ponti strallati

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    I

    INDICE Capitolo 1 Analisi Preliminare

    1.1 Definizione della geometria 1 1.1.1 Passo degli stralli 1 1.1.2 Inclinazione degli stralli 2 1.1.3 Altezza della torre 3

    1.2 Scelta dello schema strutturale 3 1.3 Scelta del sistema di sospensione 7

    1.4 Scelta della configurazione del pilone 8 1.5 Scelta dellimpalcato 11 Bibliografia 13 Capitolo 2 Analisi Statica

    2.1 Predimensionamento 15 2.1.1 Pilone 15 2.1.2 Passo stralli 15 2.1.3 Spessore impalcato 16 2.1.4 Stralli 16

    2.1.4.1 Stralli di campata 17 2.1.4.2 Stralli di ormeggio 18 2.1.4.3 Pretensione stralli 19

    2.2 Lelemento cavo 21 2.2.1 Strallo sotto sforzi assiali 21

    2.3 Modellazione della struttura 30 2.3.1 Modelli piani 30 2.3.2 Modello spaziale 31

    2.4 Fenomeni di fatica 32 2.5 Considerazioni sulle linee di influenza 38 2.6 Lanalisi strutturale con il metodo degli elementi finiti 39

    2.6.1 Fasi operative 40 2.6.2 Lapproccio agli spostamenti 41

    2.6.2.1 Il modello cinematico 41 2.6.2.2 Forze nodali 47

    2.6.3 Analisi elastica 50 2.6.3.1 Propriet elastiche di un elemento finito 50 2.6.3.2 Cambiamento di riferimento 52

  • Indice

    II

    2.6.3.3 Assemblaggio 55 2.6.3.4 Vincoli e spostamenti assegnati 55

    2.6.4 Effetti del secondo ordine (non-linearit geometriche) 56 2.6.4.1 Approccio energetico 56 2.6.4.2 Lo studio dei ponti strallati in regime elastico con il

    metodo degli elementi finiti tenendo conto degli effetti del secondo ordine 60

    Metodi risolutivi per problemi non-lineari: il metodo di Newton-Raphson 62

    Metodi risolutivi per problemi non-lineari: metodo di calcolo incrementale 65

    Metodi risolutivi per problemi non-lineari: il metodo incrementale iterativo di Newton-Raphson 66

    Osservazioni sul concetto di matrice di rigidezza tangente nel riferimento generale 68

    Osservazioni sul metodo incrementale iterativo di Newton-Raphson 70

    Valutazione approssimata degli effetti del secondo ordine: il metodo dei tagli fittizi (effetto P-D) 71

    2.6.5 Effetti dei tratti rigidi 72 2.6.6 Effetto della deformabilit tagliante 73

    Bibliografia 75

    Capitolo 3 Analisi Dinamica

    3.1 Sistemi discreti a pi gradi di libert 77 3.1.1 Richiami teorici 77

    3.1.1.1 Equazioni del moto di sistemi elastici lineari discreti 77 3.1.1.2 Oscillazioni libere senza smorzamento di sistemi

    discreti 79 3.1.2 Determinazione della matrice delle masse 82 3.1.3 Determinazione della matrice di smorzamento 83

    3.1.3.1 Osservazioni sulla matrice di smorzamento 85 3.2 Analisi modale 85

    3.2.1 Influenza della non-linearit geometrica sullanalisi modale 86

    3.3 Analisi sismica per sovrapposizione modale con spettro di Risposta 88

  • Indice

    III

    3.4 Analisi dinamica mediante integrazione numerica dellequazione del moto 92

    3.4.1 Metodo di Newmark 92 3.4.2 Metodo dellaccelerazione costante media 94 3.4.3 Metodo dellaccelerazione lineare 95 3.4.4 Metodo di Wilson (Wilson-q method) 96

    3.5 Dinamica delle funi 98 Approccio energetico 98 Considerando lequilibrio dinamico 100

    3.6 Interazione suolo-struttura 104 Bibliografia 105

    Capitolo 4 Analisi della Stabilit

    4.1 La stabilit come problema statico 107 4.1.1 Descrizione del problema 107 4.1.2 Calcolo del carico critico 108 4.1.3 Osservazioni sullanalisi della stabilit dei ponti

    strallati 109 4.2 La stabilit come problema dinamico 110

    4.2.1 Effetti dinamici del vento 110 4.2.1.1 Oscillazioni forzate 110 4.2.1.2 Oscillazioni autoeccitate 112

    4.2.1.2.1 Vibrazioni autoeccitate, dovute al vento, per interazione di sollecitazioni diverse 113

    Flutter 113 Flutter-Buffeting 120 Stall-Flutter 120 Osservazioni sulla determinazione delle velocit

    critiche 123 4.2.1.2.2 Vibrazioni autoeccitate, dovute al vento, per forma del corpo 124

    Galloping 124 4.2.1.3 Prevenzione dellinstabilit aerodinamica 128

    Bibliografia 129

    Conclusioni 131

  • Analisi Preliminare

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    CAPITOLO 1 ANALISI PRELIMINARE

    1.1 DEFINIZIONE DELLA GEOMETRIA

    La definizione della geometria di un ponte strallato il primo passo di un lungo iter costellato da ripetuti cambiamenti dovuti a fattori che si presentano con le varie fasi del progetto, questo perch il progetto di un ponte strallato, cos come di molte altre strutture, legato a fattori economici costruttivi e negli ultimi anni anche estetici. Soprattutto questultimo spesso prevalente sugli altri. Qui vengono riportati dei metodi, molte volte dettati dallesperienza maturata con ponti strallati realizzati in passato, che permettono di definire alcune grandezze essenziali per poter dimensionare il ponte. 1.1.1 PASSO DEGLI STRALLI Nei primi ponti strallati erano utilizzati pochi stralli con ampi spazi, es. Ponte di Maracaibo in Venezuela, Polcevera a Genova realizzati da RICCARDO MORANDI, il che portava ad avere grandi sforzi nei cavi i quali richiedevano complicati congegni di ancoraggio nonch spessori notevoli dellimpalcato per la grande distanza che cera fra i pochi cavi. Attualmente si utilizzano molti stralli con spazi molto pi ridotti. I vantaggi dellutilizzo di una strallatura diffusa sono:

    il grande numero di supporti elastici che porta a moderate flessioni longitudinali dellimpalcato sia durante la costruzione che in esercizio, rendendo possibile lutilizzo di semplici ed economici metodi di costruzione;

    cavi di diametro pi piccolo rispetto a strutture con stralli

    concentrati, il che semplifica la loro installazione, il loro ancoraggio e soprattutto la loro sostituzione;

  • Analisi Preliminare

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    la possibilit di poter utilizzare impalcati sottili con enormi vantaggi dal punto di vista della stabilit aerodinamica.

    Il passo degli stralli generalmente mantenuto costante, orientativamente 6-15 metri, ma potrebbe decrementare andando dal pilone verso la parte centrale in modo che le forze non siano molto differenti tra uno strallo e il successivo. 1.1.2 INCLINAZIONE DEGLI STRALLI Laltezza del pilone influenza molto la rigidezza del sistema strutturale, infatti con laumento dellinclinazione del cavo diminuisce la tensione nello stesso, oltre che non linearit e gli sforzi nellimpalcato. Linclinazione degli stralli pu essere messa in relazione con labbassamento del nodo che funge da collegamento fra limpalcato e lo strallo pi inclinato.

    Su tale grafico si vede che linclinazione ottimale dei cavi 45 ma pu variare nel ragionevole limite di 25-65 (figura 1.1). I bassi valori dellangolo di inclinazione corrispondono ai cavi esterni, mentre i valori pi alti corrispondono ai cavi pi vicini al pilone.

    Figura 1.1

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    1.1.3 ALTEZZA DELLA TORRE Laltezza della torre come funzione della lunghezza an dei pannelli pu essere espressa da:

    ananh == 465.025tan

    dove n il numero della campate che insistono fra la torre e lo strallo pi inclinato. Pi in generale possiamo scrivere (figura 1.2):

    = 25tancLh

    Tale relazione ci fornisce laltezza minima della torre al di sotto della quale sarebbe opportuno non andare.

    1.2 SCELTA DELLO SCHEMA STRUTTURALE Gli schemi strutturali tipici dei ponti strallati possono suddividersi in due categorie fondamentali che si differenziano sostanzialmente soprattutto nei riguardi del comportamento statico, mentre la loro differenziazione formale legata solo alla disposizione geometrica degli stralli, precisamente (figura 1.3):

    1. schema con stralli ad arpa;

    2. schema con stralli a ventaglio.

    Figura 1.2

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    In merito alla natura dei vincoli esterni ed interni della struttura, gli esterni di ogni strallo si possono ipotizzare dalle cerniere, senza per che queste costituiscono degli snodi delle membrature cui fanno capo. Dal punto di vista statico, considerando due ponti strallati: ad arpa uno e a ventaglio laltro di uguale caratteristiche geometriche, il ponte ad arpa induce nellimpalcato uno sforzo normale doppio rispetto a quello a ventaglio. Se supponiamo che il passo fra gli stralli sia piccolissimo, considerando lo schema a ventaglio (figura 1.4), si ha:

    xLHTan

    dNdxq

    ==

    dNH

    dxxLq=

    )( dxxL

    HqdN = )( = x dxHxqHLqN 0

    Hxq

    HxLqN

    2

    2

    = HLq

    HLq

    HLqLxN

    22)(

    222

    max

    =

    ==

    Figura 1.3

  • Analisi Preliminare

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    Schema a ventaglio

    HLqN

    2

    2

    max

    =

    Per lo schema ad arpa (figura 1.5), si ha, invece:

    LHTan

    dNdxq

    ==

    dNH

    dxLq=

    dxH

    LqdN = = x dxHLqN 0

    Figura 1.4

  • Analisi Preliminare

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    HxLqN =

    HLqLxN

    2

    max )(

    ==

    Schema ad arpa

    HLqN

    2

    max

    =

    Ipotizzando una strallatura diffusa ( piccolissimo) lo sforzo normale

    nellimpalcato pari a: HLq 2 per lo schema ad arpa e

    HLq

    2

    2 per lo

    schema a ventaglio. Quindi a parit di sforzo normale nellimpalcato lo schema ad arpa richiede altezze delle antenne pari a due volte quella dello schema a ventaglio. Lo schema ad arpa anche se non il migliore dal punto di vista statico ed economico attraente per i suoi innegabili vantaggi estetici.

