pronti a servire - roberto cociancich · pegnative e, per me, dolorose. non penso che sia giusto...

64
Pronti a servire PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI 2014 2 I.R.

Upload: others

Post on 25-May-2020

7 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

Page 1: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Pronti a servire

PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI 20142

I.R.

Page 2: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

S O M M A R I O

Pronti a servire1. Questo numero

2. Editoriale: dimensioni spirituali (e non solo) del

servizio

3. Non vi chiamo più servi, ma amici

4. La rivoluzione del servizio

5. Lo stile del servizio

6. Avventura destinazione uomo

7. Servizio in clan fuoco

8. Servire sulla strada

9. Il tempo per il servizio

10. Dall'intervento alla politica

11. Servizio sempre?

12. Fare il capo essendo se stessi

13. Ho avuto una vita felicissima

14. Capi adulti

15. Il servizio come progetto di vita

16. Servizio: libertà e dipendenza

17. Esperienze di servizio in C/F

18. Servizio, volontariato, terzo settore, no profit

a. Una provocazione: equivoci da evitare,

sindromi da prevenire

b. Chiarire gli equivoci, proporre le soluzioni

Redazione

Davide Brasca

Franco La Ferla

Gian Maria Zanoni

Giuseppe Grampa

Roberto Cociacich

Luca Salmoirago

Davide Magatti

Mavì Gatti

Anna Cremonesi e Anna Scavuzzo

Andrea Biondi

Maurizio Crippa

Piero Gavinelli

Federica Fasciolo

Gege Ferrario

Stefano Pirovano

Saula Sironi

Ale Alacevich

Roberto d’Alessio

pag. 1

pag. 3

pag. 9

pag. 11

pag. 15

pag. 18

pag. 21

pag. 25

pag. 27

pag. 30

pag. 35

pag. 39

pag. 43

pag. 45

pag. 47

pag. 49

pag. 50

pag. 52

pag. 55

Page 3: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

1

Q U E S T O N U M E R O

uesto numero nasce dalla necessità diuna riflessione sul tema del servizio, ilquale deve necessariamente essere losbocco concreto nella vita quotidianadi ciascuno di noi e delle nostre co-munità dopo gli impegni presi con laRoute nazionale. Nessun documentopuò per noi essere un elenco di buo-

ne intenzioni: deve invece orientarci alla seria pratica diuna vita di servizio.Apriamo il quaderno offrendo ai lettori una testimonian-za di servizio. È la lettera che Giancarlo Lombardi ha scrit-to lo scorso giugno alla redazione. Ecco il testo:

Carissimi amici,è con comprensibile fatica che mi accingo a scrivere questa letteradopo averci molto pensato.Tutti siete al corrente delle mie condizioni di salute e della spe-ranza che nutrivo per una ripresa più completa e più rapida. Que-sta prospettiva si sta allontanando e mi obbliga a delle scelte im-pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle.Questo vale anche per la Direzione di R-S Servire che è fra gliimpegni che mi sono più cari anche per la fedeltà nel tempo ini-ziata con Andrea Ghetti-Baden e Vittorio Ghetti.Ho dato alla rivista quanto ero in grado di dare nella profonda

convinzione della sua utilità per lo scautismo italiano come stru-mento di “Formazione capi”.Sono sicuro che la Redazione continuerà su questa strada preziosae difficile scegliendo un nuovo Direttore che non manca certamentefra gli attuali Redattori. A me sembra rilevante che sia una per-sona di profonde convinzioni e capace, nei momenti difficili, di di-stinguere i valori più importanti da quelli passeggeri. È fonda-mentale che la Redazione resti unita anche nelle diversità di opi-nioni che è una nostra ricchezza.Credo che la Redazione debba anche preoccuparsi del futuro pun-tando ad un rinnovamento delle persone possibilmente con l’in-serimento di risorse più giovani.Se Voi siete d’accordo io continuerei a far parte della Redazionecome semplice redattore.Vi ringrazio per l’amicizia e la stima che mi avete dimostrato inquesti anni e anche in questi ultimi mesi di difficoltà. Li ho sen-titi come una vera ricchezza nella mia vita.Con tanta sincera amicizia e affetto.

GiancarloMilano, 27 giugno 2014

Tutti voi troverete nel messaggio di Giancarlo i riferimentiideali all’autentico spirito di servizio, svolto con convin-zione, impegno, competenza, disponibilità, umiltà. Gian-carlo lascia il ruolo di Direttore, che viene assunto per de-

Q

Page 4: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

cisione unanime da Andrea Biondi, ma resta nella redazio-ne. Tutti noi, redattori e lettori, gli siamo grati per lo stilecol quale ha svolto questo impegnativo e appassionanteservizio.Ci auguriamo che i lettori trovino nelle parole di Gian-carlo e nei contenuti di questo quaderno le motivazioniper una vita al servizio del prossimo.

La prima parte del quaderno vuole dare i fondamenti teo-rici (spirituali, politici, economici -perché no?-, personali,etici, metodologici) della scelta del servizio. Li trovate ne-gli articoli di Davide Brasca, Franco La Ferla, Gian MariaZanoni, Giuseppe Grampa, Roberto Cociancich.Poi si entra nel vivo della proposta scout con l’articolo diLuca Salmoirago: i capi clan/fuoco devono avere ben chia-ro l’obiettivo educativo della propria azione: far crescereadulti che hanno imparato a vivere nel sevizio del prossi-mo. Davide Magatti ci ricorda l’importanza della route nelmetodo rover come scuola di servizio.Seguono gli interventi di carattere esperienziale: ciascunodegli autori mette in luce ciò che ha imparato negli annidello scautismo e come vive da adulto il proprio servizio.

Così l’articolo di Mavì Gatti, che riflette sul ruolo delladonna nella società e le possibilità di avere tempo da de-dicare agli altri: ciò chiede di avere “occhi e orecchie sem-pre aperti”, per cogliere le occasioni di autentico servizio.Anna Cremonesi e Anna Scavuzzo affrontano il nodo delrapporto fra politica e servizio. Andrea Biondi invita a ser-vire per lasciare il mondo migliore, Maurizio Crippa trat-ta del rapporto fra vita personale e scelte di servizio, Pie-ro Gavinelli sottolinea la relazione fra servizio e felicità, Fe-derica Fasciolo scrive del servizio del capo adulto e GegeFerrario della gratuità del servizio; infine Stefano Pirova-no affronta i rischi del servizio totalizzante. Sono tutti ar-ticoli che in parte si sovrappongono l’un l’altro, proprioperché legati alle esperienze di vita, ma con un unico filoconduttore: servire il prossimo è l’essenza della propostascout per il dopo partenza.L’articolo di Saula Sironi, a partire dall’esperienza di servi-zio di clan/fuoco, ci avverte della necessità di cogliere ledomande, a volte urgenti, che le nuove povertà e solitudi-ni ci pongono.Il numero si chiude con gli interventi di Ale Alacevich eRoberto d’Alessio, che a partire da una vivace discussionetenuta in redazione, chiariscono i rapporti fra servizio evolontariato e fanno il punto sull’impatto sociale delle at-tività no profit e del terzo settore.

2

Q U E S T O N U M E R O

Il numero è disponibile sul sito www.rs-servire.org

Lì potete trovare altri articoli, testi di canzoni, rimandi a libri, film ecc. che toccano

l’argomento monografico del quaderno. E potete lasciare il vostro commento.

Page 5: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

3

E D I T O R I A L E

Dimensioni spirituali (e non solo) del servizioLo sforzo delle nostra riflessione è quello di indagare

l’esperienza del servizio come esperienza costitutiva del

roverismo/scoltismo da quattro punti di vista: la dinamica

psicologico-biologica, la contestualizzazione sociale, la

processualità pedagogica e la dimensione etico-spirituale.

portante: egli scopre che ha la forza fi-sica, intellettuale, psicologica per occu-pare un posto vero e reale nel mon-do...e il mondo dovrà fare i conti conlui! La scoperta della propria forza –oserei dire del proprio ‘potere’ – avvie-ne in due direzioni, una ‘distruttiva’ fat-ta di vandalismo, violenza, autodistru-zione..., e una ‘costruttiva’, fatta di aiu-to agli altri, lavoro, collaborazione...Due vissuti molto profondi segnano ilprocesso di autocoscienza della propriaforza e del proprio potere; il primo è la‘paura’ e il secondo è il ‘dilemma’.Il primo. L’esperienza non cercata di una

La dimensione psicologico-bio-logica del servizioCome è noto l’età dell’adolescenza ècontrassegnata da uno sviluppo biologi-co, psicologico e intellettuale rapido eglobale; esso è talmente ricco e com-plesso che si configura come un tempounico nella vita dell’uomo circa la defi-nizione della propria identità. Molte al-tre cose accadranno dopo; tuttavia inquei pochi anni accade qualcosa di es-senziale circa la propria persona. È pro-prio nel dinamico e caotico tempo del-l’adolescenza che la persona per la pri-ma volta fa una esperienza molto im-

crescente forza che si manifesta a livellofisico e psicologico suscita nel ragazzotimore e anche paura. Che cosa mi stasuccedendo? Perché mi accade questo?Voglio sì diventare grande, ma in mododiverso da come ciò mi sta accadendo;perché non posso fermare quest’onda?Come posso gestire quello che sta acca-dendo in me? La società, i genitori, l’e-ducazione hanno il compito di rassere-nare questo vissuto rassicurando il ra-gazzo circa la bellezza e la brevità decambiamento che sta vivendo. Il secondo. Subito l’esperienza della for-za si mostra come ambigua: occorre dasempre e subito scegliere se fare dellaforza un uso ‘costruttivo’ o ‘distruttivo’.Il dilemma è forte: la mia forza mi ser-ve per alleggerire lo zaino di un com-pagno di strada o per farmi burla di chifa più fatica di me? E più radicalmente:io o gli altri? Qui l’educazione non puòsciogliere il dilemma che rimane in ca-rico a ciascuno, ma può testimoniare labellezza, la grandezza, e il valore di unavita vissuta facendo della forza unaenergia per il bene e per gli altri.Al punto dove siamo arrivati della no-stra riflessione si può a ragione dire cheil fondamento ‘umano’ della dedizioneagli altri, della generosità nel bene, del‘servizio’ risiede in una esperienza tut-ta fisica e psicologica – quella del pren-dere coscienza della propria forza - chela natura e il suo Creatore fa compieread ogni ‘figlio dell’uomo’.

Page 6: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

La contestualizzazione sociale dell’esperienza della forzaLa direzione ‘distruttiva’ dell’autoco-scienza giovanile della propria forza haesempi sociali molto drammatici nel-la storia del secolo XX°: dalla hitler-jugend ai ‘bambini’ soldato.Soffermiamoci sulla direzione ‘co-struttiva’ dell’autocoscienza giovaniledella propria forza. Senza pretese diesaustività e precisione sociologica cisembra di notare nello sviluppo dellasocietà italiana alcuni passaggi signifi-cativi. Nel primo dopoguerra appenail ragazzo diventava ‘grandicello’ (cioè‘forte’) entrava in una dinamica di aiu-to (dinamica costruttiva) reale allapropria famiglia: le ragazze nei ‘lavorida donna’; i ragazzi nel mondo del la-voro ‘da uomini’. Poi l’aiuto alla fa-miglia ha lasciato il posto al preparar-si ad ‘aiutare meglio’ la propria fami-glia di domani (studio superiore e poiuniversitario) senza rinunciare deltutto a sostenere quella di oggi (stu-dio e lavoro). Infine è venuto il tem-po di cui della forza costruttiva deigiovani la società decide di fare a me-no: ai ragazzi sotto i 16 anni è impe-dito il lavoro, lo studio diventa unparcheggio senza sbocco, il diverti-mento, lo sport e i corsi di qual si vo-glia abilità sono indicati come il luo-go in cui ‘sfogare’ la propria forza. Aparziale discolpa o come ironica ag-gravante è sorto il ‘volontariato gio-

vanile’ a cui è riservato nell’immagi-nario collettivo il compito di occupa-re quel tempo della vita in cui i gio-vani sono ‘socialmente inutili’. Oggi il vento sembra cambiare e lapercezione dell’urgenza di ‘avere unlavoro per vivere’ è molto alta e ponesfide nuove alle persone, alla società,all’educazione. Anche l’educazionescout e il roverismo-scoltismo in par-ticolare sono chiamati a raccogliere lasfida. Precisiamo la questione: comepuò lo scautismo educare un giovanea fare della propria forza un dono-ser-vizio agli altri nel tempo in cui l’ur-genza del vivere (lavoro e stringentepreparazione ad esso) ritorna forte? Illavoro – e con esso la vita di coppia -sono dimensioni che si oppongono alservizio-volontariato? Se e come ilservizio può esprimere un senso delvivere e una prassi concreta di vita peri giovani nel tempo in cui il volonta-riato diventa dimensione della ‘terzaetà? Forse il servizio-volontariato de-ve sciogliersi in ‘occasione estempora-nea’ di esperienza di aiuto ad altriquando ciò è possibile in relazione almomento breve che si sta vivendo’?Un utile riferimento potrebbe essereriguardare come i clan proponevanol’esperienza del servizio nel tempo incui gli RS mettevano su casa a 24 an-ni e si cominciavano a lavorare a 18anni. Non per copiare s’intende, maper fare tesoro dell’esperienza.

La processualità pedagogica dello scautismoLa proposta scout circa il modo con ilquale dare direzione all’autocoscienzadella propria forza che un ragazzo spe-rimenta a partire dai 14-15 anni sichiama ‘servizio’: ‘la tua forza, i tuoi ta-lenti, i tuoi doni, le tue capacità ti pro-poniamo di metterle a servizio degli al-tri: dei tuoi vicini concreti e dell’inte-ra società’.La processualità pedagogica che lo scau-tismo cattolico italiano, sulle orme diB.-P., ha elaborato a tale riguardo è as-sai semplice e si articola in tre passaggi:• Il servizio di capo squadriglia (e divice) come servizio all’interno di ungruppo verticale di ragazzi dove si èchiamati ad assumersi l’onere (e l’o-nore) della cura tecnica, fisica e, per-sino almeno in parte, spirituale deipropri squadriglieri.

• Il servizio ad intra (nella comunità) ead extra (nel territorio) in noviziato.Gli aspetti di avanzamento sono chel’aiuto ad intra è reciproco non è do-vuto in ragione di un ‘ruolo’, ma inforza di una fraternità e che l’aiutoad extra si apre ad altri, a chi a biso-gno, senza previ legami di cono-scenza e/o amicizia. Questo mo-mento ad extra è proposto comeesperienza di comunità o di piccologruppo (coppia, pattuglia) ed ha va-lore di ‘iniziazione’.

• Il servizio come dimensione perso-

4

E D I T O R I A L E

Page 7: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

nale che si esprime nella comunitàdi clan, verso chi ha bisogno sul ter-ritorio, in ogni dimensione dellapropria vita (famiglia, amicizia, lavo-ro, studio). Il tratto specifico è pro-prio il carattere rigorosamente per-sonale.

Questa processualità cronologica do-vrebbe condurre il giovane e la giova-ne ad una comprensione della vita co-me ‘essere per altri’ in una dimensionepersonale e concreta che rifugge dachiacchiere e discorsi, e si incarna ingesti concreti con fedeltà e coraggio.A riguardo di questo semplice percor-so di ‘progressione personale’ si devonofare due osservazioni.La prima si riferisce alla tendenza mol-to diffusa nei clan di sostituire la route(quella cosa in cui si cammina per 8-10giorni dall’alba al tramonto spostando-si ogni giorno) con esperienze, talvoltaanche lunghe, di servizio comunitarioestivo chiamate ‘campi di servizio’. Adire il vero più che di una tendenzaminoritaria mi pare di poter dire che –con tutte le varianti del ‘metà e metà’ -si tratta ormai di un orientamentomolto consistente del roverismo-scolti-smo cattolico italiano.Della riduzione della strada a simboli-smo e della pigrizia come motivo na-scosto che fa temere la route ho giàparlato in altre occasioni. Nel contestodella nostra riflessione sul servizio ci si

deve domandare se la richiesta di vive-re ‘esperienze comunitarie di servizio’non corrisponda ad una incomprensio-ne del percorso pedagogico RS chevuole il servizio nella proposta del clancome dimensione ‘essenzialmente’ per-sonale e quotidiana e solo ‘occasional-mente’ di gruppo e nella forma di‘campo’. Ognuno può certamente ap-pellarsi agli avverbi (occasionalmente,essenzialmente), ma resta il fatto di unadiffusa ‘comunitarizzazione’ del servizioin clan, che in pratica è una riduzionedel clan a noviziato. Ci si deve anchedomandare se questo slittamento nonsia un tributo che il roverismo-scolti-smo paga alla pervasività sociale del ‘vo-lontariato giovanile’ come momentotipico della gioventù impegnata - laicae cristiana - per vivere parte del perio-do estivo.La seconda riflessione muove dall’os-servazione di una sempre più diffusa ri-duzione del ‘servizio’ ad ‘attività di ser-vizio’. Il servizio sembra essere sempremeno recepito e vissuto come dimen-sione totale della persona e sempre piùpensato e sperimentato come un tem-po della settimana, determinato e pre-ciso, in cui si ‘fa’ qualcosa per gli altri.Seguendo questo andamento si perde ilsenso profondo del servizio secondo lospirito RS. Quello che doveva essere ilsenso della vita - essere-per-gli-altri -diventa un’attività tra le altre, magari‘nobile’, ma separata da tutto il resto.

La dimensione etico-spirituale del servizioSe per spinta naturale il ragazzo è po-sto nella condizione di vivere dentro disé il crescere della forza nelle sue di-mensioni fisiche, psicologiche e intel-lettuali e se normalmente senza ecces-sivo sforzo può aderire a proposte diaiuto agli altri il percorso che da que-sta iniziale scoperta conduce alla intimaconvinzione che il senso del vivere èessere-per-gli-altri non procede auto-maticamente, ma esige un rigorosopercorso interiore.In altre parole: il ‘servizio’ non rimaneun bel passatempo di gioventù e puòdiventare una prospettiva di vita soloattraverso una dedizione pratica tenace(etica) e la cura personale delle riso-nanze interiori (spiritualità) di taleesperienza.Senza pretese proviamo a delineare al-cuni dei percorsi di risonanza interio-re dell’esperienza del servizio.Il primo passo è assai diffuso e si sinte-tizza nella frase spesso sentita pronun-ciare dai rover e delle scolte: ‘pensavo didare e invece ho ricevuto’, oppure: ‘hodato, ma ho anche ricevuto...non pen-savo’; oppure ancora: ‘ho dato, ma horicevuto molto di più’. Ci sono ancheRS che non la pronunciano mai! Sonoquelli che ‘fanno servizio’ restando conil cuore altrove!Chi la pronuncia ha già fatto un passoimportante, cioè ha scoperto il nesso

5

E D I T O R I A L E

Page 8: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

profondo e misterioso fra il dare e il ri-cevere. Una trappola, però, lo aspettadopo il primo passo. Si potrebbe chiamare la trappola dellapresunzione. Ragionamento è più omeno il seguente: “ecco ho capito chese dai, ricevi; dunque il ricevere è il cri-terio del ‘dare’. Ne deriva che è logicocercare esperienze in cui il ricevere è as-sicurato o almeno ‘ragionevolmentepossibile’. A determinare poi cosa sia il‘ragionevolmente possibile’ non possoche essere io, perché io solo mi conosco‘fino in fondo’. Di solito scelgo le espe-rienze ‘nuove’ perché statisticamente ga-rantiscono maggiormente la possibilitàdi ricevere cose nuove”. L’esito del ra-gionamento è come quei sentieri che albivio sembrano dividersi, ma che pocooltre si ricongiungono! Il bivio è l’alter-nativa circa l’uso della propria forza fradimensione egoistica e dimensione al-truistica; il ricongiungimento è il mo-mento in cui – consapevolmente o in-consapevolmente – metto in pratica unuso della mia forza così raffinato da tra-sformare persino le povertà altrui invantaggio per me.Sulla base di questo tipo di argomenta-zione ‘istintiva’ cresce ogni sorta di svuo-tamento spirituale dell’esperienza delservizio. Si dice ‘il servizio deve essere scelto dalragazzo’ (che poi sarebbe un uomo) per-ché lui deve essere protagonista...ecc...’.E così si finisce per far credere al giova-

ne che è lui a scegliersi i poveri, secon-do le sue esigenze, i suoi tempi, le suecapacità presunte o vere,... Non do-vremmo invece insegnargli ad aprire ge-nerosamente il cuore e concretamente lavita ai poveri che il Signore vorrà man-darci? Non dovremmo dire loro che piùgrande del protagonismo, del diritto al-la scelta, del ‘decidere insieme’ c’è l’a-more che scioglie in un attimo - comeil sole la brina - ogni ragione e ogniegoismo?Si dice ‘il servizio deve essere compati-bile con la vita’; e sulla base di questo siinvitano i giovani a cercare un servizioarmonizzabile con la scuola, la coppia, la‘maturità’, gli esami, gli amici, ...le feste,le vacanze... Non dovremmo invece in-segnare loro che non esistono ‘poveri sumisura’ e che i poveri sono propria-mente coloro che disturbano la nostra‘pigrizia di marmotte borghesi’? Nondovremmo accompagnarli ad accettare illimite del proprio servizio che non rie-sce a ‘risolvere’ il problema? Non do-vremmo fargli capire che ‘stare vicino’con tutto quello che si ha (racconto del-l’obolo della vedova), vale più che risol-vere problemi (scelti ad hoc per essererisolti) con gli avanzi (che spesso sonoscarti)?

Per non cadere in trappola e procede-re nel cammino occorre fare molta at-tenzione. Le prime esperienze del ‘dare’ sono

esperienze che non sanno del ‘riceve-re’; esse sono un ‘dare’ motivato da ra-gioni esterne al dare stesso. Per esem-pio: sei capo squadriglia, devi fare que-sto per il tuo squadrigliere; aiutarsi è‘stile’ scout’; gli scout sono fratelli l’unl’altro. Si tratta appunto di motivazioni‘esterne’ al dare stesso. Appena si pro-cede nel cammino e si cresce psicolo-gicamente si scopre il nesso ‘dare-rice-vere’ di cui abbiamo parlato. Procedendo con attenzione si apronospazi per nuovi apprendimenti spiritua-li. Ne indico alcuni che mi sembranoimportanti• Il nesso ‘dare-ricevere’ si realizza apatto che il dare sia fatto ‘senza por-si il problema del ricevere’. La pre-ghiera della guida che recita ‘daresenza darsi pensiero delle ferite’esprime con straordinaria efficacia ilrifiuto di ogni logica utilitaristica nelservizio.

