poesie di laura, lara, sara, emilia, giulia, alessandra...

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LAURA, LARA, SARA, EMILIA, GIULIA, ALESSANDRA, ILENIA, JENNY, ELENA, GIADA, GIACOMO, MARCO, ANDREA, LORENZO, MATTIA, LUCA, CHRISTIAN, MIRCO Istituto Comprensivo “Cosmè Tura” – Classe III F – Scuola Media di Barco (FE) Poesie di2

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LAURA, LARA, SARA, EMILIA, GIULIA, ALESSANDRA, ILENIA, JENNY, ELENA, GIADA, GIACOMO, MARCO, ANDREA,

LORENZO, MATTIA, LUCA, CHRISTIAN, MIRCO

Istituto Comprensivo “Cosmè Tura” – Classe III F – Scuola Media di Barco (FE)

Poesie di…

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Rallenta, Charlie Brown ! Con un breve itinerario i ragazzi della II F ci accompagnano nell’esperienza sempre un po’ imbarazzante di riscoprire ricchezze passateci sotto il naso. Prima lezione dunque diminuire la velocità, chi viaggia troppo forte non consente alle cose di raccontarci alcunché, tanto varrebbe allora farsi raccontare il mondo rinunciando a farne esperienza. Alla giusta velocità non solo i luoghi ci parlano, ma parlano fra loro e stabiliscono con i ragazzi reazioni emotive, avete capito bene, l’emozione di ascoltare antichi muri. Forse la mancanza di fretta non sarà sempre sufficiente, ecco allora che l’insegnante sensibile offre un aiuto ed in questo viaggio occhi giovani hanno inforcato occhiali da architetti ed urbanisti cercando, con la guida sensibile e paziente di Carlo Bassi, di scoprire “Perché Ferrara è bella” Sentirsi in armonia con la città, i suoi luoghi di svago e di lavoro, i suoi tempi di fatica e di riposo non è forse questo il compito della scuola? Se l’estetica è il nome di questo sentirsi in armonia, allora brava scuola! Mai come di questi tempi i ragazzi faticano infatti ad esprimere questa dimensione di relazione, anzi la difficoltà di sentirsi a proprio agio, diventa anche problema etico, cioè di significato profondo che un ragazzo attribuisce alla propria esistenza. Se guardiamo invece con questi nostri occhi le espressioni di sincera poesia di questa esperienza dei ragazzi di II F non possiamo non leggerVi qualcosa di più di una semplice divagazione sul programma, mi pare si tratti di una prova di autentica capacità espressiva che nasce dalla emozione, ed in tempi di tecnologia imperante e di dialoghi per SMS e chatline, un grazie doveroso va ai ragazzi, alla loro insegnante, ed a tutti coloro che si ostinano a voler fare di Ferrara una “città bambina” Il Vice Sindaco Avv. Tiziano Tagliani

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Carissimi Elena, Lara, Giulia, Laura, Mirco, Marco, Andrea, Alessandra, Ilenia, Jenny, Giada, Lorenzo, Giacomo, Francesco, Sara, Emilia, Mattia, Christian, Luca, la richiesta che la vostra Insegnante mi ha fatto di scrivere un testo per introdurre alla lettura delle poesie che la classe ha dedicato a Ferrara dopo una full immersion nella storia della città e della sua realtà monumentale, non può che riempirmi di gioia autentica e ho deciso di inviarvi questa lettera in segno di grande affetto. Avere preso coscienza, in tempi tanto precoci della vostra vita, di dove stanno le radici, il luogo della vostra 'nascita', i riferimenti di voi nel tempo della vostra esistenza deve essere stato un avvenimento importante per la vostra sensibilità, se le suggestioni che avete ricevuto, dopo gli interventi maieutici della vostra Insegnante, vi hanno portato a dedicare addirittura delle poesie a momenti che avete giudicato per voi particolarmente significativi di quel grande monumento urbano che è Ferrara. Mi pare un passaggio importantissimo di presa di coscienza. Fare poesia è estremamente difficile: vuol dire estrarre dal nostro vissuto personale ciò che è universale, ed è un impegno arduo, di lunga lena e di molta fatica raggiungere l'obiettivo. La vostra prova è di grande interesse e mi stupisco leggendo questi vostri versi per la intensità che molti di essi possiedono, per il trasparire di sentimenti e di intuizioni che rivelano. Devo dire, come vi ho detto a voce quando ci siamo incontrati in classe, che siete stati proprio bravi, che avete colto in certi momenti in modo alto e consapevole atmosfere e sensazioni, in una parola avete tradotto in realtà letteraria quelle poche parole mie che avete voluto mettere come esergo, come dichiarazione poetica di intenti, nella prima pagina della vostra raccolta: “... sentire come entrare dentro ad ascoltare… sognare, desiderare, amare...".