    Figura 1.5

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    Lo schema a ventaglio stato molto usato recentemente e pu offrire diversi vantaggi, oltre a quello visto precedentemente:

    il peso totale dei cavi sostanzialmente minore rispetto al tipo ad arpa;

    linflessione longitudinale dei piloni resta moderata;

    maggiore stabilit;

    minore inflessione del pilone e dellimpalcato se gli stralli di

    ormeggio sono ancorati a terra. Il tallone dAchille della soluzione a ventaglio risiede nel progetto e nella costruzione della testa dei piloni verso il quale tutti i cavi, teoricamente, sono condotti. Una convergenza ideale in pratica non pu essere realizzata e per questa ragione necessario estendere lancoraggio ad una zona pi o meno estesa. Si realizza pertanto una soluzione intermedia fra il tipo ad arpa e quello a ventaglio che unisce i vantaggi ed elimina gli svantaggi dei due. Grazie alla diffusione degli stralli nella parte superiore del pilone possibile un buon progetto degli ancoraggi senza apprezzabili riduzioni dellefficacia del sistema strallato. I cavi situati vicino al pilone sono pi inclinati di quelli di un tipo ad arpa, ci rende possibile ridurre la rigidezza delle connessioni orizzontali tra i piloni e limpalcato.

    1.3 SCELTA DEL SISTEMA DI SOSPENSIONE Il sistema di sospensione pu essere sostanzialmente di due tipi: centrale e laterale. La sospensione centrale offre considerevoli vantaggi, il principale sicuramente quello di natura estetica. Luso quasi obbligatorio, in tale sistema, di un impalcato torso-rigido contribuisce inoltre alla riduzione dei momenti del secondo ordine come pure ad una maggiore stabilit dinamica & aerodinamica del tutto. Questo metodo di sospensione caratterizzato inoltre, da un basso carico di fatica dei cavi, dato che un impalcato torso-rigido ha una grande capacit di

  • Analisi Preliminare

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    diffusione per i carichi concentrati, cos limita la variazione di tensione negli stralli. Gli svantaggi di un tale sistema risiedono, se utilizzato, nel pilone centrale che posto al centro della carreggiata porta inevitabilmente ad un aumento della larghezza dellimpalcato. Inoltre, quando si ha a che fare con impalcati molto larghi, come nel caso di ponti stradali con due carreggiate, i momenti torcenti diventano eccessivi e pertanto potrebbe non essere adatto. La sospensione laterale utilizzata nella maggior parte dei ponti strallati costruiti finora. Il piano degli stralli pu essere verticale o inclinato, in questultimo caso si utilizzano piloni a forma di A, i quali:

    migliorano la rigidezza e la stabilit della struttura;

    riducono spostamenti dellimpalcato in quanto fa s che i carichi eccentrici vengono assorbiti da tutti gli stralli (figura 1.6).

    migliorano la stabilit aerodinamica nel caso di impalcati molto lunghi.

    Luso di piani di sospensione inclinati pu dar origine a problemi di spazio nella direzione trasversale che possono per essere risolti o incrementando la larghezza dellimpalcato o utilizzando sbalzi su cui installare gli ancoraggi.

    Figura 1.6

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    La sospensione laterale in generale introduce momenti flettenti trasversali che sono massimi nel centro della sezione, mentre le forze di taglio lo sono allestremit. In queste zone possono sorgere dei problemi specialmente se limpalcato in calcestruzzo, in quanto lancoraggio dei cavi pu scontrarsi con gli eventuali cavi della precompressione trasversale.

    1.4 SCELTA DELLA CONFIGURAZIONE DEL PILONE La scelta della configurazione longitudinale e trasversale del pilone legata allo schema strutturale adottato, al tipo di sospensione, agli effetti provocati dai carichi nonch a fattori estetici. Lo schema strutturale, ad arpa a ventaglio o misto, pone un grosso vincolo alla libert di scelta, in quanto, mentre per lo schema a ventaglio o misto ci si pu orientare indifferentemente verso un pilone ad un solo braccio (ma anche 2) o ad A, per lo schema ad arpa il pilone ad uno o due bracci quasi dobbligo, in quanto usandone uno ad A il piano degli stralli non sarebbe pi verticale. Con gli stralli nello schema ad arpa i carichi accidentali non simmetrici possono essere bilanciati solo al costo di una significante flessione longitudinale nel pilone (figura 1.7).

    creare vincoli orizzontali alla testa del pilone usando stralli di ancoraggio concentrati. Questo conferisce una grande rigidezza a tutta la struttura. Per quanto riguarda linfluenza del tipo di sospensione sulla scelta del tipo di pilone, dove prevista la sospensione laterale il progetto dovrebbe essere basato tenendo conto delle seguenti condizioni:

    sagoma limite per il transito dei vincoli;

    Questo quindi, deve avere non solounadeguata resistenza a flessione, mainoltre, anche una sufficiente rigidezza perridurre la deformabilit dellimpalcato, inparticolar modo se questo flessibile. Luso del tipo a ventaglio offre per glistralli innegabili vantaggi dal punto di vistadelle forze nel pilone, nel quale possibile

    Figura 1.7

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    comportamento trasversale del pilone. Si deve fare in modo di instaurare uno stato di equilibrio stabile e permanente, prendendo in considerazione anche linfluenza del creep sotto lazione dei carichi permanenti. Se necessario la snellezza trasversale dei bracci dovrebbe essere mantenuta entro ragionevoli limiti per mezzo di aste trasversali.

    Per la sospensione centrale occorre tener presente che porta ad unaumento della larghezza dellimpalcato, per cui occorre tener conto anche di fattori economici oltre che strutturali. Per quanto riguarda la snellezza trasversale questa pu essere mantenuta entro ragionevoli limiti dalla presenza di una forza orizzontale introdotta dai cavi. La stabilit trasversale del ponte legata quindi anche alla forma del pilone, cos come la capacit di ridurre gli effetti torsionali nellimpalcato. Un pilone ad A senza dubbio il pi adatto per far fronte a questo tipo di sollecitazioni, anche se dal punto di vista economico non altrettanto competitivo, come si pu vedere dal grafico seguente che esprime la relazione fra lincremento di costo e la geometria del pilone (figura 1.8).

    Figura 1.8

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    Una grande influenza sulla scelta della geometria del pilone si ha nel caso dei ponti strallati asimmetrici, con la campata di riva pi corta della campata principale. In questi casi conveniente inclinare il pilone verso la campata pi corta in modo da far lavorare il pilone a compressione sotto carichi permanenti ed aumentare in questo modo la rigidezza della struttura (figura 1.9).

    1.5 SCELTA DELLIMPALCATO

    Limpalcato come forma e dimensione dipende da vari fattori i quali vanno ad influenzare anche la scelta del materiale da utilizzare. Il numero degli stralli influenza laltezza dellimpalcato anche se tale altezza limitata inferiormente dalla dimensione degli apparecchi di ancoraggio. Se il tipo di sospensione centrale limpalcato deve possedere unelevata rigidit torsionale il che ci dirige verso impalcati a cassone in C.A. o in acciaio. I metodi di costruzione e soprattutto leconomia sono fattori importanti al pari degli altri, infatti se da una parte un impalcato in acciaio pu arrivare a pesare 1/5 di uno equivalente in cemento armato, dallaltro lato esso 2-4 volte pi costoso di uno equivalente in calcestruzzo. Quindi la riduzione del peso proprio dellimpalcato deve comportare un risparmio in altre parti della struttura (stralli, piloni e fondazioni) per poter essere competitivo con un impalcato in cemento armato. Nel caso dei ponti di grande luce la riduzione del peso diventa vitale e possono essere presi in considerazione solo impalcati molto leggeri, come quelli in acciaio. Per gli impalcati in cemento armato laltezza si aggira su 1/100-1/200 della luce.

    Figura 1.9

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    Esempio di impalcato in CA

  • Analisi Preliminare

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    BIBLIOGRAFIA [1] Walther R., Cable stayed bridges, Thomas Telford, London, 1999. [2] Troitsky M.S., Cable-stayed Bridges, Theory and Design, Crosby Lockwood Staples, London, 1977. [3] De Miranda F., I ponti strallati di grande luce, Ed. Scientifiche A. Cremonese, Roma, 1980. [4] Gimsing N.J., Cable Supported Bridges, Concept & Design, John Wiley & Sons, Chichester, 1996.

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  • Analisi Statica

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    15

    CAPITOLO 2 ANALISI STATICA

    2.1 PREDIMENSIONAMENTO

    La fase di predimensionamento senza alcun dubbio la fase con pi incertezze, in quanto occorre stabilire le dimensioni, molte volte di tentativo, da dare ai vari elementi strutturali. In questa fase possibile utilizzare modelli molto semplici ed espressioni semplificate che non tengono conto di effetti del secondo ordine e a lungo termine. 2.1.1 PILONE Laltezza del pilone dallimpalcato pu essere stabilita, nel caso di sistema a ventaglio o misto, con la seguente relazione: = 25tancLh (2.1) con Lc lunghezza della campata principale, nel caso di ponte asimmetrico o della semicampata principale nel caso di ponte simmetrico.

    2.1.2 PASSO STRALLI Utilizzando una strallatura molto fitta si potrebbe ridurre notevolmente lo spessore dellimpalcato, comunque generalmente compreso fra i 6 e i 15 metri, per gli impalcati in cemento armato, maggiore di 20 metri per gli impalcati in acciaio.