• Il nesso dare-ricevere si realizza sulpiano dell’essere e si potrebbe sinte-tizzare nell’espressione ‘dando sestessi (dandosi) si riceve l’altro dal-l’altro’. Nel servizio non si realizzauno scambio di cose, ma l’incontrodi aiuto fra persone. Si tratta di unoscambio di amicizia, di relazioni, dicuori dove il dare e ricevere finisco-no per diventare indistinguibili. Quisi apre uno squarcio per compren-dere l’enigmatica frase di Paolo: Ge-sù da ricco che era si fece povero per

6

E D I T O R I A L E

Page 9: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

arricchirci con la sua povertà.• La comune fratellanza del ‘dare-ri-cevere’ scoperta a partire dal ‘dare’ faporre una domanda: ‘non sarà forseche all’origine del mio dare c’è sta-to un ricevere e che il mio dare è giàuna risposta ad un donarsi di qual-cuno che mi ha preceduto?’. La do-manda è retorica pur restando verae profonda e la risposta è si! È spiri-tualmente di grande valore interio-re ripercorre la storia personale dei‘servizi’ ricevuti da altri e scoprirliinnumerevoli.

• Nella molteplicità dei servizi rice-vuti piano piano, allenando lo spiri-to e ben guidati, si giunge a ritrova-re una ‘trama’ di doni dietro la qua-le è possibile (e persino facile) ‘in-travedere’ un Dio; e poi riconoscer-lo nell’uomo di Nazareth che dopola cena e prima della croce lavò ipiedi ai suoi discepoli. Gesto immo-tivato, immeritato, impensato cheora sappiamo essere Grazia.

• Accade così che il cuore e la mentecominciano a comprendere i legamidi umanità e di apertura all’Assolu-to che sono iscritti nel gesto del ‘ser-vire’ e del ‘dare’. Qui si nasconde unsecondo rischio che può bloccare ilpercorso interiore di autocompren-sione di se stessi come ‘essere per da-re’ (fino a ‘dare anche l’essere’). Sitratta del rischio dello spiritualismoindividualista che utilizza il povero

come strumento di elevazione reli-giosa, personale e intima, dimenti-cando tutta la concretezza dell’“ave-vo fame e mi avete dato da mangia-re, avevo sete e mi avete dato da be-re, ero malato e..., ero prigioniero e...” di cui il vangelo ci parla.

• Il rischio dello spiritualismo indivi-dualista si combatte restando semprea contatto reale e concreto con i po-veri: dal servire si parte, nel servire siresta, al servire si torna.

• Restando ostinatamente nel serviziosi è condotti a porsi un’altra do-manda: questo fratello, che è un do-no misterioso dall’Alto, perché hafame, perché a sete, perché è prigio-niero, perché è analfabeta, perché...?Perché lui e non io? E gli occhi siaprono sull’immenso mondo del-l’ingiustizia che gli uomini si procu-rano l’un con l’altro. Allora si gridaperché il cuore è straziato; si prote-sta, si sensibilizza, si chiede giustizia,si marcia, si digiuna, si vota... Si gri-da come l’antico profeta Amos dicui parla la Scrittura: ”perché avetevenduto il povero per un paio disandali...io sprofonderò sotto di voiil suolo” (cfr. Am 2,6-16). E mentresi lotta contro l’ingiustizia che gene-ra miseria e povertà si resta lì a fian-co del povero concreto che atten-dendo il ‘grande cambiamento’ vivevicino a me e attende da me un ge-sto di fraternità. E così facendo –

cioè restando sempre accanto ad unpovero concreto – si evita un altrorischio, quello di diventare ‘profes-sionisti della solidarietà’ che semprepredicano ‘per altri’ la necessità e ildovere della giustizia e dell’aiuto deideboli dimenticando di praticarloessi stessi. Il vangelo li chiama ‘ipo-criti’.

• Sempre lì, vicino ai poveri, nasce nelcuore un’altra e ancor più dramma-tica domanda. Essa prende formaquando la povertà umana sulla qua-le ci si curva non è frutto di ingiu-stizia, ma di un male senza ragione:la bambina di un anno con un tu-more all’occhio, il ragazzo dal cor-po sfigurato, il giovane dalla psichesconvolta, l’uomo che non riesce adare forma alla vita, il vecchio chenon ha trovato di meglio che im-piccarsi. La domanda è asciutta e re-sta in gola: PERCHÉ? E subito neconseguono pensieri duri: ma allorache ne è del Dio buono? Dio dovesei? Ma allora che senso ha il miodare e il mio servizio? E la doman-da è retorica perché la risposta ap-pare chiara: un senso non c’è! UnDio non c’è! Il servizio quando èvero porta in faccia al male e ponecon forza sovrumana le altre due ra-dicali questioni: c’è veramente unDio? Chi è l’uomo? In quei mo-menti c’è solo da sperare di trovarsiaccanto qualcuno che è già passato

7

E D I T O R I A L E

Page 10: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

da quel dolore e conosce il pertugiodell’amore oltre il male. Forse inegual misura può essere utile il ri-torno alla memoria dei giorni diroute; i momenti in cui la meta eralontana, le forze al limite e a capochino, passo dopo passo si è andatiavanti, non si è venuti meno, si èrimasti fedeli: fe-deli nel poco efedeli nel molto.

Il servizio e la preghieraC’è un tempo della vita in cui l’auto-coscienza della propria forza, speri-mentata nella prima gioventù e dive-nuta ‘servizio’ attraverso un rigorosopercorso spirituale, lascia il campo al-l’esperienza opposta. Le forze vengo-no meno e si è chiamati all’autoco-scienza della debolezza. L’uomo delservizio sa però che c’è qualcosache vale di più dell’azione, è lapreghiera. Carlo Carretto tantianni fa ci raccontava che la seradei vespri di S. Carlo del 1954 unavoce gli aveva detto: “lascia tutto e

vieni con me nel deserto.Non voglio più latua azione, vo-glio la tua pre-ghiera, il tuoamore”.Quello che èvalso per luiin una voca-

zione particolare,vale per tutti gliuomini quandoviene

l’ora della debolezza. Allora cominciail servizio della preghiera e dell’offer-ta della vita per amore.

Ho un amico che ha iniziato tanti anni faun servizio; ad un certo punto per gli stra-ni casi della vita mi sono trovato coinvoltonel ‘suo’ servizio. Un giorni mi ha detto:Davide, non ce la faccio più vai avanti tu.Non ho detto niente. Non c’era niente dadire. È venuto per lui il tempo del serviziodella preghiera e dell’offerta d’amore. Luilo sa e lo so anch’io. Sento già in me e at-torno a me i frutti della sua preghiera. Ave-va ragione Paolo: quando siamo deboli è al-lora che siamo forti.

P. Davide Brasca

8

E D I T O R I A L E

Page 11: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

9

P RO N T I A S E RV I R E

Non vi chiamo più servi,ma amici

“Amatevi gli uni gli altri”: nessun invito al servizio è più

chiaro di quello evangelico; non pone limiti, non pone regole,

non fa distinguo, non accetta scuse.

Mi avevano raccontato che, a Genova,alcune famiglie benestanti avevanol’abitudine, in alcune occasioni del-l’anno, di ospitare a pranzo delle per-sone povere, servendole a tavola; e chenon pesava affatto il servirle, ma certonon sarebbero arrivate a sedersi perpranzare con loro. Non giudico que-sta debolezza proprio io, che mai hoaccolto il costante invito del mio Ve-scovo di invitare a Natale qualcuno incasa mia. Cito il fatto come chiari-mento della distanza, difficilmente si-mulabile, che ci può essere fra il servi-zio e l’amore, da vivere invece legatiinsieme.Un altro esempio, ancora più radicalee che viene da Gesù stesso, è l’episo-

La Parola di Dio contenuta nel Nuo-vo Testamento fa molta luce sul temadel servizio. Ho consultato la ChiaveBiblica, Torino, Claudiana, 1987 tro-vando, solo per i Vangeli, ben 54 cita-zioni. Il numero è leggermente ridu-cibile tenuto conto di alcune ripeti-zioni nei quattro testi, ma resta alto; e,vista la mia povertà in campo esegeti-co, ero deciso a rinunciare a scriveresul tema che mi era stato affidato. Poimi sono rifugiato in una speranza: chei lettori leggessero il testo nella consa-pevolezza che si tratta di uno scrittolimitato a pochi pensieri su “essereservi, essere amici, amarsi l’un l’altro”;e che si basa su poche citazioni evan-geliche fra le molte possibili.

dio di Marta narrato da Luca (Lc 10,38-42), dove il suo affannarsi e agitar-si, nel servire appunto, viene contrap-posto alla parte migliore scelta da Ma-ria, l’ascolto della parola di Dio peramore.Un terzo esempio che fa riflettere è lalavanda dei piedi (Gv 13, 1-17). Da unaprima lettura, questo episodio sembre-rebbe soprattutto un invito a servire;oppure anche una metafora della ne-cessità di purificarsi dalla testa ai piedi,come fraintende Pietro. Invece è un in-vito pressante all’imitazione di Cristo“Vi ho dato un esempio, infatti, perchéanche voi facciate come io ho fatto avoi”; e non parla certo di mettersi a la-vare i piedi al mondo intero.Che cosa Gesù intenda è espresso be-ne in Gv 15, 9-17 “Come il Padre haamato me, così anch’io ho amato voi.Rimanete nel mio amore. [...] Questoè il mio comandamento: che vi amia-te gli uni gli altri, come io vi ho ama-ti. [...] Non vi chiamo più servi, per-ché il servo non sa quello che fa il suopadrone; ma vi ho chiamati amici, per-ché tutto ciò che ho udito dal Padrel’ho fatto conoscere a voi. [...] Questovi comando: amatevi gli uni gli altri”.E a fugare i dubbi di noi, che siamo didura cervice e continuiamo a cinci-schiare su che cosa si debba intendereper amore vero, ci sono ancora le pa-role di Gesù ricordate da Mt 25, 34-46: “Allora il re dirà a quelli che stan-

Page 12: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

no alla sua destra: Venite, benedetti delPadre mio, ricevete in eredità il regnopreparato per voi fin dalla fondazionedel mondo. Perché io ho avuto famee mi avete dato da mangiare, ho avu-to sete e mi avete dato da bere; ero fo-restiero e mi avete ospitato, nudo e miavete vestito, malato e mi avete visita-to, carcerato e siete venuti a trovarmi”.Sul fatto che poi Gesù debba spiegareai giusti che lo interrogano “Signore,

quando mai ti abbiamo veduto affa-mato e ti abbiamo dato da mangiare,assetato e ti abbiamo dato da bere? ec-cetera”, va detto, da un lato, che si trat-ta di un espediente letterario dell’e-vangelista di ribadire le cose in unacultura caratterizzata dalla tradizioneorale; e, dall’altro, dalla previsione (!)della nostra inesauribile capacità di di-squisire oggi su servizio e amore, ri-mandando a domani i gesti di servizio

e di amore.È bene farlo intendiamoci, perché vi-viamo una fede fatta anche di misteroe fondata sulla ragione. Ma certo nonpossiamo far troppo aspettare sulla so-glia di casa nostra l’invitato, dovendoancora decidere se servirlo soltanto osederci a tavola con lui.

Franco La Ferla

10

P RO N T I A S E RV I R E

Page 13: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

11

P RO N T I A S E RV I R E

Una prospettiva radicaleIl servizio è lo strumento per cambia-re veramente il mondo? La domandapuò apparire superflua e un tantinonoiosa. Certo, ripassare le motivazionireligiose e formative che portano alservizio non fa mai male. Certo, discu-tere come, quando, con chi e con qua-le cammino di formazione arrivare alservizio è un esercizio arricchente eforse indispensabile, ma porre in di-scussione il servizio in quanto tale, ve-rificare il suo impatto sociale ed esi-stenziale, considerare il legame chec’è, o non c’è, tra il servizio e la vita,tutta la vita, quella quotidiana, quellaadulta, quella lavorativa, quella sociale equella culturale è un esercizio che puòessere liquidato in fretta con l’accusa diestremismo e di provocazione.. Ci sipreoccupa di ripetere che questa è una

di quelle domande che fanno perderetempo: astratti filosofemi, vuote discus-sioni, cavilli e sofismi. Perché indagaree denunciare la logica dominante nellasocietà, una logica che appare chiara,naturale e immodificabile? Ciò che im-porta è organizzare e riorganizzare,rendere efficiente, apportare quelle mi-gliorie che ricostruiscono, consolidanoe conservano l’esistente. Trovato un se-reno compromesso tra gli splendoriche si predicano e le grettezze che si vi-vono, perché frantumarlo? Perché nonfar tesoro della saggezza dei conserva-tori; non già dei conservatori emotivi,che amano il passato, i ricordi, i rim-pianti, i volti noti e gli slogan consoli-dati, ma dei conservatori lucidi e spre-giudicati, che sanno molto bene che“Se vogliamo che tutto rimanga comeè, bisogna che tutto cambi”?

Ma il servizio ha in sé, strutturalmente,una portata trasformatrice, cioèrivoluzionaria. E come tutte le forzeveramente trasformatrici parte da unrovesciamento teorico, da un ribal-tamento culturale. Ben se ne reseroconto gli apostoli, che sognavano ilsuccesso, l’affermazione personale, ilpotere sociale e si ritrovarono figli diDio, membra del corpo di Cristo,consacrati al servizio e in camminoverso il martirio.L’autentica comprensione del servizio,in una riflessione laica, deve inevita-bilmente partire dagli aspetti fonda-mentali della condizione umana. Assaipiù incisivo sarebbe il percorso, se siadottasse la prospettiva dell’uomo difede, come si fa in altra parte del qua-derno. Ma oggi la formazione religio-sa non è così diffusa e consolidata dapoter costituire una premessa validaper tutti.

Un sistema in crisiLe caratteristiche strutturali della con-dizione umana sono state messe a fuo-co con efficacia dalla saggezza antica ela modernità ha dovuto via via con-frontarsi con quelle intuizioni. Tra le narrazioni degli inizi che ci sonostate tramandate, un ruolo di primopiano deve essere attribuito al mito diPrometeo.Agli inizi Prometeo vide che “le altrespecie animali erano ben provviste di

La rivoluzione del servizioSolo lo spirito di servizio, guardando al prossimo e non al

profitto, a tutti e non a pochissimi, può sperare di scorgere e

realizzare il vero bene comune.

Page 14: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

tutto, mentre l’uomo era nudo, scalzo,scoperto e inerme.” (321c)1. Le proba-bilità che la razza umana riuscisse a so-pravvivere erano nulle, infatti il nu-mero degli uomini andava sempre piùdiminuendo. Contro il volere di ZeusPrometeo portò all’uomo il fuoco,cioè la tecnica, ma i risultati furonodeludenti: gli uomini non riuscivano afar fronte comune contro le fiere e siammazzavano tra loro Allora Zeusdiede agli uomini il rispetto e la giusti-zia, cioè la politica, cioè l’arte di tro-vare un accordo. I risultati furono benpiù significativi, ma non risolserocompletamente i problemi. Non sem-brava che il rispetto e la giustizia fosse-ro dati a tutti. Soltanto i migliori ave-vano le doti per guidare il popolo. Machi erano i migliori? Chi effettiva-mente possedeva rispetto e giustizia? Ilcammino verso la democrazia auten-tica e verso la giustizia sociale si pro-spettava lungo e incerto...e noi oggi losappiamo per esperienza.Ma proprio questa millenaria espe-rienza ci pone nelle condizioni di ve-dere meglio i problemi e di avere unaconsapevolezza maggiore.Scienza, tecnica e società hanno rag-giunto i loro inimmaginabili risultatigrazie alla divisione del lavoro e alcoordinamento. La divisione del la-voro ha moltiplicato le forze, il coor-dinamento ha permesso che la divi-sione del lavoro funzionasse.

La scienza ha reso pubblici e verifica-bili i suoi risultati. La tecnica ha ra-zionalizzato i sistemi produttivi, sud-diviso e uniformato i processi, mecca-nizzato e robotizzato il lavoro. E la so-cietà? La società ha inventato il moto-re e la giustificazione di questo gigan-tesco sviluppo.Si doveva dare un senso e una direzio-ne alle immense potenzialità che laproduttività sociale possedeva. Bisogna-va che tutti fossero d’accordo e s’impe-gnassero strenuamente nella stessa dire-zione. Venne escogitato l’interesse per-sonale, “ognuno doveva essere libero diperseguire il proprio interesse”, e sidivinizzò il profitto, ...e quando dirigequella industria in modo tale che il suo pro-dotto possa avere il massimo valore, egli mi-ra soltanto al guadagno proprio2.La macchina prese a girare vorticosa-mente e si ottennero risultati strepitosi.Certo, le cose non andarono così liscecome le abbiamo raccontate. Ci volle-ro molte lotte, molta educazione, mol-ta sofferenza, molta ideologia, moltopotere, perché la società funzionassesecondo la volontà della classe domi-nante. Non fu solo l’etica protestantea fondare e sorreggere lo spirito del ca-pitalismo,3 ma alla fine lo spirito delcapitalismo trionfò e la moltiplicazio-ne del numerario, cioè l’accumulo, di-venne la ragione ultima e il criterio difondo per valutare qualsiasi dinamicasociale.

A. Smith, nel fondare l’economia clas-sica, aveva affermato che non dalla be-nevolenza (dallo spirito di servizio)del macellaio, del birraio, del for-naio...si aspettava la propria cena, madalla considerazione del loro interesse.Aveva puntato in basso, con moltorealismo e non poca spregiudicatezza.Tra la benevolenza (il servizio) e l’inte-resse aveva scelto l’interesse, aveva no-bilitato l’egoismo, inserendolo nel va-sto filone della costruzione personalee dell’affermazione dell’individuo.L’individuo si emancipava dai poteriassoluti, ma contemporaneamente einevitabilmente si andava opponendoal resto dell’umanità. E, per non offri-re il fianco alle accuse di sconfinatameschinità e assoluta grettezza, avevaaffermato che l’interesse personale,magicamente, senza che l’imprendito-re se ne desse pensiero, sarebbe diven-tato benessere sociale, bene comune,grazie a una mano invisibile, che avreb-be compiuto il miracolo. Si comple-tava così il processo, durato alcuni se-coli, di “sdoganamento” del denaro,che da sterco del diavolo diventavaconcime e guida della terra.

Un salto di qualitàCosa c’è di male in tutto questo? I ri-sultati sono strabilianti e stanno sottogli occhi di tutti. Certo i difetti ci so-no, ma, per dirla con Machiavelli, an-zi con Cosimo il Vecchio, “non si go-

P RO N T I A S E RV I R E

12

Page 15: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

vernano i popoli con i paternostri“. Ma, purtroppo o per fortuna (in realtànoi crediamo inevitabilmente), nelleeconomie “mature” la macchina dellaproduzione capitalistica si sta incep-pando, gli aggiustamenti che vengonodi volta in volta escogitati non riesco-no più a nascondere le carenze di co-struzione. La macchina ha corso mol-to, ma la sensazione è che sia vicina alcapolinea. Si tratta quindi di fare “unsalto di qualità”, salvando il buono e,possibilmente, valorizzandolo.Questo salto di qualità non è sempli-ce. Non c’è nessuna ragione perchéquesto cammino sia più agevole diquello percorso dallo spirito del capita-lismo. Se lo spirito del capitalismo usòmolte lotte, molta educazione, moltasofferenza, molta ideologia, molto po-tere, per imporsi, perché mai l’affer-mazione dello spirito di servizio do-vrebbe avvenire senza battaglie (cultu-rali e non) e senza fatica? Ciò che pos-siamo sperare è che la forza positivadella nuova finalità richieda minorsofferenza, più riflessione, minor ideo-logia e un potere più autenticamentedemocratico.Il buono da salvare e valorizzare, di-ciamolo subito, sono la divisione dellavoro e il coordinamento, cioè imezzi della socialità umana. Gli aspet-ti che erano e sono fuorvianti nellospirito del capitalismo, quelli che hannolimitato e limitano le potenzialità di

questi mezzi di sviluppo, sono le fi-nalità capitalistiche, che via via hannomostrato la loro natura strumentale emanipolatoria. La divisione del lavoronon è un dono di Zeus tra i mille pos-sibili. La divisione del lavoro è il veroe specifico modo di valorizzare la na-tura umana. È nella divisione del lavo-ro che l’uomo scopre la logica e l’ef-ficacia del vero servire e perfino del-l’essere servito. Il coordinamentonon è un pio desiderio, coltivato daanime belle, ma è un’esigenza impostadall’originaria fragilità umana e, altempo stesso, è il mezzo più significa-tivo per valorizzare le potenzialità diciascuno e per realizzare l’autenticauguaglianza4. Che cos’è il vero servi-zio, se non la messa in opera delle di-verse potenzialità umane, nel ricono-scimento della dignità di tutti? Ciòche veramente serve, è necessarioed è proprio da questa autentica ne-cessità, che il vero servire, cioè il veroessere utile, mostra l’imprescindibilelogica della gratuità e della disponibi-lità. Che cosa ripete con ostinazione lospirito del capitalismo? Che “non esisto-no pasti gratis”. Si tratta di una dellepiù emblematiche manifestazioni del-la forza ideologica di un sistema dipensiero. Perché sopra la chiara veritàche ogni prodotto umano è frutto dilavoro e di fatica viene stesa la subdo-la idea che per qualsiasi cosa serva ildenaro. Come se il denaro fosse sino-

nimo di lavoro, anzi di divisione dellavoro e di fatica. Che cosa, dunque, haimpedito il pieno funzionamento diquesti mezzi, così fondamentali peruna più giusta organizzazione sociale?L’idea che, per convincere un gruppodi uomini a collaborare, mettendo adisposizione le forze e le competenzedi ciascuno, con l’intento di realizzareil bene di tutti, fosse necessario un fi-ne diverso dal bene comune, dal ser-vizio, ma fosse necessario il profitto,che imponesse a tutti la propria logi-ca. Non diversamente si ritenne che ilcoordinamento dovesse nascere dal-l’utilità personale e non dallo spiri-to di servizio.Ancora una volta bisogna ricordareche “bene comune” è espressione es-senziale, ma pericolosamente vuota.Con estrema facilità può essere riem-pita da contenuti subordinati al profit-to e ideologicamente spacciati comedi pubblica utilità. Solo lo spirito di ser-vizio, guardando al prossimo e non alprofitto, a tutti e non a pochissimi, puòsperare di scorgere e realizzare il verobene comune. Il passaggio dal profittoal bene comune e dall’interesse perso-nale allo spirito di servizio non è,quindi, un passaggio dettato da esi-genze morali. Tali esigenze, pur nobi-lissime, esulano da queste riflessioni. Ilpassaggio dal profitto al bene comunee dall’interesse personale allo spirito diservizio è imposto solo da una consi-

13

P RO N T I A S E RV I R E

Page 16: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

derazione strutturale, dalla ricerca diun’efficacia maggiore. Profitto e inte-resse personale, infatti, sono miopiper natura e devono esserlo, se nonvogliono autodistruggersi. Il primo èun dato rigorosamente quantitativo.C’è profitto se, e solo se, il passaggiodenaro-merce(investimento)-denaro ètale da far sì che la seconda quantità didenaro sia maggiore della prima. Que-sta è la realtà del profitto, ogni altraconsiderazione, o è funzionale a que-sta logica quantitativa, o è fuorviante,indebita, controproducente. Un di-scorso simile vale per l’interesse per-sonale. O l’interesse subordina qualsia-si altra considerazione al vantaggio delsingolo, oppure non è più interessepersonale. Gli altri interessi, per ri-

prendere A. Smith, sono un problemadella “mano invisibile” e l’interesse in-dividuale non deve prenderli in con-siderazione, se vuol mantenere tutta lasua forza. Il passaggio alla lungimi-ranza, alla sensibilità e all’efficaciadello spirito di servizio è, quindi, unanecessità, una scelta obbligata, impostadalla complessità e dalla globalizzazio-ne del mondo contemporaneo. In que-sta prospettiva la considerazione delprossimo come potenziale acquirente ocome potenziale concorrente e la con-siderazione del mondo come magazzi-no di approvvigionamento o come ter-reno di scambio devono essere abban-donate, non per un nobile sentimento,ma perché sono parziali e quindi falsee quindi controproducenti.

