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Istituto Tecnico Industriale “A. Malignani” Specializzazione in Costruzioni Aeronautiche Tesi di Maturità in PROBLEMATICHE DEL VOLO “Problematiche del volo in condizioni di formazione di ghiaccio” Preparato da: Alan Filaferro ANNO SCOLASTICO 2002-2003 1

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Istituto Tecnico Industriale “A. Malignani”

Specializzazione in Costruzioni Aeronautiche

Tesi di Maturità

in PROBLEMATICHE DEL VOLO

“Problematiche del volo

in condizioni di formazione di ghiaccio”

Preparato da:

Alan Filaferro

ANNO SCOLASTICO 2002-2003

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INDICE

1) INTRODUZIONE 4 2) METEOROLOGIA 5

2.1) Premessa 5 2.2) Caratteristiche generali della pioggia sopraffusa 6 2.3) Condizioni meteorologiche favorevoli alla formazione di ghiaccio 7

2.3.1) Fronti 7

2.3.2) Cicloni 8

2.4) Considerazioni 9

2.5) Indice di severità del ghiaccio 10 3) FISICA DELL’ACCRESCIMENTO GHIACCIO 13

3.1) Tipi di ghiaccio 15

3.1.1) Ghiaccio ‘rime’ o brinoso 15

3.1.2) Ghiaccio vetrone o vetroso 16

3.1.3) Ghiaccio misto 18 4) EFFETTI DEL GHIACCIO SUI VELIVOLI 19

4.1) Bordo d’attacco delle superfici portanti 19

4.1.1) Effetti del ghiaccio sulle prestazioni del profilo 19

4.1.2) Effetti del ghiaccio sulle caratteristiche di manovrabilità 22

4.1.3) Stallo del piano orizzontale di coda (ICTS) 22 4.1.4) Instabilità laterale (Icing Contamined Roll Upset – ICRU) 25

4.2) Prese d’aria dei motori 25 4.3) Ghiaccio al carburatore 26

4.4) Ghiaccio sull’elica 27 4.4.1) Sistema di protezione non funzionante 28

4.4.2) Condizioni di ghiaccio “severe” 28

4.4.3) Quote molto alte 28

4.5) Ghiaccio sulle antenne e sonde strumentali 28

4.5.1) Ghiaccio sulle antenne 28

4.5.2) Ghiaccio al tubo di pitot 29

4.5.3) Ghiaccio alla sonda EPR 29

4.5.4) Ghiaccio sulle alette indicatrici di incidenza 30

4.6) Contaminazione del parabrezza 30

4.7) Formazione di ghiaccio al suolo 31

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5) PROTEZIONE DAL GHIACCIO 35

5.1) Sistemi di sghiacciamento (de-ice) 35

5.1.1) Sacche pneumatiche 36

5.1.2) Spillamento di aria calda dai compressori dei propulsori 37

5.2) Sistemi antighiaccio (anti-ice) 38

5.2.1) Bordo d’attacco, ipersostentatori e antenne 39

5.2.2) L’impianto antighiaccio motore 41

5.2.3) Il parabrezza 42

5.2.4) I carburatori 42

5.2.5) Resistenze elettriche 42 6) ALCUNI TIPICI INCIDENTI AERONAUTICI 43

6.1) 1 Dicembre 1974; B-727 presso Thiells, New York (USA):

ghiaccio alle sonde strumentali 44

6.1.1) Gli insegnamenti principali 45

6.2) 9 Gennaio 1997; Embraer -120RT (USA):

mancato utilizzo dei “boots” pneumatici 45

6.2.1) Gli insegnamenti principali 46

6.3) 11 Novembre 1998; Saab 340A presso Melbourne (Australia):

stallo per ghiaccio sulle ali 47

6.3.1) Gli insegnamenti principali 48 7) SVILUPPI TECNOLOGICI 48 8) CONCLUSIONI 50 9) RINGRAZIAMENTI 51 10) BIBLIOGRAFIA 52

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INTRODUZIONE

Questa relazione è nata allo scopo di dare a tutti (studenti, ingegneri aeronautici ecc.) una

visione d’insieme sulle ipotesi che portano alla formazione di ghiaccio su un velivolo.

Nonostante gli sviluppi tecnologici ed i progressi nelle tecniche di previsione

meteorologiche le operazioni di volo a bassa temperatura continuano a rappresentare un

problema critico per i piloti e per tutti coloro che sono coinvolti nelle problematiche della

sicurezza del volo. I pericoli del volo in atmosfera fredda ed umida erano noti fin dagli albori

dello sviluppo dell’aeronautica, infatti lo stesso Linderbergh rischiò di fallire il suo primo volo

transoceanico nel 1927 a causa dell’accumulo di ghiaccio sul suo ‘Spirit of San Louis ’.

Non solo i problemi di formazione di ghiaccio non sono stati ancora risolti, ma negli ultimi

anni c’è stato un aumento d’interesse sulla problematica. Infatti ci si aspetta che il numero di

utenti del trasporto aereo raddoppi nei prossimi venti anni e ciò, secondo le previsioni,

implicherà un aumento dell’esposizione alle condizioni ghiaccianti; questo è confermato in

quanto è previsto un particolare sviluppo dell’aviazione regionale (sia turboelica che

turboreattore), e questa categoria di velivoli è, infatti, più esposta alle condizioni atmosferiche

ostili (altitudine di volo più basse, meno potenza disponibile per i sistemi di protezione dal

ghiaccio).

Tutti coloro che sono coinvolti nel miglioramento della sicurezza del volo (enti certificanti,

fabbricanti ed operatori) si adoperano a tale scopo, ciononostante tragici incidenti negli anni

recenti hanno mostrato che questi sforzi non sono sufficienti.

Le problematiche principali affrontate in questa relazione sono:

• condizioni meteorologiche favorevoli alla formazione di ghiaccio

• fisica dell’accrescimento del ghiaccio

• effetti del ghiaccio sull’aerodinamica del velivolo

All’interno di questa ricerca ci si è anche soffermati sui sistemi di identificazione e di

protezione ghiaccio, ed a tal fine sono stati illustrati esempi completi di tali sistemi.

A titolo di esempio, infine, è riportata la descrizione di alcuni incidenti in condizioni di

formazione di ghiaccio.

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METEOROLOGIA

2.1) Premessa

Affinché si verifichi un accumulo di ghiaccio sulle superfici di un velivolo è necessaria la

presenza di nuvole (umidità visibile) a basse temperature. Le formazioni di ghiaccio sui

velivoli sono causate da gocce d’acqua liquida sopraffuse che solidificano dopo l’impatto

contro le superfici esterne. Le gocce d’acqua sopraffuse sono gocce d’acqua che rimangono

allo stato liquido anche a temperature al di sotto della temperatura di congelamento 0 °C. Le

nuvole possono contenere anche particelle di ghiaccio, ma poiché quest’ultime non aderiscono

facilmente alla superficie del velivolo, esse non rappresentano un vero pericolo per il volo.

Le nuvole sono formate da acqua e/o cristalli di ghiaccio che si formano quando

l’atmosfera é satura. Al fine di capire questo fenomeno è importante chiarire che, al contrario

di quello che si immagina comunemente, l’acqua non congela necessariamente a 0 °C. Le

gocce d’acqua possono diventare sopraffuse persistendo a temperature ben al di sotto di 0 °C.

Una goccia di acqua sopraffusa deve venire in contatto con una piccola particella solida,

chiamata nucleo, per congelare. La capacità di questi nuclei di causare la solidificazione della

goccia d’acqua dipende dalla temperatura. A temperature più calde, al di sopra di -12/-15 °C,

esistono solo pochi nuclei attivi e conseguentemente le nuvole sono principalmente formate da

gocce liquide e da pochi cristalli di ghiaccio. In queste condizioni il pericolo di formazione

ghiaccio sul velivolo é molto alto. Quando la temperatura si avvicina a -40 °C, i nuclei non

sono più necessari per il congelamento in quanto a queste temperature le gocce d’acqua

solidificano spontaneamente. Quanto detto è illustrato in figura 2.1 dove è riportata la

percentuale di nuvole senza cristalli di ghiaccio (nuvole liquide) in funzione della temperatura

ambiente.

Fig. 2.1) Frequenza dei cristalli di ghiaccio

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2.2 Caratteristiche generali della pioggia sopraffusa

Il vapore d’acqua presente nell’atmosfera può diventare, grazie anche alle basse

temperature, saturo e condensare; il vapore condensato in acqua si raccoglie in gocce con

diametri molto variabili: si può andare da diametri dell’ordine del micron a diametri

dell’ordine del millimetro. A tal proposito le goccioline d’acqua si distinguono in:

droplets, con diametri inferiori ai 100 µ (con una media di 10 µ);

raindrops, con diametri superiori ai 100 µ (con una media di 1000 µ = 1 mm).

Le goccioline d’acqua tendono comunque a cadere, ma nell’interno della nube vi possono

essere correnti ascendenti più o meno intense a seconda del tipo di nube; in queste condizioni

le gocce più leggere possono salire e le più pesanti cadere: questo provoca uno scontro tra le

varie gocce e per un fenomeno di coalescenza1 le gocce si uniscono formando gocce più

grandi. Attraverso questo meccanismo si ha la caduta di pioggia al di sotto della nube. Da

densità di acqua inferiore ai 0.1 g/m3 in nube si sale a valori molto maggiori al di sotto di

questa.

Il fenomeno è fortemente dinamico con continua evaporazione e ricondensazione per

effetto delle variazioni di temperatura e pressione che si hanno al variare della quota e degli

scambi di calore dovuti ai passaggi di stato.

Per temperature tra –5 e –15 °C si ha, per esempio, congelamento delle droplets che però

successivamente, cadendo, ripassano allo stato liquido.

La preoccupazione, per un velivolo che passa in una regione di alta umidità con

condensazione e formazione di ghiaccio, è nel fatto che questa zona di transizione con

presenza di quantità non trascurabili di gocce in equilibrio molto instabile2, ancora cioè allo

stato liquido anche se la temperatura è al di sotto di 0°C; in pratica è possibile trovare

raindrops in condizione instabile non congelate in un campo di temperatura dai –40 ai 0 °C e

droplets dai –10 ai 0 °C.

L’equilibrio instabile in cui si trovano le gocce sopraffuse viene rotto quando le gocce

stesse entrano in urto con un corpo solido, al quale aderiscono in conseguenza della loro

immediata solidificazione.

1 Nella collisione le gocce più grandi catturano una certa percentuale (“coalescenza”) delle gocce urtate. La coalescenza è tanto più elevata quanto più grandi sono il contenuto in acqua della nube e le velocità verticali ascendenti. 2 L’equilibrio molto instabile delle goccioline sopraffuse è permesso dalla tensione superficiale della pellicola d’acqua che avvolge ogni goccia. Poiché la tensione superficiale è tanto maggiore quanto minore è il diametro della goccia, accade che quelle più grosse possono rimanere in stato di sopraffusione solo a temperature di poco inferiori allo zero, mentre quelle più piccole possono trovarsi allo stato liquido anche a temperature di –20°C.

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2.3) Condizioni meteorologiche favorevoli alla formazione di ghiaccio

Il ghiaccio sui velivoli si forma frequentemente in quelle zone dove la convezione è molto

intensa, come ad esempio in presenza di fronti freddi, caldi, occlusi oppure cicloni.

2.3.1) Fronti

I fronti sono generati dall’interferenza tra aria fredda e calda. Un fronte freddo (Fig. 2.2),

normalmente rappresentato da una linea con simboli triangolari che indicano la direzione di

avanzamento del fronte, é causato da aria fredda che avanza contro una massa di aria più calda.

A causa del movimento dell’aria fredda, l’aria calda è sollevata sull’aria fredda causando la

formazione di nuvole nell’area del fronte. Quindi, il volo in una direzione perpendicolare al

fronte sarà meno pericoloso del volo parallelo alla direzione del fronte.

Fig. 2.2) Fronte freddo

In un fronte caldo (Fig. 2.3), l’aria calda é sollevata sull’aria fredda su di una regione molto

estesa. in queste condizioni sia il volo perpendicolare al fronte che parallelo al fronte possono

rappresentare un pericolo significativo per quanto riguarda la formazione di ghiaccio. Per

evitare il ghiaccio, l’unico modo possibile é volare sopra o sotto lo strato di nuvole o ad

un’altitudine a temperatura sopra la temperatura di congelamento. Per questo motivo è

indispensabile conoscere la quota di congelamento.

Fig. 2.3) Fronte caldo

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Nel processo di occlusione, un fronte freddo si sovrappone ad un fronte caldo formando un

fronte occluso che combina gli aspetti del fronte caldo e del fronte freddo.

Il fronte occluso freddo si forma quando l’aria fredda, che la segue, è più densa di quella

che precede il fronte caldo. Quando il fronte freddo raggiunge quello caldo lo solleva assieme

alle masse che lo precedono, per cui si osservano un freddo al suolo e uno caldo in quota, al

seguito del primo.

Il fronte occluso caldo si forma quando il fronte freddo trascina al suo seguito aria fredda

Fig. 2.4) Fronte occluso

meno densa di quella spinta dal fronte caldo; quando il fronte freddo raggiunge quest’ultimo lo

sormonta, cosicché al suolo resta il fronte caldo mentre quello freddo si ritrova in quota,

innanzi a quello caldo.

I fronti occlusi, sia caldo che freddo, sono associati con estese zone di nuvole, acquazzoni e

temporali. Quindi rappresentano un pericolo significativo per il volo sia in direzione

perpendicolare che parallela al fronte.