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Avete cominciato il vostro percorso di iniziazione: Ferrara è diventata per voi un luogo speciale non solo perché è la vostra patria il cui nome vi seguirà per sempre, ma perché avete cominciato ad "entrare dentro" di lei. Mi potrete obbiettare che dire 'entrare dentro' sembra una inutile ripetizione: il verbo entrare non ha bisogno di una specificazione del genere perché risulta pleonastica. Qui però è importante questa sorta di ripetizione perché il valore di 'dentro' ha un significato di intensificazione del processo di approfondimento che vogliamo dare al fine della comprensione vera di quel mondo fatto di spazi, di architetture, di vita che è la realtà meravigliosa di ogni città e, in modo del tutto particolare, quando questa città è Ferrara. Uno scrittore famoso, fratello di un pittore ancora più famoso (parlo di Alberto Savinio, fratello di Giorgio De Chirico, il grande pittore della Ferrara ‘metafisica’) scrisse un libro dal titolo bellissimo “Ascolto il tuo cuore città”. Credo che con le vostre esercitazioni poetiche abbiate fatto anche voi questo gesto affettuoso: avete messo una mano sul cuore di Ferrara e ne avete raccolto e raccontato i battiti. Grazie, cari ragazzi, per avere utilizzato in modo tanto intelligente i miei suggerimenti e un grazie particolare alle Insegnanti e alla Scuola per avere accompagnato le vostre giovani mani a sentire battere il cuore segreto di questa nostra straordinaria, benedetta Ferrara.

Con affetto

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“Occhi giovani per ammirare la città” Il lavoro della classe 3F della sede di Barco dell'Istituto Comprensivo Cosmè Tura di Pontelagoscuro, "Occhi giovani per animare la città”, conferma ancora una volta la validità delle collaborazioni intelligenti e la forza coinvolgente della passione nel dare motivazione all'apprendimento dei giovani. Ho seguito con interesse e con grande piacere le fasi della ricerca, ho potuto quindi ammirare ancora una volta le capacità e le competenze raffinate dell'architetto Bassi anche fra i ragazzi, validamente coadiuvato dai collaboratori di "Città Bambina" e non mi stupisce, al termine, la qualità del risultato: abbiamo un gruppo valido di ragazzi, una insegnante che li sa coinvolgere e, come dicevo, la collaborazione intelligente di persone capaci. Tuffo ciò mi conferma nella decisione di continuare a collaborare con Città Bambina anche in altri progetti, per diffondere fra i miei allievi la conoscenza della città ed una cultura della partecipazione critica alle scelte della comunità civica, per il miglioramento della qualità di vita dei bambini e delle bambine.

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Prefazione “So che è molto difficile immedesimarsi nella storia della propria città, specialmente per chi ci vive e la percorre quotidianamente, ma noi ci proveremo e chissà, forse alla fine del nostro viaggio a ritroso nel tempo, ci troveremo più ricchi di prima”. Con queste parole la nostra insegnante di lettere, professoressa Bonora Maria, dava inizio ad un lavoro di ricerca, condotto attraverso i libri, la riflessione e l’analisi introspettiva delle nostre sensazioni, sperimentate attraverso il contatto diretto con la realtà di Ferrara . Percorrendo le vie della nostra città abbiamo sentito, ascoltato, intuito, sognato, desiderato, amato. Le atmosfere, le sintesi architettoniche, l’armonioso impianto urbanistico della città hanno “orchestrato” una sorprendente “sinfonia” di luci, di ombre, di suoni, di odori, di volumi, di spazi, che è risuonata dentro di noi, suscitando emozioni. Quasi per incanto Ferrara si è arricchita di nuove suggestioni, suggerite da un’arcata, dalla cortina di mattoni dei palazzi, dai cornicioni e fregi in cotto, dai marmi, dai cortili, dai pozzi, dagli alberi, dalle chiese, dal fluire delle strade… Le parole si sono composte in un intreccio di immagini che, nella poesia, hanno trovato la loro più efficace espressione. Alla fine ci sentiamo più ricchi di prima: di questo ringraziamo la nostra splendida città.

Noi, poeti della classe III F

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Il Paesaggio urbano ferrarese nei secoli 13° - 14° - 15°

Prima di iniziare il nostro percorso, proviamo ad immaginare, sulla base della documentazione storica, il paesaggio urbano che caratterizzava, nel medioevo, la città di Ferrara. Il materiale più diffuso per la costruzione delle case era l’argilla, come testimonia il colore in prevalenza rosso della città, essendo l’edilizia medievale relativamente

povera, a causa della difficoltà dei trasporti. Molte case erano intonacate e colorate. Erano abbellite con decorazioni ad affreschi e a fasce, che contribuivano a variare i colori. Sembra che le stesse mura fossero di un colore diverso dal tradizionale rosso, ornate di fregi e molto spesso interrotte dalla presenza dell’aquila estense.Nel XIV secolo, le abitazioni, in precedenza a un solo piano, vennero sopraelevate e si svilupparono in altezza, ampiezza e larghezza, caratteristica che si ripeteva anche nelle finestre, nelle porte, come a sottolineare l’avvento e l’affermazione di un periodo più sereno, meno legato alle necessità di difesa, proprie del XIII secolo, in cui

