progetto “emotiva mente bt : il processo di integrazione nasce a scuola ma sarebbe ben poca cosa...

23
1 Progetto “E-motiva-menteAnno Scolastico 2015-2016 Classe 1 A Bt Scuola Secondaria di Secondo Grado "Marie Curie" di Savignano S. R. Questo progetto si propone, in pratica, di realizzare un’attività finalizzata alla riduzione dell’ handicap e al miglioramento della qualità della vita di P. C., attività che saranno centrate sulle caratteristiche peculiari degli alunni in relazione alla ricerca del loro proprio modo di comunicare con gli altri. Il termine “integrazione 1 ” è stato spesso usato per definire il rapporto del singolo con gli altri. Si è sentito spesso parlare di integrare i disabili, ma come per il soggetto anche per il contesto, un con- testo sociale definito come la classe, è opportuno rifarsi proprio al significato etimologico del termi- ne integro. Anche la classe ha una sua unitarietà, che è garantita dall’appartenenza di tutti gli alunni in ugual misura. Ciò vuol dire che in essa nessuno è ospite, ma ogni alunno ne è elemento costituti- vo; in questa logica, opposta a quella dell’inserimento, l’alunno disabile non è l’elemento da inse- rire , ma è uno degli elementi , ciascuno con le proprie diversità, da integrare, per costituire quell’unita-rietà dove ciascuno stia bene con tutti gli altri, ai quali riconosce un ugual diritto di ap- partenenza e di partecipazione. Partendo da questo presupposto l’azione educativa non sarà indirizzata esclusivamente all’alunno con disabilità perché si integri con i normali , ma sarà indirizzata nei confronti di ciascuno perché apprenda a star bene con tutti, garantendo a tutti un uguale appartenenza. Se ciò è vero nella classe, ciò però deve essere ugualmente fondato per l’intera comunità scolastica e allargato a tutta la società: il processo di integrazione nasce a scuola ma sarebbe ben poca cosa se terminasse con l’esperienza scolastica, finirebbe per essere una finzione didattica, un’esperienza di laborato- rio, uno stage sociale . Va quindi chiarito che affinché il lavoro all’interno della classe sia proficuo, dovrebbe essere promosso un lavoro che coinvolga non solo le classi che hanno al loro interno un alunno disabile, ma tutto l’ambiente scolastico nel quale è richiesto un clima collaborativo e di par- tecipazione costruttiva affinché il lavoro di integrazione non rimanga un esercizio sterile chiuso all’interno delle singole classi e perché si possano promuovere anche esperienze comunitarie allar- gate che comprendano la comunità residenziale dove è inserita la scuola stessa. “La ricerca ha dimostrato che gli alunni disabili non hanno dato senza ricevere, anzi, ma i van- taggi maggiori li hanno ricevuti i compagni ‘normali’: l’interazione tra disabili e normodotati in una stessa comunità scolastica, ha portato ad un aumento non solo dell’intelligenza più propriamente ‘emotiva’, ma anche degli aspetti cognitivi. In altre parole, chi ha avuto come compagni di scuola questi compagni diversi, troppo diversi, non solo è diventato più buono, ma anche più intelligente.” [da l’introduzione a “Lettera a una professoressa 2” di Vito Piazza, Erickson, Trento, 2005, p. 8.] 1 Integrazione deriva da integro, intero. Nel pensare ad un intervento finalizzato all’integrazione di un alunno non possi a- mo non considerare questo nella sua unitarietà.

Upload: lekhanh

Post on 16-Feb-2019

246 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

1

Progetto “E-motiva-mente”

Anno Scolastico 2015-2016 Classe 1A Bt

Scuola Secondaria di Secondo Grado "Marie Curie" di Savignano S. R.

Questo progetto si propone, in pratica, di realizzare un’attività finalizzata alla riduzione

dell’handicap e al miglioramento della qualità della vita di P. C., attività che saranno centrate sulle

caratteristiche peculiari degli alunni in relazione alla ricerca del loro proprio modo di comunicare

con gli altri.

Il termine “integrazione1” è stato spesso usato per definire il rapporto del singolo con gli altri. Si

è sentito spesso parlare di integrare i disabili, ma come per il soggetto anche per il contesto, un con-

testo sociale definito come la classe, è opportuno rifarsi proprio al significato etimologico del termi-

ne integro. Anche la classe ha una sua unitarietà, che è garantita dall’appartenenza di tutti gli alunni

in ugual misura. Ciò vuol dire che in essa nessuno è ospite, ma ogni alunno ne è elemento costituti-

vo; in questa logica, opposta a quella dell’inserimento, l’alunno disabile non è l’elemento da inse-

rire, ma è uno degli elementi, ciascuno con le proprie diversità, da integrare, per costituire

quell’unita-rietà dove ciascuno stia bene con tutti gli altri, ai quali riconosce un ugual diritto di ap-

partenenza e di partecipazione.

Partendo da questo presupposto l’azione educativa non sarà indirizzata esclusivamente

all’alunno con disabilità perché si integri con i normali, ma sarà indirizzata nei confronti di ciascuno

perché apprenda a star bene con tutti, garantendo a tutti un uguale appartenenza. Se ciò è vero nella

classe, ciò però deve essere ugualmente fondato per l’intera comunità scolastica e allargato a tutta la

società: il processo di integrazione nasce a scuola ma sarebbe ben poca cosa se terminasse con

l’esperienza scolastica, finirebbe per essere una finzione didattica, un’esperienza di laborato-

rio, uno stage sociale. Va quindi chiarito che affinché il lavoro all’interno della classe sia proficuo,

dovrebbe essere promosso un lavoro che coinvolga non solo le classi che hanno al loro interno un

alunno disabile, ma tutto l’ambiente scolastico nel quale è richiesto un clima collaborativo e di par-

tecipazione costruttiva affinché il lavoro di integrazione non rimanga un esercizio sterile chiuso

all’interno delle singole classi e perché si possano promuovere anche esperienze comunitarie allar-

gate che comprendano la comunità residenziale dove è inserita la scuola stessa.

“La ricerca ha dimostrato che gli alunni disabili non hanno dato senza ricevere, anzi, ma i van-

taggi maggiori li hanno ricevuti i compagni ‘normali’: l’interazione tra disabili e normodotati in una

stessa comunità scolastica, ha portato ad un aumento non solo dell’intelligenza più propriamente

‘emotiva’, ma anche degli aspetti cognitivi. In altre parole, chi ha avuto come compagni di scuola

questi compagni diversi, troppo diversi, non solo è diventato più buono, ma anche più intelligente.”

[da l’introduzione a “Lettera a una professoressa 2” di Vito Piazza, Erickson, Trento, 2005, p. 8.]

1 Integrazione deriva da integro, intero. Nel pensare ad un intervento finalizzato all’integrazione di un alunno non possia-

mo non considerare questo nella sua unitarietà.

2

L’integrazione scolastica deve quindi essere, come Vito Piazza (Ispettore Ministeriale) ci inse-

gna, per gli alunni ‘diversamente abili’ e per i cosiddetti ‘normali’ (ma in fondo non siamo tutti

normalmente diversamente abili?) il primo passo per una integrazione sociale che si concretizza nel

riconoscimento a scuola, in classe, del diritto alla cittadinanza di tutti.

Va per l’occasione ricordato che l’insegnante di sostegno, è l’insegnante dell’intera classe e non

baby sitter del singolo2 allievo.

Il progetto educativo che riguarda la classe 1ABt, ha dunque come scopo quello di far INCON-

TRARE ed INTEGRARE LA DIVERSITÀ e per questo noi consideriamo la diversità di tutti

gli allievi della classe come una risorsa preziosa.

Dobbiamo allora pensare ad un intervento che sia considerato in funzione all’integrazione in

quel determinato contesto classe: per stare bene con gli altri ma anche all’integrazione nel territorio.

Si è previsto di lavorare con l’intera classe per il programma d’integrazione sociale perché inte-

grarsi in una comunità implica che tutta la comunità classe non può non essere coinvolta nel proget-

to, in funzione del quale si cercherà di fornire a tutti gli alunni una miglior conoscenza dei propri

vissuti, delle proprie emozioni e dei sentimenti con l’intento di riuscire anche a procurare loro stru-

menti conoscitivi anche del vissuto dell’altro (l’EMPATIA che è quell’elemento fondamentale tipi-

camente femminile che permette la socializzazione) attraverso l’espressione del viso, del tono della

voce e degli atteggiamenti non verbali in genere.

Abbiamo considerato di fondamentale importanza partire da questo intervento proprio valutando

la ricaduta che questo lavoro può avere sulla quotidianità dell’alunna inserito nella classe e per cer-

care di fornire alcuni strumenti perché P.C.A. possa affinare le sue capacità relazionali.

In questa prospettiva l’insegnante di sostegno, insieme all’insegnante di Letteratura Italiana, la

Prof.ssa

Veneti Silvia, all’interno della classe prevedono alcuni interventi mirati nei quali si destruttu-

ra l’ambiente didattico (che vuole l’insegnante in cattedra e gli alunni dietro i banchi), posizionando

tutti in circolo sullo stesso piano, nel tentativo di facilitare, con un lavoro specifico, la conoscenza e

la condivisione dei vissuti emotivi di ognuno partendo dalla visione di alcuni film che hanno come

protagonisti principali alcuni soggetti con differenti deficit.