2.3.2) Cicloni

Warm

sectorElevated freezing level

Icing conditions in isolated thunderstorm

and convective clouds

Overrunning sectorMultiple freezing level

Icing conditions in stratiform cloudsSLD possible

Cold

adve

ction

secto

r

Icin

g ha

zard

conf

ined

to th

e low

altit

ude a

rea

Fig. 2.5) Ciclone

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La circolazione ciclonica (Fig. 2.5) genera convergenza di area vicino al centro di un

sistema di bassa pressione, così causando sollevamenti di area e formazione di nuvole. Le aree

cicloniche sono caratterizzati sia da fronti freddi che da fronti caldi e sono così estese nel

tempo e nello spazio che rappresentano un pericolo importante per l’aviazione.

Tre aree possono essere identificate in un ciclone:

I. il settore caldo

II. il settore ‘overrunning’

III. il settore freddo

I.) Settore caldo

Il settore caldo é usualmente dietro il fronte caldo ed avanti il fronte freddo. Esso è

caratterizzato principalmente da aria umida ed instabile con un livello di congelamento

elevato. Questo é il motivo per il quale il ghiaccio tende ad arrivare ad alte altitudine.

Usualmente le regioni potenziali di ghiaccio sono concentrate in temporali isolati e sparpagliati

ed in nuvole convettive, anche se un settore caldo può contenere nuvole stratiformi associate a

precipitazioni sostenute.

II.) Settore ‘Overrunning’

Questo secondo settore é usualmente avanti al settore caldo. Poiché esso è caratterizzato da

aria calda su di uno strato basso di aria fredda, potrebbe esserci un inversione termica e livelli

di congelamento multipli. Quindi, la precipitazione congelata può fondere e formare pioggia

congelante se le temperature sono sotto lo zero vicino al suolo. L’aria è stabile ed il ghiaccio

può essere trovato in nuvole stratiformi. L’inversione termica può causare la formazione di

SLD (gocce sopraffuse grosse).

III.) Il settore freddo avvettivo.

E’ caratterizzato da aria fredda bassa sotto aria più calda. Il pericolo ghiaccio è confinato

nelle zone di bassa altitudine.

2.4) Considerazioni

In conclusione, quindi, il ghiaccio sui velivoli si forma frequentemente in presenza di

nuvole convettive, cumuli e cumulonembi (CU/CB) dove l’accumulo di ghiaccio può essere

molto rapido. In queste nuvole lo strato ghiacciante può essere spesso diverse migliaia di piedi

e conseguentemente per evitare il ghiaccio potrebbe essere necessario un cambio importante di

altitudine. E’ meglio evitare di volare fra queste nuvole, o tornando indietro o cambiando rotta.

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Le figure 2.6, 2.7 e 2.8 mostrano alcuni esempi tipici di nuvole di cristalli e di gocce

d’acqua.

Il ghiaccio può essere presente anche in sottili strati di nuvole, specialmente in inverno.

Durante l’autunno, l’inverno e la primavera può formarsi frequentemente uno strato esteso di

stratocumuli (SC) appena sotto un’inversione termica, con temperature nella nuvola tra 0 e

2.6) Cumulus congestus 2.7) Cumulonimbus calvus precipitation 2.8) Cumuloninbus capillatus incus

-10 °C. Queste nuvole possono essere profonde mille, duemila piedi ed il ghiaccio può

accumularsi molto rapidamente. Questo tipo di formazione di ghiaccio può essere evitata

scendendo al di sotto dello strato nuvoloso, se c’è sufficiente altezza dal suolo, o salendo sopra

lo strato nuvoloso.

In caso di accumulo ghiaccio é molto difficile decidere quale sia la miglior strategia di

volo. Questa dipende dalle condizioni meteorologiche e dalle capacità del velivolo. Se il pilota

decide di volare sulle nuvole deve verificare che il peso del velivolo aumentato dal ghiaccio, le

prestazioni degradate dal ghiaccio e l’altezza della cima delle nuvole permettano questa

manovra. Il pilota può decidere di effettuare una discesa, ma in questo caso deve verificare che

non sia presente una classica situazione di pioggia congelante con inversione termica (in

questo caso un aumento di altitudine può risultare in un aumento di temperatura mentre una

diminuzione di altitudine può risultare in una diminuzione di temperatura e quindi in una

situazione di volo peggiore dal punto di vista della formazione del ghiaccio). I piloti

dovrebbero anche verificare che il terreno permetta una discesa.

Se un pilota decide di volare appena sopra la cima delle nuvole deve ricordare che la cima

delle nuvole può salire rapidamente é che la concentrazione di acqua é molto alta nella parte

alta delle nuvole.

2.5) Indice di severità del ghiaccio

Da quanto detto si capisce che gli elementi atmosferici che influenzano la formazione

ghiaccio sui velivoli sono: il contenuto d’acqua, la temperatura ed il diametro delle gocce.

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Il contenuto d’acqua delle nuvole (LWC) é la densità del liquido in una nuvola espresso in

grammi per metro cubo d’acqua (g/m3). LWC é importante per determinare quanta acqua é

disponibile per il ghiaccio. Anche se LWC tipicamente varia tra 0.3 e 0.6 g/m3, in nuvole

cumuliformi possono trovarsi valori fino a 1.7 g/m3 .

La temperatura influenza sia la severità che il tipo di ghiaccio. Usualmente il ghiaccio tende

a formarsi quando la temperature dell’aria è compresa tra 0 °C e -20 °C e l’unico limite fisico é

-40 °C perché a questa temperatura l’acqua può congelarsi anche in assenza di nuclei

ghiaccianti.

Normalmente le gocce hanno diametro inferiori a 50 micron anche se esistono gocce

grosse, da 50 a 500 micron (pioggia congelante, o pioggerella congelante). Queste gocce

grosse spesso sono definite come gocce soprafuse grosse (SLD) e rappresentano un pericolo

significativo in quanto nessun velivolo è stato progettato per volare in sicurezza in queste

condizioni. Il diametro delle gocce influenza la raccolta di ghiaccio sul velivolo: le gocce

piccole tendono a impattare l’ala vicino al bordo d’attacco mentre le gocce grosse tendono ad

impattare nella zona posteriore.

Tab 2.1) Parametri del ghiaccio Contenuto d’acqua liquida (LWC)

da 0. a 3 g/m3

Temperatura da +4 ÷ +5 a -40 °C Diametro delle gocce (MVD)

Normalmente da 0 a 50 micron, ma anche fino a 300-400 micron

E’ importante notare che l’indice di severità del ghiaccio usato dai piloti è diverso da quello

usato dai meteorologi. I Piloti, infatti, usano una classificazione basata sugli effetti del

ghiaccio sul velivolo.

Tab. 2.2) Classificazione dei piloti Categoria di ghiaccio

Traccia Il ghiaccio diventa percettibile e difficilmente può essere visto. Il rateo di accumulazione è leggermente più grande del rateo di sublimazione. Le tracce di ghiaccio non sono pericolose anche senza l’uso dei sistemi di protezione dal ghiaccio a meno che queste condizioni non sono incontrate per periodi molto lunghi (oltre un ora).

Leggero Il rateo di accumulazione del ghiaccio leggero può creare problemi in caso di esposizione prolungata in queste condizioni (oltre un ora). L’uso occasionale dei sistemi di protezione può rimuovere o prevenire la formazione di ghiaccio.

Moderato Il rateo di accumulazione di ghiaccio moderato é tale che anche un incontro di breve durata può essere potenzialmente pericoloso. L’uso dei sistemi di protezione o l’effettuazione di una diversione di rotta sono necessari.

Severo Il rateo di accumulazione é tale che il sistema di protezione non é capace di ridurre od eliminare l’accumulazione di ghiaccio. L’unica operazione possibile è effettuare una immediata diversione.

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Nota: In questo momento sono stati proposti cambiamenti sostanziali agli indici di severità.

Queste nuove proposte potrebbero sostituire i formati correnti che sono riportati nella tavola

precedente.

E’ chiaro che questo tipo di classificazione dipende dal velivolo. Nella stessa area un B747

può volare senza registrare alcuna accumulazione di ghiaccio (tracce), mentre un piccolo

velivolo di aviazione generale può registrare ghiaccio severo. Questa classificazione è diversa

da quella usata dai meteorologi riportata nella seguente tavola 2.3.

Tab. 2.3) Classificazione meteorologica

Categoria di ghiaccio LWC g/m3

tracce < 0.1

Leggero 0.11-0.6

Moderato 0.61-1.2

Severo >1.2

Nella tabella sottostante sono riportati i simboli utilizzati per identificare la severità del

ghiaccio. L’altitudine è riportata sulla destra del simbolo in centinaia di piedi. Il numero

superiore indica l’altezza massima mentre quello inferiore indica l’altezza minima.

Tab. 2.4) Simboli della severità del ghiaccio

180 100

Leggero

180 100

Moderato

180 100

Severo

12

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FISICA DELL’ACCRESCIMENTO GHIACCIO

L’accrescimento ghiaccio usualmente è causato dal congelamento di gocce d’acqua

sopraffusa che impattano sulla superficie del velivolo. Nella realtà le nuvole contengono gocce

d’acqua di vario diametro e tutte le gocce contribuiscono al fenomeno della formazione di

ghiaccio sui velivoli; in ogni caso, per meglio studiare il fenomeno dell’accrescimento

ghiaccio gli studiosi definiscono un valore medio del diametro delle gocce chiamato diametro

medio volumetrico (MVD), espresso in micron (µm). Una nuvola, con gocce tutte con lo

stesso diametro causerà un accrescimento ghiaccio uguale a quello causato da una nuvola

formata da gocce di vario diametro ma con diametro medio (MVD) pari al diametro delle

gocce della prima nuvola.

La forma del ghiaccio dipende dalla temperatura dell’aria, dal contenuto d’acqua, dalle

condizioni di volo, dalla durata dell’incontro e dalla geometria del velivolo. Le forme di

ghiaccio sono caratterizzate da:

• Estensione dell’area bagnata dalle gocce d’acqua;

• Forma ed estensione del ghiaccio;

• Costituzione del ghiaccio;

L’estensione della zona bagnata dalle gocce é individuata dalle traiettorie delle gocce d’acqua

immerse nel campo aerodinamico creato dal profilo. Infatti la zona bagnata è delimitata dalla

traiettoria tangente sulla parte superiore del profilo nel punto SU e quella tangente sulla parte

inferiore SL (Fig. 3.1).

Y

h

U

TU

TL

∆Y0

La traiettoria delle gocce, e conseguenteme

alle condizioni atmosferiche, alla velocità del

velivolo, ed al diametro delle gocce. Infatti le

molto influenzate dal campo aerodinamico e te

il profilo in zone vicino al punto di ristagno.

seguire una linea retta impattando su di una zon

1

SU

Fig. 3.1) Parametri che caratterizzano l’impatto delle gocce sul profilo

SL

nte l’estensione della zona bagnata sono legate

velivolo, all’angolo d’attacco, alla forma del

traiettorie di gocce di piccole dimensioni sono

ndono a seguire le linee di corrente impattando

Le traiettorie delle gocce più grosse tendono a

a più ampia del profilo.

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L’identificazione delle traiettorie tangenti permette di valutare la quantità d’acqua che

impatta sul profilo e che si trasforma in ghiaccio. Questa quantità è definita da un parametro

importante chiamato coefficiente di cattura d’acqua globale (E). E può essere calcolato come

∆Y0/ h ,dove h é l’altezza della sezione frontale del profilo e ∆Y0 la distanza tra TU e TL

misurata sufficientemente lontana dal profilo in una zona in cui si può assumere il flusso

indisturbato (TU è la traiettoria tangente alla parte superiore del profilo, mentre TL rappresenta

quella tangente alla parte inferiore).

Droplet t j t i20 microns

Droplet t j t i100 microns

streamlines

stagnation point

AIRFOIL NACA23012

AIRFOIL NACA23012 stagnation

point

ice

ice

a)

b) trajectories

Fig. 3.2-a) Traiettorie di gocce con diametro di 20 microns, profilo NACA 23012;

Fig.3.2-b) Traiettorie di gocce con diametro di 100 microns, profilo NACA 23012;

Il coefficiente di cattura dipende da tutte le variabili atmosferiche (eccetto il contenuto

d’acqua, LWC, e la temperatura), dalle caratteristiche del profilo, dalla velocità e dall’angolo

d’attacco. Aumenta di molto quando le dimensioni delle gocce aumentano e/o quando le

dimensioni del profilo diminuiscono. Inoltre aumenta leggermente quando la velocità o la

quota aumentano.

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Conoscendo E é possibile calcolare la portata d’acqua, m , che impatta sul profilo per unità

di apertura alare (con U

.

∞ si indica la velocità asintotica in [m⋅s-1]):

m. = LWC⋅E⋅U∞⋅h [g⋅m-1⋅s-1]

Aumentando l’esposizione del velivolo nella nuvola la massa totale d’acqua catturata dal

profilo aumenta.

Ovviamente in un range di temperature limitato vicino al livello di congelamento,

diminuendo la temperatura aumenta la quantità di acqua che si trasforma in ghiaccio. Al

disotto di una certa temperatura tutta l’acqua che impatta sul profilo diventa ghiaccio mentre al

disopra di una certa temperatura tutta l’acqua rimane in forma liquida. L’acqua che impatta

sul profilo può congelare immediatamente dopo l’impatto oppure scorrere sul profilo in forma

di film o rivoletti o gocce ed eventualmente congelare in una zona posteriore del profilo.

