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PPRROOGGEETTTTOO CCOOMMUUNNIISSTTAAPeriodico del Partito di Alternativa Comunista sezione della Lega Internazionale dei Lavoratori (Quarta Internazionale)ALTERNATIVACOMUNISTA.org DDiicceemmbbrree 220011 33 ,, GGeennnnaaiioo 220011 44 ,, NN°°4433 ,, 22€€ ,, AAnnnnoo VVII II II ,, NNuuoovvaa sseerriiee

Bilanci e prospettiveLLee mmoobbiilliittaazziioonnii ddeell 1188 ee 1199 oottttoobbrreeProgetti di rilancio, battaglie interne e crisi verticaliSSeell ee RRiiffoonnddaazziioonnee:: eeccccoo ccoossaa ssii mmuuoovvee

42­3

Quattro pagine a cura dei giovani del PdacSSiirriiaa:: ppeerrcchhéé PPuuttiinn aappppooggggiiaa AAssssaadd15 Il punto sulla situazione brasilianaBBrraassiillee:: rriiffoorrmmiissmmoo ppeerrmmaanneennttee oo rriivvoolluuzziioonnee ppeerrmmaanneennttee??14 ll''iinnsseerrttoo ddeeiiGGIIOOVVAANNII ddii AALLTTEERRNNAATTIIVVAA CCOOMMUUNNIISSTTAAnellepagineinterne

SPED.A

BB.POST.A

RT.1COMMA2D.L.353/03DEL24/12/2003(CONV.INL.46/04DEL27/02/2004)DCBBARI

Un'analisi dalla sezione russa della Lit – Quarta Internazionale

Adriano Lotito

Scrivevamo nell'editoriale delloscorso numero che la crisi, lungidal rallentare come alcuni eco­nomisti e ministri profetizzava­

no, si sarebbe aggravata e approfonditagiungendo a livelli mai visti in passato.Non lo scrivevamo per affezione alcatastrofismo né perché presumiamodi avere una sfera di cristallo attraversocui esplorare le pieghe del futuro; loaffermavamo poco tempo fa e lo riba­diamo adesso, perché ce lo dicono ifatti; quei fatti tanto acclamati quantoignorati che sembrano essere dellestampelle a cui fare ricorso quando facomodo, per poi abbandonarle in unangolino quando cominciano a farciinciampare. Ebbene, i fatti dicono que­sto, in rapida sintesi: il tasso di disoccu­pazione in Italia aumenta, attestandosial 12,5%, eguagliando il picco del 1977;il numero dei disoccupati arriva a 3 mi­lioni 189 mila, aumentando del 9,9% ri­spetto allo scorso anno; il numero dicoloro che non cercano nemmeno la­voro perché scoraggiati è arrivato a 1milione 901 mila su base trimestrale,una cifra mai raggiunta prima; il datopiù preoccupante è sicuramente quelloche riguarda la disoccupazione giova­nile, che ha raggiunto il massimo stori­co: 42,2% (mentre solo nel 2010 lostesso si attestava al 26%); anche in Eu­ropa cresce la disoccupazione dei gio­vani fino a 25 anni: Eurostat registra ilnuovo record storico a 24,4% (3,577 mi­lioni senza lavoro, 15.000 in più rispettoa settembre quando il tasso era al24,3%), 12 mesi prima era al 23,7%.Nello stesso tempo la ricchezza, lungidal diminuire, aumenta e si concentrain una cerchia sempre più ristretta: il10% delle famiglie italiane possiedequasi la metà della ricchezza nazionale(che si attesta intorno agli 8mila mi­liardi di euro); il numero dei milionariin un anno è aumentato del 9,5%mentre dal 2007 a oggi il numero dellepersone considerate indigenti è ra­doppiato (da 2,4 milioni a 4,8 nel 2012);questo per comprendere la cifra delladisuguaglianza sociale a cui questo si­stema ci ha condotto e il baratro versocui sta portando i lavoratori e le nuovegenerazioni(1).

La soluzione del governo Letta:continuare l'austerità,colpire lavoro e saperi

Il governo delle larghe intese antiope­raie intanto si è dato da fare. La temu­tissima legge di stabilità si è confermataper quello che ci aspettavamo: l'enne­sima mitragliata contro i diritti dei la­voratori e dei giovani fatta passarecome panacea rispetto alle scorse ma­novre. Partiamo dal pubblico impiego:in uno dei settori più colpiti dalle ultimemanovre l'attacco continua con ilblocco degli scatti di anzianità e ilcongelamento dei contratti per i pros­simi due anni e con l'impossibilità dirinnovare i contratti scaduti o prossimialla scadenza; un provvedimentodoppiamente duro per i lavoratori dellascuola, perché il contratto è scaduto giàda quattro anni e le retribuzioni di do­centi e personale Ata si sono nelfrattempo svalutate del 12/15%;sempre rispetto a scuola e università,

Crisi e austerità:un programma rivoluzionarioper rispondereagli attacchi del governo

CCOONNTTRROO II GGOOVVEERRNNII DDEEII PPAADDRROONNII!!TTUUTTTTOO IILL PPOOTTEERREE AAII LLAAVVOORRAATTOORRII!!

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2 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTAPOLITICA

la manovra prevede un rifinanzia­mento massiccio per le scuole private,su pressione del clero, che ammonta a220 milioni di euro (somma che siaggiunge a quella già erogata nel 2013pari a 260 milioni, per un totale di 480milioni di soldi pubblici regalati a entiprivati e clericali); e si rivela essereuna misura di mera propaganda quelfinanziamento all'università pubbli­ca di 150 milioni se si guarda al tagliodi 760 milioni perpetuato negli ultimiquattro anni da Tremonti in poi; cosìcome di propaganda si tratta quandosi parla della proposta di un redito mi­nimo garantito che sarebbe inseritanel maxiemendamento presentatodal governo, ma su questo vogliamoprenderci un poco più di spazio. Il Sia,Sostegno per l'inclusione attiva, sa­rebbe “una misura universale”, comesi legge nel testo, ma in realtà si riferi­sce unicamente ai nuclei familiari eprende come criterio di erogazioneun paniere di consumo di beni e servi­zi di mercato ritenuto decoroso,configurandosi dunque come una mi­sura che serve a contrastare la povertà“assoluta” delle famiglie e non fina­lizzata a garantire l'autodetermina­zione di ciascun individuo (cosad'altronde impossibile all'interno diquesto sistema). E per fugare ognidubbio sul carattere esclusivamentepubblicitario di questo provvedi­mento basta dare un'occhiata ai fondistanziati per questo Sia: la miseria di120 milioni per tre anni, quando di­versi economisti hanno dimostrato

che per istituire un redito minimo di500 euro mensili (che noi riteniamototalmente insufficiente) la sommada stanziare varia dai 4 ai 36 miliardi dieuro (a seconda dei soggetti che nepossono usufruire)(2) . Contro questospot provocatorio e irrispettoso neiconfronti dei milioni di disoccupati,precari e scoraggiati che vivono in Ita­lia, noi avanziamo la nostra proposta,già lanciata nel corso di alcunecampagne sui territori che hannoraccolto un notevole consenso: isti­tuire un redito sociale pari al salariomedio di un lavoratore, comprensivodel sussidio di disoccupazione e ri­volto a disoccupati, precari, operai incassa integrazione e in mobilità e gio­vani scoraggiati. Una misura che do­vrà essere finanziata con i soldistanziati per le spese militari (per lequali spendiamo 50mila euro al mi­nuto, 3milioni ogni ora e 73 milioniogni giorno) e per le grandi opere inu­tili (dal Tav Torino­Lione allaTangenziale est Milano fino ai ga­sdotti progettati in Puglia). Chiara­mente non si tratta di unarivendicazione isolata e sufficiente asé stessa, ma da inquadrare in unaprospettiva di trasformazione dellasocietà in senso socialista, e dunqueda affiancare ad altri obiettivi transi­tori tra cui ricordiamo la proposta diuna scala mobile dei salari e dell'ora­rio di lavoro per lavorare meno e lavo­rare tutti (unica soluzione per ilcompleto riassorbimento delladisoccupazione).

Il nuovo piano di

privatizzazionie la nostra posizione:il potere ai lavoratori!

Nonostante una politica decisamente“responsabile” verso il grande capitale,la Troika ha bacchettato il governo Lettaconsiderando non sufficiente la leggedi stabilità e chiedendo ancora più sa­crifici perché la borghesia italiana pos­sa ottenere un “bonus investimenti”. Larisposta di Letta non si è fatta attendere:privatizzare il patrimonio pubblico. Ecosì è uscita la lista dei regali al capitaleper un valore di 12 miliardi di euro: sulmercato l'Eni, Fincantieri, Sace, Enav,Stm, Cdp Rieti e Grandi Stazioni. E unsecondo turno potrebbe riguardare, se­condo alcune indiscrezioni, ancheFerrovie e Poste. Numerose critiche ariguardo sono state avanzate, anche dalcentrodestra, e quindi è necessario ri­badire la nostra posizione, una posizio­ne di classe in merito alla questione: noida comunisti ci opponiamo incondi­zionatamente a ogni forma di pri­vatizzazione degli enti pubblici, manello stesso tempo non difendiamo ilpubblico per come si presenta oggi,avanzando al contrario la parolad'ordine della nazionalizzazione senzaindennizzo di tutti i settori della produ­zione e di tutti i servizi sociali e dunquela messa in gestione di questi da partedei lavoratori stessi e della cittadi­nanza. Per noi “pubblico” non significalottizzazione del controllo tra gruppi dipotere e apparati burocratici di partitima significa gestione e controllo socia­le della produzione, della distribuzionee dei servizi. Una gestione che dovràavvenire per mezzo di istituzioni create

e gestite dai lavoratori stessi e parteci­pate socialmente: una gestione sociali­sta dell'economia. Avanzare unprogramma di questo genere serve percontrastare sia la visione neoliberistadel “privato è meglio”, sia la tradizionaleconcezione keynesiana dell'interventostatale. Per il marxismo rivoluzionario,è sempre utile ribadirlo, “pubblico” nonsignifica “gestione statale”, ma “gestio­ne operaia”: una differenza di classe.

Per costruire il programmac'è bisogno del partito

Ma per costruire un progetto simile, einnanzitutto per rispondere ai colpiportati dal governo alla classe lavoratri­ce e alle nuove generazioni, c'è bisognodi un movimento di massa e di classe;un movimento che per ora in Italia nonè ancora nato. Se guardiamo alle pocheesperienze di lotta avutesi in Italia negliultimi mesi ci accorgiamo che ancoratanta è la strada da fare, e tutta in salita.Lo sciopero del sindacalismo di basedel 18 ottobre è stato sì importante, maframmentato e non organizzato au­tenticamente dal basso; la grande mo­bilitazione del 19 ottobre per la casa e ilredito rischia di essere una fiaccola eniente più, soprattutto perché egemo­nizzata da soggetti che non affermanoun punto di vista di classe e chedisperdono la radicalità delle masse inun vocabolario estetico e infantile(l'inneggio alla sollevazione e allavendetta quasi come sfogo fine a séstesso di una rabbia latente ma pococostruttiva); le stesse vertenze sul terre­no della logistica, che sono state

esempio di radicalità e determinazionee che hanno visto nascere una piccolama importante avanguardia proletariadi lotta, rischiano di implodere se non siestende la solidarietà e se non si uni­scono ad altri settori della classe lavo­ratrice e ad altri soggetti sindacali e dimovimento. Per questo le compagne e icompagni di Alternativa comunista so­no in prima fila per organizzare l'unitàdelle lotte e cercare di costruire una retesempre più estesa di solidarietà di clas­se; con questo intento lavoriamodentro il Coordinamento No Austerity,insieme ad altri soggetti e singoli attivi­sti provenienti da diverse esperienzema con una meta comune: unire le lotteper respingere gli attacchi del padro­nato e dei suoi governi e costruire unmovimento radicale di massa. Ma inquanto marxisti riteniamo anche che ilmovimento, da solo, non possa bastare,e che la classe lavoratrice può auto­organizzarsi unicamente medianteun'avanguardia, una direzione, unpartito rivoluzionario perché basato sulprogramma della rivoluzione sociali­sta, ovvero sulla prospettiva di un go­verno dei lavoratori e per i lavoratori.Per questo riteniamo fondamentaleoggi lavorare per costruire questopartito che manca e che solo può porta­re la vittoria sul capitalismo, sui suoipartiti e non­partiti e sui suoi governi.

Note

(1) Per i dati statistici elencati abbiamoconsultato i siti dell'Istat e dell'Eurostat(2) ilcorsaro.info

Sinistrariformista:eccocosasimuove...... tra progetti di rilancio e crisi verticali

PROGETTO COMUNISTAPeriodico del PARTITO DI ALTERNATIVA COMUNISTAsezione della Lega Internazionale dei Lavoratori , Quarta Internazionale

Dicembre'13-Gennaio2014–n.43–AnnoVIII–NuovaserieTestata: Progetto Comunista – Rifondare l'Opposizione dei Lavoratori.Registrazione:n. 10 del 23/3/2006 presso ilTribunale di Salerno.Direttore Responsabile:Riccardo Bocchese.

Condirettori Politici:Adriano Lotito, Mauro Buccheri.Redazione e Comitato Editoriale:

Giovanni“Ivan” Alberotanza, Matteo Bavassano, Mauro Buccheri,Patrizia Cammarata, Adriano Lotito, Claudio Mastrogiulio,Mauro Pomo,ValerioTorre.

Grafica e Impaginazione: Giovanni“Ivan” Alberotanza[Scribus+LibreOffice su Debian GNU/Linux]

Stampa:Litografica '92 – San Ferdinando di PugliaEditore:ValerioTorre, C.soV.Emanuele, 14 – 84123 Salerno.

Scriviunae-mailallaredazione: [email protected] telefonico: 328 17 87 809

Claudio Mastrogiulio

Negli ultimi mesi, caratterizzati dall'equili­brio precario su cui si regge il cosidetto“go­vernodellelargheintese”, ilquadropoliticoè stato pressoché totalmente egemo­

nizzato dalle vicende interne alla maggioranza bi­partisan che appoggia il governo Letta.Ma qualcos'altro si è mosso e, soprattutto,qualcos'altro è definitivamente andato in frantumi.Andiamo per ordine; perché per capire quel che acca­de nel mondo della sinistra riformista (Sel edadentellati vari) più che un'analisi politica, sembre­rebbe esserci bisogno di un attento antropologo, so­prattuttonelcasodelpartitodelgovernatorepugliese.

Gli sviluppi su SelEdèpropriodaSinistraEcologiaeLibertàchepartiamoin questo nostro breve intervento. Un partito che, dopolascissionedalPrc,eranatoconl'obiettivoprincipaledicolmare quello spazio politico che potremmo definiretipicodellasinistrariformista.Unapprocciodialleanzestabili e costanti con il più grosso partito liberale delPaese, vale a dire il Pd, in un'ottica di conquista, voltaper volta, di uno strapuntino nel sottobosco governati­vo, locale e nazionale.Dunque, al di là delle roboanti ed al contempo vuoteparole del suo presidente, questo era l'obiettivo con cuiSel nasceva e, nei primi tempi, andava sviluppandosi.Senonché, la caduta del governo Berlusconi, nel no­vembre del 2011, ha scombinato i piani diVendola e dei

suoistrateghi, tantoèveroche,nelmomentoincuiilPdha stretto l'accordo con l'allora Pdl dando vita prima algovernoMontiepoi, finoallostrappodiqualchegiornofadiBerlusconi,algovernoLetta,Selsièritrovatainunaposizione di isolamento.Èinquestosensochevannolettigliabboccamenticonivari residui della sinistra riformista sindacale (Landini)e para­intellettuale (Rodotà).Arrivando ai tempi più recenti, fermo restando il puntoche il culto della personalità di Vendola resta il trattoprincipale di questa aggregazione politica, c'è da sotto­lineare come sia praticamente impossibile separare idestini personali del presidente pugliese da quelli dellasua creazione.In tantissimi nostri articoli, negli scorsi numeri di que­sto giornale, abbiamo scritto di comeVendola abbia fa­vorito, in Puglia ma non solo, con atti politici edamministrativi, le grandi multinazionali in cerca di fa­cile profitto nelle terre del Sud. Abbiamo più volte ri­cordato dei finanziamenti inverecondi ai vari Natuzzi,Marcegaglia, Divella, Eni, fino ad arrivare all'Ilva.Ed è, infatti, proprio in riferimento alla questionedell'Ilva che Vendola si è probabilmente giocato ogniresidua credibilità politica, per quanto scarsa essa giàfosse.Nelle ultime settimane un noto quotidiano italiano hapubblicato alcune conversazioni, finite in un'inchiestagiudiziaria sui disastri ambientali causati dall'Ilva a Ta­ranto (sulla quale inchiesta non nutriamo alcunaaspettativa), tra il governatoreVendola ed il braccio de­stro del padrone Riva, l'adetto alle relazioni istituziona­

li dell'azienda, Girolamo Archinà.Al di là del tono schifosamente amiche­vole cheVendola utilizza con questo veroe proprio massacratore delle vite e dellasalute dei tarantini, da queste conversa­zioni si evince come Vendola sia to­talmente asservito alle logiche delpadrone dell'acciaio (e non solo,aggiungiamo noi).Il punto è che Ilva ha perpetrato, e conti­nua a farlo tuttora, uno scempioambientale di proporzioni enormi, con ri­percussioni gigantesche sul futuro dellefamigliedeglioperaidell'Ilvaedicolorochevivono nei pressi dello stabilimento. E no­nostanteciò, l'ambientalistaVendolatrattaipadronidell'Ilvacomedeibenefattori,anzisi mette al loro servizio nella maniera piùservile che potesse immaginarsi!Il quadro è chiaro, ed è sostanzialmentequello che i nostri compagni pugliesi delPdac vanno dicendo da anni: Vendola, uti­lizzando l'aura da riformatore progressistaoltre che una vuota dialettica da venditore difumo, ha svenduto e calpestato gli interessidelle classi sociali più deboli del territorio pu­gliese per anni, introiettando indicibiliappoggi politici e, con tutta probabilità, so­stanziosi sovvenzioni di carattere materiale.Questo è Sel: un comitato elettorale al servizio di un fe­dele passacarte delle multinazionali che inquinano,delinquono, macinano profitti enormi sulle spalle esullasalutedellastragrandemaggioranzadellapopola­zione. Coloro che sono stati attratti, anche ingenua­mente, da questo “progetto” politico, apranodefinitivamente gli occhi, e prendano l'unica decisioneche sia conseguentemente orientata; contribuire, cioè,alla costruzione di quell'organizzazione rivoluzionariache ancora manca ma di cui, tanto più in questa situa­zione generale, c'è assoluta necessità.

Il cantiere dei vari Landini e Rodotà...Lamanifestazionedel12ottobreindifesadellaCostitu­zione ha rappresentato ufficialmente l'ingresso incampo di un nuova area, non strutturata come partito,che consideriamo espressione della sinistra riformistain campo politico e di opinione in generale. Non è uncaso, infatti, che Landini sia sempre stato uno degli uo­minidipuntasucuiSel,cioèlasinistrariformistapoliti­ca, ha puntato nel corso degli anni scorsi, quandosembrava che il segretario della Fiom fosse il paladinodei diritti dei lavoratori.Anche in questo caso, è doveroso ricordarlo, avevamoragione noi quando mettevamo in guardia quei lavo­ratori che, anche in buona fede, di fronte all'attacco pa­dronale dei vari Marchionne e Marcegaglia, si legavanomani e piedi alle uscite televisive del presenzialistaLandini. Il quale, dal canto suo, non ha mai fatto nullaper giustificare tutto questo seguito e fiducia, bastipensareallalungaseriediaccordichelaFiom,sulpiano

locale e disingole aziende, ha firmato in un'ottica di

accomodamento agli interessi padronali, oltre alla ti­midezza mostrata sul tema dello svuotamentodell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori.La manifestazione in difesa della Costituzione, diceva­mo, oltre ad essere stata numericamente non impo­nente per quanto gli organizzatori si aspettassero, harappresentato il tripudio della retorica riformista e ditutto il suo portato mistificatorio: appelli a Napolitano,necessità di rilanciare la Costituzione “più bella delmondo”, ecc. ecc.Il tuttosenzaricordarsichequesta“straordinaria”cartacostituzionale ammette, tollera e difende lo sfrutta­mento quotidiano che un pugno di milionari perpetraneiconfrontidellastragrandemaggioranzadellemassepopolari; che questa Costituzione, tra le altre cose,consideralegalechecisipossaappropriaredelfuturodiun lavoratore come se nulla fosse, consentendo di sca­ricarlo quando si ritiene economicamente non più uti­le.Questo è quello che, nel contesto della sinistra, i mili­tanti più onesti e conseguenti dovrebbero comprende­re: non è difendendo la Costituzione, che è la veste(forse) più presentabile (ma resta una delle suesembianze) con cui si palesa il sistema economico deldominio capitalista, che si cambieranno realmente lecose.Solo costruendo un'organizzazione politica autenti­camente rivoluzionaria si potranno mettere in discus­sione le fondamenta di questo sistema iniquo edecadente; ed è a questo progetto che i comunistidebbono tendere e lavorare. (26/11/2013)

segue dalla prima

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 3POLITICA

Rifondazione:ultimocongresso?Le correnti in lottae l'attesa di Cremaschi

Vanna Cicognini

In occasione del centenariodella nascita di Albert Ca­mus, premio Nobel per laletteratura nel 1957, è in

uscita il libro “Camus deve mori­re”, di Giovanni Catelli, edito daNutrimenti. L'opera ripercorre levicende storico­politiche del pe­riodo tra il 1956 e il 1960: in queglianni il grande scrittore francese sischierò con il popolo ungheresein seguito all'invasione sovietica,e fu protagonista, di fronteall'opinione pubblica mondiale,per il suo costante impegnocontro i metodi stalinistidell'Unione Sovietica. Forse,quella sua battaglia contro le lo­giche del potere e del dominio, glicostò davvero la vita.

Un complotto dei servizisovietici? Uno scenario

inquietante

L 'autore, attraverso immagini,documenti e testimonianze, ri­vela una verità inquietante, untassello che mancava, e che, co­me spesso accade, può cambiareil corso della storia. L'incidentenel quale perse la vita Camus fuabilmente provocato? Chi decisela sua morte? Con coraggio Gio­vanniCatellicompieun'indagineapprofondita, analizzandodettagli sepolti dal tempo, aspettidella sfera pubblica e privatadello scrittore, scavando per ri­portare in luce un disegnoperfetto, un complotto perpe­trato dai servizi segreti sovieticiper eliminare un uomo ritenuto

ostile. L'autore accede aiquaderni di Jan Zàbrana,poeta e traduttore ceco,concentrandosi su una ri­velazione da lui ricevuta:l'incidente stradale in cuimorì Camus fu organizzatodallo spionaggio sovietico.Con l'aiuto di Marie Zàbra­novà, vedova del poeta,l'autore ricostruiscel'atmosfera dell'epoca, eindaga sulle circostanzeche accompagnarono ildestino dei due uomini,accomunati da quella ri­velazione. È un libro de­nuncia, dal ritmonarrativo coinvolgente,che ha lo scopo di renderefinalmente giustizia adAlbert Camus e a coloroche hanno pagatodrammaticamente lapropria ribellione alcorso delle cose, il co­raggio di essere contro.

Un breve appunto sul libro “Camus deve morire”, di Giovanni Catelli

Francesco Ricci

Essendomi stato chiesto discrivere un articolo su“cosa si muove in Ri­fondazione”, potrei ca­

varmela con un titolo allaRemarque: “Niente di nuovo sulfronte occidentale”. Ma se l'immo­bilità più assoluta è quanto si vededi Rifondazione nelle piazze enelle (purtroppo ancora scarse)lotte in giro per il Paese, nonaltrettanto si può dire di quantoavviene all'interno di Rifondazio­ne dove la lotta ferve attornoall'imminente Congresso.

Le quattro correnti in lottain Rifondazione

Il IX Congresso nazionale si terrà aPerugia dal 6 all'8 dicembre.Tre sono i documenti: quello dellamaggioranza guidata da PaoloFerrero (l'ex ministro alla Solida­rietà sociale nel secondo governoimperialista di Prodi), quello diFalcemartello e quello di un pezzocritico staccatosi dalla maggio­ranza. Ci sono poi gli emenda­menti dell'area più consistentedopo quella di Ferrero, facentecapo a Grassi.Sono dunque quattro le correnti inlotta tra loro. Accomunate da unorizzonte riformista (o semi­ri­formista nel caso di Falcemartello)ma divise sulle prospettive di Ri­fondazione, per quanto tutteconsapevoli che questo congressopotrebbe essere l'ultimo prima diun'ulteriore esplosione di quantoresta del partito o di un collassoper emorragia.Il congresso si fa sul numero diiscritti del 2012: circa 30 mila. Unnumero apparentemente ampio

se non lo si comparasse con le cifreraggiunte fino a qualche anno fada Rifondazione (oltre 150 mila) ese non fosse noto che non si trattadi attivisti: tanto che al congressoparteciperanno (non abbiamoancora i numeri conclusivi mentrescriviamo) circa in diecimila. Diquesti diecimila, secondo stimeinterne attendibili, al più un mi­gliaio sono gli attivisti, cioè quelliche fanno una qualche attività pe­riodica anche sporadica e un po'più della metà di mille coloro chefanno un'attività continuativa.Parliamo cioè di circa un ventesi­mo di quanto era Rifondazioneprima dei disastri politici cuil'hanno condotta i vari Ferrero,Grassi.

Lo scontro tra Ferrero eGrassi e il terzo documento

Nei diversi documenti, compresoquello di Ferrero, che sta stra­vincendo nei congressi locali (almomento è al 75%, comprensivoperò dei voti per gli emendamentigrassiani), i riferimenti al comuni­smo (e finanche al marxismo) nonmancano. Manca però unaqualsiasi indicazione su quali sa­ranno i prossimi passi di Rifonda­zione. L'intera discussione risultacome sospesa nel vuoto perché glistessi dirigenti di tante sconfittesembrano un po' storditi, comepugili costretti dai troppi colpisubiti nell'angolo del ring, in atte­sa che un clemente gong segni lafine dello scontro.L'opzione più chiara apparequella indicata con gli emenda­menti da Grassi (che ha dalla suapoco meno della metà della“maggioranza”): ricucire con Selper essere riammessi in qualche

modo nel centrosinistra. Spiraforte, da queste parti, la nostalgiaper la Rifondazione che aveva unqualche ruolo di governo. C'è laconsapevolezza che quella stagio­ne non tornerà ma anche la spe­ranza che un qualche strapuntinoper qualche dirigente ancora sipossa trovare. Apparirà forseimpietosa questa descrizione marisulta difficile attribuire a Grassiprogettualità più elevate.La terza mozione (inizialmentedovevano essere degli emenda­menti al documento di Ferrero,ma il regolamento non consentivain questo modo di “contarsi”)cerca di raccogliere un legittimo eampio scontento della base,anche se non propone nei fattinulla di alternativo al vagoorizzonte nebuloso di Ferrero (cheè “ricostruire la sinistrad'alternativa”) e sembra essere(nelle intenzioni implicite dei diri­genti che la promuovono) unamanovra congressuale per guada­gnare posti nel futuro gruppo diri­gente. Il tutto è però condito conun linguaggio più radicale diquello di Ferrero: molti richiamialla “classe” peraltro mescolaticon i richiami alla Costituzioneborghese e a un non ben definito“comunismo novecentesco” chenon esclude dalla foto di famiglianemmeno lo stalinismo.Certo è che la mozione “interme­dia” sta limitando fortemente glispazi dell'unica altra posizione,quella di Falcemartello, effettiva­mente distinta da quella di Ferreroe da quella di Grassi. La “terza mo­zione” è (a congressi in via diconclusione) attorno al 15%,quella di Falcemartello è solo al10%.

Il semi­riformismo diFalcemartello

Il documento di Falcemartello(“Sinistra classe rivoluzione”)critica con efficacia retorica lapolitica riformista che hacondotto Rifondazionenell'attuale vicolo cieco. Ma lo farivendicando le classiche posi­zioni centriste, cioè non rivolu­zionarie e quindi non realmenteanti­riformiste di Falcemartello.D'altra parte, Falcemartelloancora fino a poco tempo fa (poiè calato il silenzio sul tema) ri­vendicava la “opportunità” cheRifondazione a Napoli stessenella maggioranza di governo diDe Magistris per combattere“una battaglia egemonica”,orientando questo presunto go­verno “neutro” in contrapposi­zione ai poteri forti. Teorizzarel'esistenza di governi “neutri” e“condizionabili” nel capitalismonon è poca cosa per un gruppoche si rivendica marxista eattacca la totale assenza delmarxismo negli altri schiera­menti interni di Rifondazione. Inogni caso, marxismo a parte, nonè certo una posizione forte da cuiattaccare il governismo dellamaggioranza.In realtà Falcemartello sta conun piede in Rifondazione e unofuori. Aspetta e spera che Landi­ni si decida a formare un “partitodel lavoro” che dovrebbe nasce­re (secondo loro) da una rotturadi un settore della Cgil con il Pd.Consapevole che Rifondazionenon durerà ancora a lungo, ilgruppo dirigente di Falce­martello cerca un ambito piùlargo dove proseguire per i pros­simi decenni la propria infinita

attività “entrista” nelle orga­nizzazioni considerate “natura­li” del movimento operaio. Inattesa degli eventi e prose­guendo nel frattempo la propriacomoda routine con qualchenon sgradita postazionenell'apparato della Cgil.