Su questa strada muove i suoi passi ilcosiddetto terzo settore, il mondo delno profit. Ma è un cammino che vasempre guidato dallo spirito di servizio.

Gian Maria Zanoni

1 PLATONE, Tutte le opere, Protagora,Newton, Roma 1997, p.275

2 A.SMITH, Saggio Sulla natura e le causedella ricchezza delle nazioni, trad. di M.Albanese, UTET, Torino, 1958

3 M. WEBER, L’etica protestante e lo spiri-to del capitalismo, Sansoni, Firenze 1977

4 Cfr. il nostro articolo, Governo delle leg-gi, governo degli uomini, «SERVIRE»,n.1, 2012, p.28

14

P RO N T I A S E RV I R E

Page 17: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

15

P RO N T I A S E RV I R E

teo attribuisce questa richiesta dei pri-mi posti non a Giacomo e Giovannidirettamente ma, per interposta perso-na, alla loro madre che, come ognimamma, è preoccupata di garantireuna buona sistemazione ai suoi figli. E,particolare non trascurabile, la richie-sta di questi posti privilegiati è prece-duta dall’annuncio da parte di Gesùdella sua imminente passione. Ancheil racconto di Marco (9,33-35) è pre-ceduto dall’annuncio della imminen-te passione (30-32). Duro contrasto,reso ancor più urtante da Luca checolloca questa discussione sui primiposti nel contesto dell’ultima cena:Gesù ha appena dato nei modesti se-gni del pane e del vino se stesso, anti-cipando il dono della sua vita che sicompirà sulla croce e subito dopo idiscepoli discutono chi tra loro debbaessere il primo, il più grande. Difficileimmaginare più stridente contrasto trala logica del dono di sé propria di Ge-sù e quella dei discepoli preoccupati dispartirsi i primi posti. Che tale discus-sione ritorni tre volte nei vangeli èsegno che la spartizione del potere nelfuturo Regno doveva esser preoccu-pazione dominante nella cerchia deidodici apostoli. Infine questa discus-sione attesta quanto le aspettative deidiscepoli fossero lontane dalle inten-zioni di Gesù: possiamo dire che finoalla fine, quando Gesù si separerà de-finitivamente da loro, i discepoli aspet-

Lo stile del servizioIn Gesù servire non è solo atteggiamento di umile

disponibilità ma è radicale decisione di dare tutto se stesso

per noi. È lo stesso stile che viene chiesto anche a noi.

me riscatto per molti” (Marco 10,35-45). È importante che questa paginasia stata conservata nei Vangeli. Infattii due apostoli, i fratelli Giacomo eGiovanni, non ci fanno una gran bel-la figura, anzi. Eppure il redattore delvangelo non ha censurato questo epi-sodio che svela un lato meschino deidue apostoli, il loro desiderio di assi-curarsi i primi posti, noi diremmo unaposizione di potere nel futuro Regnoche erano sicuri Gesù avrebbe realiz-zato. Mi sembra un segno dell’affida-bilità degli scritti evangelici: non han-no omesso quanto certamente nontornava a favore di due tra i discepolidel Signore. Anzi questa scena, conqualche variante, è ripetutamente re-gistrata nei Vangeli, segno che la spar-tizione del potere era una preoccupa-zione dominante tra i discepoli. Mat-

“E Giacomo e Giovanni, figli di Ze-bedeo, si avvicinano a Lui e gli dico-no: Maestro, noi vogliamo che tu cifaccia ciò che ti chiediamo. Ma Eglidisse loro: Che cosa volete che io vifaccia? Ed essi gli dissero: Dacci cheuno di noi sieda alla tua destra e l’al-tro alla tua sinistra nella tua gloria...Equando i dieci udirono ciò incomin-ciarono a indignarsi con Giacomo eGiovanni. E Gesù li chiamò a sé e dis-se loro: Voi sapete che coloro chesembrano governare i popoli li oppri-mono e i loro grandi usano la violen-za contro di loro. Ma non è così travoi. Ma chi tra voi vuole diventare ilpiù grande, diventi vostro servo. E chitra voi vuole essere il primo, diventi loschiavo di tutti. Infatti il Figlio del-l’uomo non è venuto per essere servi-to ma per servire e dare la sua vita co-

Page 18: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

tano la realizzazione sulla terra di quelRegno nel quale essi avranno i postipiù prestigiosi. Si aspettano un potereche potranno spartirsi e infatti l’ultimadomanda che rivolgono a Gesù è: “Si-gnore è questo il tempo in cui ricosti-tuirai il regno di Israele?” (At 1,6). Madella pagina di Marco non dobbiamosolo sottolineare l’atteggiamento deidiscepoli così lontano da quello di Ge-sù: ma soprattutto cogliere la fisiono-mia di Gesù che qui si presenta come“colui che è venuto non a farsi servi-re ma per servire e dare la propria vi-ta”. Con questa parola Gesù non offresolo il grande messaggio morale delservizio ma più profondamente svela ilsenso della sua intera esistenza: in luiservire non è solo atteggiamento diumile disponibilità ma è radicale deci-sione di dare tutto se stesso per noi. E

infatti l’ultima sera con i suoi discepo-li Gesù darà un segno eloquente: il se-gno del grembiule e del lavare i pie-di. Un segno che prima d’essere pertutti noi discepoli del Signore un ap-pello al servizio umile e fraterno è stu-penda, paradossale rivelazione del vol-to di Dio. Grazie a questo gesto noiconosciamo Dio non con gli abiti son-tuosi del potere ma con il grembiuleper lavare i piedi. Ricordiamo la do-manda del vecchio catechismo: Chi èDio? Dio è l’essere perfettissimo crea-tore e Signore... Dimentichiamo que-sta risposta e diciamo invece: Dio è co-lui che si mette in ginocchio per lava-re i piedi. Non una immagine farao-nica ma quella di chi è venuto nonper esser servito ma per servire e darela sua vita per...Benedetti, allora, tuttigli uomini e le donne che nei modi

più diversi si cingono il grembiule elavano i piedi mettendosi in ginocchiodavanti ai loro fratelli e ai loro piedispesso poco presentabili, questi lo sap-piano o meno, agiscono come Dioagisce, sono suoi fedeli imitatori.Quanta retorica si fa a proposito delservizio: si dice che chi ha il potere,quello politico in particolare, è al ser-vizio della gente, ma purtroppo quan-te volte vediamo che l’esercizio delpotere è al servizio dei propri perso-nali interessi. Non voglio alimentare ilgià troppo diffuso qualunquismo: mal’evangelo del servizio impone achiunque eserciti qualche forma diautorità e di potere, nella chiesa comenella società, di farlo come servizio.Pia illusione?

Giuseppe Grampa

16

P RO N T I A S E RV I R E

Page 19: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche
Page 20: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

18

P RO N T I A S E RV I R E

Sul grande tavolo della biblioteca stan-no disordinate le mappe che ho feb-brilmente consultato. Il mio cuore in-voca l’avventura. Qui sta la bussola,più in là giace il goniometro. Cerco ilNord, la direzione. Un antico lunariomi dice la posizione delle stelle. L’a-tlante mi racconta di fiumi e monta-gne, di strade che inesorabilmenteconducono alle città. Osservo le lineedi livello, i segni topografici che allu-dono a boschi, a dirupi, sorgenti d’ac-qua, ferrovie. Conosco bene questecarte: chiudendo gli occhi posso raffi-gurarmi i paesaggi che esse descrivo-no in modo così preciso che non sa-ranno una sorpresa per me quando ve-drò direttamente quei luoghi. Le map-pe, gli atlanti, le bussole e oggi ancheil GPS, possono descrivere anticipata-mente il viaggio, il suo percorso, il suo

punto di partenza e quello d’arrivo. Inapparenza tutto quel che c’è da sape-re: i tempi, le distanze, lo stato dei luo-ghi, l’altitudine, la pendenza del sen-tiero. In pratica: tutto quel che riguar-da il come. Eppure quegli strumenti,per quanto abilmente li si possa usare,per quanto profondamente li si possascrutare, sono incapaci di svelare leinformazioni più importanti sul viag-gio che intendo intraprendere. Essi so-no incapaci di svelare l’essenziale del-la mia avventura, la sua vera destina-zione, in altre parole il suo perché.La scienza cartografica consente nuo-ve scoperte geografiche. Ma il veromistero rimane l’uomo. Speciali bati-scafi ci consentono di scendere negliabissi marini sino al fondo della Fossadelle Marianne, il punto più profondodel Pianeta Terra. Grandi alpinisti han-

no scalato le vette dell’Himalaya, del-la Cordigliera, delle Montagne Roc-ciose. Eppure gli abissi dell’animaumana sono più profondi dei mari, ipensieri della mente più scuri dellanotte e le vette dello spirito più altedelle Grandi Cime. Mi domando:quali segreti andiamo cercando? Do-po aver fatto sette volte il giro dellaTerra quale verità ci rimane nascosta?Dove sta il tesoro del campo?Ben poco ci servirà l’avere esploratoandando per boschi, per monti e pia-nure se il nostro viaggio non ci portaad incontrare l’uomo. Quella è la pri-ma meta. Solo nell’incontro, nella sco-perta, nella condivisione con gli altriuomini, nel riconoscimento delle no-stra diversità e, al tempo stesso, della ir-rimediabile somiglianza con chi ci ap-pare straniero, sta il segreto del viag-gio, il motivo autentico del nostro par-tire, la destinazione ultima del nostrocammino.

Certo, noi incontriamo uomini tutti igiorni, li sfioriamo, parliamo con loro,negoziamo e contrattiamo. Possiamoanche minacciarli, blandirli, sedurli,comperarli ma è molto probabile cheessi rimangano, per quanto stretto pos-sa essere il laccio col quale li vogliamostringere a noi, remote solitudini deltutto inaccessibili. Il mistero dell’uo-mo non si svela nella sua sezione ana-tomica, nello studio minuzioso delle

Avventura destinazione uomoIl vero viaggio, la vera avventura

hanno questo nome: servizio.

Page 21: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

sue cellule, nell’osservazione dei suoimovimenti nella stanza. Un guardianopotrà spiare per anni il prigionieronella sua cella di quattro metri perquattro senza riuscire ad avvicinarlo diun solo centimetro. Non basta esserevicini per essere meno stranieri. Nonbasta possedere per conoscere. Nonbasta viaggiare per apprendere. Nonbasta incamminarsi verso la città degliuomini per raggiungerla.Ma tu, caro lettore, che condividi conme il gusto, la voglia, il bisogno di unavita che abbia il sapore di una avven-tura autentica, il desiderio di un viag-gio che non sia fine a se stesso, il bi-sogno profondo di dare ai giorni chescorrono un senso compiuto, tu checome me sai che non esiste la felicitàda soli, che l’isola del tesoro non sitrova nel mare, che non c’è acqua chedisseti se non è condivisa, tu lo sai. Tusai come. Tu sai che per raggiungeregli uomini non c’è che servirli. Il ve-ro viaggio, la vera avventura hannoquesto nome: servizio. Tu sai che saràun viaggio lungo, faticoso, scomodo.Meglio viaggiare leggeri, lasciando acasa tutto ciò che ci zavorra: le nostrecertezze pronte a trasformarsi in pre-giudizi, i nostri desideri di possedereche ci fanno sentire sicuri per ciò cheabbiamo anziché ciò che siamo, il no-stro senso di superiorità che ci impe-disce di apprezzare la semplice bellez-za degli altri.

Servire gli altri significa innanzituttoaccoglierli, far comprendere loro chesono ospiti preziosi, così come sono,ricchi o poveri, mendicanti o sapien-ti. Significa rendersi intimamente di-sponibile ad aprire quella porta di ca-sa che è la più remota e spesso la piùchiusa: la porta del cuore. Difficile senon impossibile raggiungere l’animoaltrui se non si accetta di mettersi apropria volta in gioco, di lasciarsi rag-giungere anche in quelle regioni del-l’anima che nascondiamo con cura,siano esse un giardino oppure un de-serto.L’avventura del servizio richiede unabussola e alcuni punti cardinali: capa-cità di ascolto, umiltà, il coraggio del-la curiosità e delle cose nuove, nongiudicare. Muoversi su questi sentierinon è facile né agevole. Ancora unavolta scopriamo che per quanto gli al-tri possano sembrarci difficili il veroostacolo è in noi. Eppure questo ciguida: la convinzione che l’uomo nonè fatto per stare da solo: nella lotta, nelconflitto, nella riconciliazione, nelperdono smarrisce e ritrova se stesso.Possiamo quindi declinare la parolaservizio nei suoi aspetti sociali, politi-ci, culturali, sottolinearne le radici e ledifferenze con il volontariato, il noprofit: sono tutte riflessioni utili e ne-cessarie. Se però andiamo all’essenzadella questione, al significato che taleesperienza assume per ciascuno di noi

non possiamo fare a meno di ricono-scere che il servizio è una esperienzaindividuale e collettiva di liberazione.Liberando gli altri dalla gabbia, eva-diamo dalla nostra stessa prigione. Sol-levando il peso che li schiaccia, solle-viamo il fardello interiore che ci umi-lia, battendoci per la loro dignità con-tribuiamo a creare un mondo più bel-lo e più giusto per noi e per i nostrifigli. Certo, può sembrare un parados-so affermare che servire ci renda piùliberi ma questo è ciò che avvienenella realtà delle cose per quanto talerealtà possa apparire irrazionale e con-traddittoria. Ovviamente irrazionaleper chi si lascia orientare dai modelliedonistici e consumistici che caratte-rizzano molte delle nostre relazionipersonali e sociali. I modelli di societàche affermano i diritti e cancellano idoveri. I modelli di sviluppo in cuiinevitabilmente gli altri diventanostrumenti per il raggiungimento dellanostra felicità individuale e non dei fi-ni a cui tendere. I modelli culturali diuna città fatta di monitor e di specchiche riflettono migliaia di volte la no-stra stessa immagine, le cattedrali del-l’individualismo nelle quali celebria-mo la religione delle nostre solitudini.Eppure non c’è nessuno che sia piùprossimo agli altri quanto due piccolesuore nel loro convento di clausurasulla cima del monte. Nessuno che tipossa accogliere ed ascoltare quanto

19

P RO N T I A S E RV I R E

Page 22: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

un bambino nel cuore di una pre-ghiera. Ecco un ulteriore paradosso:pensavamo di essere noi ad accoglieregli altri (i poveri, i malati, i derelitti, glianziani, i malati) e scopriamo nel ser-vizio che siamo noi ad essere accolti.Pensavamo di dare, riceviamo. Pensa-

vamo di insegnare, impariamo. Pensa-vamo di andare incontro, veniamoabitati.Esco al sole, mi incammino per il sen-tiero. Ho chiuso la porta della biblio-teca dietro di me, ho lasciato sul tavo-lo le mappe e le carte. Incontro gli

20

P RO N T I A S E RV I R E

sguardi degli uomini, stringo le loromani, ascolto le loro parole. Qui ini-zia per davvero la mia avventura, den-tro di me sento la voglia di cantare, diandare più lontano.

Roberto Cociancich

Page 23: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

come opportunità per essere ancora dipiù come Lui. Il “dono” richiamato da queste paroleoffre una chiave di lettura preziosa. Seil “servizio” è dono di sé similmente aGesù, al centro non ci sono io ma chiriceve il dono. Se il fondamento delservire è Gesù che si offre e ci lasciacome unico comandamento quello diamare il prossimo allo stesso modo incui lui ha amato noi, il servizio è ri-nunciare un po’ a se stessi per essereper gli altri.Non è quindi la mia necessità di “da-re”, il tema centrale, quanto il bisognodella persona che mi trovo di fronte.Che io non ”scelgo”. Il “servizio” nonsi sceglie, in un certo senso è il servi-zio che sceglie me. Ora è più facile dire delle caratteristi-che pratiche del servizio: la compe-tenza, la continuità, la gratuità sonomodi per tradurne il fondamento ope-rativamente e in prospettiva educativa.Ma se educare è relazione, nella rela-zione tra un capo-educatore e un rovero una scolta, le ragioni del servizio del-l’educatore, il suo radicamento nellavocazione educativa, non sono un ac-cessorio, costituiscono per quel ragaz-zo, per quella ragazza la testimonianzaincarnata e credibile del servire. Leesperienze di servizio concreto che vi-vo da solo con la mia comunità, sonomodi per provare direttamente in pri-ma persona quello che il mio capo

21

P RO N T I A S E RV I R E

Cosa emergerebbe oggi da un indagi-ne dal titolo “come vivono i rover e lescolte la scelta di servizio a 5 anni dal-la Partenza?” oppure, titolo alternativoe ancora più interessante “come vivo-no il Servizio i capi dopo 5 anni daltermine del proprio servizio in asso-ciazione?”. Possiamo solo immaginar-ne i risultati, ognuno mettendoci delproprio nel definire cosa sia servizio“da grandi” (non scrivo “da adulti”ché ci si dovrebbe mettere d’accordosu cosa significhi). Sarebbe altrettanto interessante ri-spondere alla domanda “quale espe-rienza di servizio vivono in concretoi nostri rover e scolte”, tenendo im-plicite, tra le tante, tre questioni:1. quale ne è il fondamento;

2. quali sono le caratteristiche:3. quale rotta immaginare per il futuro.Sulla prima domanda, spulciando il re-golamento metodologico, trattengoalcune parole: “donare se stessi ad imi-tazione di Cristo” e penso a quanto si-gnificato e quanta storia abbiamoqueste sette parole. L’imitazione diCristo mi richiama alla mente S. Fran-cesco. Non quello da “musical” un po’romantico e hippy, ma l’uomo che hafatto della sua vita un esercizio fatico-so di totale dedizione alla somiglian-za a Gesù: nelle relazioni umane, nelrigoroso stile di vita personale (la pa-rola “essenziale” qui è appropriata), nelsilenzio cercato, nel cammino percor-so a piedi coi suoi discepoli, così co-me nel vivere la malattia e la morte

Servizio in clan fuocoI capi clan/fuoco devono porre al centro della propria

azione l’educazione al servizio e da come i giovani, usciti

dallo scautismo con la partenza, si pongono nei confronti

del prossimo, si può giudicare la bontà del percorso scout.

Page 24: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

clan, la mia capo fuoco già tutti i gior-ni testimoniano di fronte a me. Alcune parole per vivere il servizio inuna comunità di clan/fuoco, con qual-che spunto per immaginare il futuro:

Farsi carico: pur nella consapevolez-za che il servizio nella proposta delclan/fuoco è in un contesto educati-vo, serve imparare a far proprie situa-zioni di bisogno o necessità che in-contriamo nella nostra strada di tutti igiorni. Se c’è nel mio condominioqualcuno che ha bisogno di una ma-no perché è solo, malato o è in diffi-coltà, è mia responsabilità farmene ca-rico, personalmente o con la mia co-munità di clan/fuoco. Tanto più sele situazioni di fragilità riguardanoquelli che sono più vicini a noi.Oggi, più che forse in passato, so-no le stesse famiglie dei nostri ra-gazzi e dei nostri capi a subire leconseguenze delle incertezze eco-nomiche e lavorative, della carenzadelle tradizionali reti di protezio-ne. Bisogni che nascono dalle si-tuazioni di fragilità, anche tempo-ranea, solitudine, fatica, malattia. Si-tuazioni che la vita, in particolarenelle grandi città, e lo stato dellerelazioni personali nel momentoche viviamo, rendono facilmenteostacoli insormontabili.

Farsi carico, senza tanti discorsi o as-

semblee: si fa e basta. Perché serve. Esi fa bene e fino in fondo. Senza pretese di onnipotenza nelrisolvere ogni problema del mondo,ma non ritirandosi quando la realtàci interpella e noi siamo gli uniciche possono giocarsi sul piano del-la relazione, se non dell’assistenza.Insieme alle comunità capi se ser-ve, e alle “reti “ informali di geni-tori e amici che possono attivarsiper mettere in contatto con chi èprofessionalmente competente persupportare sul piano dell’assistenza(ad esempio Caritas, servizi sociali). Senza timori, con fiducia nella Prov-videnza ma audacia nel servire.Ricordandosi sempre che se sto adem-piendo a un mio dovere non sto fa-cendo “servizio”: andare a trovare mianonna, fare bene il mio lavoro, studiareda medico, farmi il letto la mattina, an-dare a votare, aver cura dei miei figliecc. ecc., rientrano nei miei doveri difiglio, marito, studente, padre.

