle prime fasi della forma-zione della vita individuale. Nel prossimo capitolo vedremo in dettaglio gli studi, anche epigenetici, che legano le prime fasi della vita alle caratteri-stiche e alla salute del bambino e dell’adulto. Qui vediamo proprio l’inizio dell’epigenetica della vita.Una premessa: la riproduzione per via sessuale è un grande vantaggio evolutivo, in quanto consente una continua mescolanza genetica e quindi una significativa variabilità interna alla specie, feno-meno rilevante per l’adattamento della specie alle variazioni ambientali. La riproduzione sessuale, però, ha lo svantaggio di fornire al nuovo essere due metà di corredo genetico, una dal padre e una dalla madre, che contengono informazioni simili, anche se non esattamente identiche. Per la cellula emerge un dilemma: quali infor-mazioni deve seguire? La cosa è particolarmente delicata nelle prime fasi dello sviluppo, quando agiscono i geni che regolano e guidano la crescita del nuovo essere. Diventa poi particolarmente complicata quando l’organismo è femmina, quan-do cioè ha due cromosomi X nelle proprie cellule.

modificare la metilazione [13]. Anche se non sono ancora chiari i protagonisti e i dettagli, sembra che il fenomeno della demetilazione sia un processo attivo e costante e che garantisca la necessaria flessibilità alla marcatura epigenetica, soprattutto in organi altamente responsivi come il cervello [14].

Il rimodellamento della cromatina tramite la modificazione degli istoni

Come abbiamo già ricordato sopra, la cromatina presenta diversi gradi di compattamento, la cui conformazione è regolata da una serie di modifi-cazioni dei residui di lisina e di arginina nelle code istoniche. A oggi sono 16 i tipi di modificazioni istoniche conosciuti, dei quali i principali sono elencati nel Box 4.7. Recentemente, la possibilità di interferire con il co-dice istonico a fini terapeutici ha indotto i ricerca-tori a raggruppare la folla di enzimi e proteine che agisce sulle code istoniche in tre classi, battezzate: scrittori, eliminatori, lettori.Gli “scrittori” sono gli enzimi, metiltransferasi, acetiltransferasi, chinasi, ubiquitina ligasi, che mo-dificano la cromatina trasferendo metile, acetile, fo-sforo o ubiquitina. Gli “eliminatori” sono gli enzimi che eliminano il metile, l’acetile ecc. e quindi sono gli enzimi demetilasi, deacetilasi ecc. I “lettori” sono quelle proteine che si legano alle proteine istoniche contribuendo a modificare l’assetto della cromatina.Molto intensa è la ricerca farmacologica nell’identi-ficazione di molecole sintetiche o di origine naturale (come la curcuma) che possano modulare il codice istonico, per esempio in caso di cancro [15].

RNA non codificanti

Sono RNA la cui finalità, a differenza dell’RNA messaggero (mRNA) non è quella di tradurre l’in-formazione genetica in proteine. Tradizionalmente sono stati concepiti come piccoli RNA (micro- RNA) di poche decine di nucleotidi (a loro volta divisi in varie sottoclassi che qui è inutile dettaglia-re), il cui compito è essenzialmente quello di inter-ferire con l’attività genica bloccando gli mRNA e quindi impedendo la sintesi proteica.Recentemente la materia si è complicata con la scoperta di RNA non codificanti a struttura più lunga [16], con più di 200 nucleotidi, chiamati long noncoding RNA (lncRNA). Anche le funzioni e le possibili applicazioni diagnostiche e terapeu-tiche si sono moltiplicate.

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I geni “imprintati” scoperti nel topo sono a oggi circa 200, nell’essere umano attorno a 150. So-no sia di origine paterna sia di origine materna e rappresentano una piccola frazione del geno-ma umano, ma sono geni strategici e soprattutto in posizione strategica: quella dello sviluppo del nuovo essere. Diverse anomalie alla nascita, che

L’imprinting genomico

La soluzione trovata dai mammiferi è quella di silenziare alcuni geni chiave per lo sviluppo e, nel caso dell’organismo femminile, silenziare uno dei due cromosomi X. Il processo si chiama imprin-ting genomico e silenziamento del cromosoma X.

Box 4.7 Meccanismi di modificazione delle code istoniche

I meccanismi di modificazione delle code istoniche sono i seguenti: • Acetilazione-deacetilazione.• Metilazione-demetilazione. • Fosforilazione-defosforilazione.• Ubiquitinazione (deposito di ubiquitina, proteina di 76 aminoacidi) e sumoilazione, che consiste

nel deposito di piccole proteine simili all’ubiquitina, le SUMO (Small Ubiquitin-like Modifier).

L’acetilazione si realizza con il trasferimento di un gruppo acetile da una molecola di acetil-coenzima A sui residui di lisina della coda istonica tramite l’enzima istone acetiltransferasi (HAT).Il significato generale dell’acetilazione è di attivazione della trascrizione genica e lavora in rapporto con la demetilazione. Mentre la deacetilazione ha evidentemente un significato opposto e si combina strettamente con la metilazione del DNA avendo il medesimo fine: il blocco dell’espressione genica. La deacetilazione, che consiste nella rimozione del gruppo acetile, avviene tramite un gruppo di enzimi chiamati istone deacetilasi (HDAC). Gli enzimi HDAC sono, al momento, una dozzina e raggruppati in tre classi. C’è un grandissimo interesse della ricerca farmaceutica perché gli inibitori degli HDAC possono trovare applicazioni sia nella terapia del cancro sia in quella delle malattie psichiatriche. Tra gli inibitori naturali dell’enzima istone deacetilasi troviamo acidi grassi a catena corta, come l’acido butirrico, prodotto dalla flora batterica intestinale, e la carnitina, aminoacido ben presente negli alimenti proteici, che si stanno sperimentando nella terapia delle malattie infiam-matorie intestinali e del cancro (Huang, 2012). Tra i farmacologici, il più noto inibitore HDAC è l’acido valproico, molto usato nella terapia dell’epilessia e del disturbo bipolare. La fosforilazione, che consiste in un trasferimento di fosfato (PO4) da parte di enzimi della fami-glia delle chinasi sui residui di serina, treonina e tirosina della coda istonica, ha un effetto analogo a quello dell’acetilazione e quindi di attivazione genica. Come per l’acetilazione, ci può essere una defosforilazione tramite l’enzima fosfatasi. La fosforilazione è connessa con la memoria.La metilazione delle proteine istoniche è il fenomeno più complicato. Per varie ragioni: intanto perché il trasferimento del gruppo metilico può avvenire sia sui residui di lisina (tramite gli enzimi lisina metiltransferasi, KMT) sia su quelli di arginina (tramite gli enzimi istone metiltransferasi, HMT) e poi perché può raddoppiare o triplicare, rendendo la coda istonica mono- bi- o trimetilata. Non è strano, quindi, che la metilazione delle code istoniche possa avere significati diversi: la metilazione istonica può essere attivante, ma può anche essere inibente (Ng et al., 2009).Non è ancora chiaro il significato dell’ubiquitinazione, che consiste nel deposito nelle code isto-niche di una proteina, l’ubiquitina, che è composta da 76 aminoacidi. L’ubiquitina è così chiamata perché effettivamente è diffusa in tutti i tessuti e, quando è attaccata alle proteine, rappresenta un segnale di degradazione che per lo più viene raccolto dai macrofagi e dalle altre cellule immunitarie incaricate della pulizia tessutale.