Cremaschi aspettaAttorno al congresso di Rifonda­zione volteggia inquieto GiorgioCremaschi che, dopo essersi vi­sto scippare da Ingroia alle ulti­me elezioni il ruolo di candidatounificante di tutta la sinistra ri­formista, ora prosegue con i suoiseminari di lancio di una nuovaforza da presentare alle europee:Rossa, che farà la sua assembleanazionale a metà dicembre. Mal'unica possibilità che Rossa na­sca come partito è la confluenzadi almeno una parte dell'attualemaggioranza di Rifondazione edunque una rottura di que­st'ultima. Ad oggi, tuttavia, datala serie clamorosa di fiaschicollezionati nelle assemblee dipresentazione da Rossa, nessu­no sembra entusiasta di buttarsiin questo nuovo calderone ri­formista. È più probabile allora,salvo precipitazioni immediatedello scontro interno di Rifonda­zione che potrebbero cambiareil quadro, che Rossa possafungere da sigla elettorale per leeuropee, a copertura di un'areache va da Rifondazione agli stali­nisti della Rete dei Comunisti (ilgruppo dirigente occulto di Usb)passando per il gruppo di Turi­gliatto (ex Sinistra Critica). Maquesta è un'altra storia: anche senon più appassionante di quellafin qui raccontata.

LanostrapropostaaimilitantidiRifondazione

Davanti a questo scenario misere­vole, per parte nostra continuere­moarivolgerciaimilitantionestidiRifondazione, a quelli che nonhanno poltroncine da difendere oda guadagnare, perché siconvincano che c'è bisogno di co­struire un altro partito, rivoluzio­nario e internazionalista, e che perfarlo bisogna in primo luogorompere con i Ferrero, i Grassi, iBellotti,ecc.Il Pdac, come ripetiamo sempre,non ha la pretesa di essere il partitoche manca: è però uno strumentoimportante in quella direzione,grazie alla battaglia controcorrentee all'accumulazione di quadri gio­vani, determinati e inseriti nellelotte che abbiamo raccolto in que­sti anni attorno a un programmarivoluzionario, in stretta connes­sione con la costruzione, su scalainternazionale, della principale epiù dinamica organizzazione rivo­luzionaria oggi nel mondo, la Lit­Quarta Internazionale, che svolgeun ruolo di prima fila o anche diri­gente (si pensi al Brasile) nelle lotteincorso.Diversi compagni provenienti daRifondazione hanno deciso dientrare in queste settimane nelnostro partito; tanti altri hannoapertoconnoiunconfronto.ComePdac siamo disponibili aconfrontarci con singoli e construtture locali di Rifondazione.Siamo convinti infatti che ladiscussione sulla costruzione di unpartito rivoluzionario non sia cosacheriguardisolonoimatutti i lavo­ratori e i giovani che fanno mili­tanza politica per cambiare ilmondo. (29/11/2013)

Un giornale che vede continuamente ampliarsi il numero dei suoi lettori, a cui dedica un numero crescente di pagine(ora sono venti, con un foglio centrale scritto dai Giovani di Alternativa Comunista), notizie di lotta, interviste, articoli diapprofondimento sulla politica italiana e internazionale, traduzioni di articoli dalla stampa della Lit-QuartaInternazionale, testi di teoria e storia del movimento operaio.Progetto comunista è un prodotto collettivo: ad ogni numero lavorano decine di compagni.E' scritto da militanti e si rivolge a militanti e attivisti delle lotte.Viene diffuso in forma militante dalle sezioni del Pdac e da tutti i simpatizzanti e da coloro che sono disponibili adiffonderlo nei loro luoghi di lavoro o di studio.Abbonarsi a Progetto comunista non è soltanto importante per leggere il giornale e sostenere una coerente battagliarivoluzionaria:è anche un'azione utile per contribuire a far crescere le lotte, il loro coordinamento internazionale, la loro radicalità. Sevuoi conoscere PROGETTO COMUNISTA, puoi leggere i pdf dei numeri precedenti su alternativacomunista.org

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La crisi capitalista morde i salari. La crisi capitalista crea disoccupazione di massa.La crisi capitalista distrugge la vita di milioni di persone con nuova precarietà e oppressione, miseria, razzismo,sfruttamento!Ma contro la crisi e il tentativo della borghesia e dei suoi governi, di centrodestra e di centrosinistra, di scaricarne i costisui proletari, crescono le manifestazioni in tutta Europa, dalla Spagna alla Grecia, proteste studentesche in Italia, lotte(per ora ancora isolate) in diverse fabbriche del nostro Paese.Lotte contro la Troika europea che detta la linea del più pesante attacco ai diritti delle masse popolari degli ultimidecenni.La situazione è straordinaria e vede un impegno straordinario del Pdac per far crescere le lotte in direzione di unacoerente prospettiva di classe, di potere dei lavoratori.

Letteratura e rivoluzione

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4 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTALAVORO E SINDACATO

...bilanci e prospettive

Lemobilitazionidel18e19ottobre...

Alberto Madoglio

Le due giornate di mobili­tazione del 18 e del 19ottobre hanno rappre­sentato un momento

importante nello sviluppo dellalotta di classe in Italia. Nel pieno e,se vogliamo essere più precisi,nell'aggravarsi della crisi econo­mica nel Paese (tutti i dati statisticiconfermano che la fantomatica“luce in fondo al tunnel” è ancoradi là dal vedersi), la classe lavo­ratrice dimostra di non volersiarrendere.Lo sciopero generale del 18 otto­bre convocato dal sindacalismo dibase è stato, per la prima volta,unitario.Dopo anni di settarismi e di sterilipolemiche non finalizzate a favo­rire un sano e aperto dibattito sulleprospettive del sindacalismoconflittuale in Italia, Usb, Cub,Confederazione Cobas, Slai Cobase Usi, hanno finalmente deciso diunire le forze e indire una giornatadi lotta unitaria contro le politicheantioperaie varate dal GovernoLetta, sostenuto da Pd, Pdl e SceltaCivica di Monti.Si sono svolte manifestazioni invarie città, le più partecipate a Mi­lano e Roma. Importante è stata lapartecipazione dei lavoratoriimmigrati, che in questi ultimitempisonostatiallatestadialcunetra le più importanti lotte sui luo­ghi di lavoro. A Milano sonointervenuti sia i lavoratori dellaCub immigrazione, sia i lavoratoridelle cooperative del settore logi­stica, prevalentemente orga­nizzati dal Si.Cobas.Come immigrati erano i lavoratoriche hanno organizzato il presidioai cancelli della Granarolo di Bolo­gna e il corteo del pomeriggio del18 ottobre a Piacenza (fulcro della

lotta all'Ikea). Possiamo afferma­re, senza esagerazioni, che la clas­se operaia immigrata rappresentaoggi uno dei settori di avanguardiadelle lotte nel Paese.

Il bilancio della due giornidi mobilitazioni

Il giorno dopo lo sciopero a Romasi è svolta una manifestazione na­zionale per rivendicare il dirittoall'abitazione e per protestare, co­me il giorno precedente, contro lepolitiche di “macelleria” socialeimposte ai lavoratori dalla Troika esostenute dal Governo Letta, dallaConfindustria e, nei fatti, dallemaggiori burocrazie sindacali,Cgil e Fiom in testa.Il bilancio della due giorni di mo­bilitazione è stato abbastanza po­sitivo.Nel clima generale di conformi­smo che stiamo vivendo, che vuolefarci credere che la sola salvezzaper l'Italia sia continuare a soste­nere il Governo delle larghe intese,e che fuori dall'Europa del Capita­le e dei sacrifici senza fine, esistesolo il baratro, il 18 e 19 novembrehanno rappresentato un segnaledi rottura e di opposizione a que­sto clima di “unità nazionale” che,come la precedente esperienza dimetà anni ‘70, ha come obiettivoquello di garantire i profitti aigrandi gruppi capitalistici nazio­nali senza che i lavoratori faccianosentire troppo la loro voce, ma anziaccettinodibuongradodiesserelevittime sacrificali della crisi eco­nomicacheduradaoltreunlustro.Tuttavia dobbiamo riconoscereche la due giorni non ha segnato ilpunto di svolta necessario.Al di là delle cifre propagandantedagli organizzatori, la partecipa­zione ai cortei del venerdì e aquello di sabato è stata limitata. Ci

saremmo stupiti del contrario.

Il ruolo nefasto delleburocrazie sindacali

Diversi fattori contribuiscono a farsì che, per il momento, il livellodello scontro di classe in Italia sia aun livello molto più arretrato diquello che si verifica in altri paesidelVecchio Continente.Da un lato non sottovalutiamo ilpeso della crisi, che se spinge moltilavoratori a mobilitarsi per di­fendere il posto di lavoro e non es­sere cacciati in una situazione dimiseria, allo stesso tempo creapaura e insicurezza in chi teme diessere a sua volta licenziato,creando l'illusione che la soluzio­ne migliore sia quella di abbassarela testa di fronte ai soprusi, spe­rando che col tempo la soluzionepossa in qualche modo migliora­re.Dall'altro, e oggi pensiamo che siail fattore più rilevante, ribadiamol'importanza del fattore “soggetti­vo”, in parole povere il ruolo rea­zionario delle maggioriorganizzazioni del movimentooperaio.Il prestigio, la fiducia e il sostegnoche, in particolar modo i sindacati,godono a tutt'oggi fra larghi stratidi lavoratori, anche quellicombattivi, favorisce il loro ruolodi garanti della pace sociale.In pubblico, a parole, Camusso eLandini sbraitano contro gli egoi­smi dei padroni e la scarsa lungi­miranza dei partiti di Governo nelnon volere sostenere le classi piùdeboli.Nei fatti accettano senza colpo fe­rire ogni decisione volta a garanti­re quegli egoismi e quellamancanza di “visione” che a paro­le condannano. Non è un caso chesolo a metà novembre, dopo due

anni dall'ultimo sciopero controla riforma delle pensioni, la Cgil sisia decisa a convocare uno sciope­ro, di sole 4 ore senza manifesta­zione nazionale. L'ennesimainnocua parata, organizzata perdare una valvola di sfogo almalcontento crescente, allo stessotempo senza voler disturbaretroppo il manovratore (mentreniente si era fatto per l'abolizionedell'articolo 18, anzi si accettava ladistruzione del contratto nazio­nale di lavoro e si firmava unaccordo sulla rappresentanza ilcui scopo è quello di espellere ilconflitto da fabbriche e uffici).Responsabilità minori le hannoanche le direzioni dei sindacati dibase. Per lungo tempo, comeaccennavamo all'inizio di questoarticolo, hanno preferito agire se­condo una logica di conservazio­ne dei loro micro­apparatianzichélanciarsi inunasfidaper lacreazione di un sindacatoconflittuale, non concertativo, chepotesse rappresentare una veraalternativa alle direzioni buro­cratiche dei sindacati confederali.Tutti questi ostacoli che al mo­mento fanno sì che oggi ci trovia­mo in una situazione di bassaconflittualità sociale possono,anzi devono, essere superati. Levarie lotte che oggi sono presentiin Italia, da quelle politiche aquelle sociali, a quelle in difesa del

territorio e contro la speculazionefinanziaria che distruggel'ambiente, devono unificarsi fradi loro, perché pur apparendo, auna prima e sommaria analisi,non avere nulla in comune, sonoin realtà i mille modi in cui si mani­festa la resistenza delle classisubalterne alla crisi che padroni eGoverni vogliono far pagare a loro.

La necessità diun'alternativa

Ma questo lavoro, fortunata­mente, non parte da zero. Comespieghiamo in maniera piùapprofondita in una serie di arti­coli presenti su questo numerodel giornale, da circa un anno va­rie realtà di lotta hanno deciso dicoordinarsi fra loro e di dar vita aNo Austerity.È stata la necessità, per certi versinaturale, di trovare un modo dicoordinaretradilorolelotte,eperavere maggiori possibilità divincere, che diverse centinaia dimilitanti politici, sindacali e dimovimento da oltre un annostanno cercando, riuscendovi, disuperare la frammentazione el'isolamento delle varie situazio­ni di conflitto che si sviluppano alivello locale.Non solo, aderendo alla ReteSindacale Internazionale, le forzeche hanno dato vita a No Austeri­

ty hanno compreso che solo conuna reazione a livello globale po­tranno essere sconfitte le ricetteeconomiche basate sull'austeritàa danno delle classi sfruttate.Allo stesso tempo bisogna essereconsapevoli che l'unità non ba­sta. Bisogna dotarsi di un chiaroprogramma di classe, perché seianni di crisi globale una cosa,senza dubbio, ci hanno inse­gnato: che ci troviamo di fronte alfallimento non di un particolaremodo di “sviluppo” economico(quello anglosassone piuttostoche quello continentale europeofondato sul welfare) , madell'economia di mercato inquanto tale.Una serie di rivendicazioni chia­re, che non coltivino l'illusione diuna qualsivoglia riforma, perquanto possa apparire radicale,dell'economia di mercato, po­tranno guadagnare la fiduciadella maggioranza dei lavoratori,e potranno rappresentare il“collante” di tutte le lotte a oggiancora separate fra di loro.Alternativa Comunista non sisottrae a questa sfida, e si appellaa tutti coloro che non voglionoarrendersi allo stato di cose pre­sente, per unirsi in questaimportante battaglia per le sortidelle generazioni future edell'umanità in generale.(29/11/2013)

PPiissaaProsegue lo sciopero deilavoratori del trasporto pubblicolocale della ex Cpt (adesso CttNord) che, nel passaggio dicommessa dalla vecchia aziendaa quella nata dalla fusione tra ledue provinciali, hanno avuto unaperdita nel salario di circa 200euro mensili. Anche in questocaso, si scaricano sui lavoratoricrisi aziendali e debiti dellesocietà, il cui esito si risolve comesempre nella diminuzione deidiritti complessivi, dalla riduzionedei salari a turni di lavoro piùpesanti. La fusione tra le duesocietà provinciali è un dannoanche per gli utenti, oltre che per ilavoratori, visto che il costo delbiglietto aumenterà di circa 20centesimi.GGeerrmmaanniiaaSono in centinaia i lavoratoritedeschi dei centri didistribuzione della Amazon diBad Hersfeld e di Lipsia chestanno scioperando in questesettimane rivendicando salari piùalti e contratti equiparati a quellidei lavoratori del settore dellevendite al dettaglio. Sonoimpiegati nel settore dellalogistica, dove il contrattonazionale prevede salari piùbassi e condizioni lavorativecomplessivamente più negativeper chi ci lavora. L'Amazon è giàconosciuta per essere stataprotagonista di vicende legatealle condizioni negative in cuiversano i suoi dipendenti. Tral'altro, l'Amazon Deutschland havisto già in estate una massicciamobilitazione operaia proprio neldeposito vicino all'aeroporto diLipsia da dove partono le merciper ogni parte del mondo. Questilavoratori sono meno tutelatirispetto ai lavoratori di settoritradizionalmente più forti e dove

ci sono sindacati più grandi, comel'Ig Metall, che nella logica dellaconcertazione contrattanocondizioni migliori, per lo piùnell'ambito dell'export, in cui laGermania la fa da padrona inEuropa.LLeecccceeProsegue lo sciopero ad oltranzadei lavoratori della Master srl diSan Cassiano nel leccese controla decisione della direzioneaziendale di licenziare quattrolavoratori. Si tratta infatti dilicenziamenti di naturadiscriminatoria legati allavertenza portata avanti daglioperai per ottenere miglioricondizioni salariali e il rispetto delcontratto collettivo nazionale.All'arroganza padronale, la cuidirezione si è rifiutata persino dicomparire davanti al giudice dellavoro, i lavoratori hanno rispostocon lo sciopero ad oltranza persolidarizzare con gli operailicenziati e per chiedernel'immediato reintegro.VViillllaa dd''AAggrrii((PPzz))Contro il mancato pagamentodegli ultimi stipendi arretrati, ilavoratori del Consorzio dibonifica Alta Val d'Agri nelpotentino stanno manifestandoripetutamente davanti alla sedeconsortile di Villa d'Agri. Lavertenza va dalla lotta per ilpagamento degli ultimi salaripregressi alla stabilizzazione deilavoratori precari a cui si rifàspesso la gestione dell'ente dibonifica, negli ultimi anni in unafase di forte indebitamento.Anche in questo caso, seppur nelsettore pubblico, i costi della crisisi fanno pagare ai lavoratori.RReeggggiioo CCaallaabbrriiaaProsegue la lotta dura dei

lavoratori dell'Atam del serviziodei trasporti pubblico della cittàreggina. Come in molte cittàitaliane, i governi locali di tutti glischieramenti puntano a scaricarei costi di indebitamenti e crisiaziendali sulle spalle deilavoratori; così accade a Genova,Pisa ed anche a Reggio Calabria.Qui si parla di probabile fallimentodell'azienda, reso possibile dallagestione disastrosa che vuoleportare in direzione dellaprivatizzazione. Si trattacertamente di una strategiapolitica che vuole fare un regalo aiprivati con la cessione di unservizio pubblico, nello stesso

tempo scaricando i costi dei salaridei dipendenti, infischiandosenepersino del servizio che sarà dicerto più scadente e comunquelegato unicamente alle logichedel profitto padronale. D'altrondela privatizzazione dei servizipubblici locali va di pari passo conil programma di privatizzazionilanciato dal Governo Letta inqueste settimane.RRoommaaPersino i tentativi concertativi deisindacati confederali non hannoportato a nulla, tanto che il 13dicembre i lavoratori dell'ediliziasciopereranno per otto ore in tutta

Italia con manifestazioni regionalie con quattro manifestazionicentrali a Roma, Milano, Napoli ePalermo. Le organizzazionipadronali, Ance e impresecooperative, non vogliono inalcun modo corrispondere unaumento salariale e l'anzianitàprofessionale edile. I padroni nonaccettano alcuna richiesta diincremento salariale per la crisidell'edilizia, scaricandoovviamente i costi di questa crisisulle spalle dei lavoratori edili chefanno un lavoro pesante e moltousurante. Lo sciopero del 13dicembre probabilmente è l'iniziodi una grossa vertenza anche nel

campo edile.RRaavveennnnaaOttimo successo dello scioperodei lavoratori dell'aziendaPassanti Costruzionimeccaniche di Bagnacavallo, nelravennate, che sono in lottacontro la direzione aziendale perla decisione padronale dilicenziare sette lavoratori e didisconoscere il contrattoaziendale. Dopo lo sciopero del25 novembre, i lavoratoriproseguiranno con la lotta adoltranza fino al ritiro deilicenziamenti eseguiti a carico deilavoratori.

LLoottttee ee MMoobbiilliittaazziioonniiRubrica a cura di MMiicchheellee RRiizzzzii

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 5

Laura Sguazzabia

Il 25 novembre scorso, giornata mondiale per l'eliminazionedella violenza sulle donne, in Italia avrebbe dovuto connotarsianche per un'iniziativa “inedita”: uno sciopero delle donne.Originato da un appello lanciato sul web nel mese di giugno(1), lo

sciopero doveva inizialmente configurarsi come un'astensione dialmeno quindici minuti da ogni attività che normalmente le donnesvolgono, sia dentro sia fuori le mura domestiche.L'idea dello sciopero per dire no alla violenza sulle donne ci èsembrata giusta, poiché potenzialmente permette il superamentodell'interclassismo connaturato alle iniziative precedenti di “Se nonora quando”. Non esistono infatti interessi comuni tra le donne prole­tarie e le donne borghesi: diversamente dalle donne della classeborghese, sfruttatrici, le donne proletarie sono doppiamenteoppresse perché subiscono lo sfruttamento del lavoro e la violenza digenere. È necessario dunque impostare da un punto di vista di classeil problema, prendendo atto che la lotta contro la violenza sulledonne è anche lotta contro il sistema economico e sociale che la ge­nera, il capitalismo.Tuttavia perché uno sciopero sia un vero ed efficace strumento dilotta, e non un puro atto simbolico, è necessario che si configuri come

un'astensione reale dal lavoro per tutti, donne e uomini: nella formain cui è stato convocato dall'appello, esso non presentava queste ca­ratteristiche.

La (non) risposta sindacaleCon l'approssimarsi del 25 novembre si sono succeduti gli appelli dimilitanti sindacali e di lavoratrici appartenenti alle varie sigle sinda­cali, di associazioni di donne, di movimenti di lotta perché al cosi­detto “sciopero delle donne” fosse garantita un'adeguata coperturasindacale, perché questa giornata potesse realmente diventare unagiornata di lotta, un vero sciopero e non una farsa. Solo le segreterienazionali di Usi e di Slai Cobas hanno accolto gli appelli proclamandol'intera giornata di sciopero e per tutta la classe lavoratrice: a Milano,Bologna, Palermo, Taranto, in numerosi e più piccoli comuni italiani,ha aderito il personale di qualunque ordine e grado di scuole stata­li/comunali, di università, di ospedali, di cooperative di servizi e dipulizie.La Cgil, che pure nella persona della segretaria Camusso, aveva dasubito aderito all'appello, ha invece fatto retromarcia, negando la co­pertura allo sciopero e invitando (testualmente dal sito del sinda­cato) “le lavoratrici e i lavoratori a partecipare alla GiornataInternazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, nelquadro di una vasta e articolata mobilitazione nazionale”, ossiamettendo in atto localmente vuote iniziative istituzionali. Tuttavia inalcune situazioni locali le delegate Rsu Cgil hanno osato sfidare la se­greteria generale arrivando a indire, ad esempio alla N&W GlobalVending di Valbrembo (BG) dove il 50% del personale è donna, uno“Sciopero delle donne – 8 ore – intera giornata”, come recitava il vo­lantino affisso sulla bacheca aziendale.

Violenza quotidianaSe, da un lato, i dati ufficiali parlano chiaro e testimoniano del molti­plicarsi di atti di violenza e di omicidi nei confronti delle donne,dall'altro è vero che ogni giorno le donne sono sottoposte a forme diviolenza meno visibili contro le quali nessuno alza la voce, contro cuinon s'invoca uno sciopero, come ricordava, ad esempio, il comuni­cato delle lavoratrici adette al servizio di pulizia degli istituti scolasti­ci della Provincia di Varese organizzate dalla Cub Varese.La crisi economica globale e le misure di austerità messe in atto daigoverni per farvi fronte, ricadono maggiormente sulle spalle delledonne proletarie, da sempre doppiamente oppresse, impegnate siadentro sia fuori le mura domestiche. Le percentuali riferiscono di unaumento della disoccupazione femminile, di una maggiore facilità difuoriuscita dal mercato del lavoro, di precarietà/flessibilità e dequa­lificazione del lavoro femminile, di stipendi inferiori rispetto ai“colleghi” uomini. A ciò si associano l'allungamento dell'età pensio­nabile e i tagli ai servizi pubblici che colpiscono più duramente ledonne poiché riguardano i settori professionali (sanità, istruzione,servizi di cura e alla persona) in cui sono maggiormente occupate.

Private d'indipendenza economica e tutela sociale, le donne sonoinoltre penalizzate da politiche familistiche aggressive che le relega­no nell'ambito del privato impedendone sempre più la partecipa­zione alla vita politica, sindacale, sociale e culturale.

Avviamo un percorso di lottaÈ urgente avviare un percorso di lotta in grado di estendersi a tutti isettori del proletariato femminile, per la convocazione di uno scio­pero generale a difesa delle donne lavoratrici, cui devono esserechiamati a partecipare – esprimendo solidarietà alla nostra condi­zione–anchegliuominidellanostraclasse, laclasselavoratrice,echeconsenta una reale partecipazione anche delle tante donne che nonhanno un contratto di lavoro regolare – ma che magari lavorano innero o svolgono lavoro domestico non retribuito.È necessario unire le lotte e coordinarle in un percorso articolato supunti chiari per rivendicare un pieno impiego contro ogni flessibilitàe precarizzazione, salari uguali per uguali mansioni, controllo dellelavoratrici sui tempi e sugli orari di lavoro, nonché sul “rischio zero”negli ambienti di lavoro, un'istruzione di massa e pubblica senzadiscriminazioni di classe e secondo le vere inclinazioni di ognuna;per il mantenimento e il potenziamento dei servizi pubblici asupporto delle donne, come asili nido, lavanderie e mense sociali diquartiere, centri per anziani e disabili, consultori e ambulatoripubblici diffusi nel territorio, per sottrarle al doppio lavoro forzato dicura e liberare il tempo per le attività politiche, sindacali, culturali.

Note

(1) I contenuti di questo appello sono stati ampiamente analizzati inun documento della Commissione femminile del Pdac, disponibilesul nostro sito al seguente url: http://www.alternativacomuni­sta.it/content/view/1907/1/ (29/11/2013)

LAVORO E SINDACATO

Bastasciopericchi!vogliamounvero“scioperogenerale”Bilancio dello sciopero generale di novembreDancelli Massimiliano

Lo scorso Novembre si èsvolto lo sciopero gene­rale proclamato dalleburocrazie di Cgil, Cisl e

Uil. Lo sciopero ha avuto unadiscreta adesione e le varie ma­nifestazioni in tutta Italia sonostate abbastanza partecipate, ariprova del fatto che i lavoratoricominciano ad essere stufi didover continuamente accollarsii costi e le sofferenze di una crisidi cui non hanno la minimacolpa.Anche quest'anno, infatti, il go­verno con la legge di stabilità (lavecchia legge finanziaria) haproseguito con la solita vecchia

solfa: tagli allo stato sociale, allasanità e alla scuola pubblica,blocco degli aumenti salarialiper milioni di dipendentipubblici, aumento delle tassedirette e indirette, sui salari esulle pensioni, mentre il grandecapitale continua a beneficiaredi aiuti e agevolazioni.Più combattivi sono stati i corteidegli studenti che, in continuitàcon le manifestazioni di Otto­bre, hanno deciso di affiancarsiai lavoratori il giorno 15, per gri­dare la loro rabbia di fronte adun futuro, ammesso che ce nepossa essere uno, che definireincerto appare ormai un eufe­mismo.Tutto ciò appare molto positivo,

ma pensiamo che sia to­talmente insufficiente a fornirequella risposta che sarebbeinvece necessaria.

Uno sciopero inadeguato

In primis è giusto sottolineareche si tratta di uno scioperotardivo (il primo da due anni, ilprecedente fu indetto all'epocadella riforma Fornero), di solequattro ore (tranne il pubblicoimpiego che ha scioperato perotto ore, così come hanno fattoin alcune città anche altre cate­gorie), indetto in date diverse eche in molti casi non ha vistomanifestazioni di lavoratori ma

solo innocui presidi sotto le pre­fetture.Pensiamo che questa modalitàdi sciopero scelta dai confede­rati non indichi una rottura conla politica seguita dalla Triplicenegli ultimi anni, ma siasoltanto una scelta tattica, do­vuta alla necessità di risponderealle pressioni della base sinda­cale che chiede ai suoi dirigentiuna riposta decisa davanti agliattacchi sferrati al mondo dellavoro.Non a caso sono le stesse buro­crazie sindacali che non piùtardi di un mese fa erano dispo­ste a mobilitarsi per “salvare ilgoverno”, all'epoca sotto ricattodi Berlusconi e di alcuni dei suoiparlamentari, e che lo scorso 31maggio hanno siglato conConfindustria un patto (chia­mato della “rappresentanza”)che cerca di garantire la pace so­ciale sui luoghi di lavoro, pro­prio in un periodo in cuiaumentano in maniera espo­nenziale licenziamenti, chiusu­re di fabbriche, ricorso allacassa integrazione.Nelle intenzioni delle burocra­zie sindacali quindi lo scioperonon è stato convocato contro ilGoverno, guidato da un altoesponente del Pd e da questopartito sostenuto insiemeall'allora Pdl (ora, dopo la scis­

sione nel Pdl, il Governo è soste­nuto dal Nuovo centrodestra diAlfano) e al Centro di Monti, maper cercare di controllare larabbia che giorno dopo giornoaumentava tra milioni di lavo­ratori.Il Partito di Alternativa comuni­sta, denunciò per tempo, rite­nendo questo scioperoinadeguato e troppoframmentato, la modalità diconvocazione di quest'ultimocome l'ennesima manovra delleburocrazie sindacali contro gliinteressi delle classi sfruttate.Facemmo appello ai lavoratorinon solo perché partecipasseroin massa allo sciopero in manie­ra da poter far fallire i piani di chivoleva lo sciopero come l'enne­sima parata innocua, ma ancheaffinché lo sciopero si tra­sformasse nell'inizio di unalotta generalizzata contro il Go­verno, i padroni, e quei buro­crati sindacali che, alleati fraloro, ci vogliono condannarealla miseria.