Concretezza: nell’immaginare atti-vità della comunità di clan/fuoco siriescono a creare cose fantastiche ed èbene. Le idee più incredibili vengonofuori quando ci si mette in cerchio perprogettare l’anno che inizia. Ma alcu-ne esperienze che si vivono aggiun-gendo la parola “servizio” forse an-drebbero ricollocate nella toponoma-stica della branca o almeno essere at-

tentamente considerate dalle comu-nità capi e portate avanti solo se alla fi-ne riportano nella vita quotidiana del-le scolte, dei rover e della comunità deicambiamenti veri, reali e concreti. Enon si limitano a belle esperienze.“Route di servizio”, “Campo di ser-vizio di sette giorni in Africa”, sonoesperienze che i nostri clan/fuoco vi-vono ma corrispondono al fondamen-to del “servire” scout? O rischiano diassimilare la proposta scout a quella diviaggi vacanza oggi comunemente of-ferti dal mercato del turismo solidale?

Territorio: il legame col territorio incui la comunità di clan/fuoco vive èfondamentale perché il servizio siavissuto non come esperienza occasio-nale. Perché consente di creare rela-zioni con le persone nel corso deglianni, di tessere rapporti con altrerealtà, permette di esercitare la dotedegli scout che vedono-giudicano-agiscono. Se le occasioni sono tropposcelte e selezionate rischiano di diven-tare artificiali. L’educazione al servizio inizia da cuc-cioli. Iniziare a vivere occasioni di ser-vizio dal noviziato, dove per altro èproposto in comunità e dosato in ma-niera graduale, talvolta con dosaggiomeopatici, non è educativamentesensato. Con le attenzioni e i modiche un capo sa scovare nel suo reper-torio, è bene che a partire dai cuccioli

22

P RO N T I A S E RV I R E

Page 25: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

del branco si impari a mettere se stes-si un po’ meno al centro del mondoper poi assumere mano a mano re-sponsabilità vere, concrete e reali di at-tenzione verso chi abbiamo intorno anoi nella vita di tutti i giorni. Il me-todo educativo dello scautismo hain se questa gradualità: attraversola condivisione di esperienze e be-ni con modalità apparentementebanali: i panini, il gioco, il luogo in

cui dormire, la tana, l’attenzioneverso i “fratellini”, la cura per lecose che ci sono affidate, per poicrescere e apprendere che l’atten-zione a chi ci sta vicino necessita an-che l’acquisizione di competenze, lacapacità di assumersi responsabilitàin prima persona, l’attenzione adaver cura di sé e la faticosa scoper-ta dell’altro. L’esperienza della stra-da, quella vera, vissuta nel cammino,

23

P RO N T I A S E RV I R E

concretamente e fisicamente percor-so passo dopo passo, insegna forsel’aspetto più complesso del servizio,educativamente parlando: essere noistessi ad avere bisogno, avere sete,avere fame, essere provati nel corpo.Essere “l’uomo che scendeva daGerusalemme a Gerico”, piuttostoche il samaritano.

Luca Salmoirago

Page 26: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche
Page 27: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

25

P RO N T I A S E RV I R E

ed autentico il mio farmi carico dellafatica dell’altro.La route è anche perfetta letizia. L’ar-monia della vita di comunità favorisceil generarsi di uno spirito di fratellan-za. Eppure la gioia della vita insiemepuò sfumare verso una convivenzasvagata e danzante ma insieme dere-sponsabilizzata, libera da ogni impe-gno, alla ricerca di pura euforia. Servi-re la comunità significa vivere in pie-nezza la condivisione, comporta co-stante presenza e prontezza di frontealle richieste dichiarate come a quellesilenti del gruppo e di ognuno.Quella della presenza responsabile èuna via stretta, non scontata e moltospesso nascosta, ma è di là che si in-contra, per grazia, la bellezza di esseregli uni per gli altri figli e fratelli.

Andate per le strade: servizio lungo la stradaLa route lasci una traccia sul mondo.Detto che l’essenza della route e del-l’intera vita RS è sulla strada, sulla stra-da la comunità esprime la propria vo-cazione al servizio, quella dell’impe-gno sottoscritto da ogni ragazzo sullacarta di clan. Il clan incontra altre comunità lungoil proprio cammino, si dispone all’in-contro, cercato o inatteso che sia, met-te a disposizione le proprie compe-tenze ed il proprio tempo, ogni rovered ogni scolta aprono con generosità

Servire sulla stradaAncora una volta vogliamo sottolineare come la strada sia

maestra di vita e scelta irrinunciabile in una proposta di

autentico roverismo scoltismo.

ciano il loro passo con il nostro. Que-sta disposizione allo sguardo è la pri-ma forma di attitudine all’ascolto; chicammina e non sa fermarsi si impegnain un viaggio di tono minore. La rou-te, così come una vita orientata al ser-vizio, è un progetto che chiede laprontezza e la competenza necessarieal cambio di percorso, la disponibilitàal non preventivato.

Amatevi gli uni gli altri: servizio in comunitàLa route est souvent austère. La route èun tempo che ci mette alla provamentre stiamo insieme. L’esperienzadella condivisione della fatica e dellasfida porta ad un reciproco scambiodella condizione di bisogno. Accettareil supporto e l’aiuto di cui ho neces-sità è un esercizio che rende più puro

La Strada è un tracciato che ci guidaattraverso la terra degli uomini: sullastrada viene abbandonato l’uomo spo-gliato dai briganti e di lì passeranno illevita ed il samaritano. Mettersi instrada significa, per come lo abbiamovissuto da rover e scolte, andare in-contro, avvicinarsi, rendere se stessi piùprossimi ad altri.Ci sono molte ragioni per cui ognigiorno ci è chiesto o scegliamo di par-tire. Molto spesso si affronta il cammi-no senza la certezza o l’attesa di un ab-braccio da portare o una mano dastringere, senza l’apertura ad un rac-conto o ad un volto da scoprire: ep-pure ogni passo è in realtà un movi-mento di avvicinamento a qualcuno.Vivere la strada è per prima cosa esse-re capaci di uno sguardo sensitive ver-so gli uomini e le donne che incro-

Page 28: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

il proprio cuore ed offrono il lavorodelle proprie braccia.La route si muove verso chi attende ilnostro aiuto e le nostre forze; la stradaè il nostro posto nel mondo, il servi-zio è la dote che portiamo in dono.

PartenzaLa route si apre e si chiude con un

partenza. Si ritorna a casa per proce-dere con passo nuovo, una route si-gnificativa è una tappa di conversionesul cammino della propria vita.Nel momento del donarsi e del riceve-re in dono si attraversa un’esperienzache è insieme di felicità e di crescita. Siriparte verso un orizzonte che rischia-ra e porta luce sui prossimi passi.

È essenziale vivere in continuità iltempo della route e la vita che verrà.Ogni buona route incide un segno,consegna al ragazzo un indirizzo pre-ciso per il futuro: sempre in partenza,pronto a servire.

Davide Magatti

26

P RO N T I A S E RV I R E

Page 29: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

mentre uno aveva tutto da chiedere el’altro voleva provare a “dare senzacontare”. Ma sforzarsi di non contareè cosa difficile, perché ogni energiadedicata al servizio è sottratta a qual-cosa. E questo non succede solo inqualche occasione, per qualche anno,con qualche particolare tipo di servi-zio, succede sempre. Quando, damamma, ho rimesso piede in unascuola dell’obbligo ho assistito a unariunione di un gruppo di genitori chevoleva darsi da fare per la scuola. Era-no una quindicina (su un plesso sco-lastico di 900 bambini). Ci hannochiesto se qualcuno di noi, nuovi ar-rivati, avesse del tempo libero da de-dicare alle molte necessità cui, pur-troppo, la scuola pubblica non è piùcapace di far fronte con le sole proprieforze. Ci siamo fatti avanti in 5. Nes-

suno di noi aveva tempo libero, maabbiamo pensato che valesse la penatrovarlo. Da allora abbiamo fondatoun’associazione, stretto alleanze conalcune realtà del quartiere, con la Zo-na, abbiamo cercato di attrarre chiavesse idee e voglia di fare, più chetempo. Non siamo molti più che all’i-nizio, ma ogni tanto qualcuno arriva emette a disposizione quel che può evuole dare: le latte di vernice per ridi-pingere i muri della scuola, qualcheora per un laboratorio di cinema coni bambini, le proprie competenze pro-fessionali per questo o quel progetto.Non è nulla di grandioso, solo la pro-va che per mettersi a disposizione nonserve avere tempo libero, serve la vo-lontà di liberarlo per contribuire a unbene comune che non si costruisce dasolo, mai.

Superare ostacoli e cogliere le opportunitàCerto non si può nascondere che, perchi vive oggi le prime, importantiesperienze di servizio, i tempi sonocambiati. Non in quel senso un po’ va-go e nostalgico che in genere tradisceil disagio e l’età di chi lo afferma, main senso stretto. Una formazione uni-versitaria maggiormente orientata allafrequenza obbligatoria rispetto al pas-sato, la necessità di presentarsi al mon-do del lavoro con una conoscenza se-ria di almeno una lingua straniera e

27

P RO N T I A S E RV I R E

Quando penso al servizio, penso in-nanzitutto alle esperienze educativeche ho avuto la fortuna di vivere inAssociazione, ai bambini, ragazzi e ra-gazze che ho incontrato sulla mia stra-da e tante volte reincontrato anni do-po: uomini e donne adulti, che spessoa loro volta si prendono cura di altribambini e ragazzi, come capi o comegenitori. E vedi che in mezzo è passa-ta una vita, e però ognuno di loro ri-corda quel fatto, quella frase, quellaparticolare sera del campo, e ti parladel suo lavoro, di sua madre, del figlioappena arrivato come se non ti vedes-se da ieri, e capisci che c’è qualcosa dituo nel loro essere grandi e c’è moltodi loro nell’adulto che sei diventato.Questo scambio, questa piccola osmo-si non è avvenuta per segreta alchimia:è avvenuta perché ci si è incontrati

Il tempo per il servizio Capo, moglie, mamma, lavoratrice: il difficile esercizio per

mantenere l’equilibrio fra idealità e realtà, tra desiderio di

servire e vita quotidiana.

Page 30: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

con il maggior grado possibile di spe-cializzazione, la forte precarizzazione,la richiesta/imposizione della massimaflessibilità, sono tutti elementi che in-cidono fortemente sulla gestione deltempo, in particolar modo per chi ètra i venti e i trent’anni. Che poi èproprio l’età in cui si sperimenta ilservizio, lo si fa proprio e ci si impe-gna, con la Partenza, a renderlo parteintegrante della propria vita. Ma unavita frammentata fa più fatica ad ac-cogliere qualsiasi richiesta, figuriamo-ci a integrarla. Eppure, ce lo ricorda laforcola della Partenza: la via più stret-ta non solo non è impossibile, è quel-la che va scelta. E non è solo per chi ègiovane oggi che i tempi sono cam-biati: a volte per trovare una strada valla pena guardarsi intorno, e capire sequalcuno ha già percorsa una simile,perché si può imparare anche dalleesperienze altrui. Parlando di donne elavoro, ad esempio, nel bel libro “Unamadre lo sa” Concita de Gregorioscrive: “I figli arrivano a un certo pun-to, poi - al netto della medicina - nonarrivano più. Le soddisfazioni di lavo-ro in genere anche. Purtroppo, è lostesso lasso di tempo”. Qualsiasi donna, giovane e meno gio-vane, sa che è così. Sa di essere unabarca che, per andare avanti, dovrà in-clinarsi da una delle due parti: potràscegliere di piegarsi a babordo, dallaparte dei figli, o a tribordo, verso il la-

voro. Sa che un equilibrio perfetto inquesto mare non esiste: si vira e sistramba, anno dopo anno, giorno do-po giorno, cercando di usare la massi-ma delicatezza perché l’equipaggio,tutto, ne risenta il meno possibile.Quel che a volte non sa, o forse perscelta o necessità dimentica, è che asbilanciarsi troppo da una parte, primao poi finirà per ribaltarsi. Quando ac-cade, a sua spese lo impara, e a volte ri-parte. In genere è allora che capisceche questa scomoda coincidenza ditempi, che la costringe a dosare piùenergie di quelle che crede di avere, èla sua forza. Proprio quell’equilibriodifficile e precario, infatti, le consentedi sperimentare che la vita non ha unasola direzione, un solo verso, una soladimensione e che ognuna di esse, sevissuta in profondità - e quindi congran dispendio di tempo e forze! - ar-ricchisce le altre.

Ecco, mi pare che anche per il servi-zio sia così. È vero, i suoi tempi coin-cidono con molto altro, forse con tut-to ciò che di importante c’è nella vi-ta: la propria formazione, il lavoro, iltempo per costruire le relazioni piùimportanti, per innamorarsi, per met-ter su famiglia. A volte sembra, allora,che per il servizio non ci sia spazio.Perché ci sono troppe lezioni da se-guire, perché c’è l’Erasmus, perché c’èquell’esperienza di lavoro all’estero

che non si può perdere. E quando poisi arriva all’età in cui figli e lavorosembrano già occupare il 99% delleenergie, mettere a disposizione gratui-tamente le proprie scarse energie resi-due sembra un’impresa per folli. Manon è così. Forse proprio la fatica di li-berare spazi di gratuità può farci ritro-vare il senso vero del servizio: nonqualcosa da fare quando c’è tempo, mauna dimensione della vita talmenteimportante che per essa vale e varràsempre la pena, a qualsiasi età, liberaretempo, testa e cuore. Ancora una vol-ta, è questione di pesi. Rinunciare al-l’Erasmus a Barcellona per restare a fa-re servizio in branco equivale forse aquella strambata che fa finire in acqua.Ma partire per Barcellona dimenti-cando tutto il resto, come se ci si po-tesse prendere un’aspettativa dalla vitache ci stiamo costruendo, equivale auna virata dall’esito altrettanto falli-mentare. Per continuare a navigare,senza perdere il timone di se stessi, ser-ve capire che servizio è molto più delruolo di aiuto o capo nella tale unità.Allora ci si accorge che anche a Bar-cellona si può dedicare gratuitamenteuna parte del proprio tempo agli altri,per farli più felici. Anche a Barcellonaci sono bambini che vogliono gioca-re, anche lì esistono i poveri, i tossici,i disabili, e gente che si occupa di lo-ro. E servono sempre braccia, teste ecuori che si facciano avanti. Il mondo

P RO N T I A S E RV I R E

28

Page 31: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

non si ferma perché noi ci spostiamodi qualche chilometro, se mai ci mo-stra qualcosa in più, qualche ricchezzache ignoravamo, qualche bisogno equalche ferita che non avevamo maiconsiderato prima. Se poi vogliamoguardare un po’ più in là, possiamo es-

ser certi che il mondo non si fermerànemmeno quando avremo alcuni omolti anni in più di quelli che aveva-mo quando abbiamo iniziato la bellaavventura del servizio. Ci capiterà al-lora sul luogo di lavoro, in parrocchia,nella scuola dei nostri figli: qualcuno

ci chiederà se abbiamo del tempo li-bero da dedicare a questo o a quell’al-tro. Se ci sembrerà importante, potre-mo rispondere con un sorriso: “Tem-po libero? Non mi pare. Eccomi”.

Mavì Gatti

29

P RO N T I A S E RV I R E

Page 32: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

30

P RO N T I A S E RV I R E

Un uomo scendeva da Gerusalemme a Ge-rico Lc. 10, 29-37Il luogo dove si svolge il racconto è untratto bellissimo nel deserto di Giudatra Gerusalemme e Gerico: dal puntopiù alto della regione, dove è stata edi-ficata la città santa e dove si trova iltempio, punto dell’incontro più intimodi Dio con l’uomo, a quello più bassodi tutta la terra, la depressione del MarMorto dove più è difficile la vita.Questo deserto è lo spazio in cui il po-polo ha potuto scoprire la sua veraidentità, nell’incontro più profondo edecisivo, che fa nascere la consapevo-lezza di quello che si è a partire da co-me l’Altro guarda e considera. Un tratto di strada percorso abitual-mente, ai tempi di Gesù, da sacerdoti eleviti1 che dopo l’esercizio nel tempiotornavano a Gerico, importante cittàsacerdotale, o da commercianti che sal-

gono a Gerusalemme con le loro mer-canzie, ed anche da pellegrini che an-davano verso la città santa.Ancora oggi la zona non è delle più si-cure: arida ed inospitale, è facile imbat-tersi nei beduini o in animali pericolo-si come serpenti e scorpioni, entrambecategorie di abitanti poco amichevoli.Nel racconto c’è un uomo senza nomee senza storia, in cammino sulla stradae probabilmente si tratta di un pelle-grino di ritorno dal tempio o di un uo-mo lontano dalla fede. Rappresenta unqualsiasi uomo spogliato, percosso,umiliato ai bordi della vita, emarginatoai margini della società, anche della no-stra odierna. Sono descritti di seguito un sacerdoteed un levita, appartenenti quasi sicura-mente al medesimo popolo della vitti-ma, che passano oltre, nel segno di unareligiosità vuota, che non si ferma da-

vanti all’uomo, che vede e non si cura,forse per paura.Che cosa fa la differenza tra loro ed ilsamaritano2? Non la fa per Gesù lo stu-dio dei libri religiosi o il culto del tem-pio, o la definizione della realtà che èsotto gli occhi, anche dei nostri oggi. Iltesto dice “lo vide, e girò dall’altra par-te” riferito al sacerdote ed al levita; “lovide e ne ebbe compassione”3 detto delsamaritano: c’è uno scarto, un salto nel-l’espressione verbale perché avere con-passione ha in sé un aspetto emoziona-le del profondo dell’essere, di senti-menti di vicinanza e compartecipazio-ne, di commozione dell’intera persona,di unione nel bene e nel male, di rela-zione significante. Una dimensione che non è un istintoma una conquista che sta al cuore ditutta la storia della salvezza. Questo sa-maritano, emblema del lontano eretico

Dall’intervento alla politica

I due interventi che seguono tracciano il percorso che conduce alla scelta di svolgere l’attività politica

in modo professionale, ma con lo stesso spirito di servizio col quale si è cresciuti in clan/fuoco.

I veri vicini non sono quelli che pensano “che ne sarà di me, se mi fermo?” ma coloro che

pensano “che ne sarà di lui, se non mi fermo?”.

Martin Luther King

Page 33: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

e dello straniero nemico, riesce a fareciò che gli altri non sono stati in gra-do: sa di cosa c’è bisogno, e ama, macon una serie di azioni assolutamenteconcrete che avvicinano, rendono pros-simi e curano: lo vide; si mosse a pietà;si curvò su di lui; gli fasciò le ferite; gliversò olio e vino; lo caricò sul suo giu-mento; lo portò nell’albergo; si presecura di lui; pagò per lui; al ritorno pagòil di più. Potrebbe essere un nuovo de-calogo, perché l’uomo sia promosso auomo, perché la terra sia abitata da“prossimi”.Il racconto non è una storia esemplarema una parabola sul Regno di Dio, cheè già fra noi se avviene una trasforma-zione della totalità della vita e della per-sona, cambiando lo sguardo ed il cuo-re per una nuova convivenza umana,dove ciascuno abbia o ritrovi una di-gnità, in cui la prospettiva è quella delferito caduto nella cunetta della strada,cioè della vittima che ha bisogno diaiuto. È la sofferenza di qualsiasi essere uma-no caduto per strada a doverci insegna-re come agire attraverso un servizioconcreto reso a chi più è in difficoltà.La prospettiva di approccio al servizioè diversa da quanto siamo abituati araccontarci tra noi scout: non è tantouna scelta effettuata in base alle mieprerogative personali e caratteriali, o altempo che posso dedicarvi; bensì unarisposta ad una necessità: il servizio è

fare il bene dove serve e quando serve.E serve sempre.Sono da rimarcare alcuni atteggiamen-ti: la testimonianza di ascolto verso l’al-tro, di attenzione ai bisogni, ai com-portamenti, a chi è diverso e lontano,straniero culturalmente e fisicamente;l’aspetto di assoluta gratuità, di iniziati-va individuale di chi si fa prossimo, inpieno disinteresse e senz’altro fine cheil bene dell’uomo, lasciandosi interpel-lare dai bisogni altrui. Senza improvvi-sarsi, ma preparati a rispondere alle ne-cessità reali ed alle richieste di inter-vento che vengono dal proprio am-biente di vita, con spirito di responsa-bilità personale e comunitaria. Ciò si-gnifica anche imparare a gestirsi, neitempi e nelle possibilità personali peruna traduzione concreta.C’è una caratteristica di impegno co-stante e quotidiano di condivisione at-traverso il calarsi nelle situazioni e ca-pendo il punto di vista di chi ha biso-gno, con profondo rispetto a favore dichi è in condizioni di precarietà e sof-ferenza. Il far qualcosa per gli altri, rendersi uti-li e procurare la felicità agli altri è ilsenso del servizio per lo scautismo. Nelpensiero e nelle parole di B.-P. è la for-ma migliore del rapporto sociale.“Ogni scout deve prepararsi a divenireun buon cittadino per il suo paese e peril mondo”4: “l’uomo è un essere socia-le che si realizza come tale nella forma

della cittadinanza aperta” e “la formabuona del rapporto sociale si realizzanel rendersi utili o più precisamentecome rendersi utili per il bene comu-ne”5, operando una matura ed autenti-ca capacità di agire con consapevolez-za e fiducia nella possibilità di cambia-mento.Quando il servizio diviene un’espe-rienza penetrante nei ritmi di vita e neipensieri, una modalità normale di vita,di impegno quotidiano, non sporadicoo festivo, non si accontenta di essere so-lidale, di prodigarsi per migliorare la si-tuazione contingente, ma si preoccupache tale condizione non si presenti più. Il servizio non può avere come finesoltanto la solidarietà, ma anche il cer-care di approfondire, comprendere perrimuovere le cause a favore di un pro-gresso della realtà circostante, di pro-mozione della partecipazione, di libertàe di solidarietà.Il servizio assume “il tratto fondamen-tale della socialità e del civismo, ciò chedefinisce la qualità il tipo di relazionetra le persone”6, in cui i rapporti sonodefiniti con i tratti della reciprocità edel dono e fondato su un’etica della re-sponsabilità personale e sociale. Impe-gnativa ma fondamentale e fondante, èla responsabilità di un servizio che in-segni il modo non solo di essere e sta-re nel mondo e nella società, ma dicambiarla al meglio, ovvero di gover-narla.