Riferimenti bibliograficiHuang S. (2012), “The molecular and mathematical basis of Waddington’s epigenetic landscape: A framework for post-Darwinian biology?”, BioEssays 34(2): 149-157.

Ng S.S., Yue W.W., Oppermann U., Klose R.J. (2009), “Dynamic protein methylation in chromatin biology”, Cell Mol Life Sci 66: 407-422.

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donne vivono mediamente di più, si ammalano di meno di malattie infettive e di tumori, ma subi-scono molto di più le malattie autoimmuni e in generale infiammatorie. È evidente, quindi, che c’è una differenza significativa nell’assetto immu-nitario dei due generi, ma di ciò parleremo più in dettaglio nei capitoli sul sistema immunitario e sulle malattie autoimmuni. Qui basta tenere in mente che numerosi sono i fattori che concorrono a questa diversità, fattori psicosociali e biologici. Tra questi ultimi, sembra proprio di rilievo cen-trale il ruolo del cromosoma X, che è un Giano bifronte, perché, da un lato, può fornire una “ri-serva” all’organismo femminile che può ricorrere, si passi la metafora, a un secondo forno se il primo ha smesso di produrre pane o lo produce guasto: quindi maggiore flessibilità [20]; dall’altro, può creare una condizione di instabilità e di confu-sione genetica (eccesso di informazioni geniche provenienti dall’X) che, soprattutto in età giova-nile, può essere pericolosa. Documentate sono la parziale riattivazione del cromosoma X silenziato in pazienti con lupus eritematoso sistemico (LES) e l’eccessiva asimmetria in donne con tiroidite autoimmune e in generale in donne con malattie autoimmuni [21].Il cromosoma X quindi, mentre conferisce una maggiore flessibilità all’immunità femminile, può al tempo stesso essere un punto di vulnerabilità epigenetica, che può costituire il bersaglio dei numerosi fattori sociali, ambientali e compor-tamentali che, traducendosi in stress cellulare, concorrono alla genesi delle malattie autoimmuni [21,22].

L’EPIGENETICA NELLA VITA ADULTA

L’assetto dell’epigenotipo non è confinato alle prime fasi della vita, ma è anche il prodotto del-la vita adulta. Potremmo dire che la vita scrive i suoi appunti sul genoma sotto forma di lettere epigenetiche, modulando l’espressione delle infor-mazioni genetiche. Al riguardo, ormai è assodata una discordanza epigenetica di vita, addirittura nei gemelli monozigoti, che cresce con il crescere dell’età e con la diversificazione delle abitudini e degli ambienti di vita di persone che geneticamen-te sono identiche [23,24].Un concetto di grande rilievo per la clinica che emerge da questi studi è che la “segnatura” epi-

in passato venivano attribuite a difetti genetici, in realtà hanno proprio un difetto di imprinting. Come avviene l’imprinting genomico?È un processo epigenetico: è il risultato della com-binazione di metilazione del DNA e di deacetila-zione delle code istoniche, che lavorano in squadra con ruoli possibilmente interscambiabili.Meccanismi analoghi, anche se più articolati, ri-guardano il silenziamento del secondo cromosoma X nella femmina.

Il silenziamento del cromosoma X

Questo fenomeno è davvero notevole, perché ha, con tutta probabilità, conseguenze rilevanti sulla fisiologia e sulla patologia dell’organismo femmi-nile, anche se resta ancora molto da capire.Il silenziamento (o inattivazione) del secondo cro-mosoma X nella femmina avviene precocemente, all’incirca al sedicesimo giorno dopo la feconda-zione quando le cellule sono poche centinaia (da 500 a 1000).L’inattivazione è random, nel senso che avviene a caso e di regola produce una distribuzione del si-lenziamento che è 50 a 50. Per questo, dal punto di vista genetico, tramite l’azione epigenetica, la fem-mina è un mosaico [18], in quanto ha cellule che usano le informazioni contenute nel cromosoma X della madre e altre cellule che invece usano quelle dell’X del padre: la metà delle cellule della fem-mina quindi avrà inattivo il cromosoma X paterno e attivo quello materno, e l’altra metà l’opposto. Ma non sempre è così. La proporzione può es-sere variabile e la bilancia può spostarsi anche in modo considerevole a favore di uno o dell’altro cromosoma X: l’asimmetria (skewness) diventa significativa quando il 75% delle cellule lavora con un solo cromosoma X, ma può diventare estrema con più del 90%.Ma che informazioni genetiche contiene l’X? Que-sto cromosoma è uno dei più grandi; contiene circa 1200 geni che svolgono ruoli significativi sia nel sistema immunitario sia nel cervello.La sua rilevanza per l’immunità è data dal fatto che esso contiene il più grosso numero di geni correlati al sistema immunitario di tutto il geno-ma; inoltre contiene geni che codificano per un altrettanto rilevante numero di microRNA [19]. È noto che c’è una differenza significativa tra il genere maschile e quello femminile riguardo alla sopravvivenza e riguardo ad alcune malattie come i tumori, le infezioni e le malattie autoimmuni. Le

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ta, produttiva, sociale e domestica. Si è capito in modo incontrovertibile che queste sostanze non hanno semplicemente un’azione tossica, e cioè di danno diretto a cellule e tessuti, ma che invece possono agire in modo più sottile e persistente nel tempo disarticolando sistemi vitali come il neuro-endocrino e l’immunitario. Le sostanze con queste funzioni patogene vengono complessivamente de-finite Endocrine Disruptors (ED). Questo aspetto fondamentale viene trattato in un Approfondimen-to del Capitolo 12 scritto da Mauro Bologna, a cui rinvio. L’azione degli ED è di tipo epigenetico [25]. I pesticidi e gli altri ED fungono da segnali epigenetici, con possibili effetti transgenerazionali, come è evidente dagli studi sugli animali e anche dai primi studi sugli umani.

Gli studi sugli animali: le impronte epigenetiche dei padri nei discendenti

Vi è una serie di esperimenti sugli animali, sotto-posti a vari tipi di insulti: esposizione a pesticidi, a cocaina, a trauma, a stress sociale. Questi animali

genetica sul DNA cellulare è una segnatura sta-bile, ma è anche reversibile. Questo apre le porte non solo alla ricerca farmacologica, ma anche, e soprattutto, alla ricerca per perfezionare terapie comportamentali capaci di influire sull’epigenoma, in primis alimentazione, attività fisica e gestione dello stress. La Figura 4.4 riassume questi concetti, che il lettore troverà sviluppati nei capitoli relativi all’ambiente, all’alimentazione, all’attività fisica e alle tecniche per la mente, e in quei capitoli clinici in cui la ricerca epigenetica ha già messo a dispo-sizione evidenze scientifiche adeguate.