    La sezione pu essere stabilitaconsiderando uno sforzo normale parialla sommatoria delle componentiverticali degli sforzi negli stralli(figura 2.1). Figura 2.1

  • Analisi Statica

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    16

    2.1.3 SPESSORE IMPALCATO Lo spessore generalmente oscilla, nel caso di impalcati in cemento armato fra 1/100 & 1/200 della luce della campata maggiore, anche se occorre tener conto dello spessore minimo imposto dalle connessioni, generalmente 1 metro. 2.1.4 STRALLI Nel predimensionamento degli stralli occorre tener presente degli eventuali sforzi di pretensione e dei fenomeni di fatica. In questa fase opportuno riferirsi ad uno schema a ventaglio puro equivalente ad uno schema misto arpa-ventaglio. Laltezza del pilone equivalente pari a: anpa hhH 32+= (2.2) dove hpa la distanza da terra dellancoraggio pi vicino, mentre han la distanza su cui vengono distribuiti gli stralli sul pilone (figura 2.2).

    Figura 2.2

  • Analisi Statica

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    17

    2.1.4.1 STRALLI DI CAMPATA Per il predimensionamento degli stralli di campata si pu utilizzare la

    seguente espressione: amm

    iscisc

    TA

    =

    ,,

    con iPTRii

    iiscs

    iisc T

    lAd

    PqgT ,,, cossinsin30+

    +

    ++

    e ammamm = 30.0 , come risulta da numerose prove a fatica. Dividendo ambi i membri per amm , si ottiene:

    ammiPTR

    ii

    iiscs

    iisc

    amm

    isc TlAd

    PqgAT

    +

    +

    ++=

    1cossinsin30 ,,,

    ,

    ammiPTR

    iii

    is

    amm

    iscisc Td

    PqglA

    A

    +

    ++=

    1sin30cossin ,

    ,,

    Figura 2.3

  • Analisi Statica

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    18

    ammiPTR

    iammii

    isisc Td

    PqglA

    +

    ++=

    1sin30cossin

    1 ,,

    +

    ++

    =

    ammii

    isamm

    iPTRi

    isc l

    Td

    PqgA

    cossin1

    sin30 ,, (2.3)

    Occorre fare unosservazione per quanto riguarda i carichi concentrati. Essi vengono divisi per d30 , con d spessore dellimpalcato, per tener conto, in modo approssimato, dellinfluenza degli stralli vicini. Una tale ipotesi si pu giustificare col fatto che se limpalcato fosse infinitamente rigido, il carico P dovrebbe essere ripartito fra tutti gli stralli, in parti pi o meno uguali, mentre se limpalcato avesse rigidezza flessionale nulla il carico P graverebbe interamente sullo strallo su cui applicato. 2.1.4.2 STRALLI DI ORMEGGIO Per il predimensionamento degli stralli di ormeggio occorre tener conto, in modo particolare, dei carichi accidentali, perch alcuni stralli potrebbero essere soggetti a sforzi di compressione che, oltre a portare ad una diminuizione di rigidezza, risultano particolarmente dannosi in relazione ai fenomeni di fatica. Questi sforzi di compressione sono molto grandi negli stralli di ormeggio quando caricata la campata di riva, come risulta dalla figura 2.4.

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    19

    Per evitare i problemi su accennati bene che:

    25.0maxmin =

    ac

    acac T

    TK (2.6)

    2.1.4.3 PRETENSIONE STRALLI Per far si che sotto lazione dei carichi permanenti limpalcato si comporti come una trave continua su appoggi fissi, si regola la tensione negli stralli applicando opportuni sforzi di pretensione. Lo sforzo di trazione Ti nella generica fune quindi dovr essere tale che la sua componente verticale sia pari proprio alla reazione Ri dovuta ai carichi permanenti che si avrebbe nella trave continua equivalente:

    Ri = Ti sini Il diagramma dei momenti provocato dai carichi permanenti allora quello di figura 2.5 e si vede come per un numero di stralli elevato esso tende praticamente a zero e la trave soggetta solo a sforzo normale.

    ( )ac

    n

    i

    n

    jjjjii

    ac h

    aPGaGT cosmin

    1 1

    +

    =

    = = (2.4)

    ( )ac

    n

    i

    n

    jjjiii

    ac h

    aGaPGT cosmax

    1 1

    +

    =

    = = (2.5)

    Figura 2.4

  • Analisi Statica

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    20

    Figura 2.5

    Gli sforzi di pretensione possono essere determinati anche seguendo unaltra via, un po pi laboriosa, e diversa a seconda della tipologia: a ventaglio, ad arpa o misto. Il problema viene definito sfruttando condizioni di congruenza in relazione agli spostamenti che si vogliono annullare, quindi:

    =

    +

    =

    0

    01

    1

    1111

    !

    !

    !

    !

    !

    !

    """

    !#!

    !#!

    !#!

    """

    !

    !

    !

    nnnn

    n

    n DD

    DD

    N

    N

    dove: Ni = sforzo normale dello strallo i-esimo; [D] = matrice di flessibilit; i = spostamento del nodo i-esimo. Per la tipologia a ventaglio il sistema di equazioni di congruenza risulta generalmente determinato. Per le tipologie ad arpa o miste il

  • Analisi Statica

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    21

    problema diventa pi complesso, infatti il numero degli spostamenti da annullare quello relativo allimpalcato, con gli spostamenti verticali, ed allantenna, con gli spostamenti orizzontali. Il problema indeterminato in quanto si ha un numero di equazioni maggiore del numero di incognite. La risoluzione del problema pu essere ottenuta tramite una diminuzione delle equazioni, oppure facendo entrare in gioco altre grandezze finch il sistema risulta determinato. Tutto ci implica in molti casi soluzioni che sono solo il risultato di un procedimento analitico che induce spostamenti e tensioni inammissibili da un punto di vista pratico. Inoltre con tale procedimento, che si appoggia alla teoria del 1 ordine, non teniamo, in alcun modo, in considerazione gli effetti delle non linearit, sia geometriche che meccaniche.

    2.2 LELEMENTO CAVO 2.2.1 STRALLO SOTTO SFORZI ASSIALI Le funi sono degli elementi strutturali che hanno una rigidezza flessionale e tagliante bassissima, hanno viceversa una elevata rigidezza assiale. Consideriamo una fune soggetta ad un carico uniformemente distribuito q, che rappresenta il peso proprio, e ad un tiro H .

    Figura 2.6

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    22

    Scriviamo il funzionale Energia Potenziale Totale:

    == ll uHdxwqdxN00

    21 min (2.7)

    ovvero:

    == ll uHdxwqdxA00

    221 minE (2.8)

    scriviamo la variazione prima del funzionale EPT:

    == ll uHdxwqdxA00

    0 E (2.9)

    ovvero:

    00 0

    == uHdxwqdxNl l (2.10) considerando la deformazione al 2 ordine: 2,21, xx wu += si ha:

    xxx wwu ,,, +=

    che sostituita nellespressione (2.10), fornisce:

    ( ) 00 0

    ,,, =+= uHdxwqdxwwuNl lxxx (2.11) 0

    0 00,,, =+= uHdxwqdxwwNdxuNl ll xxx (2.12)

    integrando per parti la (2.12), si ottiene:

    ( ) 00 00

    ,,0,,0=+= uHdxwqdxwwNwwNdxuNuN l ll xxlxxl

    (2.13)

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    23

    Dalla (2.13) otteniamo le cosiddette Equazioni di Eulero:

    00

    , = l x dxuN 0, =xN ( ) = ll xx dxwqdxwwN

    00,,

    0

    ( )[ ] 00

    ,, =+ l xx dxwqwN ( ) 0,, =+ qwN xx che possiamo riscrivere come:

    dalla prima espressione si evince che N=costante, pertanto la seconda espressione: ( ) qwN

    xx=

    ,,

    diventa: qwN xx = , (2.14) Dalla (2.13) otteniamo anche le condizioni al contorno:

    0

    0,0=+ uHwwNuN lx

    l (2.15)

    ma 0, = wwN x se ( )( ) 0

    00=

    =

    lww

    , quindi 0, = xwN e la (2.15) si

    semplifica in: 0=HN HN = u

    Al di l delle espressioni differenziali, si evidenzia il fatto che per una fune la soluzione in campo lineare non esiste, inoltre, per essere valide le relazioni precedenti, la fune deve essere molto tesa.

    ( )

    =

    =

    qwNN

    xx

    x

    ,,

    , 0

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    24

    Alla luce di quanto visto precedentemente, consideriamo un filo in tensione, in equilibrio sotto il suo peso e supponiamo che le sue estremit siano fisse e che la tensione sia sufficientemente elevata, in modo che la sua configurazione di equilibrio y(z) sia molto poco discosta dalla configurazione rettilinea. Lequazione di equilibrio : qwN xx = , (N=cost.) (2.16)

    mentre le condizioni al contorno sono: ( ) ( ) 00 == lww .

    Riscrivendo la (2.16) come Nqw xx =, e integrando, si ha:

    1, CxNqw x +=

    212

    2CxCx

    Nqw ++= (2.17)

    Imponendo le condizioni al contorno, otteniamo:

    ( ) 00 2 == Cw ( ) 0

    2 12

    =+

    = lCNlqlw

    NlqC

    21

    =

    sostituendo C1 e C2 nella (2.17), si ha:

    ( ) xNlqx

    Nqxw +=

    222 (2.18)

    dividendo numeratore e denominatore della (2.18) per larea A della fune, otteniamo:

    ( ) xANA

    lq

    x

    ANAq

    xw

    += 222 (2.19)

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    25

    introducendo il peso specifico del materiale di cui il filo costituito:

    =Aq

    e la tensione nel filo:

    =AN

    la (2.19) diventa:

    ( ) xlxxw +=

    22

    2

    ovvero:

    ( ) ( )xlxxw =

    2

    (2.20)

    La lunghezza L del filo nella sua configurazione di equilibrio pari a:

    ( ) dxwL l 21

    0

    2'1 += (2.21) con ( )

    xlxxlw ==222

    ' e tenendo conto dello

    sviluppo in serie di Taylor ...82

    112

    ++=+

    arrestato al

    secondo termine, si ha:

    ( ) =

    +=

    ++= lll dxxldxwdxwL

    0

    2

    0

    221

    0

    2

    2211

    2'1'1

    =

    +

    +=

    +

    += dxxxlldxxxll ll0

    2

    22

    2

    2

    2

    22

    02

    22

    2

    2

    2

    22

    2281

    4211

    +=

    +

    += 2

    22

    02

    32

    2

    22

    2

    22

    241

    648

    llxxlxlxl

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    26

    quindi la lunghezza L del filo nella configurazione di equilibrio :

    +=2

    2611

    llL (2.22)

    Supponiamo ora di applicare un incremento dN di tiro al filo, esso assumer una nuova configurazione di equilibrio e le quantit l, L, rispettivamente distanze tra le estremit del filo lungo x, e la lunghezza del filo, assumeranno i valori l+dl, L+dL. Calcoliamo, in funzione di dN, il valore dL.