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la città si presentava turrita e con le case addossate le une alle altre e le finestre molto simili a feritoie. Al pianterreno si aprivano le botteghe, i magazzini, mentre al piano superiore abitava la famiglia in spazi differenziati rispetto alle necessità di vita. Questa era la tipologia abitativa della borghesia formata da notai, medici non ancora famosi (quelli affermati avevano case simili a quelle dell’aristocrazia), speziali, artigiani specializzati e qualificati (tessitori specializzati, maestri di pietra o di legname). Nelle case delle persone meno agiate, invece, si mangiava, si lavorava, si riposava, si riceveva in un’unica o al massimo due stanze: la camera e la sala. Le finestre di queste abitazioni erano riparate non da vetri, troppo costosi e quindi di proprietà dei palazzi signorili (piccoli vetri tondi inquadrati in un reticolo di piombo), ma, o dalle semplici imposte, oppure da pezzi di lino imbevuti di olio, che formavano una sostanza un po’ traslucida in grado di far passare la luce. Tuttavia si era ancora lontani dalla “casa-palazzo” del Quattrocento, tipica dell’aristocrazia, caratterizzata da un numero di stanze che variavano dalle dieci - dodici fino alle trenta, in rapporto alla necessità di ospitare non solo il nucleo coniugale e i figli, ma anche i parenti e un buon numero di servitori e di schiavi, in prevalenza di sesso femminile, provenienti da Venezia e per lo più tartare, circasse, russe, indispensabili per la conduzione della vita domestica, comunque sempre gestita dalle donne di casa, anche da quelle più altolocate, che, oltre ad organizzare le faccende domestiche, i lavori di pulizia, la cucina, controllavano la biancheria della casa, chiamavano le lavandaie per il bucato settimanale o quindicinale, cucivano, talvolta tessevano in prima persona. Le ampie sale, in cui troneggiava un camino gigantesco in grado di riscaldare l’ambiente, diventavano spazi comuni in cui i signori delle famiglie ferraresi (Ariosti, Casella, Contrari, Roberti, Romei, Sacrati, Pendaglia…) consumavano i pasti, ricevevano le visite, si riunivano con gli ospiti. Lo spazio privato era affidato alle camere, la cui intimità veniva sottolineata dalle cortine che circondavano il letto. Quest’ultimo tipo di casa era completata da: 1) cortili, loggiati, concepiti come spazio di socializzazione; 2) magazzini, in cui si conservavano carni salate e prodotti agricoli ricavati dalle proprie terre o acquistati, stalle per ospitare le cavalcature. Infine un cenno alle residenze principali e secondarie degli Estensi e dei loro familiari (fratelli, parenti…), la cui grandiosità sovrastava le case delle famiglie altolocate ferraresi. Si possono così ricordare Palazzo Schifanoia, il Palazzo Paradiso, il Palazzo di Renata di Francia. Probabilmente solo le vie centrali del nucleo più importante della città erano lastricate con piccole pietre quadrate o con ciottoli di fiume, come si può dedurre dalla testimonianza dei viandanti del tempo, che incontravano difficoltà nel cammino a causa della polvere, d’estate e il fango, d’inverno. Molte attività artigianali si svolgevano per le strade o sulla riva del fiume, essendo l’acqua indispensabile, sia nel processo produttivo, come nei lavori di concia dei pellami, nella fabbricazione delle candele, sia come elemento per sbarazzarsi dei rifiuti (è il caso dei macellai, ad esempio). Il potere pubblico, nel tentativo di tenere pulita e igienicamente confortevole la città, stabiliva regole a cui dovevano attenersi, non solo gli artigiani,

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ma anche i cittadini privati che avevano l’obbligo di pulire il tratto di strada di fronte alla loro abitazione. Questo l’aspetto della città in tempo ordinario, ma, in occasioni di feste o di avvenimenti straordinari, la città si trasformava, si addobbava e diventava l’ambiente scenico in cui le classi sociali più agiate potevano sfoggiare la loro ricchezza. La quotidianità della vita cittadina si interrompeva anche a causa di carestie ed epidemie. Era sufficiente una gelata improvvisa e prolungata del Po, fatto abbastanza consueto nella Ferrara medievale, perché si arrestasse l’attività dei mulini e di conseguenza si rimanesse senza scorte alimentari. Nel caso di disastri idrogeologici, la gente era costretta a prestare lavoro gratuito per arginare il Po e i corsi d’acqua secondari, sottraendo tempo alle proprie attività. In queste circostanze si ispessiva il numero dei questuanti. Di qui l’istituzione di molte Opere e Confraternite anche di Misericordia, di Ospedali con la duplice funzione di accoglienza dei pellegrini e di cura degli ammalati, ma anche di soccorso ai poveri. Dal 1348 fino alla fine del Quattrocento, Ferrara, come molte città europee, fu devastata dalla peste, la cui natura di malattia contagiosa e mortale provocava trasformazioni radicali nella vita quotidiana. Erano messe al bando tutte le occasioni di vita sociale: non si andava più a Messa, non si svolgevano più processioni, non si celebravano più né matrimoni né funerali pubblici, spesso erano deserte anche le botteghe e i luoghi di lavoro erano sprangati. Terminata la crisi, occorreva molto tempo prima che la città si riavviasse alla normalità… Normalità ricercata nelle vie di Ferrara, attraverso il riconoscimento dei segni lasciati dalla storia, segni che continuano a vivere e ad animarsi, come risvegliati dagli occhi indagatori di diciotto ragazzini ferraresi, trasformati, per l’occasione, in “chiromanti”, capaci di leggere le linee contenute in una straordinaria “Mano”: Ferrara.