3.1) Tipi di ghiaccio

Le forme di ghiaccio sulle superfici dei velivoli dipendono da: condizioni atmosferiche,

velocità del velivolo, forma del profilo, angolo d’attacco. Al cambiare di questi parametri si

può passare da un regime d’accrescimento all’altro. I regimi d’accrescimento ghiaccio sono:

• ghiaccio ‘rime’, forma di ghiaccio opaca • ghiaccio vetrone, forma di ghiaccio trasparente e compatta • ghiaccio misto, presenza contemporanea di entrambe le forme di ghiaccio

3.1.1) Ghiaccio ‘rime’ o brinoso

Le gocce sopraffuse, congelando subito dopo l’impatto con la superficie del velivolo

causano la formazione di ghiaccio ‘rime’, o brinoso, che rimane confinato nella zona d’impatto

delle gocce. Il color latte e l’apparenza opaca di questo tipo di ghiaccio sono causate dall’aria

intrappolata tra le gocce d’acqua congelate. Il ghiaccio ‘rime’ si accumula molto rapidamente e

Fig. 3.3) Forma del ghiaccio ‘rime’

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crea delle forme di ghiaccio arrotondato nella zona del bordo d’attacco. Questo tipo di

ghiaccio si forma a temperature basse, valori di LWC bassi e dimensioni delle gocce piccole.

Fig. 3.4) Ghiaccio ‘rime’

In genere, le condizioni favorevoli alle formazioni di ghiaccio brinoso all’interno delle nubi

stratificate si estendono orizzontalmente per grandi distanze e verticalmente solo per alcune

centinaia di piedi. Perciò, quando si comincia ad accumulare ghiaccio all’interno delle nubi

stratificate, è spesso sufficiente salire o scendere anche di soli 1.000 piedi per vedere cessare il

fenomeno, che invece si protrarrebbe a lungo se si mantenesse invariata la quota.

Grazie alle sue caratteristiche (più leggero del ghiaccio vetrone), il ghiaccio brinoso è

perciò quello che presenta i minori pericoli per il volo, anche se la sua forma irregolare e la sua

superficie ruvida degradano rapidamente l'efficienza delle superfici aerodinamiche.

Il ghiaccio brinoso, inoltre, aumenta notevolmente la resistenza e interrompe il flusso

dell'aria sopra le ali.

Nelle figure soprastanti (Fig. 3.3 e 3.4) sono ben messe in evidenza le caratteristiche di

questo tipo di ghiaccio.

3.1.2) Ghiaccio vetrone o vetroso

Il ghiaccio vetrone é causato, invece, da gocce che non congelano immediatamente

all’impatto con la superficie ma si uniscono, creando gocce di dimensioni maggiori (alti valori

di LWC) o rivoletti od un sottile film d’acqua. In queste condizioni l’aria non rimane

intrappolata ed ha un aspetto trasparente. Il ghiaccio vetrone ha forme più irregolari rispetto al

ghiaccio brinoso, ed è solitamente caratterizzato da uno o due corni generati dallo scorrimento

dell’acqua (vedi Fig. 3.5).

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Fig. 3.5) Forma del ghiaccio vetrone o vetroso

Il ghiaccio vetrone è il più pericoloso sia per la rapidità con la quale si accumula, sia per la

tenacia con la quale aderisce alle superfici e, quindi, per la difficoltà di eliminarlo anche con i

sistemi antighiaccio più efficaci. Poiché, come abbiamo detto, le gocce grosse hanno una

tensione superficiale limitata, il ghiaccio vetroso può essere incontrato fino a temperature non

minori di -10 °C. Va però tenuto presente che, a causa del raffreddamento adiabatico indotto

dalla depressione generata dal profilo alare, è possibile incontrare formazioni di ghiaccio anche

quando la temperatura esterna è di uno o due gradi superiore allo zero.

Fig. 3.6) Ghiaccio vetroso o vetrone

Le condizioni favorevoli alle formazioni di ghiaccio vetroso all’interno dei cumuli,

contrariamente a quanto accade nelle nubi stratificate, hanno in genere un’estensione piuttosto

limitata orizzontalmente, ma sono molto estese verticalmente. All’interno di una nube

cumuliforme, il cambio di quota non dà perciò risultati apprezzabili, a meno che non si scenda

fino a trovare temperature sopra lo zero.

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3.1.3) Ghiaccio misto

Il ghiaccio misto non è altro che un misto di ghiaccio vetroso e brinoso, e assume l’aspetto

spugnoso e granuloso a causa delle bolle d’aria che restano intrappolate fra i cristalli di

ghiaccio. La maggiore o minore pericolosità di un accumulo di ghiaccio dipende dalla

maggiore o minore somiglianza che di volta in volta assume rispettivamente con il ghiaccio

vetroso o con il ghiaccio brinoso.

Fig. 3.7) Ghiaccio misto

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EFFETTI DEL GHIACCIO SUI VELIVOLI

Le condizioni di temperatura ed umidità nelle quali è possibile la formazione di ghiaccio

sono, come abbiamo visto, sufficientemente ristrette, ma quando questa è possibile può creare

dei seri inconvenienti.

Il ghiaccio, infatti, può influenzare in vari modi le prestazioni e qualità di volo di ogni

velivolo: tali modi sono in funzione della posizione, della quantità e del tipo di ghiaccio che si

forma sulla struttura aerodinamica.

Si ha, comunque, la possibilità di deposito di ghiaccio in tutte quelle zone del velivolo

dove si ha ristagno dell’aria (stagnazione della corrente aerodinamica); sono quindi

particolarmente esposte alcune zone critiche del velivolo quali:

4.1) bordo d’attacco delle superfici portanti (ali, piani di coda)

4.2) prese d’aria dei motori

4.3) carburatore

4.4) elica

4.5) antenne e sonde strumentali

4.6) parabrezza

La formazione di ghiaccio in tutte queste zone è particolarmente pericolosa.

4.1) Bordo d’attacco delle superfici portanti

La formazione di ghiaccio sulla superficie di un velivolo altera il flusso aerodinamico: in

particolare provoca una riduzione della portanza ed un aumento della resistenza, la cui azione

congiunta può portare la velocità di stallo a valori talmente elevati da rendere impossibile non

solo la salita, ma anche il semplice mantenimento del volo livellato.

Tale formazione (di ghiaccio), quindi, sulla superficie di un velivolo modifica le sue

prestazioni e le caratteristiche di manovrabilità.

4.1.1) Effetti del ghiaccio sulle prestazioni del profilo

L’accumulo di ghiaccio può considerarsi un fenomeno stocastico. Le forme di ghiaccio

sono influenzate dalla geometria del velivolo, dalle condizioni di volo, dalle condizioni

meteorologiche e dal tempo di esposizione alle condizioni ghiaccianti. Conseguentemente, non

solo le forme di ghiaccio sono difficili da predire, ma anche gli effetti sul velivolo sono

difficilmente prevedibili. Sempre a titolo di esempio in figura 4.1 sono riportati alcuni esempi

di prove in galleria del vento. Queste prove si riferiscono ad un tipico profilo di un velivolo da

trasporto commerciale al quale sono state aggiunte delle forme di ghiaccio classiche per dare

un idea del tipo di degradazione delle caratteristiche aerodinamiche che si possono incontrare

durante il volo in condizioni ghiaccianti.

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Fig. 4.1-a) Coefficiente di portanza, Cl , in funzione dell’angolo d’attacco per un profilo pulito, come ghiaccio vetrone, rime e

misto Fig. 4.1-b) Coefficiente di resistenza, Cd,, in funzione dell’angolo d’attacco per un profilo pulito, come ghiaccio vetrone, rime

e misto

In particolare per questo caso specifico si può notare:

• Una diminuzione significativa del CLmax; la diminuzione massima di CLmax è di circa il

40% per il ghiaccio vetrone, mentre è di circa il 20% per il ghiaccio misto.

• La forma di ghiaccio rime CLmax ha causato una diminuzione delle prestazioni di circa il

10%.

• La forma di ghiaccio ‘rime’ ha causato un aumento di resistenza importante e

confrontabile con quello causato dal ghiaccio vetrone e misto.

• Una diminuzione importante dell’angolo di stallo in tutti i casi (5° per il ghiaccio

vetrone e circa 2,5° per il ghiaccio misto).

• Un aumento importante del coefficiente di resistenza, che, per entrambi i tipi di ghiaccio

é circa quattro, cinque volte più grande di quello del profilo pulito.

E’ estremamente importante sottolineare che i dati illustrati precedentemente hanno il solo

scopo di dare al lettore un idea degli ordini di grandezza della variazione delle prestazioni

aerodinamiche che si possono incontrare. Infatti questi dati sono ottenuti con prove di galleria

del vento su di un profilo specifico e con forme di ghiaccio specifiche e non possono in alcun

modo essere estesi ad altri profili od ad altre forme di ghiaccio. Soprattutto in nessun modo

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questi dati devono dare l’idea che una forma di ghiaccio sia meno pericolosa di un'altra in

quanto nelle reali condizioni operative molto difficilmente si ha la possibilità di valutare in

modo corretto il tipo di ghiaccio, il rateo di accrescimenti, lo spessore o la forma del ghiaccio

che si sta accumulando sul velivolo, e quindi si dovrà trattare tutte le condizioni con la stessa

precauzione.

Quanto detto fornisce un’idea del comportamento di un profilo a determinate condizioni

ghiaccianti. Occorre tener presente che il comportamento di un profilo cambia anche con la

variazione della durata di esposizione. E’ evidente che la zona ghiacciata è soggetta a

modifiche rilevanti durante l’esposizione alle condizioni ghiaccianti.

0.01 C

a)

b)

6 min.12 min.18 min.

2 min.

6 min.12 min.18 min.

2 min.

0.01 C

Fig. 4.2) Variazione della forma di ghiaccio con il tempo: a) Rime; b) Vetrone

Nelle figure soprastanti (fig. 4.2) sono mostrate le forme di ghiaccio ‘rime’ e

vetrone dopo 4 diversi tempi di esposizione.

Si può notare come in entrambi i casi il ghiaccio accumulato sul profilo aumenta con il

tempo e come in particolare aumentano le dimensioni dei corni della forma di ghiaccio

‘vetrone’. D’altro canto si può osservare che l’estensione della zona ghiacciata rimane invece

invariata.

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4.1.2) Effetti del ghiaccio sulle caratteristiche di manovrabilità

La riduzione di portanza, l’aumento di resistenza, la riduzione dell’angolo di stallo e le

anomalia di momento picchiante (non analizzata ma presente) sono una conseguenza diretta

dell’alterazione della distribuzione di pressione causata dal ghiaccio. La distorsione della

distribuzione di pressione può influenzare anche gli sforzi di barra e l’efficienza delle superfici

di controllo aerodinamico causando problemi alla manovrabilità del velivolo ed influenzando

la sicurezza del volo.

In generale, quindi, possiamo affermare che la formazione di ghiaccio sull’ala ha cinque

effetti principali: la diminuzione dell’angolo di incidenza di stallo, la riduzione della portanza

a parità di AOA, l’aumento della resistenza, del peso e la variazione del momento

aerodinamico; tra questi gli effetti sicuramente più critici sono i primi due. Si pensi che anche

solo una piccola quantità di ghiaccio sul bordo d’attacco infatti può drasticamente modificare

le caratteristiche della curva del Cl del profilo alare: ciò determina, tra l’altro, sempre una

diminuzione del coefficiente massimo di portanza e una diminuzione dell’angolo d’incidenza

di stallo.

Esiste un’infinita varietà di forme, spessori e consistenze di ghiaccio che, in funzioni di

alcune variabili (umidità, velocità, curvatura, posizione, incidenza), può formarsi attorno al

profilo alare. Ogni diversa forma di ghiaccio produce essenzialmente un nuovo profilo con

differenti caratteristiche aerodinamiche; inoltre le nuove curve di resistenza e portanza o il

nuovo angolo di incidenza di stallo o il nuovo coefficiente dei momenti di beccheggio non solo

saranno differenti da quelli del profilo originario, ma saranno differenti anche da quelli

prodotti da altre formazioni di ghiaccio. Gli effetti prodotti di fatto da questi nuovi profili alari

sono svariati: alcuni sono relativamente trascurabili e quasi indistinguibili rispetto a quelli del

profilo originario; altri invece possono alterare le caratteristiche aerodinamiche così

drasticamente che, ad esempio, l’ala potrebbe immediatamente entrare in stallo ed anche senza

alcun tipo di preavviso.

Dopo avere descritto come si verifica lo stallo di un’ala sporca, è interessate capire quali

effetti può avere il ghiaccio sul piano di coda orizzontale e come può degradare la stabilità

laterale del velivolo.

4.1.3) Stallo del piano orizzontale di coda (ICTS)

Per i velivoli ad architettura “convenzionale” il centro di gravità (C.G.) è posizionato davanti

al centro aerodinamico dell’ala. Perciò la portanza alare ed il peso del velivolo generano un

momento picchiante che deve essere bilanciato - affinché l’aeromobile sia longitudinalmente

stabile - da un altro momento uguale ed opposto generato dalla deportanza del piano

orizzontale di coda (Fig.4.3).

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La prima cosa da

sottolineare quando si parla

di ICTS è che l’angolo di

incidenza del piano

orizzontale di coda è

completamente differente

rispetto a quello dell’ala. Più

precisamente la relazione

che lega i suddetti angoli di

incidenza è la seguente:

Tail liftWeight

Wing lift

Pitching moment

C.G.

Tail local flow

Fig. 4.3) Conventional aircraft force balance

αh = αairplane - εh + ih

dove αh è l’angolo di incidenza del piano orizzontale di coda, αairplane è l’angolo di incidenza

dell’ala del velivolo, ih è l’incidenza geometrica del piano di coda stesso e infine εh

rappresenta il contributo del “downwash” a valle dell’ala.

Il “downwash”, a sua volta, è anch’esso funzione dell’angolo di incidenza dell’ala, della

posizione dei flaps (Fig.4.4) e, per i velivoli ad elica, del flusso delle eliche. Tale contributo

può così essere analiticamente sintetizzato:

23

εh = f(αairplane+ ε0 + ∆εflaps)

Dove ε0 rappresenta il contributo a

causa del flusso dell’elica e ∆εflaps

rappresenta quello dovuto alla

deflessione dei flaps.