Ripartire da quiPurtroppo l'eccessivaframmentazione dello sciopero(date e luoghi diversi) e il lavorodi demoralizzazione dei lavo­ratori e depotenziamento dellelotte svolto in questi anni daCgil, Cisl e Uil non hanno

permesso la partecipazione checi auspicavamo, anche se comedetto sopra, la risposta dei lavo­ratori non è stata assolutamentescarsa. Anche le micro­buro­crazie del sindacalismo di basehanno fatto la loro parte, nonconvocando uno sciopero diotto ore nelle stesse date, comenoi avevamo invece suggerito asuo tempo col solo fine di favo­rire la partecipazione ed ilcoinvolgimento dei lavoratori,su programma e parole d'ordinepiù avanzate.Crediamo comunque che sipossa ripartire da questo scio­pero, che ha visto un seppur ti­mido risveglio della classelavoratrice. Dobbiamo cercaredi estendere sempre di più lalotta sulla base di un pro­gramma di indipendenza diclasse, unire tutte le vertenze incorso in Italia, unirsi alla lottasacrosanta degli studenti e ri­cercare la solidarietà con ifratelli proletari degli altri paesinelle nostre stesse condizioni.Non lasciamo milioni di operai elavoratori nella mani di Camus­so, Landini, Bonanni, Angeletti.Lotta a oltranza contro il Go­verno del capitale, la troika e leloro politiche di austerità.Basta sacrifici per i lavoratori. Lacrisi la paghino i padroni.(29/11/2013)

Dopo lo sciopero delle donne del 25 novembre

Noallaviolenzasulledonne:chelalottacontinui!

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6 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTANO AUSTERITY

Matteo Bavassano

Sabato 26 ottobre si è tenuta a Trezzano sulNaviglio (Mi), presso la fabbrica recuperataRi­Maflow, la terza assemblea nazionale diNo austerity – Coordinamento delle lotte,

un'organizzazione che si pone l'obiettivo di prova­re ad unificare le mobilitazioni e le lotte, in primoluogo dei lavoratori, ma anche quelle degli studentie dei movimenti popolari e ambientali, partendodal basso, dando voce e portando solidarietà agliattivisti delle lotte. Già il luogo dell'assemblea èindicativo dei passi avanti di No austerity: la Ri­Maflow è infatti una delle principali realtà di lottanel nostro Paese. Gli operai della Ri­Maflow hannoaccolto all'interno della fabbrica occupata l'as­semblea, salutando i partecipanti e parlando lorodell'esperienza di occupazione e di recupero dellafabbrica che stanno vivendo, di come stannocercando di rendere i capannoni vuoti dell'aziendauno spazio nuovo e vitale, aperto alla comunità ealle associazioni del territorio, oltre che una fontedi redito per gli ex­operai della Maflow.

No austerity come strumentodi unione delle lotte

L'intervento introduttivo dell'assemblea è statofatto da Giampiero Sala, attivista del movimentoNo Tem e di No austerity Milano, che ha spiegatoche cosa è effettivamente No austerity, partendo daun breve accenno alla sua storia, parlando dell'as­semblea fondativa che si è svolta a Cassina de'Pecchi lo scorso dicembre e della seconda as­semblea nazionale che si è tenuta in Febbraio aMaranello. Per spiegare la necessità reale deltentativo di unire le lotte e quindi di costruire uncoordinamento come No austerity ha preso adesempio l'esperienza del movimento No Tem, chenon è riuscito a resistere ad alcune sconfitte e chequindi, trovandosi isolato, ha progressivamenteperso forza e attivisti. Di contro, le lotte della logi­stica, che hanno trovato la solidarietà di tanti attivi­sti e militanti, sono state un esempio di come unitisi possa vincere. E anche dall'esperienza di questelotte è nato No austerity: i lavoratori licenziatidell'Esselunga di Pioltello sono stati tra i promoto­ri della creazione di No austerity.L'intervento successivo è stato quello di AnnalisaMinutillo, lavoratrice della Jabil e attivista di No au­sterity Milano, che ha iniziato il suo discorsosoffermandosi orgogliosamente sul ruolo attivo efondamentale delle donne nella lotta della Jabil,

che sono state le prime ad occupare la fabbricaquando hanno trovato i cancelli chiusi. Annalisaha voluto precisare come sia sbagliato dire che lepersone perdono il lavoro, perché questo viene lo­ro rubato, e che le persone possono mantenere unadignità anche senza lavoro. Ha poi parlato dellaprospettiva dell'autogestione come unica via perrimettersi in gioco, per prendere in mano leaziende, come ha fatto anche la Ri­Maflow.L'ultimo intervento prima del dibattito è statoquello di Arafat, delegato del SiCobas di Piacenza eleader della lotta dell'Ikea che ha iniziato parlandodi un'esperienza particolare di autogestione daparte dei lavoratori, della lotta contro la cassa inte­grazione alla Tnt di Piacenza, a cui i lavoratori si so­no opposti perché sapevano che avrebbe portatoalla disoccupazione. I 380 lavoratori si sono orga­nizzati per autogestire i ritmi di lavoro e la rotazio­ne dei turni per sei mesi, pratica che poi si è estesaad altri stabilimenti dellaTnt nel Paese. Solo la lottapaga e solo con l'unità si può vincere contro il siste­ma capitalistico.

Un ricco dibattito con tanti interventiSi è aperto quindi il dibattito con moltissime ri­chieste di intervento, anche troppe rispetto alleesigenze temporali necessarie all'operativitàdell'assemblea. Il primo intervento, molto signifi­cativo, è stato quello di Luis Seclen, delegato del Si­Cobas dell'Esselunga di Pioltello e dirigente delnostro partito, che ha sottolineato come No auste­rity rappresenti una conquista storica per i lavo­ratori, perché risponde alla necessitàfondamentale dell'unità della classe lavoratricecontro l'odio di classe e gli attacchi della borghesia.Tra i tanti interventi segnaliamo poi in particolarequello di Antonella della Rsu Usb dell'istituto ge­riatrico Redaelli, che ha raccontato come lei e i suoicolleghi abbiano conosciuto ed aderito a No auste­rity a partire dalla solidarietà concreta portata dalcoordinamento alla loro lotta; quello di PatriziaCammarata della Cub Vicenza che si è soffermatasull'importanza della democrazia operaiaall'interno di No austerity, portando l'esempio ne­gativo del movimento No Dal Molin a Vicenza, do­ve le decisioni venivano in realtà prese da gruppiristretti senza una vera condivisione delle scelte;l'intervento di Antonio Ferrari dell'ALCobas – Cub,che ha rimarcato l'importanza del collegamentodelle lotte e della necessità di occupare le fabbrichee di opporsi alla rimozione dei macchinari, in nettocontrasto all'azione dei sindacati confederali cheboicottano le azioni di lotta radicali e l'occupazio­

ne delle fabbriche. Tra gli altri interventi anchequello di un'esponente del movimento No Muos diMilano, l'intervento di Salvatore D'Amato di Resi­stenza operaia dell'Irisbus di Avellino, l'interventodi Matteo Moroni della Cub Pirelli di Bollate, quellodi Davide Primucci del Movimento studentesco diVicenza, l'intervento di una compagna del movi­mento Femminismo proletario rivoluzionario equello di un compagno del Comitato per il salariominimo garantito.

Continua la costruzione di No austerityConclusosi il dibattito sono stati quindi letti alcunidei saluti internazionali indirizzati all'assemblea,quello dei CoBas spagnoli e della Csp­Conlutas delBrasile, che come No austerity fanno parte dellaRete sindacale internazionale di solidarietà e dilotta. Sono stati quindi votati dall'assemblea unaserie di ordini del giorno, in particolare uno sullosciopero delle donne, uno in solidarietà con i lavo­ratori immigrati per lanciare una mobilitazioneconto la legge Bossi­Fini, uno in supporto alla lottadei lavoratori della Om Carrelli di Bari, uno in soli­

darietàconi lavoratoridellaFerraridiMaranelloedinfine un ordine del giorno contro la legge di stabi­lità varata dal governo Letta ma critico neiconfronti dello sciopero di 4 ore proposto daisindacati confederali. Approvati questi ordini delgiorno è stato eletto il nuovo Coordinamento na­zionale di No austerity, che lavorerà per radicaresempre più No austerity nei vari territori,coinvolgendo nuovi movimenti in lotta.L'evidente successo dell'assemblea, che ha riunitoin una fabbrica occupata nella periferia milanesecirca cento attivisti di lotte diverse e di sindacaticonflittuali conferma la giustezza dell'adesione diAlternativa comunista al progetto di No austerity el'asse strategico della ricerca dell'unità delle lotte:con i nostri militanti ci stiamo impegnando a co­struire questo progetto di unità delle lotte su di unachiara piattaforma classista, che crediamo sia unanecessità storica fondamentale per far vincere lelotte della classe operaia e abbattere il sistemacapitalistico per costruire una alternativa di socie­tà. (29/11/2013)

La terza assemblea nazionale di No austerity

Unirelelottesipuò!

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 7NO AUSTERITY

Intervista ad Antonio Ferrari,segretario provinciale di A.L.Cobas ­ CubVarese

a cura diPatrizia Cammarata

Il 4 novembre scorso èstata firmata, da partedei sindacaticonfederali, quella che

avete definito “una cambialein bianco'' nei confronti diSea, la Società EserciziAeroportuali S.p.A. chegestisce il sistemaaeroportuale degli aeroportidi Milano Malpensa 1 e 2 eMilano Linate. Come CubTrasporti avete invitato ilavoratori a bocciarel'accordo e li avete chiamatialla mobilitazione con unosciopero per la giornata del 22novembre. Ritieni che in unsettore particolare comequello del trasporto aereo cisia la possibilità di legarequeste lotte, che pur hannouna grande visibilità, a quelledei lavoratori di altri settori?Già nei mesi scorsi, inoccasione di altri scioperi, cisono state manifestazioni aMalpensa, con blocco delle viedi accesso ai terminal , insolidarietà ai lavoratoriaeroportuali, che hanno vistola presenza di centinaia dilavoratori e lavoratrici di varisettori del territorio.Purtroppo, a Malpensa, lapartecipazione dei lavoratoriSea agli scioperi spesso èlimitata per le precettazioniche raggiungono il 70/80% eper l'azione dei confederaliche spesso ne ostacolano lariuscita (la Cgil proprio inquesti giorni, parlando delCargo City Malpensa, è uscitacon un comunicato nel qualepropone “un grande patto traorganizzazioni sindacali esistema delle imprese”chiamando comeinterlocutori Univa, Sea,

Camera di Commercio ebanche).

Come sindacato stateseguendo, fra altre lotte,quella delle lavoratrici cheprestano servizio negliappalti di pulizia scolastici. Lacrisi economica si staripercuotendo duramentesulle fasce più deboli dellostesso proletariato. Puoiparlarci di questa lotta? Crediche si affaccerà un nuovoprotagonismo delle donnenelle lotte ?La lotta delle lavoratrici cheprestano servizio negli appaltidi pulizia degli istitutiscolastici dura da tempo. Sonodonne che hanno fattooccupazioni, presidi, scioperiad oltranza e questa dura macostante lotta ha permessoloro di mantenere il proprioposto di lavoro e guadagnarsi ilrispetto delle istituzioni locali.Hanno portato solidarietà atutte le lotte significative dialtri settori del territorio. Leaziende o le cooperative, che divolta in volta gestivanol'appalto e che inizialmentenon volevano avere confrontise non con i confederali, sisono dovute piegare e trattarecon loro, anche quando, piùaziende/cooperative si sonodivise le zone in cinque o seilotti, pensando di dividere lelavoratrici. Le donne hannomantenuto l'unità conassemblee ed azioni comuni.Oggi si trovano in un momentodifficile: l'appalto scade il 31dicembre e sappiamo già che lanuova azienda si presenteràcon l'intenzione di tagliare ilpersonale o le ore di lavoro.Le lavoratrici si stanno giàorganizzando per pianificarevarie azioni di lotta condeterminazione. Certo che

può esserci un nuovoprotagonismo delle donnenella lotta! Questo ne è unesempio.

Già nel 2005, come Al Cobas,avevate scritto che pensavatee continuavate a pensare che“ad oltre 10 anni dalla nascitadei primi sindacati di base, sevogliamo davvero essercapaci di una opposizioneintransigente alle politicheche i governi di questo o quelcolore mettono in campocontro i lavoratori, sevogliamo diventare una realee credibile alternativa aicedimenti dei sindacaticonfederali, dobbiamoinnanzitutto avere unastrategia che unifichi ilsindacalismo di classe erivoluzionario”. Dopo ilfallimento del Patto di Base,che pur tante speranze avevafatto nascere negli iscritti delsindacalismo di base, dopo lascissione di Usb dalla Cub,pensi ci sia ancora margineper pensare o lavorare in talsenso, cioè ad una reale, e nonsolo di facciata, unificazionedel sindacalismo di base?Certamente sì! C'è stata unafase in cui l'ideadell'unificazione delsindacato di base ha prodottoil contrario: una serie discissioni, nei vari sindacati dibase, anche nei più piccoli,perché si aveva l'esigenza dipreservare le provenienzestoriche che in quella fase sisono maggiormenteevidenziate. Inoltre lesoggettività politiche, che purhanno affollato il sindacato dibase, hanno esaltato ledifferenze non distinguendo ilruolo politico da quellosindacale. Dopo tanta fatica siè riusciti a costituire il patto di

base, che purtroppo èmiseramente fallito poiché cisono state spinte maldestre adaffrettare i tempi perun'unificazione, senzavalutare il contesto e lanecessità di fare maturare unpercorso necessario. Questoha prodotto una reazionecontraria e successivescissioni.Credo che il sindacato di classesia tutt'ora in costruzione, nonè per niente definito e ilsindacato di base puòevolversi in esso. Costruire unnuovo confronto ecoinvolgimento, dellagenerazione successiva alladirigenza attuale delsindacalismo di base con ilfavore della stessa dirigenzaattuale, può generare, con lanecessaria maturazione, unnuovo patto che porti(insieme) alla costruzione delsindacato di classe.

Non pensi che il ruolo dellaburocrazia sindacale in tutti iPaesi sia un ostacolo affinchéla nostra classe possamantenere i diritti, i posti dilavoro, le conquiste sociali eanche la libertà diorganizzazione sindacale?Se per burocrazia si intendeparlare spesso di lotta mapraticarla poco o se si intendetutto quello che frena la messain pratica della teorianecessaria, come è necessariatradurla nel contesto dellecondizioni date,materialisticamente, allorasono contrario alla burocrazia.Io credo sia necessariaun'organizzazione che nongeneri lacci e laccioliburocratici ma che abbiaanche una disciplina. In brevesenza un'organizzazione dellemasse proletarie non si è

pronti in qualsiasi momentoalle condizioni che si possonopresentare. Anzi, il rischio è didisperdersi nellospontaneismo. In ogni casoavere in mente la distinzione ela differenza tra il ruolopolitico e quello sindacale èfondamentale, poiché nederiva un compito diverso,seppur congiunto.

Alla manifestazione diMilano, durante lo scioperogenerale del 18 ottobrescorso, hai tenuto uno deidiscorsi conclusivi. Fra idiversi argomenti hai ancheparlato della necessitàdell'unità. Sei d'accordo sulfatto che la strada per l'unitàdebba passare ancheattraverso la costruzione diun polo del movimentosindacale e dei movimentisociali contro la burocrazia ele sue politiche dicapitolazione sui nostridiritti e le nostre conquiste?Sono d'accordosull'unificazione di tutti glistrati proletari a partire dallacentralità operaia. In certimomenti bisognerebbecercare l'unità di azione tratutti gli ambiti politici,sindacali, sociali che mirano acambiare lo stato delle cose.Questo è un contesto per cuidovrebbero tutti lavorareaffinché l'unità d'azioneavvenisse.

Il 26 ottobre scorso haipartecipato all'assembleanazionale delCoordinamento delle lotte NoAusterity che si è tenuta allaRi­Maflow di Trezzano sulNaviglio (Milano) e inquell'occasione AlCobas Cubdi Varese ha aderito a NoAusterity. Cosa ti ha colpito

maggiormente diquell'assemblea ?Più che colpito, ho avutol'impressione di una buonavoglia dei presenti di mettersiin azione, collegandosi conaltre realtà, ma conun'evidente confusione suquello che realmente si puòcostruire e obiettivi daraggiungere. Forse anche ilmetodo e gli strumenti dausare, poco chiari.

Sicuramente il vostrocontributo sarà importanteper rafforzare ilcoordinamento, superando ilimiti che segnali. Ritornandoai contenuti che hai espressonel discorso conclusivo dellagiornata del 18 ottobre, mi hacolpito quando hai parlatodella necessità di lotta diclasse, anzi hai parlato diguerra di classe persconfiggere il capitalismo.Perfare questo può, secondo te,essere sufficiente lostrumento sindacale oppureconcordi che, accanto allacostruzione di un sindacato dilotta e di classe che sappiaporsi come reale alternativaper i lavoratori ai sindacaticoncertativi, sia necessaria lacostruzione diun'organizzazione politica,un partito, con influenza dimassa (che al momento nonesiste ancora nel nostroPaese) e che abbia comeobiettivo la distruzione delcapitalismo e si ponga sulterreno della lottainternazionale?A. Ferrari: Su questo punto nonè sufficiente lo strumentosindacale e concordo conquanto hai espresso.Quest'argomento andrebbediscusso approfonditamente econ più tempo. (29/11/2013)

Sindacalismoconflittualeelottadiclasse

Diego Rodriguez

Parliamo con Anna LisaMinutillo, donna opera­ia alla quale la logica delprofitto padronale ha

rubato il posto di lavoro ma ­ co­me lei ben dice ­ non ha affattorubato la dignità. Anzi, questasua dignità si è tradotta in lotta,lei è stata eletta membro delcoordinamento nazionale di Noausterity, coordinamento natoper superare l'isolamento dellesingole battaglie e unire la forzadei lavoratori. Per impedire allaminoranza padronale di conti­nuare a derubarci e violentarci.

Hai partecipato all'ultima as­semblea nazionale del coordi­namento No austerity tenutasinella fabbrica occupata Ri­ma­flow il mese scorso a Milano,coordinamento che anche i mi­litanti di Alternativa comunistastanno contribuendo a svi­luppare. Perché ritieni utile perla lotta dei lavoratori l'esistenzadi questo coordinamento?Ho aderito al coordinamento Noausterity perché da sempre ri­tengo che le lotte, anche quelleben organizzate, se sono isolatenon portano a nulla, e perchéquando toccano un lavoratore ècome se toccassero ognuno dinoi e questo dovremmo ri­cordarlo sempre, uniti diventia­mo una forza.La collaborazione nella resi­stenza ai tentativi di sgombero,nel sostegno ai presidi, tramite levarie iniziative organizzate daNo austerity, costituiscono unottimo contributo. È triste vede­re manifestazioni di protestaisolate e poco partecipate, no­nostante la gravità dell'attaccoche subiamo; non deve assoluta­mente vincere la rassegnazione.Dobbiamo unificare le lotte che

si sviluppano contro il sistema, eNo austerity può costituire in talsenso uno strumento prezioso.

Nell'assemblea nazionale si èparlato molto del ruolo delledonne all'interno delle lotte,sappiamo purtroppo che è piùdifficile per le donne spendersiin queste attività a causa del ca­rico di lavoro in più che hannonella vita privata. Per il 25 no­vembre è stato indetto uno scio­pero delle donne su tutto ilterritorio nazionale, che No au­sterity ed anche il Pdac hannosupportato, seppur critica­mente. Secondo te, perché sa­rebbe importante per le donnelavoratrici, e anche per gli uo­mini, partecipare a questagiornata di mobilitazione?Secondo me è doveroso ricorda­re ogni giorno l'importanza delruolo che le donne da sempresvolgono con dedizione edimpegno. È importante parteci­pare a questo sciopero proprioper far comprendere che ci sia­mo, che ci facciamo carico di unmucchio di situazioni e chesappiamo guardare alle cose daun'angolazione differente e consenso pratico. E tutto ciò, nono­stante i tentativi di metterci a ta­cere, tentativi che tuttora sistanno susseguendo con diverseforme di violenza gratuita.L'atteggiamento di alcuni uomi­ni denota la totale perdita diumanità. Fortunatamente lepersone non sono tutte uguali!

Il governo di larghe intese pa­dronale sta intensificando lemisure antipopolari e antiope­raie, la crisi del capitalismo lastiamo pagando di tasca nostrae con le nostre vite. Quale dire­zione a livello politico e sinda­cale potrebbe ribaltare questadinamica?

La direzione del disinteresse alprofitto e dell'elevazione dellepersone ad esseri umani primadi tutto. Questo suona utopico esembra solo una frase ad effetto,visto il diffuso scoramento,anche perché ci sono movimentie partiti antisistema che agisco­no concretamente ma non sonoancora riconosciuti/conosciutida molte persone. Eppure que­sta è l'unica via. Fino a che non sirimetterà al centro l'individuonon vedo margini di progresso.

Da ultimo, noi del Pdac pensia­mo che l'unica alternativa allabarbarie scatenata contro lamaggior parte della popolazio­ne da questo sistema economi­co basato sul profitto dei pochisia il governo dei lavoratori suscala internazionale. Pensi checi sia una via d'uscita dalla crisidi sistema che i padroni stannoscaricando sulle nostre spalle?I lavoratori stanno dimostrandodi avere le competenze suffi­cienti per andare avanti anchesenza un padrone sfruttatore dimanodopera, di avere pro­gettualità e di saper realizzare ipropri sogni. L'autogestioneoperaia, questa la vedo comepossibile soluzione, perché fi­nalmente si lascerebbero al la­voratore le decisioni funzionalial raggiungimento del benesserecollettivo. Basta con la resa aipadroni e col silenzio omertosoche si è visto dove ci ha portato.Continuare a lasciare la nostravita nelle mani di un gruppettodi collusi e sporchi profittatori èla via verso il declino totale. E'ora che le coscienze reagiscano eche le persone si riprendano inmano ciò che, grazie al loroimpegno, hanno fatto diventarequalcosa di unico. (29/11/2013)

Intervista ad Anna Lisa Minutillo (operaia Jabil)

Latestimonianzadiunadonnainlotta

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8 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTALOTTE OPERAIE IN PUGLIA

31ottobre:ilavoratoripugliesiunitiinpiazzacontroipadroniI militanti di Alternativa comunista in prima linea nella grande mobilitazione tenutasi a Bari

Michele Rizzi

Otto mesi di presidiocombattivo, uno sva­riato numero di as­semblee pubbliche,

iniziative con artisti che hannovoluto solidarizzare ancheattivamente (i due attoriStornaiolo e Solfrizzi hannosottoscritto 600 euro), hannocondotto i lavoratori dell'Omcarrelli di Bari, supportati daAlternativa comunista, allagrande manifestazione del 31ottobre a Bari. Una manifesta­zione che ha unito gli operaipiù combattivi della zonaindustriale di Bari e non solo,che in quasi 500 hanno occu­pato per quasi 3 ore il centrocittadino del capoluogo pu­gliese. Hanno aderito tanteavanguardie operaie di lottache in questi mesi hanno colla­borato con Alternativa comu­nista alla creazione di unfronte unico antipadronale eanticoncertativo, con rappre­sentanze della Bridgestone,Natuzzi, Skf, Telecom Italia,Poste italiane, Graziano tra­smissioni, Ilva di Taranto, Eco­leather di Monopoli,cassaintegrati della Telecom,collettivi studenteschi ed uni­versitari, in sostanza unmondo che non si rassegna asubire gli effetti brutali e nefa­sti della crisi capitalista in attoormai da cinque anniabbondanti.

La speculazioneselvaggia del padronato,

appoggiato dalleistituzioni

Una rabbia operaia che ha uni­to tante facce, espressione dilicenziamenti, precarietà, cas­saintegrazione, che ha decisodi scendere in piazza aderendoall'appello dei lavoratori Omcarrelli in lotta da più di dueanni contro la chiusura dellafabbrica. Una lotta di classecontro i padroni delle multina­zionali a cui è stato permessodi tutto, da forti sconti sucontributi e tasse grazie alla le­gislazione nazionale, a fi­nanziamenti a fondo perdutoda Ue e Regione Puglia. Questiaiuti economici hanno ingras­sato le tasche dei padroni ehanno continuano a tenere inpiedi i loro siti produttivi fino aquando non conveniva ai pa­droni stessi, fino a quando cioèquesti ultimi non hanno deci­so di delocalizzare nei Paesidell'Est Europa o in Asia dovelo sfruttamento dei lavoratori èancora più produttivo. Chi hadeciso di rimanere in Puglial'ha fatto unicamente perchéha avuto altri soldi pubblici eperché ha imposto condizionilavorative peggiorative, comenel caso della Bridgestone edella Natuzzi.

La complicità delleburocrazie politiche e

sindacali

A questa manifestazione, nonsono pervenuti – come spessoaccade ­ i partiti della sinistrariformista e centrista, salvoqualche sparuta bandiera diquello che rimane del Prc. Nonhanno aderito i sindacaticonfederali (c'erano invecealcuni sindacati di base comela Cub), senza alcuna motiva­zione ufficiale, ma evidente­mente perché questa iniziativarompeva con la loro strategiaconcertativa e con la loro dire­zione burocratica che mal di­gerisce il protagonismooperaio preferendo dirottare ilavoratori verso un rapportocon le istituzioni borghesi(proprio quelle istituzioni chesono pesantemente responsa­bili della situazione in cui sitrovano i lavoratori). Il corteoha sfilato per tutto il centrocittadino di Bari, fermandosidavanti all'università, simbolodi tagli all'istruzione e diconflittualità studentesca, da­

vanti alla sede regionale di Sel,dove sono partiti slogan controil governatore pugliese, e fi­nendo in Piazza Prefettura do­ve si è tenuta una partecipataassemblea pubblica. Nel corsodell'assemblea sono interve­nuti tutti i protagonisti dellamanifestazione, dagli operaidelle fabbriche coinvolte aglistudenti, dai rappresentantidella comunità di immigrati aimilitanti di Alternativa comu­nista. E ancora: i giovani delPdac, i rappresentanti di NoAusterity Puglia, di Rivoltiamola precarietà e di Atenei in ri­volta. Le conclusioni dell'as­semblea sono state tenute daFrancesco Carbonara, RsuFiom del Presidio Om e mili­tante del Pdac di Bari che ha ri­lanciato sul tema dell'unitàdelle lotte di lavoratori e stu­denti contro la crisi capitalistaed i suoi effetti barbarici.

Contro il vendolismo e lepratiche concertative,

per una prospettivarivoluzionaria

Alternativa comunista èall'interno della lotta dei lavo­ratori dell'Om carrelli sindall'annuncio dei licenzia­menti nel luglio del 2011 e daallora ha sostenuto attiva­mente questa vertenza con laposizione chiara sulla necessi­tà di gestione operaia dellafabbrica. Una posizioneavversata dai sindacati confe­derali da sempre alla ricerca,con tavoli e balletti istituzio­nali, di cercare di smorzare laconflittualità operaia percondurla sulla strada dellacompatibilità capitalista. Ilnostro lavoro nelle fabbricheva in direzione nettamentecontraria a questa praticaconcertativa. È un lavoro che

sviluppiamo da anni e che civede quale unica forza politicain Puglia a rappresentarerealmente le lotte dei lavorato­ri in un'ottica anticapitalista erivoluzionaria. Tutto questoaccade, tra l'altro, in una Re­gione governata ormai da ottoanni dal leader di Sel, Vendola,salito ultimamente agli onoridelle cronache per il rapportoconfidenziale con gli uomini

di Riva, patron dell'Ilva di Ta­ranto, oltre che con altri pa­droni che fanno affari inPuglia, e finito anche sotto lalente d'ingrandimento dellamagistratura nell'ambitodell'inchiesta “Ambientesvenduto”. Sel rappresentauna “sinistra” governista chebasa il suo consenso non tantosulle fantasie vendolianeraccontate nei salotti televisi­

vi, quanto sul rapporto con unpadronato vorace e sulla crea­zione di una rete di potereconsolidato e sviluppato nelcorso degli anni in cui Vendolaha amministrato la Regione. La“Puglia migliore” delle tantopubblicizzate narrazionivendoliane è solo questa, uneldorado per i padroni e uninferno per i lavoratori. Noi diAlternativa comunista siamo

altra cosa, l'abbiamo dimo­strato anche in occasione dellamanifestazione barese del 31ottobre e ci poniamo qualealternativa al vendolismo e aisuoi amici confindustriali. Unpartito rivoluzionario in co­struzione e sviluppo, semprepiù necessario per le lotte dilavoratori e studenti.(01/12/2013)

Dopoil31ottobrelalottanonsifermaIntervistiamo Luna De Tullio,attivista di Rivolta il Debito e Atenei in Rivolta

a cura di Nicola Porfido*Il 31 ottobre i lavoratori delPresidio Permanente Om simobilitano per le strade di Bari,indicendo al termine del corteoun'assemblea pubblica. Temaprincipale della manifestazioneè il Diritto al Lavoro, lanciatocon gli slogan e le paroled'ordine che in questi mesihanno mosso lo spirito disacrificio e autodeterminazionedei lavori in lotta, comeautogestione operaia. Forzepromotrici dellamanifestazione, accanto alPresidio, sono AlternativaComunista, Rivolta il Debito eNo Austerity Puglia, realtà chesin dall'inizio della vertenzahanno dato man forte ailavoratori in lotta.Intervistiamo Luna De Tullio,che è stata fra le organizzatricidell'evento. Luna è una giovanestudentessa impegnata nellelotte attraverso gli strumenti diRivolta il Debito e Atenei inRivolta, esempi di come le lotteoperaie e studentesche ora piùche mai debbano unirsi perrispondere agli attacchipadronali.