MATERIALE UTILIZZATO:

Visione dei seguenti Film (scegliere tra questi):

Basta guardare il cielo3;

2 «I docenti di sostegno, ai sensi dell’art 13, comma 6, Legge 104 del 5 febbraio 1992 –“Legge quadro per l’assistenza,

l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”, assumono la contitolarità delle sezioni e delle classi in cui operano e

partecipano a pieno titolo alle operazioni di valutazione periodiche e finali degli alunni della classe con diritto di voto, si

esprime l’avviso che gli insegnanti di sostegno debbano disporre di registri con i nomi di tutti gli alunni della classe di cui

sono contitolari.» Ministero della Pubblica Istruzione. 3 Basta Guardare Il Cielo (The Mighty) Regia Peter Chelsom e sceneggiatura Charles Leavitt uscito nel 1998 è girato con Gena Ro-

wlands, Elden Henson, Douglas Bisset, Joseph Perrino, Gillian Anderson, Kieran Culkin, James Gandolfini, Jenifer Lewis, Sharon

Stone A Cincinnati, il giovane Kevin Dillon, affetto da una rara sindrome, e sua madre Gwen (Sharon Stone) si trasferiscono nella casa

3

L’ottavo giorno4,

Buon compleanno Mister Grape5,

accanto a quella dove Maxwell Kane abita con gli anziani nonni. Max ha 13 anni e l'aspetto di un gigante, è lento a scuola, ha poco coraggio

e non riesce ad adattarsi. Max e Kevin sono degli esclusi che, incontrandosi, si costruiscono una nuova vita. Insieme partono alla ricerca della

grandezza e del bene guidati dal nobile spirito di Re Artù e dei suoi Cavalieri della Tavola Rotonda. In un bar difendono una donna picchiata

da un uomo, di notte recuperano una borsa rubata ad un'altra donna. Alla mensa della scuola, Kevin si sente male: in ospedale, gli viene dia-

gnosticato ancora un anno di vita. Il padre di Max esce dalla prigione in libertà vigilata, va a trovare il figlio e ricomincia a picchiarlo. Max lo

accusa di aver ucciso la mamma, lui si infuria e di nuovo viene messo dentro. Arriva Natale e, dopo essere stati allegramente insieme ai vici-

ni per il cenone, Kevin e la madre tornano a casa. Nella notte Kevin ha un altro attacco, e stavolta muore. Colpito nel profondo, Max comin-

cia a pensare, scrive sulle pagine bianche del libro lasciatogli da Kevin che finisce con l'indicazione della tomba di Re Artù non ancora mor-

to. 4 Harry, uno stimato docente di formazione aziendale, cura molto la preparazione degli addetti alle vendite, sintetizzandone il

comportamento ottimale in tre regole d'oro: sorriso e attenzione al cliente, ottimismo, decisione. All'uscita da un suo faticoso ser-

vizio, al limite della resistenza per l'impegno che il proprio compito esige, quasi dimentica che è il "suo giorno" di marito separato

per avere le sue bambine. Quando arriva alla stazione, dove aveva promesso alla moglie Julie di recarsi a prenderle, le bambine

non ci sono più e costei, in tono comprensibilmente indignato e gelido, gli fa sapere al telefono che sono tornate a casa. Mentre

riflette su quella sua giornata estenuante, al volante della propria automobile in piena notte, Harry è preso da un colpo di sonno e

provoca un incidente che lo fa tornare di colpo in sé. Ha investito un cane e subito si fa avanti il presunto padrone, Georges, un

giovane down smarrito e farneticante, fuggito dall'Istituto in cui è stato relegato dopo la morte della madre. Harry è costretto suo

malgrado ad occuparsene e lo porta al primo posto di polizia, dove s'imbatte in pretesti burocratici da parte dell'unico agente in

servizio in quell'ora notturna: non gli resta che portarlo nel proprio alloggio di "single" forzato e offrirgli l'unico letto disponibile,

il suo. Andati a vuoto i numerosi tentativi di disfarsi di Georges, per il quale pur sente compassione e simpatia, restituendolo a

qualcuno dei suoi o all'Istituto, Harry non può fare altro che dividere con lui il proprio ruolo di "perdente", rifiutato perfino dalle

sue piccole figlie. Finché, dovendosi assentare un momento dall'automobile in cui l'ha lasciato, per i suoi impegni di lavoro, non

trova più Georges che è salito sulla terrazza del-lo stabile, si è rimpinzato di cioccolato verso il quale ha una pericolosa allergia ha

perduto l'equilibrio ed precipitato giù. "L'ottavo giorno Dio creò loro, i diversi, a metà tra gli angeli e gli umani". Loro sono gli

altri, quelli che i "cattivi" chiamano, come se nulla fosse, subumani e i "buoni" considerano poverini da aiutare. Loro sono gli han-

dicappati: nelle loro molteplici manifestazioni, che siano disabili, tetraplegici, spastici, down, cerebrolesi, provocano al loro sem-

plice apparire sentimenti controversi, di pietà, di fastidio, di simpatia, di colpa, perfino di odio nei confronti di una realtà che per i

"normali" resta comunque indecifrabile. Anche le apparizioni cinematografiche non fanno eccezione, e neppure L'ottavo giorno lo

è. Eppure questo film si differenzia dagli altri del genere per molte ragioni. In questo caso l'handicappato non è interpretato da

Dustin Hoffman ma da un down vero, Pascal Duquenne, che recita benissimo nella parte di Georges, l'angelo spedito a cambiare la

vita ad Harry, addetto alla formazione dei quadri aziendali in una grande banca, yuppie un po' fuori tempo. Inutile dire che dall'in-

contro con Georges la vita di Harry esce completamente trasformata: è l'aspetto più scontato del film. Interessante invece è il ribal-

tamento dei ruoli che si produce tra Harry e Georges: il primo è corroso dal lavoro e dalla programmazione di ogni istante delle

proprie giornate, incapace di amicizia, impossibilitato a sognare. È insomma un handicappato nel mondo di Georges che è fatto di

umanità e poesia, dove l'immaginario conta quanto il reale, i topi cantano e "una coccinella è più importante di una convention".

C'è chi ha scritto - e non a torto - che in questo modo viene offerta un'immagine edulcorata dell'handicap, che i rapporti tra la nor-

malità e la diversità sono molto più complessi di come vengono rappresentati dal regista belga Van Dormael. Tuttavia L'ottavo

giorno rimane una fiaba universale piena di speranza: in un tempo in apnea di fiato e di cuore, che non dà spazio alla creatività,

alla fantasia, alla genialità dell'individuo, può arrivare una grande lezione di libertà da chi per natura è irriducibile alle strette rego-

le economiche. In questo senso Georges si aggiunge a quella fitta schiera di clown, folli, artisti, ubriaconi, che nel cinema e nella

vita sono fuori dagli schemi e hanno tempo per una corsa su un prato anche se domani c'è il consiglio di amministrazione o il

compito da consegnare. Fino ad arrivare ad una paradossale conclusione: che questo mondo è malato perché chi ha le gambe non

sa più dove andare. E che chi ha le ali non riesce più a volare. 5 Dal romanzo omonimo di Peter Hedges che l'ha sceneggiato. A Endora (Iowa, 1091 abitanti) non succede mai niente, ma c'è gen-

te interessante come i Grape: dopo il suicidio del padre, il primogenito Gilbert, commesso in un emporio, mantiene la madre (che

pesa 250 kg e da sette anni non esce più di casa), due sorelle e un fratellino, ritardato mentale. Curioso film sulla voglia di tenerez-

za e l'importanza della famiglia, che riscatta il tasso di saccarosio per delicatezza del tocco, cura dei particolari, colori del paesag-

gio (fotografia di Sven Nikvist). Al suo 2° film americano, lo svedese Hallström dimostra che sa come e che cosa guardare.

Tra i pochi abitanti della piccola cittadina di Endora, nello Iowa, vive la famiglia Grape che è tutta a carico del giovane Gilbert: il

padre si è impiccato, la madre, Bonnie, affetta da bulimia nervosa giace inerte in poltrona, mangiando, fumando e guardando la

televisione. Gilbert lega con la sorella più grande, Amy, mentre ha un rapporto difficile con la quindicenne Ellen, che mal sopporta

il fratello Arnie, che i medici hanno dato per spacciato da anni e che invece è arrivato alla soglia del diciottesimo compleanno.

Arnie è subnormale, e le sue mattane e manie, anche se innocue per gli altri, provocano sempre disagio e scompiglio. Arnie ama

ad esempio arrampicarsi sul pluviometro della cittadina, rischiando ogni volta di cadere, ed ogni volta deve intervenire Gilbert,

che lo ama con una pazienza ed un affetto encomiabili. I due aspettano ogni anno il raduno dei caravan, che un bel giorno porta ad

Endora la graziosa Becky, che viaggia con la nonna, simpatica ed ancora giovanile, che sostituisce i genitori, separati da tempo.

Gilbert ha un rapporto sentimentale con Betty, la moglie di uno scrittore locale, Carver, che si fa consegnare a domicilio le provvi-

ste comprate nello spaccio dove lavora il giovane, approfittandone per concedersi qualche svago adulterino. L'ennesima scalata del

pluviometro da parte di Arnie provoca il suo arresto e l'uscita straordinaria della obesa Bonnie che va a reclamare il figlio dallo

sceriffo, tra lo stupore della cittadinanza e dei curiosi e la vergogna di Gilbert e delle sorelle. Gilbert a questo punto deve puntella-

4

Le chiavi di casa6,

Un ponte per Terabithia7,

Mi chiamo Sam8,

re il pavimento della casa perché non sprofondi sotto il peso di lei. Alla vigilia del suo compleanno, Arnie si mangia per due volte

la torta e fa adirare talmente Gilbert che questi lo picchia. Disperato, il ragazzo vaga nella notte, mentre Arnie si reca da Becky che

lo calma e lo riporta a casa. La festa è l'occasione della riappacificazione tra Arnie e Gilbert, che fa la pace con la mamma e le

presenta Becky, che sta per partire. Successivamente Bonnie decide di salire le scale da sola, e muore dopo lo sforzo: per non e-

sporla al ludibrio di un funerale pubblico, Gilbert estrae il mobilio dalla casa e la incendia. Un anno dopo, aspetta con Arnie l'arr i-

vo dei caravan, che gli porti la sua Becky. 6 Una pellicola impegnata e impegnativa, nata dal progetto di realizzare una versione cinematografica di "Nati due volte" di Giu-

seppe Pontiggia. In effetti, però, del libro rimane l'idea di partenza e poco altro: anche qui il protagonista si chiama Paolo ma la

sua vicenda è attualizzata e concentrata nel tempo, spostata da Milano a Berlino e in generale vista con un altro occhio, piuttosto

diverso da quello di Pontiggia. L'adattamento che ne hanno fatto Amelio, Petraglia e Rulli, alla fine, non è tanto una versione ci-

nematografica del 'romanzo' quanto un suo ideale prosieguo: il film (che non a caso ha anche un titolo diverso dall'opera d'origine)

racconta semplicemente un'altra storia, parallela e forse complementare a quella di Pontiggia. Gianni ha poco più di trent'anni,

vive a Milano ma sta viaggiando in treno alla volta di Berlino insieme con Paolo, un quindicenne disabile che non aveva mai visto

prima. Lo sta accompagnando in un ospedale dove il ragazzo farà una serie di esami per provare a migliorare la sua situazione

fisica, anche se in quello stesso ospedale c'è già stato più di una volta... Paolo è un ragazzo allegro, esuberante, generoso, ma so-

prattutto ingenuo. Dopo i primi momenti di smarrimento, Gianni comincia a capire il ragazzo e diventa ben presto fin troppo ap-

prensivo nei suoi confronti. Ma come ogni ragazzo della sua età, anche Paolo vorrebbe avere un po' più di libertà, vorrebbe poter

girare da solo per la città, con le chiavi di casa in tasca. Solo che Gianni ha paura per lui, ha paura di non riuscire ad essere il padre

che per quindici anni ha rifiutato di essere... Se François Truffaut fosse vivo, probabilmente odierebbe "Le chiavi di casa". Truf-

faut predicava infatti il naturalismo, per quanto riguarda l'utilizzo dei bambini al cinema, ma Gianni Amelio e i suoi co-

sceneggiatori hanno caricato eccessivamente ogni sfaccettatura del personaggio di Paolo. Forse dipende solo dal carattere strabor-

dante di Andrea Rossi, campione di nuoto per disabili che interpreta il personaggio e a detta degli autori ha aggiunto molto di suo

a quanto da loro scritto, ma l'impressione è che il film cerchi a tutti i costi la simpatia e la commozione dello spettatore. "Siamo

tutti pronti a commuoverci, davanti ad un bambino. Siamo sempre pronti a fare sorrisetti e carezze, soprattutto se è malato", dice