Istituto Comprensivo “Cosmè Tura” Pontelagoscuro Scuola Media di Barco – III F

Anno scolastico 2000-2001

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Alla scoperta di Ferrara: un percorso, mille storie

Dalla nuova all’antica cattedrale

Descrizione del percorso

Veduta dall’alto della prima parte del percorso: in primo piano la Cattedrale, sullo sfondo San Francesco Si entra in via degli Adelardi (in passato detta via Gorgadello), attraverso il volto stretto e basso che sottopassa il Palazzo del Vescovo. Si percorre il modesto rettifilo, sovrastato dal “ritmo violento delle membrature” della fiancata settentrionale del Duomo, per immettersi in via Voltapaletto e continuare per via Savonarola (strada di San Francesco). Dopo una pausa per osservare le emergenze architettoniche di via Cisterna del Follo, si ritorna sui propri passi,

diretti in via Madama, quindi in via Scandiana, da dove si svolta in via Camposabbionario per affacciarsi, dapprima in via Sant’Andrea, poi in via Brasavola e successivamente percorrere via Caprera, attraversando via Carlo Mayr e giungere in via XX Settembre da dove, dopo aver traguardato la Prospettiva, ci si affaccia in via Porta Romana, per concludere il percorso con l’immagine della basilica di San Giorgio, che si erge lontana, oltre il Po di Volano. Il visitatore si dovrà calare in una molteplicità di situazioni urbanistiche ed architettoniche che abbracciano un lungo periodo di tempo, corrispondente alla città lineare, al Borgo Nuovo, al Borgo di Sotto per arrivare all’addizione di Borso e spingersi fino al primo nucleo, costruito

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intorno alla cattedrale di San Giorgio. Si tratta quindi di un viaggio a ritroso nel tempo, in un’area ricca di suggestioni, dove l’elemento più vecchio si trova perfettamente a suo agio con quello relativamente più giovane, la costruzione più ardita, con quella più semplice, in un continuum armonico e sempre decifrabile, che fa di Ferrara una città unica nel mondo. Per comprendere pienamente il senso di un percorso tanto interessante, da affrontare con occhi stupiti, ma anche consapevoli, ci sembra indispensabile una velocissima sintesi storica.

La città e la memoria storica Le radici millenarie sono nell’area di Porta San Pietro, a due metri di profondità, e raccontano la faticosa ascesa della città. Lì sorgeva, nell’VIII secolo, il Castrum bizantino, a difesa del guado sul Po, all’incrocio tra il fiume e la strada militare, che andava da Ravenna a Verona, fronteggiato da un’isola fluviale chiamata Sant’Antonio in Polesine; più a sud la punta di San Giorgio tra il Po di Primaro e quello di Volano. Nel frattempo a Est e a Ovest si erano sviluppati alcuni borghi, abitati dai Longobardi, che, giunti a Ravenna nel 750, avevano esteso il loro dominio anche sul primo nucleo di Ferrara, come documenta un diploma del re dei Longobardi, Astolfo del 753. Borgo di Sotto era uno dei più importanti, con la sua chiesa (Santa Maria in Vado) e le sue stradine sinuose, strappate all’ambiente acquatico. Il Castrum e il Borgo di Sotto si fusero. Intanto andava sviluppandosi un altro borgo, a ovest del Castrum, il Borgo di Sopra. Questo, inglobato e bonificato, consolidò ulteriormente lo spazio urbano di una città che, data la sua posizione sulle rive del Po, cominciava ad essere appetibile. Lo dimostra il fortilizio di Castel Tedaldo, sorto nel Borgo di San Giacomo, eretto per il Marchese

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Tedaldo di Canossa, a cui il Papa, Giovanni XV, nel 986, aveva offerto l’investitura del ducato di Ferrara, quale feudo ereditario. In questo modo si sviluppò la città lineare, racchiusa dal Po (Ripagrande), dai Sabbioni (via Saraceno, Mazzini, Garibaldi), da San Romano, via Germiniana (Corso Isonzo), fino a Castel Tedaldo. Con la morte di Matilde di Canossa, figlia di Bonifacio, nato dal matrimonio di Tedaldo e Beatrice di Lorena, a Ferrara, nel 1115, si affermò il libero comune. Nel 1135, grazie soprattutto ai finanziamenti di Guglielmo degli Adelardi, ebbe inizio l’edificazione del Duomo. La costruzione della nuova cattedrale consentì lo sviluppo di un successivo ampliamento