L’EREDITARIETÀ TRANSGENERAZIONALE

Il ruolo della chimica ambientale

Negli ultimi anni è emerso con forza il ruolo di vasta perturbazione dei sistemi biologici realizza-to dalla grande quantità di prodotti chimici che l’industria ha immesso in tutti gli ambiti della vi-

GENOMAAlterazionigenetiche

Ambiente

StressStili di vita

maternofisicosociale

EPIGENETICAPROCESSI

FISIOLOGICIVie metaboliche,neuroendocrine,

immunitarie

SALUTE MALATTIA

Figura 4.4 L’ambiente, nella sua interezza, lo stress e gli stili di vita modulano epigeneticamente i processi fisiologici che sono alla base dell’equilibrio salute-malattia, che può essere influenzato anche da alterazioni strutturali del genoma.

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studio dello sperma degli stessi animali ha docu-mentato la presenza di nove specifici microRNA con funzioni epigenetiche [30].

Gli studi sugli umani

Dall’osservazione sappiamo che le conseguenze di un trauma possono essere anche di lungo pe-riodo e possono far sentire i propri effetti sui figli o addirittura i nipoti, i quali possono mostrare i segni psichici della condizione vissuta dai genitori o dai nonni. La spiegazione psicologica classica di questo fenomeno è di tipo comportamentale: i figli sono affetti da disturbi emozionali perché uno dei due o entrambi i genitori hanno sviluppato un disturbo da stress post-traumatico (PTSD in sigla). Il che è una mezza verità, perché ci possono essere conseguenze, sui figli, di un trauma subito ben prima del concepimento, senza che i genitori siano affetti da PTSD. Uno studio su donne ebree che avevano vissuto il trauma dell’internamento nei campi di concen-tramento nazisti dimostra che sono riscontrabili chiari segni sul sistema dello stress dei figli, anche in assenza, nella madre, di un disturbo post-trau-matico da stress [31].I figli dell’Olocausto, concepiti dopo il crollo del nazismo, mostravano, rispetto ai controlli, una scarsa produzione di cortisolo sotto stress: una disregolazione che, al pari di un’eccessiva produ-zione dell’ormone, può dare origine a vari disturbi di tipo sia psichiatrico sia internistico. Ovviamente, se uno dei due genitori o entram-bi hanno sviluppato un disturbo da stress post-traumatico, sarà incrementata la possibilità che anche nei figli compaia il disturbo, con tutta probabilità a causa di un’alterazione epigenetica dell’asse neuroendocrino dello stress, che è stata documentata [32], anche se resta ancora molto da capire soprattutto sul ruolo dei padri e delle madri, o di entrambi, affetti da PTSD. Da questi studi, combinati con ricerche sul modello animale, sembrerebbe per esempio che il massimo impatto epigenetico si abbia sui figli quando il padre ha subito un trauma [33].

Le vie dell’ereditarietà epigenetica transgenerazionale

Ecco quindi che possiamo intravedere le vie che possibilmente segue la trasmissione ereditaria epi-genetica transgenerazionale.

maschi mostrano segnature epigenetiche, nello sperma, che verranno trasmesse alle generazioni successive.Gli studi sui pesticidi hanno avuto come battistra-da un gruppo del Center for Reproductive Biology della Washington University, diretto da Michael Skinner, che ha realizzato una serie di esperimenti sull’animale utilizzando un endocrine disruptor, il fungicida “vinclozolina”, che ha una documenta-ta attività antiandrogena. Hanno dimostrato che l’esposizione al fungicida di un animale, nel mo-mento della sua determinazione sessuale gonadica, ha causato un effetto transgenerazionale sulla fer-tilità maschile e sulla funzione testicolare: più del 90% dei maschi di tutte le successive generazioni analizzate fino alla quarta (F1-F4) avevano, infatti, una ridotta capacità spermatica [26]. Successivamente, lo stesso gruppo, insieme ad altri ricercatori statunitensi, ha dimostrato che tre generazioni dopo l’esposizione al pesticida i discendenti, esposti a una condizione di stress, sono normalmente più ansiosi e meno socievoli, e presentano alterazioni nell’amigdala e nell’ippo-campo, oltre che nei sistemi metabolici [27].Condizione di ansia e di allarme che, una vol-ta indotta con un classico paradigma di condi-zionamento pavloviano (odore associato a una scossa elettrica senza poter fuggire) nell’animale maschio, può essere ritrovata nei figli, una volta esposti allo stesso odore che il loro padre aveva associato alla scossa elettrica [28].Così, lo sperma di topolini maschi esposti a un’au-tosomministrazione cronica di cocaina mostra una specifica segnatura epigenetica del promotore del gene che codifica per il BDNF (fattore nervoso di derivazione cerebrale), molecola centrale per molti circuiti cerebrali tra cui quello del premio, ipersollecitato nei drogati. Questa segnatura è riscontrabile nel BDNF cere-brale dei figli, che mostrano anche uno scarso fun-zionamento del circuito del premio e un eccesso di ansia di base [29].Infine, se topolini maschi in età puberale o in età adulta che hanno subito una condizione di stress variabile per qualche settimana, dopo 2 settimane di intervallo, vengono fatti accoppiare, i loro figli e nipoti mostrano una soppressione dell’asse dello stress di fronte a stimoli stressanti. Lo studio del cervello dei padri stressati ha dimostrato un’alte-razione epigenetica dei geni dei neuroni del nucleo paraventricolare dell’ipotalamo, che producono il CRH da cui si attiva l’asse dello stress. Inoltre, lo

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informazioni che governano la vita, ci possa essere un’influenza ambientale diversa dal cieco caso.Su questo fondamentale architrave della scienza e della cultura scientifica contemporanea, di cui sarebbe ora di dichiarare apertamente il crollo, invito a leggere l’Approfondimento di Gianluca Bocchi, che ci dà una panoramica completa e ric-ca di stimoli sull’evoluzione delle idee nel campo della biologia evoluzionistica.

LETTURE CONSIGLIATE

Bottaccioli F. (2014), Epigenetica e Psiconeuro-endocrinoimmunologia. Le due facce della rivo-luzione in corso nelle scienze della vita, Edra, Milano, in particolare i Capitoli 2 e 3.

RichaRdson s.s., stevens h. (Eds.) (2015), Postgenomics. Perspectives in biology after the genome, Duke University Press, Durham and London.

spectoR t. (2013), Uguali ma diversi. Quello che i nostri geni non controllano, Bollati Boringhieri, Torino.