Charlotte Rampling durante il film, e questo è esattamente quello che il film sembra volerci far fare: sorridere e intenerirci. Di più:

la sceneggiatura sembra estremamente studiata, ben poco sincera nello sviluppo (non nei contenuti, comunque: tra l'altro Rulli ha

un figlio disabile). Il monologo di Kim Rossi Stuart a metà film in cui si confessa alla Rampling (la quale replica pochi minuti

dopo) è un chiaro segnale di quanto in fase di sceneggiatura si sia pensato alla logica globale piuttosto che alla spontaneità della

narrazione. E anche se i tre protagonisti sono tutti molto bravi - nonostante qualche esagerazione di Rossi Stuart - c'è una sola sce-

na che davvero tocca il cuore del pubblico: quando Paolo viene obbligato dalla dottoressa tedesca a camminare avanti e indietro

per la stanza e Gianni lo abbraccia per dargli conforto e sostegno. Una singola scena, forse sufficiente a commuovere un certo tipo

di pubblico ma - si spera - non abbastanza per portare a casa da Venezia qualche premio importante. Perché per quanto questo sia

un film 'importante', il risultato finale non riesce a sopravvivere alle attese e all'importanza del progetto. 7 Jesse è un ragazzino che ha un amore per il disegno e la pittura. La famiglia e la scuola, però non gli danno credito e, spesso, è

irriso da qualche bulletto di classe. L'improvvisa e magica amicizia con Leslie lo conduce in un mondo di fantasia, dove la creati-

vità può essere liberata. La Disney è da sempre stata maestra nel genere per famiglie, e questo viaggio nel fantastico, ha la partico-

larità di non essere contaminato da incantesimi potteriani ed esseri ultraterreni, ma si basa principalmente sulla capacità umana di

immaginare. Il piccolo e classico scuolabus in cui si verificano gli scontri più accesi si confronta con gli spazi aperti del bosco,

mettendo in parallelo acerbe ostilità e amicizia universale. È forse la semplicità di questa opera a essere vincente, perchè gli effetti

speciali, sono presenti, ma con moderazione, per lasciar parlare l'umanità. Il regno di Terabithia è il prodotto della fantasia di due

ragazzi, che immaginano tutto ciò che vedono. Nell'evoluzione di questo genere cinematografico, c'è un aspetto da non sottovalu-

tare. È come il film veicola un messaggio parlando ai giovani e agli adulti, innalzando la solita morale a qualcosa di più concreto,

in una società in cui i confini fra adolescenza e maturità sono labili e quasi scompaiono per la velocità di crescita forzata dall'effet-

to dei media. Di conseguenza, Un ponte per Terabithia non è un percorso verso uno scontato lieto fine, ma un cammino verso una

luce, un'apertura che ha il sapore di un piccolo sogno. 8 Uomo di età ormai matura ma con le capacità intellettive rimaste ferme allo sviluppo dei sette anni, Sam Dawson, affronta una

situazione estremamente difficile: dal rapporto con una donna fuggita dall'ospedale subito dopo il parto, è nata una bambina, Lucy,

che lui ha cresciuto ed educato, anche con l'aiuto di Anne, una pianista vicina di casa. Ora Lucy compie a sua volta sette anni, è

sveglia e vispa più del padre, e i servizi sociali ritengono che sia opportuno sottrarla a Sam e affidarla ad un'altra famiglia. Ma

Sam per primo sa che, al di là dei criteri oggettivamente e socialmente riconosciuti, esiste un legame, un valore che solo lui può

dare alla bambina, quello dell'amore paterno. Deve però dimostrarlo e, incassato il rifiuto di tanti avvocati, ne trova infine uno in

Rita Harrison, donna all'apparenza sicura e grintosa. Il periodo successivo passa tra tribunali, visite psichiatriche, testimonianze

che si alternano in aula. Nell'interrogatorio conclusivo, che Rita aveva cercato di preparare, Sam entra in crisi, perde il filo del

discorso, e il giudice decide di affidare Lucy a nuovi genitori. Tra i due c'è Randy, la moglie, che si affeziona a Lucy e, dopo un

po', ne chiede l'adozione. Sam, che non si è rassegnato, va a vivere vicino a loro, fa visita spesso a Lucy. Randy allora capisce la

profondità di questo affetto e non vuole interromperlo. Sam da parte sua sa che ora Lucy può avere la mamma che non ha mai avu-

to, e conservare il suo vero papà. Mi chiamo Sam è un film emozionante che offre una rara e toccante testimonianza sul potere

dell'amore senza riserve: una pellicola lunga ma con un buon ritmo logico che commuove, commuove ed ancora commuove sfio-

5

Forrest Gump9,

Oltre il giardino10

,

rando con delicatezza le corde emotive dello spettatore, facendo riflettere anche sulla mancanza di comunicazione in famiglie

normali che di certo non hanno affrontato la dura e struggente lotta quotidiana di Sam, genitore ritardato e semi-autistico che mo-

stra una incredibile forza di volontà e la ferrea convinzione di dover donare esclusivamente il meglio alla figlioletta. Straordinaria

interpretazione di Sean Penn, affiancato dalla bravissima e dolcissima Dakota Fanning e dalla splendida Michelle Pfeiffer, oltre

che da un gruppo di amici molto affiatati. Splendida colonna sonora dei Beatles che scandisce le vicende della vita di Sam. Non é

facile entrare nel mondo di Mi chiamo Sam. Anzi: é doloroso, spiazzante. Quando si vede per la prima volta Sean Penn che parla e

si agita come uno spastico, le reazioni possibili sono due. La prima: quello non é un handicappato vero, é un divo di Hollywood

che "fa" l'handicappato e questo è disgustoso; la seconda: ok, questa é la stoffa di un handicappato e io non ho alcuna voglia di

trascorrere due ore del mio tempo in sua compagnia. La prima reazione é a suo modo giusta e vi avvertiamo fin d'ora; rimarrà,

almeno per chi scrive, fino alla fine, fino al punto di condizionare il giudizio sul film. La seconda é feroce, ingiusta, ma compren-

sibile: in fondo qui si tratta di vedere un film, non di compiere scelte di vita. Ma la sagacia, l'astuzia - forse la bellezza - del film

sta proprio nel metterti di fronte alle scelte suddette; nel costringerti a chiederti "cosa farei, io, se fossi al posto di Sam, o della

figlia di Sam, o dell'avvocato di Sam o di coloro che comunque debbono decidere se Sam ha o non ha il diritto di vivere con la sua

bambina?". Domande ardue. Dal film, si esce senza risposte. Tocca cercarle dentro di noi. Ed é per questo che Mi chiamo Sam é

un film doloroso e importante". Sam é un giovanotto con un'età mentale di 7 anni. Lavora in uno Starbucks, una catena di bar che

servono un pessimo caffè a milioni di americani (nel film hanno un ruolo importante che dov'essere costato molti dollaroni; Mi

chiamo Sam, per la cronaca, é stracolmo di sponsor). All'inizio del film lo vediamo correre in ospedale perché sta per diventare

papà: ha avuto una storia di una notte con una tizia, che subito dopo aver partorito lo molla lasciandogli la neonata a carico. Sette

anni dopo, Sam ha sempre (mentalmente ) 7 anni, tanti quanti Lucy Diamond, la sua bellissima e intelligentissima bambina (la

piccola attrice, di una bravura soprannaturale, é Dakota Fanning). L'ha chiamata così perché Sam ha un'unica passione nella vita: i

Beatles. Sa tutto delle loro vite e cita a memoria le canzoni. Il problema é che molto presto (diciamo fra un anno) Lucy Diamond

diventerà più matura, più "grande" di lui. Quindi il tribunale dei minori vorrebbe sottrargliela, e darla in adozione. Una famiglia

per Lucy Diamond c'é già: ed é una bella famiglia, gentile, politicamente corretta. Ma Sam vuole la sua bambina e Lucy Diamond

vuole il suo papà. Lei sa benissimo che ha dei problemi: all'amichetto che viene a trovarla a casa, e con la tipica, crudele sincerità

dei bambini le chiede «perché tuo papà si comporta come un ritardato?» risponde tranquillamente «perché lo è». Ma gli vuol bene,

e sa meglio di chiunque altro come assisterlo, come consolarlo. Ciò che la società non può capire é che Lucy Diamond é già più

grande di Sam, é al tempo stesso sua figlia e sua madre. I tribunali non tengono conto di queste quisquilie. Per tenere la bimba con

sé Sam dovrà trovarsi un avvocato. E quell'avvocato (per la serie "solo al cinema": qui il copione zoppica) avrà il volto e la sagacia

di Michelle Pfeiffer. All'inizio Rita Harrison, il legale in questione, non sopporta Sam, e come darle torto? Ma il meccanismo é

evidente (e molto hollywoodiano ): Rita ha una vita schifosa, tutto lavoro e niente svago, con un marito che la tradisce e un figlio

che a malapena la riconosce. Lei darà a Sam l'assistenza legale, Sam la ricambierà con qualcosa di molto più importante: l'affetto,

l'umanità, la capacità di capire cosa conta nella vita. Il passo successivo sarebbe stato tremendo: l'avvocata rampante di Los Ange-

les che si innamora del povero idiota Jessie Nelson, regista al secondo film (é più nota come attrice) che ha anche scritto il copione

assieme a Kristine Johnson, non ha osato tanto. Ha tenuto Mi chiamo Sam in periglioso, ma a tratti miracoloso equilibrio ha il me-

lodramma e il reportage sociale, ha la denuncia e il pietismo. Se cascate nel film, non ne uscirete: farete il tifo per Sam e sognerete

di portarvelo a casa. L'esito è come sempre, ambiguo: Hollywood spettacolarizza la disabilità ma gli dà anche una forte visibilità,