Nel momento in cui i flaps vengono

abbassati il momento picchiante del

velivolo aumenta a causa dell’effettivo

aumento della curvatura alare. La

variazione del “downwash”, provocato

dall’abbassamento dei flaps, genera un

aumento dell’angolo di incidenza del piano di coda che, di per sé, aiuta la coda a generare la

necessaria deportanza. Il pilota poi, agendo sul trim longitudinale, raffina tale variazione e, in

funzione del tipo di velivolo e della velocità di trim desiderata, riduce o aumenta ulteriormente

l’angolo di incidenza della coda per ottenere l’assetto desiderato. Se il bordo di attacco del

piano di coda è contaminato dal ghiaccio, la curva di portanza di tale profilo, soprattutto alle

Flaps up

Wing down-wash

Tail angle of attack

Airplane angle ofattack

Wing down-wash

Tail angle of attack

Airplane angle ofattack

Flaps down

Fig. 4.4) Flaps downwash

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alte incidenze, risulta degradata e lo stallo del piano orizzontale di coda avviene ad incidenze

decisamente più basse. Quindi la manovra dell’abbassamento dei flaps in posizione massima

può senz’altro essere in grado di far aumentare l’angolo di incidenza del piano di coda oltre

quello di stallo per profilo contaminato. Nel momento in cui il piano orizzontale di coda stalla,

non si è più in grado di produrre la necessaria deportanza volta a controbilanciare il naturale

momento picchiante degli aeromobili ad architettura “convenzionale” e così tali macchine,

nella condizione suddetta, iniziano ad appruare costantemente il muso fino a raggiungere

assetti longitudinali estremi, anche superiori a quello verticale. Se si considera inoltre che un

tale evento può tipicamente accadere nel momento in cui il pilota seleziona i flaps di

atterraggio, si comprende come la quota a disposizione potrebbe essere insufficiente per

consentire all’equipaggio il recupero del velivolo.

Per chiarire meglio il

fenomeno, si osservi la Fig.4.5

dove si è disegnato il grafico tipico

della variazione del coefficiente di

portanza/deportanza del piano

orizzontale di coda in funzione

dell’angolo di incidenza dello

stesso in caso di coda pulita e

contaminata da ghiaccio.

Come si vede, dall’origine

degli assi fino al punto (A) della

curva, il piano di coda, sia

contaminato che non, è sempre in

grado di fornire la deportanza adeguata a bilanciare il velivolo nelle varie condizioni di volo.

Nel momento in cui i flaps vengono abbassati, l’aumentata inclinazione del “downwash” alare

(∆εflaps) causerà, come detto, un aumento immediato dell’angolo di incidenza del piano

orizzontale di coda e quindi, prendendo nuovamente in esame la figura 4.5, farà lavorare tale

superficie in prossimità dei punti (B) e (C), rispettivamente per il caso di bordo di attacco

pulito e contaminato. Ricordando, inoltre, che nel momento in cui si abbassano i flaps, a causa

della maggiore curvatura alare, è necessario che il piano di coda produca una deportanza

aggiuntiva, si comprende come ciò sia possibile per il piano di coda pulito (punto B), ed, al

contrario, impossibile per il piano di coda contaminato da ghiaccio (punto C). Quest’ultimo,

lavorando in condizioni di stallo, produce una deportanza addirittura inferiore a quella che era

in grado di produrre in condizioni di “flaps UP” nel punto (A). Quindi, in questo secondo caso,

il pilota assisterà allo svilupparsi di un incontrastabile momento picchiante che, in assenza di

opportune manovre correttive, produrrà assetti longitudinali sempre più accentuati.

αtailplane

∆εflap

Lift coefficient tail

Clean airfoil

Iced airfoil

(A) Flaps- up(clean and iced airfoil)

(B) Fl s down (clean airfoil)

(C)Flaps- down (iced airfoil)

ap

Fig. 4.5) Clean and iced tailplane lift coefficient

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4.1.4) Instabilità laterale (Icing Contamined Roll Upset – ICRU)

Tale fenomeno è causato da una iniziale separazione del flusso che a sua volta può

provocare una indesiderata deflessione degli alettoni o comunque una perdita o degrado delle

caratteristiche di rollio del velivolo. L’ICRU non si verifica molto frequentemente, ma quando

avviene è in grado di modificare radicalmente le caratteristiche laterali di ogni velivolo, a

prescindere dalle loro dimensioni. Inoltre tale fenomeno, quando risulta causato da condizioni

atmosferiche favorevoli a formazioni di ghiaccio “severe”, è alquanto insidioso in quanto può

sopraggiungere improvvisamente e senza alcun tipo di avviso aerodinamico.

In particolari condizioni atmosferiche la formazione di ghiaccio sulla superficie anteriore

dell’ala può generare una bolla di bassa pressione sul dorso alare che, in funzione di altre

condizioni, può arrivare ad estendersi posteriormente fino ad interessare gli alettoni. In questa

situazione l’anomala area di bassa pressione presente sul dorso alare può causare, nei velivoli

con alettoni “reversibili”, l’inversione dei momenti di cerniera e, di conseguenza, una

improvvisa e violenta deflessione di tale superficie verso la bolla di bassa pressione (“aileron

snatch”); nei velivoli con alettoni “irreversibili” invece, tale fenomeno può provocare una

riduzione o addirittura una perdita di efficacia di tali superfici.

L’ “aileron snatch”, tipico fenomeno nei velivoli con comandi di volo reversibili, è un

termine anglosassone che serve a descrivere l’improvviso e non voluto spostamento degli

alettoni dalla loro posizione neutra, causato dall’anomalo sbilanciamento delle forze

aerodinamiche in prossimità di tali superfici anche ad angoli di incidenza ben inferiori rispetto

a quello critico. Inoltre, sui velivoli equipaggiati con tali alettoni (“reversibili”) questo

fenomeno provoca anche un netto cambiamento degli sforzi che la catena dei comandi di volo

trasmette all’equipaggio: il pilota invece di esercitare dello sforzo per spostare gli alettoni è

costretto ad impiegare della forza per riportarli e tenerli al centro. Altri indizi concreti

dell’instaurarsi di questo fenomeno possono essere forniti da oscillazioni, vibrazioni,

scuotimenti o “buffet” che si manifestano sulla barra di comando. Si ricordi invece che per

alettoni irreversibili la parziale o totale perdita di efficacia di tale comando dovuta all’ICRU, in

genere, non è associata a variazioni significative degli sforzi trasmessi dalla catena dei

comandi di volo al pilota.

L’ICRU è generalmente accompagnato da variazioni di assetto laterale che, data la

sostanziale perdita di efficacia degli alettoni, risultano assai pericolose in quanto il pilota, in

tali situazioni, dispone di limitati margini di intervento per tentare di correggere l’assetto del

velivolo.

4.2) Prese d’aria dei motori

Usualmente i velivoli sono equipaggiati di varie prese d’aria (prese d’aria motori, prese

dinamiche, prese di raffreddamento, prese d’aria per carburatori ed altre) in cui l’aria viene

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accelerata e quindi raffreddata. Questo implica che, nonostante la temperatura dell’aria prima

del condotto sia superiore a 0°C, all’interno del condotto la temperatura dell’aria può

abbassarsi fino a quella di congelamento: in tal caso, ed in presenza di alta umidità relativa, il

vapore acqueo nell’atmosfera può trasformarsi in ghiaccio ed accumularsi fino ad occludere i

predetti condotti.

La formazione di ghiaccio al carburatore è un tipico esempio del suddetto fenomeno;

data l’importanza del buon funzionamento del carburatore per i velivoli con motore a pistoni,

tale componente normalmente è dotato di un dispositivo che convoglia l’aria calda dei gas di

scarico all’interno del condotto di aspirazione, in maniera da scaldare l’aria esterna che si

appresta ad attraversare il diffusore - costituito da un tubo di Venturi - e quindi scongiurare

ogni possibile formazione di ghiaccio all’interno del carburatore. Esistono dei diagrammi

specifici per aiutare i piloti di tali velivoli a decidere quando azionare tale sistema: tali grafici,

mettendo in relazione la temperatura dell’aria con quella di rugiada, mostrano le condizioni

favorevoli alla formazione di ghiaccio (maggiori dettagli verranno forniti nel paragrafo 4.3).

Per quanto concerne le prese d’aria motore è utile ricordare che il pericolo maggiore è

rappresentato dal ghiaccio che si accumula sul “labbro” della presa d’aria stessa. Tale

formazione, infatti, distorce il flusso aerodinamico riducendo così, nella migliore delle ipotesi,

la prestazione del propulsore. Inoltre il ghiaccio può staccarsi, essere aspirato dal motore e

provocare un improvviso spegnimento; per tali ragioni le prese d’aria in genere sono

equipaggiate con sistemi atti a prevenire le formazioni di ghiaccio nelle suddette aree.

Un’ultima nota riguarda un fenomeno che era più frequente in passato: il congelamento del

combustibile. Tale fenomeno è divenuto via via sempre meno frequente dal momento che alla

maggior parte dei combustibili vengono aggiunte speciali sostanze che ne abbassano la

temperatura di congelamento fino a circa – 47°C. All’interno del combustibile, comunque, si

possono sempre trovare in sospensione delle particelle d’acqua che sono responsabili delle

possibili formazioni di ghiaccio all’interno dei reticoli dei filtri combustibile o sui gomiti delle

relative tubazioni.

4.3) Ghiaccio al carburatore

La formazione di ghiaccio al carburatore, come già accennato, rappresenta un importante

esempio di ghiaccio per aspirazione. La vaporizzazione del carburante e contemporaneamente,

l’espansione che si verificano all’interno del tubo di Venturi provocano una brusca caduta

della temperatura che è in grado di innescare il fenomeno. Il repentino abbassamento della

temperatura (circa 20°C, 30°C) all’interno del carburatore trasforma il vapore acqueo presente

nell’atmosfera in ghiaccio che gradualmente si può accumulare sia sul diffusore che, cosa

ancora più importante, anche sulla valvola a farfalla fino ad ostruirli (Fig. 4.6). La graduale

ostruzione del diffusore e/o della valvola a farfalla provoca inizialmente un perdita di potenza

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associata a ben distinti “borbottamenti”, successivamente, se non vengono intraprese azioni

correttive, il motore cessa di funzionare per mancanza di miscela.

Esistono documenti che testimoniano che formazioni di ghiaccio al carburatore sono state

riscontrate durante discese con temperature

esterne anche superiori ai 25°C ed umidità

relative anche del solo 30% o durante la

crociera con temperature esterne intorno ai

20°C ed umidità relative pari al 60%. In

buona sostanza tale fenomeno, vista la

marcata riduzione di temperatura che è in

grado di provocare, può avvenire anche in

giornate temperate e relativamente umide.

Inoltre la formazione del ghiaccio al

carburatore può, in particolare condizioni,

avvenire in maniera così repentina che, se

il pilota non applica immediatamente le

dovute azioni correttive, il motore, soprattutto a bassi regimi, può facilmente spegnersi. Una

volta che il motore si è spento per tale fenomeno, è molto difficile riavviarlo; in ogni caso, la

sua riaccensione raramente è immediata e comunque tale ritardo potrebbe rivelarsi fatale.

Fig. 4.6) Carburetor icing

4.4) Ghiaccio sull’elica

Le pale dell’eliche dei velivoli vengono, normalmente, protette dalla formazione di

ghiaccio da dei sistemi termoelettrici; tuttavia, nonostante ciò, è bene ricordare che comunque

il ghiaccio può formarsi sulle pale delle eliche. Ciò è possibile quando:

• Il sistema di protezione non funziona correttamente.

• Si incontrano condizione di ghiaccio classificate : “severe”.

• Si opera a quote molto alte.

Le indicazioni più evidenti del manifestarsi di questo fenomeno sono costituite da

vibrazioni, scuotimenti e/o colpi violenti provocati da frammenti di ghiaccio che, staccandosi

dalle eliche, colpiscono la cabina; la formazione di ghiaccio sulle eliche, inoltre, fa si che il

velivolo necessiti di una maggiore potenza per mantenere i parametri desiderati. Di seguito si

passerà ad analizzare i possibili casi sopra esposti.

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4.4.1) Sistema di protezione non funzionante

E’ assai difficile capire se il sistema antighiaccio eliche non funziona correttamente, a meno

che il velivolo non sia equipaggiato di una specifica strumentazione: un sintomo del possibile

malfunzionamento del sistema potrebbe essere costituito dai colpi marcati che il ghiaccio

provoca quando, staccandosi dalle eliche, urta la fusoliera.

4.4.2) Condizioni di ghiaccio “severe”

Per ottimizzare la disponibilità di energia elettrica a bordo le eliche, usualmente, vengono

sghiacciate ciclicamente. Tuttavia, se il velivolo si trova ad operare in condizioni atmosferiche

capaci di creare rapidamente consistenti accumuli di ghiaccio, il tempo che intercorre tra un

ciclo di sghiacciamento ed il successivo potrebbe essere eccessivamente lungo e non

consentire così al sistema di sghiacciamento eliche del velivolo di riuscire a pulire

completamente e/o adeguatamente le pale dei propulsori. Anche in tal caso il fenomeno

potrebbe essere evidenziato dai colpi marcati che il ghiaccio provoca quando, staccandosi dalle

eliche, colpisce la fusoliera; in tali circostanze inoltre, si potrebbero anche percepire delle

vibrazioni di breve durata dovute ai momentanei squilibri nella distribuzione delle masse.