31

P RO N T I A S E RV I R E

Page 34: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Questa prassi si chiama politica; ma lapolitica oggi è più organizzazione del-l’apparato e fatica a concepire la pros-simità ed attuare percorsi di promozio-ne umana.

Anna Cremonesi

1 Membri della tribù israelitica di Levi, al-la quale appartennero Mosè, Aronne eMiriam, depositaria della missione sa-cerdotale. Sono i discendenti di Levi,terzo figlio di Giacobbe; divennero unacasta sacra nell’antico Israele in quanto

custodi del servizio al Tempio di Geru-salemme. Esclusivamente i discendentidi Aronne, i Sacerdoti (Kohamin), po-tevano occuparsi concretamente dei sa-crifici, mentre i Leviti avevano il solocompito di cantare, suonare e di assi-stere al culto.

2 I samaritani erano una popolazione de-rivante dall’unione fra i colonizzatoriassiri e le donne israelite che non era-no state deportate in Assiria dopo la di-struzione del regno del Nord (721a.C.). Al ritorno dall’esilio di Babilonia(537 a.C.) i giudei li esclusero dal “po-polo eletto” e non permisero loro di

prender parte alla ricostruzione delTempio, a causa della loro origine im-pura e della loro osservanza poco rigo-rosa della religione ebraica.

3 Nei Vangeli viene sempre usato un ver-bo assai espressivo, splanchnizomai, chesignifica letteralmente “tremano le vi-scere”.

4 Baden-Powell R., Scautismo per ragazzi,Fiordaliso, Roma, 2006

5 AAVV, Idee e pensieri sull’educazione. Unarilettura di Baden-Powell, Fiordaliso, Ro-ma, 2007, pag. 177

6 Ibidem, pag. 78.

32

P RO N T I A S E RV I R E

Abbiamo fin qui ragionato di unascelta di servizio vissuta con consape-volezza politica e di una scelta politi-ca vissuta come la forma più alta del-la carità, per dirla con Paolo IV, pri-mariamente perché approfondire larelazione fra servizio e politica è an-che obiettivo educativo: nel percorsodi maturazione di ciascuno è impor-tante individuare ciò che trasforma unatto di carità – nobile, alto, vitale – inun’azione politica. O, perlomeno, tra-

guardarne gli aspetti politici che neconseguono o lo rendono necessario.L’esemplarità della nostra condotta,delle nostre scelte, delle nostre azioni,è per noi tratto distintivo, che qualifi-ca ciò che siamo, che ci permette didare una forma alla nostra identità dicristiani impegnati in politica.

I cristiani, che hanno parte attiva nello svi-luppo economico - sociale e propugnanogiustizia e carità, siano convinti di contri-

buire molto alla prosperità del genere uma-no e alla pace del mondo. In tali attività,sia che agiscano come singoli che come as-sociati, siano esemplari1.

Parimenti importante è prender co-scienza di ciò che mettiamo a fonda-mento dell’attività politica, che per uncristiano - e per uno scout – affondale sue radici nell’invito a essere pietrevive della nostra società, lievito e sale;in ambito politico in senso stretto tal-

Ogni uomo deve decidere se camminerà nella luce dell’altruismo creativo o nel buio

dell’egoismo distruttivo. Questa è la decisione. La più insistente e urgente domanda

della vita è: “Che cosa fate voi per gli altri?”

Martin Luther King

Page 35: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

33

P RO N T I A S E RV I R E

volta essa si scontra, o perlomeno siincontra, con scelte politiche altruiche hanno diversa origine e matrice, acui si ha il dovere di portare rispetto eda considerarsi nel merito di ciò chepropongono. Ci si trova talvolta a col-laborare con persone provenienti dacontesti diversi, eppure impegnate in-sieme a noi per un obiettivo comune.

Amministrare, legiferare, governare,impegnarsi per fare il bene, non soloevocarlo. Perseguire il bene comunecomporta competenza, tenacia e capa-cità di concretizzare ciò che ci sta acuore. Resistendo alle lusinghe dei fa-cili consensi e uscendo dall’equivocoche confonde un buon politico conun buon oratore. La dimensione delservizio richiede anche una capacità diazione che non può prescindere dal-l’azione politica: tanto la politicaquanto il servizio, laddove vissuti conserietà, non si accontentano di belleparole. E questi presupposti di compe-tenza, tenacia e concretezza devonovalere nel servizio, anche in quelloeducativo.

Affrontare il rapporto tra politica eservizio aiuta anche a mettere in crisila ridondante retorica di una politicafatta di slogan: parole evocative diun’idealità che si arena per l’incapacitàdi tradurre l’afflato ideale in una pras-si che porti attuazione e concretezza.

L’interdipendenza fra pensiero e azio-ne ha bisogno di essere un altro deitratti fondamentali – a nostro giudizio– del nostro spendersi per il bene co-mune, fuor di retorica, reggendo an-che alla prova dei fatti. In questa ri-flessione si innesta il tema della re-sponsabilità e della capacità di decide-re: l’azione politica non può – a no-stro avviso – configurarsi come de-nuncia e opposizione, ma deve mo-strare la capacità di scegliere e di at-tuare un percorso, costruendo consen-so intorno alla proposta, assumendosila responsabilità di guidare la costru-zione di una mediazione significativache non snaturi il progetto, correndoil rischio di commettere qualche erro-re. “A che serve avere le mani pulite sele si tiene in tasca”, diceva don Lo-renzo Milani, non certo riferendosi atangenti e mazzette, quanto piuttostostigmatizzando i saccenti professionistidella chiacchiera – anche politica –che non sbagliano mai, perché nonmai fanno alcunché. E hanno le manipulite, non si immischiano con gli af-fari degli uomini, non provano a ri-solvere un problema e si limitano a fi-losofeggiare di come si dovrebbe fare.Di certo non sbaglieranno, ma tantol’ignavia quanto il velleitarismo chenon arriva mai a realizzare nulla sonouna iattura per il decisore politico.

Guardiamo alla dimensione politica

dei nostri clan/fuochi: possiamo di-stinguere coloro che si dilungano inun mero parlare di politica senza esse-re in grado di lasciare una traccia, unsegno e di costruire un cambiamento,da quanti hanno la capacità di pensa-re e agire, di ragionare, discernere eprendere posizione, assumendosi la re-sponsabilità – e l’onere - di tradurre inazioni le proprie parole.Ai ragazzi – e non solo a loro! - serveintuire e forse anche affrontare questapossibile contraddizione che svilisce lascelta politica laddove ne faccia soltantoargomento di speculazione filosofica.

E da ultimo, vorrei proporre una ri-flessione sul concetto di potere, chepuò richiamare un’idea di controllo, dipossesso, quanto un’idea di possibilità:è un tema che ci mette di fronte unaparola inusuale nei nostri contestieducativi, ma che è alla base di ogniriflessione seria e onesta sulla politicanelle sue diverse manifestazioni.Avere ed esercitare potere con re-sponsabilità, essere capaci di resisterealle lusinghe e alle tentazioni, saper te-nere a bada il proprio ego di fronte alrischio del desiderio di onnipotenza oper lo meno di fronte all’ingordigiache il potere alimenta.

Sarebbe ipocrita pensare che la di-mensione del servizio non sia toccatada questi rischi.

Page 36: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

È sufficiente aver imboccato un an-ziano, aiutato una persona disabile oanche affrontato un percorso educati-vo in una delle nostre unità per ren-dersi conto che la tentazione di ante-porre sé all’altro è sempre in agguatoe il potere che si può esercitare sul-l’altro è tutt’altro che ininfluente. Ci sisente potenti, si ha in mano il cuore ela vita di un’altra persona, si prova lavertigine di contare qualcosa e di po-ter giudicare o almeno influenzare lavita di un’altra persona.

Da insegnante mi accorgo che l’asim-metria fra insegnante e allievo, comequella fra chi fa un servizio e chi lo ri-ceve, come quella fra decisore politicoed elettore (che in campagna elettora-le ribalta i rapporti di forza) può esse-re mal interpretata, al punto da feriree umiliare l’altro in modo brutale, alpunto da farci ubriacare e perdere ilsenso della misura nelle cose che fac-ciamo o diciamo.

Tanto la politica quanto il servizio ci

pongono la questione del potere edella sua gestione.Senso di responsabilità e capacità di af-frontare ambizione e narcisismo sonoaspetti indispensabili del nostro agiretanto in un contesto politico quantoin un contesto di servizio.

Anna Scavuzzo

1 Costituzione Gaudium et Spes, n. 73,1965

34

P RO N T I A S E RV I R E

Page 37: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

sare che si potesse contribuire a co-struire un mondo migliore. Leggeva-mo Don Milani che come ha scrittoErnesto Balducci “ha scelto la via dellarottura per aggredire il mondo degli altri efar nascere nella coscienza di tutti noi, pre-lati, preti, professori, comunisti, radicali egiornalisti, il piccolo amaro germoglio dellavergogna”. Ma anche Paulo Freire: lesue pagine della “Pedagogia degli op-pressi” sono state attentamente sotto-lineate e nonostante siano ingiallitenel tempo, sono ancora piene distraordinarie verità che forse ci fareb-bero guardare con occhi diversi la pre-senza sempre crescente di extra-co-munitari tra noi.

Capo scout. Un’esperienza che segnain modo determinante non solo per ilvalore della relazione di cui ci senteinvestiti, ma perché proprio nella di-namica di chi “è più grande ma nontroppo” ci declina la grande opportu-nità di sentirsi provocati dalle doman-de, inquietudini di chi ci viene affida-to. Nell’esperienza del “gioco” traruolo di adulto e bambino/ragazzo sirende possibile quell’incontro magicodi dialogo, attenzione, disponibilitàche sono scuola di relazione e cresci-ta. L’esperienza dell’educazione è cer-tamente molto di più. È esercizio/educazione alla responsa-bilità verso qualcuno che ci viene af-fidato con fiducia, scommessa come

35

P RO N T I A S E RV I R E

Buona azione. Servizio extra-associa-tivo. Capo scout. Sono le esperienzeche hanno declinato la mia formazio-ne al “servizio”. Non ho mai amato molto la BA. Misembrava descrivesse impegni che imiei genitori consideravano semplice-mente “fare il proprio dovere”. Neglianni mi sembra di aver rivalutato que-sta aspetto concreto di “allenamento afare il bene”. Nella nostra vita siamomolto attenti, specie in alcune attività(penso al fitness), in cui troviamo nor-male essere attenti e puntuali nelle at-tività che sono anche ripetitive. “Alle-narsi” a fare buone azioni, di piccole ograndi attenzioni nei confronti delnostro prossimo: FA BENE!

Ricordo i viaggi settimanali alla Co-masina, quartiere di case minime del-la periferia di Milano: servizio extra-associativo. Il clan gestiva un dopo-scuola. Erano gli anni in cui tale atti-vità era molto diffusa nel mondo scout(e non solo) come impegno concretonel sociale. Era un impegno limitato(un pomeriggio alla settimana vissutoa coppie) in cui ci si misurava conrealtà di relazioni, familiari e socialimolto diverse da quelle da cui si pro-veniva. Ci siamo interrogati più voltese in realtà ciò rappresentasse un benepiù per noi, novizi o rover, che per ibambini che ci venivano affidati. Era-vamo consapevoli dei nostri limiti mavivevamo anche l’entusiasmo di pen-

Servizio sempre?Tre parole chiave per ripensare alle proprie scelte di

servizio: gratuità, responsabilità, cambiamento, per

concludere che vale la pena di servire per continuare a

sognare un mondo migliore.

Page 38: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

scuola di libertà, di senso critico, di ca-pacità di scelta. I valori, la Legge sonoi riferimenti di contesto che vivononel dialogo il difficile equilibrio tratestimonianza e coerenza ed il profon-do rispetto dell’autonomia e dellescelte.Sono frammenti di un tempo ahimèlontano che ricordo con grande gioia,come di un tesoro di emozioni edesperienze che mi piace custodire. Main che cosa sento oggi risuonare quel-le esperienze in un contesto professio-nale, di impegno civile e di relazionivissute da adulto?Vorrei sgombrare il campo da ogniequivoco e pretesa che sia lo scauti-smo l’unica scuola al servizio e all’im-pegno. Ciò che siamo è il frutto ditante esperienze, relazioni ed incontriche hanno segnato in modo significa-tivo la nostra vita e sono stati vissuti incontesti diversi. Con questa consape-volezza vorrei però indicare almenotre parole, che ritrovo ancora segnatedalla ricchezza del servizio vissuto co-me scout.

GRATUITÀ“Gratuità: la parola più scandalosa perquesti tempi dominati dagli interessi, dovetutto è in vendita e troppi sono all’asta”(M. Travaglio). Parole dure che certa-mente descrivono bene il contesto incui viviamo. In un recente saggio daltitolo “Quello che i soldi non posso-

no comprare”, M.J. Sandel (Professo-re di Filosofia politica e Teoria del go-verno all’Harvard University), analiz-za tutti gli aspetti del nostro vivere co-mune che sono o possono diventareoggetti di interessi economici. Lo faper discutere e contestare la seguentetesi: l’intera condotta umana può esse-re compresa attraverso l’immagine diun mercato? Proprio in questa pro-spettiva, l’autore riferisce che moltieconomisti si sono dati un progettopiù ambizioso rispetto alla visione chel’economia sia semplicemente “lo stu-dio dell’allocazione dei beni materiali” (G.Becker in “L’approccio economico delcomportamento umano”). Se l’econo-mia diventa scienza del comporta-mento umano, ciò significa che “in tut-te le sfere della vita il comportamento uma-no può essere spiegato assumendo che lepersone decidono cosa fare soppesando i co-sti e i benefici delle opzioni che hanno difronte e scegliendo ciò che credono dia loroil massimo benessere o la massima utilità”.Non siamo forse permeati da questalogica? Ed è proprio rispetto a questocontesto che sono grato allo scautismoper avermi “allenato” al senso del gra-tuito: la relazione, il tempo, le energiepossono essere donate anche gratuita-mente. L’atto in sé potrà farti stare me-glio ma non è il “fitness spirituale” lamotivazione principale! Papa France-sco in una recente omelia ha parlato di“GRATUITA’ di perdere tempo per

DIO”. Che grande lezione di libertàinteriore!

RESPONSABILITÀLa parola richiama nel suo significatoil promettere, l’impegnarsi. Hans Jonasè stato un grande filosofo del ‘900.Muore a New York nel 1993. Nellasua opera maggiore “Il principio di re-sponsabilità – Un’etica per la civiltàtecnologica”, muovendo dal contestodi un mondo in cui la tecnologia e losviluppo (“il fare dell’uomo”) evoca-no in modo ambivalente grandi tra-guardi, ma anche preoccupanti scena-ri di distruzione, approfondisce i fon-damenti del tema della responsabilità,sintetizzando in modo categorico:“Agisci in modo che le conseguenze dellatua azione siano compatibili con la so-pravvivenza della vita umana sulla terra”.La responsabilità individuale nellacoerenza dei comportamenti verso ilprossimo diventa paradigma non solodella qualità delle relazioni ma anchegaranzia nei confronti del mondo edel suo futuro. “...le antiche norme del-l’etica del “prossimo”- le norme di giusti-zia, misericordia, onestà ecc. - continuanoad essere valide, nella loro intrinseca im-mediatezza, per la sfera più prossima, quo-tidiana dell’interazione umana. Ma questasfera è oscurata dal crescere dell’agire collet-tivo...(che) impone all’etica una nuova di-mensione della responsabilità, mai primaimmaginata”. Credo che lo scautismo

36

P RO N T I A S E RV I R E

Page 39: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

sia un’ottima scuola alla responsabilitàa cui ci si “allena” progressivamentemisurandosi con impegni adeguati al-le diverse età. Il servizio di capo aiutaa confrontarsi con responsabilità con-crete e non solo negli aspetti che pos-sono risultare più immediati (ad esem-pio dell’organizzazione) ma anche inquelli più profondi che richiamano lacoerenza individuale, l’assunzione diimpegni, nella maturazione progressivadella tua coscienza a cui rispondi pri-ma ancora che a norme definite. Agirein modo responsabile è forse più diogni altro riferimento etico, ciò di cuioggi abbiamo bisogno. Scriveva ilCard. Martini nel “Viaggio nel voca-bolario dell’etica”: “Dobbiamo imparare avedere i nostri atti con gli occhi degli altri -vicini, lontani, presenti e futuri - e sapere in-fine che alla radice di tutta la storia biblicac’è un patto di alleanza, l’alleanza di Noè,la quale insegna che gli uomini e le donnedella terra tutti insieme portano con Dio laresponsabilità del creato”.

CAMBIAMENTO“O Dio,�dammi la serenità di accettare lecose che non posso cambiare;�il coraggio dicambiare le cose che posso cambiare;�la sag-gezza per distinguere le une dalle altre”.Ho ritrovato le fonti di questa pre-ghiera che il mio AE mi aveva scrittocome saluto per la Partenza. È scrittada R. Niebuhr, un teologo protestan-te statunitense, deceduto nel 1971. Fasempre piacere ritrovare frammentidella tua storia personale. In quellapreghiera di saluto c’era l’invito a nonsentirsi mai tranquilli rispetto a quan-to di ingiusto ci sembra di percepirenel mondo, nelle relazioni che vivia-mo. Non c’era forse bisogno diricordarlo in un tempo (anni ’70) incui si viveva l’urgenza di un cambia-mento radicale di valori, comporta-menti, e di rottura rispetto ad un pas-sato. In quel desiderio legittimo dicambiamento, mancava proprio laconsapevolezza degli obiettivi possibi-li. Ho avuto un compagno di squadri-

glia che si è perso nell’esperienza del-la lotta violenta. Non l’ho più ritrova-to. Oggi sento con determinazioneche l’impegno professionale non pro-durrà immediatamente cambiamentiradicali, ma certamente è l’orizzonteentro cui sono chiamato a vivere finoin fondo proprio il desiderio (comeallora) di sentirsi protagonisti e non at-tori di un cambiamento che riguardanon solo il contesto del mio Paese mapiù in generale il sentirsi parte di unastoria in cui oggi come ieri non si èsoli!

Servizio sempre? Sì: come possibilitàdi ritrovare ogni giorno nella gratuitàpossibile, nel giocarsi in prima perso-na la responsabilità delle tue scelte, lavoglia e il desiderio di continuare aSOGNARE un mondo migliore.

Andrea Biondi

37

P RO N T I A S E RV I R E

Page 40: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche
Page 41: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

cambiamento radicale con grandepassione e curiosità, seppure senza mi-litare nel movimento studentesco,un’esperienza che mi ha dato unaconsapevolezza sociale e un’attenzio-ne agli altri che non mi hanno più ab-bandonato.Dopo la pausa del militare, ho fattol’Incaricato regionale di branca R/S eil capo clan. Nel frattempo mi ero lau-reato e avevo cominciato a lavoraresvolgendo dapprima la funzione di as-sistente e poco dopo di capo del per-sonale di un’azienda di 1.200 dipen-denti, in un periodo ancora molto dif-ficile e incerto. Del periodo di Incari-cato regionale mi ricordo le difficoltàad esercitare quel servizio con i Clanpraticamente distrutti da almeno untriennio di “autogestione”, che avevalasciato nei giovani rover e scolte ri-masti una certa riluttanza ad accettareancora ruoli direttivi, limitando di fat-to la leadership dei nuovi giovani ca-pi che, nel frattempo, le comunità ca-pi erano riusciti a rimettere alla guidadelle unità della branca RS. Erano itempi in cui nei clan e noviziati i ra-gazzi cercavano soprattutto di “starebene insieme” e accettavano con pocadisponibilità le proposte dei giovanicapi, soprattutto quando li costringe-vano ad esprimersi direttamente sulleproposte di crescita personale. Nelleassemblee regionali di branca avevo unpiccolo ma deciso gruppo di capi che

39

P RO N T I A S E RV I R E

stavo attraversando. Era il 1968 e l’u-niversità il luogo più interessante perun giovane nonostante le contraddi-zioni e i limiti della cosiddetta “con-testazione”. Mi sentivo proiettato den-tro un flusso di idee e di cambiamen-ti che avevano i segni dell’epocalità,soprattutto se confrontati con il pe-riodo precedente, molto statico e assaidiverso. Insomma, ho dovuto trovaresubito una sintesi positiva tra il Librodella Giungla e la “contestazione glo-bale”, se non con i lupetti almeno congli altri vecchi lupi, poco più giovanidi me. Con lo stesso sentimento dueanni dopo ho iniziato a fare il Maestrodei novizi e ho vissuto una fase di

Fare il capo essendo se stessi

Una delle condizioni necessarie per svolgere il servizio di

Capo nello scautismo è la ricomposizione degli “universi

separati” del vissuto quotidiano di giovane adulto: lo studio,

il lavoro, l’impegno sociale, la famiglia.