Sean Penn è al tempo stesso bravissimo e insopportabile. La colonna sonora (tutte cover dei Beatles) contribuisce alla carineria

dell'insieme, la regia della Nelson (nervosa, sgangherata, volutamente sgrammaticata) la nega di continuo. Mi chiamo Sam é un

oggetto inquietante e contraddittorio. Quindi vitale. 9 Il film, tratto da un romanzo di Winston Groom, ha dominato i Premi Oscar 1995 aggiudicandosi 6 statuette, tra le quali "miglior

film", "miglior regia" e "miglior sceneggiatura non originale", oltre a quella come "miglior attore" vinta da Tom Hanks, la sua

seconda consecutiva, dopo quella ricevuta l'anno precedente per Philadelphia; quest'ultimo, in realtà, fu girato dopo Forrest Gump,

ma uscì nelle sale prima perché il film di Zemeckis ha necessitato di una lunga post-produzione. Il film racconta la vita di Forrest

Gump: un bambino con un lieve difetto motorio e con un quoziente d'intelligenza leggermente al disotto della media che arriva a

rappresentare un punto di riferimento in ogni settore con cui venga a contatto: campione di baseball, ping-pong e maratona, mi-

glior soldato del suo gruppo e capace di atti d'immenso altruismo. Con un attaccamento al denaro pari a zero eppure capace di di-

ventare uno dei maggiori azionisti della Apple. Nato e cresciuto in un paesino dell'Alabama, Forrest Gump, che alla scarsa intelli-

genza accoppia la generosità del cuore, riesce a laurearsi perché è un campione di corsa, diventa un eroe in Vietnam, fa i miliardi,

per caso, con la pesca dei gamberi, diventa una specie di guru, è ricevuto da tre presidenti alla Casa Bianca, sempre per caso pro-

voca lo scandalo Watergate, dopo anni di attesa sposa il suo grande amore che gli dà un figlio e muore di qualcosa che assomiglia

all'Aids. Tratto dal romanzo di Winston Groom – che è stato sottoposto a un lavaggio hollywoodiano – è un film che, come scrisse

un critico americano, non ti fa pensare ma sentire, oppure ti fa pensare al modo con cui si sente. Bravissimo T. Hanks, idiota genti-

le anche nei minimi dettagli. Efficaci gli effetti speciali con nuove tecniche di editing digitale che consentono a R. Zemeckis di

inserire Hanks in vecchi telegiornali accanto a Nixon, Kennedy, Johnson, John Lennon e di moltiplicare le comparse davanti al

Lincoln Memorial di Washington. 6 Oscar: film, regia, attore protagonista, sceneggiatura, effetti speciali, montaggio. 10 Il film si apre presentando con rapidi tocchi il giardiniere. Vediamo Chance iniziare una giornata come le altre. Spolvera le

gomme della limousine nel garage, non curandosi del fatto che le gomme sono tutte a terra (a testimoniare che l'auto è ferma da

tempo). Guarda con attenzione i televisori sparsi in vari luoghi della casa, cambiando spesso canale. Si appresta a fare colazione e

si intrattiene un attimo con Louise, la cameriera, che gli annuncia che il vecchio è morto. Non reagisce alla notizia e Louise non è

sorpresa di fronte alla sua impassibilità. Chance fa colazione tranquillamente, continuando a guardare la televisione. Guarda di

6

Rain Man11

;

tutto, dai cartoni animati al telegiornale, saltando qua e là senza meta. Sembra assimilare tutto. Cerca di imitare quel che vede. Il

maggiordomo di Via col vento saluta i padroni alzando il cappello e biascicando «Sì, miss» con la pronuncia da negro dei film

anni '30. E Chance ripete lo stesso gesto e le stesse parole con la stessa intonazione a Louise che sta lasciando per sempre la casa.

Allo stesso modo, veduta la robusta stretta di mano del Presidente alla televisione, ripete il gesto stringendo la mano dei perplessi

avvocati che lo cacciano e l'obbligano ad affrontare per la prima volta il mondo esterno. Quando esce, Chance si guarda intorno

perplesso: gli viene incontro un mondo di rifiuti, di rottami, di auto demolite, di poveracci sgomenti, una realtà ben diversa da

quella televisiva. Saluta cortesemente un gruppo di barboni attorno ad un fuoco e cammina senza meta per la città. Ferma una

donna che forse gli ricorda Louise. Le chiede con garbo di preparargli la colazione, e quella scappa spaventata. Domanda a un

gruppo di ragazzi dove si trovi un giardino per lavorare. Di fronte ai loro modi sfrontati e alle minacce, brandisce il telecomando e

cerca di cambiare canale. Ritrova una parvenza di interesse quando si vede dentro la televisione di un negozio, che trasmette quan-

to riprende una telecamera dalla vetrina. Mentre cerca di intervenire con il suo telecomando è accidentalmente investito dall'auto

della ricca signora. Nulla di grave. A questo punto abbiamo ricevuto informazioni sufficienti per sapere che Chance è una specie

di ritardato mentale. In modo discreto e accorto Ashby ci ha guidato dentro la vicenda, dandoci il vantaggio di conoscere quello

che non sanno coloro che incontreranno il giardiniere. Così, la doppia lettura delle risposte e dei discorsi laconici di Chance diver-

rà motivo ricorrente di umorismo. Lo spettatore sa che Chance dice banalità quotidiane quando parla del giardino, ma gli altr i per-

sonaggi pensano che le sue parole posseggano una misteriosa carica metaforica. Chance non è altro che un prodotto della televi-

sione, di cui ricicla tutto, ma le sue banalità sembrano saggezza a chi è abituato alle contorsioni dialettiche ed alla falsità della vita

comune. L'idiozia di Chance, serena e bovina, è scambiata per la tranquillità di un essere superiore. Chance tutto apprende e tutto

imita, ma come accadrà pochi anni dopo con Zelig (1983) di Woody Allen. Zelig imita per piacere agli altri e confondersi con lo-

ro, mentre Chance è una carta assorbente, imita perché mosso da un'astratta curiosità, ma non ha alcun reale interesse per gli altri.

In questo senso assomiglia molto, nella sua neutralità spirituale, a certi personaggi di Kurt Vonnegut, altro grande scrittore ameri-

cano di origini europee con cui Kosinski ha diversi punti di contatto (ne condivide l'umorismo irresistibile e lo sguardo apparen-

temente astratto e quasi lunare). Ashby sarebbe stato il regista ideale per i romanzi di Vonnegut, di certo più di George Roy Hill

che con Mattatoio 5 (1972) ne ha colto solo a tratti lo spirito. In Oltre il giardino, lo stile del regista matura sino alla perfezione.

Evitando i facili effetti comici, che pure non sarebbe stato difficile sfruttare, lavora di cesello giocando sempre sotto tono per far

risalire, a contrasto, l'umorismo surreale della vicenda. In questo, aiuta assai la straordinaria prestazione di Peter Sellers. Se Oltre

il giardino è indubbiamente un film di Ashby di cui rappresenta lo stile e la filosofia, non si può negare che sia anche un film di

Peter Sellers. Non si può immaginare nessun altro attore nei panni di Chance. A un personaggio che deve aver amato molto, Sel-

lers regala la sua migliore interpretazione degli anni '70. Muovendosi con circospezione come chi abbia paura di cadere e atte-

nuando la mimica sino a rendere il viso una maschera apparentemente inespressiva, tratteggia con sottile sapienza le molteplici

sfumature di un personaggio inafferrabile, novello Candido che non sa nulla e conquista tutti. Chance si fa ammirare per i parados-

si che enuncia, senza alcuna forzatura. Il Presidente degli Stati Uniti gli riconosce un «solido buon senso», dando atto che «è pro-

prio quello che manca al Campidoglio». Il ricco Ben ne loda spesso la serenità e la schiettezza («Hai una grande virtù: tu non stai a

ricamare con le parole per nascondertici dietro. Dici pane al pane»). Eve ne ammira prima la amichevole saggezza e poi ne ama

l'imperturbabilità. Cerca al tempo stesso di scalfirla, e, apparentemente, per un attimo ci riesce. Chance, in camera da letto, sta

guardando una scena d'amore alla televisione ed è colpito da un bacio appassionato. Eve, trepida e speranzosa, entra, ma teme di

essere accolta con il consueto rigore di sempre. Invece, sorprendentemente Chance l'afferra e la bacia con trasporto, in una perfetta

imitazione del bacio passionale visto in Tv. Quando la scena d'amore finisce sul teleschermo, Chance è "disattivato". Lascia Eve,

che lo guarda perplessa pensando d'aver sbagliato qualcosa. «Mi piace guardare», le dice Chance, con semplicità. Ci si può do-

mandare quanto potrà durare il bluff di Chance e quando gli altri finalmente si accorgeranno che è un cretino. Ma a poco a poco si

comprende che il gioco può durare per sempre, perché in realtà non è un bluff. Chance dà agli altri ciò che vogliono ricevere. Co-

me potranno accorgersi che è un cretino se non si accorgono di essere loro, cretini? Immerso nei toni autunnali della splendida

fotografia di Caleb Deschanel, il film procede senza sussulti, assecondando il ritmo naturale di Chance. Alla fine, ormai elevato

dagli uomini al rango di prossimo Presidente degli Stati Uniti, camminerà tranquillamente sulle acque di un laghetto solitario. È

una sequenza di sorprendente surrealismo, voluta da Ashby per chiudere simbolicamente una storia dalle molteplici suggestioni.

Chance, personaggio semplice e amante della natura, è probabilmente un ritardato. Ma ha qualità che lo proiettano nell'infinito.

Nella parabola di un personaggio che tutti chiamano Chauncey, per una funzionale storpiatura del nome, trova posto una pungente

critica della società americana, di cui si stigmatizzano il vuoto spirituale e l'impreparazione culturale, oltre a una grettezza di fondo

che sembra uno dei crucci principali di Ashby. La resistibile ascesa di Chance assomiglia, per la facilità con cui si compie, a una

discesa. Rappresentando la forza del Caso (Chance, infatti), il personaggio non ha bisogno di faticare per affermarsi. Tutto viene

da sé, per l'incapacità di un sistema monolitico ad affrontare l'eccezione se non inglobandola e, in questo frangente, venendone

deriso. Non si può confondere Chance con l'ingenuo dei film positivi di Frank Capra. Sotto l'aria soave e l'apparente bontà,

Chance - come ha rilevato Gualtiero De Marinis in «Cineforum» (n. 200/80) - «non solo non è portatore di buone novelle, ma tan-

tomeno può essere preso come simbolo di una verginale e genuina realtà; come portatore di valori naturali e non alienati». E la

televisione non è l'oggetto principale della satira. Sarebbe riduttivo. È piuttosto l'ispiratrice della banale piattezza delle esternazio-

ni di Chance. La grandezza del personaggio (e del film) sta nella molteplicità dei suoi aspetti, nella sua inaffabilità. Il finale "meta-

fisico" significa anche questo. E rappresenta la sublimazione del concetto di finale aperto che ha sempre guidato Ashby. Forse

Chance è qualcosa che nemmeno gli spettatori che credevano di aver imparato a conoscere, possono comprendere veramente. 11

Viaggio da Cincinnati a Los Angeles di un disinvolto commerciante d'auto e di suo fratello, autistico con genio matematico.