La manifestazione del 31ottobre è stata un importanteesempio di auto­organizzazione delle lotte.Perché pensi che questo siaimportante?La manifestazione del 31ottobre ha rappresentato solol'apice di questa vertenza. Èstata la dimostrazione di comeoggi sia necessario ripartiredall'auto­organizzazione deisoggetti oppressi e sfruttati, gliunici in grado di cambiare ilmondo ingiusto in cui viviamo.La “protesta simbolo” deglioperai Om è fondamentale cheprosegua con le proprie

rivendicazioni e si rafforzi.

Quali parole d'ordine devonoavanzare i lavoratori?Voglio nuovamente prendered'esempio la lotta deilavoratori dell'Om. Alcuneparole d'ordine non sono stateutilizzate solo in forma dislogan come talvolta accade,ma sono state realmentepraticate durante la lotta ehanno reso il senso comune diquello che si stava facendo.Termini come auto­organizzazione, mutualismo,riappropriazione sono benlontane da egoismi,frammentazione eindifferenza. Ed è quello cheserve per creare un nuovoimmaginario di classe.

Pensi che, di fronte alfallimento del padrone chedelocalizza, sia legittimoavanzare una pretesa diautogestione operaia? Perquali motivi?Non solo è legittimo, credo anziche l'autogestione dellafabbrica sia la via giusta per farsì che l'esperienza del presidionon rimanga solo una lottaesemplare ma che anzi possatrovare una soluzione concretaal silenzio delle istituzioni ed alcinismo dei padroni, partendodall'autodeterminazione deilavoratori stessi.

Oltre che in Rivolta il Debito, latua attività politica si svolge inAtenei in Rivolta. Quale deveessere il rapporto tra glistudenti e gli operai nelle lottesecondo te?Lavoratori precari, studenti,migranti, lgbt impegnati nellelotte, devono continuare alavorare insieme per crearequelle condizioni, di supporto e

di solidarietà diffusa tra isoggetti che oggi pagano di piùla crisi e le politiche di austerity,poiché il mezzo principale conil quale il padrone abusa delproletariato in generale è ladivisione dello stesso.

Come vedi il futuro della lottadi classe in Italia al momento ecome pensi potrà svolgersi infuturo?Non amo far previsioni, la lottadi classe, seppur frammentata,esiste ed è sempre più radicale.Ci sono forme di resistenza e dilotta in tutto il nostro paese, maquasi tutte purtropposcollegate tra di loro. Una dellestrade è riuscire a trovar unorizzonte comune costruendo

esperienze esemplari che sipossono diffondere egeneralizzare,dall'autogestione di unafabbrica come nel caso della Ri­maflow di Milano,all'occupazione di uno stabileper il diritto alla casa come nelcaso del Socrate di Bari, e cosìvia.

Grazie Luna, e buona lotta!Intanto il presidio continuadavanti ai cancelli, e i lavoratorinon se andranno finchél'azienda non sarà nelle loromani, le uniche mani capaci aconti fatti di portare avanti illavoro. Alternativa Comunista ei suoi militanti appoggiano epromuovono le parole d'ordinedei lavoratori che non hanno

int

enzione di cedereil passo sulla più sentita dellerivendicazioni: la gestioneoperaia dell'azienda! La crisi delsistema capitalistico hamostrato fin troppochiaramente come le istituzioniborghesi e le aziende privateconcorrano assieme versol'unica via che questo sistema èin grado di intraprendere: laprivatizzazione dei profitti e lasocializzazione delle perditesulle spalle dei lavoratori. Oramancano persino quelle pochebriciole che i padronilasciavano cadere dai tavoliistituzionali in passato. Oggipiù che mai, solo la lotta paga!(01/12/2013)

*Alternativa comunista Bari

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GGII OOVVAANN II ddii AALLTTEERRNN AATTII VVAA CCOOMM UUNN II SSTTAAFoglio dei giovani del Partito di Alternativa Comunista sezione italiana della Lit-Quarta Internazionale

Simone Tornese*

Le recenti mobilitazioni au­tunnali, convocate dal sindaca­lismo di base e dal mondo deimovimenti, hanno visto la

partecipazione di migliaia di lavoratori,disoccupati e cittadini in genere. Inquesto quadro si sono sviluppate comeogni anno le manifestazioni studente­sche in difesa della scuola pubblica. Leprincipali sono state le due di ottobre (4e 11) e quella del 15 novembre. Co­minciamo col riassumerne i momentisalienti.

L'antipasto del 4 ottobre…La giornata del 4 ottobre, indetta inoccasione del campeggio studentesconazionale No Tav a Chiomonte, harappresentato l'inizio del nuovo ciclo dimanifestazioni studentesche, concortei e mobilitazioni in diverse cittàitaliane: da Roma a Bologna, da Milanoa Palermo passando per Torino, Brescia,Pisa ecc. Rispondendo all'appellolanciato dalla rete StudAut,migliaia distudenti e studentesse sono scesi inpiazza per rivendicare i propri diritti erilanciare la lotta. “Assediamoli!” è il gri­do che ha risuonato da Torino a Pa­lermo, mentre la provocazione delministro Carrozza riguardo l'essere ri­belli veniva sbeffeggiata dagli studenti.Piuttosto partecipati i cortei che si sonosvolti nelle principali città: 5000 inpiazza a Palermo, con il corteo chepullulava di bandiere No Muos e coricontro il governatore Crocetta; circa1000 a Torino, tra cui tanti provenientidalla Valsusa; in migliaia anche a Romae a Napoli, dove si sono commemoraterispettivamente la morte di Pavlos Fys­sas (il rapper greco assassinato dai neo­nazisti di Alba Dorata) e la strage diLampedusa, con conseguente conte­stazione della legge Bossi­Fini(importante a tal proposito la cospicuapresenza a Brescia e Bologna dei mi­granti al fianco degli studenti); diversecentinaia anche a Modena, Catania,

Olbia, Capua e Piacenza, dove la prote­sta era rivolta principalmente contro leprivatizzazioni nel mondo della scuolae il caro­trasporti.

...la replica dell'11Una settimana più tardi gli studenti me­di invadono ancora una volta le piazzedi settanta città italiane. Sono in 5000 aRoma, 25000 a Napoli, 4000 a Bari, 5000a Milano, 4500 a Torino, 1000 a Genova,diverse migliaia tra Cosenza, Trieste, Pi­sa, Siena, l'Aquila, Salerno, Caserta,Catania, Siracusa, Bologna. A Milanocentinaia di studenti si ritrovano inlargo Cairoli per raggiungere la sededella Provincia e “denunciare lo statofatiscente di molti istituti scolastici”; aTorino scendono in piazza al fianco de­gli studenti anche un gruppo di rifugiatidelle palazzine ex Moi; “Non c'è piùtempo” è stato lo slogan scandito ad altavoce dagli studenti di Genova, mentre ain migliaia attraversavano il centrocittadino paralizzando il Rettifilo. Ma­nifestazioni piuttosto partecipate si so­no tenute anche a Venezia, Padova,Bologna, Palermo, Reggio Calabria eBari, dove circa duemila ragazzi sonopartiti da piazza Umberto perraggiungere la sede della Regione.

… e la giornata del 15 novembreE ancora il 15 novembre, in vista dellaGiornata internazionale dello studente,una nuova ondata di cortei e manifesta­zioni studentesche ha attraversato l'Ita­lia. Anche questa volta migliaia distudenti e studentesse, dalla Lombardiaalla Sicilia, hanno invaso le principalipiazze del Paese. Ecco alcuni degli slo­gan che campeggiavano sugli striscioniche come sempre hanno riempito icortei: “I muri crollano. Noi no”, “Chinon lotta ha già perso”,“Contro la scuoladi classe”. A Roma il centro della prote­sta, con gli studenti che si sono radunatiin piazza della Repubblica per dirigersipoi lungo le vie del centro. Da segnalareancora una volta la manifestazionesvoltasi a Pa­

lermo: migliaia di studenti stannohanno rivendicato il diritto alla gratuitàdei libri di testo e dei trasporti pubblici ela manutenzione degli edifici scolastici,legando queste semplici rivendicazionialla protesta “contro le politiche di au­sterity del governo Letta”.

I motivi della protestaProviamo ora ad analizzare brevementele principali cause che hanno spinto lemasse studentesche ad intraprendereanche quest'anno, seppur tra mille li­miti e contradizioni (che non abbiamomai nascosto ma sempre denunciato),un nuovo ciclo di mobilitazioni au­tunnali. L'anno scolastico è cominciatoin una condizione di logorante preca­rietà: edifici scolastici fatiscenti chemettono a rischio la vita di studenti edocenti, classi­pollaio che rendonoimpossibile un servizio serio e di quali­tà, aumento dei costi connessi all'istru­zione, ecc. La politica dei tagli non harisparmiato nemmeno gli alunni disa­bili, colpiti contemporaneamente dallamancanza di continuità didattica (figliadi una politica che ha deciso di ridurredrasticamente il turn­over) e dalla ridu­zione delle ore di sostegno (dovuta allaprogressiva diminuzione del rapportofra insegnanti di sostegno e alunni disa­

bili, e quindi ai tagli al personale). Da­vanti a questo disastro, causato davent'anni di politiche distruttive perse­guite dai governi di centrodestra ecentrosinistra, il nuovo governo “dilarghe intese” non ha cambiato rotta. Seda una parte Letta dice di favorire lascuola pubblica, dall'altra trova 230 mi­lioni per le scuole private in aggiunta aquelli che già versava (223 milionil'anno). Il Governo dice di volere unacultura accessibile a tutti ma sono mi­gliaia gli studenti che non tentanonemmeno l'iscrizione alle università acausa delle tasse sempre più alte. Per“risolvere” i problemi della scuola, loscorso anno il Governo aveva propostol'entrata di banche e aziende negli Isti­tuti e l'abolizione della democraziainterna tramite la riforma Aprea. Controquel provvedimento il movimento stu­dentesco, insieme ai docenti, con occu­pazioni, autogestioni, cortei e scioperisi è opposto fino ad ottenere il ritirodella riforma. Vengono perpetuate lepolitiche di austerità che hanno pro­sciugato il mondo della scuola, mentrele spese militari sono in aumento e lostesso dicasi per i finanziamenti allescuole private, in gran parte gestite dalobby collegate al mondo cattolico. Enon può che risultare una presa in giro il

finanziamento di 400 milioni di euroche Letta ha stanziato per la scuola, afrontedeiquasidiecimiliardiditaglichesono stati fatti negli ultimi anni. Solo pervarare un piano decente di edilizia sco­lastica la somma necessaria si aggire­rebbe sui 15 miliardi di euro!

Un programma dirivendicazioni studentescheper un'uscita rivoluzionaria

dalla crisi del capitalismoA fronte di una situazione che necessitadi misure forti, i Giovani di AlternativaComunista avanzano un programma diclasse, rivolto alle masse studentesche eai giovani lavoratori, basato appuntosull'alleanza tra studenti e lavoratori.Solo sviluppando questa unità di lotta edi intenti sarà possibile fronteggiare gliattacchi che un capitalismo sempre piùin crisi muove al mondo della scuola edel lavoro. Solo in una prospettiva anti­capitalista e rivoluzionaria può essereconcepita un'altra organizzazione delmondo scolastico assieme ad un'altraorganizzazione del mondo lavorativo.Le rivendicazioni fondamentali cheabbiamo portato e continueremo a po­ratre nelle piazze e davanti alle scuoleservono appunto a unire le esigenze

immediate del mondo stu­dentesco con una prospettiva dicambiamento generale deirapporti sociali:

­Cancellazione immediata ditutte le controriformedell'istruzione varate negliultimi anni; riassunzione deilavoratori precari licenziati estabilizzazione dei contratti;

­Estendere il potere e lapartecipazione degli studentiall'interno delle propriescuole; costituirecommissioni paritetichedocenti­studenti per deciderecollettivamente il piano diofferta formativa;

­Stop alle misure repressive!Cancellazione del voto dicondotta, del tetto massimodi assenze e dell'ordine diservizio per i docenti; no alleintimidazioni da parte deipresidi!

­Avviare un piano generale diedilizia scolastica finanziatocon i fondi destinati allespese militari;

­Creare una forma di reditostudentesco che vada aincludere l'accesso agevolatoa libri di testo, mense,trasporti e luoghi di cultura

(01/12/2013)*Giovani di Alternativa

comunista Lecce

GGiioovvaanniiddiiAAlltteerrnnaattiivvaaCCoommuunniissttaa..wwoorrddpprreessss..ccoomm wwwwww..aalltteerrnnaattiivvaaccoommuunniissttaa..oorrgg

Gli studenti in piazza control'austerity e il governo Letta

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II GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Davide Primucci

Nel mese di novembre è conti­nuata senza sosta la mobili­tazione campana contro ladevastazione ambientale ed

il biocidio. Comitati, cittadini, movi­menti e collettivi hanno animato setti­mane dense di iniziative emobilitazioni, la più importante quelladel 16 Novembre a Napoli. In tanti si so­no mossi per chiedere una nuova impo­stazione nella gestione dei rifiuti, la finedel silenzio istituzionale su roghi esversamenti illegali, la riaffermazionedella verità sull'avvelenamento di mas­sa che, con la complicità dello Stato, si èabbattuto sulla Campania. Numerosicortei, presidi e pubblici dibattiti hannopreceduto la massiccia adesione allamanifestazione #Stopbiocidio che, sa­bato 16 Novembre, ha visto un fiume inpiena inondare le strade di Napoli.

Dalla provincia di Caserta…Sabato 9 novembre a Caserta circa10mila persone hanno sfilato per le stra­de della città e, pur nella vaghezza deicontenuti, hanno manifestatostanchezza, rabbia ed indignazione chehanno rotto il muro di silenzio cheavvolge i luoghi del potere provinciale.Lo stesso giorno, sempre nel casertano,in migliaia hanno preso parte allamarcia da Grazzanise a Santa Maria LaFossa, angolo della provincia dura­mente colpito dalla presenza dellediscariche della vergogna, imposte asuon di manganellate, repressione e de­nunce durante la stagione dei commis­sari straordinari e dell'emergenzarifiuti. Un disastro di Stato, ben visibilequando ci si avvicina alla discarica diFerrandelle, dove la falda acquifera èstata irrimediabilmente compromessae patologie tumorali hanno colpito granparte degli stessi adetti al sito. Costruitacon la violenza e oggetto di numeroseindagini che coinvolgono molti funzio­nari pubblici, Ferrandelle è uno deisimboli più eloquenti di un disastroannunciato quanto irreparabile che sipoteva evitare semplicemente

ascoltando le voci dei comitati e deicittadini. Per questo motivo, dopo avervisitato il sito di compostaggio di SanTammaro (unico impianto utile e nondannoso, completato da anni e miste­riosamente mai entrato in funzione)una delegazione internazionale, segui­ta da diverse troupe di giornalisti, si è re­cata nella cosidetta “cittadella dellamonnezza” con il Toxic Tour, per docu­mentare e denunciare il disastrocampano al mondo intero.

...a quella di NapoliSul versante della provincia di Napoli, lamobilitazione di migliaia di persone hainvaso la città di Mugnano il 9 no­vembre, in un lungo corteo che è termi­nato nella vicina Marano e durante ilquale le parole d'ordine #stopbiocidio e#fiumeinpiena sono state ancora unavolta rilanciate. Se, dal punto di vista deicittadini, questo grande movimento dimassa cresce e si rafforza anche nellacapacità di ricomposizione intorno acontenuti chiari e unitari, è tuttavia daregistrare l'avvio della controffensiva daparte dei responsabili di questo imma­ne disastro. Con la copertura e l'avallo,talvolta inconsapevole e\o in buona fe­de di componenti interne all'ampiofronte popolare, talvolta spregiudicatonel tentativo di infiltrare la mobilitazio­ne, c'è chi cerca di piegare le richiestedelle popolazioni agli interessi di quellecompagini affaristiche, politiche e spe­culative che si sono arricchite ed hannoprosperato sull'avvelenamento dellaterra e sulla sua espropriazione alle co­munità. In particolare, il grande affaredelle bonifiche rappresenta la reale po­sta in gioco di questa partita e la capaci­tà delle comunità di portare avantiquesta rivendicazione avocando a sé ilcontrollo diretto sull'opera di risana­mento è uno snodo cruciale. Ci sonoelementi a sufficienza per poter dire pertempo che il capitalismo locale e nazio­nale sta, in questi ultimi mesi consempre maggiore forza, ricalibrando lapropria presenza ed il proprio assettopolitico­organizzativo, da un lato, peraccaparrarsi le ingenti risorse pubbli­

che in arrivo per le bonifiche e,dall'altro, per gestire il passaggio nelcontrollo del ciclo di smaltimento dei ri­fiuti da Ragione e Provincie ai comuni.

Il fiume in piena: un fiumeancora interclassista tutto da

organizzare

Il 16 novembre il fiume in piena alla fineè straripato, sotto una pioggia inces­sante circa 200mila manifestanti sonoscesi in strada per gridare la rabbiacontro quello che è forse il disastroambientale più rilevante e grave di que­sto paese. Un fiume in piena che palesaun movimento reale, più di opinioneche di lotta, che in questi mesi è cresciu­to e si è alimentato grazie all'impegnodi centinaia di persone, un qualcosa di

estremamente variegato e ambiva­lente, certo il movimento cresce, anchenei contenuti e nella capacità di analisi,ma al suo interno convivono ancoraconcetti e soluzioni che tra di lorocozzano e non poco. Tra chi chiede alleistituzioni di fare il proprio dovere a chile ha bypassate e le vede solo come ne­mico e responsabile, tra chi parla di le­galità e chi invece parla di legittimitàdelle lotte, tra chi vorrebbe l'esercito instrada e chi si farebbe scannare perimpedire la militarizzazione del terri­torio, insomma una babilonia di posi­zioni e di analisi che rivelano lamancanza di un punto di vista unitarioe di classe con cui affrontare la questio­ne. In tutto questo però dobbiamosottolineare che la data del 16 no­vembre a Napoli è stata una data stori­

ca, di sicuro il picco massimo diconsapevolezza delle comunitàcampane rispetto al biocidio e alla de­vastazione. Siamo al fianco delle co­munità locali, dei movimenti e deicomitati esortandoli a portare avantiquesta lotta pluriennale contro quelprocesso di devastazione ambientaleorganizzata che ha espropriato icampani del proprio presente, ipote­cando il futuro. Crediamo altresì chesolo con un programma basato su ri­vendicazioni di classe e sul potere ai la­voratori sia possibile risolvere una volteper tutte il problema dei rifiuti edell'inquinamento in Campania, po­nendo la gestione del ciclo interamentenelle mani dei lavoratori stessi e dellacittadinanza. (17/11/13)

LaTerradeifuochisisolleva!La grande manifestazione del 16 novembre e la necessità di una prospettiva di classe

Zeta­L'orgiadelpotere:ilconnubiotraarteepoliticainCosta­GravasIl regista greco attento non solo allo scopo politicoma anche all'intento artistico della sua operaGiovanni Bitetto

Contemporaneamente i militari hanno proibito: icapelli lunghi, le minigonne, Sofocle, Tolstoi,Mark Twain (in parte), Euripide, spezzare ibicchieri alla russa, Aragon, Trotsky, scioperare, lalibertà sindacale, Durcat, Eschilo, Aristofane, Io­nesco, Sartre, i Beatles, Albee, Pinter, dire che So­crate era omosessuale, l'Ordine degli Avvocati,imparare il russo, imparare il bulgaro, la libertà distampa, Beckett, Dostojevskij, Cechov, Gorki etutti i russi, il “Chi è?”, la musica moderna, i movi­menti per la pace… e la lettera “Z”, che vuol dire “Èvivo”in greco antico.La citazione finale che appa­re sullo schermo si ricongiunge, come un anellokekuliano, al titolo dell'opera, ed ecco comel'epigrafe all'inizio del film ( “ogni riferimento afatti realmente accaduti o persone realmenteesistenti è voluta”) acquista la forza di una di­chiarazione di intenti politici; Costa­Gravas,attraverso la ricostruzione fittizia dell'omicidiodi un deputato socialista ispirato alla figura diGregoris Lambrakis (trattata nel romanzo di Vas­sili Vassilikos, da cui il film tratto), vuole risalirefino ai prodromi delle macchinazioni militari edel clima culturale che hanno permesso il golpedei colonelli nel 1967 con conseguente instau­rarsi di una dittatura fascista in Grecia. Con Z Co­sta­Gravas, che fino a quel momento spaziavanel film di genere (dal noir al poliziesco, pas­sando per thriller) apre la grande stagione deigialli a tema politico che lo renderanno autoreacclamato in tutto il mondo (ricordiamo la vitto­ria dell'Oscar come miglior film straniero pro­prio con il sudetto) quali La confessione ,L'amerikano o L'affare della sezione speciale ,tutti grandi affreschi dei metodi coercitivi concui i vari totalitarismi mondiali silenziano la li­bertà di espressione e mettono il giogo a popolioppressi. Z risente delle influenze pregresse delregista nel cinema di genere: la vicenda è orche­strata a metà fra un giallo e un film d'inchiesta,pescando ampiamente anche dalle atmosfere te­

se del thriller e dall'estetica cruda e ritmata delpoliziesco, elementi che vanno a converge in undidascalico pastiche dalle pretese politiche; Co­sta­Gravas non si fa mancare l'espressionismo diun montaggio rapido e di fulminanti flashback,che con una precisa giustapposizione di imma­gini riescono a squadernare di fronte allospettatore i pensieri dei vari personaggi , riu­scendo nell'impresa di dare profondità psicolo­gica, e quindi dimensione tragica ai protagonisti,non cadendo nel tranello, di gran parte dei film atema politico, di sacrificare sull'altare della rico­struzione storica e del significato ideologico lapolivalenza e profondità dell'agire umano. Ed èproprio questa categoria antropocentrica che ri­sulta peculiare in Z; sulla scena di una Saloniccodisgregata da lotte intestine sia ai vertici dellamacchina burocratica che nelle strade deipicchiatori politici, si avvicendano le specula­zioni del magistrato protagonista (un Trinti­gnant solido come non mai), le parole melliflue ecolorate da un grottesco bipensiero dei colonelliche ordiscono il complotto omicida, lo squalloreumano dei militanti fascisti anch'essi, in fin deiconti, vittime di un sistema più grande di loro(ma non per questo meno colpevoli), la strenuaresistenza degli oppositori al regime in ascesa, ildolore e le passioni di chi ha perso il proprio caroin circostanze equivoche, l'avidità dei giornalistipronti a mercificare ogni informazione con cini­co pragmatismo, l'ingenuità di un campione dipopolo stremato da difficili condizioni di vita. Nenasce un coacervo di momenti drammatici e co­mici, di scontri ideologici e dialoghi al fulmico­tone, un balletto per l'appunto; se non fosse perle recrudescenze storiche che ricordano comeciò che passa sullo schermo sia realmente, e tri­stemente, accaduto; e allora il valzer assumequalcosa di corposo, di solidamente distorto:un'orgia. L'orgia di un potere malato che Costa­Gravas mette in mostra senza astrazioni, il bersa­glio grosso che si mostra per essere abbattuto.

Cinema e rivoluzione

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GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA III

StudentatoDeLollisoccupato:unesempiodilotta“I posti ci stanno,perché non ce li danno”.Il grido di battaglia per riavere i propri diritti

Mauro Pomo

Abbiamo denunciato più voltela tragica situazione in cuiversano gli studenti italiani acausa delle leggi che ostacola­

no fortemente l'istruzione pubblica afavore di quella privata, e talvoltaneanche quelle norme, già spiccata­mente anti­sociali, vengono attuate. Èquesto il caso della gestione delle borsedi studio a Roma da parte di Laziodisu,ente pubblico dipendente della RegioneLazio per il diritto agli studi universitari,dotato di autonomia amministrativa,contabile, finanziaria e patrimoniale(1) ,istituito nel giugno 2013 dal presidentedella Regione Nicola Zingaretti (Pd).

Il fattoQuest'organo, per l'anno accademico2013/2014 ha messo a disposizione 2300posti letto per gli studenti fuori sede dicui la maggior parte non sono mai statiassegnati. La situazione di inizio no­vembre vedeva più di 1200 studenti ido­nei non vincitori, ovvero studenti che,seppur in possesso dei requisiti di meri­to e di redito previsti, non hanno ottenu­to l'alloggio per mancanza didisponibilità. La situazione è ancora piùtragica se si pensa che Laziodisu, dopoaver dichiarato l'inagibilità delle suestrutture, affittava a privati a prezzi dimercato i posti letto di alcune residenze,di cui ben 208 nella nuovissima strutturadi Ponte di Nona (località periferica so­prannominata Quartiere Caltagirone).Così sono iniziate le proteste da partedegli studenti che sono riusciti ad otte­nere l'annullamento di questa vergo­gnosa operazione. La mobilitazione ècontinuata fino ad arrivare a mercoledì13 novembre, quando gli idonei sonoentrati nella casa dello studente in via C.De Lollis (a pochi metri dalla Sapienza) ehanno appreso, senza stupirsi più ditanto, che la struttura è in perfettacondizione, c'è disponibilità di acqua(anche calda), sono stati effettuati tuttigli allacci di luce e gas, le stanze sonoammobiliate e, a parte la polvere deldisuso, risulta possibile una qualità di

vita più che sufficiente. Ora la residenzaè completamente auto­gestita dagli stu­denti e a fronte dei tanti non vincitoriche arrivano ogni giorno per un postoletto, i ragazzi si riuniscono ogni pome­riggio per l'assegnazione delle stanze,dando prova di una direzione responsa­bile e giusta.

La risposta di LaziodisuCome una cagnetta a cui è stato sottrattol'osso, la reazione di Laziodisu non si èfatta attendere: stacca acqua e gas e, allarichiesta di spiegazioni ai responsabili,gli studenti si sono sentiti rispondereche “quando si occupa bisognaattrezzarsi di conseguenza” (2) . Certa­mente è un comportamento infantileche denota non solo il fallimento dei di­rigenti, ladove gli studenti hanno dimo­strato al contrario grande responsabilitàe coscienza, ma anche il totale disinte­resse nel garantire almeno i servizi mini­mi ai residenti. E poi, ancora, la Regionecol suo comunicato stampa a sottrarreZingaretti e le sue promesse in campa­gna elettorale dall'imbarazzo della si­tuazione: «Fin dai primi passi dellanuova giunta, la Regione Lazio ha ini­ziato a dare seguito agli impegni pre­si…con lo stanziamento di una primatranche da 10 milioni di euro per il paga­mento delle borse di studio arre­trate…ha assegnato per l'annoaccademico 2013/14 100 posti alloggioin più rispetto al precedente e si appre­sta a metterne a disposizione deglialtri… Allo stesso tempo è evidente cheLaziodisu e l'amministrazione regiona­le non possono non rilevare gli aspetti diillegalità dell'occupazione attualmentein corso di parte dello studentato di viaDe Lollis. Lo stabile…è un'area dicantiere, nel quale una ditta, regolarevincitrice di appalto, sta concludendo ilavori di adeguamento e ristrutturazio­ne. Lo stabile quindi non è nell'attualedisponibilità dell'Ente Laziodisu, madella ditta stessa che ha già sporto de­nuncia alle autorità competenti. Lesanzioni che potranno essere commi­nate per l'occupazione di un'area dicantiere non sono soltanto di natura ci­

vile e penale, ma anche pecuniaria». (3)

Siamo tutti vincitoriI dati che mostra fieramente il presi­dente della Regione sono rimasti solosulla carta. A Roma sono molti i casi diposti alloggio fantasma, presenti nelbando di concorso ma non disponibili:oltre al già citato studentato De Lollis so­no dichiarati inagibili le strutture di Ca­salbertone, Mandrione, Civis, Bocconedel povero (occupato pochi giorni dopoil De Lollis), per un totale di soli 554 postiaccessibili su 1800 del bando (posti chesarebbero comunque insufficienti percoprire i 2700 aventi diritto). I dati forni­ti raccontano come per la Regione, il di­ritto allo studio non sia una priorità,infatti lo stesso commissario straordi­nario Laziodisu Ursino, durante unconfronto con gli studenti ha tenuto asottolineare che il diritto allo studio nonva garantito a tutti, ma è necessario te­ner conto dello stato di crisi in cui versia­mo . (4) Il movimento studentesco siconferma ancora una voltaun'avanguardia di lotta che, a dispettodelle intimidazioni da parte delle istitu­zioni, continua a difendere i propri di­ritti, per un'istruzione libera eaccessibile a tutti. “Siamo tutti vincitori”recita lo slogan apparso dai cancellidella residenza occupata, un augurio dilotta che si estende a tutta la classeoppressa in cerca della vittoria fina­le.(26/11/2013)

Note

(1)http://www.laziodisu.it/default.asp?id=731(2)http://www.dinamopress.it/news/de­lollis­occupato­un­laboratorio­permanente­di­diritto­allo­studio(3)http://www.laziodisu.it/default.asp?id=51688https://www.facebook.com/notes/de­lollis­occupato/comunicato­di­risposta­a­laziodisu­e­regione­lazio/1380795422166057

Laprotestabulgara:brevecronacadellalottastudentescaMigliaia di studenti (insieme ai lavoratori) infiammano le piazze rivendicando dignità

Riccardo Stefano D'Ercole

In questi giorni, mentre inItalia il teatrino della politicaintasa i media, in Bulgariauna grossa protesta inonda

le strade di Sofia e di molte altrecittà. In realtà da cinque mesi unaserie di manifestazioni riempie lestrade con una richiesta precisada parte di studenti, sindacati emolti lavoratori: le dimissioni delgoverno.