    2322

    32

    241

    241

    +=

    +=

    llllL

    differenziando otteniamo:

    dldlldldL 332

    2

    22

    121

    81

    += (2.23)

    essendo la costante lungo il filo, lincremento d della deformazione pu valutarsi come:

    LdLd =

    risulta, quindi:

    +

    +

    +

    =2

    3

    32

    2

    2

    22

    2611

    121

    2611

    811

    ll

    dl

    ll

    ldl

    LdL

    +

    +

    +

    ==2

    3

    22

    2

    2

    22

    2611

    121

    2611

    4211

    l

    dl

    l

    lldl

    dL

    dL

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    27

    +

    +

    +

    =2

    3

    22

    2

    2

    2611

    121

    2611

    2211

    l

    dl

    l

    lldl

    d (2.24)

    la quantit 2

    2

    l molto piccola rispetto allunit, nei casi che

    interessano, si ha pertanto:

    dl

    ldld 3

    22

    121

    = ma dEd = , quindi:

    dEl

    ldld = 3

    22

    121

    ldlEld =

    + 3

    22

    1

    ldl

    Eld

    3

    22

    1

    1

    +

    =

    un incremento di tensione d pu allora esprimersi come:

    ldl

    ElEdEd

    3

    22

    1

    +

    ==

    Se consideriamo come parametro della deformazione la quantit

    ldl al posto di quello effettivo L

    dL , dovr, allora, considerarsi il modulo fittizio, detto di DISCHINGER

    3

    22*

    1

    ElEE

    +

    = (2.25)

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    28

    quindi *** dEldlEd == .

    La quantit d* costituisce un parametro fittizio della variazione della deformazione del filo; se infatti aumentiamo di dN il tiro, a parte lincremento della estensione del filo, questo assumer un nuovo assetto di equilibrio sotto lazione del suo peso e quindi una nuova curva pi tesa.

    Il modulo di elasticit di DISCHINGER pu cos definirsi, per un valore assegnato di , come il valore del modulo tangente sulla curva tensione-deformazione fittizia. Il modulo tangente E* permette di valutare la relazione tra piccoli incrementi di tensione e deformazione, a partire da una assegnata configurazione del cavo. Per incrementi finiti di tensione e deformazione *, si opera mediante la relazione globale:

    ( ) =

    +=

    +

    === 21

    2

    1

    2

    1

    *2

    *1

    3

    22

    3

    22

    ***

    121

    121

    dl

    EEl

    Ed

    Edd

    Figura 2.7

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    29

    +

    =

    =

    += 22

    21

    2212

    2

    22322 11242412

    2

    1

    2

    1

    2

    1

    2

    1

    lE

    lE

    dlE

    d

    La relazione precedente pu essere messa nella forma pi conveniente:

    **

    Es

    =

    dove Es* il modulo secante e vale:

    ( )212222

    21

    22

    22

    21

    2212

    12*1

    *2

    12*

    24111

    24

    +

    =

    +

    =

    =

    ElE

    lE

    Es

    poniamo 12 =

    ( ) ( )

    +

    +

    =

    +

    +

    =

    124

    124

    1 231

    22

    11241

    22*

    ElE

    ElEEs

    231

    22*

    21

    121

    +

    +

    =

    ElEEs (2.26)

    Lespressione (2.26) mostra che per valori elevati di , luso del modulo tangente alla DISCHINGER pu comportare errori sensibili.

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    30

    2.3 MODELLAZIONE DELLA STRUTTURA La simulazione di una struttura con un modello, consiste in una sua idealizzazione con un sistema, di appropriati membri, che permette di analizzare il suo comportamento con sufficiente accuratezza e con una ragionevole quantit di calcoli. A seconda della complessit della struttura e della fase progettuale a cui si giunti possono essere usati diversi modelli. Questi possono essere piani o spaziali. I piloni e limpalcato possono essere modellati con elementi di tipo BEAM, nel caso di modelli piani, anche con elementi di tipo SHELL nel caso di modelli spaziali. I cavi possono essere rappresentati da elementi BEAM dando loro una piccolissima inerzia flessionale e un modulo ideale di elasticit (MODULO DI DISCHINGER) per tener conto degli effetti dovuti allinflessione del cavo. Questo modello di simulazione possibile specialmente quando abbiamo a che fare con strutture i cui cavi sono sufficientemente tesi sotto i carichi permanenti, in modo da non avere sforzi di compressione, ma solo una riduzioni della tensione iniziale sotto i carichi accidentali. In questo modo lanalisi pu essere condotta utilizzando semplici programmi lineari. 2.3.1 MODELLI PIANI Il comportamento dei ponti strallati sotto lazione dei carichi accidentali difficile da descrivere per mezzo di semplici metodi intuitivi. E cosi vantaggioso, durante la fase iniziale di progettazione avere disponibile un modello semplificato, in cui tutti gli elementi sono rappresentati da elementi di tipo BEAM (figura 2.8). In tal caso una difficolt giace nella rappresentazione delle connessioni tra piloni & impalcato, in quanto potrebbe essere causa di fenomeni di instabilit numerica nel caso ci si affidi ad un elaboratore elettronico. Per la semplicit con cui vengono introdotti i dati e la velocit alla quale vengono eseguiti i calcoli, il modello piano pu servire non solo come base per dimensionare la struttura, ma anche come parametro per approvare il progetto stesso. Inoltre, anche quando si prepara il calcolo finale utilizzando un modello spaziale, il modello piano pu servire per verificare lordine di grandezza dei risultati e mettere in

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    31

    evidenza errori numerici presentati dal programma per una errata modellazione spaziale della struttura.

    2.3.2 MODELLO SPAZIALE Anche se alcune volte sufficiente un modello piano, nel caso di ponti di una certa importanza necessario ricorrere ad un modello spaziale (figura 2.9), in modo da eseguire unanalisi pi dettagliata. Ci sono aspetti, infatti, che un modello piano non pu cogliere come ad esempio gli effetti torsionali provocati dai carichi eccentrici o quelli provocati da alcuni modi di vibrazione.

    Figura 2.8

    Figura 2.9

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    32

    2.4 FENOMENI DI FATICA Lesperienza mostra che, se soggetto a sforzi variabili, un elemento strutturale pu giungere a rottura anche se i valori di picco si mantengono sempre al di sotto del limite elastico. Il numero di cicli necessario in genere notevolmente elevato, ma non sempre tale da eccedere quello delle ripetizioni di carico previste nella vita della struttura. Il fenomeno, noto come rottura per fatica, rappresenta a volte la situazione di crisi su cui va basato il dimensionamento. Anche in materiali duttili esso si verifica senza evidenziare segni di apprezzabili deformazioni plastiche e presenta quindi caratteristiche tipiche della rottura fragile. Lo studio teorico della resistenza a fatica presenta difficolt considerevoli e solo negli ultimi anni sono stati proposti approcci analitici basati sulla Meccanica delle Fratture. Allo stato attuale, tuttavia, la base per la comprensione del fenomeno continua ad essere linterpretazione e la classificazione dei dati sperimentali, dal cui insieme si cerca di ricavare indicazioni operative. Indicazioni che possono essere attinte dai diagrammi di hleroW $$ , dal nome dello studioso che per primo si occup del fenomeno. E innanzitutto necessario introdurre i parametri che caratterizzano la sollecitazione ciclica. Si consideri un provino soggetto a stato di sforzo uniassiale, variabile ciclicamente tra max e min (figura 2.10). Lesperienza mostra che la particolare legge di variazione allinterno di questi valori estremi di fatto ininfluente. Lo stesso pu dirsi per la frequenza con cui susseguono i valori di picco, almeno nellintervallo di rilevanza applicativa. Questa caratteristica riveste importanza notevole, perch consente di operare sperimentalmente con variazioni anche molto rapide e quindi assoggettare il provino a un numero elevato di cicli in tempi relativamente brevi. Un ciclo di ampiezza costante definito dalle quantit (figura 2.10)

    2

    minmax +

    =m minmax = (2.27a, b)

    note, rispettivamente, come tensione media e ampiezza del ciclo. Si vedr che la rottura dipende non solo dallintervallo di variazione per

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    33

    gli sforzi ma anche dal valore attorno a cui essi oscillano simmetricamente.

    In alternativa alle (2.27a, b), il ciclo pu essere caratterizzato dal valore max e dal rapporto

    max

    min

    = (2.28)

    noto come coefficiente di asimmetria del ciclo o, brevemente, rapporto di fatica. Nel caso in cui sia min =-max, risulta =-1 e il ciclo detto simmetrico (figura 2.11a). Per =0 si ha un ciclo pulsante (figura 2.11b) mentre per =1 corrisponde al caso limite di sforzo costante (figura 2.11c). Il rapporto di fatica definito in modo che risulti sempre -11, invertendo se necessario il secondo membro della (2.28).