Divertente, commovente, conta specialmente per D. Hoffman e il suo istrionismo. Ispirato al romanzo "Bill: on his own" di Barry

Morrow: Charlie Babbit, un giovane commerciante di automobili di lusso, attualmente indebitato per speculazioni sbagliate, sco-

7

Nell12

;

Crazy Love13

,

pre, alla morte del padre, che l'unico erede del cospicuo patrimonio familiare è un istituto di rieducazione per handicappati, presso

il quale è ricoverato Raymond, il suo sconosciuto fratello. Vagamente Charlie ricorda che quando era bambino viveva nella casa

paterna uno strano personaggio che gli recitava le filastrocche: non si trattava, pertanto, di Rain Man, l'immaginario uomo della

pioggia, ma di Raymond, più grande di lui di venti anni. Adirato per la mancata eredità, Charlie porta via Raymond dalla clinica

con la speranza di diventarne legalmente il tutore e beneficiare indirettamente dell'ingente patrimonio. Durante il lungo viaggio

intrapreso, poco a poco Charlie si affeziona a Raymond, un individuo tutto gesti meccanici e frasi ripetitive, privo di reazioni sul

piano emotivo: perso ogni rancore nei suoi confronti, rinunciando ad ogni pretesa finanziaria, consente a Raymond di ritornare

nella clinica. "Con la sua interpretazione Dustin Hoffman evidenzia validamente le impuntature, la meccanicità dei gesti e degli

scarti, l'incerto procedere nel camminare, comportamenti tutti caratteristici di un autistico." Il film di Levinson, naturalmente, è

ben realizzato, comunque in grado di comunicare qualcosa e soprattutto affidato alla superba interpretazione di Dustin Hoffman.

Tom Cruise, a ben guardare, non sfigura. Valeria Golino, invece, passava per caso. "4 Oscar 1988: miglior film, miglior regia,

miglior attore (Dustin Hoffman), miglior sceneggiatura originale;- Orso D'oro al festival di Berlino 1989; premio David di Dona-

tello 1989 per miglior film straniero (Barry Levinson), e migliore attore straniero a Dustin Hoffman. 12 La regia di Nell è di Michael Apted e la sceneggiatura Mark Handley e William Nicholson; il film è uscito nel 1994. Gli attori principa-

li sono Jodie Foster (David 1995 per migliore attrice straniera), Liam Neeson, Natasha Richardson, Richard Libertini, Nick Searcy,

Sean Bridgers, O'neal Compton, Jeremy Davies, Joe Inscoe Cresciuta per anni in una casupola sperduta nel bosco del Nord Carolina con

la madre colpita da ictus, Nell ha appreso un linguaggio che ne imita i suoni semiarticolati. Alla morte della madre di costei, Jerome Lovell, il

medico condotto del paese più vicino, e lo sceriffo Todd Peterson la trovano, ormai trentenne, che si esprime con un indecifrabile idioma.

Poiché la psicologa Paula Olsen, determinata a sottrarre la giovane ad una vita "selvaggia", entra in conflitto con il medico, che vuole proteg-

gere Nell dalla civiltà, il giudice stabilisce un periodo di tre mesi di osservazione nei luoghi dove la giovane ha vissuto fin dalla nascita. Je-

rome si installa con una tenda e Paula attracca con una casa galleggiante sul lago là vicino. La sua gestualità misteriosa ed affascinante, intri-

gano sia l'uomo che la donna, che riescono a poco a poco a far amicizia con Nell ed a comprenderne il linguaggio. L'innocenza e la semplici-

tà della giovane toccano profondamente i due: Jerome la protegge, ma non sa meritare il titolo di angelo custode che la ragazza gli ha dato,

ed anche Paula comincia ad affezionarsi al soggetto del suo studio. Tra Paula e Jerome nasce un sentimento, cui li sprona la stessa Nell. Ma

la notizia della giovane "selvaggia" ha interessato la stampa, e Jerome deve cacciare un cronista indiscreto ed in città difendere Nell dalle

avance di un ragazzotto. Ricoverata in ospedale, Nell si chiude in un mutismo tragico, dal quale Jerome tenta di strapparla portandola via di

forza, malgrado il dissenso del dottor Alexander Paley, e nascondendola in un motel. Infine decide di portarla davanti al giudice, dove la

giovane, con Jerome che traduce, commuove tutti con la sua profonda semplicità ed integrità. Viene così lasciata al suo ambiente sotto la

protezione dello sceriffo Peterson e di sua moglie Mary, anch'essa con problemi psicologici, che ha già simpatizzato con Nell. Dopo 5 anni,

Jerome e Paula, sposati, portano la loro bimba Ruthie a festeggiare il compleanno di Nell. 13

La commedia sentimentale romantica (per intenderci quella alla Meg Ryan) ha delle regole fondanti imprescindibili ed assolu-

tamente inviolabili. Chiunque sia chiamato a cimentarsi con questo genere deve, quindi, saper padroneggiare al millesimo i tempi

stretti di uno sviluppo narrativo che non ammette alcun tipo di deroga, alcuna deviazione, sia pure provvisoria, dal tracciato eterno

ed immutabile della formula “lui e lei si amano, si lasciano, si ritrovano”. Questa logica tripartita ed apparentemente circo lare

dell’intreccio non è, però, così armonica ed equilibrata come si potrebbe a tutta prima pensare. Le esigenze di copione (e di svi-

luppo drammaturgico) prevedono, infatti, che delle tre parti la più lunga sia la prima che deve essere anche largamente descrittiva

(definizione degli ambienti, ma anche ruolo e funzione dei comprimari), mentre la seconda e centrale occupa, nella migliore delle

ipotesi, quella decina di minuti che precedono la risoluzione finale. Quest’ultima, infine, può sciogliersi anche nello spazio di una

sola breve sequenza; qualche volta può essere addirittura condensata in una sola, pregnante inquadratura di pochi, ma gratificanti

secondi. Nella prima parte si possono isolare ancora alcuni momenti topici di rappresentazione e narrazione. Ad esempio i primi

dieci-dodici minuti assolvono generalmente una specifica funzione propedeutica: introducono i due personaggi principali e mo-

strano le loro vite prima del loro incontro fatidico. La struttura è data in un montaggio parallelo limpido di momenti isolat i e spez-

zati che combaciano e si riflettono come pezzi di un puzzle: i due personaggi sono fatti l’uno per l’altro, ma ancora non lo sanno.

In Crazy in love, inspiegabile titolo dell’edizione italiana di Mozart and the whale, questa separazione tocca un vertice di teorica

consapevolezza dal momento che tutti i personaggi del film (tra cui i due destinati ad innamorarsi) si dividono due gruppi: i ma-

schi da una parte e le femmine da un’altra a fare le stesse cose in modi diversi. Avvenuto l’incontro fondamentale, generalmente

anche grazie all’aiuto dei comprimari la cui funzione attanziale è meramente quella di aiuto e appoggio agli eroi, i due personaggi

si trovano in quella che è la più lunga e articolata sezione narrativa: il corteggiamento. Il mondo esterno se proprio non scompare

diventa, se non altro sfocato e prende il via un gioco delle parti in cui i soli protagonisti sono gli amanti. I dialoghi si assottigliano,

la musica prende il sopravvento sulla parola, il montaggio assume funzione durativa e il miele comincia a scorrere a profusione

appena corretto, qua e là, da qualche intintura non sempre efficacissima nell’autoironia e nelle strizzatine d’occhio al pubblico in

sala. Meccanismo simile, ma inverso lo troviamo nel ‘punto di morte rituale’ in cui i due amanti finiscono per lasciarsi, sia pur

brevemente e solo per verificare la tenuta effettiva del sentimento che li lega. Quali che siano le circostanze esterne che finiscono

per determinare la crisi, essa è, però sempre essenzialmente legata alla dimensione tutta interiore della ‘paura’. I due innamorati, in

altre parole, temono che il loro legame non sia ‘reale’, subodorano la possibilità di essersi reciprocamente illusi (in Crazy in love,

la ragazza credeva di aver trovato un uomo capace di amarla per quello che era, ma si avvede, ad un certo punto, che il fidanzato

vorrebbe ricondurla verso una normalità di cui non può sentirsi parte). Il film di Peter Naess rientra perfettamente nella tipologia

di questo specifico genere cinematografico. A guardalo con un cronometro in mano si potrebbe verificare, nello spazio della proie-

zione, il rispetto puntiglioso dei tempi e delle proporzioni della formula magica che abbiamo appena descritto. La piccola differen-

za rispetto allo standard del filone è tutta nella definizione dei personaggi principali: due ragazzi affetti dalla sindrome di Asper-

8

A Beautifull mind14

;

Letteratura consigliata:

Romanzi: Basta guardare il cielo, (Rodman Philbrick), Bompiani, 1999;

Nati due volte, (Pontiggia Giuseppe), Mondatori;

Il quinto figlio (Lessing Doris), Feltrinelli, 1996;

Romanzo storico: Lo scudo di Talos (Manfredi Marco Valerio), Mondadori;

Racconto breve: Il villaggio dei ciechi (George Wells), da “Racconti”, Garzanti;

Racconto: La metamorfosi (Kafka).

TESTI SPECIFICI UTILIZZATI come ausilio per l’intervento sul riconoscimento delle emozioni

con gli alunni di tutta la classe da cui sono state tratte alcune schede di lavoro:

ger, una forma di autismo che inibisce la loro capacità di instaurare un dialogo normale con il prossimo. La loro ‘diversità’ è, però,

nella logica un po’ perversa del genere, più apparente che reale. Muovendosi nello spazio franco del filone della commedia senti-

mentale, le loro difficoltà relazionali non sembrano mai davvero diverse da quelle che avevano scosso i ben più ‘normali’ Tom

Hanks e Meg Ryan in tanti film analoghi. L’autismo sembra allora, spesso, essere più la scusa per fornire motivazioni credibili ai

simpatici tic dei personaggi che non il punto di partenza per la descrizione di una condizione esistenziale. Ed è, forse, proprio qui

il peccato mortale di un film per il resto godibile anche grazie all’ottima prova di tutti gli attori coinvolti: nell’aver voluto costruire

un ennesimo film su un amore che, nelle sue contraddizioni, avrebbe potuto portarsi dietro l’odore della vita vera.