L'occupazionedell'università: studenti edocenti uniti nella lotta

Sono loro i protagonisti, gli “stu­denti mattinieri”, come si defini­scono. Hanno occupato in ottobrel'aula magna dell'ateneo di Sofia,il più antico del Paese, conte­stando il ripristino dei dirittiparlamentari da parte dell'As­semblea Nazionale ad un perso­naggio di dubbia fama. Lacontestazione ha avuto un incipitdi carattere democratico perprendere poi, come spesso acca­de, una direzione di contestazio­ne ben più materiale. E infatti glistudenti sono stati affiancati dalpersonale universitario e dai do­centi e con voce unica hanno ri­vendicato il diritto ad una vita piùdignitosa, su cui grava una crisiinternazionale che i governi fannopagare pesantemente ai lavorato­ri, agli studenti, ai precari. In po­che parole alle fasce più debolidella società. Sofia e le altre città sisono infiammate contro la dila­gante corruzione del governo diPlamen Oresharski, primo mini­stro in carica da giugno che di­fende strenuamente le posizionidi appoggio alle politiche di au­sterity dell'Ue. E in una situazionedi instabilità politica e di crisi eco­nomica gli studenti avvertono ilpeso storico della loro azione.

Sebbene il movimento risulti es­sere diviso all'interno per il solitogioco delle parti (settarismo deimovimenti autonomi studente­schi) la protesta sembra prosegui­redecisaeilnumerodeglistudentiche partecipa all'occupazionedell'ateneo è in crescendo. Il pre­sidente Rosen Plevneliev ha stru­mentalizzato la faccendadichiarandosi apertamente favo­revole a una da lui definita“rivolu­zione morale” che dimostrerebbeun avanzamento della sensibilitàstorica dei cittadini bulgari.

Una lotta di massa controle politiche di austerity

È chiaro che la protesta non mettain dubbio i poteri forti, cosa cheinvece succederebbe se prendes­se una strada anticapitalista che,passando per l'organizzazionebolscevica del movimento stu­dentesco, sia capace di condurrealla vittoria la protesta in un'otticadi classe. Considerato ciò è perònostro dovere sottolineare il ca­rattere duro di queste mobilita­zioni che vanno avanti da mesi eche hanno raggiunto il culmineproprio in questi giorni: il 20 no­vembre. In questa giornata gli stu­denti, imbracciando armi dicartone hanno assediato i palazzidel potere dove si prendono le de­cisioni in linea con la mannaia so­ciale dei governi delle banche e delcapitale. Ma per le strade non erasolo la disordinata avanguardiastudentesca bulgara a comparire.Ad essa infatti si sono uniti i do­centi precari, i lavoratori del setto­re pubblico, i tassisti. Chiedonotutti insieme condizioni di lavoromigliore e denunciano la poca tra­sparenza in quanto a gestione difondi pubblici. Anche in Bulgaria,come in Italia, è cresciuto espo­nenzialmente il tasso di disoccu­pazione che sale oltre il 40 %,

destando parecchie preoccupa­zioni soprattuto in ambito giova­nile e questo ha portato il popolobulgaro a riempire le strade di So­fia, chiedendo le immediate di­missioni del governo e un ritornoalle urne anticipato. Il governo diOresharski è in carica da quandoquello precedente ha dato le di­missioni. Il presidente è l'espo­nente dei socialisti e ha aderitoalle linee politiche dell'unioneeuropea: tagli allo stato sociale,congelamento degli stipendipubblici, una serie di misure diausterità che stroncano il welfare.Ma non saranno di certo nuoveelezioni a riportare in positivo ilbilancio dello Stato e a risolveremiracolosamente i problemi le­gati alle politiche di austerità che ilgoverno del paese continua a pro­trarre attraverso schieramenti diogni colore politico.

La necessità del partitorivoluzionario e dellaprospettiva socialista

Tutto ciò non sta bene agli stu­denti e ai lavoratori che si sonouniti per portare avanti una lottache durerà, stando ai loro comu­nicati, fino a quando non avrannoottenuto ciò che vogliono. Certo,dopo cinque mesi di scontri e ditensione (A Sofia sono schierati10mila poliziotti), la protesta vaavanti, ma per quanto ancora?Sappiamo per certo che in as­senza di una prospettiva radicaleanticapitalista, che metta in lucele contradizioni del riformismo eche si adoperi per un'uscita diclasse dalla crisi, le proteste sonodestinate a rifluire. E manca inBulgaria quel partito della rivolu­zione socialista che può assu­mersi le responsabilità dirovesciare il governo del capitale,facendo vincere le lotte degli stu­denti e dei lavoratori.

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IV GIOVANI di ALTERNATIVA COMUNISTA

Nel mese di settembre siè avuto il 31esimoanniversario dellastrage di Sabra e Shati­

la (16­18 settembre 1982); perquesto riteniamo sia importantecomprendere la politica delle éli­te libanesi, dalla Nakba(1) fino aigiorni nostri, passando per laguerra civile (1975­1990). Que­st'ultima segnò la storia di quelpaese, intrecciandosi con la que­stione palestinese. La borghesialocale si servì sempre della pre­senza dei profughi palestinesi sulterritorio nazionale perconfondere e dividere la popola­zione lavoratrice in lotta per mi­gliori condizioni di vita e ancheper evitare qualsiasi riforma pro­gressista. Questa stessa politicadiscriminatoria fu utilizzata dallaSiria di Hafez el Assad e da Israeleper giustificare il propriointervento criminale nella guerracivile libanese.

I palestinesi: bersagliopermanente della

borghesia libanese

Dopo l'indipendenza, unconsorzio di 29 famiglie tradizio­nali monopolizzò i principalisettori economici del Paese.Malgrado fosse un Paese relativa­mente piccolo, il Libano siaffermò nella divisione interna­zionale del lavoro come un pontetra l'Occidente e il mondo arabo,in particolare i paesi produttori dipetrolio. Banche, commercio, tu­rismo, porti, compagnie aeree­molti dei quali in società concapitali internazionali­ divenne­ro i settori chiave dell'economia,a scapito dell'industria edell'agricoltura che conservaro­no comunque un certo peso eco­nomico. Secondo quanto scrivelo storico marxista libanese Faw­waz Traboulsi, nel suo libro A Hi­story of Modern Lebanon ( Storiadel Libano Moderno ), queste fa­miglie borghesi erano per lamaggior parte cristiane (novemaronite, sette cattoliche greche,una latina, una protestante,quattro ortodosse greche e unaarmena), ma ce n'erano anchequattro sunnite, una sciita e unadrusa. Tale potere economico sitraduceva in potere politico: sideterminava un'egemonia dellaborghesia cristiana. Il potere eraconcentrato nelle mani del presi­dente, anch'esso un cristiano. InParlamento vi era una proporzio­nefissadiseicristianiognicinquemusulmani. Questo regime poli­tico, formalizzato nel “patto na­zionale” del 1943, fu modificatosoltanto dopo la guerra civile, congli accordi di Taif, nel 1990. Lamaggior parte della borghesia li­

banese utilizzò sempre i palesti­nesi come bersaglio permanenteal fine di deviare l'attenzione daiproblemi strutturali del Paese eimpedire qualsiasi riforma del“patto nazionale”. La maggio­ranza della popolazione lavo­ratrice nelle città e nellecampagne appoggiò sempre lacausa palestinese.

La discriminazionecomincia con la Nakba

Nel 1948 120 mila palestinesi si ri­fugiarono in Libano. Da subito ilgoverno tentò di espellerli versola Siria. Di fronte al rifiuto di que­st'ultima, li si utilizzò come ma­nodopera a buon mercato per laraccolta degli agrumi in varie zo­ne del Paese. Nel 1965 gruppi dicristiani maroniti avviarono unacampagna pubblica per de­nunciare l'occupazione dellaQuarantina (quartiere nella zonaorientale di Beirut) da parte diabitanti stranieri (palestinesi e si­riani). Questo tipo di discrimina­zione contro i palestinesi saràuno stimolo permanentedell'agitazione reazionariaborghese. Il 1° marzo 1968, supressione di Israele e della Siria,l'esercito libanese inizia una seriediattacchicontroleforzedell'Olp(Organizzazione per la liberazio­ne della Palestina), i cosidetti Fe­dayn. Il 23 aprile 1969 l'esercitoapre il fuoco contro le manifesta­zioni di massa a favore della resi­stenza palestinese a Beirut eSaida (Sidone), provocandomorti e feriti. Questa offensiva siinterrompe con la firma degliaccordi del Cairo dell'8 novembre1969, che sanciscono il dirittodell'Olp a “governare” i campiprofughi palestinesi e organizza­re la resistenza armata controIsraele. A seguito di un crescentemovimento di massa, con scio­periemanifestazioniper lestradedi migliaia di lavoratori e studentiche vedevano l'Olp come una lo­ro alleata, il 3 maggio 1973 la forzaaerea libanese bombarderà ilcampo profughi di Bourj el­Bara­jneh.In luglio l'esercito e la Falange (ilpartito conservatore cristiano)attaccano i palestinesi a Dikwa­neh (quartiere nella zonaorientalediBeirut,dovesitrovavail campo profughi di Tel al­Zaatar). Il 26 febbraio 1975 unamanifestazione pacifica di pe­scatori a Saida, contro l'impresaProtein, è attaccata dalla polizia.La popolazione si solleva e, conl'appoggio dell'Olp e di gruppinasseristi e di sinistra, prende ilcontrollo della città e respingel'esercito e la polizia. Dinanzi aquesto pericoloso esempio, laborghesia libanese decide di ri­

correre alla guerra civile, soluzio­ne che escogitò per sconfiggereun grande processo di lotte dellaclasse lavoratrice libanese e pale­stinese, e impedire qualsiasi ri­forma del regime politicostabilito nel patto nazionale del1943. Per avviarla niente di me­glio che attaccare i palestinesi. Il13 marzo, accampando il prete­sto di voler reagire ad un attaccopalestinese, nei pressi di Ayn alRumaneh i falangisti spararonocontro un autobus pieno di pale­stinesi diretto aTel al Zaatar, ucci­dendo 21 persone.

La guerra civile: ipalestinesi continuano ad

essere il bersaglio

L'Olp era l'unica forza militareche potesse far fronte alle miliziefalangiste e alle forze libanesi(gruppi di destra armati da StatiUniti, Francia e Israele). Per que­sto la sua espulsione dal Paese eravoluta dalla maggior parte dellaborghesia libanese, dai governisiriano e israeliano, oltre che da­gli imperialismi statunitense edeuropeo. In un primo momentole forze progressiste, organizzatenel Mnl (Movimento NazionaleLibanese), guidato dal druso Ka­mal Jumblatt, con l'appoggiodell'Olp, di gruppi nasseristi edella sinistra, presero il controllodell'80% del territorio libanese.Jumblatt intendeva utilizzare laforza sociale e militare dei pale­stinesi al fine di negoziaremaggiori spazi di potere, per unariforma nel regime politico.L'Olp, cacciata dalla Giordanianel settembre nero del 1970, ne­cessitava di spazio e appoggio inLibano per proseguire la sua lottacontro Israele. Per questo si alleòcon Jumblatt nel Mnl e sostennevarie lotte popolari. Per evitare lasconfitta falangista Hafez el As­sad, eseguendo un ordinedell'allora segretario di Statoamericano Henry Kissinger e delgoverno libanese, con l'avallo diIsraele invase il Libano e attaccòle forze dell'Olp e del Mnl. Alla vi­gilia dell'invasione, il 12 aprile1976, Assad criticò violente­mente il Movimento NazionaleLibanese e l'Olp, descrivendo isuoi leader come “criminali cheacquistano e vendono politica erivoluzione”, e dichiarò la suaintenzione di intervenire nelpaese vicino per “difendere ognioppresso contro ogni oppresso­re”, come se i palestinesi fosserogli oppressori e i falangisti glioppressi. L'intervento sirianoriuscì ad impedire l'avanzata delMnl e capovolse i rapporti diforza a vantaggio dei falangisti.Questi, guidati da Bashir Ge­mayel, cercavano di imporre un

governo dittatoriale favorevolead Israele e al cosidetto Occi­dente. Bashir sosteneva che i pa­lestinesi fossero un popolo “ditroppo” e voleva la loro cacciatadal Libano. Perciò trattava conIsraele che gli garantiva armi el'invio di truppe, come accade nel1982. A quel tempo anche l'Iraq diSadam Hussein inviava armi aBashir. Il 23 agosto di quell'annol'Olp fu cacciata dal Libano,mentre il governo locale dava ilbenvenuto alle truppe israeliane.Senza l'Olp era più semplice

espellere i palestinesi. Tra il 16 e il18 settembre, appoggiatedall'esercito di Israele, le forze didestra libanesi ammazzaronocirca tremila palestinesi e libane­si nei campi profughi di Sabra eShatila, nella zona occidentale diBeirut. Il massacro provocò unaforte indignazione nell'opinionepubblica nazionale e internazio­nale e un sollevamento control'occupazione israeliana in Liba­no, il che sovvertì i rapporti diforza, questa volta a discapito diIsraele e dei suoi alleati falangisti.All'indomani della cacciatadell'Olp anche Amal, gruppo cherappresentava la borghesia sciita,attaccò i palestinesi su ordine diDamasco, facendo gli interessidella borghesia libanese. Lo fecedando inizio alla “guerra deicampi”, nella quale le sue milizieattaccarono le forze palestinesinei campi profughi con l'obietti­vo di prenderne il controllo, adispetto degli Accordi del Cairo.

I vincitori continuano conla discriminazione

Gli accordi di Taif sancirono la fi­ne della guerra civile. I numeri so­no drammatici: circa 70 milamorirono, 90 mila furono feriti,più di 800 mila furono cacciatidalle loro terre (670 mila cristianie 157 mila musulmani, princi­palmente sciiti) e 900 mila fuggi­rono all'estero. La sconfitta deifalangisti e di Israele comportòun cambiamento nel regimepolitico. Il potere centrale passòal primo ministro, che era sunni­ta, e in Parlamento si ebbe unaproporzione fissa di cinque cri­stiani ogni cinque musulmani.Inoltre la Siria divenne la “ga­rante” del Paese, fino ad esserneespulsa nel 2005. Ma per i palesti­nesi nulla cambiò: vi sono leggiche impediscono loro di esercita­re varie professioni e non hannodiritti di cittadinanza, il che lispinge verso una marginalizza­zione economica, sociale e politi­ca.

La questione palestinese:chiave per la liberazione

dei popoli arabiLa formazione dello Stato diIsraele, in seguito all'alleanzastorica tra il sionismo e l'impe­rialismo con l'obiettivo di colo­nizzare tutto il mondo arabo,divenne un simbolo concreto emolto ben armato della domina­zione della regione. La politicadei governi arabi consistenell'uniformarsi all'ordine colo­nialista mondiale, in particolareagli Stati Uniti e ad Israele. Sischieranoindifesadeipalestinesisoltanto per negoziare eingannare i loro popoli. D'altraparte, i palestinesi godonodell'appoggio della popolazionelavoratrice nell'intero mondoarabo. Queste forze sociali ­lavo­ratori, contadini, gioventùemarginata­ sono quelle chedispongono delle condizionistoriche per liberare tutto ilmondo arabo dall'oppressionecoloniale e sociale. Con la solida­rietà dei loro compagni e compa­gne, lavoratori e lavoratrici intutto il mondo, sarà possibileconquistare un mondo arabo li­bero e socialista.

Nota

(1) Nakba è un termine arabo chesignifica “catastrofe” o “disastro”,utilizzato per indicare l'esodopalestinese. Il 14 maggio 1948David Ben­Gurión, leader sioni­sta, proclama la creazione delloStatodiIsraele.Laproclamazioneunilaterale dello Stato di Israeleprovocherà un conflitto armatoche sarà conosciuto dal mondoarabo con il nome di al­Nakba.Nel gennaio 1949 i sionisti occu­pavano il 78% del territorio. Il ri­sultato fu che più di 750 milaprofughi dovettero abbandonarele proprie case fuggendo verso lefrontiere di Gaza e della Ci­sgiordania, e in altri paesi comeGiordania, Siria o Libano.

traduzione dallo spagnolo diSimoneTornese

Laquestionepalestineseelaguerracivilelibanese

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 9

LalottaesemplaredellaOmCarrellidiBariIntervista a Francesco Carbonara ­ Rsu Fiom Om Carrelli

a cura del PdAC Bari

Intervistiamo Francesco Carbona­ra, uno degli operai che è stato inprima linea nella lotta dei lavo­ratori della Om Carrelli di Bari.

Francesco, com'è nata la lottadell'Om? Quali sono gli ultimi svi­luppi?La lotta è nata dal fallimento dellatrattativa classica, quella in cui leistituzioni e i sindacati sono i pro­tagonisti. Una trattativa fumosache non ha portato a nulla. Edall'ennesima delusione da partedei lavoratori è scattato il presidio

per bloccare ciò che c'è dentrol'azienda: dai carrelli prodotti aimacchinari. Siamo in lotta da ottomesieilpresidiovaavanti24oresu24 con turni organizzati da noi la­voratori. E adesso ci stiamo orga­nizzando per i turni natalizi. Ilgiudice intanto ha rifiutato la ri­chiesta dell'azienda di farci andarvia dai cancelli, rifiutando paralle­lamente la nostra richiesta di se­questro dei carrelli. Pensiamo diandare avanti col presidio tenendoduro fino alla fine.

Quale è stato in tutta la vicenda ilruolo delle istituzioni? Ci riferia­

mo in particolare a Vendola e alsuo governo regionale.Vendola, come il resto delle istitu­zioni locali e nazionali, ha avuto ildemerito di utilizzare i soliti meto­di: provare a passare da padrone inpadrone, attenendosi sempre allevolontà padronali. Ma in questolungo arco di tempo trascorsodall'inizio della nostra vertenza, iballetti istituzionali non sonogiunti a nessuna conclusione. Leistituzioni e i sindacati si sono di­mostrati inefficaci, come minimo,e in alcuni casi al limitedell'incompetenza, per esempiorispetto a una serie di riconversio­ni fallite. Ci assicuravano che latrattativa sarebbe andata in porto eche noi avremmo dovuto ultimarei carrelli per sgomberare il campoall'azienda acquirente che alla fi­ne, non è mai arrivata. Un ingannovero e proprio alimentato dallerassicurazioni del ministero per losviluppo economico e della regio­ne Puglia, che ci ha costretto a pro­durre anche quegli ultimi carrelliche oggi ci troviamo a difendere. Ilruolo delle istituzioni è stato asso­lutamente deleterio. Questo pro­trarre la questione per le lungheproduce un'ulteriore conse­guenza negativa: quella di sfianca­re i lavoratori in lotta.

Quale è stato il ruolo dei sindacati? Hanno preso parte attiva nellalotta per far vincere la vertenza?Hanno portato avanti la loro clas­sica condotta: condurre lavertenza verso i tavoli istituzionali.Questo poteva creare qualche illu­sione magari negli anni settanta,quando c'erano briciole da redi­stribuire e una simile condottaportava ad un riscontro, sia purminimo. Ma oggi il padronato nonti lascia niente, dunque le trattativesono del tutto inutili. I sindacatifanno solo questo, provano a tra­scinare i lavoratori all'interno delledinamiche della concertazione. Si

pensi che alla manifestazione ope­raia del 31 ottobre a Bari i sindacatinon sono pervenuti! Chiaramentequesto non è un prodotto delsindacalismo in sé, ma di un sinda­calismo concertativo dominatodagli apparati burocratici filopa­dronali.

Che cosa hai da dire a tutti quei la­voratori che si vedono defraudatidelloropostodilavoroedellalorodignità?La soluzione secondo me è quelladi cambiare proprio atteggia­mento. Per me l'ideale sarebbequello di riprendersi le fabbrichedal punto di vista produttivo. Chise ne vuole andare per delocalizza­re se ne può andare, ma deve la­sciare ai lavoratori i macchinari eciò che serve per la produzione. Lemacchine e la produzione sono dichi lavora. Questa è la soluzioneche noi ci proponiamo di portareall'Om Carrelli e in altre situazionianaloghe. Questa ovviamente èun'idea difficile da trasmettere allagente, perché è diffusa l'abitudineallo schema classico dellaconcertazione, sebbene siasempre più evidente che non portia nulla. Risulta molto più difficileattuare una riconversione classicae questo si evince contando il nu­mero di riconversioni che siconcludono al ministero: zero. Noiproviamo a trasmettere questo ti­po di mentalità ma non è facile. Ilcapitale ha mezzi potenti per sco­raggiare la lotta: denunce, mi­nacce, ricatti e repressione. C'èancora questo freno mentale chederiva da anni e anni di praticheconcertative.

Om Carrelli, Bridgestone,Natuzzi. La condotta padronalenon cambia...C'è in realtà una piccola distinzio­ne da fare. Per quello che riguardaOm Carrelli, si è mostrata subito lafaccia feroce del padrone che ha

deciso senza se e senza ma di chiu­dere. Per Bridgestone e Natuzzi laquestione è differente. In questidue casi ci sono degli accordisindacali che sono stati venduticome un grande successomillantando la salvezza dei posti dilavoro. Noi sappiamo, invece, chequelli sono accordi che fanno fareprofittiaipadroniecherimandanoil problema di qualche anno, setutto va bene. Il caso Natuzzi èemblematico. Si regalano al signorNatuzzi 101 milioni di euro per li­cenziare 1800 lavoratori assu­mendo il resto in varie Newco chefaranno perdere ai lavoratori la ga­ranziadel lavoro.Puòesserechefracinque anni, e ne sono certo,perderanno il posto di lavoro.Fanno così ovunque.

Una bella manifestazione au­torganizzata dai lavoratori Om eda Alternativa Comunista ha

bloccato le strade di Bari. Oraquali sono le parole d'ordine perproseguire la lotta?La manifestazione di Bari è statauna giornata che ha segnato unacrescita qualitativa dal punto di vi­sta delle mobilitazioni dei lavo­ratori. Lì quel giorno c'erano ilavoratori Bridgestone e Natuzzicontrari all'accordo che, uniti ailavoratori del presidio Om, costi­tuiscono l'avanguardia più radi­cale della lotta operaia in Puglia.Una manifestazione che non èstata appoggiata da nessuno, senon dagli stessi lavoratori auto­organizzati e dal Coordinamentodi lotte No Austerity, e nel corsodella quale sono risuonate le paro­led'ordineconcuideveproseguirela battaglia: respingere le logicheconcertative, unificare le lotte,prendersi le fabbriche per conti­nuarelaproduzione!(01/12/2013)

LOTTE OPERAIE IN PUGLIA

Fabiana Stefanoni

Il 23 novembre a Bolognacentinaia di lavoratori eattivisti sono scesi inpiazza chiamati dal Si.Co­

bas. Bologna è uno dei fronti piùcaldi delle lotte della logistica.Dopo il licenziamento di più di50 lavoratori delle cooperativein appalto alla Granarolo, lalotta non si è fermata: i lavo­ratori hanno dimostrato di nonlasciarsi intimidire dalla re­pressione poliziesca e dalle de­nunce (sono più di 150 quellearrivate fino ad ora ai lavoratoridella Granarolo e a chi ha lottatoal loro fianco). Mentre scrivia­mo, nel bolognese si aprononuovi fronti di lotta nel settoredella logistica: da ultimo, allaArco Spedizioni, i lavoratori,dopo cinque giorni di picchettie di scioperi, sono riusciti a re­spingere il tentativo di una nuo­va cooperativa di prenderel'appalto al fine di sostituire gliscioperanti con i krumiri. No­nostante l'invio dei carabinieria sostegno dell'operazione, ifacchini del Si.Cobas, grazie aipicchetti e all'autodifesa,hanno costretto la nuova coo­perativa a rinunciare

all'appalto.

Granarolo: un casoemblematico

La vicenda dei lavoratori inappalto alla Granarolo è emble­matica. Dimostra, prima ditutto, che nel capitalismo i di­ritti conquistati dai lavoratoricon la lotta diventano cartastraccia quando ostacolano idiritti dei padroni. Per questo,ogni lotta non è mai veramentevinta se non si riesce adabbattere il sistema capitalisti­co. In questo caso, è lo stesso di­ritto di sciopero a essere messoin discussione: di fronte alla de­terminatezza e combattività deilavoratori, le istituzioni delloStato borghese hanno stabilitoarbitrariamente che la distribu­zione del latte rientra nei “servi­zi pubblici essenziali” ed è,quindi, sottoposta alla legge140/90, che limita fortemente ildiritto di sciopero. È una legge ­vale la pena di ricordarlo ­ che èstata sostenuta dalle burocraziedi Cgil, Cisl e Uil all'indomani diuna dura stagione di lotte neiservizi pubblici (trasporti escuola). Ma lo sciopero di no­vembre nei trasporti a Genova

ci dimostra che questi ostacolipossono essere abbattutidall'unità e dalla determinazio­ne dei lavoratori in lotta.Così, i lavoratori della Granaro­lo hanno deciso di non lasciarsiintimidire dalla minaccia disanzioni: hanno deciso di pro­seguire lo sciopero e i picchetti,nonostante le minacce, arri­vando ad aprire un tavolo ditrattativa per il ritiro dei li­cenziamenti. Fino ad oggi, gliimpegni presi dalle cooperative(alla presenza del prefetto diBologna) per la riassunzionedei lavoratori licenziati nonhanno portato a nulla diconcreto: solo 9 degli oltre 50 la­voratori sono stati effettiva­mente assunti e solo concontratti a tempo determinato.Anche per questo il 23 no­vembre è stata convocata unanuova manifestazione a Bolo­gna per rivendicare l'assunzio­ne di tutti i lavoratori licenziati.

Bologna e oltreLa manifestazione di Bolognadel 23 novembre è stata convo­cata per respingere la repres­sione delle lotte della logistica erivendicare l'assunzione ditutti i lavoratori licenziati. La

partecipazione è stata ampia,con la presenza di lavoratori delSi.Cobas di varie città d'Italia:dai lavoratori dell'Ikea di Pia­cenza (in rappresentanza deiquali è intervenuto MohamedArafat) a quelli dell'Esselungadi Pioltello (con l'intervento diLuis Seclen, attivista del Si.Co­bas e dirigente del Partito diAlternativa Comunista), fino airappresentanti di lotte più re­centi del settore, come quellaalla Nuova Moscato di Modena(dove i lavoratori sono riuscitiad ottenere con la lotta l'appli­cazione del contratto naziona­le). Oltre a loro, in piazza eranopresenti anche lavoratori dellalogistica dell'Adl Cobas del Ve­neto (che, come i facchini di Bo­logna, stanno subendorepressione, licenziamenti, de­nunce), lavoratori dei Cobas diBologna, i centri sociali, gli atti­visti del Coordinamento No Au­sterity (chi scrive è intervenutain rappresentanza di No Auste­rity, ricordando l'importanza dicostruire una rete di solidarietàinternazionale attorno allelotte della logistica). Il Pdac eral'unico partito presente inpiazza in modo visibile e orga­nizzato.

Il buon risultato della manife­stazione non deve esimerci dalrimarcare alcuni limiti chevanno superati. Prima di tutto,la lotta dei facchini non può enon deve restare isolata al solosettore della logistica: deveunirsi alle lotte dei lavoratori dialtri settori (dai metalmeccani­ci ai lavoratori del pubblicoimpiego), degli studenti, deimovimenti per la casa e per ladifesa del territorio. Nessunadelle lotte in corso oggi in Italiapotrà vincere se resta isolata: ènecessario unificare le variemobilitazioni in un progettounitario, che sconfigga i padro­ni e i loro alleati nelle istituzioniborghesi.Infine, ancora una voltadobbiamo riscontrare l'assenzavisibile in piazza di altri sinda­cati, inclusi gli altri sindacati dibase, e degli altri partiti della si­nistra. Probabilmente gliatteggiamenti settari e autore­ferenziali di qualche soggettopresente nella lotta della logi­stica (come alcuni centri socia­li) non ha agevolato lapartecipazione di altre orga­nizzazioni a questa lotta, maquesto non serve a giustificareun'assenza grave e pesante: è

preciso dovere di tutte le orga­nizzazioni della classe lavo­ratrice (sindacali e politiche)portare la solidarietà a questaavanguardia di lavoratori inlotta, doppiamente oppressi (inquanto immigrati).

Estendere eunificare le lotte!