    Figura 2.10

    Figura 2.11

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    34

    Il caso di interesse quello pulsante, in quanto lo strallo non reagisce a compressione. Le prove sono condotte tenendo fissi i valori di e max (o, equivalentemente, di m e ) e si propongono di determinare il numero N di cicli che il provino pu sopportare prima di giungere a rottura, a volte indicato come vita a fatica. I risultati sono riassunti dai diagrammi di hleroW $$ (figura 2.12a); essi riportano, per un dato , il valore di max in funzione della corrispondente vita a fatica ( di regola rappresentata in scala logaritmica, essendo N un numero molto elevato). Il valore di max diminuisce allaumentare di N, ma spesso la diminuzione cessa una volta raggiunto un certo numero N di cicli (per gli acciai pari a circa 6102 ), al di la del quale max si assesta su di un valore costante ( ) , noto come resistenza a fatica ( lindice ( ) distingue il particolare valore del rapporto (2.28) cui la prova si riferisce: per un ciclo pulsante, la resistenza a fatica si indica con

    ( )0 ). Se ( )

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    35

    E opportuno fare unosservazione sul numero N di cicli su cui si stabilizza la resistenza a fatica. Una semplice analisi indica che sarebbe completamente assurdo assumere che il carico accidentale totale possa essere applicato due milioni di volte, come richiesto dai codici per i tests da fatica. Se, per esempio, la vita attesa per il ponte fissata in 100 anni, questo carico dovrebbe aversi pi di 50 volte al giorno, per raggiungere quel numero di cicli ( )6102 . Questo mostra chiaramente che bisogna prendere in considerazione solo una frazione del carico accidentale totale quando controlliamo la resistenza a fatica. Sulla base di quanto detto precedentemente possibile dimensionare il cavo a fatica. Detto qg NNN += il massimo valore dello sforzo assiale in un generico cavo, la sua area A pari a:

    ( )Fa

    NA

    = (2.29)

    dove:

    ( ) ( )

    =

    1F

    aa (2.30)

    la tensione ammissibile a fatica, funzione del rapporto ( )qgg += // maxmin fra i valori minimo e massimo della tensione nel cavo e del valore caratteristico ( )a della resistenza a fatica del materiale e del tipo di cavo adottato (a fili paralleli, o a trefoli, ecc.). La (2.30) uniperbole con asintoto verticale di equazione 1= , i cui punti al di sopra del punto di incontro della curva stessa con la retta di equazione: ( ) ( )Sa

    Fa = (2.31)

    (essendo ( )Sa la tensione ammissibile statica), non hanno alcun interesse nella pratica tecnica, in quanto la curva: ( ) ( )xf=Fa dopo tale punto deve intendersi completata dalla (2.31) (figura 2.13).

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    36

    Poich in base ai risultati di un grandissimo numero di prove a fatica sui cavi ed ai dati di varie Normative, risulta generalmente: ( ) ( )Sa30.0 a (2.32) se nella (2.30) poniamo il valore (2.32), dalla stessa si ricava immediatamente lascissa x del punto di incontro fra la (2.30) e la (2.31) che risulta: 0.70x . Soltanto se nelle condizioni di esercizio del ponte i valori delle tensioni nei cavi sono tali che risulti:

    17.0 , si utilizza completamente lelevata resistenza dei cavi e la riduzione di E* rispetto ad E la minima possibile. Abbiamo detto che, per motivi statistici, bisogna prendere in considerazione solo una frazione del carico accidentale, pertanto il rapporto di fatica, determinato strallo per strallo, pari a:

    qg

    g

    qg

    g

    NNN

    5.05.0 +

    +=

    (2.33)

    in cui al valore effettivo di qg +=max si sostituisce il valore ridotto: qg 5.0+ .

    Figura 2.13

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    37

    Si ottiene cos un valore ( )Fa un po maggiore di quello che si otterrebbe con il valore effettivo ( ) ( )qggqgg NNN +=+= // , ma naturalmente nel dimensionamento della sezione del cavo attraverso la (2.29) si introduce lintero valore di maxN . Specificatamente alla resistenza a fatica degli stralli si pu dire che essa sempre condizionata dalla resistenza degli ancoraggi, inferiore di quella del singolo elemento costituente la fune. Ci per due motivi:

    lacciaio dei fili ( o dei trefoli) in prossimit dellancoraggio alterato dai morsetti, nel caso di cavi tipo C.A.P.. Nel caso di teste fuse, quali sono quelle che ancorano le funi spiroidali, lalterazione dovuta a fatti termici conseguenti alla fusione;

    alla dovute alle variazioni di tiro negli stralli se ne

    aggiungono altre dovute alla flessione del cavo che, nella realt, non totalmente privo di rigidezza flessionale come schematizzato nei calcoli.

    Queste tensioni di flessione, a tutti gli effetti parassite, dipendono dallangolo di cui ruota lo strallo in servizio a causa dei carichi accidentali, dei fatti termici e delle vibrazioni della fune provocate dal vento. Esse si smorzano rapidamente appena aumenta la distanza dallancoraggio.

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    2.5 CONSIDERAZIONI SULLE LINEE DI INFLUENZA Durante la fase finale del progetto le linee di influenza rendono possibile conoscere accuratamente quella parte degli sforzi normali negli stralli dovuti ai carichi accidentali distribuiti e concentrati. Ci nonostante luso di queste linee caratteristiche possibile solo se il comportamento statico della struttura pu essere assunto come elastico lineare (principio di sovrapposizione degli effetti). Sebbene il comportamento di un ponte strallato non lineare, possibile fare le seguenti semplificazioni.

    Le non linearit dovute alle inflessioni degli stralli possono generalmente essere superate con una via sufficientemente accurata usando il modulo di Dischinger. E, tuttavia, necessario stimare in anticipo le tensioni estreme in ciascun cavo, il che conduce a diverse iterazioni.

    Linfluenza delle non linearit geometriche del comportamento

    dei piloni e dellimpalcato (effetti del secondo ordine) sulle forze normali negli stralli generalmente rimangono moderate nella fase di esercizio.

    Linfluenza delle non linearit del materiale del

    comportamento dei piloni e dellimpalcato generalmente limitata negli stati limite di servizio agli effetti del ritiro e del creep del calcestruzzo. Questi due casi possono essere simulati utilizzando anche programmi elastici convenzionali, considerando il ritiro come un carico dovuto ad un gradiente termico negativo e introducendo moduli di elasticit ridotti per simulare il creep.

    Le linee di influenza ci aiutano a disporre i carichi nelle peggiori posizioni. C da dire, per, che tali disposizione nella realt sono molto improbabili e la loro influenza di solito modesta.

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    39

    2.6 LANALISI STRUTTURALE CON IL METODO DEGLI ELEMENTI FINITI Il metodo degli elementi finiti, o pi sinteticamente FEM, un metodo di analisi che ha avuto negli ultimi anni una notevole diffusione, grazie alla possibilit di utilizzare programmi di calcolo, su di esso basati, anche su personal computers. Il metodo non per altrettanto recente, in quanto quasi cento anni fa era stata avanzata lipotesi di una suddivisione astratta del mezzo continuo, ma la mancanza di mezzi di calcolo automatico fece suscitare un limitato interesse a causa del notevole onere computazionale che la sua applicazione comportava. In effetti il metodo nasce nella seconda met degli anni 50, in quanto nella prima met fu reso disponibile il primo linguaggio simbolico: il FORTRAN. Ci ha segnato una svolta nellutilizzo pratico dei mezzi di calcolo. Se prima essi erano riservati a specialisti in grado di operare con gli strumenti logici dettati dalla macchina, lavvento dei linguaggi simbolici ha consentito a un gran numero di utenti di interloquire con il calcolatore attraverso un simbolismo matematico sostanzialmente standard. Il metodo degli elementi finiti e il suo straordinario successo sono quindi legati alla disponibilit di potenti mezzi di calcolo. Pi che su di un rinnovamento dei fondamenti meccanici del problema strutturale, esso si basa su di una riorganizzazione che li adatta alle esigenze dellautomazione del processo risolutivo. Ne risultato un procedimento estremamente potente e versatile, che in linea di principio consente la soluzione di qualunque problema, non solo strutturale, affidando quasi per intero alla macchina lonere di calcolo. La disponibilit sul mercato di moltissimi codici basati sul FEM ha dato la possibilit a tutti di analizzare strutture molto complesse, anche in campo non lineare. E sbagliato, per, affidarsi ciecamente al codice di calcolo senza conoscere i fondamenti del metodo, non solo per evitare errori nella modellazione della struttura, ma anche per avere la capacit di controllare e interpretare i risultati che il codice fornisce.

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    2.6.1 FASI OPERATIVE

    1. Definizione dello schema discreto. Occorre operare una suddivisione in elementi finiti, tra loro connessi in alcuni punti, o nodi. Questa suddivisione definisce lo schema oggetto di calcolo. Gli spostamenti locali vengono approssimati da combinazioni lineari di funzioni assegnate, di regola polinomi.

    2. Definizione delle propriet dellelemento. Il modello viene

    espresso in funzione dei valori assunti dagli spostamenti locali nei nodi. A tali valori (spostamenti nodali u) corrispondono, tramite unequivalenza in termini di lavori virtuali, le forze nodali p. Il comportamento dellelemento isolato descritto da un legame tra queste quantit, cui si risale dalla legge costitutiva del materiale. Nel caso elastico lineare questo si esprime attraverso la relazione ukp = , dove p contiene anche le soluzioni di incastro perfetto dei carichi eventualmente agenti sullelemento. In questa fase spesso conveniente operare in riferimenti locali, dettati dalla particolare geometria dei singoli elementi. Le propriet dellelemento vengono poi trasferite nel riferimento globale mediante opportune leggi di trasformazione.

    3. Assemblaggio. Loperazione ricostruisce la continuit della

    struttura. I vari elementi vengono tra loro collegati imponendo che gli spostamenti dei nodi che hanno in comune assumano lo stesso valore. Dal momento che questi sono ora tutti rappresentati nello stesso riferimento, risultano direttamente sovrapponibili e lassemblaggio si riconduce ad una procedura di identificazione, che viene effettuata automaticamente a partire da poche e semplici informazioni. Lassemblaggio comprende leliminazione degli spostamenti impediti dai vincoli esterni (o limposizione di cedimenti vincolari, se diversi da zero).

    4. Calcolo della soluzione. Ad assemblaggio effettuato, le

    equazioni risolventi si presentano, nel caso elastico lineare, nella forma UKP = , dove K simmetrica e, una volta eliminati eventuali moti rigidi residui non impediti dai vincoli, definita positiva. La soluzione numerica non presenta difficolt

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    41

    particolari, se non per il numero di incognite, spesso elevato. Accorgimenti specifici, che sfruttano propriet del tutto generali della matrice di rigidezza, consentono peraltro di risolvere efficacemente sistemi di dimensioni anche molto grandi.