Film del 2004 del regista norvegese Peter Næss (alla sua prima opera negli States), “Mozart and the whale” arriva nel nostro paese

con 3 anni di ritardo e un titolo tutto nuovo, il più convenzionale “Crazy in love”, attraverso il mercato dell’home-video. Protago-

nisti assoluti sono due giovani attori già piuttosto noti, Josh Hartnett (“Pearl harbor” e “Slevin”) e Radha Mitchell (“Pitch black” e

“Melinda & Melinda”), che interpretano due persone molto diverse, semplificando lui introverso lei estroversa, entrambe però

affette da un particolare tipo di autismo chiamato sindrome di Asperger.

Tal patologia, sconosciuta ai più, comporta una estrema difficoltà nel relazionarsi con gli altri, l’incapacità di “leggere fra le r i-

ghe”, e un intenso livello di attenzione su determinate cose che interessano, come ben illustrato durante il racconto. Asperger però

non è posto al centro delle vicende, seppur vi sia l’apprezzabile intento di portarlo alla luce, ma è alla fine più un artificio per

complicare ulteriormente quel meccanismo così contorto che è l’amore, vero fulcro narrativo della pellicola. La relazione fra Do-

nald e Isabel difatti, al di là di talune problematiche legate alla loro particolare condizione, non approfondite fra l’altro del tutto,

non è molto diversa da quelle fra persone più comuni, e se si analizza il suo iter è facile vedere come percorra un cammino forse

visto già troppe volte, con l’innamoramento iniziale, l’inevitabile crisi, dovuta ad incomprensioni e la paura di fare il grande passo,

ed il lieto fine.

Niente quindi di particolarmente nuovo, però la pellicola sa farsi apprezzare e non annoia, grazie ad una colonna sonora piacevole,

una regia con qualche buona trovata (come le sovrimpressioni che sottolineano la mania per i numeri di Donald), una dose conte-

nuta di miele, ed un cast di simpatici attori, con i due interpreti principali piuttosto efficaci, che donano grande spontaneità ai loro

personaggi, permettendo a questi di sfuggire da una caratterizzazione eccessivamente patetica. 14

È la storia autobiografica di John Forbes Nash Jr. un genio della matematica. Diretto da Ron Howard (proprio quello di Happy days) e

scritto da Akiva Goldsman, uscito nel 2001. A Beautiful Mind racconta la vita di John Nash, geniale matematico afflitto da una grave malat-

tia mentale a cui, ironia della sorte, venne assegnato il Nobel in economia nel 1994 per la teoria dell’equilibrio. E sicuramente grande equili-

brio lo mostra il regista Ron Howard che sapientemente dosa reale e non reale, tanto bene che per oltre la metà del film lo spettatore fa fatica

a riconoscere ciò che è reale da ciò che non lo è, proprio come il dott. Incontriamo Nash per la prima volta come studente a Princeton nel

1947. E’ brillante ma dispersivo, e pressoché incapace di rapporti sociali, al di fuori dell’amico e compagno di stanza Charles. John Nash

(interpretato da Russell Crowe) è attore e spettatore della propria esistenza, di una vita sdoppiata al limite del verosimile, in cui alcuni perso-

naggi prendono forma e si lasciano vedere solo dai suoi occhi e dai nostri, coinvolgendoci nell’intrigante gioco tra vero e falso, reale e im-

maginario. Il personaggio Nash è il narratore, autore di una complicata storia fatta di intrighi e di ricatti che vede coinvolti una "eminenza

grigia" (così lo definisce John) il suo compagno di stanza del college e la nipotina. La figura del bambino nel cinema (sin dai tempi del Neo-

realismo) ha sempre rappresentato lo sguardo puro portatore di verità e non è un caso che sia proprio la bambina ad illuminarlo: quella bam-

bina che, nonostante gli anni che passano "non può essere reale perché non cresce", urlerà John alla moglie che aveva deciso di abbandonarlo

al suo destino. Da quel momento ignorerà quei personaggi che verranno relegati al ruolo di Spettatori, a cui lui non rivolgerà più la parola,

ma che continueranno ad essere comunque presenti e quindi reali solo ai suoi occhi e ai nostri. Qualche anno più tardi si fa strada nella sua

mente un’idea innovativa destinata a rivoluzionare l’economia. A soli 22 anni John Nash era l’astro nascente della ‘nuova matematica’ tanto

da vedersi offrire l’ambitissimo posto di ricercatore e professore al M.I.T. In quel periodo collaborerà anche con l’agente governativo Wil-

liam Parcher (Ed Harris) per la decodifica di alcuni codici segreti. Sono anni particolarmente felici, grazie anche all’incontro con Alicia (Jen-

nifer Connelly), che di lì a poco diventerà sua moglie. Ma purtroppo destinati a durare poco. John comincia ad essere colpito da allucinazioni

paranoiche. Ricoverato in una clinica per malattie mentali ed affidato alle cure del Dr. Rosen (Christopher Plummer) gli viene diagnosticata

una forma grave di schizofrenia. Una malattia che lo obbliga ad entrare e ad uscire dagli ospedali psichiatrici, ma che combatte con indistrut-

tibile forza di volontà e con l’aiuto della moglie Alicia. Sconfitta dopo lunghe battaglie la malattia, Nash riceverà nel 1994 un tardivo Premio

Nobel.

9

“Disegnare le emozioni”, Erickson;

“Educare le life skill”, Erickson;

“Educare all’altruismo”, Erickson;

“Educazione sessuale e relazionale-affettiva”, Erickson;

“Positiva-mente”, Erickson;

“Parlare dei sentimenti”, Erickson.

Testi di supporto teorico agli interventi

“Intelligenza emotiva”, Goleman Daniel, Rizzoli;

“Intelligenza sociale”, Goleman Daniel, Rizzoli;

“Io non ti salverò (puoi farlo da solo!)”, Rumbolo Adriana, Edizioni del Cerro;

“Neuropsicologia delle emozioni”, Balconi Michela, Carocci;

“Educare alle emozioni”, Città Nuova;

“Emozioni e successo scolastico”, Carocci.

Il gruppo classe.

Esperienza del gruppo nel gruppo d’incontro: confronto e condivisione. Contattare le proprie emo-

zioni e riconoscersi o non riconoscersi nelle emozioni dell’altro, accettarle e condividerle: cos’è

l’empatia. Cosa significa ASCOLTARE attivamente.

Libertà emotiva, educare all’altruismo: so ascoltare?

So riconoscere le mie emozioni? e quelle dell’altro?

La richiesta d’aiuto e l’incapacità di chiedere aiuto.

Stessa realtà tante sensazioni diverse (Educare all’altruismo: scheda 24-25 perché faccio così?

Scheda 27-28 - aiuto o non aiuto?).

MODALITÀ E DISCUSSIONI:

Destrutturare l’ambiente classe (il contesto scolastico) posizionandosi in circolo per facilitare

l’esperienza emotiva in un contesto “non didattico”, senza barriere fra i partecipanti per condividere

ed esprimere i propri vissuti potendosi tutti guardare in faccia su uno stesso piano e senza il timore

di essere giudicati. Fare attenzione a non venire interrotti o disturbati durante il gruppo d’incontro

mettendo un cartello fuori dalla porta “PER FAVORE NON DISTURBARE fino alle ….”.

ATTIVITÀ:

Visione dei film. discussione dei contenuti e dei vissuti emotivi esperiti.

Un gruppo d’incontro in cerchio al mese.

Schede dai testi della Erickson da disegnare e compilare:

Disegnare le emozioni: “I quattro sentimenti”; Educare le life skill (cap. 7-8-9, da p. 133 a p. 164);

Educazione sessuale e relazionale affettiva: C 2 scheda A-C-D-E-F- / C12 / C13 / C14 / C15 (da

p. 155 fino a p. 274).

E' richiesta la possibilità di poter produrre fotocopie per i singoli allievi della classe in ogni in-

tervento.

10

Linee-guida relative allo stile di conduzione dei gruppi d’incontro

L’applicazione del progetto richiede particolari accorgimenti, con una specifica attenzione allo

stile relazionale. Evitando un elenco infinito di raccomandazioni, è però possibile individuare quat-

tro atteggiamenti di base ed altrettante indicazioni operative.

I quattro atteggiamenti relazionali

1. Considera i danni emozionali gravi quanto le ferite fisiche. Spesso, infatti, gli adulti tendono a

sottovalutare l’impatto che le difficoltà emotive hanno sullo sviluppo psicologico.

2. Rispetta ed accetta tutti i sentimenti sperimentati dai ragazzi, senza considerarli privi di signi-

ficato o di importanza. Anche in questo caso, gli adulti assumono spesso un atteggiamento svalutan-

te nei confronti delle difficoltà emozionali dei ragazzi, considerandole poco rilevanti. Ad esempio,

di fronte ad un sentimento di tristezza di un ragazzo conseguente ad un litigio col compagno,

l’adulto non di rado ricorre a frasi del tipo: «non sono queste le cose di cui preoccuparsi, vedrai da

adulto i problemi veramente importanti quali sono!». In tal modo, anche il ragazzo tende a sottova-

lutare ed a trascurare la propria vita affettiva.

3. Aiuta i ragazzi a trovare le parole per esprimere le proprie emozioni. Nel corso di tutto il pro-

gramma deve essere riconosciuta una rilevanza fondamentale all’appren-dimento, da parte del ra-

gazzo, di un vocabolario emozionale, utile per verbalizzare e quindi concretizzare le proprie espe-

rienze affettive.

4. Rassicura i ragazzi che provare tutti i sentimenti è normale. È giusto provare paura o rabbia,

odio e rancore? La risposta è assolutamente positiva. Non solo è giusto, ma anche utile. E tuttavia

non di rado alcuni adulti tendono a trasmettere ai bambini, seppur inconsapevolmente, l’idea che

sperimentare alcune emozioni cosiddette ‘negative’ non sia corretto. Viceversa, il benessere indivi-

duale si fonda proprio sull’ampiezza della nostra vita affettiva. L’importante è sempre distinguere

tra il provare un’emozione e la sua manifestazione esteriore: la prima componente è sempre e

comunque un fatto positivo; la seconda componente, invece, richiede al ragazzo la capacità di auto-

regolazione.

Si considera di effettuare otto gruppi d’incontro (uno al mese di almeno 2 ore) e di visionare

otto film; per poter svolgere il lavoro quindi, si prevede l’impiego di almeno trentadue ore

nell’intero anno scolastico, oltre ai vari interventi in compresenza con l'insegnante di Italiano

utilizzando le relative schede tratte dalla “Dispensa del Progetto” che a sua volta è formata

da fotocopie di capitoli di vari testi della Erickson:

Disegnare le emozioni: “I quattro sentimenti”; Educare le life skill (cap. 7-8-9, da p. 133 a p. 164);

Educazione sessuale e relazionale affettiva: C 2 scheda A-C-D-E-F- / C12 / C13 / C14 / C15 (da

p. 155 fino a p. 274).