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Sono due, essenzialmente: da un lato, l’alterazione diretta dell’epigenoma delle gonadi e, dall’altro, le condizioni di sviluppo in utero e nelle prime fasi della vita.Mentre la seconda via, che è strettamente legata alla gravidanza e alle cure parentali, è molto più agevolmente comprensibile e dimostrabile anche da studi su esseri umani, in quanto per noi la di-mensione sociale della vita, soprattutto nelle sue prime fasi, è la precondizione per la vita stessa, la prima via, quella della trasmissione di modifi-cazioni epigenetiche per via germinale, presenta difficoltà e pregiudizi da superare.Le difficoltà derivano dal fatto che sappiamo che il genoma paterno è sottoposto a un intenso pro-cesso di cancellazione e riscrittura epigenetica. Infatti, appena formato lo zigote, il genoma pa-terno è demetilato e poi rimetilato subito prima dell’impianto della blastocisti. Inoltre, una succes-siva rimetilazione del DNA avviene durante l’em-briogenesi, quando si formano le cellule sessuali. Quindi sembrerebbe impossibile una trasmissione della segnatura epigenetica.In realtà, abbiamo prove che esistono geni resi-stenti alla riprogrammazione epigenetica. Geni che sono resistenti, ma anche sensibili all’azione della dieta, dei tossici e dello stress, come abbiamo visto nel paragrafo precedente.

LA RIVOLUZIONE COPERNICANA IN GENETICA E L’EVOLUZIONISMO

Quindi la trasmissione epigenetica transgenera-zionale è documentata, sia pure ancora in modo certamente non esaustivo, soprattutto per quanto riguarda cosa viene effettivamente trasmesso, la dimensione del fenomeno e, non ultimi, i mecca-nismi [34].Tuttavia si vede con chiarezza che un passaggio epigenetico di caratteristiche presenti nel sogget-to – derivanti dal contesto storico-sociale in cui è vissuto, dal suo tipo di alimentazione e di attività fisica, dal tipo di insulti ambientali subiti, dalla sua gestione dello stress della vita – è all’opera di generazione in generazione. Questo ovviamente è un pugno nell’occhio di chi è ancora con la testa rivolta ad ammirare la sintesi neodarwiniana degli anni Quaranta del Novecento, che non solo ha ridicolizzato Jean-Baptiste Lamarck, ma ha anche escluso in via definitiva e assoluta che, sul set di

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Capitolo 4 • Genetica ed epigenetica: la rivoluzione biologica in corso 55

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[17] Per una rassegna delle applicazioni diagno-stiche e cliniche dei miRNA, si veda la colle-zione di articoli delle riviste Nature (Reprint collection) July 2013 e British Journal of Phar-macology 2015: 172(11): 2701-2798.

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57Capitolo 4 • Approfondimenti • A1. Organismi e ambienti: verso una nuova sintesi evoluzionistica

A1. ORGANISMI E AMBIENTI: VERSO UNA NUOVA SINTESI EVOLUZIONISTICA

Una delle grandi manchevolezze della sintesi neodarwi-niana ortodossa, così come si costituì nei decenni cen-trali del Novecento, è stata quella di ignorare le moda-lità con cui i geni producono gli organismi adulti, cioè i fenotipi che sono oggetto della selezione naturale. Uno dei maggiori critici di questa visione dell’evoluzione è stato il grande biologo inglese Conrad Waddington. Quali che siano le novità genotipiche presenti in un or-ganismo particolare – questa è la sua tesi fondamentale – esse possono esercitare influenze sul corso dell’evolu-zione solo se sono in grado di produrre mutamenti nei percorsi ontogenetici (da Waddington definiti anche epi-genotipici, o epigenetici) che dall’embrione con-ducono agli organismi adulti [1]. In questa accezione, “epigenetico” si riferisce a qualunque intervento abbia luogo nello sviluppo ontogenetico di un organismo. Waddington ha elaborato anche il concetto di canaliz-zazione, per visualizzare la proprietà dell’ontogenesi di presentare traiettorie di sviluppo alternative e rela-tivamente stabili. Molti cambiamenti di grande impatto evolutivo hanno luogo proprio quando perturbazioni particolarmente intense dei processi ordinari dello svi-luppo producono transizioni da una canalizzazione a un’altra [2]. Correlativamente, è emersa anche la no-zione di “paesaggio epigenetico”, che descrive la mor-fologia del panorama complessivo dell’ontogenesi di un organismo [3]. Il paesaggio epigenetico può essere rappresentato da un insieme di valli in discesa, ognuna delle quali rappresenta lo sviluppo di un sottosiste-ma di un organismo, dallo stato embrionale allo stato adulto. Il percorso della valle è definito dall’interazione di molti geni. Non tutte le valli hanno la medesima pendenza. Talune hanno le pareti scoscese, per cui il risultato finale è fortemente invariante anche rispetto a perturbazioni di notevole intensità. Altre sono più piatte, e i risultati finali sono di maggiore variabilità.

I lavori sperimentali di Waddington sull’assimilazione genica

Il paesaggio epigenetico è stabile, entro certi limiti. Entro certi limiti, appunto: gli effetti di molti mutamen-

ti genetici e molte perturbazioni ambientali vengono smorzati entro una stessa canalizzazione dello sviluppo. Ma si danno anche mutamenti genetici e perturbazioni ambientali che hanno l’esito di trasformare forma e dimensione di una valle, e quindi il prodotto fenoti-pico finale, con conseguenze importanti per il corso futuro dell’evoluzione. Talvolta persino la mutazione di un singolo gene può produrre mutamenti fenotipici significativi [4]. Il nesso fra stabilità e cambiamento è una costante di fondo delle ricerche di Waddington, presente anche nei suoi lavori sperimentali sull’assimilazione genica. Un esperimento da lui condotto consiste nel sottoporre a un colpo di calore una popolazione di moscerini, a un dato stadio del loro sviluppo embrionale. Una parte della popolazione mostrerà allora un particolare carattere fenotipico, che appare come “acquisito” in seguito all’evento del colpo di calore. Ma dopo alcune generazioni di inincrocio fra i moscerini che reagi-scono in questo modo all’evento, agli organismi di questa linea di discendenza basterà solo una piccola e non rilevante fluttuazione termica per esprimere il carattere in questione. Waddington parla in tal caso di un processo di “assimilazione genica”: un carattere fenotipico prodotto originariamente solo in condizioni ambientali estreme o comunque non frequenti ver-rebbe “assimilato” dal genotipo e riprodotto succes-sivamente anche in condizioni ambientali di maggiore varianza, e differenti da quelle che presiedevano alla sua occorrenza originaria.