della città, corrispondente al Borgo Nuovo. Questo periodo della storia si caratterizzò per le continue lotte fra guelfi, capeggiati dalla famiglia dei Marcheselli o Aldighieri, e ghibellini, guidati dai Torelli o Salinguerra. In questo clima rovente si inseriscono anche gli Estensi, chiamati dai

guelfi e destinati a diventare la famiglia più potente della città. Nel 1183, con Obizzo, inizia la rapida ascesa della famiglia, che rimase al governo di Ferrara fino al secolo XVII, a parte il breve periodo compreso tra il 1313 e il 1317 in cui il Papa, nel tentativo di sedare le lotte intestine della casa d’Este e le pressioni di Venezia, elesse signore del ducato, Roberto d’Angiò, re di Napoli. Ferrara nel frattempo si era accresciuta attorno alla Chiesa di Santa Maria in Vado: un confuso quartiere, che bisognava proteggere di mura dal Canton di Follo fino al Borgo Nuovo, seguendo la lunga Voltapaletto, quindi sistemarlo e ampliarlo. A questo provvide, verso la fine del secolo XIV, Niccolò II (lo zoppo), che nel 1386 diede vita alla prima addizione estense: dal Canton del Follo alla Porta dei Leoni, con due strade intermedie: Terranova e Bastardini (ora Bersaglieri del Po). La nuova cinta muraria rasentava la fossa della Giovecca, grazie alla quale, negli anni successivi, fu possibile attivare mestieri in precedenza sconosciuti, come testimonia la toponomastica delle vie: Cisterna del Follo (prima della follatura, i panni venivano fatti macerare

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in una cisterna), via Coramari (gli artigiani del cuoio). A ovest di questa parte della città, si estendevano terre coltivabili: via Fasolo (l’attuale via dei Romei), ad esempio, ne è una testimonianza, oppure via Sogari, nome derivato dai lavoratori delle soghe, grosse funi di canapa. Via Spadari, via Armari documentano invece la presenza di artigiani capaci di lavorare il ferro temprato. La seconda addizione di Ferrara è quella di Borso che, ottenuto dal Papa, nel 1450, il titolo di duca di Ferrara, garantì alla città un periodo di intensa attività, fino al 1470. Egli provvide all’interramento del Po nella parte sud-orientale della città e l’inserimento, dentro nuove mura, del Polesine di Sant’Antonio (convento delle monache benedettine). Il progetto urbanistico fu affidato all’architetto Antonio Brasavola, che ideò il collegamento del Castrum con questa parte nuova della città, attraverso il lungo rettilineo di via Ghiara (oggi via XX Settembre) e i raccordi con Borgo di Sotto e il borgo di San Giorgio. Biagio Rossetti edificò la sua casa proprio su via della Ghiara, strada precocemente moderna e ispiratrice della successiva addizione voluta da Ercole I.

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Materiale povero per arricchire la città

Il cotto architettonico, nel Medioevo e nel Rinascimento, era lavorato da “fornaciai” che provvedevano a:

• disegnare decorazioni, modelli e forme; • produrre stampi; • formare e cuocere l’argilla.

Anche gli scalpellini, nella particolare accezione di taglia pietra cotta, avevano un ruolo importante, seppure inferiore a quello dei fornaciai. La tecnica più comune della lavorazione della terracotta ferrarese era quella a stampo, con rifiniture eseguite a crudo: la forma delle matrici a legno erano varie: filari ornamentali, listelli lisci e ritorti, archetti semplici o incrociati o trilobati, rombi, rosette, foglie, tralci di vite, dentelli,

piccole mensole, nicchie a conchiglia, candelieri, cherubini. L’architetto o il maestro muratore sovrapponeva e alternava senza regola fissa i filari ordinati. L’argilla, estratta dalla cava alla fine dell’estate, vangata e tagliata a fette, era poi lasciata “maturare” per tutto l’inverno. In primavera veniva sminuzzata e

purificata, per sospensione, in acqua, al fine di allontanare le impurità e aumentare la plasticità. Si preparavano quindi gli impasti, con aggiunta di sabbia, polvere o cotto-pesto. I pani ottenuti erano pressati in stampi di legno, a volte composti di vari tasselli, gesso, o anche terracotta, secondo il motivo decorativo richiesto. Ne scaturivano varie forme che, una volta essiccate, venivano cotte in forno, anche per alcune settimane. Non essendo possibile un controllo della temperatura, non erano cotti in modo omogeneo e avevano colorazioni non uguali.

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Nella posa in opera dei decori, le formelle, assemblate con calce, gesso, sabbia, venivano collegate da giunti più o meno larghi e comunque visibili. I difetti, evidenti nei momenti in cui venivano montati, grazie ad un trattamento di finitura (la più diffusa negli edifici ferraresi è l’intonachino, composto di calce, gesso e pigmenti di ocra rossa, addizionato a polvere di cotto), si attenuavano e scomparivano del tutto. Nel periodo medievale fino alla fine del Quattrocento prevale il colore rosso, con variazioni che vanno dall’ocra al paonazzo, mentre in epoca rossettiana e rinascimentale si affermano le tonalità che vanno dal bianco al beige, molto simile alla pietra naturale. Le decorazioni in cotto non potevano mancare nella casa di Biagio Rossetti, costruita in via XX Settembre, 152. Nell’immagine riprodotta si può ammirare la finezza e la ricchezza dei fregi e le decorazioni di una delle chiese progettata dal grande architetto ferrarese, che seppe trasformare il materiale povero della pianura in un incomparabile tesoro d’arte.