Educare all’altruismo: scheda 24-25 perché faccio così? Scheda 27-28 - aiuto o non aiuto?

SEGUONO: descrizione di esempi di schede di lavoro da utilizzare per le varie unità didattiche (fra le qua-

li ne vanno scelte sei perché la prima del primo incontro è d’introduzione all’intero lavoro ed è tratta dal

libro Disegnare le emozioni “I quattro sentimenti” ved. fotocopie allegate) ed è composta da tre pagine sulle

quali disegnare 4 emozioni primarie. Vi sono anche numerose indicazioni ed esempi sui procedimenti da a-

dottare per il raggiungimento dei vari obiettivi, tratti da “Educare le life skills”, “Educare all’altruismo” e da

“Educazione sessuale e relazionale-affettiva” con relative proposte di schede.

11

SCHEDA 1

I tre volti delle emozioni

Obiettivo: promuovere negli allievi la consapevolezza delle diverse componenti

dell’esperienza emozionale.

Presentazione: l’esperienza emotiva si compone essenzialmente di tre aspetti: le modifi-

cazioni corporee, le risposte comportamentali e le modalità cognitive. Diventare consapevole

del ruolo di ciascuna di queste componenti nelle varie emozioni sperimentate quotidianamen-

te costituisce il primo passo verso una maggiore autoregolazione emotiva.

Modalità Individuale con discussione di gruppo.

Procedura: ogni allievo riceve una copia della scheda seguente, che deve essere compi-

lata in base al tipo di emozione segnalata dall’insegnante.

Discussione: durante la discussione finale è consigliabile soprattutto concentrare

l’attenzione sulle emozioni che sono risultate maggiormente difficoltose da analizzare in ba-

se ai tre parametri prima ricordati.

Accorgimenti: può essere chiesto di mimare le varie parti del corpo, piuttosto che limi-

tarsi a scriverle.

Cosa succede quando mi sento ......................................

Pensa all’ultima volta in cui ti sei sentito triste (oppure arrabbiato, felice, spaventato, ecc.).

Adesso prova a scrivere cosa è successo al tuo corpo, ai tuoi pensieri ed al tuo comportamen-

to.

Quali sensazioni hai avvertito nel corpo?

Quali pensieri ti sono venuti in mente?

Come ti sei comportato?

Quante volte ti capita di sentirti triste (oppure arrabbiato, felice, spaventato ecc.)?

MAI TALVOLTA SPESSO SEMPRE

12

SCHEDA 2

Gli oggetti emotivi

Obiettivo: favorire la consapevolezza delle nostre risposte emotive all’ambiente.

Presentazione: le emozioni si manifestano generalmente all’interno di un ambiente, che

contribuisce alla loro genesi. Spesso, anzi, singoli oggetti si legano a specifiche emozioni,

agendo come fattori scatenanti delle stesse. Si pensi ad esempio alle paure che sviluppiamo

nei confronti di particolari stimoli.

Modalità: individuale con discussione di gruppo.

Procedura: l’insegnante invita gli allievi a portare a scuola degli oggetti personali (una

fotografia, un giocattolo, una canzone, una poesia, un libro, ecc.) per loro particolarmente si-

gnificativi. Quindi, ciascun allievo dovrà scrivere i sentimenti associati a ogni oggetto: ad e-

sempio, una foto del passato suscita tristezza, un gioco provoca felicità ecc. Infine, si do-

vranno indicare le sensazioni corporee tipiche delle emozioni riportate.

Discussione: durante la discussione di gruppo, l’insegnante deve richiamare l’attenzione

dei ragazzi soprattutto su due punti. In primo luogo, sottolineare che moltissimi oggetti di vi-

ta quotidiana si legano alle nostre emozione, elicitandole anche senza che noi ci accorgiamo

di quanto avviene. Questo perché il nostro sistema emotivo è predisposto a reagire

all’ambiente continuamente, con o senza la nostra consapevolezza. Il secondo elemento da

evidenziare riguarda le differenze individuali nel modo di rispondere emotivamente agli sti-

moli ambientali. Ad esempio, la foto di una persona scomparsa può suscitare tristezza in un

allievo, tenerezza in un altro e forse paura in un terzo. Questa riflessione aiuta i ragazzi a

riconoscere e ad apprezzare le diversità.

Accorgimenti: l’insegnante dovrà sempre valutare il clima del gruppo, prima di ricorrere

a questa attività che implica una certa esposizione individuale.

13

SCHEDA 3

I quattro cantoni

Obiettivo: modellare negli allievi l’ascolto attivo tramite abilità di parafrasi.

Presentazione: si tratta di una variante dell’attività precedente, con un elemento di diffi-

coltà in più. Stavolta, infatti, gli allievi devono usare la parafrasi per riassumere quanto detto

da un compagno che ha un’opinione diversa dalla loro rispetto a un argomento.

Modalità: gruppo.

Procedura: l’insegnante presenta agli allievi una situazione problematica, tratta da fatti

di cronaca o anche da qualche spunto curricolare (per esempio avvenimenti storici). Quindi

illustra quattro possibili soluzioni e chiede agli allievi di optare, individualmente, per una di

esse. A questo punto, i ragazzi dovranno recarsi in uno dei quattro angoli dell’aula, contras-

segnati ciascuno da una delle quattro soluzioni proposte. A turno, ciascun allievo dovrà spie-

gare brevemente le ragioni della sua scelta, mentre un compagno all’angolo opposto dovrà

fornire un feedback attraverso una parafrasi.

Discussione: in questo caso, è opportuno sottolineare soprattutto l’utilità dell’ascolto atti-

vo per comprendere chi ha una posizione diversa dalla nostra.

Accorgimenti: nel caso si svolga questo esercizio con bambini più piccoli, la procedura

può essere adattata prevedendo la scelta tra semplici opzioni, per esempio tra quattro animali.

14

SCHEDA 4

Le parole silenziose

Obiettivo Aiutare gli allievi a riflettere sulle funzioni comunicative del silenzio in uno

scambio relazionale.

Presentazione Spesso, lo scambio comunicativo viene identificato solamente con le pa-

role scambiate dai due interlocutori. Viceversa, anche le pause silenziose possono contenere

informazioni molto importanti sullo stato emotivo e sulle intenzioni altrui. Questa attività,

allora, vuole aiutare gli allievi a comprendere i numerosi messaggi “in codice” che possono

celarsi dietro l’atteggiamento silenzioso dell’altro.

Modalità In gruppo.

Procedura È consigliabile la videoregistrazione del dialogo di due ragazzi, impegnati a

discutere di un evento emotivamente rilevante (per esempio, un’aggressione subita, la paura

di un esame ecc.). Quindi, la classe è invitata ad osservare il filmato e a individuare i silenzi

intercorsi tra i due interlocutori,

pensando a tutte le possibili motivazioni che potrebbero essere all’origine di quelle pause.

Discussione Gli allievi presentano e discutono le motivazioni che ritengono fossero alla

base dei silenzi osservati. Il compito dell’insegnante sarà soprattutto quello di evidenziare le

molteplici ragioni individuate dai ragazzi.

Accorgimenti Al fine di facilitare la riflessione sulle motivazioni delle pause di silenzio,

l’insegnante può presentare alcuni esempi. Compito degli allievi sarà in questo caso quello di

scegliere, nella lista fornita dall’adulto, la motivazione che sembra spiegare i singoli silenzi.

In questo modo, l’insegnante potrà verificare il livello di concordanza tra allievi.

Comprendere il silenzio. Un altro modo per dire…

Sono spaventato

Ho troppa paura di parlare con te

Mi sento in imbarazzo

Sono confuso

Sto pensando

Non mi sei simpatico

Temo di apparire debole se parlo con te

Non ho capito cosa hai detto

Non so cosa vuoi che ti dica

Ho paura di qualche conseguenza

Ho paura di sembrarti stupido

Non ho nulla da dire

Non so come dirlo

………………………………..

15

SCHEDA 5

Un esempio di attività in integrazione con il lavoro curricolare

Obiettivo: potenziare negli allievi la capacità di riconoscimento mimico.

Presentazione: in questo caso, si cerca di creare un collegamento con materie disciplinari

come la storia o lo studio della letteratura.

Modalità: in coppia con a seguire discussione generale in gruppo.

Procedura: ogni allievo è invitato a raccogliere tre brevi episodi a forte valenza emotiva,

tratti da brani di letteratura o da fatti storici. Quindi, i ragazzi vengono divisi in coppie e cia-

scuno di essi riferisce all’altro quali episodi ha scelto. Il primo membro di ciascuna coppia

deve quindi rappresentare, con la sola mimica facciale, lo stato emotivo del protagonista di

uno dei tre episodi raccolti. Il compagno deve osservare, riconoscere l’emozione mimata e

provare a indovinare a quale episodio si riferisca. Quindi, i ragazzi si invertono i ruoli.

Discussione: l’obiettivo della discussione è quello di riflettere su espressioni mimiche

sempre più sfumate e complesse.

Accorgimenti: inizialmente, è consigliabile che i ragazzi scelgano episodi di segno emo-

tivo nettamente diverso: ad esempio, tristezza, collera e felicità. Con il tempo, potranno uti-

lizzare avvenimenti di valenza emotiva sempre più sfumata: ad esempio, collera, irritazione e

disagio. In questo modo l’acuità percettivo-mimica viene esercitata su compiti progressiva-

mente più sfidanti.

16

SCHEDA 6

Il simbolo

Obiettivo Sviluppare negli allievi la capacità di osservazione del linguaggio del corpo.

Presentazione Anche questa attività si basa sul rispecchiamento. In questo caso, però, è

compito degli allievi individuare tutti gli episodi di rispecchiamento corporeo.

Modalità Individuale con discussione finale.

Procedura La procedura è simile all’attività precedente. I ragazzi, a coppie, devono parlare

di un argomento a loro scelta. L’unica differenza è che questa volta un allievo dovrà osserva-

re e rilevare gli episodi di rispecchiamento messi in atto dai suoi compagni.

Discussione La discussione verterà soprattutto sulla difficoltà a individuare gli episodi di ri-

specchiamento e quindi sulla necessità di un’osservazione particolarmente attenta e analitica.

Accorgimenti È prevista una variante di questa attività. All’allievo che agisce da osservatore

vengono consegnati una serie di foglietti “simbolo”, sui quali sono riportate diverse modalità

di rispecchiamento (cfr. la tabella). Quando l’allievo individua una di queste forme, deve

consegnare il simbolo al ragazzo che l’ha manifestata. A questo punto, quest’ultimo prenderà

in mano i foglietti restanti e agirà da osservatore. Di cambio in cambio, l’attività prosegue

finché non sono stati esauriti tutti i foglietti.