Mentre a Bologna i facchini gri­davano la loro rabbia, in Brasile,nella riunione del coordina­mento nazionale della CspConlutas (il più grande sinda­cato di base dell'America Latinache, come il Si.Cobas, aderiscealla Rete sindacale internazio­nale di solidarietà e di lotta) siesprimeva la solidarietà allelotte della logistica in Italia.Crediamo che la lotta della lo­gistica potrà vincere solo se siestenderà la solidarietà di clas­se attorno ad essa, sul terrenonazionale e internazionale. Nelcapitalismo non c'è risposta peri facchini, né per gli altri lavo­ratori in lotta: unifichiamo lelotte per abbattere il sistema!(26/11/2013)

23 novembre,Bologna: la piazza risponde a licenziamenti e repressione

Nonsifermalalottadeilavoratoridellalogistica

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10 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTALOTTE DEI LAVORATORI IMMIGRATI

a cura dellaCommissione immigrati delPdac

Si sono subito asciugate le“lacrime di coccodrillo” dibanchieri e industriali, edei loro rappresentanti

nelle istituzioni, che, all'indomanidel naufragio di Lampedusa del 3ottobre scorso (che ha lasciatosenza vita 365 persone, fra cui

bambini,eunaquantitànonpreci­sata di dispersi) avevano fintodispiacere e commozione davantialle telecamere e sulle colonne deigiornali. La strage nel canale di Si­cilia continua, così come non èstata toccata la legislazione razzi­sta in materia di immigrazione,con buona pace di chi aveva ripo­sto la sua fiducia nel ministroKyenge, donna e nera che, nell'illu­sione di molti, avrebbe dovuto fi­

nalmente rappresentare edifendere i diritti degli immigratied ottenere un cambiamento dellaloro drammatica situazione. Co­me Pdac avevamo da subito de­nunciato l'inganno, dicendo che l'incarico della Ministra Kyengeaveva solo lo scopo di illudere gliimmigrati ad avere fiducia in que­sto governo, fingendo un cambia­mento inesistente. Riporreaspettative su un ministro del go­verno dei padroni, anche se nera,è, per il lavoratore immigrato,molto pericoloso: non bisogna ri­porre speranze sui governi dei pa­droni, non si può più perdere ilprezioso tempo che serve, invece,per organizzare una reale lottacontro la legge Bossi­ Fini e per lasua cancellazione. Una legge cheha inasprito ulteriormente la pre­cedente legge Turco­Napolitanoche ha istituito per prima i Cpt(Centri di permanenza tempora­nea), poi diventati Cie (Centri diidentificazione ed espulsione) eche ha legato il permesso disoggiorno al contratto di lavoro.Una normativa, quella attuale, cheautorizza respingimenti sbrigativi,rifiutando una normativa specifi­ca per i minori.

Speculazione e razzismosulla pelle dei migranti:questo è il capitalismo

E così, proprio con la ministra neraè accaduta“la più grande strage cheLampedusa ricordi”, come haaffermato alla stampa, all'indoma­ni della tragedia, Giusi Nicolini,sindaco della città. E nemmenosulla cittadinanza ai figli di immi­grati nati in Italia si è mosso nulla,nonostante la Keynge: un altroargomento sul quale il governo haspeculato cercando di attirare spe­ranze e simpatie e calmare le prote­ste, in modo che tutte le aspettativesi riponessero sulle mani del primoministro nero della storia della Re­

pubblicaitalianache,però,èservitasolo a legittimare con menoconflitto le azioni di un governorazzista e classista. E' di queste ore,mentre scriviamo, la notizia di arre­sti e perquisizioni nella provinciaaquilana per la scoperta di unaorganizzazione che promettevafalsamente un lavoro agli immi­grati, attraverso l'ottenimento di unregolare visto di ingresso, ma unavolta giunti in Italia queste personenon venivano assunte. Si tratta so­prattutto di bengalesi, pakistani emarocchini, fatti arrivare in Italia,in particolare ad Avezzano e nei Co­muni della Marsica, attraverso iflussi migratori disponibili nelcorso dell'anno, per l'assunzione dilavoratori stranieri presso locali

aziende agricole. Ma una voltagiunti in Italia i cittadini stranieridovevano pagare 7000 euro ai falsidatori di lavoro o ai loro interme­diari, senza ottenere alcuna occu­pazione. Questo è solo uno dei tantitragici episodi di sfruttamento aidanni degli immigrati.

Per la lotta ad oltranza deifratelli migranti uniti ai

lavoratori nativi contro ilsistema

I popoli soffrono, le politiche delFondo monetario Internazionale edella Banca Mondiale hanno mas­sacrato le terre, la pesca, l'agricoltu­ra dei popoli dell'Africa, con lacollaborazione dei governanti lo­

cali. L'Europa porta le armi in Afri­ca.Dopoavercreatounasituazionedi continua emergenza umanitariainAfricaigovernieuropeichiudonola porta e quanto accaduto aLampedusa dimostra solo la verafaccia di egoismo e di aggressivitàdell'imperialismo. Per questoAlternativa comunista continueràad attivarsi in prima linea in tutte lemobilitazionichevedrannoifratellimigranti protagonisti, lottandocontro tutte le leggi razziste, dicentrodestra e centrosinistra, finoalrovesciamentodiquestogovernoe alla costruzione di un governo deilavoratori e per i lavoratori, il sologoverno che può realmente ri­solverelaquestionedegli immigratinel loro interesse.

StragediLampedusaeipocrisiapolitica:lanostraposizioneLotta e resistenza fino all'abrogazione di tutte le leggi razziste e al rovesciamento del governo

Francesco Miccichè*

In quest'articolo vogliamo da­re voce a chi non c'è l'ha. Perquesto motivo intendiamodivulgare una storia che ci ha

toccati profondamente come uo­mini e come militanti. In questi me­si di lotta a fianco dei nostri fratellimigranti in Sicilia abbiamo avutomodo di conoscere tanti fratelli ve­nuti da ogni parte del mondo,compagni che portano con sé storiedrammatiche, fatte di lacrime e disorrisi, ma tutte collegate da un filoinvisibile che si chiama viaggio. C'èchi parte a piedi dalla propria terrapercorrendo migliaia di chilometri,superando confini e territori sco­nosciuti. C'è chi sale su di un bus,c'è chi è costretto a imbarcarsi su diuna carretta di legno, c'è chi parteper la fame, chi va alla ricerca di unlavoro, chi parte per sfuggire a care­stie e persecuzioni. Storie di uomi­ni, donne e bambini, storie di volti edi ferite, storie come quella che oggivi raccontiamo. Durante le lotteportate avanti nel nisseno abbiamoavuto il piacere di conoscere tantepersone straordinarie, fra cui Abid,giovane ragazzo pakistano di venti­sei anni, che come tanti migranti ha

vissutopermesisottolapensilinadiun centro sportivo abbandonato, incontrada Pian del Lago, prima diaccedere al famigerato Cie di Calta­nissetta. Ero colpito da quel ragazzodagli occhi stanchi, ma con il sorri­so sempre sulle labbra, tenevastretta tra le mani la nostra bandieracome un'arma di difesa da ogniangheria e violenza. Violenze ferociche lui ha subito personalmente, eche ha voluto di raccontarci in pri­ma persona.

L'odissea di Abid«La mia odissea – dice Abid ­ ha avu­to inizio due anni fa, quando fre­quentavo il primo anno di Biologia.Un giorno un collega in facoltà mi siavvicinò, e mi chiese se ero interes­sato a far parte di un nuovo movi­mento politico, che in quegli ultimimesi si era fatto strada anche trai igiovani in Pakistan. Io non ero inte­ressato alla politica, tanto meno aquel movimento che era già cono­sciuto per i suoi modi violenti, quelmovimento si chiama Al­Qaeda. Glidissi che non ero interessato a farparte di quel movimento e che lapolitica non era tra i miei interessi.Nei giorni successivi s'intensifica­rono le sue proposte, e giorno dopo

giorno i suoi modi di porsi nei mieiconfronti diventavano sempre piùburberi, ma io continuavo a rifiuta­re. Fino a quando non mi rivolse piùla parola. Trascorrevano i giorni,alternando studio e lavoro tra icampi, per aiutare i miei genitori.Un giorno come gli altri, tornando acasa, trovai i miei genitori seduti incucina con aria pensierosa e triste.In seguito a mie ripetute esortazio­ni si decisero a raccontarmi quelloche era accaduto durante la mia as­senza. Due sconosciuti erano ve­nuti a chieder loro se volevanofarmi entrare a far parte di Al­Qae­da, aggiungendo che se la loro pro­posta fosse stata accettata, cisarebbe stata un'immediata ri­compensa in denaro. Era chiaro amio padre che si trattava di un veroe proprio ricatto, cosicché senzaperder tempo rifiutò l'offerta, einvitò questi due “signori” a uscireda casa. Ma dopo pochi giorni queipersonaggi ritornarono, e appro­fittando dell'assenza da casa dellamia famiglia, mi presero con laforza, mi bendarono e mi portaro­no con loro. Ricordo benissimoquelle ore, il suono assordante delmotore e l'andare veloce sulle stra­de sterrate. Dopo parecchie ore mitolsero la benda, in un primo mo­mento non capii nulla. L'unica cosache sapevo era che ero lontano dacasa, che mi trovavo in una lussuo­sa villa, e che vicino a me c'era unuomo sui trent'anni che stava in si­lenzio senza mai guardarmi. Michiedevo cosa mai avrebbe volutoda me. Ero spaventato, seduto inuna sedia con i piedi e le mani le­gate, gli chiesi dove ero e del perchémi avessero rapito, ma non mi ri­spose. Dopo qualche istante entra­rono nuovamente i miei rapitori: ilpiù grosso con una mano mi tappa­va la bocca, l'altro bastardo con una

tenaglia mi tirava via un'unghia delpiede e con un ferro caldo mi lascia­va dei lividi sui piedi e sulle gambe.Avrei voluto gridare ma il fazzolettoche mi tappava la bocca m'impedi­va anche di respirare, infine un pu­gno in faccia mi diede il modo dinon sentire più il dolore poichésvenni. Dopo parecchie ore di soli­tudine, il mio guardiano, ri­tornando nella stanza dove mitrovavo, mi chiese quanti soldi ave­vo, e aggiunse che se volevo essereliberato dovevo dargli tutto quelloche avevo. Gli dissi che avevo solopoche rupie ma a lui non importa­va, li prese e mi slegò. In quel mo­mento non capii cosa stavasuccedendo, non capivo il perché diquesta mia liberazione, e ammettoche non lo capisco tuttora. Forseavrà avuto un rimorso di coscienza?Quella occasione era troppoimportante, dovevo andarmene!Uscii subito dalla stanza egettandomi dalla finestra del primopiano del corridoio, cominciai acorrere come un pazzo. Da una ta­bella mi accorsi che non ero tantodistante dal mio paese, così decisidi tornare subito a casa. Arrivato acasa, mia madre vedendomi miabbracciò forte e stavamo entrambi

in silenzio con le lacrime agli occhi.Gli dissi che mi avevano rapito, eche per non so quale ragione uno diloro mi aveva liberato. Mi chiedevocosa poteva accadermi ancora dicosi terribile, e mia madre mi dissesolo: “mettiti in salvo, scappa, dovenon ti possano trovare”. Io non vole­vo abbandonare la mia famiglia,volevo rimanere e affrontare quelloche poteva succedere. Mia madresempre con le lacrime agli occhi miripeté di mettermi in salvo e difuggire. Prese quei pochi soldi cheavevano risparmiato in tanti anni diduro lavoro, me li diede, così co­minciai a camminare senzavoltarmi, con le lacrime agli occhi eun nodo alla gola. Così dal Pakistanandai in Iran e subito dopo inTurchia passando per la Grecia, laMacedonia, la Serbia e la Romania,salendo su sino in Ungheria e poitornando giù in Italia, a Udine.Quanti chilometri, quante lacrime,quante umiliazioni. L'elemosinaera il mio unico modo per procu­rarmi un pezzo di pane, la strada di­

ventava una vera e propria scuola.In Italia finalmente mi sentivo al si­curo, perché in Italia non esiste AlQaeda. Dopo pochi giorni che ero aUdine, altri migranti mi dissero chea Caltanissetta esisteva un centrodove avrebbero potuto aiutarmiconidocumenti,cosìsonovenutoaCaltanissetta».

ContinualabattagliadelPdaca fianco dei migranti

Il sogno di Abid è iniziare a vivereuna vita dignitosa e continuare isuoi studi. La sua storia è la storia ditantissime persone, vittime delleleggi razziste e xenofobe promossedagliStati“democratici”.LalottadelPdac in Sicilia a fianco dei migrantiva avanti. La prossima tappa saràuna mobilitazione che promuove­remo il prossimo 10 dicembre, inoccasione della giornata mondialedei diritti umani. Per denunciarel'ipocrisia delle istituzioni e deimass media al loro servizio. Per de­nunciare l'operato delle burocraziepolitiche e sindacali, e soprattuttoper esigere a gran voce il riconosci­mento della dignità e del diritto diappartenenza dei fratelli migranti.Risultati che dovranno esserestrappati con la lotta, una lotta suscala nazionale e internazionale,che raccordi la battaglia dei mi­granti con tutte le altre battagliecontro il sistema capitalista. Abid etutti gli altri fratelli chiedono di vi­vere. E noi siamo al loro fianco.(01/12/13)

*Alternativa comunista Agrigento

ContinualalottadiAlternativacomunistainSiciliaafiancodeimigrantiLa parola ad Abid,fratello migrante del Pakistan

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 11DAL TERRITORIO

Vicenza:fermiamoiprofittideipalazzinari!Contro il Piano Interventi della GiuntaVariati esplode la protesta popolare

Davide Primucci*

In Italia sono molti i casi in cui gli inte­ressi economici di piccoli gruppi pre­varicano il legittimo interessecollettivo di difesa dell'ambiente.Anche a Vicenza succede questo. Lascorsa amministrazione Variati haapprovato con il Piano Interventi co­late di cemento che devasteranno inmaniera irreversibile il territorio. Gliunici ad arricchirsi con queste nuovecostruzioni saranno i giganti dell'edi­lizia privata, coloro i quali non si sonomai posti il problema dell'effettivautilità dei loro fabbricati, ciò cheimporta loro è che giri l'economia delmattone. Ecco l'urbanistica dellaGiunta targata Partito Democratico: afronte di 7 mila appartamenti sfitti, ilPiano Interventi porta a Vicenza ben652 mila metri cubi di cemento in più e130 mila metri quadri di Sau (superfi­cie agricola utilizzata) in meno. Percapire nel dettaglio dove sono previstequeste nuove abitazioni, basta sfo­

gliare la relazione programmatica delPiano Interventi varato nei primi mesidel 2013. Il grosso si prevede in alcunearee periferiche ma tutta la città saràtoccata dal piano. Basta fare due contiper capire come quelle nuove costru­zioni (in gran parte abitazioni) ri­marranno pressoché vuoteaggiungendosi alle migliaiad'appartamenti sfitti. Oggi costruireancora non è necessario, almenofintanto che non verranno riempitiquei fabbricati lasciati all'abbandonoe al degrado. Oltretutto questo pianoviene varato a fine mandato dallavecchia Giunta – da cui la nuova non sidiscosta più di tanto – senza un mini­mo di discussione pubblica, quanto­meno con gli abitanti dei quartieriinteressati dalle nuove costruzionipreviste nel P.I. approvato.

La lotta del Comitato PomariRiteniamo che sia giunto il momentodi finirla con le politiche urbanistichecalate dall'alto senza che venga mini­

mamente presa in considerazione lavoce di chi quei territori li vive. È ne­cessario rimettere in discussione tuttoil Piano Interventi coinvolgendo la po­polazione nelle scelte che segnerannoil nostro futuro e quello dei nostri figli.Allo stesso tempo siamo consapevolidella crisi in cui versa l'edilizia, e perquesto abbiamo una propostaimportante: stanziare i fondi per unpiano nazionale di ristrutturazionedel patrimonio pubblico (a partiredalle scuole) e messa in sicurezza delterritorio. Questa è l'unica soluzioneche concilia la salvaguardiadell'ambiente con la necessità di lavo­ro dei tanti operai edili oggi disoccu­pati. I soldi ci sono, vanno sottratti allegrandi opere inutili e alle spese milita­ri. Queste sono le stesse parole d'ordi­ne che ha portato in piazza lo scorso 23novembre il Comitato Pomari, un co­mitato popolare nato per fermare lacementificazione indiscriminatadell'omonimo quartiere vicentino.Sotto la pioggia battente, 200 persone

hanno protestato chiedendo un parcoal posto dell'ennesima colata di ce­mento. Anche qui l'amministrazioneVariati ha continuato a tergiversareper troppo tempo senza dare un bri­ciolo di risposta alla popolazioneorganizzata nel comitato di quartiere.Un comitato che si sta giustamentebattendo senza fare sconti né allaGiunta né al privato costruttore. È ne­cessario che le mobilitazioni comequelle organizzate dal Comitato Po­mari abbiano il più largo appoggio daparte della popolazione e delle orga­nizzazioni sindacali e politiche dei la­voratori che stanno subendo la crisidel capitalismo con licenziamenti,disoccupazione e devastazioneambientale dei luoghi dove vivono. Laterra per cui si sta battendo il ComitatoPomari deve tornare alla città sottoforma di parco, così come rivendicatodalla popolazione. Per questo abbia­mo partecipato al corteo esortando ilcomitato a proseguire nella lottasenza scendere a compromessi. Èinoltre necessario che questa lotta sileghi alle altre presenti a Vicenza e intutto il territorio nazionale: la lotta deiNo Tav, ad esempio, che denuncia co­me la linea ferroviaria Torino­Lionecostituisca la volontà antipopolare dicreare un'opera che è definita pubbli­ca per fare fruttare cospicui introiti

alle aziende private che smantellano ilterritorio della Val Susa. Oppure lalotta contro il Muos (Mobile User Ob­jective System) in Sicilia, un enormesistema di telecomunicazioni satelli­tari di proprietà della marina militarestatunitense che ha un impatto deva­stante sul territorio circostante.

Fermare la cementificazione!Ristrutturare case,scuole e ospedali!

Il Partito di Alternativa Comunista so­stiene tutti i comitati di base che de­nunciano i profitti derivanti dallaspeculazione edilizia e che si pre­occupano e promuovono la difesa delterritorio e il benessere della maggio­ranza della popolazione. Infine va ri­cordato che le grandi imprese dicostruzione private sono le stesse i cuipadroni intascano decine di migliaiadi euro mentre agli operai restano sti­pendi insignificanti. Tutto questo varovesciato! È necessario organizzarsi emobilitarsi a livello nazionale perfermare la cementificazione indiscri­minata, in particolare è necessariobloccare ogni ulteriore consumo disuolo agricolo. Il lavoro c'è: ristruttu­razione per case scuole e ospedali!(25/11/13)

*Pdac Vicenza

Controicriminidegliindustriali,organizziamolanostralotta!Le battaglie ambientaliste di Priolo e Milazzo,il ruolo di Green Italia e la deriva del Pcl

Gianmarco Catalano*

Inquinamento, morti, disastroambientale. Accomunate da questitre fattori sono le realtà industrialidi Priolo, Milazzo e Gela: tre dei

quattro siti contaminati in Sicilia (ilquarto è Biancavilla, in provincia diCatania) su un totale di 57 sparsinell'intera Penisola(1) . Gli ultimi dati epi­demiologici diffusi dall'Oms(2) mostranoinvolontariamente l'immagine del defi­nitivo fallimento di un sistema economi­co­industriale che ha dimezzato i livellioccupazionali e oggi offre solo nuovadisoccupazione, rapina dei territori e si­stematico attentato alla salute dellacollettività.

Priolo: l'arroganza dei padroni ela reazione del Popolo Inquinato

Quello di Priolo­Augusta­Melilli­Siracu­sa è considerato il polo petrolchimicopiù grande d'Europa. Un'area che dal se­condo dopoguerra in poi, a dispetto dellasua elevata sismicità, è stata colonizzataa tappeto da tutte le più grandi multina­zionali del petrolio che percinquant'anni hanno inquinato senzafreno l'ambiente, determinato un au­mento record del numero dei decessi pertumori, un anomalo eccesso di mal­formazioni congenite e un incrementodei mesoteliomi legato all'esposizioneall'amianto. Oggi la situazione non ècambiata minimamente. E per protesta­re contro le continue emissioni in ariad'inquinanti, un gruppo di attivisti si è dapoco riunito dando vita ad un comitatoambientalista che prende il nome di Po­polo Inquinato. Ad esso partecipano as­sociazioni locali, singoli cittadini ealcuni esponenti del M5s. Questi ultimi,con il loro consueto bagaglio di qua­lunquismo, hanno la paternità della pri­ma mossa del Popolo Inquinato: l'inviodi 50 mila cartoline al procuratore dellaRepubblica, al presidente Napolitano e aPapa Francesco. Un'iniziativa che deno­ta l'ingenuità di un movimento di prote­sta che è ancora lontano dal divenire

serio ed efficace strumento di lotta. Il co­mitato Popolo Inquinato rivendica lostanziamento di “soldi pubblici”,accanto a quelli che gli industriali do­vrebbero sborsare, per la bonifica delterritorio. Una richiesta che non possia­mo affatto condividere, perché investiredenaro pubblico per riparare i disastriprovocati dalle multinazionali signifi­cherebbe far pagare nuovamente allacollettività quanto già pagato a caroprezzo in termini di danni alla salute eall'ambiente. Noi pretendiamo, alcontrario, che siano gli stessi industrialiresponsabili dello scempio a risarcire, ri­sanare l'ambiente e mettere in sicurezzagli stabilimenti con i loro profitti accu­mulati nei decenni sulla pelle dei lavo­ratori e del popolo inquinato!

Il Comitato Aria pulita diMilazzo e l'azione di Green Italia

Contro i miasmi della raffineria Eni diMilazzo, nel mese di ottobre è nato il co­mitato Aria pulita. Tra i promotori spicca

il nome di Green Italia, un nuovosoggetto politico che vanta nella lista deisoci fondatori i nomi di due personaggiarcinoti al panorama politico: il finianoFabio Granata e il verde Angelo Bonelli,uniti in una sorta di “futurismo ecologi­sta”, con l'intento magari di riciclarsi inun nuovo contenitore elettorale. Dalmanifesto politico di Green Italia, siapprende che la soluzione per risolverela crisi economica e sociale sarebbe unfantomatico “green new deal” all'inse­gna della green economy per un uso so­stenibile delle risorse naturali, ma chenon metta minimamente in discussioneil modo di produzione capitalistico che èall'origine della crisi e determina la rapi­na di quelle risorse. Alla lotta di classenelle fabbriche e nelle piazze, Green Ita­lia pensa di poter sostituire una più mo­derna class action nei tribunali,nell'illusione che lo Stato borghese,indossando per l'occasione la veste delpapà giusto e premuroso, costringa ilgrande capitale industriale a pagare ilconto dei danni.

Cosa non devono fare irivoluzionari,ovvero la deriva

istituzionalista del PclCome è noto, secondo Marx e Lenin loStato non è un'entità imparziale, ma lostrumento di oppressione dellamaggioranza da parte della classe do­minante. Questa fondamentale lezionemarxista sembra essere stata completa­mente rimossa dai militanti del Pcl, aconsiderare da quanto scrivono in unrecente comunicato espresso a soste­gno del comitato Aria Pulita e pubbli­cato sul loro sito nazionale (3) . Iferrandiani dicono di avere “poca fidu­cia nelle istituzioni”, ma non così pocada escludere “esposti all'autorità giudi­ziaria”. E cosa ancor più grave, mentre“auspicano” le mobilitazioni, ritengono“sacrosanto chiedere alle istituzioni eagli enti (in particolare comuni, pro­vincia, regione) complici del colossoindustriale tutti i risarcimenti dovuti”,che tradotto significa una cosa sola:chiedere di far pagare ai lavoratori (checon le loro tasse alimentano le cassedelle istituzioni borghesi) i guasti pro­vocati dai padroni con la complicitàdelle istituzioni! Ma non è tutto. Il co­municato del Pcl prosegue in perfettotono dipietrista, lamentando i “tempimorti della giustizia” borghese e de­nunciando “'l'utilizzo politico eclientelare” di autorità come l'Arpa ol'Usl ­ evidentemente auspicando ilsemplice ripristino della legalitàborghese ­ per poi chiedere la rimozio­ne dei “dirigenti delle strutture incapacie nominati dal potere politico”, di­menticando che si tratta di organismidirettamente sottoposti al controllo ealle direttive dei governi regionali attra­verso i rispettivi assessorati, cioè di quelpotere politico da cui i ferrandianivorrebbero magicamente astrarli.Insomma, il Pcl si scioglie a livello localenelle istanze dei comitati, finendo peradeguare le proprie rivendicazioni al li­vello di coscienza delle masse, anzichéimpegnarsi concretamente perinnalzarlo, nel pieno di una chiara deri­va istituzionalista.

La vera prospettivarivoluzionaria contro la crisi e i

crimini degli industrialiNoi crediamo che la soluzione alla cri­si ambientale e occupazionale, al co­spetto dello strapotere del padronato,passi dal porre al centro la parolad'ordine dell'esproprio senzaindennizzo e sotto gestione operaiadella grande industria petrolchimica.Un obbiettivo che potrà essereraggiunto solo attraverso l'organizza­zione di una lotta radicale e a oltranzache unifichi in un'unica piattaforma leistanze ambientaliste alle vertenze delmondo del lavoro. Su questo frontesono già impegnate le sezioni sicilianedel Pdac, con l'obbiettivo di sviluppa­re e unire le diverse battaglieambientaliste – Priolo, Milazzo, Gelain primis ­ raccordandole alle altrelotte aperte a livello regionale, nazio­nale e internazionale. Per l'alternativasocialista volta a realizzare un sistemanon più basato sulle logiche di profittoperseguite dalla borghesia, ma sullapianificazione democratica dell'eco­nomia nel rispetto dell'ambiente e infunzione dei bisogni materiali dei la­voratori e delle classi subalterne.(01/12/13)Note(1) Si tratta di SIN, acronimo di “sitod'interesse nazionale” ai fini della bo­nifica;(2) Il riferimento è al rapporto pubbli­cato dall'Organizzazione mondialedella sanità sull'attività svoltanell'ambito del Programma di assi­stenza alla regione siciliana per le trearee ad elevato rischio di crisiambientale di Augusta Priolo­Gargallo,Gela e Milazzo (Ottobre 2006­Dicembre 2009) ;(3) Per chi volesse leggerne il testointegrale:http://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=APP&oid=2014

*Giovani di Alternativa ComunistaSiracusa

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12 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTAMOVIMENTI

Giuliano Dall'Oglio*

Come abbiamo fatto in di­versi numeri del nostrogiornale vogliamo conti­nuare a parlare di una

nuova forma di resistenza controle speculazioni e i profitti del capi­tale: questa è la resistenza che staportando avanti il popolo valsusi­no, contro la distruzione del pae­saggio e contro gli interessiaffaristici del grande capitale edella criminalità che si nascondedietro gli appalti per i lavori dellaTorino – Lyon. Ebbene si, anchestavolta parleremo della Tav e delmovimento che si oppone ad essacon alcuni importanti aggiorna­menti. Arresti, manganellate, de­nunce, minacce, accuse diterrorismo e criminalizzazione delmovimento fatta direttamente daimedia borghesi non hanno perniente scalfito la voglia di lottaredel popolo valsusino e di coloroche si oppongono all'opera, chehanno deciso di riunirsi il 16 no­vembre a Susa per una grande ma­nifestazione.

La manifestazione del 16 NPrima di arrivare alla manifesta­zione del 16 novembre faremo unpiccolo passo indietro temporale:partiremo dal 12 novembre. Pro­prio in questa data c'è stata unagrande assemblea con la parteci­pazione di almeno una sessantinadi persone in una sala stracolmadove alcune persone sono statecostrette a stare in piedi, ma eranomolto attente a quello che venivadetto dalle diversi voci che hannopreso la parola per esprimere lapropria solidarietà agli ultimiarrestati. Ora veniamo diretta­mente alla manifestazione No Tavdel 16 novembre a Susa, che ha vi­sto la partecipazione di circa30mila persone che hanno sfidatoil fredo di Susa per esserci e farsentire la propria voce, per niente

intimoriti dall'ennesimo attaccoin stile mafioso avvenuto il 2 no­vembre, ovvero l'incendio del pre­sidio No Tav di Sant'Antonino ­Vaie, terzo in ordine cronologicodopo quello di Bruzolo e quello diBorgone. Una manifestazione cheha visto la partecipazione del no­stro partito in una città dove ilsindaco e gli imprenditori sonoconosciuti per essere Si Tav. Ilcorteo è stato pacifico; l'unico mo­mento di tensione si è avuto da­vanti all'Hotel Napoleon,occupato a luglio e sede delle stes­seforzedell'ordinechesisonoreseresponsabili dei pestaggi, dellemanganellate e degli arresti dei NoTav. Al corteo erano presenti ancheNo Tav provenienti dai Paesi Ba­schi che hanno fatto conoscere lasituazione dei due NoTav spagnoliarrestati per una torta in faccia allaPresidente della Comunidad Au­tonoma di Navarra, fortemente fa­vorevole alla Tav; c'era inoltre laminoranza curda in Italia che haespresso il proprio dissenso neiconfronti dell'occupazione mili­tare che è stata fatta della Val Susa,dove le persone maggiormentecolpite sono gli stessi residenti chedevono mostrare diverse volte i

documenti per uscire dalla pro­pria città come se esistesse unadogana tra una città e un'altra.Questa militarizzazione dellaValle continua oramai da diversianni ed ha portato all'esaspera­zione i residenti. Come marxisti ri­voluzionari abbiamo sempreespresso la nostra opposizionemilitante nei confronti di un'ope­ra inutile e dannosa perl'ambiente ed auspichiamoinoltre la possibilità di coordina­mento di tutte le lotte a livello na­zionale, cosa che sta già facendo ilCoordinamento No Austerity, pre­sente in diverse realtà della nostrapenisola.