4.4.3) Quote molto alte

Le pale delle eliche vengono protette dalla formazione di ghiaccio limitatamente alla loro

sezione più interna e normalmente fino al 25%-30% del loro raggio. Il motivo di ciò è che

l’estremità delle pale generano delle altissime velocità periferiche: tali velocità producono

forze centrifughe così elevate da impedire alle particelle di ghiaccio che si formano di aderire

stabilmente al profilo della pala. A quote elevate tuttavia, a causa delle temperature molto

basse, i cristalli di ghiaccio riescono a formarsi rapidamente ed ad aderire anche alle estremità

delle pale. In tali circostanze si possono verificare distacchi asimmetrici di frammenti di

ghiaccio che generano, a causa degli squilibri inerziali, marcate vibrazioni: tale fenomeno però

è, in genere, di breve durata.

4.5) Ghiaccio sulle antenne e sonde strumentali

4.5.1) Ghiaccio sulle antenne

Le antenne dei velivoli normalmente sporgono dalla fusoliera del velivolo e per ridurre la

resistenza hanno la forma di un profilo alare con bassissimo spessore percentuale. Poiché i

profili sottili hanno un alto coefficiente di raccolta di ghiaccio - “collection efficiency” - anche

le antenne tendono ad accumulare ghiaccio molto facilmente: per questa ragione anche tali

superfici sono generalmente dotate di sistemi che si oppongono alla formazione di ghiaccio.

La formazione di ghiaccio sulle antenne può provocare inizialmente la distorsione delle

trasmissioni; successivamente, quando l’accumulo diventa cospicuo, il ghiaccio può

modificare sostanzialmente il profilo aerodinamico dell’antenna e in tali circostanze, tale

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superficie può addirittura iniziare a vibrare. Questo inconsueto tipo di vibrazione può

sicuramente impensierire il pilota ma, cosa più importante, può provocare la rottura

dell’antenna stessa e la perdita parziale o totale della capacità di rice-trasmissione; inoltre, i

frammenti dell’antenna potrebbero colpire altre parti del velivolo danneggiandole: tutto ciò

trasformerebbe una situazione già poco piacevole in una circostanza davvero complessa.

4.5.2) Ghiaccio al tubo di pitot

I tubi di pitot sono sonde molto delicate nei confronti del ghiaccio: infatti anche solamente

dei piccoli cristalli di ghiaccio sarebbero in grado di otturare i forellini di funzionamento di tali

sonde. Tali ostruzioni sono in grado di causare errate indicazioni dei vari strumenti a capsula e

possono provocare grave disorientamento all’interno della cabina di pilotaggio, in special

modo se non si pensa prontamente ad una simile eventualità (cfr incidente del B727 il 1

Dicembre 1974 a Thiells). Per tale motivo i tubi di pitot sono dotati di resistenze elettriche che

devono essere sempre in funzione durante il volo.

Per completezza di informazione va ricordato che anche le prese statiche sono protette dalla

formazione di ghiaccio: in base al tipo di velivolo è possibile trovare, in genere, sistemi

termoelettrici o più semplicemente, laddove ciò è possibile, dei condotti alternativi. Tali

condotti, in comunicazione con la cabina di pilotaggio, vengono usati quando il volo è

condotto in condizioni favorevoli alla formazione di ghiaccio.

4.5.3) Ghiaccio alla sonda EPR

Normalmente i

motori a turbina sono

equipaggiati con sonde

che rilevano la pressione

all’ingresso del

compressore. Questo

parametro, tra i molti

usi, può essere messo in

relazione con la pressione del gas

valore di spinta che il propulsore

Pressure Ratio - Fig. 4.7) e norma

valore dei giri del compressore.

dovessero ricoprirsi di ghiaccio,

strumento dell’EPR inizierà ad

effettivamente erogato dal motore.

Fig. 4.7) Engine gauges

all’uscita della turbina per fornire al pilota una misura del

sta erogando: tale valore è denominato EPR (Engine

lmente è mostrato sul pannello strumenti motore, vicino al

Se le sonde poste all’interno della presa d’aria del motore

ad esempio per un’avaria al sistema anti-ghiaccio, lo

indicare un valore di spinta maggiore rispetto a quello

Tutto ciò potrebbe indurre il pilota a ridurre la manetta del

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motore, provocando un deficit energetico che in casi estremi potrebbe produrre preoccupanti

riduzioni di velocità o potrebbe rendere un decollo bilanciato impossibile.

Come accennato in precedenza, il Costruttore quando sceglie di mostrare in “cockpit” lo

strumento dell’EPR, normalmente mette a disposizione del pilota anche l’indicatore N1 ossia

l’indicatore dei giri del compressore di bassa pressione. In tal caso, proprio l’indicatore N1

deve essere usato per determinare la presenza di ghiaccio sulla sonda EPR: infatti, quando il

motore opera a valori fissi di EPR, l’N1 inizierà gradualmente a diminuire man mano che la

sonda si ricopre di ghiaccio; invece, quando il velivolo opera a spinta costante a parità di N1,

l’EPR, come già detto, inizia ad aumentare.

4.5.4) Ghiaccio sulle alette indicatrici di incidenza

Tali sensori, che in genere hanno la forma di un cuneo molto sottile o tronco di cono,

grazie alla possibilità di ruotare liberamente attorno al proprio asse orizzontale, vengono

installati per misurare l’angolo d’incidenza del velivolo. E’ intuitivo comprendere che la

formazione di ghiaccio su tali sonde ne altererebbe il principio di funzionamento e quindi la

validità dei dati trasmessi. Per evitare ciò, anche tali sensori sono, normalmente, elettricamente

riscaldati.

4.6) Contaminazione del parabrezza

Per consentire al pilota di avere una visibilità ottimale perfino in condizioni favorevoli alla

formazione di ghiaccio, anche i parabrezza sono dotati di sistemi che contrastano l’accumulo

di tale contaminante. Nei velivoli ad alte prestazione, dove la pressurizzazione e/o l’impatto di

volatili, ad alta velocità, possono generare cospicue forze sul trasparente, tali sistemi in genere

sono costituiti da una pellicola termoelettrica annegata nel vetro del parabrezza. Non appena la

corrente fluisce attraverso la pellicola, essa si riscalda, produce un aumento di temperatura del

parabrezza che, oltre ad impedire ogni formazione di ghiaccio sul trasparente, ne aumenta la

robustezza ed elasticità. Nei velivoli a basse prestazioni, invece, tali sistemi sono spesso

costituiti da una serie di forellini i quali lasciano transitare un getto di aria calda che lambisce

il parabrezza e ne aumenta la sua temperatura. Un’altra soluzione, sempre per velivoli dalle

prestazioni limitate, può essere rappresentata da particolari fluidi che, applicati direttamente

sul trasparente, abbassano il punto di congelamento dell’acqua che dovesse colpire il

parabrezza.

Un altro aspetto importante, che è stato oggetto di studi soprattutto per quanto riguarda le

miscele di acqua e fluidi da impiegare per abbassare il punto di congelamento, è la formazione

di ghiaccio al suolo.

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4.7) Formazione di ghiaccio al suolo

Il principio fondamentale su cui si basano le operazioni durante condizioni di tempo

avverso è il concetto di “ala pulita” o “clean wing concept”. La normativa JAR-OPS 1.345

prescrive che la corsa di decollo non deve essere iniziata a meno che le superfici aerodinamiche

del velivolo siano libere da ogni forma di contaminante che potrebbe influenzare negativamente

le prestazioni e/o le qualità di volo del velivolo, ad eccezione dei casi specificatamente previsti

dal Costruttore. In particolare il comandante del velivolo è l’ultimo responsabile di tali

controlli: questi deve verificare che, prima del decollo, nessun deposito di brina, ghiaccio o

neve, eccetto per i casi previsti dall’AFM, contamini le superfici aerodinamiche.

I dati di volo sperimentali indicano che formazioni di brina, neve o ghiaccio, ubicati sul

bordo di attacco e sul dorso anteriore dell’ala, con spessori e ruvidità paragonabili a quelli della

carta vetrata di grana media o grossa, possono ridurre la massima portanza producibile anche

del 30% ed aumentare la resistenza anche del 40%. Spessori e ruvidità maggiori, naturalmente,

peggiorano ancor più l’efficienza del profilo. Oltre alle considerazioni riguardanti le prestazioni

è opportuno ricordare che il ghiaccio, ovunque e comunque si formi, rappresenta la forma di

contaminante più pericolosa: ad esempio, il ghiaccio che si forma nella zona superiore della

fusoliera di un velivolo potrebbe staccarsi durante la rotazione e venire ingerito dai motori

montati posteriormente.

La contaminazione al suolo dei motori può essere provocata da neve o da precipitazioni

congelatesi; inoltre, essa dipende anche dalla temperatura esterna, dalla temperatura della

superficie del velivolo, dall’umidità relativa, dalla velocità e dalla direzione del vento; una

precipitazione particolarmente insidiosa è rappresentata da una pioggia di cristalli minuti di

ghiaccio o “ice pellets”: essi sono costituiti da corpuscoli trasparenti o traslucidi con un

diametro massimo fino a 5 mm. Tali cristalli, normalmente, rimbalzano quando colpiscono il

suolo producendo addirittura un rumore ben distinto. Inoltre, tale precipitazione riesce a

penetrare anche il fluido anti-ghiaccio di cui le superfici aerodinamiche dei velivoli vengono

cosparse: ciò fa si che gli “ice pellets” sono in grado di entrare in contatto con le superfici del

velivolo e degradare le caratteristiche dei fluidi protettivi molto rapidamente.

Nei velivoli dove i serbatoi sono a diretto contatto con la superficie interna dell’ala la

temperatura del combustibile influenza in maniera determinante anche la temperatura di tale

superficie. In questo modo, ad esempio dopo un lungo volo, la temperatura dell’ala può essere

decisamente inferiore rispetto all’OAT al suolo (fenomeno detto del “cold soaked”), così si

possono avere formazioni di ghiaccio sulle ali in corrispondenza dell’ubicazione dei serbatoi:

tali formazioni, in funzione della temperatura esterna, dell’umidità, del tipo di precipitazione,

possono provocare formazioni sia di ghiaccio brinoso, sia di ghiaccio vitreo. Quest’ultimo tipo

di ghiaccio è estremamente pericoloso anche al suolo perché non solo è di difficile

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individuazione a causa del “colore” trasparente, ma perché potrebbe staccarsi durante la

rotazione dell’aeromobile ed essere ingerito, con conseguenze facilmente immaginabili,

dai motori di quei velivoli in cui tali apparati sono montati posteriormente.

Per evitare il fenomeno del “cold soaked” la temperatura superficiale dell’ala

dovrebbe essere aumentata. Spesso ciò è realizzato rifornendo il velivolo di combustibile

caldo e/o ricoprendo le ali di fluidi caldi che hanno la capacità di abbassare il punto di

congelamento.

In ogni caso sia il ghiaccio che la brina devono essere rimossi prima di iniziare la corsa di

decollo. L’unica eccezione può riguardare la brina accumulata sulla superficie inferiore dell’ala

che, se di dimensioni non eccedenti quelle indicate dal Costruttore e/o seguendo particolari

procedure descritte nell’AFM, può essere tollerata.

Un velivolo può essere sghiacciato in svariati modi. Per quanto concerne i velivoli di piccole

dimensioni ad esempio, una soluzione può essere quella di trainare l’aeromobile all’interno di

un hangar riscaldato e parcheggiarlo lì per un tempo opportuno. Nel caso invece il velivolo

debba rimanere all’aperto, coprire le ali e le superfici aerodinamiche critiche consentirà

successivamente di abbreviare

notevolmente i tempi di

sghiacciamento. Alcuni tipi di

contaminante, come la neve

farinosa o la brina, possono

essere facilmente rimossi

rispettivamente usando una

ramazza o passando una corda

a contatto della superficie

contaminata.

In ogni caso la pratica più

frequentemente adottata

nell’aviazione commerciale contempla l’uso di miscele di acqua e fluidi che hanno la capacità

di abbassare il punto di congelamento (FPD): tra l’altro tali fluidi, opportunamente riscaldati,

massimizzano la loro capacità di sghiacciamento. Nelle procedure anti-ghiaccio, invece, è

preferibile applicare i fluidi non riscaldati così da mantenere alta la loro viscosità e

massimizzare il tempo di protezione.

Due procedure sono comunemente usate per proteggere i velivoli dal ghiaccio che si può

formare durante le operazioni al suolo: la procedura di sghiacciamento e quella anti-ghiaccio.

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Procedura di Sghiacciamento: questa operazione consente di rimuovere completamente

ghiaccio, neve o brina dal velivolo per permettere l’involo con superfici prive di qualsiasi tipo

di contaminazione.

Procedura Anti-ghiaccio: questa operazione permette al velivolo di essere protetto da

eventuali nuovi accumuli di particelle contaminanti sulle superfici dell’aeromobile per un

limitato periodo di tempo: tale periodo è detto, con terminologia anglosassone “holdover time”.

L’ “holdover time” è funzione di alcune variabili: temperatura ambiente, temperatura

superficiale del velivolo, vento, tipo di fluido, sua concentrazione e tipo di precipitazione; i

predetti elementi influiscono sul rateo con cui la precipitazione è in grado di diluire la pellicola

di fluido protettivo, fino a renderlo completamente saturo di particelle d’acqua e quindi

inefficace. Per tener conto del tempo di protezione esistono delle tabelle specifiche denominate

“holdover time tables”: tali tabelle forniscono il tempo stimato di protezione considerando ogni

singola precipitazione di media intensità.

La procedura di sghiacciamento viene realizzata sempre in una singola fase (“one step

procedure”), mentre la procedura anti-ghiaccio può essere attuata in una o in due fasi (“one or

two step procedure”).