Tabella

I simboli: modalità di rispecchiamento

Rispecchiamento di gesti

Rispecchiamento di sorrisi

Rispecchiamento della postura

Rispecchiamento del tono di voce

Rispecchiamento della mimica facciale

Rispecchiamento dello sguardo

Rispecchiamento della velocità d’eloquio

Rispecchiamento dei movimenti corporei

17

SCHEDA 7

Il domino delle emozioni

Obiettivo Far esercitare gli allievi nella comprensione di catene emotive.

Presentazione Le emozioni si collegano tra di loro in maniera spesso incomprensibile. Tut-

tavia, se analizzassimo in maniera approfondita la situazione, potremmo comprendere perché

si verificano determinati pattern emotivi. La presente attività ha come obiettivo proprio quel-

lo di stimolare negli allievi un pensiero creativo e flessibile, capace di comprendere esperien-

ze emotive molteplici e complesse.

Modalità Gruppo.

Procedura In primo luogo, vengono create delle tessere simili a quelle del domino, nelle

quali però, al posto dei puntini, compaiono nomi di emozioni. A turno, ciascun allievo deve

porre una tessera in prosecuzione della precedente, in modo che combacino due estremi di

tessera con la stessa emozione. Ovviamente sulla nuova tessera posta dall’allievo comparirà

anche un secondo stato emotivo. Compito del ragazzo sarà quello di spiegare come sia possi-

bile passare dalla prima alla seconda emozione (cfr. l’esempio

riportato di seguito).

Discussione La discussione sarà finalizzata a evidenziare come le emozioni possono asso-

ciarsi tra di loro secondo combinazioni pressoché infinite. Proprio questa enorme possibilità

di assemblaggio emotivo spiega la ricchezza della vita emotiva, nonché le differenze indivi-

duali.

Accorgimenti Nella creazione delle tessere, potranno essere utilizzate le emozioni di base e

anche le emozioni sociali.

Esempio (questo lavoro di comprensione dei pattern emotivi può trovare un interessante col-

legamento anche con il lavoro disciplinare. Ad esempio, è possibile proporre agli allievi la

creazione di una storia.)

Paura Paura Colpa

Colpa Felicità Felicità Orgoglio

Collera

18

SCHEDA 8

L’iceberg delle emozioni

Obiettivo Sviluppare negli allievi la consapevolezza del proprio stile emotivo.

Presentazione Un aspetto molto importante della nostra vita emotiva riguarda il livello di

controllo che esercitiamo sulle emozioni provate. In alcuni casi, infatti, tendiamo a manife-

stare i nostri stati affettivi, mentre in altre situazioni cerchiamo di controllarli e nasconderli.

Pertanto, in un percorso di alfabetizzazione emotiva, è importante riflettere su alcune do-

mande: quali emozioni tendiamo a mostrare all’esterno? E quali invece preferiamo inibire?

In questo modo, è possibile sviluppare una maggiore comprensione del proprio stile emotivo.

Modalità Individuale con discussione di gruppo finale.

Procedura A ciascun allievo viene consegnato un “iceberg” (figura A). Nella parte che

emerge dall’acqua, il ragazzo deve indicare le emozioni che generalmente manifesta, mentre

nella parte dell’iceberg sotto il livello dell’acqua deve registrare i sentimenti che preferisce

nascondere. Per facilitare il compito, può essere prevista una versione della figura nella quale

sono già indicate una serie di emozioni (figura B a pag. 2). L’allievo, con una linea, deve col-

legare ciascuno stato emotivo alla parte superiore o inferiore dell’iceberg.

Discussione Nella discussione finale è consigliabile riflettere soprattutto su due aspetti.

Da un lato, confrontare le risposte dei vari allievi, al fine di individuare eventuali somiglian-

ze o differenze. Dall’altro lato, interrogarsi se sia davvero funzionale inibire alcune emozio-

ni, invece di cercare una loro manifestazione adeguata alle circostanze.

Accorgimenti Questa attività permette all’insegnante di valutare in che misura l’allievo è

consapevole del suo stile emotivo. Così, potrebbe essere registrata una discrepanza tra le in-

dicazioni fornite dall’allievo con l’iceberg (dove ad esempio la collera è inserita nella parte

sotto l’acqua) ed il suo comportamento quotidiano (caratterizzato dal frequente prorompere

di emozioni di rabbia).

Figura A

L’iceberg delle emozioni

Figura B

19

L’iceberg delle emozioni

Rabbia

Felicità

Paura

Tristezza

Sorpresa

Imbarazzo

Vergogna

20

SCHEDA 9

Cosa... quando

Obiettivo Promuovere negli allievi la consapevolezza dei propri pattern emozione-

comportamento.

Presentazione Ciascuno di noi, in situazioni altamente emotigene, manifesta specifiche

risposte comportamentali, che tendono a stabilizzarsi nel corso del tempo. Riconoscere questi

pattern emozione-comportamento determina una maggiore possibilità di riconoscere e di

modificare le reazioni disfunzionali.

Modalità Individuale con discussione di gruppo.

Procedura Ogni allievo riceve una copia della scheda riportata di seguito. A ciascuna si-

tuazione emotigena indicata deve essere collegata la risposta comportamentale considerata

maggiormente adeguata.

Discussione L’insegnante aiuta gli allievi a riflettere soprattutto su quei comportamenti

che, invece di permettere una modulazione dell’emozione, determinano un’ escalationnegati-

va.

Accorgimenti Le situazioni emotigene devono essere adattate all’età degli allievi coin-

volti.

21

SCHEDA 10

Le materie scolastiche

Obiettivo Comprendere il rapporto tra compiti d’apprendimento, emozioni e comporta-

menti.

Presentazione Le materie scolastiche possono rappresentare degli stimoli emotigeni sot-

tili ma potenti. Ad esempio, affermazioni come “non mi sento portato per la matematica” so-

no spesso sostenute da stati emotivi di disagio e di ansia nei confronti di una materia (o

dall’insegnante) avvertita(o) come minacciosa(o) per la propria autostima.

Allora, piuttosto che affrontare il rischio dell’insuccesso, si preferisce appellarsi a una ca-

rente dotazione innata per quel tipo di compiti.

Modalità In coppia con discussione di gruppo finale.

Procedura Viene scritta sulla lavagna una lista di compiti scolastici. Quindi, gli allievi

vengono divisi in coppie. Un membro di ciascuna coppia legge la prima materia scritta e as-

sume i comportamenti che ritiene tipici di un allievo che si sente sicuro, oppure inadeguato,

in quell’ambito d’apprendimento. L’altro componente della coppia deve osservare attenta-

mente il comportamento del compagno e provare a riflettere su quali emozioni possano es-

serci alla base. Dopo essersi confrontati, i due allievi si scambiano i ruoli e si prosegue con le

materie successive.

Discussione Durante la discussione finale, gli allievi riflettono sui comportamenti emoti-

vi di fronte alle diverse materie e su come questi possano ostacolare, ovvero facilitare, i

compiti d’apprendimento.

Accorgimenti Soprattutto con bambini di più giovane età è preferibile indicare concrete

situazioni d’apprendimento (per esempio risolvere un’addizione o studiare un brano di storia)

piuttosto che materie generali (matematica, storia ecc.).

22

Due attività per insegnare il rilassamento

SCHEDA 11

Il rilassamento muscolare

Obiettivo: favorire negli allievi il rilassamento di diversi distretti muscolari.

Presentazione: sarebbe opportuno in questa occasione precisare che non esiste un unico

metodo per rilassarsi, valido sempre e con tutti. Ciascuno di noi può trovare la strategia più

idonea alle proprie caratteristiche. Tuttavia, soprattutto se intendiamo utilizzare questo stru-

mento in ambito scolastico, dobbiamo ricorrere ad una procedura possibilmente rapida e leg-

gera (training autogeno: automassaggio guidato dalla voce dell’insegnante con gli allievi di-

stesi a terra su un tappetino ad occhi chiusi con una musica rilassante di sottofondo).

Modalità: individuale con discussione di gruppo.

Procedura: si sceglie un ambiente tranquillo, in cui sono ridotte le fonti di disturbo. Ci si

può sdraiare per terra su un materassino o anche sedere su una sedia comoda. Quindi si pro-

cede a contrarre in sequenza singoli distretti muscolari, si mantiene questa tensione per circa

5 secondi e poi si rilascia il muscolo. Ogni gruppo di muscoli viene contratto due volte, poi si

passa a un’altra zona. L’intera procedura dura circa 15 minuti.

Discussione: durante la discussione dell’attività, l’insegnante deve richiamare

l’attenzione dei ragazzi sul fatto che è importante concentrarsi sulle sensazioni corporee as-

sociate a questa combinazione “contrazione/rilassamento”.

Accorgimenti: nel caso di bambini più piccoli, la procedura può assumere un carattere

fortemente ludico, con frequenti distrazioni. Questa evenienza non deve preoccupare, né in-

durre l’insegnante a desistere dall’esercizio. Infatti, nonostante i bambini possano ridere,

scherzare ecc., comunque iniziano a prendere confidenza e ad ascoltare il proprio corpo. Con

il tempo impareranno a prestare una maggiore attenzione.

23

SCHEDA 12

L’immagine positiva

Obiettivo: favorire negli allievi l’insorgenza di stati emotivi di segno rilassante e positi-

vo.

Presentazione: lo studio delle immagini mentali e del loro impatto sulla nostra vita psi-

chica ha una lunga storia. Abbiamo già accennato al fatto che un’immagine mentale può pro-

durre emozioni intense al pari di stimoli esterni.

Modalità: individuale con discussione di gruppo.

Procedura: l’insegnante invita gli allievi a chiudere gli occhi e a immaginare una scena

particolarmente rilassante (per esempio l’immagine di un luogo visitato in passato). Dopodi-

ché, bisogna ricostruire mentalmente tutti i dettagli della scena: i suoni, gli odori, le sensa-

zioni provate ecc. A questo punto, gli allievi vengono istruiti a richiamare alla mente

l’immagine, ogni volta che sentono l’insorgenza di un’emozione particolarmente disagevole.

Inizialmente, possono essere create delle situazioni simulate in aula, prima di sperimentare

questa tecnica dal vivo.

Discussione: l’insegnante deve insistere sulla necessità di costruire quanto più precisa-

mente possibile la scena mentale.

Accorgimenti: l’efficacia della tecnica dipende dalla capacità di individuare precocemen-

te il prorompere di un’emozione. Infatti, se l’attivazione emotiva diviene troppo intensa, il

soggetto non riuscirà a concentrarsi sull’immagine mentale, ma rimarrà bloccato sugli stimoli

che hanno prodotto l’emozione disagevole.