Gli esperimenti attuali

Oggi, rispetto all’età in cui Waddington ha condotto questo genere di ricerche, ne sappiamo di più sul rap-porto fra le diversità dei fenotipi e le diversità delle condizioni ambientali. E tutto ciò che sappiamo mostra come questo rapporto non sia né semplice né lineare. In primo luogo, uno stesso genotipo può produrre fenotipi di varianza maggiore o minore: per taluni genotipi i prodotti fenotipici che ne conseguono presentano no-tevoli variazioni, a seconda delle diverse condizioni am-bientali, mentre per altri genotipi i fenotipi sono molto più standardizzati [5]. In secondo luogo, se uno stesso genotipo si sviluppa in ambienti diversi che variano secondo una progressione lineare di un determinato pa-

APPROFONDIMENTIGianluca Bocchi

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Parte 2 • Mutamenti nelle basi delle scienze biologiche58

rametro, non è detto che il fenotipo risultante vari con la stessa progressione lineare. In un altro esperimento ormai classico, per esempio, una varietà genotipica che produceva una pianta assai fiorente e molto alta al livello del mare produceva poi una pianta molto più fragile e poco appariscente ad altezze più elevate: ma ad altezze più elevate ancora, la pianta tornava a essere quasi altrettanto fiorente e rigogliosa che al livello del mare [6].Vi sono anche casi, non infrequenti, in cui il fenotipo cambia radicalmente, e in maniera discontinua, rispetto a un cambiamento delle condizioni ambientali, talvolta non molto appariscente e semplicemente incrementale rispetto alle condizioni originarie. Allorché variazioni ambientali più o meno ampie innescano la produzione di fenotipi alternativi nettamente distinti si parla di polifenismo. Un caso discusso in letteratura è quello delle locuste migratorie che, a seconda della densità della popolazione, possono assumere un fenotipo ca-ratterizzato da corte ali, dalla colorazione uniforme, dal modo di vita solitario oppure un fenotipo caratterizzato da ali lunghe, dalla colorazione multiforme e brillante, dal comportamento sociale. Di fatto, le differenze fra i due fenotipi sono così profonde che a lungo non ci si era accorti che entrambi sono manifestazioni della medesima specie [7].Il polifenismo, anche se in forme non così estreme, è una caratteristica basilare nelle comunità degli insetti sociali. Le varie specie di api, vespe, formiche, termiti presentano fenotipi adulti alternativi corrispondenti alle loro funzioni sociali (così le regine si differenziano dalle operaie), che sono però generati dallo sviluppo di orga-nismi che posseggono il medesimo genoma [8]. Questi fenotipi dipendono da molteplici fattori extragenetici, quali le diete diversificate nei rispettivi stati larvali, e anche dal sistema complessivo delle relazioni sociali.

Effetto lamarckiano senza Lamarck

Tornando al processo più generale dell’assimilazione genica, esso è caratterizzato dalla selezione, insieme al fenotipo, di uno o più genotipi atti a produrre il ca-rattere originariamente generato solo in condizioni estreme. Se prolungata per generazioni, la selezione di tali genotipi aumenta sempre di più la probabilità che il fenotipo o il carattere fenotipico in questione emergano anche in condizioni ambientali differenti da quelle che avevano caratterizzato la loro produzione originaria. Questo processo risponde alle modalità descrittive di Lamarck, ma non è lamarckiano. Non vi è eredità di caratteri acquisiti, perché a essere ereditato non è il

fenotipo in quanto tale. Ciò che viene ereditato sono invece uno o più genotipi dotati di una particolare nor-ma di reazione [9], cioè della capacità di un genotipo di produrre fenotipi più o meno diversificati in relazione a condizioni ambientali differenti. Di conseguenza, un genotipo dotato di una norma di reazione elevata fa sì che gli ambienti in cui gli organismi dotati di tale geno-tipo sono in grado di sopravvivere possano estendersi, e in tal modo si possano estendere anche gli spazi e i tempi in cui possano successivamente operare i processi evolutivi abituali (mutazione, ricombinazione, selezio-ne) [10]. Una norma di reazione elevata è dunque un fattore importante per l’ampliamento dello spazio di possibilità delle traiettorie evolutive delle popolazioni e delle specie viventi. Negli anni Ottanta del Novecento, lo zoologo canadese Ryuichi Matsuda ha aperto nuovi scenari alla ricerca, avanzando l’ipotesi che il sistema endocrino possa fun-gere da mediatore decisivo fra l’ambiente e lo sviluppo ontogenetico. La sua concezione [11] si basa sull’idea che l’attività ormonale degli organismi sia fortemente sensibile a variazioni ambientali di diverso ordine: va-riazioni dei modi di nutrizione, della temperatura, della luce, della densità della popolazione [12]. La maggiore o minore sensibilità a queste condizioni ambientali è ereditabile, per cui una medesima linea evolutiva ten-derà a dare risposte simili a simili pressioni ambientali nel succedersi delle generazioni.I mutamenti più diffusi prodotti dall’intervento de-gli stimoli ormonali sullo sviluppo ontogenetico di un organismo sembrano essere di tipo eterocronico: il percorso dell’organismo da embrione ad adulto viene cioè accelerato o, rispettivamente, ritardato. Un caso emblematico di eterocronia, dovuto a una modifica dell’intervento ormonale, può aver luogo nelle sala-mandre. In tal caso l’organismo adulto, che in genere è fenotipicamente del tutto distinto da quello larvale perché prodotto per metamorfosi dovuta a un’indu-zione ormonale, può restare anche del tutto simile alla larva originaria, allorché gli ormoni “scatenanti” non siano in grado di intervenire. Oggi le intuizioni di Matsuda appaiono confermate dalle nostre conoscenze più recenti sulle ristruttura-zioni del genoma in ambito macroevolutivo: in buona parte esse sorgono proprio come risposte a situazioni di stress ambientale. Più precisamente, le situazioni di stress ambientale agiscono in modo da intensificare quelle attività di ristrutturazione che comunque avvengono costante-mente e copiosamente nei genomi delle specie viventi: trasposizioni; ristrutturazioni esoniche (exon shuffling); mutamenti dei circuiti di regolazione; trasferimenti

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59Capitolo 4 • Approfondimenti • A1. Organismi e ambienti: verso una nuova sintesi evoluzionistica

minante della storia degli organismi e dell’evoluzione delle specie. Nello stesso tempo, la rigida barriera che impedirebbe effetti di retroazione diretta dell’ambiente sul genoma viene relativizzata: essa non appare più come una precondizione biologica assoluta, bensì un prodotto dell’evoluzione che come tale può conoscere indebolimenti ed eccezioni anche negli organismi più complessi dei nostri giorni. Al proposito, Gilbert Gott-lieb parla di una prospettiva di epigenesi probabilistica, nella quale dovrebbe essere adottato il concetto di rete sistemica per prendere in esame anche le altre com-ponenti della costruzione ontogenetica, oltre a quella genomica in senso stretto: l’attività neuronale; il com-portamento; gli aspetti fisici e culturali dell’ambiente. Eva Jablonka e Marion Lamb hanno recentemente approfondito proprio una visione di questo genere. Insieme alla concezione sistemica del genoma, una delle maggiori novità delle scienze del vivente degli ultimi anni è lo sviluppo di una visione altrettanto sistemica dell’eredità biologica [17]. Oltre all’eredità genetica in senso stretto, si possono infatti riscontrare molte altre forme di eredità che possiamo definire globalmente epigenetiche. Nell’accezione attuale l’epigenetica, definita anche epi-genetica molecolare per distinguerla dalla concezione classica di Waddington, concerne lo studio di quelle modifiche dell’espressione dei geni che non alterano la sequenza genetica in sé e per sé e che tuttavia possono produrre effetti ereditari [18]. Una definizione analoga parla dello studio delle influenze dell’ambiente nella costruzione dei fenotipi attraverso il controllo delle modalità di espressione dei genotipi [19]. In questo senso “epigenetico” non è sinonimo di “non genetico”. Il prefisso epi- mantiene il suo significato etimologico originario: è relativo a ciò che interviene sui geni.Non è facile tracciare linee nette di distinzione fra le varie dimensioni specifiche dell’epigenetica molecola-re. Possiamo però identificare chiaramente il sottoin-sieme dello studio dell’eredità epigenetica cellulare. L’eredità epigenetica cellulare è un tratto comune del funzionamento di ogni organismo adulto, giacché in ogni organismo animale le cellule sono differenziate e specializzate a seconda dei tessuti e degli organi di cui fanno parte. Le cellule di tutti i tessuti e di tutti gli or-gani posseggono gli stessi geni e le loro differenziazioni dipendono in gran parte da quali geni vengano attivati o disattivati, e in quali momenti: operazioni che sono con-seguenti e dipendenti dagli eventi storici, dallo sviluppo ontogenetico e dalle interazioni fra le reti genetiche e i rispettivi ambienti. Ora, i caratteri non geneticamente determinati che vengono acquisiti da queste cellule specializzate (come quelle del fegato o della pelle) nei