L’esperienza personaleHo iniziato il servizio educativo comeAkela a 19 anni, quando ero una ma-tricola universitaria. La giovane età el’entusiasmo del servizio si sono subi-to confrontate con la diversa realtà diuniversitario: pendolarismo quotidia-no, giornate intense e tanti esami dafare; in più, tutto l’anno, il sabato mat-tina due ore di lezione. Solo andandoin macchina riuscivo a tornare appenain tempo per cominciare la riunionedel branco. Non so se sia stato questosdoppiamento immediato della vitaquotidiana ad aiutarmi ad affrontareed equilibrare con molto realismo an-che il momento politico e sociale che

Page 42: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

contestava in m odo aperto e platealeil mio ruolo professionale e, di conse-guenza, reputava antieducativo il mioapproccio piuttosto “organizzativo” edirettivo di ricostruzione della brancain Lombardia, uno sforzo durato treanni e coronato dalla prima Route re-gionale di oltre 200 rover e scolte do-po la nascita dell’Agesci. Di fronte al-le difficoltà e alle contestazioni non homai cercato la benevolenza di chi lapensava diversamente da me e non hoquindi adattato le mie proposte alla li-nea di minor resistenza ed ho ottenu-to tuttavia rispetto e considerazione.Dopo un’altra pausa, sono tornato afare il capo clan, stavolta con mia mo-glie Livia, a 35 anni, con un ruolo pro-fessionale importante e con un impe-gno politico crescente, insomma inuna fase di sviluppo solido di nume-rose dimensioni della mia vita. Il di-stacco dal vissuto dei ragazzi era au-mentato molto e il nostro modo di es-sere capi doveva adeguarsi alla realtàse volevamo riuscire a non essere i se-condi genitori/insegnanti dei rover edelle scolte: abbiamo scelto il rappor-to interpersonale stretto e profondo,dedicando loro non solo il tempo del-le attività ma soprattutto il nostrotempo libero. Allora, una pizza insiemeo un caffè a casa nostra, oppure unachiacchierata in giardino, sono stati glistrumenti attraverso i quali abbiamoproposto ai ragazzi di prendersi sul se-

rio, di darsi da fare, di perseguire unavita piena di felicità. Nelle tre fasi cheho vissuto come capo mi pare di aversempre potuto offrire ai ragazzi unmodello di vita di normale giovane-adulto che seppure non molto distan-te da loro era tuttavia distinta e, perquanto possibile equilibrata, in modotale che fossero percepiti anche gli al-tri “universi” della nostra vita indivi-duale e di coppia e non soltanto la no-stra presenza come capi.

Fare servizio oggiÈ sicuro che quarant’anni fa era piùfacile diventare adulto e ciò avvenivain fretta, la sequenza virtuosa verso lapienezza di vita era lineare solo inter-rotta dal militare; oggi è più difficileperché i tempi si sono allungati mol-tissimo: si studia di più, si fa fatica a tro-vare lavoro, ci si sposa più tardi e tuttele esperienze giovanili sono inevitabil-mente meno influenti e decisive. Para-dossalmente ci sarebbe più tempo perscoprire altri “universi” oltre a quellodel servizio, invece l’osservazione di fat-ti ci dice che il servizio si allunga, noncome Capo ma come “capo a disposi-zione” nella comunità capi, e l’orizzon-te si restringe anziché ampliarsi. Ciòche si offre come persona nel servizioeducativo rischia quindi di essere piùpovero e più prevedibile, non diversodal vissuto dei ragazzi stessi. La doman-da è quindi come si possa dare qualco-

sa che spesso non si ha o, meglio, non siha ancora o in tutta la sua pienezza. Inaltri termini cosa ci chiedono i ragazzi,cos’hanno bisogno da noi per essereaiutati nel loro cammino di crescita, perricevere un servizio davvero educativo?Penso che ci chiedano in sostanza diessere una persona autentica per esse-re un capo credibile. Come persona,dobbiamo loro un impegno serio os-sia il servizio come scelta e non comeripiego, una vita impostata: quindi stu-di compiuti o in fase di compimentoe qualche esperienza al di fuori delloscautismo. Dobbiamo trasmettere laproiezione verso il futuro che metta inluce, pur senza nascondere o sminuirele difficoltà e i limiti della società dioggi, la possibilità di definire degliobiettivi a cui tendere e la consapevo-lezza di doversi impegnare seriamenteper raggiungerli. Altrettanto impor-tante e incisivo è riuscire a trasmette-re il nostro cammino di autoeducazio-ne ancorato ad alcune certezze e ad al-cuni valori riconoscibili nel nostro vis-suto quotidiano, non soltanto annun-ciati o richiamati. Dobbiamo essere cu-riosi per trasmettere la voglia di cono-scere e per aprire gli orizzonti ma an-che per migliorare le relazioni con glialtri. Una persona autentica, per quan-to giovane sia, e’ un capo credibile per-ché i suoi “universi” sono ricomposti eassicurano la coerenza tra ciò che è (osta diventando) e ciò che fa.

40

P RO N T I A S E RV I R E

Page 43: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Ai ragazzi perciò non dobbiamo farmancare la capacità di esercitare la lea-dership di capo, che si esprime soprat-tutto nella ricerca continua del rap-porto interpersonale: il miglior servi-zio educativo è quello io-tu, il grup-po è strumentale e al servizio di que-sto rapporto, tanto importante per iragazzi ma altrettanto per i capi. Nelrapporto interpersonale non si recita,non si finge, si è ciò che si è davvero.Non bisogna far mancare inoltre laprogettualità e la creatività: soprattut-to ai clan e ai noviziati vanno propo-ste attività ed esperienze indimentica-bili perché capaci di aprire il cuore e

la mente ad aspetti cruciali della vita.La testimonianza della propria fede,l’esperienza del lavoro, la vita familia-re, la comprensione della società intutte relazioni di convivenza, la consa-pevolezza e i limiti alla felicità impo-sti dal dolore e dalla malattia, l’arte eil senso del bello: tutte quelle dimen-sioni nuove che un giovane che cre-sce difficilmente trova in casa o ascuola nelle forme e nella misura chelo attraggono e lo convincono a pro-vare, con il grande vantaggio di esserecon altri a scoprire qualcosa di diver-so e significativo. Tutto questo si puòfare oggi? Direi di sì anche se il con-

testo è poco favorevole e l’esperienzaautoeducativa meno attraente. È l’at-teggiamento che fa la differenza per-ché non si può chiedere a un venti-cinque-trentenne di dare già quelloche ancora non ha, ma si può chie-dergli di comunicare il suo impegno,il suo orientamento, le sue convinzio-ni: in questo modo gli sarà sicuramen-te possibile aiutare i ragazzi che gli so-no affidati, ad avere voglia di trovare laloro strada e a percorrerla con impe-gno ed entusiasmo, così si può andareanche molto lontano.

Maurizio Crippa

41

P RO N T I A S E RV I R E

Quelli che ...– prima si devono mettere a posto lecaselle dei Capi unità, solo dopo siassegnano i servizi associativi edextra ai rover e le scolte ....

– il servizio non è un episodio, è persempre ...

– il servizio è un mezzo, non un fi-ne: basta agli aiuti a vita ...

– il Clan è un male necessario per fa-re servizio ...

– prima è meglio fare un servizio ex-tra poi quello associativo ...

– prima il servizio associativo poil’extra ...

– l’extra è sempre considerato un ri-

piego, non è giusto, così non lovuol fare nessuno ...

– ci vorrebbero ancora le route diformazione ai due servizi, così i ro-ver e le scolte potrebbero sceglierecon cognizione di causa ...

– il servizio è un’esperienza da fare sulcampo, altro che routes d’orienta-mento: tanta teoria e poca pratica ...

– la comunità capi è l’invenzione piùstraordinaria dello scautismo italia-no ...

– la comunità capi è l’INPS delloscautismo italiano ...

– agli studenti di scienza dell’educa-zione si dovrebbe far fare solo ser-

vizio extra altrimenti trattano i ra-gazzi come scolari ...

– gli aiuti non studiano e non si con-frontano, così quando diventanocapi ripetono, in peggio, sempre glistessi schemi ...

– a una riunione di Clan si partecipasempre, casomai si salta quella diDirezione ...

– senza riunioni di Direzione le atti-vità sono improvvisate ....

– una volta fatti i quadri, ...la strada ètutta in discesa ...

– strada, comunità e servizio: soloquest’ultimo non è cambiato neltempo: tutto e il contrario di tutto!

Quelli che ...il servizio

Page 44: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche
Page 45: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Ho sempre avuto scarsa sopportazio-ne per le cosiddette “feste di chiusuradell’anno scout” che taluni Gruppitengono verso la metà/fine di giugnocon partecipazione di ragazzi, genito-ri, ex capi e amici.Perché chiusura? L’anno scout nondura forse dal 1° ottobre a 30 settem-bre? I passaggi, agli inizi di ottobre,non sono forse il solo momento dichiusura e di apertura dell’esperienzadi un anno di avventure condivise inuna prospettiva di futuro?Sono convinto che il ragionare in ter-mini di “sospensione” del servizioeducativo, porti ad uno svilimentodella proposta complessiva che faccia-mo, ad una banalizzazione del sensodel nostro servire e questo sia ad unalettura interna che esterna allo scauti-smo.

Interna, perché i nostri ragazzi, parti-colarmente rover e scolte, devono sen-tire una tensione continua che sostie-ne il loro impegno e questa non puòprescindere dal concretizzarsi in unacontinuità nel tempo, continuità chepermette e obbliga a programmare laproprie vita nella prospettiva dell’esse-re pronti.

Esterna, perché le famiglie devonopercepire che la nostra non è una“agenzia educativa” (pessimo temineche si è diffuso in associazione mu-tuato da ambiti vicini al nostro mon-do ma comunque diversi), ma una“proposta educativa” che riteniamopossa incidere sulle persone perchépossano “procurare di lasciare il mon-do un po’ migliore di come l’hannotrovato”, frase forse abusata ma che

non può essere disattesa, pena l’esseresolo una buona cosa e non un segnodi speranza.

Se il servizio è l’elemento chiave e diprospettiva (Del mio meglio, per esse-re pronto a servire) dell’educazionecon il metodo scout (tutto questoquaderno, sotto diverse angolazioni,cerca di raccontarlo) allora, come nel-la durata dell’anno scout, non ci pos-sono essere pause o sospensioni.

Servire richiama ad una ordinarietàdell’essere disponibile che non puòche essere a tempo e solo se si è abi-tuati – la formazione alle buone abi-tudini è un tratto imprescindibile del-lo scautismo – da un allenamento co-stante e fecondo, il servizio diventauno stato mentale, uno stile e non so-lo un’attività, il passo fondamentaleper andare verso gli altri cercando direnderli felici e quindi per vivere emorire felici, sapendo di aver sempli-cemente adempiuto alla chiamata adessere uomini.

Piero Gavinelli

43

P RO N T I A S E RV I R E

Io ho avuto una vita felicissima...

Procurare la felicità, proposta chiave dell’educazione scout.

Page 46: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Cari Scout,

se avete visto il film di Peter Pan vi ricorderete che il capodei pirati ripeteva ad ogni occasione il suo ultimo discorso,per paura di non avere il tempo di farlo quando fosse giun-to per lui il momento di morire davvero. Succede press’a po-co lo stesso anche a me, e per quanto non sia ancora in pun-to di morte quel momento verrà, un giorno o l’altro; così de-sidero mandarvi un ultimo saluto, prima che ci separiamoper sempre.

Ricordate che sono le ultime paroleche udrete da me: meditatele.

Io ho trascorso una vi-ta felicissima e de-

sidero che ciascuno di voi abbia una vita altrettanto felice.

Credo che il Signore ci abbia messo in questo mondo mera-viglioso per essere felici e godere la vita. La felicità non di-pende dalle ricchezze né dal successo nella carriera, né dalcedere alle nostre voglie.

Un passo verso la felicità lo farete conquistandovi salute erobustezza finché siete ragazzi, per poter essere utili e go-dere la vita pienamente una volta fatti uomini.

Lo studio della natura vi mostrerà di quante cose belle e me-ravigliose Dio ha riempito il mondo per la vostra felicità.Contentatevi di quello che avete e cercate di trarne tutto ilprofitto che potete. Guardate al lato bello delle cose e non allato brutto.

Ma il vero modo di essere felici è quello diprocurare la felicità agli altri. Procurate di la-sciare questo mondo un po’ migliore di quan-

to l’avete trovato e, quando suonerà la vostra ora di morire,potrete morire felici nella coscienza di non aver sprecato ilvostro tempo, ma di avere fatto del vostro meglio. “Siate pre-parati” così, a vivere felici e a morire felici: mantenete la vo-stra promessa di scout, anche quando non sarete più ragaz-zi, e Dio vi aiuti in questo.

Il vostro amico Baden-Powell

44

P RO N T I A S E RV I R E

Page 47: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Sono stata capo clan a ridosso deglianni ‘70, quando l’onda lunga dellecontestazioni giovanili del ‘68 ancoralasciava strascichi polemici nelle unitàscout, spesso fortemente lacerate datensioni interne, abbandoni repentinidi responsabilità da parte di capi e As-sistenti, rigida contrapposizione diruoli tra componenti dell’ASCI e del-l’AGI.Anni problematici, dunque, in cui leproposte educative a volte parevanoscivolare di mano per perdersi in rivo-li inefficaci di proteste e incompren-sioni, anni in cui la proposta di fedeera considerata marginale, la vita nellanatura sostituita dalle inchieste sullacondizione operaia nelle fabbriche, ladivisa un fastidioso e ingombrante far-dello da lasciarsi alle spalle.Si profilava all’orizzonte la nascita del-

l’Agesci, vista con sospetto da molti,accolta con favore da altri, in partico-lare da chi cercava di guardare al futu-ro con un rinnovato impegno...Na-scevano le prime comunità capi, desti-nate a divenire nel tempo punti di ri-ferimento progettuale: timidi baglioridi luce per chi, come me, muoveva iprimi passi nel suo servizio scout.Nella mia responsabilità educativa hoattraversato dunque periodi difficili, disolitudine e di concreto smarrimento. Mai mi sono pentita di aver accettatola sfida di un servizio associativo chesi è rivelato, negli anni, uno dei capi-saldi che hanno dato significato allamia vita, che l’hanno resa feconda diamicizie e di incontri, che hanno de-clinato in differenti sfaccettature lescelte professionali e familiari nellaunicità della mia esistenza.

Anche oggi, quando guardo indietroil tratto di strada percorso, non possoche ringraziare il buon Dio di aver-mi fatto partecipe e animatrice delGrande gioco scout! Quante espe-rienze che altri non hanno ricevuto,sono state invece per me terreno pre-zioso su cui intessere la trama dellamia vita!

Porto così nel cuore e negli occhi ivolti dei rover e delle scolte del clanBrescia 1° che salgono al Col Ferretdurante la route estiva, leggo la lorofatica al rientro dall’hike di Pasqua inVal Codera, ricordo il loro raccogli-mento durante la fiaccolata nella ge-lida serata di Lourdes, o la loro alle-gria lavando le pentole lungo il cor-so di un ruscello, ripenso all’atmosfe-ra di un cerchio per l’ultimo canto dibivacco prima della partenza ...Ripercorro nei momenti forti delleesperienze vissute, l’importanza chel’assunzione di responsabilità comecapo ha dipanato nel mio divenire,occasione per godere del dono dellavita, arricchire la mia fede e rendereil mondo “un po’ migliore”...

È stata una continua tensione alla di-mensione del gratuito, alla ricercasenza eccezioni, all‘ottimismo chesempre incoraggia a donare. L’educa-zione del carattere e l’abilità manua-le, l’esperienza della vita rude al cam-

45

P RO N T I A S E RV I R E

Capi adultiL’esperienza del servizio di capo forma persone adulte,

solide, fedeli alle proprie vocazioni.

Page 48: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

po, l’utilizzo delle tecniche non ripe-tute macchinalmente ma impiegatecon competenza, sono state poi moti-vo di progressiva crescita. La strada vis-suta è diventata allora servizio anchenella quotidianità: lo studio, il lavoro,la famiglia, sono state occasioni di in-vito e annuncio indicandomi su qualisentieri era segnato il mio cammino.L’essere pronti infatti è da sempre l’in-vito che lo scautismo propone: l’hoimparato nelle cacce di Akela e nelleimprese di Squadriglia. L’ho speri-mentato nelle route e nell‘hike, perrealizzare nelle piccole esperienze del-la vita quotidiana i grandi progetti difedeltà alla propria vocazione. Questamentalità così radicata nello scauti-smo, secondo cui la vita è una chia-mata cui rispondere con un progettodi cui si è protagonisti, è tutt’altro chediffusa nella cultura attuale.

Avere scelto la professione di medicoin ospedale, ha significato allora perme, poter realizzare una modalità diconiugazione dell’attività intellettualee manuale che avevo sperimentato nelmio ruolo di capo clan, seppure in unarealtà e in un orizzonte diversi. È sta-ta la sintesi di quella magnifica intui-zione di B.-P. dell’interdipendenza frapensiero e azione che mi ha così per-messo concretamente di mettere a di-sposizione i miei talenti a favore dei

più deboli, dei più fragili, dei soffe-renti. E non da sola, ma in una fecon-da, anche se talora difficile, condivi-sione con gli operatori che vivonocon me la quotidianità.L’aver incontrato poi in ambito scoutla persona che ho sposato, mi ha con-sentito di continuare a credere in unarinnovata partenza verso una meta co-mune, in un cammino ininterrotto peril quale vale la pena di essere benequipaggiati ma non troppo appesan-titi. Se talora ci attardiamo a ripartire,ci pensano oggi le nostre figlie a ri-cordarci che è importante guardareavanti verso nuove frontiere, che nonpossiamo accontentarci del nostro or-dinato orticello ma dobbiamo spin-gerci verso quelle terre lontane che,come capi scout, abbiamo saputoesplorare per primi.

Una vita allora non inquadrata in unideale irrigidito in un complesso diformule, ma spesa in una tensione ri-creata per gli altri, per fare sempre delproprio meglio...Questa è la bellezza del servizio scoutche mi porto dentro, consapevole cheogni capo deve saper offrire pietanzeadeguate ai propri ragazzi. Per pren-dere il pesce, diceva B.-P., ci vuole unabuona esca, per attirare i bambini e igiovani verso lo scautismo, bisogna in-nanzitutto rispondere alle loro richie-

ste: grandi giochi divertenti ed emo-zionanti, lanci di imprese e di attivitàche colpiscono l’immaginazione e lafantasia, momenti di intensa parteci-pazione a veglie, cerimonie cariche disignificato. Ma l’essere capi deve con-temporaneamente stimolare i ragazzi agustare il bello accettando la fatica, fa-cendo provare loro quella intensa sen-sazione di gioia che segue ad attivitàben preparate, curate nei dettagli, nel-la consapevolezza che questo cammi-no ha lasciato tutti un po’ migliori diprima.

In questo percorso non mancherannomomenti difficili, sbandamenti parzia-li e perdite di rotta: anche gli insuc-cessi e le frustrazioni educative, sonomomenti provvidenziali che ci fannorivedere le motivazioni profonde delnostro agire.

A noi capi è chiesto di essere personedi qualità, capaci di portare uno stilenel mondo, non di incarnarlo solo inbrevi periodi durante le attività, ma diviverlo sempre. Così saremo personedi “successo”, un successo che non ècostituito dalla ricchezza, dalla poten-za, o da una brillante carriera perso-nale, ma dall’essere felici in modoprofondamente attivo.

Federica Fasciolo

46

P RO N T I A S E RV I R E

Page 49: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

La parola “servire”, mi riporta imme-diatamente ad associarla ad una “chia-mata” che mi viene rivolta per affidar-mi una missione, un compito, un ser-vizio. Questo prima o poi capita a tut-ti e non solo nello scautismo. Pensia-mo in famiglia, come figlio, come spo-so, come genitore. Nella società, sul la-voro, nella chiesa locale...Di fronte a queste chiamate, che osodire sono quasi quotidiane, dalle piùpiccole alle più determinanti, anche intermini di scelta di vita, la nostra ri-sposta deve essere sempre indirizzataalla massima disponibilità orientata daldiscernimento. Lo scautismo, in que-sto senso, ci ha educato da quandoeravamo in “branco” o “cerchio”, chedi fronte ad una richiesta di aiuto,avremmo sempre e comunque dovu-

to rispondere con un sì, un “eccomi”,senza tentennamenti ed esitazioni.Tutto questo è molto bello e signifi-cativo e ci dà la misura di quanto im-portante debba essere, l’attenzione ela disponibilità d’aiuto per il nostroprossimo, tanto più che se ci vienechiesto, è perché viene riposta in noi,una certa fiducia.Sarebbe bello poter sempre risponde-re ad una domanda d’aiuto con un sì.Ma purtroppo non è così, non deveessere così, perché la consapevolezzadei propri limiti, delle proprie capa-cità, del proprio tempo, devono farcifare delle scelte precise ed equilibrate,anche se il primo impulso, resta quel-lo di un’adesione tout court.Così, la maturazione, l’esperienza, lariflessione, ci fanno fare un cammino

progressivo verso il vero senso del ser-vizio, tanto da renderlo essenziale ful-cro di tutta la nostra scelta di vita. Tut-to ruota intorno a questo progettoche, se e quando viene applicato inpieno, dà forza e felicità.

Il servizio è, a mio avviso, sostenuto dadue pilastri portanti, che danno pie-nezza e un significato compiuto allospirito e al senso del Servizio: “Tuttoci è stato donato” e “Noi siamo deipoveri servitori”.

Tutto è donoNell’economia del servizio, mi è capi-tato spesso di sentirmi gratificato perquanto riuscivo a fare, con la convin-zione che quello che facevo e realiz-zavo era tutto merito mio. A volte ci sentiamo importanti o peg-gio abbiamo una falsa convinzione diessere indispensabili, che c’è assoluta-mente bisogno di noi, che il nostroservizio è insostituibile e tutto ruotaintorno a noi. Molto celatamente nonci accorgiamo che il servizio che stia-mo facendo, sia pure con tanto impe-gno ed amore, nasconde un nostro de-siderio di potere o di gratificazionepersonale, di autoaffermazione, diplauso e riconoscimento da parte dichi ci circonda. Non è così, il nostro merito sta nell’a-ver risposto e accolto la chiamata diservizio, con disponibilità ed umiltà.

47

P RO N T I A S E RV I R E

Il servizio come progetto di vita

La dimensione della gratuità nel servizio: “gratuitamente

avete ricevuto, gratuitamente date”.

Page 50: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Tutto quello che siamo ed abbiamoricevuto è dono gratuito e noi nonsiamo che “collaboratori “ indispensa-bili, per portare a compimento l’azio-ne creatrice di Dio. “Gratuitamenteavete ricevuto, gratuitamente date”.Anche il servizio che assumiamo e checi costa sacrifici, rinunce e fatiche maanche soddisfazioni, sorrisi e nuoveconoscenze, sono doni grandi che ar-ricchiscono il nostro rapporto con glialtri, ci fanno uscire dal nostro ovileprotetto e sicuro, dandoci una visionedella vita più umana e libera.Questo vale per tutti i servizi, da quel-li istituzionalizzati a quelli nell’ambitoscout, per arrivare a quelli vissuti al-l’interno della propria famiglia dove sivive più facilmente un rapporto d’a-more più viscerale ed intimo tra ma-rito e moglie, genitori e figli. È pro-prio in quest’ultimo ambito che i ge-nitori corrono il rischio di plasmare i

figli per realizzare attraverso di essi leaspirazioni personali mancate. Tuttoquesto avviene perché non teniamoconto che quanto abbiamo è un donoche abbiamo ricevuto e che dobbia-mo custodire e farlo fruttificare. Il no-stro merito sta nell’accoglierlo conamore e riconoscenza.