Procedura antighiaccio/sghiacciamento in una unica fase (“one step deicing/anti-icing”):

Tale procedimento permette di sghiacciare la superficie dell’aeromobile e contemporaneamente

di proteggerlo da ulteriori formazioni di particelle contaminanti. Ciò è ottenuto applicando il

fluido anti-ghiaccio caldo direttamente in un’unica soluzione sul velivolo. Il calore del fluido e

l’energia cinetica con cui esso viene applicato sghiacciano le superfici dell’aeromobile, mentre

la viscosità del fluido, anche se ridotta dall’alta temperatura, fornisce limitate capacità anti-

ghiaccio.

Procedura antighiaccio in due fasi (“two step deicing/anti-icing”): la prima fase - di

sghiacciamento -è usata per rimuovere ogni tipo di contaminante congelatosi sul velivolo, la

seconda fase - anti-ghiaccio -invece prevede l’applicazione di un altro tipo di fluido per

estendere al massimo il tempo di “holdover”.

Nella procedura appena descritta, il fluido anti-ghiaccio è applicato prima che il fluido usato

precedentemente per lo sghiacciamento si congeli, vanificando tale operazione: ciò

normalmente avviene entro al massimo 3 minuti. La concentrazione del fluido anti-ghiaccio

applicato nella seconda fase è funzione dell’OAT, del tipo di precipitazione e dell’ “holdover

time” desiderato. La procedura anti-ghiaccio in due fasi è quella che garantisce, come già

accennato, il massimo “holdover time” possibile, tuttavia è sicuramente più lunga e costosa di

quella effettuata in una unica fase. Inoltre, nella procedura in due fasi è necessario seguire

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scrupolosamente le indicazione dei fornitori dei fluidi, infatti alcuni fluidi anti-ghiaccio non

sono compatibili con altri utilizzati per lo sghiacciamento. Il principio fondamentale su cui si basano i fluidi usati per proteggere i velivoli dalle

avverse condizioni metereologiche è la capacità di abbassare il punto di congelamento

dell’acqua: tali fluidi, come già accennato, vengono detti "Freezing Point Depressant” o FPD. I

fluidi specificatamente usati per lo sghiacciamento - fluidi di tipo I - manifestano un

comportamento “newtoniano”, mentre i fluidi di tipo II e IV, usati propriamente per il

trattamento anti-ghiaccio, presentano caratteristiche “non-newtoniane”. Nei fluidi

“newtoniani” la viscosità è funzione unicamente della temperatura (minore è la temperatura e

maggiore è la viscosità), mentre per i fluidi “non-newtoniani” la viscosità è funzione della

temperatura e degli sforzi di taglio (maggiori sono gli sforzi di taglio e minore è la viscosità).

Come è stato esposto, i fluidi descritti precedentemente sono concepiti per salvaguardare il

velivolo dalle formazioni di contaminanti fino al momento in cui il velivolo non si stacca dal

suolo. Durante il volo tali fluidi abbandonano l’aeromobile e la protezione da eventuali

formazioni di ghiaccio deve essere svolta dai sistemi anti-ghiaccio installati sul velivolo.

Quando le condizioni favorevoli alla formazione di ghiaccio esistono già durante il decollo, i

sistemi anti-ghiaccio motori e superfici dovrebbero essere rispettivamente attivati ed armati già

durante il rullaggio. I sistemi anti-ghiaccio delle superfici, in genere, penalizzano fortemente le

prestazione del velivolo: per tale motivo, su alcuni velivoli, quando si è ancora al suolo tali

sistemi dovrebbero essere spenti o, se possibile, armati. Nel momento in cui inizia l’involo

anche tali sistemi devono entrare immediatamente in funzione per proteggere efficacemente il

velivolo sin dalle fasi iniziali della salita. In ogni caso anche in tale frangente bisogna seguire

scrupolosamente le indicazioni specifiche del Costruttore.

Nonostante l’uso dei sistemi anti-ghiaccio motore, in genere, non incida sul degrado delle

prestazioni in maniera apprezzabile, laddove il Costruttore quantifichi tali penalizzazioni

l’equipaggio, prima del decollo, dovrà tenere debitamente in conto gli effetti di tale riduzione di

spinta.

Inoltre va aggiunto che il trattamento anti-ghiaccio, a prescindere dal tipo di fluido usato,

lascia una sottile pellicola attorno alle superfici dell’aeromobile. Tale pellicola penalizza le

prestazioni di decollo anche se il velivolo, al momento dell’involo, risulta privo di qualsivoglia

contaminante. Le penalizzazioni più significative sono state riassunte di seguito:

• Maggiore resistenza aerodinamica.

• Minore accelerazione.

• Distanze caratteristiche di decollo maggiorate

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Naturalmente l’entità specifica di tali penalizzazioni dipende dal tipo di fluido usato, dalla

sua concentrazione e dal tipo di velivolo.

PROTEZIONE DAL GHIACCIO

Per evitare le spiacevoli conseguenze di un’eventuale formazione di ghiaccio, gli aerei sono

provvisti di impianti che, a seconda del modo di intervento, si distinguono in :

a) impianti sghiaccianti (de-ice), che consentono la rimozione, ad intervalli regolari di

tempo, del ghiaccio già formatosi;

b) impianti antighiaccio veri e propri (anti-ice), che hanno una funzione preventiva e

con opportuni sistemi impediscono la formazione di ghiaccio;

Prima di analizzare i diversi impianti sopra descritti è importante soffermarsi sui sistemi di

rilevamento del ghiaccio.

I sistemi di intervento contro l’accumulo del ghiaccio devono funzionare quando sono

presenti le condizioni meteorologiche favorevoli alla formazione di ghiaccio e, in genere, sono

disattivati quando non servono.

L’equipaggio di volo necessita di strumenti per rilevare la presenza di ghiaccio.

A tale proposito sono previsti due sistemi principali di rilevamento del ghiaccio, di cui uno

visivo ed uno elettronico.

a) Rilevamento visivo: l’equipaggio osserva semplicemente la struttura del velivolo

accertandosi che non si sia formato il primo strato di ghiaccio, con particolare

attenzione a parabrezza e bordo di attacco dell’ala (per le ispezioni notturne sono

previste apposite luci sul bordo di attacco dell’ala).

b) Rilevamento elettronico: per individuare le formazioni di ghiaccio nelle aree critiche

non visibili dall’equipaggio i velivoli sono provvisti di appositi rilevatori di ghiaccio.

5.1) Sistemi di sghiacciamento (de-ice)

Con i sistemi di sghiacciamento (de-ice) si agisce per alimentare lo strato di ghiaccio una

volta che questo si è già formato, principalmente su due superfici del velivolo:

• Bordo di attacco alare

• Freni

Per ciascuna delle due suddette superfici è previsto un sistema di sghiacciamento dedicato:

a) per il bordo d’attacco sono utilizzate delle sacche pneumatiche

b) per i freni il dispositivo di sghiacciamento utilizza l’aria calda spillata dai compressori

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dei propulsori del velivolo

Vediamo ora nel dettaglio il funzionamento dei due dispositivi.

5.1.1) Sacche pneumatiche

Tale sistema di sghiacciamento è costituito da una serie di sacche gonfiabili collegate al

bordo d’attacco dell’ala, costituite da canali che corrono nel senso dell’apertura alare o

perpendicolarmente a tale direzione.

Fig. 5.1) Sistema pneumatico di rimozione

Il gonfiaggio delle sacche è effettuato ciclicamente, utilizzando l’aria1 prodotta da un

compressore dedicato o spillata direttamente dal compressore del motore del velivolo. La

sequenza di gonfiamenti e sgonfiamenti, atti rispettivamente a rompere e rimuovere il

ghiaccio, è controllata da un sistema centrale di distribuzione o da valvole controllate da

solenoidi.

1 Nel caso in cui fosse necessario ridurre la pressione dell'aria, il prelevamento dall'impianto pneumatico

avviene attraverso una valvola regolatrice di pressione antighiaccio (ICE PROTECTION PRESSURE

REGULATING VALVE).

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Le sacche sono gonfiabili simmetricamente, al fine di minimizzare le asimmetrie del flusso

aerodinamico ed il conseguente effetto imbardante.

Le sacche sono costituite da un’apposita gomma, morbida e flessibile, o da un tessuto

gommato di pari caratteristiche, che contiene le celle gonfiabili.

Lo strato più esterno è costituito da neoprene, un materiale elettricamente conduttivo, al

fine di conferire una buona resistenza al deterioramento e dissipare l’elettricità statica che

potrebbe danneggiare le sacche o creare interferenze con l’equipaggiamento radio, per via

delle scariche elettriche che si verrebbero a generare.

Fino a poco tempo fa le sacche erano collegate al bordo d’attacco alare con mastice o con

listelli e viti. Le sacche di ultima generazione sono collegate al bordo di attacco con un

apposito mastice, senza fare più ricorso ai listelli avvitati, con il vantaggio di una notevole

riduzione dei pesi del sistema.

In condizioni particolarmente critiche la quantità di ghiaccio che si forma fra i vari cicli di

gonfiaggio della sacca può essere sensibile; se inoltre il ghiaccio si forma in condizioni non

cristalline è possibile avere uno scorrimento del ghiaccio ed un suo allontanamento dalla sacca

senza rottura; l’ulteriore formazione di ghiaccio avviene quindi su una superficie che non può

più essere fessurata dalla formazione della sacca.

Tale sistema presenta come inconvenienti un certo disturbo all’aerodinamica dell’ala

(anche a sacche sgonfie), la necessità di dosare con precisione l’istante di intervento e il

deterioramento del materiale. Tuttavia comporta un consumo energetico molto contenuto e

quindi esso viene comunemente applicato a bordo di velivoli turboelica.

5.1.2) Spillamento di aria calda dai compressori dei propulsori

Questo metodo è tipicamente impiegato per lo sghiacciamento del sistema frenante del

carrello, ed è previsto per tutti i velivoli che operano regolarmente in ambiente soggetto al

fenomeno della freezing rain. Tipicamente lo sghiacciamento avviene inviando un getto d’aria

calda spillata dal compressore del motore.

Effetti analoghi al sistema pneumatico si possono avere con resistenze disposte in modo

opportuno sulla superficie da liberare dal ghiaccio, come indicato nella fig. 5.2: un reticolo

costituito da sottili pellicole di materiale conduttore viene alimentato in modo continuo, così

da ottenere una formazione del ghiaccio in lastre non unite tra loro; in seguito,alimentando

ciclicamente i pannelli, compresi tra le maglie del reticolo, si ottiene il distacco delle lastre di

ghiaccio della superficie alare.

La potenza specifica necessaria è dell’ordine dei 25 kw/m2: l’applicazione di questo

sistema come sghiacciamento degli impennaggi non comporta grandi consumi energetici,

mentre come antighiaccio alare richiede un’intensa generazione di energia elettrica a bordo.

Peraltro è un sistema aerodinamicamente pulito.

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Per tutti i sistemi di rimozione del ghiaccio occorre fare attenzione che la configurazione

del velivolo sia tale da non avere inconvenienti a causa del ghiaccio che si stacca dall’ala; il

ghiaccio così staccato non deve poter urtare coi piani di coda, non deve entrare nei motori, ecc.

Fig. 5.2) Sistema elettrico di rimozione

Bisogna ricordare, inoltre, che attualmente sono stati sperimentati, in collaborazione con la

NASA, un sistema denominato PIIP (Pneumatic Impulse Ice Protection), e altri due chiamati

EIDI (Electromagnetic Impulse Deice) e EEDI (Electro Espulsive Deice).

5.2) Sistemi antighiaccio (anti-ice)

Su un velivolo ci sono diverse zone che necessitano di un’efficace protezione antighiaccio

(fig. 5.3):

- Bordo d’attacco (ala, stabilizzatore e deriva)

- Ipersostentatori (flaps, slats)

- Antenna

- Parabrezza

- Carburatori

- Sensori di rilevamento dati d’aria (tubo di pitot, prese statiche, sonda di rilevamento

della temperatura e sensore dell’angolo d’incidenza)

- Drenaggi igienici, tubazioni dell’acqua

- Prese d’aria dei motori

- Bordi d’attacco delle pale dell’elica

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Attualmente il principio degli impianti antighiaccio è basato sul riscaldamento ottenuto

Fig. 5.3) Ice Control Areas and Methods

utilizzando l’aria calda fornita dall’impianto pneumatico oppure sfruttando il calore generato

per effetto Joule da resistenza elettriche.

5.2.1) Bordo d’attacco, ipersostentatori e antenne

Bordo d’attacco, ipersostentatori e antenne hanno un sistema ad aria calda per la prevenzione

della formazione del ghiaccio.

L’impianto ha lo scopo di prevenire o rimuovere le formazioni di ghiaccio sulle superfici,

in modo da impedire l’aumento di peso e di mantenere il profilo dei bordi aerodinamicamente

accettabile.

Esso funziona utilizzando l’aria calda fornita dall’impianto pneumatico, la quale viene

inviata per mezzo di condotti di distribuzione all’interno dei pannelli delle semiali e

dell’antenna.

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L’impianto antighiaccio, tramite la circolazione d’aria calda internamente alle superfici,

mantiene le stesse ad una temperatura tale da impedire le formazioni di ghiaccio.

L’invio dell’aria calda (la temperatura dell’aria immessa è dell’ordine dei 200 °C), spillata

dal compressore e mescolata a quella esterna, è controllato da una o più valvole d’esclusione.

Le valvole d’esclusione, comandate da un apposito pulsante (TAIL) e attuate

pneumaticamente, consento l’invio dell’aria calda alle superfici interessate al riscaldamento.

Le valvole si aprono per brevi periodi, seguendo un ciclo di funzionamento controllato

automaticamente da un circuito temporizzatore (timer).

In caso di rottura di un condotto e conseguente surriscaldamento delle superfici,

l’intervento di sensori di sovratemperatura provoca la chiusura della valvola regolatrice di

pressione, escludendo quindi l’invio dell’aria calda all’impianto antighiaccio.