E dopo il 16 novembre?Dopo la giornata di mobilitazionedel 16 novembre, il popolo No Tavaveva deciso di partecipare a un“interessante” dibattito dal titolo“Sì Tav, No Tav? Oltre l'ideologia”avvenuto a Torino il 18 novembre.Una cosa che salta subito agliocchi in quest'iniziativa è che siastata organizzata dall'associazio­ne “Nuova Generazione”, associa­zione di area Comunione eLiberazione; il testo della convo­cazione affermava tra le varie coseche l'ingresso era libero e che si vo­leva dare vita a “un dibattitoaperto al confronto tra le diverseposizioni riguardo questa tema”.Un altro fatto però che potrebbefar già storcere il naso sono i re­latori ovvero l'on. BartolomeoGiachino, il sen. Stefano Esposito(senatore Pd salito alla ribaltadelle cronache per maiconfermate minacce di morte daparte di sedicenti No Tav), OlivieroBaccelli (tecnico dell'osservatorioVirano) il tutto presieduto daSilvio Magliano, vicepresidentedel Consiglio Comunale.Scorrendo i nomi sopracitati sipuò notare che sono tutte perso­ne… a favore della Tav! In un di­battito dove servirebbe

contradittorio è un po' difficilefarlo senza nessun relatore cherappresenti la controparte, maprocediamo con la serata perchéessendo ad“ingresso libero” ciò si­gnifica che anche persone contra­rie all'opera possono entrare, faredomande ed esprimere la propriaopinione. Scortati dagli uominidella Digos i No Tav, dopo cheall'inizio non gli era stato permes­so di entrare, sono riusciti aintervenire solo per dieci minuti,ma con domande che “dovevanoessere solo di tre parole” come de­ciso dalla claque di Esposito, dopoaver affermato che“qua le regole lefacciamo noi”. Non tutti peròhanno avuto la stessa fortuna:infatti alcuni attivisti del sindacatoCub sono stati fermati dalle forzedell'ordine prima di entrarenell'aula adibita all'assembleapubblica e non hanno avuto lapossibilità di partecipare al di­battito. Questa è la dimostrazionedi quella che è stata un'iniziativapubblica, ad ingresso libero eaperta al dibattito da parte di colo­ro che sono favorevoli a un'operache distruggerà una valle piena diamianto perché, e queste sono

state le testuali parole di unimprenditore di Susa a favore dellaTav, “così posso andare in Porto­gallo in quattro ore a mangiarmi lapaella e in tre ore posso andare aKiev ad avere rapporti sessuali”.Nemmeno 24 ore dopo migliaia dipersone si sono riversate a Romadove era atteso il vertice bilateraleItalia – Francia: come annunciatodirettamente da Enrico Letta unodei temi principali del vertice saràla Tav vista come opera diimportanza strategica e dacompiere. Molti dalla Val Susa sisonosobbarcatioreeorediviaggioin pullman per raggiungere lacapitale e fare un corteo fino alluogo dove Letta e Hollande si sa­rebbero riuniti. La polizia era peròdi altro avviso: i manifestanti do­vevano rimanere cintati come be­stie a Campo de' Fiori. Dopo unapacifica richiesta e qualche caricada parte della polizia il corteo èpartito e così i manifestanti e quelliche manifestano per il diritto allacasa che sono arrivati davanti allasede del Pd di Via dei Giubbonari,Pd che ha appoggiato sempre laTav e responsabile delle ultimepolitiche antioperaie. Il corteo poi

ha tentato di arrivare nel luogodove c'era l'atteso incontro tra ipresidenti italiano e francese e lì lapolizia ha cominciato a caricarepiù pesantemente il pacificocorteo arrivando anche ad arre­stare alcuni compagni.

La nostra posizioneNonostante l'inizio delle trivella­zioni avvenute a tradimento aChiomonte il popolo No Tav ha di­mostrato di essere compatto e divoler continuare la strada dellalotta mettendo in atto una forteresistenza che dura da più di ventianni. Alternativa Comunista hasupportato, supporta e supporte­rà la lotta No Tav con l'obiettivo diunificare le lotte in un'unica egrande vertenza generale nellaprospettiva di un governo dei la­voratori: infatti solo conferendo aquesta mobilitazione un caratteredi classe, sarà possibileraggiungerelavittoriaerimandarea casa le trivelle del capitalismo.(01/12/13)

*Giovani di AlternativacomunistaTorino

NoTav:lalottanonsiarrestaLa manifestazione del 16 e le prospettive della mobilitazione

a cura del Pdac Sicilia

Diverse volte ci siamo occupatidella lotta promossa dal Movi­mento No Muos, un movimentoche – nato a Niscemi, in Sicilia ­ha conosciuto in questi anni ungrosso sviluppo, uscendo daiconfini regionali e portandoall'attenzione dell'opinionepubblica nazionale e interna­zionale la questione relativa agliimpianti satellitari della marinamilitare statunitense. ComePdac abbiamo supportato que­sta lotta e saremo accanto ai NoMuos anche in occasione dellaprossima iniziativa regionale, ilpresidio antifascista previsto peril 30 novembre a Palermo.In que­sta sede vogliamo ripercorrere ilpercorso No Muos attraverso lavoce di un attivista che questalotta l'ha vissuta in prima lineain questi anni, un compagno chetraccia con grande onestà e pro­fondità il bilancio di questa espe­rienza straordinaria. Si tratta diFabio D'Alessandro, attivista ni­scemese, che ci offre una testimo­nianza interessante, a cuoreaperto, per comprendere unadelle lotte più dure attualmentein corso di svolgimento in Italia.

Fabio, quando ha avuto inizio

la lotta contro il Muos a Nisce­mi? E il tuo impegno di attivi­sta?La lotta va ormai avanti da 6anni. Il mio impegno nei primianni è stato sporadico, non permia volontà ma per la distanzafisica che mi ha costretto lonta­no da Niscemi. Poi è diventatosempre più assiduo, fino aconvincermi di lasciare Catania,la città in cui studiavo, per stabi­lirmi nuovamente a Niscemi. Hoportato il bagaglio politicoacquisito durante gli anni di uni­versità nel posto che mi ha cre­sciuto.

Quali momenti di questa lungabattaglia ti sono rimastimaggiormente impressi?Probabilmente la notte dell'11gennaio, quando lo Stato, pur difar passare un'enorme gru cheserviva ad issare le parabole, hamilitarizzato completamente ilterritorio. Non era mai successonemmeno per fatti di mafia: Ni­scemi è una città ad alta densitàmafiosa, in cui le guerre di mafiafacevano centinaia di morti ognianno. Quella sera mi trovavo aCatania, quando una telefonataci ha avvertito che quella nottesarebbe passata la gru cheaspettavamo da mesi.

All'improvviso ecco apparire unconvoglio fatto da mezzi pe­santi, polizia e mezzi tecnici. Èstata una visione, una di quellecose che ti accelera il battito, unascossa di adrenalina. Lo spetta­colo che ci si è presentato da­vanti è stato terrificante. Nottefonda, lampeggianti e luci dellecamionette. Quasi 300 uominidi polizia a scortare i mezzi, dinotte. Poi gli spintoni, le manga­nellate, i pianti.

È stato difficile far convivere lediverse anime del movimento?Lo è ancora. Ma è una caratteri­stica delle lotte popolari. Il Muosporta con sé criticità multiple,capaci di attrarre ampie fette dipopolazione. Dunque varieistanze, che hanno difficoltàspesso a dialogare ma che, fino­ra, soprattutto nei momentid'azione e nelle manifestazioni,sono riuscite ad agire all'uniso­no. Ci sono gli ambientalisti, ipacifisti, gli antimilitaristi. Laquestione della salute, certa­mente, ma anche quella dell'au­todeterminazione dei territori.Anche sui metodi ci sono grossedivergenze, dagli iper­legalisti aisabotatori. La vera vittoria pro­babilmente sarà quella di porta­re gli iper­legalisti a sabotare,com'è già successo.

Il Pdac, oltre ad aver portatoavanti – con la sezione di Agri­gento ­ insieme ad altri compa­gni una battaglia perl'inclusione dell'antifascismonella carta di intenti del movi­mento No Muos, ha sempre cri­ticato l'assenzadell'anticapitalismo nellapiattaforma No Muos. Pensia­mo infatti che la lotta contro ilMuos ­ una lotta di proporzionienormi che implica la battagliacontro l'imperialismo, contro

la militarizzazione dei territorie contro la devastazioneambientale ­ non possa esserecombattuta se non mettendo indiscussione il sistema che pro­duce quelle terribili piaghe.Qual è il tuo pensiero in merito?

Sono assolutamente d'accordo.Ma anche la carta d'intenti na­sce in una fase storica diversa daquella attuale, in cui la composi­zione eterogenea non hapermesso di avere una carta cosìavanzata come molti di noi aspi­ravano. Già l'inclusionedell'antifascismo allora destòun certo scalpore, vi fu adiritturauna scissione da parte di alcuni“sinceri democratici” nel nomedella libertà di parola. Proba­bilmente oggi i tempi sarebberomaturi per una “revisione” dellacarta d'intenti, che includal'anticapitalismo tra i valorifondanti del movimento.

È nata recentemente una “ReteNo Muos”, che si è staccata dadestra dal movimento, e che stapromuovendo una manifesta­zione a Palermo per il 30 no­vembre (contro questainiziativa, e per ribadire il suoantifascismo, il Movimento NoMuos promuoverà lo stessogiorno sempre a Palermo unpresidio antifascista). Cosa nepensi?La destra, i fascisti, hannotentato più volte di sfondaredentro il movimento ma non cisono mai riusciti. Prevedo che lamanifestazione del 30 sarà pocopartecipata. Questo perché i se­dicenti militanti della “Rete NoMuos” nel mondo reale non esi­stono, io non li ho mai visti. Senon sei disposto a sporcarti lemani, a presidiare, a sabotare, aparlare con le persone comepensi di riuscire ad essere aggre­

gativo lanciando una manife­stazione tramite facebook? Poicavalcare l'onda della manife­stazione apartitica è proprio uncolpo basso nei confronti delcoordinamento, oltre un modoper nascondere la loro realenatura di forza razzista e fasci­sta.

Per consolidare una lotta èimportante raccordarla allealtre lotte presenti sul territo­rio, a livello locale, nazionale einternazionale. Come è natol'avvicinamento dei No Muos aiNo Tav? Con quali altre realtà dilotta avete provato araccordarvi in questi mesi? Econ quali risultati?Il collegamento con le altre lotteè stato faticoso ma naturale.Abbiamo tentato di creare ponticon tutte le lotte territoriali,dalle più vicine a quelle piùlontane. Penso ai No Triv o al“fiume in piena” di questi giorninella “terra dei fuochi”, o ai NoDal Molin. Poi ovviamente ci so­no i No Tav, con cui tessiamorapporti politici e personali daprima della questione Muos.Occorre unire tutti quei focolaidi resistenza che stanno na­scendo in Italia per farne ungrande fuoco.

Recentemente una delegazio­ne dei No Muos di Milano hapresenziato alla partecipatis­sima assemblea nazionale diNo Austerity, il coordinamentodellerealtàdilottepiùavanzatepresenti nel nostro Paese. Cheidea ti sei fatto di questo stru­mento di lotta?Credo che l'unico modo percollegare realmente le lotte siacreare in ogni territorio uncoordinamento, una rete, perpoi interfacciarsi con le altrecellule. Ottima iniziativa, spe­riamo che anche qui si riesca afare qualcosa del genere.

In ultima analisi, quali pro­spettive di crescita ritieni cisiano ad oggi per il futuro diquesta battaglia e come pensibisogna procedere per darleulteriore forza?Credo che la lotta sia ancoralunga, nonostante l'ultimazionedelle parabole sia alle porte.Aggregare, essere attrattivi. Farcrescere e maturare una co­scienza sociale di ribellione. Ilportato di questa lotta èimmenso, vincerla significacambiare i siciliani, non gliamericani. Questa è la parte piùdura della lotta.

LalottaNoMuosraccontatadaunodeisuoiprotagonistiIntervistiamo il compagno Fabio D'Alessandro,attivista niscemese del Movimento No Muos

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 13TEORIA E PRASSI

PietroTresso:ilricordodiunrivoluzionariopercambiareilmondoCronaca dell'assemblea organizzata dal Pdac per commemorare uno dei fondatori della Quarta internazionale

Matteo Bavassano

Centoventi anni fa, il 3gennaio 1893, nasceva, aMagrè di Schio, in pro­vincia di Vicenza, Pietro

Tresso (Blasco). Morì nel 1943, as­sassinato in Francia, nel campo“Wodli” in Alta Loira. Il suo corponon fu mai ritrovato. Tra i membrifondatori del Patito comunistad'Italia, collaboratore di Gramsci,entrò in conflitto con la direzionetogliattiana del partito e stalinistadella Terza Internazionale perchéin disaccordo con la lineaavventurista del terzo periodo: inquanto segretario organizzativodel partito in Italia avrebbe dovutotradurreinpraticalalineadiMolo­tov che proclamava prossima la ri­voluzione in Italia (nel '29­'30),facendo rientrare quadri dall'emi­grazione mandandoli so­stanzialmente allo sbaraglio perfinire nelle mani dei fascisti, lineache lui si rifiutò di avallare ma chefu poi effettivamente messa in attoda Togliatti con gli esiti prevedibilidella distruzione di tutto un patri­monio di quadri. Per l'opposizio­ne a questo disegno atto acompiacere le burocrazie sovieti­che, Tresso con Leonetti e Ra­vazzoli furono esclusi dalComitato centrale del partito e poiespulsi dal partito stesso con altri,tra i quali Pia Carena (la compagnadi Leonetti),Teresa Recchia, MarioBavassano e la stessa Barbara,compagna di Tresso. Divente­ranno il nucleo della Nuova oppo­sizione italiana, primaincarnazione del movimentotrotskista nel nostro Paese. Già pri­ma dell'espulsione, nell'emigra­zione in Francia, “i tre” eranoentrati in contatto con Trotsky tra­mite Rosmer, membro dell'oppo­sizione di sinistra francese estorico amico di Trotsky da primadella guerra imperialista. Tressolegherà il suo destino politico altrotskismo, fedele agli insegna­menti del marxismo rivoluziona­rio: diverrà uno dei dirigenti dellaneonata Quarta Internazionale,sarà presente alla sua conferenzafondativa nel '38 e appunto perquestasuasceltadicampoafavoredel proletariato rivoluzionario sa­rà ucciso da chi si apprestava acollaborare con la borghesia. Loscorso 6 ottobre si è tenuta un'as­semblea organizzata dal Partito dialternativa comunista in ricordodi Pietro Tresso, nome di battaglia“Blasco”, nello storico Circolo ope­raio di Magrè di Schio in provinciadiVicenza, in quella stessa via Cri­stoforo che diede i natali 120 annifa al militante rivoluzionario. Unasceltanoncasuale,quelladitenerel'assemblea nel Circolo operaiofondato nel 1890 che ha rappre­sentato per Schio e l'alto vicentinoun centro di riferimento delle lotteoperaie e riferimento costante perle lotte politiche, come ha ri­cordato Marco Busetto, a nomedel Circolo, nel suo saluto all'as­semblea. Davanti ad una sala pie­

na hanno parlato PatriziaCammarata (della sezione Pdac diVicenza che ha organizzato l'ini­ziativa), Adriano Lotito (coordi­natore dei Giovani di alternativacomunista), Ugo De Grandis (sto­rico della Resistenza) e FrancescoRicci (del Comitato centrale delPdac) e le relazioni hanno contri­buito a costruire una giornata incui è stato possibile ripristinare laverità storica e affermare i realimotivi dell'assassinio di Tresso,dopo decenni di depistaggi,menzogne e coperture staliniste.Oltre a questi relatori, non po­tendo essere presente, hamandato un suo saluto all'as­semblea e un interessante contri­buto scritto Roberto Massari,scrittore ed editore indipendentenonchéattivistapoliticodaglianni'60. “Il Partito di alternativa comu­nista vuole ricordare e parlare diPietroTressononsolopersottrarloalle calunnie ma perché vogliamo– ha spiegato Francesco Ricci –proseguire il suo progetto di rove­sciamento del capitalismo. Trots­ky, che aveva diretto la rivoluzionedel 1917 ed era stato il fondatoredell'Armata rossa, parlando dellasua vita, affermava che la cosa piùimportante che aveva fatto era lacostruzione della Quarta Interna­zionale.Noicidichiariamoeredidiquella lotta, che è stata anche diPietro Tresso, eredi della sua vo­lontà e del suo progetto di costru­zione della Quarta Internazionale.Non c'interessa riaprire vecchi di­battiti, quello che c'interessa ècapire se il progetto politico diTresso avesse un senso e noi cre­diamo di sì”.

Certezze storichee verità scomode

PietroTresso è stato assassinato daalcuni partigiani stalinisti francesitra il 26 e il 27 ottobre 1943 assiemead altri quattro militanti. Sono duegli elementi da capire: il movente ei mandanti. Tresso era dirigentedella Quarta Internazionale e inItalia nel 1943 stava iniziando unarivoluzione. Una serie di scioperispinsero la grande borghesia acercare di sostituire Mussolini conBadoglio. InItaliac'eranocirca250mila operai armati che pensavanoin quel momento di parteciparealla rivoluzione socialista d'Italia.Il ritorno di Pietro Tresso in Italiaavrebbe rappresentato un perico­lo enorme per lo stalinismo. Perquesto si uccideTresso, per questosi uccide Trotsky, per questo sonostati ammazzati altre migliaia dicompagni soprattutto in Russia,così come tutti i componenti delComitato centrale russo del cuiorganismo, dopo la morte pre­matura (e forse non naturale) diLenin, unico morto di morte natu­rale è (probabilmente) il solo Sta­lin. Nel suo contributo Massarisostiene che il responsabile direttodella morte diTresso, al di là dei re­sponsabili materiali ormai cono­sciuti (alcuni partigiani stalinisti

francesi diretti da un italiano, Sos­so), fosse lo stesso Togliatti: è suaopinione che nessun altro infattiavrebbe potuto dare l'ordine aipartigiani stalinisti francesi di eli­minare un così importante diri­gente. Questo collimerebbe tral'altro con lo svolgersi degli eventi,che hanno visto Tresso (e altri 2compagni trotkisti francesi) pri­gionieri per tre settimane primadell'esecuzione.

Schio:tre lapidi a memoriadi fascisti e nessuna per

PietroTresso

Ugo De Grandis, lo storico che hapubblicato, tra altre interessantiopere, un quaderno di storia ecultura scledense sulla “Vita emorte di Pietro Tresso 'Blasco' ri­voluzionario scledense”, haparlato, con precisione e passione,di Tresso e della sua avventuraumana e politica di uomo“contro”, contro le imposizioni,contro gli opportunismi, contro idiktat ma non contro l'umanità,un uomo di fama e caraturainternazionale che non ha maiperso la “tenerezza”, come sievince leggendo le lettere chescrisse dal carcere ai familiari e allasua compagna Barbara. Tra ifondatori del Partito comunistad'Italia, amico intimo di AntonioGramsci, leader sindacale e diri­

gente clandestino in Italia e in variPaesi europei, perseguitato dai fa­scisti e ammazzato dagli stalinisti,conosciuto anche all'estero per ilsuo ruolo di primo piano in politi­ca, non ha nemmeno una lapideche lo ricordi nella sua città natale.In una città che era riuscita a libe­rarsi dei fascisti prima della finedella guerra con tanto di sottoscri­zione di accordo. “Nessuna lapidea ricordo – prosegue De Grandis –nonostante in Consiglio comuna­le dal 1945 ad oggi siano semprestati presenti uomini politici che sisono formati o che arrivano daquesto Circolo”. Un ricordo èandato anche a Barbara, militanterivoluzionaria e compagna diTresso. “Anche per Barbara – hadetto Patrizia Cammarata chenella sua introduzione ha deli­neato i principali momenti dellabiografia di Tresso – ci riuniamoqui oggi, per proseguire la sua ri­cerca di verità e giustizia neiconfronti del suo compagno di vi­ta e di lotta, una verità che lei avevaostinatamente perseguito fino allamorte e che le è stata negata”.

L'attualità delmessaggio diTresso

«Quando organizziamo iniziativedi questo tipo – ha spiegato Adria­no Lotito, responsabile dei giovanidel Pdac ­ non è per celebrare miti

o icone, ma perché abbiamo degliesempi da seguire nelle lotte quo­tidiane. La rivolta diffusasi in 80città dellaTurchia lo scorso giugnodopo essere partita dai ragazzi diGezi park di Istanbul; le lotte che sisono scatenate in Brasilescoppiate dopo l'annuncio, poi ri­tirato, dell'aumento del costo deibiglietti di trasporto urbano, (lottache ha visto l'unione tra studenti eoperai); gli imponenti processi ri­voluzionari dal 2011 ad oggi conmanifestazioni in dodici paesi dalMarocco alla Siria, con la manife­stazione in Egitto del 3 luglioscorsochehavistoinpiazza17mi­lioni di lavoratori e studenti per farcadere il governo Morsi,subalterno alle politichedell'imperialismo; tutte questemobilitazioni sono lì a dimostrarecosa manca per instaurare un go­verno dei lavoratori: un partito ri­voluzionario internazionale. Ilproblema dei problemi quindi è lacostruzione di questo partito, unpartito rivoluzionario basato sullamemoria storica del marxismo ri­voluzionario. Problema che si eraposto anche Pietro Tresso con lacostruzione della Quarta Interna­zionale. La sua lotta di allora è lanostra lotta di oggi». Al terminedell'incontro una ampia parte deinumerosi partecipanti all'as­semblea, lavoratori immigrati,operai, disoccupati, studenti e

compagni di diverse provenienze,siètrattenutaalCircoloperlacenasociale di raccolta fondi a favoredella cassa di resistenza della lottadegli operai dell'Om carrelli di Ba­ri, una scelta, quella di dedicare laraccolta fondi a questa lotta, nonsolo di solidarietà alla lotta deicompagni pugliesi, ma anche co­me omaggio all'attività di sinda­calista che Pietro Tresso avevasvolto proprio in Puglia, dove erastato in prima linea nella battagliaper il minimo salario garantito aibraccianti.Cisembragiustocitare,a conclusione di questo articolo,una frase che riassume bene il si­gnificato della giornata del 6 otto­bre e della vicenda di Blasco,pronunciata da Toninho Ferreira,dirigente del Pstu, sezione brasi­liana della Lit­ci (Lega internazio­nale dei lavoratori ­ QuartaInternazionale) e di Conlutas, ilpiù grande sindacato di basedell'America Latina, presenteall'assemblea ed intervenuto du­ranteildibattitosvoltosialterminedelle relazioni: «Non soloTrotsky eTresso, ma sono stati 20 milioni imorti in Russia per lo stalinismo. Iltradimento politico operato intutto il mondo ha portato allasconfitta decine di rivoluzioni. Perquesto penso che il miglior modoper ricordare Tresso è costruire, econtribuire a costruire, la QuartaInternazionale».

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14 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTAINTERNAZIONALE

Brasile:riformismopermanenteorivoluzionepermanente?Dopo le grandiose giornate di giugno,facciamo il punto sulla situazione brasiliana

Valerio Torre

Abbiamo a più ripresedato conto della nuovasituazione che, a partiredalle grandiose giornate

dello scorso mese di giugno, si èaperta in Brasile. Sia su questogiornale che sul nostro sito(1)

abbiamo raccontato quasi “in di­retta” ciò che stava accadendo nelpiù grande Paese del continentelatinoamericano: una diffusa e ra­dicale protesta popolare cheprendeva le mosse dall'opposizio­ne di massa all'aumento di 20centesimi di real del prezzo dei tra­sporti(2) , ma che da subito ha rottogli argini della pura e semplice ri­vendicazione economica per sfo­ciare nella messa in discussionedelle istituzioni statali.

Non è stato solo per 20centesimi!

Come spesso accade, infatti, dietrola relativa esiguità delle rivendica­zioni immediate (3) è dissimulata lareale dimensione del malcontentopopolare: un'insodisfazione che,dopo dieci anni di governo del Pt(con alla testa Lula prima e DilmaRousseff oggi), è finalmente esplosadeterminando il sorgere di una si­tuazione prerivoluzionaria nel Pae­se che ha potuto vantare, persinonell'attuale crisi economicamondiale, fra i più alti indici di cre­scita, di cui però si sonoavvantaggiati innanzitutto il capi­tale straniero e quindi la borghesianazionale, strettamente legata a es­so. Tuttavia, il rallentamento gene­rale dell'economia si è tradotto inBrasile in una crescita anemica cheha portato alla diminuzione del po­tere d'acquisto delle masse popola­ri che avevano in precedenzabeneficiato di un relativo aumentodel benessere dovuto sia a piccoleconcessioni che all'aumento delcredito. Ma nel tempo il livello diindebitamento delle famiglie èconseguentemente cresciuto fino alivelli ormai insostenibili, in unquadro di aumento della preca­rizzazione del lavoro e di progressi­va stretta salariale. A tutto ciò siaggiunge l'aggravamento della crisiurbana, con le grandi città brasilia­ne che presentano situazioniesplosive: accelerato processo diurbanizzazione con unaconcentrazione di masse di lavo­ratori impoveriti in quartieri popo­lari con pessimi servizi di trasporto,sanità e istruzione. Come se nonbastasse, la cantierizzazione dellegrandiopereperiMondialidicalciodel 2014 e le Olimpiadi del 2016 staprovocando una vera e propriacontroriforma urbana, conl'espulsione sempre più ampia disettori popolari dalle aree sottopo­ste a speculazione edilizia: gliimponenti investimenti di denaropubblicoperquesteopere,conil lo­ro sottoprodotto di un'enormecorruzione, vengono realizzati aspese dei servizi pubblici i cui bi­lancisonosemprepiùmiseri:ciòha

determinato una forte polarizza­zione sociale e politica. È questo ilquadro nel quale si sono prodotte legiornate di giugno in cui – èimportante evidenziarlo – le gi­gantesche mobilitazioni si sonosviluppate al di fuori degli apparatisindacali della Cut e del Pt (4), pur ri­manendo sostanzialmente limitateall'azione di settori popolari e gio­vanili, con una scarsa incidenza deilavoratori.

Dopo giugnoIl mese di luglio, invece, ha vistol'entrata in scena del movimentooperaio: gli scioperi dell'11 luglio edel 30 agosto hanno marcato unacongiuntura diversa all'internodella situazione prerivoluzionariaapertasi a giugno. Quella di luglio èstata una delle più grandi giornatedi lotta unificate della classe lavo­ratrice e del movimento sindacalebrasiliano negli ultimi anni, sicura­mente la maggiore azione di prote­sta nei dieci anni di governo difronte popolare: non c'è stato unvero e proprio sciopero generale,ma una serie di scioperi intercate­goriali simultanei praticamente intutti gli Stati del Paese (5) , conblocchi stradali, picchetti e manife­stazioni. In alcune capitali, comePorto Alegre, lo sciopero è stato ge­nerale. È significativo il fatto che laCut sia stata costretta, nonostantelo sciopero fosse chiaramentecontro il governo, a convocarlo percercare di controllarlo ed evitarecosì che l'azione dei lavoratorirompesse i limiti imposti dagliapparati burocratici passando so­pra le loro teste. È chiaro che le mo­bilitazioni di giugno hannocambiato i rapporti di forza in Bra­sile, ponendo le masse all'offensiva,mentre borghesia e governo arre­travano (6) , ma è altrettanto evi­dente che lo sciopero dell'11 luglioha completato la transizione dallasituazione non rivoluzionaria dellafase precedente a quella prerivolu­zionaria oggi vigente, con l'ingressosulla scena dei settori organizzatidella classe lavoratrice che hannoamplificato gli elementi della crisieconomica in funzione dell'au­mento della sfiducia della borghe­sia e degli investitori stranieri nellacapacità del governo di tenere a ba­da le dinamiche di massa, aprendoanche una contradizione nella basedei settori che sostengono il go­verno Rousseff. E va pure rimarcatoche sono cominciati ad affacciarsielementi di crisi del regime, con loscontro delle masse con le istituzio­ni del regime democratico borghe­se, la disaffezione verso il governofederale e quelli statali, il rifiuto delparlamento e dei partiti, il ripudiodei“politici”.