Servitori poveriL’altra condizione, a mio avviso, inso-stituibile è la consapevolezza dei pro-pri limiti e delle proprie carenze. Ilservizio che facciamo o andremo a fa-re, sarà sicuramente un contributod’aiuto, una lodevole disponibilità nel-la collaborazione di idee, di tempo e diadesione ai progetti ma, deve svolger-si con la massima umiltà e consapevo-lezza che tutto quello che metteremoa disposizione è molto meno di quan-to riceveremo.Anche se apparentemente ci sembra di

essere molto utili, di dare senza rice-vere, in realtà è tanto quello che rice-viamo in termini di crescita persona-le, tanto più se il nostro operato nonsembra venir riconosciuto ed apprez-zato. Senza fare bilanci affrettati, più cidedichiamo con amore ed entusiasmo,coscienti dei nostri limiti e incapacità,tanto più ricaveremo nuovi frutti eimpareremo il vero e disinteressatosenso del servizio.“Solo allora saremo felici: facendo lafelicità degli altri”. Quando poi avremo terminato queldeterminato impegno di servizio cheavevamo assunto, ringraziamo dell’op-portunità che abbiamo avuto modo disvolgere, senza aspettarci “medagliettericordo”, ringraziamenti o quant’altro. Siamo stati “servi inutili” e per questotanto abbiamo ricevuto.

Gege Ferrario

48

P RO N T I A S E RV I R E

Page 51: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Strada comunità e servizio, inutile sot-tolinearlo, sono i tre fondamenti dellavita di clan. Non c’è il primato del-l’uno sull’altro: ciascuno dei tre capi-saldi concorre con pari dignità e rilie-vo alla vita delle comunità r-s. La pro-posta del servizio ha un duplice sco-po: educare rover e scolte a uno stilepersonale e rispondere efficacementeattraverso il gesto gratuito ai bisogni dialtre persone, siano i più giovani chepartecipano alle attività scout - il ser-vizio associativo - o chiunque si troviin uno stato di necessità - il servizioextra-associativo.

Una vecchia definizione di attività divolontariato, non so se ancora in usoe se citata precisamente, affermava cheil volontario è colui che, esauriti i pro-

pri doveri verso la propria famiglia ela società, mette a disposizione gratui-ta il proprio tempo a vantaggio di chisi trova in condizione di necessità. I due paragrafi introduttivi sono ne-cessari per sostenere due principi: 1. Ilservizio è uno stile che caratterizza lavita di ciascuno 2. La vita di ciascunonon può essere esclusivamente dedica-ta ad attività di servizio. Le due affer-mazioni potrebbero sembrare con-traddittorie, ma coglierne la differen-ze evita di cadere in situazioni che po-trebbero essere definite come “patolo-gie” del servizio.

L’intero quaderno è dedicato al soste-gno dell’importanza del servizio, chenessuno mette in dubbio. In questoarticolo si cerca brevemente di mette-

re in guardia verso dimensioni totaliz-zanti delle attività di servizio che tra-sformano il gesto gratuito in una atti-vità appagante per sé.

Se la propria attività professionale o la-vorativa viene vissuta come frustrantee opprimente ci può essere la tenta-zione di cercare spazi differenti, al difuori di essa così da sentirsi realizzatoe soddisfatto. Allo stesso modo se leproprie relazioni personali come fi-glio, coniuge o genitore sono fonte ditensione o vengono vissute come li-mitanti, una via di fuga dalle proprieresponsabilità può essere la dedizionetotale e auto-giustificante del serviziovolontario. Ma è chiaro che queste si-tuazioni, pur se sostenute da grandegenerosità e impegno, tradiscono l’es-senza del servizio volontario e gratui-to. La tradiscono perché il servizionon è più atto di decisione volontaria,ma è una condizione assunta per usci-re da condizioni negative e non è piùgratuito perché si è remunerati dal ri-scatto dalle frustrazioni.

In sostanza il servizio deve essere de-terminato dalla purezza delle inten-zioni. Infatti se la felicità sta nel fare lafelicità degli altri, la nostra felicità è uneffetto collaterale, secondario, della fe-licità portata agli altri attraverso il ser-vizio. Ma non possiamo accettare checi sia un ambito - il servizio - dove

49

P RO N T I A S E RV I R E

Servizio: libertà e dipendenza

Una avvertenza: il servizio integra ma non sostituisce la

vita. Se diventa valore assoluto porta alla dipendenza.

Page 52: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

possiamo fare la felicità degli altri e al-tri ambiti - la famiglia, il lavoro - do-ve la felicità degli altri non sia perse-guita o contemplata.

Il servizio è la strada maestra e non lavia di fuga o la camera di compensa-zione dei sensi di colpa. È una sceltalibera e volontaria e non può essereuna dipendenza. In questo quadernol’intervento di Maurizio Crippa è di-rimente a questo proposito: non cipuò essere schizofrenia fra la propriavocazione al servizio e le scelte dellavita quotidiana. Pur muovendoci inambiti diversi e con diverse responsa-bilità - al lavoro, in famiglia, nel servi-zio volontario – ciò che conta è lospirito del servizio.

Lo spirito di servizio è uno stile che siacquisisce e al quale ci si educa nelproprio percorso scout; esso è fonda-to su quelle qualità - gioiosità, dispo-nibilità, sobrietà, generosità, condivi-sione, spirito d’iniziativa eccetera -che abbiamo imparato nella nostra vi-ta di lupetto, coccinella, esploratore,guida, rover o scolta. Ed è uno stileche deve caratterizzare ogni azionedella nostra vita quotidiana.

Stefano Pirovano

La Caritas italiana, nel suo ultimo rap-porto, ha fotografato un cambiamentorispetto alla povertà del nostro paese,mettendo in luce come siano aumenta-te le persone che osano entrare in uncentro di ascolto o suonare il campanel-lo di un ufficio parrocchiale, per chie-dere aiuto. Le richieste fanno emergeresempre questioni di natura economica,dalla domanda di beni e servizi materia-li, alla necessità di aiuti per l’abitazione,dal pagamento della rata del mutuo odella locazione alla mancanza di denaroper pagare i trasporti scolastici dei figli.Ci sono poi anche le mamme e i papàrimasti soli per la rottura delle reti fami-liari, affaticati tra necessità economichee ruolo genitoriale e gli anziani conpensioni medio basse con reti prossi-mali precarie. Sono definiti i nuovipoveri, un esercito ancora nascosto,che va a incrementare le fila dei pove-ri classicamente intesi.

Da questo quadro emerge che le vec-chie e le nuove marginalità stannocreando fragilità e vulnerabilità rispet-to all’equilibrio e alla sostenibilità deiprogetti di vita.Questi ostacoli, se nel tempo, diventa-no sempre più forti, innalzano il livel-lo di esclusione sociale e perdita di fi-ducia nel proprio progetto.Che cosa possiamo fare noi, oltre alwelfare, per arginare queste nuove evecchie povertà?Possiamo cercare di restituire speranzae protagonismo, attraverso azioni diprossimità, di accompagnamento, dimutuo aiuto.Possiamo renderci disponibili nelle no-stre città nelle nostre comunità di ap-partenenza a occuparci delle nuoveemergenze, a essere uomini e donne ge-nerose nell’emergenza.Da tanti anni il clan gemellato della miacittà, oltre a servizi impegnativi con

50

P RO N T I A S E RV I R E

Esperienze di servizio in C/FLa proposta del servizio in C/F deve essere attenta

e aperta alle nuove fragilità sociali.

Page 53: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

realtà che si occupano di disagio mino-rile, collabora con l’amministrazionepubblica e altri enti del volontariato edel terzo settore per far fronte all’emer-genza sociale.La prima esperienza è stata l’assistenzaall’asilo notturno. Un servizio che ha vi-sto impegnata una pattuglia di tre ragaz-zi, una volta alla settimana nella fascia se-rale della giornata. Il compito affidatodalla struttura era di aiutare gli ospiti,nella ricerca di un posto lavorativo, ac-compagnandoli nella stesura del propriocurriculum vitae, e nell’invio via email.Da questo servizio sono nati altri dueprogetti, tornei di calcetto tra i ragazzi egli ospiti della comunità e l’iniziativa, la“Merenda di Natale”: il pomeriggio del25 dicembre, il clan organizza una festaper tutti i senza tetto, in un luogo sim-bolo della città, portando così nel cuoredel centro cittadino, chi di solito è esclu-so cercando di sensibilizzare la città suquesto tema.Da circa due anni, inoltre, su propostadell’amministrazione comunale in colla-borazione con Croce Rossa e prote-zione civile, la comunità di clan parteci-pa al piano “emergenza freddo”. Unavolta a settimana, a turno, i rover e lescolte si prendono cura delle personesenza fissa dimora, dall’aiuto nell’igienepersonale, alla distribuzione degli indu-menti e della cena, all’animazione dellaserata anche solo facendo due chiac-chiere.

Da ultimo su richiesta del cappellano delcarcere, per un anno, una volta al mese,il clan ha animato la messa all’internodella struttura penitenziaria.Esperienze di servizio molto forti e im-pegnative che hanno portato il clan aconfrontarsi sulle proprie potenzialità ecriticità sia come singoli sia come co-munità.L’entrare in sintonia con queste realtà haprovocato inizialmente paura e ansia e unalto vissuto emozionale, portando i rovera ritenere inizialmente inutile il proprioservizio per la difficoltà a creare una rela-zione con queste persone che sono diffi-denti e che turnano molto all’internodella struttura ospitante. Ancor più diffi-cile è stato il coinvolgimento delle scoltedovuto soprattutto a una vicinanza conun’utenza adulta e maschile.Importante è stato avere anche un’al-leanza educativa con le famiglie, cheguardano con un po’ di timore all’in-contro dei propri figli con queste realtàsociali per rassicurarle sulla fattibilità del-l’esperienza.Molte sono state le potenzialità espresse: • Relazionarsi con l’altro è il modopiù genuino per costruire la propriaidentità lasciandosi mettere allaprova e in discussione dall’altro cheincontro.

• Scoprire che esistono luoghi da presi-diare per non abbandonare gli “ultimi”.

• Conoscere una realtà scomoda por-ta alla consapevolezza della necessità

di intervenire con politiche sociali erisorse economiche adeguate.

• Associare un volto, un amico, un ri-cordo, un’emozione, a un’esperienzaconcreta attiva una maggior capacitàdi discernimento rispetto ad accetta-re le proposte di chi parla o fa la vo-ce grossa, in modo stereotipato, suquesti temi.

• Per alcuni questo servizio è stato let-to come l’esperienza del farsi prossi-mo, dell’amore che crea uguaglianzache abbatte i muri e le distanze, l’oc-casione per fare vere esperienze di vi-ta che aprono alla fede, all’incontrocon Gesù e all’interrogarsi sul miste-ro di Dio.

Non tutti i servizi sono andati a buonfine, alcuni si sono interrotti come quel-lo del carcere in cui il poco coinvolgi-mento del clan ha portato a rifletteresulla propria difficoltà a vivere la parte-cipazione comunitaria eucaristica equindi l’incapacità a vivere un’espe-rienza di preghiera con gli ultimi.Lavorare in tutti questi contesti è mol-to complesso, occorrono impegno,stabilità e continuità per capirne ilsenso, altrimenti il rischio è quello dicercare solo emozioni intense a disca-pito di vere relazioni, di investimentosulla persona per generare o rigenera-re speranza.

Saula Sironi (con il contributo di Giacomo Sala capo clan Monza I)

51

P RO N T I A S E RV I R E

Page 54: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

In molte associazioni, e più in genera-le in larga parte del mondo del noprofit, si riscontrano spesso confusionidi ruoli, di compiti e di stili di impe-gno che meritano un po’ di chiarezza,per valorizzarne i diversi “talenti”,così come si riscontrano, spesso, alcu-ne pericolose “sindromi” che suggeri-scono interventi curativi – o meglioancora preventivi – per evitare che de-generino, a tutto vantaggio della effi-cacia delle attività di servizio svoltedalle associazioni stesse.Questa breve provocazione vuole trac-ciare una prima linea di chiarimento,

per le prime, e suggerire qualche inter-vento curativo, per le seconde.

Alcuni equivoci da evitare: non confondere “volontariato”e “servizio”Ma soprattutto non confondere atti-vità e ruoli svolti come “professioni-sti” – cioè retribuiti o anche a titolo gra-tuito - ancorché nel mondo del vo-lontariato o più in generale nel terzosettore, e attività e ruoli svolti come“servizio”, cioè a titolo totalmente gra-tuito, magari nelle stesse realtà e ancordi più vissuti come “stile personale”,

nella propria vita di tutti i giorni e neipropri impegni extra-lavorativi.Il “volontariato” - retribuito o gratuito -, nella sua accezione più comune, è:a) “attività volontaria svolta a favore dipersone che presentano gravi necessitào, anche, a tutela della natura, deglianimali o del patrimonio artistico eculturale; b) servizio militare prestatoin qualità di volontario; c) [in passa-to] attività volontaria prestata in modogratuito o semigratuito, per acquisire lapratica in una professione o in un la-voro, specialmente nell’ambito ospe-daliero o universitario” 1.Il “servizio” invece, secondo la defini-zione di B.-P. – che come noto lo in-serisce nei “quattro punti” della suaproposta educativa - è “la subordina-zione del proprio io all’impegno vo-lontario di aiutare gli altri, senza il pen-siero di essere ricambiato o ricompensato”2;la totale gratuità del servizio e la sceltadel servizio come stile di vita sono ri-badite anche dal Patto associativo del-l’Agesci, quando definisce i capi come

52

P RO N T I A S E RV I R E

Una provocazione: equivoci daevitare, sindromi da prevenire

In chiusura due articoli che allargano il tema del quaderno:

Ale Alacevich lancia una provocazione sul tema del volontariato retribuito e

Roberto d’Alessio nell’articolo a seguire individua i nodi e propone risposte.

Servizio, volontariato, terzo settore, no profit

Page 55: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

“donne e uomini impegnati volonta-riamente e gratuitamente nel servizioeducativo...”3 e dal Regolamento me-todologico, quando dice che “il servi-zio è impegno gratuito e continuativo,con cui il rover e la scolta entrano inrelazione con il mondo che li circon-da e imparano a donare se stessi adimitazione di Cristo”4.Due concetti sostanzialmente diversi,dunque, anche se contigui; due sceltediverse, la cui diversità è data dalla pos-sibilità di essere retribuiti (e perciò con-figurarsi, come scelta, nell’ambito dellescelte “di professione”), ovvero dall’ope-rare in via del tutto gratuita, e quindi co-me stile ed impegno da praticare in tut-to il corso della propria vita. È un di-stinguo importante: si tratta di momentidiversi che, se confusi, possono solo ge-nerare malintesi e false gerarchie valo-riali e che - come tutte le confusioni- non aiutano a crescere, come orga-nizzazioni, e soprattutto non aiutano afare scuola di discernimento, cioè in ul-tima analisi a svolgere bene il proprioruolo educativo.Sono momenti “di pari dignità”? Nondirei, perché una scelta di vita è semprepiù ampia, e perciò più importante diuna scelta che riguarda pur sempre unsolo ambito, per quanto significativo, del-la propria vita.Possono coesistere, nella stessa persona?Certo che si, come provano molti capie capo impegnati professionalmente

“nel sociale” e contemporaneamentenel servizio scout, ma, trattandosi dimomenti diversi, suggeriscono di nonconfonderli e di precisare bene, quan-do si sta agendo, quale è “il cappello”che di volta in volta caratterizza il no-stro operare. E ciò proprio per valoriz-zare “i talenti” di cui ciascuno dei duemomenti è portatore, e per evitare di ca-dere nel “corto circuito” fra “professio-nisti del volontariato” – che meglio sa-rebbe qualificare come “professionisti, ooperatori del no-profit/del terzo setto-re”- e persone che hanno scelto il ser-vizio volontario e gratuito come pro-prio stile di vita.Quanto sopra si ricollega ad un secon-do equivoco da evitare: la confusione fra“professionismo” e “professionalità”.Anche il servizio, per essere svolto be-ne, richiede professionalità, cioè com-petenza, oltre che impegno, e richiedeformazione, oltre che disponibilità. Ilguaio è che alcuni professionisti si ri-velano, nei fatti, molto poco “professio-nali”. E questo accade anche nel mon-do del terzo settore nel quale, forse acausa della sua minore competitività –e talora delle scarse risorse disponibili -, si tende a sottovalutare l’importanzadella formazione degli operatori, dei“professionisti” appunto, affinché di-vengano realmente “professionali”.

Alcune sindromi da prevenireLa prima e più urgente sindrome da

prevenire, in particolare nel mondodel no profit, è la “sindrome del ReMida” (che trasformava in oro tuttociò che toccava). Dalle mie esperienzedi collaborazione in diverse realtà noprofit la definirei così: “poiché stiamooperando a fin di bene, tutto quello chefacciamo è buono e giusto”. Purtrop-po non è vero ed al contrario, in mol-ti casi, si tratta di una grave presunzio-ne e di una inevitabile fonte di guai,non solo di tipo amministrativo e fisca-le, ma anche e soprattutto “etico”.Come definire infatti comportamentiche rasentano la illegalità come alcu-ne – diffusissime - prassi di “rimborsispese forfettari” per servizi svolti da“volontari”, che nei fatti rappresenta-no delle vere e proprie, ancorché nondichiarate, retribuzioni e, spesso, del la-voro sottopagato? Come definire ilcomportamento di certe cooperativeche, pur sostenendo di voler operarenel mercato – e perciò secondo le re-gole di una sana “produttività econo-mica”- nei fatti rasentano la bancarot-ta - quando non anche il falso in bi-lancio - per le proprie scelte pocomanageriali e del tutto avulse dal mer-cato stesso?Non ho dubbi nel pensare che l’anti-doto, da adottare al più presto (nel ca-so - del tutto teorico si intende! - incui si possano ritrovare questi com-portamenti anche nel mondo a noi vi-cino), è quello della “riemersione”

53

P RO N T I A S E RV I R E

Page 56: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

dalla opacità della gestione e del pie-no ritorno alla legalità ed al rispetto dichiari principi di sana ed economicagestione: l’adozione e il rispetto delleregole – dalle normative e leggi delpaese ai “regolamenti interni” ed allenorme economiche più elementari -è l’unica via di uscita per ripristinareuno stile di comportamento in cui,per dirla con terminologia Agesci,“l’economia” (nel senso più ampio deltermine”) sia davvero “al servizio del-l’educazione”.La seconda sindrome, anch’essa moltopericolosa, è “la sindrome del qua-dro”, o meglio (cioè peggio) “la sin-drome del quadro perenne”, del qua-dro “permanente”, rappresentata dal-l’affermarsi di numerosi “professionistidel servizio” che – secondo le defini-zioni di cui più sopra - sono una ne-gazione del concetto di servizio stes-so. Aiuta, in questo caso, la autorevole

definizione che è stata data da PapaFrancesco, nella sua “Evangelii Gau-dium”, circa la “tentazione del funzio-nalismo manageriale”, quando stig-matizza comportamenti “il cui princi-pale beneficiario non è il Popolo diDio ma piuttosto la Chiesa come or-ganizzazione”5. Mutatis mutandis,pensando al rischio che, in una asso-ciazione educativa, si può correre nel-l’avere capi sistematicamente più de-dicati alle strutture che alle persone,potremmo decidere che – per evita-re di cadere in questa sindrome e con-temporaneamente per valorizzare tan-ti capi e capo che non vengono maicoinvolti nei servizi di quadro - siasufficiente sollevare il problema dellaopportunità di frequenti avvicenda-menti ovvero, se proprio necessario,introdurre dei veri e propri tetti al nu-mero di anni di servizio di quadro cheognuno può svolgere.

E tutto ciò nell’ottica di valorizzare idiversi talenti presenti in ciascuna or-ganizzazione e, come nella lettera diSan Paolo 6, con l’obiettivo di non vo-ler confondere le diverse membra e idiversi carismi fra loro.

Ale Alacevich

1 Definizione tratta da I Grandi Diziona-ri Garzanti.

2 Da Il concetto scout di servizio, B.-P. Tac-cuino, Fiordaliso editore, Roma, 2009

3 Agesci, Patto associativo, paragrafo su“l’Associazione”.

4 Agesci, Regolamento Metodologico, art. 20(Educazione al servizio) e Regolamentodi branca R/S, art. 12 (Servizio).

5 Evangelii Gaudium, 95.6 San Paolo, 1 Lettera ai Corinzi, 12.

54

P RO N T I A S E RV I R E

Page 57: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Premessa e indiceLe parole mutano significato nel tem-po sia per un uso distorto o smodatosia perché il contesto che cambia lepropone con accezioni diverse daquelle originarie; importante pertanto

farne costante manutenzione cercan-do di mettere sotto osservazione i fat-ti e i dati, le tendenze e gli orienta-menti, le credenze e le mode, corre-lando tra loro queste categorie e so-prattutto mettendole in relazione con

i valori e i significati che a queste pa-role vogliamo attribuire. Ci proponiamo pertanto una velocerassegna di dati, orientamenti e signi-ficati di un universo in movimentoche raggruppa quattro macro aree te-matiche collegate tra loro. Le parolechiave delle 4 aree sono le seguenti:1. Servizio (vocazione e identità per-sonale);

2. Volontariato (volontariato organiz-zato; importanza sociale ed econo-mica del volontariato);

3. Organizzazioni no profit (lavorosociale, Welfare e sue evoluzioni);

4. Mercato, Stato, Società civile (inparticolare il così detto Terzo set-tore/no profit).

55

P RO N T I A S E RV I R E

Chiarire gli equivoci, proporre soluzioni

Realizzazione

Identità

SERVIZIO VOLONTARIATO

Volontariato

organizzato

Importanza

socioeconomica

del volontariato

ONP (organizzazioni noprofit), Associazioni egruppi di volontariato,Fondazioni, Coop. So-ciali, OMI (organizza-zioni a movente ideale),

Imprese sociali

MERCATO Contratti profitto

SOCIETÀ CIVILENo profit

STATO e suearticolazioni

Welfare State: versoun welfare della re-sponsabilità e ri-gene-

rativo

livello personale livello sociale livello istituzionale

Page 58: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

1. Per noi scout la dimensione del servizioè costitutiva della identità personale; èessenziale alla persona nella antropolo-gia cristiana: la vocazione alla solida-rietà, all’aiuto, alla relazione buona conl’altro riguarda perciò tutti.