Particolare della chiesa di San Francesco

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Alla scoperta di Ferrara

Laura. Passeggiando per le vie di una città è molto probabile che un locale non presti attenzione ai particolari perché si guarda intorno con gli occhi dell’abitudine e con sentimento di appartenenza, a differenza del turista interessato che si accosta ad essa con l’entusiasmo di un bambino, con meraviglia, e la esplora minuziosamente. In questa ottica si potrebbe quindi scoprire che un estraneo conosca meglio di un suo abitante la città visitata. Perché questo non succeda anche a noi, proviamo ad entrare nel cuore di Ferrara in un modo diverso dal solito, cercando di carpirne il respiro più profondo. Mattia. Fra pochi minuti varcheremo questa stretta “porta”, che sottopassa il Palazzo del vescovo. Fate attenzione al modesto rettifilo, dedicato, ora ad Adelardi, ma in passato, chiamato del Gorgadello… Giacomo. Originariamente la cattedrale si trovava su un’isola fluviale, là dove il Po di Primaro confluiva in quello di Volano, proprio dove oggi si erge la chiesa di San Giorgio. In seguito alla costruzione del Castrum l’asse della vita politica ed economica si spostò in questa parte della città che andò progressivamente espandendosi. Luca. Il nome originario di questa via ha le sue radici nei gorghi che vi si formavano durante le piogge, problema a cui si ovviò con la costruzione di ‘docce’ che consentissero lo scolo delle acque. Ora si chiama via degli Adelardi in onore del mecenate che finanziò l’edificazione del Duomo. Sara. Ci troviamo infatti di fronte alla prima espansione della città, chiamata anche “Addizione Adelarda”. Mattia. Percorrendo la via, vi invito a rivolgere lo sguardo verso l’alto e verrete subito colpiti dal rapporto squilibrato tra i due lati della strada. Da una parte la fiancata laterale del Duomo, con le sue colonne

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aggettanti, incombenti sulla nostra testa, vertiginosamente proiettate verso il piccolo e luminoso loggiato, subito oscurato dall’ombra intensa della grondaia. Sul lato opposto le costruzioni appaiono ancora più modeste di quanto non siano nella realtà. Emozioniamoci dunque… .Vi invito ora a fermarvi davanti a questa nicchia, dove potete ammirare una Madonnina. È la famosa “Madonna del Cortilazzo”, a ricordo dell’antico cimitero in cui venivano sepolti i morti che uscivano dalla porta del Giudizio, aperta su questa fiancata del Duomo, i cui unici accessi erano porticine di servizio. In questo punto la strada si allarga leggermente. Alziamo ora lo sguardo verso l’alto. La fiancata ha lo stesso rilievo di prima? Quali sono gli elementi che colpiscono l’ attenzione? Siamo arrivati in fondo alla via. Prima di oltrepassare l’incrocio voltiamoci per l’ultima volta indietro: in alto sarete stupiti di vedere affiorare, come dal nulla, il campanile e l’abside del Duomo. Marco. L’abside, costruita da Biagio Rossetti, ha un andamento curvilineo: di recente è stata restaurata , dopo 54 anni dalla sua parziale demolizione, dovuta ai bombardamenti a tappeto del 1944. La sintesi tipicamente rinascimentale, che affianca il bianco campanile, costruito da Leon Battista Alberti, e il rosso dell’abside, progettata da Biagio Rossetti è davvero sorprendente. Giulia. E ora attraversiamo l’incrocio e immettiamoci in via Voltapaletto, la strada principale dell’addizione di Niccolo II d’Este. Attualmente la strada è divisa in due parti, via Voltapaletto fino alla chiesa di San Francesco e di lì fino alla fine, via Savonarola. Luca. Vorrei dirvi che la strada prende il nome dal “paletto” che si usava nella gara di addestramento denominata “quintana”. Lara. Lo spazio viario è ricco di edifici perfettamente coerenti a formare una cortina muraria in cui intervengono ad animarla alcuni palazzi ben inseriti nell’andamento fluente della strada. Vi invito a guardare in prospettiva l’insieme delle case, dall’inizio e dalla fine di questo primo tratto del nostro percorso. Noterete come il palazzo Mazza Boschi Costabili, con i suoi cartigli e le sue alabarde in rilievo sulla facciata grigio-rosa, sia centrale nella sequenza della strada e ne costituisca il baricentro. È sinuosa: ricorda infatti il movimento di fiumi e canali, elementi caratteristici del paesaggio ferrarese di quel periodo, come ricordava prima Giacomo.