    2.6.2 LAPPROCCIO AGLI SPOSTAMENTI 2.6.2.1 Il modello cinematico Consideriamo un elemento finito isolato dal contesto strutturale cui appartiene. Al suo interno, gli spostamenti locali vengono approssimati mediante polinomi di grado opportuno. Per la generica componente di spostamento si si scrive quindi, per domini monodimensionali ( ) %++++= 342321i xaxaxaaxs 2.34) Il modello di spostamento risulter tanto pi ricco quanto pi elevato il grado del polinomio approssimante. In forma compatta, la (2.34) si esprime ( ) ( )a xNxs *= (2.35) dove ( )xs raccoglie le componenti di spostamento locale, la matrice

    ( )xN* i monomi approssimanti e il vettore a i coefficienti moltiplicativi. Il legame deformazioni-spostamenti ( ) ( )sx = , dove ( ) indica loperatore di congruenza per il problema in considerazione, permette di risalire dalla (2.35) allandamento delle deformazioni sullelemento. Simbolicamente si scrive ( ) ( )a xBx *= (2.36) Il metodo richiede che i coefficienti ai dei polinomi approssimanti siano sostituiti dagli spostamenti nodali u, vale a dire dai valori che gli spostamenti locali assumono in corrispondenza degli r nodi

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    dellelemento. Indicando con xj le coordinate del nodo j, dalla (2.36) si ottiene ( ) ( )a xNxsu j*jj == ( )r,1,j %= (2.37) Le posizioni

    =

    !

    !

    juu ( )

    =

    !

    !

    j* xN (2.38)

    permettono di scrivere compattamente la (2.37) come segue au = (2.39) se la (2.39) invertibile, possibile esprimere i coefficienti del polinomio in funzione degli spostamenti nodali scrivendo ua 1= (2.40) Introducendo la (2.40) nelle (2.35)(2.36) si ottiene ( ) ( )uxNxs = ( ) ( )uxBx = (2.41a, b) ( ) ( ) 1* xNxN = ( ) ( ) 1* xBxB = (2.42a, b) Le componenti della matrice ( )xN sono le funzioni di forma dellelemento finito. Perch esse possano essere definite attraverso il procedimento indicato occorre poter invertire la (2.39); unovvia condizione che il numero di termini dei polinomi approssimanti eguagli quello degli spostamenti nodali dellelemento. La matrice allora quadrata e, con leccezione di casi patologici legati a un cattivo posizionamento dei nodi, risulta non-singolare.

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    43

    Sulla base di quanto stato appena detto passiamo a determinare le funzioni di forma per un elemento di trave, sotto le seguenti ipotesi:

    1. legame -u lineare (ipotesi di piccoli spostamenti), in modo da poter considerare i problemi assiali e flessionali disaccoppiati;

    2. trave di Bernoulli-Eulero.

    Problema assiale. Modello di spostamento (lineare) (figura 2.14):

    ( )

    =

    +=2

    121x a

    alx1

    lxaaxs ( )

    ==

    2

    12x a

    al10

    l1ax

    E quindi

    ( )

    =

    lx1x*N ( )

    =

    l10x*B

    Gli spostamenti nodali sono i valori agli estremi e si esprimono

    ( ) 11 a0uu == ( ) 212 aaluu +==

    Figura 2.14

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    44

    La matrice della trasformazione

    =

    1101

    e la sua inversa

    =

    11011

    Applicando le (2.42) risultano

    ( )

    =

    lx

    lx1xN ( ) [ ]11

    l1x =B

    Problema flessionale. Se le deformazioni taglianti vengono trascurate, la rotazione della sezione si identifica con la derivata di w. Si ha allora

    ( ) ( )xwxs = ( ) ( ) 22

    dxwdxx ==

    La congruenza peraltro richiede sempre la continuit delle rotazioni. Perch questa condizione possa essere imposta in sede di assemblaggio necessario che tra gli spostamenti nodali siano ancora presenti quelli illustrati in figura 2.15. Lapprossimazione per w(x) deve quindi contenere almeno quattro costanti. Il modello pi semplice che soddisfi questi requisiti il polinomio di terzo grado

    ( ) 33

    42

    2

    321 lxa

    lxa

    lxaaxw +++=

    Figura 2.15

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    45

    Da esso si ottiene, per successive derivazioni

    ( ) ( )

    ++== 22

    432x, lx3a

    lx2aa

    l1xwx

    ( ) ( )

    +==

    lx6a2a

    l1xwx 432xx,

    ( )

    = 3

    3

    2

    2

    lx

    lx

    lx1x*N ( )

    = 32 l6x

    l200x*B

    Gli spostamenti nodali ora si esprimono

    ( ) 11 a0wu == ( ) 22 al10u == ( ) 43213 aaaalwu +++==

    ( )4324 3a2aal1u ++=

    La matrice della trasformazione

    =

    l3

    l2

    l10

    1111

    00l10

    0001

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    46

    e la sua inversa

    =

    l2l2l32l3

    00l00001

    1

    Applicando le (2.42) risultano

    ( )

    +

    +

    += 3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    232231xNlx

    lxl

    lx

    lx

    lx

    lx

    lxl

    lx

    lx

    ( )

    +

    =

    lx62l

    lx126

    lx64l

    lx126

    l1xB 2

    Figura 2.16

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    47

    2.6.2.2 Forze nodali Si consideri un generico elemento finito, come quello tratteggiato in figura 2.17a e rappresentato isolatamente in figura 2.17b. Nel caso generale, il suo contorno si presenta suddiviso in tre parti. La prima, indicata con Su, appartiene alla superficie vincolata della struttura e su di essa sono noti gli spostamenti. La seconda SF appartiene invece al contorno caricato ed soggetta a trazioni superficiali f note. La terza infine, indicata con , costituisce linterfaccia con gli elementi adiacenti; su di essa non sono noti n gli spostamenti n le trazioni, queste ultime costituite dalle componenti vettoriali n di sforzo sulla giacitura identificata dalla normale uscente da . In un elemento interno, completamente circondato da altri, il contorno esclusivamente di questo tipo.

    Si immagini di attribuire allelemento una variazione virtuale di spostamento s , con conseguenti . Indicando con F le forze di volume e ricordando che 0s = su Su, i lavori virtuali esterno e interno si scrivono

    ++= dsdSsfdVsF tnS

    t

    V

    te

    F

    LLLL =V

    ti dV LLLL (2.43a, b)

    (le tensioni trasmesse dagli elementi adiacenti sono infatti viste dallelemento isolato come carichi applicati). La condizione di equilibrio per lelemento si ottiene imponendo luguaglianza tra le (2.43) limitatamente alle variazioni virtuali compatibili con il modello di spostamento.

    Figura 2.17

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    48

    Vale a dire, per ogni u e us N = uB = (2.44a, b) In virt delle (2.44), le espressioni (2.43) dei lavori virtuali esterno e interno divengono

    ( ) uppudfdSFdV t0t

    nt

    S

    t

    V

    te

    F

    NNN +=

    ++=

    LLLL (2.45)

    udVt

    V

    ti B

    = LLLL (2.46) Nella (2.45) si posto

    = dp nt N +=

    FS

    t

    V

    t0 fdSFdVp NN (2.47a, b)

    La condizione di equilibrio pertanto si esprime

    0udVppt

    V

    t0 =

    + B u (2.48) e richiede lannullamento del termine in parentesi. Si ottiene 0

    V

    t pdVp = B (2.49) I vettori definiti dalle (2.47) sono noti come forze nodali e le loro componenti sono le quantit statiche associate, attraverso il modello cinematico, agli spostamenti nodali. In particolare, p0 il vettore (noto) delle forze nodali equivalenti ai carichi esterni applicati sullelemento, mentre p rappresenta il contributo delle tensioni allinterfaccia con gli elementi adiacenti.

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    49

    Problema assiale Consideriamo unasta soggetta ad un carico assiale distribuito n=cost. In tal caso, la (2.47b) fornisce

    ( ) ( ) ( ) == l0

    tl

    0

    t0 dxxndxxnxp NN

    dove N(x) sempre la matrice di forma che in questo caso pari a

    ( )

    =

    lx

    lx1xN

    quindi

    =

    = 112nldxx/lx/l1npl

    00

    Le componenti di questi vettori sono forze dirette secondo lasse dellelemento e applicate nei punti dove si collocano i corrispondenti spostamenti nodali. Problema flessionale Consideriamo unasta soggetta ad un carico trasversale q=cost. In tal caso, la (2.47b) fornisce

    ( ) ( ) ( ) == l0

    tl

    0

    t0 dxxqdxxnxp NN

    dove N(x) sempre la matrice di forma che in questo caso pari a

    ( )

    +

    +

    += 3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    lx

    lxl

    lx2

    lx3

    lx

    lx2

    lxl

    lx2

    lx31xN

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    50

    quindi

    t22l

    0

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    3

    3

    2

    2

    0 12ql

    2ql

    12ql

    2qldx

    lx

    lxl

    lx2

    lx3

    lx

    lx2

    lxl

    lx2

    lx31

    qp

    =

    +

    +

    +

    =

    2.6.3 ANALISI ELASTICA 2.6.3.1 Propriet elastiche di un elemento finito In questa fase viene introdotto il legame costitutivo, che nel caso elastico lineare si esprime ( )= d (2.50) dove d la matrice (simmetrica e definita positiva) delle costanti elastiche e il vettore delle deformazioni anelastiche o iniziali (ad esempio termiche) eventualmente presenti. Il legame puntuale (2.50) si traduce facilmente in una relazione che governa il comportamento dellelemento finito in termini di variabili nodali. Sostituendo la (2.41b) per e introducendo il risultato nella (2.49), si ottiene infatti

    ( ) 0V

    t

    V

    t dV dV pdBuBdBp

    = (2.51)

    La matrice simmetrica =

    V

    t dV BdBk (2.52)

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    51

    nota come rigidezza elastica dellelemento finito. Il vettore ( )=

    V

    t dV dBp (2.53)

    definisce le forze nodali equivalenti a deformazioni e sforzi iniziali. Con tali posizioni, la (2.51) si scrive ( )ppkup += 0 (2.54) Problema assiale Legame costitutivo, uniassiale

    E=

    dxA dV = dove A larea della sezione trasversale.

    dx EA tl

    0

    BBk = ( ) [ ]11l1x =B

    =

    1111

    lEAk

    Problema flessionale Legame costitutivo, uniassiale

    E=

    Elemento infinitesimo di volume dx dV = .