Cosa intendiamo per servizio? Unaattività che risponde prima di tutto aibisogni di altri (chi è l’altro? Il mioprossimo, colui che nella vita incon-tro) e che volontariamente svolgiamocon continuità.Non c’è dunque tempo/lavoro chepossa chiamarsi estraneo da questa at-tività, che invece va insegnata e prati-cata, in forma diverse, dalla più teneraetà: è dunque un dovere morale libe-ramente scelto.

Pur essendo per noi un obbligo sap-piamo che si può vivere senza servirel’altro ma solo se stessi; questa è unatentazione sempre in agguato. C’è so-lo un caso (di coscienza) che può at-tenuare non la nostra volontà ma lapossibilità di servire: e sono i doveri di“status” cioè del provvedere all’essen-ziale per vivere, alla cura di coloro chemi sono affidati come madre, figlio, la-voratore, studente, marito...Chi è giudice della nostra pratica e delnostro orientamento al servizio? Lanostra coscienza formata dal confron-to con gli altri, dagli esempi virtuosi,dalla pratica costante. La nostra libertà

è chiamata ad esercitarsi in questa di-mensione e gli altri possono richia-marci, con le parole e i fatti, ad una vi-ta meglio orientata; l’esperienza ci di-ce che la coerenza di vita tra la di-mensione del servizio e quella deidoveri di status (il lavoro, la fami-glia...), è un dato fondamentale per lapiena realizzazione di sé.

Come principale dimensione relazio-nale il servizio non ci costruisce solocome persone ma contribuisce acreare una società più giusta e piùumana; nella antropologia scout del-l’Agesci c’è una visione dell’uomo, maanche di società cioè di rapporti tra gliuomini; la dimensione del servizionon solo mette in relazione ma segna-la più in generale l’importanza di do-nare: negli scambi tra persone (e nellasocietà, tra organizzazioni) non esistesolo lo scambio segnato dai contratti,ma anche lo scambio della amicizia edel dono: ambedue utili se consape-volmente praticati.

2. Abbiamo detto che il servizio è attività“volontariamente scelta”: il servizio ri-chiama dunque il fenomeno del volon-tariato; anche il volontariato prima diessere gratuito (non remunerato) è per“voluntas”, dunque non per imposizio-ne, non per obbligo contrattuale, non pernecessità: potrei fare casi di uso dellaparola volontariato in queste situazioni

(necessità, obbligo, imposizione, ma cre-do che ognuno ne possa aver conosciu-te): è chiaro che in queste situazioni siusa impropriamente il termine volonta-rio; il fatto di essere atto che non aspet-ta di essere remunerato è essenziale al-la azione volontaria.

Cosa è l’azione volontaria? È unaazione liberamente scelta, spontaneama in tendenza stabile e organizzata,di aiuto ad altre persone con i qualinon si hanno obblighi giuridici (icontratti) o morali (i doveri del pro-prio “status”), meglio se orientata alcambiamento, che una persona svol-ge; quante sono le persone che fannoazioni volontarie? Occasionalmentetante, stabilmente poche; le statisticheci dicono che il 10 % - solo il 10% -fanno azione stabile; nel 90% ci sonoanche quelle persone che vorrebberoma non possono, ma la maggioranzanon ritiene di doverlo fare.

Quando la azione volontaria si orga-nizza e si stabilizza, si professionalizza,diventa organizzazione di volontaria-to; il fenomeno delle organizzazioni divolontariato è tipico delle società ric-che che hanno risolto cioè i problemidi sopravvivenza (bisogni primari)della maggior parte della gente; c’èperciò una buona parte della popola-zione che ha un surplus di risorse(tempo, denaro, competenze) e una

56

P RO N T I A S E RV I R E

Page 59: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

minoranza di essa decide di metterequeste risorse a disposizione di tutti enon solo di consumarle in proprio persé e per la propria famiglia. In Italiail fenomeno è divenuto imponentenel dopoguerra.

Diventato visibile e riconoscibile, eccointerviene la Legge: non ho mai vistoleggi che creano fatti, ma piuttostoche li riconoscono e li orientano; dun-que lo Stato pensa che non tutto ciòche i cittadini fanno sia utile e da va-lorizzare, ma qualcosa sì. Così è nel no-stro caso: la legge riconosce la funzio-ne sociale (per la società) delle orga-nizzazioni di volontariato e dunquecerca di controllarne la attività e di aiu-tarle. Quando la legge interviene tut-ti dicono: “che bello, ci hanno ricono-sciuto!”, ma non è sempre solo cosi:la legge può essere fatta male; i soldimessi a disposizione possono favoriretruffatori; le radici motivazionali pos-sono annacquarsi. Tutto questo è acca-duto e accade ma ciò non toglie la po-sitività di un riconoscimento pubblicodella grande funzione sociale che svol-gono i volontari organizzati.

Problemi veri e falsi sui punti 1 e 2• Le diverse età della vita prevedonoservizi diversi che vanno propostifino a diventare una abitudine vir-tuosa; senza questa prassi il risuc-chio dell’egoismo, della maggioran-

za, del lavoro retribuito farà piazzapulita di questa dimensione; il ser-vizio imparato con gli scout fa par-te della dimensione personale: nonandrebbe utilizzato per fini perso-nali (politici, professionali, familia-ri...): nella mia esperienza scoutnon ho visto quasi nessuno farlo.

• Il volontariato organizzato si ispira enasce dalla dimensione di servizioma è cosa diversa da esso; le due di-mensioni però si possono alimenta-re reciprocamente e fruttuosamente:nella idea scout sono fondamentaliper la piena realizzazione di sé.

• Le motivazioni e i valori sono im-portanti per mantenere la rotta:vanno perciò manutenuti (ridefi-niti, precisati, ricapiti...) nel cam-biamento costante della società edelle condizioni di vita.

• La dicotomia che spesso si vuolevedere tra competenza volontaria ecompetenza professionale è fasul-la: tutto deve essere fatto bene siaesso fatto gratuitamente o in mo-do retribuito. Il gratuito riguardasolo il modo di trasferire (e nonvendere) le proprie competenze:lavorare gratis non giustifica lavora-re male.

• Il mito del non retribuito: non es-sere pagati non è la sola e certa mi-sura dell’altruismo e della solida-rietà; anche perché ci sono interes-si personali diversi dai soldi ma al-

trettanto forti (potere, visibilità...) eci sono modi di operare in campoeconomico che non consideranocentrali gli interessi economici.

• Il volontariato andrebbe ricompen-sato dallo Stato con servizi (sedi, adesempio) e rimborsi spese, non cer-to con corrispettivi per le presta-zioni che i volontari svolgono.

3. Organizzazioni no-profit, lavoro e so-cietà: la sociologia sta lavorando a pie-no ritmo nel mondo occidentale per de-scrivere un fenomeno tipico degli ulti-mi tempi: il crescere dal volontariato or-ganizzato, delle ONP (organizzazionino profit) - o delle OMI (organizza-zioni a movente ideale) – o delle Im-prese sociali.

Cosa sono le ONP? Sono organizza-zioni private (e non di diritto pubbli-co) che producono, in forma ricono-sciuta e trasparente, controllabile edesigibile, beni comuni e che hanno,sempre per legge, forti vincoli nor-mativi: non possono distribuire utili aiproprietari (ad es. soci o sovventori);devono organizzarsi con caratteristi-che specifiche (organi democratici,partecipazione...); devono dimostrareun forte legame col contesto sociale(trasparenza dei conti economici, ren-dicontazione pubblica dei risultati so-ciali...); insomma oltre quello che laLegge prevede per tutti.

57

P RO N T I A S E RV I R E

Page 60: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

Queste due grandi caratteristiche (pro-duzione di Beni e Servizi di pubblicautilità e non distribuzione degli utilieconomici agli azionisti), le fanno or-ganizzazioni “terze” cioè, di mezzo tralo Stato/Ente pubblico (che ha il man-dato istituzionale di perseguire il Benecomune) e il Mercato dove operanotutte le imprese e organizzazioni eco-nomiche private (che producono evendono prodotti e servizi). Il terzosettore è anche chiamato privato-socia-le distinguendolo dal pubblico e dalprivato di mercato.

Questo stare in mezzo (Terzo Settore)tra Stato (Primo settore) e Mercato(Secondo settore) esige una legisla-zione particolarmente attenta e ingran parte ancora in costruzione: in-fatti una ONP è una organizzazioneprivata cui vengono affidati compiti dirilevanza pubblica. In altri termini: ioStato riconosco la tua funzione neiriguardi di tutta la società e nello stes-so tempo accetto che ciò sia fatto nelmercato degli scambi economici: nonfacile, delicato e molto innovativo. Nascendo dal volontariato, gran partedella attività di queste organizzazioni siè storicamente rivolta al cosi detto“lavoro sociale” cioè ai servizi socio-as-sistenziali, in particolare verso le per-sone che vivono in situazioni di gravedisagio, ma non ci si deve limitare aquesto: nella storia e ancora più oggi

esistono tanti esempi di beni e serviziche possono essere gestiti comunitaria-mente in alternativa alla gestione stata-listica o privatistica: dalle foreste all’ac-qua, ai musei, alla ricerca...

Certamente la esperienza di trentaanni di lavoro nelle politiche socialidà una idea privilegiata di cosa dibuono e di male è stato fatto: è la evo-luzione del cosi detto Welfare State. Ibisogni dei cittadini sono progressiva-mente aumentati in aree presidiate al-l’inizio dalla sola azione volontaria(sostenuta da gruppi di cittadini o daEnti dedicati, ad esempio gli ordinireligiosi...); così attività che erano“fuori” sono entrate nel mercato de-gli scambi economici (scuole, ospeda-li, lavori di cura ...). Per qualche tem-po si è creduto che quasi tutti questinuovi bisogni potessero trovare rispo-sta nel circuito statale (in sintesi: ”piùtasse e più servizi”); il limite di questoorientamento è pensare che la manopubblica possa risolvere tutti i pro-blemi della esistenza di ognuno (“dal-la culla alla bara”); ci siamo accortiche non è cosi sia perché le risorsenon ci sono sia perché la delega alloStato deresponsabilizza la Società; daqui i nuovi concetti di Welfare mix/Welfare society. L’auspicio oggi è perun Welfare di comunità (o se prefe-riamo in un “active welfare state”),centrato sulla corresponsabilità; ma

occorre passare da una molto radicataidea individualistica dei diritti perso-nali a una idea collettiva degli stessi!

4. Si apre a questo punto la dimensionepolitico istituzionale. C’è chi dice:“Non ci bastava far funzionare e con-trollare meglio lo Stato con la sua ar-ticolazione (gli Enti locali) e le Impre-se tradizionali che producono ricchezzaprivata (ai proprietari) e pubblica (at-traverso la occupazione)? Che bisognoc’era del così detto Terzo settore?

Basta guardare i fatti: lo Stato arriva afare cose con lentezze, rigidità, costieccessivi: il modello di una economiasolo pubblica non è oggi condiviso danessuno; in Italia la economia pubbli-ca è ben oltre il 50% del PIL (Prodot-to Interno Lordo) italiano; però, ri-spetto alla media europea, è fatto ingran parte di trasferimenti monetari(pensioni) che creano disuguaglianze enon di servizi che possono creareuguaglianza. Queste “ nuove” orga-nizzazioni (le ONP) hanno fatto oc-cupazione e dunque sono diventateattrattive realizzando dal 2001 al 2011un trend di + 40% di occupati (mol-to più delle Imprese tradizionali e del-lo Stato); d’altra parte il Mercato tra-dizionale non produce beni e servizi abassa redditività perché la remunera-zione del capitale investito è troppobassa o assente e dunque tendenzial-

58

P RO N T I A S E RV I R E

Page 61: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

mente non si rivolge dove non c’è unaforte domanda (risorse) privata spen-dibile. Perciò una delle più grosse novità cul-turali nella quarta rivoluzione indu-striale (elettronica e mercati globali)in cui stiamo vivendo in Occidente èproprio che la “funzione pubblica”non è solo dell’Ente Pubblico ma puòessere svolta da Organizzazioni priva-te. Potremmo anche dire che nella“Società del Benessere” che è alla ri-cerca di senso e significati, gli econo-misti hanno finalmente capito che laricchezza di un Paese non è più unindicatore di successo se non mantie-ne i suoi legami con la vita civile e lasfera morale; la ricchezza monetariaanche in termini di stipendi non sod-disfa i più avveduti e attenti: contin-gentare la propria retribuzione per ri-distribuirla, destinare risorse alla inclu-sione sono oggi comportamenti pro-fetici in campo economico e sociale.Se pensiamo inoltre allo storia dellosviluppo italiano ci accorgiamo che lepiù grandi fasi di sviluppo socio-eco-nomico-culturale si sono realizzatequando tre livelli “istituzionali“ (usoprovocatoriamente questa parola chenel linguaggio tradizionale si limita al-le istituzioni elettive): l’Ente Pubbliconelle sue articolazioni, la Società ci-vile organizzata, il Mercato delle im-prese, hanno trovato modalità comu-ni e sinergiche di lavoro.

La convergenza di questi tre livellipresuppone una visione alta dellaconvivenza civile e della idea di svi-luppo; è un modello nuovo di econo-mia che deve nascere. Oggi per met-tersi su questa strada occorre ad esem-pio una riforma legislativa del TerzoSettore (vedi le Linee guida propostedal Governo e frutto di un gruppo dilavoro interparlamentare molto quali-ficato); risorse private da parte delMercato socialmente responsabile enon speculativo; volontà delle Orga-nizzazioni del Terzo settore di non vi-vere di rendita o, peggio, nella retori-ca del “proprio“ valore, ma conti-nuando ad essere attori in prima per-sona del cambiamento.

Problemi veri e falsi sui punti 3 e 4 • Tra un lavoratore del settore pub-blico, di quello privato e del priva-to/sociale che differenza c’è? Inrealtà, fuori dai luoghi comuni, nes-suna: possono essere bravi tutti e trema ognuno può avere le sue pato-logie specifiche (veri e propri dé-moni) da cui consapevolmente fug-gire; se l’apporto della singola per-sona al suo lavoro (responsabilitàpersonale) è fondamentale (dap-pertutto si possono fare solo i pro-pri interessi individuali ovvero per-seguire quelli collettivi) tuttavia lacultura organizzativa di un ambien-te può influenzare bene o male gli

atteggiamenti e i comportamenti;rimando gli esempi alla esperienzadi ognuno.

• Tutti i lavori sono dunque uguali?Certo il lavoro dovrebbe essererealizzazione di sé; non basta dun-que che sia lecito e legittimo: do-vrebbe essere soddisfacente per chilo svolge e anche utile agli altri uo-mini: è difficile dire questo in unaepoca di disoccupazione giovanileoltre al 30% ma quante sciocchez-ze in questi anni sull’obbligo cheallo studio segua un lavoro ade-guato (a cosa?) o sul lavoro manua-le. Personalmente ho imparato adapprezzare le soddisfazioni moralie il clima di fiducia reciproca chepuò dare una organizzazione noprofit gestita bene.

• Permane l’equivoco volontariato -lavoro sociale: lavorare in modo re-tribuito in favore dei soggetti de-boli non può e non deve dare diper sé nessuna patente di bontà oaltruismo; certo il lavoro nei servi-zi alla persona richiede sensibilità eumanità oltre a professionalità tec-nica, ma questo vale per tutti i la-vori che si realizzano in contesticollettivi e, secondo la nostra vi-sione, va cercata in ogni lavoro.

• Poiché molte attività sociali (edu-cative, assistenziali, di cura) vengo-no svolte da volontari (o addirittu-ra dalle famiglie) l’opinione pub-

59

P RO N T I A S E RV I R E

Page 62: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

blica chiama spesso volontariato evolontari tutti coloro che operanoin questo settore senza riuscire di-stinguere le organizzazioni di vo-lontari da quelle che operano construttura di impresa; questo nonvuol dire però che una ONP nonpossa usare lavoro volontario inmodo trasparente e legale: anziquesto significa che la sua reputa-zione è alta e i suoi conti traspa-renti.

• Che differenza c’è tra una impresache devolve parte degli utili inbeneficenza e una impresa social-mente responsabili e una impresasociale? Sono tre filosofie diverse(con molte variabili intermedie) ecomplementari che cercano diprodurre capitale sociale e ric-chezza collettiva; di fatto questotipo di imprese sono ancora una

piccola minoranza nel mondo im-prenditoriale.

Conclusioni: la grande sfidaNel tempo del recupero della respon-sabilità comune (e la dimensione diservizio ne è il segno più inequivoca-bile) occorre cercare ognuno il valoredella coerenza (meglio dire coerenzache conciliazione) nella propria vitatra le dimensioni e i contesti diversi.Un modello economico (capitalista)sembra esaurito: gli ultimi Papi hannoposto con forza il tema del cambia-mento (Benedetto XVI nella “Caritasin veritate” e Francesco nella recentis-sima “Evangellii Gaudium”; hannoparlato contro le distorsioni non piùtollerabili della economia cioè control’iniquità (non si può tollerare che sigetti il cibo quando c’è gente chemuore di fame) e contro la esclusione

con un approccio rivoluzionario, cioèsostenendo che la logica mercantile vafinalizzata al bene comune ponendodunque la questione che lotta a ini-quità e esclusione si possa fare senza ri-nunciare a produrre valore economico;questa è la sfida.La legislazione, come spesso capita inItalia (ma non solo), non aiuta perchéil legislatore è lento e confuso; questopuò facilitare i comportamenti oppor-tunistici da parte delle imprese tradi-zionali che si camuffano da enti noprofit; da parte degli enti locali checercano volontari da pagare sotto co-sto; da parte del Terzo Settore che puòapprofittarne sul piano fiscale. Nono-stante ciò l’economia civile e la im-presa sociali rappresentano una chan-ce fondamentale per vincere la sfida.

Roberto d’Alessio

60

P RO N T I A S E RV I R E

Page 63: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

SERVIREPubblicazione scout per educatori

Fondata da Andreae Vittorio Ghetti

Direttore: Andrea Biondi

Condirettore: Gege Ferrario

Capo redattore: Stefano Pirovano

Redazione: Alessandro Alacevich, p. Davide Brasca,Roberto Cociancich, Anna Cremonesi, Maurizio Crippa,Roberto D’Alessio, Federica Fasciolo, Laura Galimberti,Mavi Gatti, Piero Gavinelli, don Giuseppe Grampa,Franco La Ferla, Giancarlo Lombardi, Davide Magatti,Agostino Migone, Luca Salmoirago, Anna Scavuzzo, SaulaSironi, Gian Maria Zanoni.

Collaboratori: Stefano Bianchi, Achille Cartoccio, MariaLuisa Ferrario, p. Giacomo Grasso o.p., Cristina Loglio,Giovanna Pongiglione, p. Remo Sartori s.i.Grafica: Gigi Marchitelli Disegni: Fabio Bodi

Direttore responsabile: Sergio Gatti

Sito web: www.rs-servire.org

Stampa:Mediagraf spa - viale della Navigazione Interna, 89- Noventa Padovana (PD)

Tiratura 32.000 copie. Finito di stampare nell’ottobre 2014

C A R T O L I N A D I S O T T O S C R I Z I O N EP E R L ’ A B B O N A M E N T O 2 0 1 4

Mi abbono per il 2014 ai quaderni di R-S Servire

Nome ...................................... Cognome ........................................................

Indirizzo ...........................................................................................................

CAP ...................... Città .......................................................... Prov .............

ho versato l’importo di sul ccp. 54849005 intestato a Agesci, piazza Pasquale Paoli 18, 00186 Roma, indicando la causale

firma ................................................................

abbonamento annuo 20 abbonamento biennale 35 sostenitore 60 estero 25

Tutela della privacy - Consenso al trattamento dei dati personali

Preso atto dell’informativa resami ai sensi dell’art. 13, Dgls n. 196/2003 e noti i diritti a me riconosciuti ex art. 7, stesso decreto:

acconsento non acconsento al trattamento dei miei dati comuni e nei limiti indicati nella menzionata informativa;

acconsento non acconsento al trattamento dei miei dati sensibili, per le finalita e nei limiti indicati nella menzionata informativa.

Firma _________________________________________________

fotocopia il coupon e invialo in busta chiusa a: Agesci - Segreteria stampa - piazza Pasquale Paoli 18, 00186 Roma

Page 64: Pronti a servire - Roberto Cociancich · pegnative e, per me, dolorose. Non penso che sia giusto mantene-re delle responsabilità se non si è in grado di onorarle. Questo vale anche

La comunità non ha bisogno dipersonalità brillanti, ma di fedeliservitori di Gesù e dei fratelli

La vera autorità è consapevole che ogni immedia tezza proprio nel

campo dell’autorità è un male, che essa può affermarsi solo nel servizio

di colui che, unico, ha autorità. La vera autorità sa di essere legata, nel

senso più stretto, alla Parola di Gesù: «Uno solo è il vostro maestro, e

voi siete tutti fratelli» (Mt 23, 8). La comunità non ha bisogno di

personalità brillanti, ma di fedeli servitori di Gesù e dei fratelli. E real -

mente essa non manca delle prime, ma di questi ultimi. La comunità

concederà la sua fiducia solo ai semplici servitori della Parola di Gesù,

perché sa che da questi sarà guidata non in base a sapienza ed orgoglio,

ma secondo la Parola del buon Pastore.

La questione spirituale della fiducia, strettamente connessa con quella

dell’autorità, si decide in base alla fedeltà con cui uno serve Gesù

Cristo, e mai in base alle qualità eccezionali di cui dispone. Autorità

nella cura d’anime può averla solo il servitore di Gesù, che non cerca la

sua propria autorità, ma che pone se stesso sotto l’autorità della Parola

ed è un fratello tra fratelli.

D. Bonhoeffer, La vita comune, Queriniana, Brescia, 2012

I.R.