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Sara. Ci stiamo inoltrando nella prima Addizione voluta da Niccolò II d’Este, che darà vita alla cosiddetta città lineare, il cui perno è costituito dalla chiesa di San Francesco. Lara. Siamo arrivati all’incrocio con via Terranova. Luca. Anticamente la strada continuava con lo stesso nome di prima, ora si chiama via Savonarola, grazie al famoso frate domenicano che, presumibilmente, visse in uno di questi palazzi. Lara. Indubbiamente l’incrocio riceve qualità e pregnanza dalla chiesa di San Francesco, con il suo sagrato e il suo oratorio. Lorenzo. Guardate il fregio in alto che circonda la Chiesa, si vedono angioletti in cotto, il materiale povero con cui si arredò la città estense. Ilenia. Eccoci in via Savonarola. Abbiamo appena superato l’incrocio e già la chiesa di San Francesco ci offre una nuova prospettiva. In prossimità del transetto la strada si restringe. Pensate che Biagio Rossetti fu costretto a diminuire l’area della chiesa, per contenerla in questo spazio urbano. Guardando la via da questo punto e quando saremmo più avanti, all’indietro, scopriremo che il transetto continua ad essere l’elemento prevalente nel tessuto urbanistico della strada. Anche la fiancata è piuttosto caratteristica per la sua collocazione rispetto allo spazio viario. Laura. Il portale dell’ingresso laterale della chiesa e l’urna che contiene le ossa di Gherardo Francesco Saraceni, uno dei più famosi giuristi vissuti a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, sono di marmo, materiale piuttosto raro in quei tempi, molto costoso e quindi spesso riciclato. Ilenia. Certo la Chiesa di San Francesco, con il suo transetto, è uno scorcio posizionato in modo felice in questa seconda parte della strada, che si anima in funzione delle emergenze, corrispondenti alla facciata del grande Palazzo dedicato a Renata di Francia, ora sede dell’Università, e di altri dimore, che saranno illustrate dai miei compagni durante il percorso. Laura. Questa è la casa di Giovanni Romei, ricco mercante imparentato con la famiglia ducale grazie al matrimonio con Polissena d’Este. È l’unico edificio rinascimentale di Ferrara perfettamente conservato. Venne costruito da Pietrobono Brasavola nel 1442, per volere di Giovanni Romei che, alla sua morte, la lasciò in eredità al Corpus Domini, nel 1491. Nella seconda metà del XVI secolo si avviarono lavori di abbellimento per volere del cardinale Ippolito d’Este, ma nel 1810, il

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monastero venne soppresso e i beni divennero dello Stato per poi essere riconsegnato alle Clarisse nel 1872 Emilia. La dimora si sviluppò e si ingrandì nel corso del tempo. Da questa porticina a sesto acuto si accede all’armonioso cortile d’onore. Nei due loggiati sovrapposti sono ben visibili le decorazioni che in ogni angolo del cortile diventano iniziali di Giovanni Romei. Vedete quel grande cerchio in cotto? È un monogramma proprio della tradizione di San Bernardino con sei tondi, anticamente affrescati e che riporta la scritta J H E, corrispondente alle prime tre lettere della frase: Jesus Homo Ecce. La facciata dell’ antica dimora era arricchita probabilmente da variopinti affreschi e decorazioni, ora appena visibili sotto la gronda, e terminava con merlature. Giacomo. Avrete sicuramente notato che lo spazio viario è in continua dilatazione, ulteriormente amplificata dal sagrato della chiesa di San Girolamo fino ad arrivare al massimo della sua espansione in corrispondenza del seicentesco Palazzo Gulinelli-Contughi. La casa Giglioli, dove abitò Ugo Bassi, chiude definitivamente la strada riconducendola alle sue tradizionali dimensioni. Christian. Arrivati all’incrocio, prima di svoltare in via Madama, inoltriamoci in via Cisterna del Follo. Luca. La toponomastica di questa via ha le sue radici nell’attività tessile, che prevedeva la follatura dei panni, preceduta dalla loro immersione in una cisterna, per rendere più efficace la successiva operazione. Christian. Qui si possono ammirare due edifici sulla vostra sinistra: il primo, vicinissimo all’incrocio, è la casa di Bassani, il celebre scrittore ferrarese che ha immortalato Ferrara nei suoi libri, ai quali si sono poi ispirati famosi registi, la seconda è una residenza del 1469, comperata dalla famiglia d’Este nel 1533 e destinata, insieme a Palazzo Schifanoia, in via Scandiana, e alla palazzina Marfisa, in Corso Giovecca, ad ampliare questo settore della città, per lo svago e il divertimento. Osservate la struttura semplice e austera di Palazzo Bonacossi, con una torre merlata centrale e due ali sopraelevate ai lati, con grandi finestre rettangolari sulla facciata. Alessandra. Ritorniamo sui nostri passi. Siamo di nuovo all’incrocio: da una parte via Ugo Bassi, dall’altra via Savonarola di fronte a Cisterna del Follo e quindi via Madama, la strada che ha questo nome, in ricordo di Eleonora d’Aragona, la moglie del duca Ercole I d’Este. La via è