L’impianto finora descritto può essere utilizzato solo in volo, ma può essere controllato a

terra.

Il sistema antighiaccio consiste di tubi di lega di alluminio, acciaio inossidabile, titanio o

in materiale composito rinforzato con fibre di vetro.

È da notare che, per quanto la quantità d’aria da spillare dal compressore sia rilevante,

l’inserimento dell’impianto avviene solo quando le condizioni atmosferiche lo richiedano.

Questo comporta un degrado delle prestazioni del motore in tali condizioni, degrado

tollerabile nei turboreattori, ma non sempre possibile nei motori turboelica dove l’equilibrio

compressore- turbina-asse elica può essere troppo perturbato. Si tenga inoltre presente che tale

sistema deve poter essere attivato in caso di avaria di un motore.

Impiegando energia pneumatica si ha un impianto estremamente semplice essendo in

pratica costituito da una valvola di intercettazione e da tubazioni che convogliano l’aria nella

cella anteriore dell’ala, soffiandola verso il bordo di attacco (fig. 5.4).

Nel caso di presenza di superfici di ipersostentazione anteriore occorre scaldare anche la

parte mobile e questo complica leggermente i collegamenti, realizzabili comunque per esempio

Fig. 5.4) Sistema aerotermico per il bordo d’attacco

mediante tubi flessibili.

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5.2.2) L’impianto antighiaccio motore

L’impianto antighiaccio motore è del tipo “anti-ice” ed ha lo scopo di evitare l’ingestione di

ghiaccio nel motore stesso e variazioni della portata d’aria nel compressore.

Su alcuni motori a reazione l'impianto è costituito da due parti: una provvede al

riscaldamento della presa d'aria, mentre l'altra previene le formazioni di ghiaccio sulle palette

di prerotazione del compressore e sull'ogiva.

Entrambi le parti dell'impianto sono controllate da un unico interruttore di comando, posto

in cabina piloti.

L'aria calda prelevata dall' 8° stadio del compressore viene convogliata sulla superficie

interna delle palette di prerotazione e dell'ogiva per mezzo di due valvole antighiaccio

(ENGINE ANTI-ICE VALVES).

L'antighiaccio della presa d'aria utilizza invece aria calda proveniente dal 13° stadio del

compressore, prelevata attraverso un'unica valvola anti-ghiaccio.(COWL ANTI-ICE VALVE).

Una valvola reg

inviato alla presa d'

L'aria viene

opportunamente dis

Dopo aver lamb

deflettori, l'aria si s

d'aria.

Su altri tipi di

anteriore della pres

motore stesso o da

ANTI-ICE VALVE

olatri

aria, i

imme

tanzia

ito so

carica

motor

a d'ar

ll'imp

), con

Fig. 5.5) Impianto antighiaccio motore

ce (THERMAL REGULATOR VALVE) controlla il flusso dell'aria

n funzione della temperatura dell'aria d’alimentazione.

ssa nell'intercapedine della presa d'aria attraverso dei fori

ti posti sulla superficie interna dell'intercapedine stessa.

lo la superficie interna dell'intercapedine, grazie all'azione di appositi

all'esterno attraverso una luce posta sulla parte inferiore della presa

i, l'impianto antighiaccio provvede al riscaldamento solo del bordo

ia. A tale scopo viene utilizzata l’aria prelevata dal compressore del

ianto pneumatico, attraverso una valvola antighiaccio (NACELLE

trollata da un apposito interruttore.

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Quando l'interruttore è posto su "ON", la valvola si apre e modula l'invio del flusso d'aria,

in modo da mantenere una pressione costante.

Con valvola aperta e presenza di flusso d'aria, si ha l'accensione di una luce posta in cabina

piloti (VALVE OPEN).

In caso di avaria della valvola che comporti un aumento di pressione superiore ad un valore

prestabilito, l'intervento di un interruttore di sovrappressione, provoca l'accensione di una luce

di avviso (NAC TAI VALVE).

5.2.3) Il parabrezza

Il parabrezza deve essere tenuto libero dal ghiaccio e dalla brina, per non creare insidiosi

problemi di visibilità ai piloti.

L’impianto ha lo scopo di evitare formazioni di ghiaccio sui parabrezza (windshields) e di

impedire l’appannamento (defogging) dei parabrezza dei finestrini (windows) laterali ed

eventualmente superiori. Il riscaldamento consente inoltre di mantenere i parabrezza ad una

temperatura costante, in modo da rendere ottimale la resistenza all’impatto dell’aria ed

eventualmente contro volatili.

Esistono diversi sistemi antighiaccio per il parabrezza e sono:

a) I parabrezza con intercapedine hanno due pannelli di vetro separati da un passaggio

d’aria calda che previene la formazione del ghiaccio

b) L’antighiaccio chimico impiega alcol propilenico puro o una miscela con glicole

etilenico. La miscela è trasportata in una tanica di rifornimento.

c) Uno dei più comuni metodi di controllo del ghiaccio sul parabrezza è l’uso di

elementi resistivi elettrici integrati nel parabrezza.

5.2.4) I carburatori

I carburatori dei motori alternativi sono dotati di dispositivi antighiaccio ad alcool e ad aria

calda.

Un sistema tipico ad alcool può comandare l’afflusso di fluido al carburatore, all’elica e al

parabrezza.

L’aria calda fluisce invece intorno alle tubazioni di scarico prima dell’ingresso nel carburatore.

5.2.5) Resistenze elettriche

Per piccole superfici, quali le prese d’aria per gli strumenti anemometrici, o per superfici

non raggiungibili con condotti d’aria, come i bordi d’attacco delle eliche, si preferisce

l’impiego di riscaldamento mediante resistenze elettriche.

Il riscaldamento previene o rimuove eventuali formazioni di ghiaccio che potrebbe influire

negativamente sulla precisione delle informazioni fornite dalle sonde.

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Con impianto inserito ed aeromobile a terra, il riscaldatore della sonda di temperatura non è

alimentato. Esso viene inserito automaticamente al decollo.

Il discorso appena fatto vale anche per le linee di drenaggio delle acque di scarico, per le linee

dell’impianto acqua e per le varie pinne di drenaggio.

ALCUNI TIPICI INCIDENTI AERONAUTICI

Per comprendere meglio la serietà dei fenomeni provocati dalla formazione di ghiaccio

risulta utile analizzare gli incidenti aeronautici più significativi avvenuti a causa di tale

contaminante. Durante il progetto EURICE, il CIRA ed altri Enti aerospaziali, realizzarono

una banca dati contenente tutti gli eventi significativi accaduti a causa del ghiaccio;

l’Università di Pisa poi, ha selezionato da tale banca 83 incidenti riguardanti velivoli con più di

7 persone a bordo. Utilizzando questo ristretto gruppo d’eventi è stato possibile realizzare

un’analisi più approfondita dei 20 casi in cui purtroppo si sono verificate perdite di vite umane:

questi sono stati riportati cronologicamente in figura 6.1.

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PistonTurbo-propJet

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Fig. 6.1) Incidenti mortali provocati dalla formazione di ghiaccio su velivoli con più di 7 persone a bordo

veduto, inoltre, a classificare gli incidenti anche in funzione delle cause e della

in cui questi si sono manifestati. Per quanto concerne le cause, il 35% sono stati

formazione di ghiaccio sulle superfici aerodinamiche, il 26% da formazione di

otore, il 16% da formazione di ghiaccio al suolo ed il 23% da altre cause. Per

erne la fase di volo invece è interessante notare che, per quanto concerne i

li eventi sono risultati ugualmente distribuiti in tutte le fasi di volo, mentre, per

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quanto riguarda i velivoli turbogetto, gli incidenti sono accaduti essenzialmente per

formazione di ghiaccio al suolo.

Nelle pagine seguenti, grazie alla banca dati del progetto EURICE, si sono analizzati tre

incidenti tipici e rappresentativi:

• 1 Dicembre 1974; B-727 presso Thiells, New York (USA):

ghiaccio alle sonde strumentali

• 9 Gennaio 1997; Embraer -120RT (USA):

mancato utilizzo dei “boots” pneumatici

• 11 Novembre 1998; Saab 340A presso Melbourne (Australia):

stallo per ghiaccio sulle ali

6.1) 1 Dicembre 1974; B-727 presso Thiells, New York (USA): ghiaccio alle sonde strumentali

Modello di aeroplano Ditta costruttrice Peso del velivolo

Ditta costruttrice dei motori Tipo di motore

Potenza (per motore) Tipo di propulsione Numero di motori

727 Boeing

72570 - 95030 Kg Pratt & Whitney Canada

JT8D 14000 - 17400 lb st

Jet 3

Questo incidente riguarda un volo di trasferimento notturno effettuato da New York a

Buffalo. Durante la salita a 31000 ft, l’equipaggio effettuava una serie di comunicazioni radio

d’emergenza in cui si specificava che il velivolo era fuori controllo ed in stallo. Subito dopo,

l’aeromobile iniziava una drastica discesa, si squarciava in volo ed impattava terra vicino alla

città di New York.

Durante l’esame del relitto, gli investigatori scoprirono che i due interruttori “pitot heat” si

trovavano ancora in posizione “OFF” mentre, in un secondo tempo, l’analisi del registratore di

bordo rivelò che i controlli pre-decollo furono svolti in maniera approssimativa facendo sì che

l’equipaggio dimenticasse di accendere il sistema di riscaldamento sonde prima di involarsi.

La commissione d’inchiesta riuscì successivamente a ricostruire anche la dinamica

dell’incidente; così fu appurato che mentre il velivolo attraversava 16000 ft, salendo a 305 kias

ed a 2500 ft al minuto, la velocità anemometrica, improvvisamente e senza alcuna variazione

di spinta, cominciò ad aumentare. Tale sintomo non fu interpretato correttamente

dall’equipaggio che attribuì tale evento all’assenza di carico pagante presente a bordo. Come il

velivolo raggiunse 23000 ft si attivò anche l’avviso di “Mach- overspeed” e così l’equipaggio

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aumentò l’assetto del velivolo nel tentativo di ridurre la velocità. In breve, l’aumento di assetto

provocò un ampio incremento dell’angolo d’incidenza che a sua volta attivò gli avvisi di stallo,

disorientò completamente l’equipaggio e causò la perdita del controllo dell’aeromobile.

6.1.1) Gli insegnamenti principali

Malgrado questo incidente non sia molto noto, forse perché comportò la perdita dei soli tre

membri d’equipaggio, è ritenuto dagli addetti ai lavori degno d’attenzione; questo rappresenta

il classico esempio in cui l’atmosfera rilassata, probabilmente per il fatto che il volo fosse

privo di passeggeri, portò l’equipaggio, nonostante esperto e ben addestrato, a non eseguire i

controlli con la dovuta attenzione ed, in ultima analisi, all’incidente.

6.2) 9 Gennaio 1997; Embraer -120RT (USA): mancato utilizzo dei “boots” pneumatici

Modello di aeroplano

Ditta costruttrice Peso del velivolo

Ditta costruttrice dei motori Tipo di motore

Potenza (per motore) Tipo di propulsione Numero di motori

EMB-120 Brasilia Embraer

11500 - 11990 Kg Pratt & Whitney

PW 118 1800 shp

Turboprop 2

In data 9 Gennaio 1997 il volo Comair 3272, un Embraer-120, in discesa da 7000 ft con

autopilota inserito e flaps retratti, veniva istruito dal controllo del traffico aereo a scendere a

4000 ft e ad intercettare il localizzatore della pista 3R a DTW. Dopo aver raggiunto la quota

assegnata, all’equipaggio veniva comunicato di ridurre la velocità a 150 kias e di virare a

sinistra.

E’ probabile che durante la discesa da 7000 a 4000 ft il volo 3272 incontrò condizioni

favorevoli alla formazione di ghiaccio. Durante tale fase di volo è possibile che gradualmente

il velivolo accumulò un discreto strato di ghiaccio “misto” che, non solo ricoprì tutto il bordo

d’attacco dell’ala, ma che formò anche un discreto scalino.

L’equipaggio, verosimilmente ignaro del graduale accumulo di contaminante, non attivava i

“boots” pneumatici ed inoltre le variazioni di potenza, le variazioni di rotta e le riduzioni di

velocità, svolte nelle ultime fasi del volo sempre con l’autopilota inserito, impedivano

probabilmente all’equipaggio di percepire il graduale peggioramento delle prestazioni del

velivolo. Quando il controllo del traffico aereo ordinava all’equipaggio di virare a sinistra,

l’autopilota, inserito in modalità “mantenimento quota”, iniziava ad abbassare l’ala sinistra nel

tentativo di ottenere 25° di angolo di banco; mentre l’assetto del velivolo attraversava i 20° di

inclinazione a sinistra (LWD) e la velocità diminuiva a 164 kias, l’autopilota iniziava ad

invertire i comandi per decelerare la velocità di rollio ed acquisire i 25° LWD programmati.

Nonostante i comandi dell’autopilota fossero nel giusto senso, il velivolo continuava a rollare a

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sinistra superando i 25° prestabiliti, inoltre malgrado la potenza fosse stata aumentata a più del

90% la velocità continuava a diminuire e, per mantenere la quota, l’equipaggio notava che

l’autopilota continuava a trimmare il velivolo “nose-up”. Come l’angolo di banco superava i

45° LWD l’autopilota si scollegava e, contemporaneamente, l’equipaggio percepiva

l’attivazione dello “shaker”. Poco prima dello sgancio dell’autopilota il volantino era inclinato

circa 20° a destra; non appena l’autopilota si sganciava, il volantino repentinamente si

ricentralizzava ed il velivolo istantaneamente accentuava l’inclinazione a sinistra, fino a

raggiungere un assetto laterale di 140° LWD e longitudinale di 50° a picchiare. L’equipaggio,

purtroppo, non fu in grado di riacquisire il controllo del velivolo e, dopo continue ed ampie

oscillazioni laterali e longitudinali, il velivolo impattava il suolo con un assetto decisamente

picchiato.