orizzontali di informazione; processi simbiotici fra mi-crorganismi differenti; duplicazioni cromosomiche o dell’intero genoma.

Ristrutturazione del genoma e coevoluzione: i nuovi scenari

James Shapiro mette in primo piano la necessità di inte-grare le nostre conoscenze sui processi di ristrutturazio-ne del genoma con le conoscenze, altrettanto rilevanti, delle modalità di speciazione ecologica, per generare una nuova e più ampia visione dell’evoluzione [13]. I prodotti delle ristrutturazioni geniche di vario genere, intensificate dagli squilibri ambientali, aumentereb-bero la varietà genetica a disposizione di una specie e aumenterebbero nel contempo la possibilità di fenotipi innovativi grazie a ricombinazioni altrimenti inusuali (per esempio tramite la ricombinazione di individui poliploidi con individui standard oppure, nel caso dei microrganismi, tramite trasferimenti orizzontali di in-formazione fra linee genealogiche anche molto lontane l’una dall’altra). L’ampiamento del repertorio genoti-pico e fenotipico di una specie incrementerebbe a sua volta le possibilità di adattamento a diverse condizioni ambientali. Secondo Shapiro, per la produzione di no-vità evolutive significative i processi di ristrutturazione genetica e di coevoluzione fra genoma e ambiente sono di gran lunga più importanti delle mutazioni puntiformi su cui era imperniata la visione neodarwiniana classi-ca, che anzi tendeva a identificare in queste ultime la totalità dei cambiamenti genetici a impatto evolutivo.Una modalità corrente attraverso la quale l’ambiente contribuisce alla costruzione di nuovi fenotipi consiste anche nell’attivazione di geni quiescenti o, rispettivamen-te, nella disattivazione di geni in azione e, più in generale, nella modulazione di tempi e modi dell’attivazione e del-la disattivazione di geni particolari; nella moltiplicazione, riduzione e diversificazione delle sequenze dell’RNA; nell’alterazione della composizione delle proteine [14]. Talvolta l’agente causale prossimale è una modificazio-ne della dieta o un’azione meccanica che interviene sulla membrana cellulare. In altri casi sono in gioco segnali ambientali come: il ciclo della luce e dell’oscurità; le variazioni della temperatura; gli stimoli visivi, uditivi, tattili; la presenza o meno di predatori; la maggiore o minore densità della popolazione; persino il diverso grado di complessità ambientale [15]. In tutti questi casi, gli ormoni sono mediatori decisivi fra gli stimoli ambientali e le modalità di espressione dei geni [16].Così sta emergendo una nuova concezione del gene come vincolo generale e non già come stretto deter-

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L’attività costruttrice e modificatrice di nicchie è onni-presente nei percorsi di vita delle specie: comprende la costruzione dei nidi degli uccelli e delle tele dei ragni, ma anche il mutamento della concentrazione dei gas atmosferici per opera delle piante e la decom-posizione della materia organica da parte dei funghi [24]. Attraverso queste trasformazioni, le specie vi-venti trasformano la natura e l’azione della selezione naturale, la quale non è una variabile indipendente dell’evoluzione bensì una componente, importante ma non esclusiva, di più ampie reti ecologiche in re-ciproca co-evoluzione.Un’influenza di ordine ecologico dalle rilevanti con-seguenze evolutive viene esercitata anche dalle inter-relazioni fra i processi di costruzione e di edificazione di nicchie di specie differenti, ma ecologicamente correlate. Interrelazioni di questo genere sono infatti in grado di mettere in relazione linee di discendenza filogeneticamente separate, e sono un fattore impor-tante per la coordinazione dei momenti di speciazione e di estinzione in rami di specie genealogicamente indipendenti, ma ecologicamente correlate, che è stata messa in evidenza dalle ricerche di Elisabeth Vrba e Niles Eldredge.L’eredità genetica e l’eredità epigenetica non sono in contrapposizione e sono anzi componenti basilari di una medesima rete, materiale e concettuale. Per l’ap-proccio al problema dell’eredità la parola d’ordine è: pluralismo. Ogni episodio dell’evoluzione è un caso unico e deve essere studiato iuxta propria principia.Nei caratteri di ogni specie vi è un continuum, alle cui estremità sono situati quelli controllati totalmente dai geni e, rispettivamente, quelli controllati dall’eredità epigenetica. Ed è probabile che i casi intermedi siano la grande maggioranza, fatta di molte tipologie di inte-razione fra la dimensione genetica e quella epigenetica.Una tale prospettiva epistemologica di fondo definisce una visione emergentista dell’evoluzione, che considera i fenotipi come prodotti originali e singolari di una rete di interazioni molteplici, diversificate e non lineari fra molteplici attori e fattori. In altri termini l’evoluzione risulta il prodotto, a sua volta originale e singolare, delle reti delle interazioni fra i fenotipi stessi e fra i fenotipi e i loro contesti ambientali (in varie accezioni possibili). Una tale visione emergentista comporta soprattutto un processo di maggiore individuazione degli organismi particolari, le cui vicende microstoriche appaiono sem-pre più rilevanti per le vicende macrostoriche dell’evo-luzione, proprio nella loro singolarità e non nella loro replicabilità. Nell’evoluzione non c’è meccanica ripetizione di si-tuazioni e un organismo geneticamente identico, o

loro processi di differenziazione sono regolarmente trasmessi alle cellule discendenti. In questo senso si può parlare di un aspetto duale dell’eredità epigenetica cellulare: di adattamento per una generazione di cellule e di trasmissione alle generazioni successive [20].