    =V

    t dV BdBk con d=EJ

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    52

    ( )

    = 32 l

    6xl200x*B

    =

    22

    22

    3

    4l6l2l6l6l126l12

    2l6l4l6l6l126l12

    lEJk

    La matrice di rigidezza dellelemento finito di trave, nel sistema locale pertanto:

    =

    lEJ4

    lEJ60

    lEJ2

    lEJ60

    lEJ6

    lEJ120

    lEJ6

    lEJ120

    00l

    EA00l

    EAlEJ2

    lEJ60

    lEJ4

    lEJ60

    lEJ6

    lEJ120

    lEJ6

    lEJ120

    00l

    EA00l

    EA

    22

    2323

    22

    2323

    k

    2.6.3.2 Cambiamento di riferimento Motivi di convenienza suggeriscono spesso di formulare il modello di spostamento in coordinate locali. Ad esempio, lasse x spontaneamente identificato con la linea media di un elemento monodimensionale. I riferimenti locali dei vari elementi che costituiscono la struttura si presentano in generale diversamente orientati, di modo che gli spostamenti nodali non risultano sovrapponibili.

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    53

    In vista della successiva operazione di assemblaggio, opportuno trasformare le componenti uL di spostamento nodale nel riferimento locale x nelle componenti u rispetto a un riferimento globale X, comune a tutti gli elementi. La legge di trasformazione si esprime simbolicamente come segue

    uTu L = (2.55)

    Le componenti di T dipendono dallangolo tra i due riferimenti. Se in ogni nodo j le componenti di spostamento locale e globale sono numerate consecutivamente, tale matrice si presenta diagonale a blocchi. Precisamente

    ( )tt00t

    T diag=

    =

    dove la sottomatrice t governa la trasformazione delle componenti di spostamento relative al j-simo nodo. Se indichiamo con linclinazione della linea dasse rispetto al sistema di riferimento globale, possiamo scrivere

    =

    1000cossen-0sencos

    t

    e quindi

    =

    1000000cossen-0000sencos0000001000000cossen-0000sencos

    T

    che viene chiamata matrice di rotazione.

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    54

    La (2.54) era stata determinata supponendo che il sistema di riferimento era unico. Le fasi per passare ad un sistema di riferimento globale, sono:

    ( ) L0V

    tL

    V

    tL dV dV pdBuBdBp

    =

    dove: GL pTp = GL uTu = G0L0 pTp = quindi

    ( ) G0V

    tG

    V

    tG dV dV pTdBuTBdBpT

    =

    moltiplicando ambo i membri per T-1 , si ottiene

    ( ) G01V

    t1G

    V

    t1G

    1 dV dV pTTdBTuTBdBTpTT

    =

    ( ) G0V

    t1G

    V

    t1G dV dV pdBTuTBdBTp

    =

    inoltre =

    V

    tL dV BdBk e ( )=

    V

    tL dV dBp

    pertanto G0L

    1GL

    1G ppTuTkTp =

    Essendo la matrice di rotazione una matrice ortogonale, la sua inversa uguale alla sua trasposta

    T1 TT =

    G0LT

    GLT

    G ppTuTkTp =

    G0LT

    GGG ppTukp =

    ( )LTG0GGG pTpukp += (2.56)

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    55

    2.6.3.3 Assemblaggio In questa fase si crea la matrice di rigidezza di tutta la struttura, come somma delle matrici locali, riferite al sistema di riferimento globale, dei singoli elementi e: ( )eTe0ee pTpUkp += N1e ,,!=

    ( )===

    +=N

    1ee

    Te0

    N

    1ee

    N

    1ee pTpUkp (2.57)

    Ponendo

    =

    =

    N

    1eekK ( )

    =

    +=N

    1ee

    Te0 pTpP

    La (2.57) si scrive PUK = (2.58) C da dire che la matrice K e le matrici ke hanno dimensioni diverse. Questultime vanno collocate in K nelle posizioni corrette, in modo che le componenti di spostamento dei singoli elementi vengono identificate con le corrispondenti nella struttura assemblata. 2.6.3.4 Vincoli e spostamenti assegnati La matrice di rigidezza K stata assemblata ignorando i vincoli, essa quindi non definita positiva, in quanto sono presenti modi rigidi. Per eliminare questi modi occorre imporre i vincoli, andando a modificare la matrice di rigidezza K e il vettore dei carichi P. Il vettore degli spostamenti nodali decomponibile in due parti, il sottovettore U* che raccoglie le M componenti libere e il sottovettore U0 che contiene quelle di valore assegnato. Al primo corrisponde il vettore delle forze nodali P*, note, mentre la parte associata a U0 costituita dalle reazioni vincolari R. Simbolicamente si scrive

    =

    RP

    UU

    KKKK **

    *

    **

    000T

    0

    0 (2.59)

    o anche, sviluppando i prodotti matriciali e riordinando i termini

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    56

    00UKPUK

    ****= 000

    T0 UKUKR

    ** += (2.60a, b) La (2.60a) consente il calcolo degli spostamenti liberi U*, che vi compaiono come uniche incognite. Una volta valutato U*, le reazioni vincolari possono essere calcolate sostituendolo nella (2.60b). 2.6.4 EFFETTI DEL SECONDO ORDINE (non-linearit geometriche) 2.6.4.1 Approccio energetico Consideriamo un elemento monodimensionale privo di carichi distribuiti, sia trasversali che assiali e scriviamo per esso il funzionale energia potenziale totale: [ ] { } +=

    l

    2221 dxEJEAu (2.61)

    la deformazione al 2 ordine e la curvatura sono 2x21x0 wu ,, ++= xxw ,= (2.62) che sostituite nella (2.61) danno [ ] ( ){ } =+++=

    l

    2xx

    22x2

    1x02

    1 dxwEJwuEAu ,,,

    ( ){ } =++++++=l

    2xx

    2xx

    2x0x0

    4x4

    12x

    202

    1 dxwEJwuwu2wuEA ,,,,,,,

    [ ] ++++=l

    x0l

    4x8

    1

    l

    2x2

    1

    l

    202

    1 dxuEAdxwEAdxuEAdxEAu ,,,

    +++l

    2xx2

    1

    l

    2xx2

    1

    l

    2x02

    1 dxwEJdxwuEAdxwEA ,,,,

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    Ponendo 00 EAN = , si ha: [ ] ++=

    lx0

    l002

    1 dxuNdxNu ,

    { } +++++l

    2xx

    2xx

    4x4

    12x0

    2x2

    1 dxwEJwuAEwEAwNuEA ,,,,,,

    [ ] { } +++++=

    l

    2xx

    2x0

    2x2

    1

    lx0

    l002

    1 dxwEJwNuEAdxuNdxNu ,,,,

    ++l

    4x24

    1

    l

    2xx6

    1 dxwAE3dxwuAE3 ,,,

    Lo sviluppo in serie di Taylor di [ ]u nella configurazione 0

    [ ] [ ] [ ] [ ] [ ] [ ]uuuuuu ''''0241'''061''021'00 ++++= dove [ ] =

    l002

    10 dxNu

    [ ] =l

    x0'0 dxuNu ,

    [ ] { } ++=l

    2xx

    2x0

    2x2

    1''02

    1 dxwEJwNuEAu ,,,

    [ ] =l

    2xx6

    1'''06

    1 dxwuAE3u ,,

    [ ] =l

    4x24

    1''''024

    1 dxwAE3u ,

    I termini [ ]u0 e [ ]u '0 sono nulli perch partiamo da una configurazione indeformata, lenergia di deformazione pertanto pari, trascurando, inoltre, i termini di grado superiore al secondo, a

    [ ] [ ] { } ++=l

    2xx

    2x0

    2x2

    1''02

    1 dxwEJwNuEAuu ,,,

    [ ] [ ] ++=l

    2x02

    1

    l

    2xx2

    1

    l

    2x2

    1''02

    1 dxwNdxwEJdxuEAuu ,,, (2.63)

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    Poniamo HpN0 = (figura 2.18) , con H sempre positivo se di compressione e la (2.63) diventa [ ] [ ] +=

    l

    2x2

    1

    l

    2xx2

    1

    l

    2x2

    1''02

    1 dxwHpdxwEJdxuEAuu ,,, (2.64)

    Se sostituiamo nella (2.64) le funzioni di forma determinate precedentemente e cio

    ( ) ( )x alxa

    lx1xu a

    t21 Na=+

    =

    ( ) +

    ++

    += 23

    3

    2

    2

    13

    3

    2

    2

    flx

    lx2

    lxlf

    lx2

    lx31xw

    ( )x flx

    lxlf

    lx2

    lx3 f

    t43

    3

    2

    2

    33

    3

    2

    2

    Nf=

    ++

    +

    ed eseguendo derivazioni e integrazioni, la (2.64) diventa

    [ ] [ ] ( ) ( )ukkufkkfaka GfEft21GfEft21at21''021 ppuu =+=

    Figura 2.18

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    dove si posto

    == 11 11lEAdxEAl

    0

    taaa'' NNk

    == 22

    22

    3

    l

    0

    tffEf

    4l6l2l6l6l126l12

    2l6l4l6l6l126l12

    lEJdxEJ '''' NNk

    == 22

    22l

    0

    tffGf

    4l3ll-3l3l363l63l-3l4l3l3l633l36

    l30HdxH '' NNk

    =

    Ef

    aE 0

    0k

    kk

    =

    GfG 0

    00k

    k (2.65a, b)

    Le (2.65) definiscono le matrici di rigidezza elastica e geometrica dellelemento di trave. La prima congloba i contributi assiali e flessionali, che si presentano disaccoppiati, e coincide con lespressione ottenuta precedentemente (2.6.3.1) operando in piccoli spostamenti. La (2.65b) incorpora gli effetti dellazione assiale sulla rigidezza, che diminuisce in elementi compressi ( )0H > . Questi effetti intervengono solo attraverso lo spostamento trasversale, cio per w(x)0.