Lo sciopero del 30 agosto ela reazione del governo

In questo quadro, è stata convocatala giornata di sciopero del 30 agostoche, nonostante l'azione di frenodelle burocrazie sindacali, ha pro­dotto una forte mobilitazione a li­

vello nazionale, benché nonomogenea sull'intero territorio. Cisono stati scioperi dappertutto, conparticolare riguardo per i lavoratoridel petrolio, dell'edilizia, i me­talmeccanici, gli impiegati pubblicifederali, statali e municipali. Insette città la paralisi totale del tra­sporto pubblico ha determinato unclima di paralisi generale. In alcunezone vi sono stati blocchi stradali. Sisono registrate occupazioni deiparlamenti locali. Anche in que­st'occasione, pur non essendocistate mobilitazioni massicce comequelle di giugno, le azioni di prote­sta sono state molto radicali. Il go­verno ha reagito utilizzando duefronti in due momenti distinti.Nella prima fase, dopo essere rima­sto sorpreso dalle giornate di giu­gno, ha cercato di utilizzare lostrumento della concertazione congli apparati burocratici facendopiccole concessioni di facciata perdiminuire la tensione sociale.Successivamente, approfittandodel minor impatto di massa dellesuccessive mobilitazioni, hacercato di riprendere il controlloattraverso una controffensiva bo­napartista basata sulle isolate azio­ni di gruppi di Black bloc pergiustificare una violenta reazionepoliziesca sull'intero movimento.

Da settembre a oggiTutto ciò, però, non ha impeditoche nuove e importanti mobilita­zioni di avanguardia occorressero il7 settembre. In quell'occasione,polizia militare e truppe d'assaltohanno scatenato una violenta re­pressione contro il movimento, uti­lizzando non solo gas lacrimogeni,ma anche armi da fuoco, e ri­correndoafermiearresti illegittimi.Tra la fine di settembre e gli inizi diottobre, poi, il processo rivoluzio­

nario brasiliano ha imboccato unanuova congiuntura, certamente di­versa dalle giornate di giugno madifferente anche dal 7 settembre. Ilpunto più alto di questa fase è statoa Rio de Janeiro con lo sciopero ra­dicalizzato degli insegnanti, bru­talmente represso dalla poliziastatale e municipale, cosa che hasuscitato un'ondata di indignazio­ne nazionale con una manifesta­zione nazionale di 50.000 personeche reclamavano le dimissioni delgovernatore dello Stato di Rio, Ca­bral, e del sindaco di Rio, Paes. Ma cisono state anche occupazioni diuniversità e scioperi in diversecategorie nel quadro della campa­gna salariale (nell'edilizia, fra i me­talmeccanici, impiegati postali. Ementre le istituzioni statali,prendendo a pretesto le azionivandaliche dei Black bloc, hannoiniziato a perseguire una forte cri­minalizzazione di tutto il movi­mento arrestandone i dirigenti piùin vista con il chiaro intento disconfiggerlo, intimidirlo e preveni­re proteste future soprattuttonell'anno dei mondiali, è appenapartita una radicale campagnacontro la svendita alle multinazio­nali del petrolio e del gas. E intanto,proseguono le lotte degli operaimetalmeccanici di Suape e Belo­monte: 100.000 lavoratori sono insciopero e altri 20.000 sono mobili­tati nel Complesso petrolchimicodi Rio de Janeiro. Proprio in questigiorni, peraltro, è in corso la mobili­tazione dei metalmeccanici delloStato di Minas Gerais.

La situazioneprerivoluzionaria

continua

E dunque, come si vede, mentrecontinua a levarsi la protesta popo­

lare contro la violenza della polizia(7) , la situazione prerivoluzionariain Brasile segue con un ritmo e unadinamica non lineare (e non po­trebbe essere altrimenti) e tuttaviaunivoca. A dispetto di quanti – no­strani rivoluzionari da salotto –hanno da subito cercato di mini­mizzare il senso complessivo delprocesso che stiamo succinta­mente analizzando (8) , dopo dieciannidistabilitàilgovernononèriu­scito a evitare lo scontro con questaprima ondata di ascesa sociale e sitrova ora in una situazione caratte­rizzata da un importante grado dirottura con la sua base d'appoggio,ma non ancora maggioritaria.In questo quadro, il nostro partitofratello, ilPstu,eilpiùgrandesinda­cato classista brasiliano, la Csp­Conlutas, stanno giocando un ruo­lo da protagonisti nelle lotte edeterminante nell'innalzamentodel livello di coscienza delle massefino al rovesciamento del sistemacapitalista, a partire dal Paese lati­noamericano. Perché se per i ri­formisti “l'unica risposta alleproteste in Brasile è il riformismopermanente” (9) , per i rivoluzionariinvece l'unica risposta alle rivendi­cazioni popolari è la rivoluzionepermanente. (01/12/2013)

Note

(1) Si possono leggere numerosiarticoli sulle manifestazioni digiugno e sugli scioperi e lemobilitazioni dell'11 luglio e del 30agosto agli indirizzi:http://www.alternativacomunista.it/content/view/1850/45/;http://www.alternativacomunista.it/content/view/1853/45/;http://www.alternativacomunista.it/content/view/1854/45/;http://www.alternativacomunista.it/content/view/1864/45/;

http://www.alternativacomunista.it/content/view/1878/45/. Inquest'articolo riprendiamo il filodegli avvenimenti per fare il puntodella situazione a oggi.(2)Equivalentiacirca6centesimidieuro!(3)Bastipensareaquantoaccadutopressoché coevamente in Turchia,dove le grandi mobilitazionipopolari sono state innescate dalladifesa di un parco pubblico.(4) La Cut è il più grande sindacatobrasiliano, equivalente come pesosociale – ma con una dimensionemoltomaggiore–allanostraCgil.LaCut appoggia il governo di DilmaRousseff, che ha il suo principalepilastro nel Pt (Partito deiLavoratori).(5) Ricordiamo che il Brasile è unoStato federale.(6) La caduta degli indici dipopolarità del governo è statasignificativa: fra il 25 e il 30%.(7) Una vera e propria rivoltapopolare è esplosa nella periferia diSanPaoloafineottobreperprotestacontro la barbarie della polizia cheha immotivatamente ucciso indiverseoccasionidueragazzidi16e17 anni.(8) È il caso della minuscolaorganizzazione stalinista Rete deiComunisti che ha definito“un flop”lo sciopero dell'11 luglio(http://www.contropiano.org/esteri/item/17939­brasile­%E2%80%9Cdilma­sveglia%E2%80%9D­ma­lo­sciopero­generale­fa­flop).(9) È questo il titolo di un articolopubblicato sulla rivista Limes :http://temi.repubblica.it/limes/lunica­risposta­alle­proteste­in­brasile­e­il­riformismo­permanente/48871

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PROGETTO COMUNISTA Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 15INTERNAZIONALE

Siria:perchéPutinappoggiaAssad?

I. Razin

Con la guerra in Siria, laRussia è apparsa neiprincipali titoli degliorgani di stampa al pari

degli Usa, cosa che non era acca­duta dai tempi della cadutadell'Urss. Benché sia evidente lacomune aspirazione di Obama ePutin di “stabilizzare la situazio­ne” in Siria (cioè porre fine alla ri­voluzione), esistono importantidifferenze fra le loro posizioni.Per comprenderle occorre ana­lizzare le relazioni speciali che laRussia ha con la Siria e la regione.

La Siria e l'UrssQueste relazioni risalgonoall'epoca dell'Unione Sovietica.Nella seconda metà del XX seco­lo, i partiti nazionalisti borghesiarabi presero il potere in diversiPaesi del Medio Oriente appro­fittando dell'ondata antimperia­lista popolare. Uno dei piùimportanti era il Partito del rina­scimento arabo socialista (Baath)che salì al potere in Siria. Per ri­solvere le contradizioni econo­miche e sociali più elementariprovenienti dal carattere semico­loniale delle economie e percontrollare il movimentoantimperialista, i regimi nazio­nalisti arabi si videro obbligati avaste nazionalizzazioni. Ciòcomportò che le loro relazionicon l'imperialismo si deterioras­sero parecchio. L'imperialismorispose con restrizioni alle rela­zioni economiche con questiPaesi, cercando di escluderlidalla divisione internazionale dellavoro. Ciò comportava conse­guenze per queste economiecapitaliste arretrate che nonrappresentavano se non ele­menti economici direttamentedipendenti dal mercato mondia­le senza formare sistemi integri diproduzione. Mancavano di infra­strutture e risorse finanziarie.L'imperialismo applicava,benché a modo suo, le tesi dellaQuarta Internazionale secondocui nei Paesi arretrati le borghesienazionali sono sottomesseall'imperialismo o non possonoesistere. Le direzioni arabe,schiacciate dalla pressioneantimperialista dal basso e daquella dell'imperialismodall'alto, dal ritardo economico edal loro programma completa­mente borghese, trovavanol'unica via d'uscita nell'avvicina­mento alla burocrazia sovieticadell'Urss che avrebbe potutoconcedere le risorse economichenecessarie. In cambio, la buro­crazia sovietica riceveva dai “go­verni amici” arabi “servizi

politici” importanti per meglionegoziare con l'imperialismo. Laburocrazia del Pcus strinse un si­mile accordo con molti governiborghesi non arabi. Ma le relazio­ni più strette le ebbe con il regimedel Baath siriano. L'Urss parteci­pò, attraverso le sue impresestatali, allo sviluppo dell'indu­stria del gas e del petrolio, alla co­struzione di centrali elettriche eidroelettriche e di linee di tra­smissione dell'energia, dell'agri­coltura (sistemi di irrigazione,fabbriche di fertilizzanti), diimprese per la somministrazionedell'acqua, delle ferrovie, ecc.Cioè, gli elementi di base struttu­ralmente necessari per l'econo­mia siriana. Va detto che lamaggioranza di questi progettirappresentò per la burocrazia so­vietica perdite finanziarie dirette.Si trattò di investimenti politicinon orientati all'estrazione diprofitti, ma a mantenere i regiminella sua “orbita” per avere mi­gliori condizioni politiche nelladisputa con l'imperialismo. Mafurono le armi a svolgere il ruolopiù importante nelle relazioni frail Pcus e il Baath. Il costo totaledella fornitura di armi sovietichealla Siria fra gli anni '60 e gli anni'80 supera i 26 miliardi di dollari ela proporzione di armi sovietichenell'esercito siriano arrivò al 90%(1) . Una parte importante di que­ste armi fu fornita a credito e cosìil debito totale della Siria versol'Urss arrivò quasi a 14 miliardi didollari nel 1991. Ma dietro il debi­to faceva capolino la profonda di­pendenza tecnologicadell'esercito siriano rispetto aglistandard delle armi sovietiche(manutenzione delle macchine,somministrazione dei ricambi,equipaggiamenti, persino l'ade­stramento di ufficiali siriani inUrss), il che presupponeva unadipendenza politica strutturale.Le basi navali militari a Latakia eTartus hanno garantito all'Unio­ne Sovietica la permanenza dellasua flotta nel Mediterraneo e fu­rono “l'ornamento” della costru­zione politica della burocrazia.Così, la Siria fu la grandescommessa politica del Pcus inMedio Oriente.

Siria e RussiaLa Russia ha ereditato questo tipodi dipendenza del regime siriano.Ma con la restaurazione capitali­sta in Urss cominciò una crisieconomica estremamente pro­fonda. I fondi per progettiall'estero terminarono. Con lasconfitta del golpe militare del1991 si insediò in Russia un regi­me con maggior peso parla­mentare, in cui le istituzioni

dell'esercito e del Kgb non aveva­no più lo stesso peso di prima.D'altro canto, il potere fu assuntodal settore più filoimperialistadell'ex burocrazia sovietica, di­retto da Eltsin, il cui governo ave­va come consiglieri di ministriagenti della Cia. In queste condi­zioni le relazioni con la Siria si ri­dussero quasi a zero. Lasituazione è cambiata agli inizidel 2000. Da un lato, esaurite leproteste sociali e sconfitta la resi­stenza in Cecenia, in Russia ci fula rivincita politica della burocra­zia del Kgb (oggi Fsb) edell'esercito che hanno sempreperseguito la linea del “ritornoagli alleati storici”. Poggiandosi ingran parte su questi settori, il re­gime bonapartista di Putin haconsolidato politicamente glioligarchi russi e la burocrazia,monopolizzando lo spazio poli­tico legale con l'espulsione deipartiti liberali, agenti direttidell'imperialismo, e si è posto co­me unico referente in Russia perdialogare con questo. D'altrocanto, l'imperialismo diretto daBush ha intrapreso la “guerracontro il terrore” e il “nuovo seco­lo nordamericano”. In questoquadro, la Siria è stata indicatacome parte dell'“asse del male”per il suo appoggio a Hezbollah eHamas e fatta oggetto di sanzio­ni. È importante evidenziare chela sconfitta della “guerra contro ilterrore”, il cambio di tatticadell'imperialismo e la salita alpotere di Obama, benché abbia­no messo in secondo piano unattacco diretto contro la Siria,non hanno allentato marafforzato le sanzioni. Tutto ciòha spinto i regimi russo e siriano aun riavvicinamento. L'“isola­mento” della Siria, che neanchedeve essere sovrastimato, hacreato più opportunità per lapartecipazione delle impreserusse nell'economia siriana. Lecompagnie russe del petrolio edel gas hanno partecipato – que­sta volta con l'obiettivo del pro­fitto – allo sfruttamento eall'estrazione di idrocarburi, allacostruzione di raffinerie, a pro­getti energetici (si pensava ancheal progetto di una centrale nu­cleare), sistemi di irrigazione,vendite di attrezzature per leindustrie petrolifere ed energeti­che, sviluppo delle telecomuni­cazioni (compreso il sistemaGlonass, analogo russo del Gpsamericano). Hanno cioè agito neivecchi rami tradizionali. Ma, cosìcome ai tempi dell'Urss, questiprogetti economici erano limi­tati. Gli investimenti russi hannoprodotto solo il 22% dell'elettrici­tà e la partecipazione all'estra­

zione del petrolio è stata inferiorealla quota – il 27% – dell'epoca delregime sovietico (2) . Si tratta diuna misura insufficiente per giu­stificare la posizione dura del re­gime russo in difesa di Assad. Inrealtà, è nel campo delle fornituredi armi che Putin e Assad hannouna “mutua comprensione” piùprofonda. Nel 2005, la Russia hasospeso 10 miliardi di debito si­riano (il 73%) in cambio di nuovicontratti di acquisto di armi finoad arrivare alla cifra di 4 miliardidi dollari nel 2012. Secondo l'Isti­tuto di ricerca sulla pace diStoccolma (Sipri), fra il 2007 e il2011 Damasco ha aumentato disette volte l'acquisto di armi (dicui il 72% di fabbricazione russa).All'epoca dell'Urss, la fornitura diarmi era un investimento politi­co. Oggi, la dipendenza tecnolo­gica dell'esercito siriano dallearmi russe costituisce unagrande e stabile fonte di entrateper il complesso dell'industriamilitare (Vpk) che, dopo la mas­siccia distruzione dell'industriarussa negli anni '90, è rimasta co­me l'ultima grande industria dialta tecnologia, indipendentedall'imperialismo e autosuffi­ciente, con un indotto di molteimprese. Vpk impiega diretta­mente circa 3.000.000 di lavo­ratori e rappresenta una base diun grande settore della burocra­zia e della borghesia legataall'esercito, una base importanteper il regime di Putin. Nell'attualesituazione di crisi economicamondiale, la stabilità di Vpkinfluisce molto sulla stabilitàeconomico­sociale nel Paese e diquella interna del regime. Nel2005­2008, il volume annuale delcommercio russo­siriano è cre­sciuto 10 volte, da 0,2 fino a 2 mi­liardi di dollari (3) . Il totale degliinvestimenti russi nel Paese ègiunto a 20 miliardi di dollari. As­sad mantiene la base navale rus­sa, ha sempre appoggiato laguerra di Putin nel Caucaso e inGeorgia. Nel 2008, durante la suavisita a Mosca ha dichiarato di es­sere disposto a cooperare in “tuttii progetti volti a difendere la sicu­rezza della Russia” e ha ancheproposto il territorio siriano perl'installazione dei missili“Iskander”, cosa che è stata re­spinta con delicatezza da Putinper il timore di pregiudicare i suoirapporti con Israele e gli Usa.

Perché Putin appoggiaAssad?

Obama e Putin sono d'accordosulla necessità di porre fine allarivoluzione in Siria, ma la di­vergenza è sul regime siriano: un

regime dittatoriale che controllatutto il terreno politico e si poggiasu un esercito totalmente di­pendente dalle armi russe.Qualsiasi “liberalizzazione poli­tica” (un indebolimento del regi­me ampliando le libertàdemocratico­borghesi, o adi­rittura un suo rovesciamento persostituirlo con un regime parla­mentare di partiti politici) signifi­cherebbe la caduta del ruolopolitico dell'esercito e la crescitainarrestabile delle possibilità perl'imperialismo di partecipare di­rettamente nel processo politicoin Siria. Finché il regime militaredi Assad si manterrà al potere coni suoi metodi di amministrazionedello Stato, il regime di Putin avràun vantaggio che gli deriva dallafornitura di armi russe all'eserci­to siriano. Ma sul terreno della“democrazia borghese”, in cui lapolitica passa innanzitutto per ildenaro (cioè il terreno più natu­rale e preferito per l'imperiali­smo), il regime di Putin,economicamente debole, ècondannato al fallimento politi­co. Putin è consapevole che il“parlamento democratico” pri­ma o poi metterebbe in discus­sione l'acquisto di armi russe perfavorire quelle della Nato. La di­pendenza strutturale dell'eserci­to siriano dalle armi russecomincerebbe a diminuire. Pernon parlare delle basi navali mili­tari. Qualcosa di analogo è acca­duto in Libia, dove la sostituzionedel regime dittatoriale di Ghedaficon uno parlamentare vienepercepito in Russia come un“adio” ai contratti di armamenti.In Siria la scommessa è molto piùgrande. Ma non è solo la Siria a es­sere messa in discussione. La ca­duta di Assad colpirebbeinevitabilmente il regime degliAyatollah in Iran con il quale laRussia pure mantiene “relazionispeciali” grazie al suo scontro conl'imperialismo. La Russia ga­rantisce il programma nucleareiraniano avendo assunto questoruolo al posto delle impresenordamericane e tedesche chenon potevano proseguirlo per lesanzioni imperialiste. Questestesse ragioni politiche condizio­nano i progetti russi in Iran sulterreno del gas. Un'altra conse­guenza importante sarebbel'impatto sul flussi di armi russefra Corea del Nord, Iran, Siria,Hezbollah, Hamas, che garanti­scono il peso politico della Rus­sia. Riassumendo, il regimedittatoriale di Assad è unavamposto della Russia in Siria,che lo è a sua volta in MedioOriente, che infine è una delle re­gioni più importanti del mondo.Il regime di Putin teme l'effettodomino dalla caduta del regimedi Assad. La restaurazione delcapitalismo ha distrutto il potereeconomico della Russia, ma ilPaese ha ereditato dall'Urss unesercito “quasi sovietico”, il se­condo al mondo. Grazie alla di­mensione dell'esercito russo, alcomplesso industriale Vpk e alruolo delle armi russe nel mondo,specialmente in medio Oriente, ilpeso politico della Russia è moltosuperiore a quello economico edè una leva del regime di Putinnell'arena mondiale. Questo pe­so politico sproporzionato è unfenomeno contingente e ha latendenza generale a raggiungereil livello minore del peso econo­mico. La caduta del regime di As­

sad per opera delle masse o permano dell'imperialismo farebbecadere il peso politico della Rus­sia al livello della sua economia diproduttrice di materie prime.Queste sono le possibili conse­guenze “esterne” della caduta diAssad per il regime di Putin. Ma cisarebbero anche conseguenze“interne”. Putin e compagnia so­no consapevoli che la campanadelle rivoluzioni arabe suonaanche per loro e la caduta deidittatori porta il popolo russo ariflettere. Per non parlare dei ri­schi del dominio russo sul Cau­caso.Nesarebberocolpitiinoltreisettori burocratico­militari chia­vi per il regime, e ciò non aiute­rebbe a mantenere un equilibriointerno. Perciò il regime di Putinrealizza in Russia una campagnamolto aggressiva contro le rivo­luzioni arabe e le definisce “co­spirazioni degli Usa” e“distruttrici dei Paesi”, analoga­mente a quanto fa rispetto agliumori antiregime nella stessaRussia. Se per Obama la perma­nenza di Assad al potere è unaquestione di forma, per Putin èuna questione di principioperchélacadutadiAssadsarebbeun fattore di aggravamento dellasituazione del regime russo. Inquesto contesto, l'accordo sullaliquidazione delle armi chimichesirianeèstataunavittoriapoliticadi Putin perché ha coperto il regi­me di Assad da un attaccodell'imperialismo. Affinché gliimperialisti, i dittatori e i loroamici, lascino che sia il popolo si­riano a decidere del proprio de­stino, e perché la rivoluzionearaba faccia un salto in avanti, iribelli debbono vincere la guerrae rovesciare Assad. Essi hanno giàfatto molto, ma per questo hannobisogno di due cose: armi e il boi­cottaggio del regime siriano.Senza di che sarà molto difficilevincere. Tutto ciò è impossibilesenza l'aiuto internazionale deilavoratori e dei popoli di altriPaesi. È necessario circondare larivoluzione siriana con la solida­rietà e propagandarla, esigere daigoverni la rottura delle relazionicon Assad e che si inviinoincondizionatamente armi ai ri­belli. La vittoria della rivoluzionesiriana potrebbe avere un signifi­cato speciale per i russi perchéindebolirebbe molto il regimereazionario e poliziesco di Putin,che vuole la permanenza delladittatura di Assad e l'annienta­mento del popolo di Siria per po­ter opprimere meglio nel suostesso Paese 5 milioni di caucasi­ci, 11 milioni di immigrati e,innanzitutto, 115 milioni di russi,fonti e vittime principali del suodominio, continuando adapprofondire in Russia le repres­sioni e le riforme barbare. La ca­duta di Assad potrebbeconvertirsi in un colpo per il do­minio della reazione nel Paese.

Note

(1)EvseevV.V., Alcuni assetti dellacooperazione russo­siriana, Isti­tuto del medio Oriente, Mosca.(2) Op. ult. cit.(3) A. Kreits, Siria, la scommessacentrale della Russia in MedioOriente, Istituto Francese diRapporti con l'estero, Ifri, 2010.

traduzione a cura di ValerioTorre

Un'analisi a cura del Partito operaio internazionalista (Poi) – sezione russa della LIT­CI

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16 Dicembre 2013 ­ Gennaio 2014 PROGETTO COMUNISTACAMPAGNA TESSERAMENTO 2014

1Perché il capitalismo non hanulla da offrire all'umanità: solouna crisi sempre più profonda,guerre, miseria, politiche razziste,

distruzione dell'ambiente,discriminazione sessuale. Cassaintegrazione, licenziamenti,disoccupazione, precarietà: sono parteessenziale di questo sistema economico.Eppure già oggi un diverso sistema sociale,basato su un'economia pianificata in basealle esigenze della stragrandemaggioranza dell'umanità, consentirebbedi eliminare su scala internazionale lafame e la disoccupazione e di liberaremilionidiuominidallaschiavitùdel lavorosalariato. Ma questo significherebbe, percapitalisti e banchieri, per un pugno difamiglie, perdere i profitti miliardari: perquesto vogliono scaricare sulle spalle deilavoratori e dei giovani i costi della lorocrisi, per questo continuano a essereterrorizzati dal comunismo.

2Perché i governi borghesi, di

centrosinistra,centrodestra o“dilarghe intese”, nonrappresentano gli interessi dei

lavoratori. Oggi il governo Letta stasferrando uno dei più pesanti attacchi aidiritti dei lavoratori che la storia deldopoguerra ricordi: prosegue nellosmantellamento e nella privatizzazionedei servizi pubblici, Scuola e Sanità,Trasporti iniziato dai precedenti governiMonti, Berlusconi e Prodi. Aumento delletasse dirette e indirette su salari e pensioni,aumento dell'Iva, tasse sui carburanti,blocco degli aumenti salariali per milionidi dipendenti pubblici. Mentre cresconoin maniera esponenziale licenziamenti,chiusure di fabbriche, ricorso alla cassaintegrazione e si negano i diritti piùelementari dei lavoratori anche sui luoghidi lavoro (vedi il “patto di rappresentanza”siglato dalle burocrazie sindacali conConfindustria, per garantire la “pacesociale” di fronte all'attacco padronale).

3Perché solo un governo dei

lavoratori può costruireun'economia diversa, in grado digarantire a tutti una vita degna.

Oggi restano solo due strade: o lasciare cheil capitalismo trascini l'umanità in unacrisi ancora più brutale, o l'assunzione daparte dei lavoratori della direzione dellasocietà, espropriando gli espropriatori. Aicapitalisti ­ qualche centinaio di famigliein tutto il mondo ­ conviene intraprenderela prima strada; per la maggioranzadell'umanità significherebbe il disastro. Èper questo che è necessario e urgente che ilavoratori si organizzino sulla base di unprogramma di indipendenza di classedalla borghesia e dai suoi governi, perattuare un piano operaio contro la crisi:rifiutando di pagare il debito di banchieri ecapitalisti; imponendo la scala mobile deisalari e delle ore lavorative e l'assunzione atempo indeterminato di tutti i lavoratoriprecari; abolendo tutte le leggi razziste epraticando l'unità nelle lotte tra lavoratorinativie immigrati;occupandolefabbricheche chiudono e licenziano; espropriandosotto controllo dei lavoratori le grandiindustrie e le banche; creando un'unicabanca di Stato al servizio dei lavoratori. Ilprimo passo in questa direzione dovrebbeesserelacostruzionediungrandescioperogenerale prolungato che fermi l'attaccodel governo. L'esatto contrario degliscioperi di poche ore, frammentati, volutidalle burocrazie sindacali, Cgil in testa. Unsimile programma può essere impostosolo da un governo dei lavoratori, che dia

agli sfruttati di oggi il controllo dellasocietà, che costruisca un'economia piùrazionale, volta alla sodisfazione deibisognisocialienonpiùbasatasulprofittodi pochi. Un'economia socialista.

4Perché una prospettiva di

autonomia di classe del mondodel lavoro dalla borghesia e daisuoi governi richiede la

costruzione di un'altra sinistra,rivoluzionaria, di un partito comunista.Questoèilprogettoincuisonoimpegnati imilitanti di Alternativa Comunista.Disponibili all'unità d'azione nelle lotteconlealtreforzedisinistramaconsapevolidella subalternità della Sel diVendola e deidirigenti di quanto rimane diRifondazione Comunista (distruttaappunto da anni di collaborazione digoverno con la borghesia) allagovernabilità borghese. Una subalternitàche si manifesta, oggi, nell'assenza di unarealeopposizione,dapartediquesteforze,al governo Letta, funzionale a ricucire,domani,un'alleanzadigovernoconquellostesso Pd e con quella borghesia che oggisostengono, insieme al centrodestra, ilgoverno“delle larghe intese”.

5Perché è necessario costruire unpartito comunistainternazionalista einternazionale: che non si limiti

cioè ad avere qualche relazionediplomatica con altri partiti o asimpatizzare per le lotte che si stannosviluppando in tutto il mondo (dall'Egittoalla Siria, dalla Grecia al Brasile) ma checerchi di unificare queste lotte, diorganizzarle su scala internazionale,costruendo una Internazionale basata suun programma rivoluzionario, la QuartaInternazionale. Cosa è il Pdac Il Pdac nonhalapretesadiessere,giàoggi,quelpartitorivoluzionario che serve urgentemente ailavoratori.Ènecessariounlavoropazientedi costruzione, di radicamento, che peròva iniziato oggi, cogliendo le potenzialitàdellanuovafasediascesadellelottechesièaperta nel mondo. Serve un partito che siradichi tra le masse, che elevi la coscienzadei lavoratori politicamente attivi fino allacomprensionedellanecessitàdiabbatterequesto sistema economico e sociale, chestiainognilottaeinognimobilitazionepersvilupparla in una prospettivarivoluzionaria. Il Pdac è un partito in cui sidiscute democraticamente; in cui sono imilitanti a definire la linea, a elaborarecollettivamentelepubblicazioni(sitoweb,giornale, rivista teorica). È un partito in cuii militanti si formano al marxismo neiseminari, sempre coniugando lo studiocon la concreta attività nelle lotte e nellepiazze.Èunpartitoincui igiovani(lapartepiù numerosa) dispongono di un loroambito di elaborazione e di intervento (iGiovani del Pdac). Il Pdac è soprattuttol'unico tra i partiti e le organizzazioni dellasinistra a fare parte di una Internazionaleviva e realmente presente in decine diPaesi nei diversi continenti: la LegaInternazionale dei Lavoratori­QuartaInternazionale,lapiùestesaedinamicatrale organizzazioni che si richiamano altrotskismo, cioè al marxismo odierno.L'Internazionale che sta svolgendo unruolo di primo piano in tutti i processi dilottapiùavanzatinelmondo:dallaSpagnaalla Turchia, dal Portogallo all'interventoattivo nelle rivoluzioni di Egitto e Siria, alruolo dirigente della nostra sezionebrasiliana (il Pstu) nell'ascesa delle lotte inBrasile.