I quattro sistemi ereditari

Una finalità importante delle ricerche oggi in corso è quella di indagare le modalità di funzionamento e di connessione delle reti di retroazione che si costitui-scono fra almeno quattro sistemi ereditari del vivente: genetico, epigenetico, comportamentale, simbolico. Per comprendere l’evoluzione nel suo complesso non è possibile rimanere focalizzati esclusivamente sull’e-redità genetica, come ha fatto la sintesi neodarwinista. Oggi si ha invece bisogno di una nozione più generale di eredità, quale insieme dei processi di sviluppo onto-genetico che connettono una generazione parentale con la generazione discendente, e che sono alla base delle loro somiglianze. Così l’evoluzione può essere anche definita come l’insieme di quei processi che conducono a cambiamenti nella natura e nella frequenza dei siste-mi ereditabili inerenti a una popolazione data (e non soltanto a cambiamenti nella composizione genetica di una popolazione, come si era espresso Theodosius Dobzhansky negli anni Trenta del Novecento) [21].Per quanto riguarda l’eredità culturale in senso proprio, Patrick Bateson ha messo in evidenza molteplici modi con cui il comportamento animale può influenzare il corso dell’evoluzione [22]. Gli animali fanno sempre scelte attive, e ogni scelta di una specie, di una popo-lazione, di un singolo organismo può comportare una biforcazione nelle traiettorie evolutive. Gli animali, inoltre, sono in grado di trasformare l’ambiente sia in senso stretto (geofisico) sia in senso allargato (sociale), innescando una stretta co-evoluzione fra organismi e ambienti. In terzo luogo, gli animali sono capaci di modificare il loro comportamento a seconda dei cam-biamenti delle condizioni ambientali. Il comportamento animale è esso stesso un fattore importante e costante nella costruzione dei fenotipi e i mutamenti compor-tamentali sono in grado di mettere in luce potenzialità geniche altrimenti inespresse.Gli odierni sostenitori di una sintesi allargata, nella loro critica ai limiti della sintesi neodarwiniana ortodossa, fanno presente come questa fosse stata silente anche rispetto al significato evolutivo dei processi con cui una specie costruisce e modifica la propria nicchia: attraverso il proprio metabolismo, le proprie attività, le proprie scelte [23].

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tipo, ha condotto all’enunciazione dalla Developmental Systems Theory (DST) [28]. I sostenitori di questa teoria ritengono che possa essere riassunta in sei temi principali, senza con ciò esaurire la varietà di problematiche significative indagate da questi campi di ricerca [29]. I sei temi, tutti di grande rilevanza evoluzionistica, sono: 1) la comprensione che ogni tratto di un organismo è il risultato dell’interazione di molti attori ambientali (per cui la dicotomia fra genoma e ambiente – o fra “natura” e “cultura” – è quasi sempre inadeguata per descrivere la rete delle interazioni effet-tive); 2) la dipendenza dal contesto: ogni causa assume un significato solo in relazione allo stato complessivo del sistema; 3) la pluralità delle forme di eredità, intrecciate fra loro per generare il ciclo di vita di un nuovo organi-smo; 4) la visione costruttivistica dello sviluppo ontoge-netico: una trasmissione di caratteri da una generazione all’altra non esiste in senso stretto, perché ha sempre luogo una ricostruzione di caratteri negli organismi della nuova generazione; 5) l’idea di controllo distribuito: nessuno degli attori costitutivi dello sviluppo ontoge-netico è in grado di esercitare una funzione di controllo prevalente sull’operato degli altri attori in gioco; 6) la definizione di evoluzione quale costruzione di una rete di sistemi in cambiamento dinamico continuo.

NOTE BIBLIOGRAFICHE

[1] van speYBRoecK L. (2002), “From epigenesis to epigenetics. The case of C. H. Waddington”, Annals of the New York Academy of Sciences 981 (“From epigenesis to epigenetics: the genome in context”): 61-81.

[2] wilKins A.S. (2003), Canalization and genetic assimilation in Hall B.K., Olson W.M. (Eds.) (2003), Keywords and concepts in evolutionary developmental biology, Harvard University Press, Cambridge, pp. 23-30.

[3] Fra coloro che sottolineano l’importanza dell’o-pera di Conrad Waddington per l’evoluzionismo contemporaneo vi sono anche Eva Jablonka e Marion Lamb: si veda, per esempio, jaBlonKa e., lamB m.j. (2005), Evolution in four dimensions.Genetic, epigenetic, behavioral, and symbolic va-riation in the history of life, Cambridge University Press, Cambridge, pp. 63-65.

[4] huang s. (2012), “The molecular and mathema-tical basis of Waddington’s epigenetic landscape: A framework for post-Darwinian biology?”, Bio-Essays 34(2): 149-157.

comunque assai simile ad altri organismi della stessa specie, può produrre un fenotipo unico, destinato a un successo evolutivo futuro, proprio in seguito alla storia singolare dei suoi continui accoppiamenti con le condizioni ambientali hic et nunc.

Verso una nuova sintesi

Le implicazioni per le prospettive future e per il senso complessivo della tradizione evoluzionistica sono no-tevoli. La scoperta della ricchezza e della rilevanza di situazioni di evidenti discontinuità fenotipiche, anche in presenza di variazioni genotipiche ristrette, fa tutt’uno con la considerazione sempre maggiore della rilevanza evolutiva di situazioni caratterizzate da discontinuità genotipiche vere e proprie (quali le duplicazioni di singoli geni, di singoli cromosomi o dell’intero genoma) per auspicare il superamento dell’età dello stretto con-tinuismo evolutivo. Si pone il problema di una nuova sintesi che sia, appunto, propriamente emergentista e che consideri la continuità e la discontinuità, ai vari livelli dell’evoluzione, non più come opposte ma come integrate e complementari [25]. Forse una delle definizioni più sintetiche e più utili per questa visione emergentista dell’evoluzione la dobbia-mo a Van Valen, quando nel 1973 definì l’evoluzione come «il controllo dello sviluppo da parte dell’ecolo-gia». Brian K. Hall ha ripreso e approfondito la defini-zione [26], ritenendola in piena sintonia con la visione allargata dell’evoluzione di Jablonka e Lamb e con le ricerche sul ruolo del comportamento nell’evoluzione di Patrick Bateson. Quest’ultimo sottolinea la necessità di definire anche un quadro generale dell’induzione ambientale e ne propone un’ampia tipologia [27]: 1) induzione embrionica o intraorganismica, che ha luogo fra le cellule di un medesimo organismo; 2) induzione interorganismica o intraspecifica, quando gli organismi di una specie si scambiano segnali chimici o di altro genere (per esempio, nella salamandra la densità della popolazione può indurre variazioni morfologiche); 3) induzione interspecifica, che ha luogo fra organismi di diverse specie (come i segnali che intercorrono fra predatore e preda); 4) induzione ambientale in senso proprio, prodotta da segnali abiotici; 5) varie combina-zioni di questi tipi di interazione, come nel caso delle specie vivipare, in cui l’embrione è sottoposto all’azione congiunta dell’ambiente e del genoma materno.Negli ultimi anni un terreno d’incontro fra i vari ap-procci di ordine interazionista, centrati sulle indagini concernenti le conseguenze evolutive dei processi on-togenetici e i correlati processi di costruzione del feno-

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[12] Oggi l’influenza dei segnali ormonali nell’innesco di nuove traiettorie ontogenetiche degli organi-smi, dovuta al fatto che essi sono in grado di co-ordinare sviluppi che hanno luogo “a distanza” in molte parti e tessuti del corpo, è un tema centrale nei recenti sviluppi dell’evolutionary development. Si veda BRaKeField p.m. (2006), “Evo-devo and constraints on selection”, Trends in Ecology and Evolution 21(7): 362-368.