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    2.6.4.2 Lo studio dei ponti strallati in regime elastico con il metodo degli elementi finiti tenendo conto degli effetti del secondo ordine. Un ponte strallato una struttura che, a rigore, andrebbe studiata in campo non lineare. Come stato gi detto precedentemente per una fune la soluzione in campo lineare non esiste, sembrerebbe ovvio che lanalisi andrebbe condotta considerando anche le non linearit geometriche. Lutilizzo del modulo di elasticit di DISCHINGER ci permette di condurre lanalisi in ambito lineare, senza commettere grossi errori se le non linearit sono modeste, non-linearit che possono essere messe in relazione con il rapporto q/g = fra i carichi accidentali e i carichi permanenti. Se questo rapporto basso ( 300200 .. = per ponti con impalcati in calcestruzzo) la divergenza dalla linearit moderata, se viceversa il rapporto alto ( 002001 .. = per ponti con impalcato in acciaio) il modulo di DISCHINGER ci porta a commettere grossi errori, almeno quello tangente, il modulo secante, anche se formalmente pi corretto, non sembrerebbe di facile ricerca in quanto occorre utilizzare un procedimento iterativo che potrebbe anche non convergere, inoltre lapprossimazione alla curva * molto grossolana. Lutilizzo del metodo degli elementi finiti e della matrice geometrica KG ci permettono di scavalcare questi problemi, in quanto la matrice di rigidezza viene aggiornata ad ogni passo o iterazione per tener conto dellirrigidimento dei cavi dovuto agli sforzi di trazione. Si pone il problema dellavvio del processo iterativo, in quanto, essendo nulli gli sforzi normali negli stralli, nulla per tali elementi la matrice geometrica del primo passo di calcolo. Solitamente, per innescare il procedimento, si attribuisce un valore iniziale di pretensione alle funi oppure si applica il peso proprio alle funi dopo aver applicato alla travata una parte del carico, di modo che le funi ricevono il peso proprio quando hanno gi una conveniente pretensione. Tale calcolo non ha, per, alcun interesse pratico perch al fine di limitare le frecce dellimpalcato, gli stralli devono essere convenientemente pretesi. Tuttavia tale calcolo fornisce utili indicazioni per definire lentit delle pretensioni necessarie per limitare adeguatamente linflessione della travata.

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    C da dire, inoltre, che gli sforzi complessivi negli stralli non sono influenzati, in misura apprezzabile, dai valori iniziali delle pretrazioni. Per poter effettuare lanalisi non-lineare , in genere, necessario fare ricorso a metodi di calcolo iterativi. Per tali metodi lo schema di calcolo si articola nelle seguenti fasi:

    1. Con i carichi assegnati si svolge il calcolo della struttura con la teoria del 1 ordine; vale a dire considerare nulla la matrice di rigidezza geometrica di ciascuna asta. Si determinano in tale modo i valori degli sforzi normali { }1N .

    2. Si ricalcolano le matrici delle rigidezze delle varie aste,

    valutando i coefficienti di rigidezza delle matrici geometriche con i valori degli sforzi normali { }1N .

    3. Si risolve nuovamente la struttura con gli stessi carichi assegnati e si calcolano gli sforzi normali, in generale diversi da quelli ottenuti con il primo calcolo. Sia { }2N linsieme dei valori cos calcolati.

    4. Si aggiornano nuovamente i valori dei coefficienti della

    matrice di rigidezza geometrica.

    5. Si ripercorre il calcolo descritto al passo 3, e cos di seguito. Sintende che il calcolo si arresta quando gli sforzi normali calcolati al passo i sono poco dissimili da quelli calcolati al passo i+1. Lonere di calcolo, ovvero il numero delle iterazioni, dipende dal criterio di convergenza adottato e dal grado di approssimazione che si intende raggiungere. Esistono vari criteri di convergenza, fra questi il pi ricorrente consiste nel verificare, ad ogni iterazione, che:

    { }{ }

    2i

    2i

    NN

    100

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    dove: lerrore percentuale massimo ammesso, { }iN la differenza fra i valori degli sforzi normali calcolati al passo i-1 e quelli calcolati al passo i. { }

    2iN { }

    2iN sono le norme euclidee.

    C da osservare che un criterio di convergenza analogo al precedente potrebbe essere applicato sul vettore degli spostamenti nodali. Metodi risolutivi per problemi non-lineari: il metodo di Newton-Raphson. E un metodo iterativo molto semplice, che permette di risolvere problemi non-lineari, sia di natura geometrica che del materiale. Consideriamo il seguente sistema di equazioni non-lineari ( )UP = (2.66) che possiamo equivalentemente scrivere come ( ) ( ) 0PUU == (2.67) dove P e U indicano i vettori delle forze e degli spostamenti nodali. Supponiamo che le componenti di siano funzioni differenziabili in U, supponiamo, inoltre, di conoscere una soluzione approssimata Un della (2.67). Sviluppando la (2.67) in serie di Taylor attorno a Un e troncando al termine del primo ordine si ottiene

    ( ) ( ) { } 0UUUUU =

    + ++ n1n

    U

    n1n

    n

    (2.68)

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    La (2.68) rappresenta un sistema lineare che consente il calcolo di un valore aggiornato Un+1 per gli spostamenti nodali e si configura come elemento di un processo iterativo per la soluzione della (2.67). Introduciamo la seguente matrice

    ( )

    =

    =

    U

    UUKT

    j

    i

    j

    iTij UU

    K

    =

    = (2.69)

    La matrice KT(U) altro non che la matrice tangente a nel punto U. Per semplificare la scrittura delle relazioni successive poniamo ( )nn U = ( )nn U = ( )nTnT UKK = (2.70a, b, c) n1nn UUU = + (2.71) La (2.68) si scrive, simbolicamente ( ) ( ) ( )n1nTn1nTn PKKU == nn1n UUU +=+ (2.72a, b) Il processo viene iterato aggiornando ogni volta le (2.69) e le (2.70) e termina (figura 2.19a) quando il vettore P = nn (2.73) diviene sufficientemente piccolo. Vale a dire, quando risulta

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    semplicemente nellassumere, indipendentemente dalliterazione corrente 0T

    nT KK = (2.75)

    per cui la (2.72a) diventa ( ) ( )n10Tn PKU = (2.76) In questo modo ad ogni iterazione si aggiorna solamente il vettore dei termini noti e non si decompone la matrice nTK , aumenta per il numero delle iterazioni. La convergenza del metodo di Newton-Raphson non garantita in ogni circostanza, come vedremo in seguito, ma normalmente si verifica se il vettore di partenza non molto discosto dalla soluzione.

    Figura 2.19

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    Metodi risolutivi per problemi non-lineari: metodo di calcolo incrementale. Il problema pu essere risolto oltre che con dei metodi iterativi anche con dei metodi incrementali, in cui si pu osservare il comportamento della struttura man mano che viene caricata. Supponiamo di conoscere le equazioni di equilibrio nellincognita [ ] FL = (2.77) Sia inoltre 0 la configurazione nota relativa allo stato iniziale A. Se, anzich applicare i carichi complessivi, si suppone di effettuare un caricamento progressivo con incrementi di carico F sufficientemente piccoli, lecito ritenere che per il primo incremento di carico la struttura passi dallo stato iniziale A allo stato A+A sufficientemente vicino a quello iniziale e definito da una piccola variazione del movimento. Sviluppiamo in serie di Taylor la (2.77)

    [ ] [ ] FRddLLL

    A00 =+

    +=+

    (2.78)

    dove R il resto, trascurabile se 2 trascurabile rispetto a . In questo modo linearizziamo il problema e lequazione da risolvere diventa

    [ ] FddLL

    A0 =

    +

    (2.79)

    Risolta il sistema di equazioni lineari (2.79) il passo successivo consiste, ovviamente, nellapplicare un nuovo incremento di carico e ripetere il procedimento assumendo per come configurazione iniziale della struttura quella, nota, ottenuta al termine del primo passo. Nel nostro caso alla fine di ogni passo dobbiamo aggiornare la matrice di rigidezza geometrica della struttura . Ovviamente ad ogni passo si commette un errore che si somma a quelli dei passi precedenti e di cui difficile stimarne lentit. Il procedimento di calcolo si arresta quando si raggiunto lultimo incremento di carico { }2F ed allora evidente che i movimenti e le

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    azioni interne complessive sono dati dalle seguenti relazioni: { } { } { } { }n21 +++= ! (2.80) { } { } { } { }n21 SSSS +++= ! (2.81) La soluzione di un problema non-lineare viene cos trasformata nella ripetuta soluzione di problemi lineari (figura 2.20).

    Metodi risolutivi per problemi non-lineari: il metodo incrementale-iterativo di Newton-Raphson. Con tale metodo si evitano i problemi di convergenza del metodo di Newton-Raphson descritto precedentemente. Si tratta, in parole povere, del metodo incrementale in cui si innesta, ad ogni passo, il metodo di Newton Raphson classico o modificato (figura 2.21a, b).

    Figura 2.20

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    Il metodo descritto, sia nella forma originale, sia in quella modificata, in genere molto valido per lanalisi di strutture che presentano legami carico-spostamenti del tipo di figura 2.21, ossia con abbattimento della rigidezza della struttura al crescere del carico. Nel caso dellanalisi di un ponte strallato, ma in generale di qualunque struttura realizzata con sistemi di funi, il legame carico spostamenti, per gli stralli, del tipo di figura 2.22. Se la rigidezza iniziale della struttura molto minore di quella che la stessa struttura raggiunge quando sottoposta a carichi di qualche rilevanza si possono avere problemi di convergenza. Tali problemi possono essere evitati innescando il calcolo con incrementi iniziali di carico relativamente piccoli. La figura 2.22 mostra, infatti, che la prima forza non equilibrata risulta negativa, e di intensit paragonabile a 1F , se il primo incremento di carico non sufficientemente piccolo. Il problema, che molto insidioso, pu anche essere evitato iniziando il calcolo non con la matrice tangente ma con una matrice secante.

    Figura 2.21

    (a) (b)

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    Osservazioni sul concetto di matrice di rigidezza tangente nel riferiment