Gli investigatori dell’NTSB conclusero che la tendenza a rollare verso sinistra fu causata da

uno strato di ghiaccio sul bordo d’attacco dell’ala accumulato durante la discesa da 7000 a

4000 ft. Tale tendenza fu accentuata da un distacco asimmetrico di tale contaminante, dalla

reazione provocata dall’aumento di potenza dei motori e dalla posizione del volantino al

momento del distacco automatico dell’autopilota.

6.2.1) Gli insegnamenti principali

La commissione d’inchiesta dell’NTSB determinò che:

• La causa principale dell’incidente fu la mancata attivazione da parte

dell’equipaggio dei “boots” pneumatici. Ciò potrebbe essere stato causato dal fatto

che l’equipaggio non si rese conto della presenza del ghiaccio sul bordo di attacco

del velivolo o dal fatto che, per evitare il fenomeno dell’ “ice bridging”, stesse

attendendo una quantità di contaminante maggiore prima di attivare il sistema di

sghiacciamento. Tuttavia il fenomeno dell’ “ice bridging” non è stato mai

documentato, mentre è accertato che anche un sottile strato di contaminante può

avere conseguenze catastrofiche in merito alla volabilità di un aeromobile.

• In condizioni metereologiche favorevoli alla formazione di ghiaccio la velocità di

150 kias, assegnata dal controllo del traffico aereo, sarebbe risultata comunque

insufficiente per un avvicinamento in sicurezza; in effetti, in tali condizioni

atmosferiche, la minima velocità riportata sul manuale del velivolo, per quanto

concerne eventuali circuiti di attesa, è di 160 kias.

• E’ vitale attivare i “boots” pneumatici non appena il velivolo entra in condizioni

metereologiche favorevoli alla formazione di ghiaccio e mantenere una velocità

minima maggiorata. In ogni caso seguire scrupolosamente le indicazione specifiche

contenute nel manuale del velivolo.

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Un uso improprio dell’autopilota può mascherare il graduale degrado delle prestazioni

aerodinamiche del velivolo.

6.3) 11 Novembre 1998; Saab 340A presso Melbourne (Australia): stallo per ghiaccio sulle ali

Modello di aeroplano Ditta costruttrice Peso del velivolo

Ditta costruttrice dei motori Tipo di motore

Potenza (per motore) Tipo di propulsione Numero di motori

SF-340A Saab

12370-13155 Kg General Electric

CT7 1735-1870 shp

Turboprop 2

In data 11 Novembre 1998 un Saab 340A effettuava un regolare volo di linea da Albury a

Melbourne. Il velivolo volava in nube ad una quota di crociera di 15000 ft e ad una

temperatura esterna di –6°C. L’equipaggio aveva perciò attivato i sistemi anti-ghiaccio motori

ed eliche tuttavia, osservando solamente delle lievi particelle di ghiaccio sul bordo d’attacco

delle ali, decideva di non mettere in azione il sistema di “boots” pneumatici. D’altra parte

l’equipaggio era fiducioso di tale scelta in quanto, successivamente, riferirà che

precedentemente aveva attraversato, senza alcun problema, formazioni nuvolose in grado di

produrre quantitativi di ghiaccio ben maggiori.

Non appena l’equipaggio entrò in comunicazione con l’avvicinamento di Melbourne veniva

istruito ad effettuare dei circuiti di attesa sul VOR di Eildon Weir. Raggiungendo il VOR

l’equipaggio riduceva la potenza dei motori per entrare in “holding” ad una velocità di 154

kias. Dal registratore di bordo, inoltre, si poté determinare che il velivolo iniziò l’attesa con i

flaps completamente retratti. Durante la virata l’equipaggio lasciava che la velocità

gradualmente diminuisse fino a quando, a 141 kias, iniziò a percepire un leggero “buffet”

aerodinamico. Sei secondi dopo, la velocità raggiungeva i 136 kias ed a questo punto

l’autopilota si sganciava. Un secondo dopo, il velivolo abbassava bruscamente l’ala ed il muso,

comportamento tipico di una situazione di stallo, ed in breve raggiungeva un’inclinazione alare

di 126° a sinistra ed un assetto picchiato di ben 32° . L’equipaggio riacquisiva il controllo del

velivolo a 12700 ft circa.

Inizialmente i piloti ritennero che il “buffet” fosse stato causato da uno sbilanciamento

nello sghiacciamento delle pale delle eliche inoltre, pensarono che la successiva perdita di

controllo fosse stata causata da una improvvisa e violenta turbolenza. Solamente dopo aver

riguadagnato il controllo del velivolo, notando la presenza di una ben distinta linea di ghiaccio

brinoso lungo tutto il bordo d’attacco dell’ala, capirono come in realtà erano andate le cose. E’

interessante notare, inoltre, che l’equipaggio ebbe solamente tenui e brevi indizi per

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interpretare la gravità della situazione: in pochi istanti il “buffet” e lo sgancio dell’autopilota

furono gli unici sintomi prima che il velivolo si trovasse, improvvisamente, in stallo.

6.3.1) Gli insegnamenti principali

In questo evento, malgrado la perdita di 2300 ft ed il ferimento di un assistente di volo,

l’equipaggio fortunatamente riuscì ad evitare la perdita dell’aeromobile. Nonostante ciò, esso

costituisce un episodio frequentemente ricordato in quanto la commissione d’inchiesta attribuì

al mancato azionamento dei “boots” pneumatici la principale responsabilità dell’evento. Come

si evince dalle testimonianze dei piloti, i “boots” non furono attivati in quanto l’equipaggio

ritenne che la tenue linea di ghiaccio brinoso sul bordo d’attacco dell’ala fosse di entità

trascurabile. In realtà, oggi sappiamo con certezza che anche un quantitativo di ghiaccio tanto

trascurabile è in grado di aumentare notevolmente la velocità di stallo dei velivoli: questo è

proprio quello che accadde nel suddetto evento.

Inoltre gli investigatori australiani conclusero che un’importante concausa fu il breve

margine che l’equipaggio riscontrò tra gli avvisi di pre-stallo e lo stallo vero e proprio. In

effetti il velivolo era stato equipaggiato con un sistema artificiale di stallo in quanto, durante la

sperimentazione, erano stati ritenuti insufficienti gli avvisi naturali che preannunciavano tale

fenomeno aerodinamico. Tuttavia il manuale del velivolo affermava distintamente che, nel

caso il velivolo risultasse contaminato da ghiaccio, lo stallo sarebbe comunque potuto avvenire

anche prima dell’attivazione degli avvisi artificiali di stallo: purtroppo tutto ciò si verificò

fedelmente durante il volo del Saab 340A l’11 Novembre 1998, apportando così un

considerevole contributo al già notevole disorientamento dell’equipaggio.

SVILUPPI TECNOLOGICI

La ricerca nell'ambito della formazione ghiaccio mira all'aumento della sicurezza del volo

ed alla riduzione dei costi nelle fasi di progetto e certificazione degli aeromobili. Anche se

nell'area della protezione dal ghiaccio in questi anni sono stati realizzati progressi importanti, il

ghiaccio è sempre una causa importante di incidenti sia di aeroplani che di elicotteri. La

formazione ghiaccio sugli aeromobili è un ambito multidisciplinare dove sono strettamente

correlate la meteorologia, la fisica del ghiaccio, l'aerodinamica ed i processi di certificazione.

Oggi grazie alla realizzazione di gallerie aerodinamiche, è possibile la simulazione delle

condizioni che provocano la formazione di ghiaccio sui velivoli.

La più importante di queste è sicuramente l’IWT (Icing Wind Tunnel). Essa è stata

realizzata dal CIRA (Centro Italiano Ricerche Aerospaziali) allo scopo di simulare sia le

formazioni di ghiaccio che le forze e i momenti agenti sul velivolo nelle condizioni favorevoli

alle formazioni di ghiaccio.

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L’IWT possiede caratteristiche che superano quelle degli altri impianti esistenti nel mondo

(IRT-NASA Glenn, BRAIT-Boeing Seattle) consentendo di:

• Simulare l’effetto della quota sull’accrescimento del ghiaccio, fino a 7000 metri di

altitudine e con temperature fino a 40 gradi sotto zero;

• Realizzare un controllo del livello di umidità fino al 70% RH;

• Generare nuvole uniformi con gocce di dimensioni da 5 a 300 micron.

Come tunnel a ghiaccio l’IWT consente l’esecuzione di prove per:

• Verificare la conformità dei sistemi di rilevamento e protezione al ghiaccio ai

requisiti dettati, sia dalle norme attualmente in vigore, sia da quelle ancora in corso

di definizione, in cui si prende in considerazione il caso di nuvole composte da

gocce di grandi dimensioni;

• Studiare i fenomeni legati all’accrescimento del ghiaccio, tra cui il degrado delle

prestazioni, sulle superfici esposte di differenti tipi di velivoli;

• Sviluppare nuove tecnologie per la misura dei parametri che caratterizzano le

nuvole;

L’IWT è equipaggiato

con quattro differenti

camere di prova, al fine

di soddisfare vari

requisiti di prova, in

termini di velocità,

dimensioni dei modelli,

estensione ed uniformità

delle nubi.

Quello che comunque caratterizza l’IWT del CIRA è soprattutto la possibilità di simulare la

quota di volo (non possibile in altri impianti) e di simulare condizioni di ghiaccio estreme.

CIRA tuttavia è anche impegnato nello sviluppo di modelli di accrescimento ghiaccio 2D

(il codice MULTI-ICE), modelli di accrescimento ghiaccio 3D (il codice HELICE) e di

metodologie per la predizione del degrado aerodinamico causato dal ghiaccio.

Oggi infatti la simulazione numerica viene ad avere una notevole importanza, non solo in

questo campo, in quanto permette di ricreare al computer situazione irrealizzabili praticamente

(costi e problematiche di impianti).

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HELICE : calcolatore numerico

impiegato per lo studio

dell’accrescimento del ghiaccio.

CONCLUSIONI Come si è potuto capire da questa relazione e dai numerosi incidenti verificatisi, il ghiaccio

non è sicuramente un fenomeno trascurabile ne per i piloti ne tanto meno per gli ingegneri.

Proprio grazie a quest’ultimi infatti sono stati fatti enormi progressi , non solo per quanto

concerne i sistemi de-ice e anti-ice ma anche nel modo di risolvere il problema; basti pensare

che non molto tempo fa per verificare gli effetti del ghiaccio sul velivolo si ricorreva a delle

soluzioni abbastanza approssimative; ovvero si faceva volare l’aereo, in una zona al di sotto

dello zero termico (zone nella quale è possibile la formazione di ghiaccio), da analizzare dietro

un’ altro, il quale immetteva, dietro di se, delle goccioline d’acqua che inevitabilmente

impattavano il velivolo “prova” formando ghiaccio nelle zone tipiche (bordo d’attacco dell’ala,

antenne ecc.).

Si capisce bene ora che questo metodo era al quanto grossolano: si poteva si testare i

sistemi de-ice e anti-ice, ma nello stesso tempo non era possibile analizzare i dati inerenti gli

sforzi e i momenti caratteristici, come invece oggi è possibile tramite sistemi più avanzati

(computer, simulatori numerici ecc.).

Ma la tecnologia non si è fermata qui, e si è capito che si doveva e si poteva fare di più,

anche perché numerosi incidenti, a causa di questo problema, si stavano succedendo.

Allora si iniziarono a costruire, o meglio, a potenziare le gallerie aerodinamiche già

esistenti, in modo da poter studiare l’accrescimento del ghiaccio in qualsiasi situazione

potenzialmente pericolosa.

Tuttavia anche questa soluzione (gallerie aerodinamiche potenziate per lo studio delle

formazioni di ghiaccio) se da una parte permise di ottenere più informazioni e di certificare i

sistemi de-ice e anti-ice dall’altra risultò molto oneroso effettuare prove di questo tipo;

venivano analizzati infatti velivoli, a volte, in scala reale e questo significava non solo creare

un velivolo solamente per le prove e gli studi sperimentali ma anche gallerie enormi in grado

di contenere questi velivoli.

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BRAIT-Boeing Seattle:

Galleria di ghiaccio utilizzata

solo per programmi Boeing.

Oggi invece si preferisce analizzare, in gallerie ovviamente di dimensioni più modeste, solo

alcune parti del velivolo esposte: semiali, flap, slat, piani di coda ecc.

Non bisogna dimenticare, inoltre, che a tutti i progressi che si sono avuti e che si stanno

avendo (simulazioni numeriche in ultimo) anche i piloti sono diventati più sensibili a questo

problema, infatti come esposto precedentemente, in alcuni incidenti dovuti alla formazione del

ghiaccio, la negligenza unita all’inesperienza del problema da parte dei piloti hanno portato,

purtroppo, a gravi e, spesso, mortali conseguenze.

Oggi come oggi le problematiche del volo in condizioni di formazione di ghiaccio non solo

non sono state ancora risolte ma molto rimane ancora da fare per evitare spiacevoli

conseguenze; tuttavia il fatto che questo problema sia divenuto oggetto di studio più assiduo

per gli ingegneri (anche in Italia con la costruzione dell’IWT) e che i piloti abbiano imparato a

conviverci, sono dati incoraggianti che fanno sperare bene per il prossimo futuro.

RINGRAZIAMENTI

La realizzazione di questa ricerca è avvenuta anche grazie agli aiuti e suggerimenti del prof.

Ordinario di Strutture Aeronautiche, Leonardo Lecce (Università degli studi di Napoli) e

dell’ingegnere del Centro Italiano Ricerche Aerospaziali (CIRA), Giuseppe Mingione.

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