[13] shapiRo j.a. (2010), “Mobile DNA and the evolu-tion in the 21st century”, Mobile DNA 1: 4 (rivista online: www.mobilednajournal.com).

[14] gilBeRt s.F. (2001), “Ecological developmental biology: developmental biology meets the real world”, Developmental Biology 233: 1-12.

[15] gottlieB g. (2001), A developmental psychobio-logical systems view: early formulation and cur-rent status in Oyama S., Griffiths P.E., Gray R.D. (Eds.) (2001), Cycles of contingency, developmen-tal systems and evolution, MIT Press, Cambridge, pp. 41-54.

[16] Si veda la sintesi delle varie modalità di costruzio-ne del fenotipo attraverso le retroazioni ambienta-li in gilBeRt s.F. (2006), Developmental biology, Sinauer, Sunderland, pp. 693-720.

[17] jaBlonKa e., lamB m.j. (2005), op. cit.; Bondu-RiansKY R. (2012), “Rethinking heredity, again” Trends in Ecology and Evolution 27(6): 330-336.

[18] scaRFe a.c. (2013), Epigenetic, soft inheritance, mechanistic methaphysics, and bioethics in Hen-ning B.G., Scarfe A.C. (Eds.) (2013), Beyond me-chanism. Putting life back into biology, Lexington Books, Lanham, p. 376.

[19] hall B.K. (2011), A brief history of the term and concept epigenetics in Hallgrimsson B., Hall B.K. (Eds.), Epigenetics. Linking genotype and phe-notype in development and evolution, University of California Press, Berkeley, p. 11. Il genotipo è quindi il punto di partenza del controllo epigene-tico e il fenotipo è il risultato finale. Anche un’al-tra definizione corrente di epigenetica sottolinea la stretta e complessa interazione tra genotipo e ambienti («l’adattamento strutturale delle regioni cromosomiche tale da registrare, segnalare o per-petuare stati alterati di attività», BiRd a. (2007), “Perceptions of epigenetics”, Nature 447: 398.

[20] jaBlonKa e. (2013), “Epigenetic inheritance and plasticity: The responsive germline”, Progress in biophysics and molecular biology 111(2-3): 99-107.

[5] Si vedano le osservazioni di aRthuR W. (2004), Biased embryos and evolution, Cambridge Uni-versity Press, Cambridge, pp. 148-151.

[6] Questo e altri risultati sperimentali di grande ri-levanza sono discussi in dettaglio in lewontin R.c. (2008), Heredity and heritability in Sarkar S., Plutynski A. (Eds.) (2008), A companion to the philosophy of biology, Blackwell, Oxford, pp. 40-58.

[7] simpson s.j., despland e., hägele B.F., dodgson t. (2001), “Gregarious behavior in desert locusts is evoked by touching their back legs”, Procee-dings of National Academy of Science USA 98(7): 3895-3897.

[8] Questi sono casi di polifenismo alternativo: organismi con genomi identici o molto simili producono fenotipi divergenti in seguito alle vicende dei loro rispettivi sviluppi ontogenetici. Vi sono anche i casi di polifenismo sequenziale: un medesimo organismo, in stadi differenti della sua ontogenesi (come sono, per esempio, quelli di larva e di organismo adulto) produce fenotipi del tutto distinti. I polifenismi sequenziali raf-forzano il nocciolo dell’argomentazione: larva e organismo adulto sono prodotto dallo stesso genotipo, “interpretato” in differenti condizioni ambientali. Si veda KiRschneR m.w., geRhaRt j.c. (2005), The plausibility of life: resolving Darwin’s dilemma, Yale University Press, New Haven, pp. 84-90.

[9] Il concetto risale al 1909, quando Richard Wolte-reck notò che pesci dal medesimo genotipo (linee mantenute pure per partenogenesi, attraverso parecchie generazioni) davano fenotipi diversi anche in presenza di condizioni ambientali appa-rentemente simili. Si veda saRKaR s. (2004), From the Reaktionsnorm to the evolution of adaptive pla-sticity. A historical sketch, 1909-99 in DeWitt T.J., Scheiner S.M. (Eds.) (2004), Phenotypic plasticity. Functional and conceptual approaches, Oxford University Press, Oxford, pp. 10-30.

[10] pigliucci m. (2001), Phenotypic plasticity. Beyond nature and nurture, John Hopkins University Press, Baltimore, p. 213.

[11] west-eBeRhaRd m.j. (2004), Ryuichi Matsuda: a tribute and a perspective on pan-environmenta-lism and genetic assimilation in Hall B.K., Pear- son R.D., Müller G.B. (Eds.), Environment, deve-lopment, and evolution. Toward a synthesis, MIT Press, Cambridge, pp. 109-116.

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scontinuità fenotipiche con quelle sulle discon-tinuità genotipiche si veda theissen g. (2009), “Saltational evolution: hopeful monsters are here to stay”, Theory in Biosciences 128: 43-51.

[26] hall B.K. (2004), Evolution as the control of deve-lopment by ecology, “Introduction” in Hall B.K., Pearson R.D., Müller G.B. (Eds.) (2004), op. cit. Anche in questo testo si cerca di fornire inter-pretazioni e valutazioni storiche su una possibile “sintesi alternativa” e sulle sue tappe (Baldwin, Waddington, Matsuda, West-Eberhard ecc.).

[27] hall B.K. (1999), Evolutionary developmental biology, Kluwer, Dordrecht, p. 299.

[28] oYama s., gRiFFiths p.e., gRaY R.d. (Eds.) (2001), op. cit.

[29] Seguiamo da vicino l’introduzione (pp. 1-13) dei curatori del volume citato alla nota precedente.

[21] jaBlonKa e., Raz g. (2009), “Transgenerational epigenetic inheritance: prevalence, mechani-sms, and implications for the study of heredity and evolution”, Quarterly Review of Biology 84: 131-176.

[22] Bateson p. (2004), “The active role of behaviour in evolution”, Biology and Philosophy 19: 283-298.

[23] laland K.n., odling-smee j., Feldman m.w., Kendal j. (2009), “Conceptual barriers to pro-gress within evolutionary biology”, Foundation of Science 14: 195-216.

[24] odling-smee j., laland K.n., Feldman m.w. (2003), Niche construction: the neglected process in evolution, Princeton University Press, Prince-ton.

[25] Sull’importanza, per la nuova visione evoluzio-nistica, della connessione delle ricerche sulle di-

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