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estremamente ordinata e spaziosa. A metà strada, si trova una lapide in ricordo del convento di San Girolamo dei Gesuiti, che arrivava fino in via Pergolato, in una sequenza ininterrotta di giardini, orti, chiostri. Sulla lapide si fa cenno a una pianta di rose, che fioriva ogni mese: una di queste fu offerta al Signor De Montaine in visita alla città. Similmente alla strada di San Francesco, via Madama si conclude sul sagrato della Chiesa di Santa Maria in Vado. Jenny. Eccoci di nuovo a un incrocio, a destra via Borgo di Sotto o via della Morte, a sinistra via Borgovado e di fronte via Scandiana. Luca. L’ingresso principale dell’antica chiesa di Santa Maria in Vado, risalente all’anno Mille, si trova in via Borgovado, o del Guado, che trae la sua origine da un nucleo abitativo sulla riva del Po, in prossimità di un passaggio, per accedere alla città, quando era ancora alla destra del fiume. In questo borgo antichissimo sorgeva una chiesetta con il fonte battesimale, successivamente trasformata nell’attuale basilica. Sara. Vorrei ricordarvi che Borgo di Sotto insieme al Borgo di Sopra fu uno dei primi agglomerati che ampliò ulteriormente la città, prima che si desse inizio alle addizioni degli Estensi. Santa Maria in Vado è stata la chiesa del miracolo del sangue, le cui gocce spruzzate dall’ostia sono ancora visibili. Non ha un aspetto straordinario: se non si fa attenzione si può rischiare di passarle vicino senza rilevarne l’importanza. Giacomo. Focalizziamo ora la nostra attenzione sul fianco sinistro di questa basilica, dalle caratteristiche strutture rossettiane. Anche in questo caso essa offre ai nostri occhi uno spazio pieno di respiro e di luce. Guardando di profilo via Scandiana, oltre la chiesa si nota la cortina di case di modeste dimensioni formali. Proviamo ad immaginare il grande vuoto che circondava Palazzo Schifanoia, che si vede dall’altra parte della strada. Si trattava davvero di una delizia isolata dal resto della città. Luca. L’attuale via Scandiana, così chiamata perché Marfisa d’Este diede inlocazione il Palazzo Schifanoia a Giulio Tieni, Conte di Scandiano, che vi dimorò dal 1582 al 1590, anticamente era denominata via Schifanoia o Schivanoia, dal palazzo estense che vi sorgeva, circondato da orti e giardini. Mirco, Risulta difficile guardare di scorcio la lunga facciata di Palazzo Schifanoia, la cui struttura è tutta ordinata sul piano e quindi appare molto semplice, con piccole finestre decorate in cotto. Il fatto rivoluzionario è costituito dal grande portale di marmo, con la stupenda

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lapide scolpita forse da Francesco del Cossa, celebre pittore degli affreschi contenuti nella sala dei Mesi, all’interno del palazzo. Le vicende dell’edificio furono alquanto tormentate. Biagio Rossetti vi compì le sue prime esperienze di “inzigniero” e di architetto, come si legge nei documenti. Jenny. Potremo continuare per questa strada e arrivare fino in fondo, verso le mura, ma preferiamo entrare in via Camposabbionario. Luca. La toponomastica di questa via ha le sue radici nella cava di sabbia che serviva a coprire le vie basse e fangose, non acciottolate, per renderle praticabili durante l’inverno e nelle stagioni piovose o in occasione di Corse o Giochi Pubblici. Francesco. Notate la chiesa di Santa Libera, oggi trasformata in lapidario. Giulia. Il primissimo tratto della via continua a dare la sensazione di vuoto urbano che isolava Palazzo Schifanoia, appena lasciato alle nostre spalle. Arrivati all’altezza di via Brasavola, fermiamoci e guardiamo in prospettiva la strada. Cominciamo vedendo, a sinistra, il palazzo cinquecentesco della famiglia Turchi, fronteggiato da una modestissima costruzione con un muro, un piccolo giardino e dei rilievi sulle pareti della facciata. Marco. Appena arretrate dal filo della strada, si possono notare le rovine di Sant’Andrea, chiesa antichissima, dove fu sepolto Biagio Rossetti il 16 settembre 1516. Questo luogo meriterebbe una sistemazione attenta anche in considerazione del nodo urbano in cui è inserita. La strada infatti si collega con la parte finale di via Ripagrande (Carlo Mayr). Luca. Ricollegandomi a quanto detto da Giulia, vorrei precisare che via Brasavola porta il nome di una nobile e celebre famiglia da cui derivarono: Santi ( San Donato, morto a Castel Fiorentino nel 1353), illustri medici (Antonio, detto Musa, morto nel 1555), uomini di Chiesa (il vescovo Giovanni Ireneo, nel 1617). Nel passato si chiamò Vicolo del Leone, Vicolo del Gamberetto, Strada di Panperso, con riferimento alle condizioni economiche e sociali di alcune famiglie private del lavoro e del pane dai signori locali e dalle fazioni politiche avverse. Sara. Vi ricordo che siamo entrati nella seconda addizione degli Estensi, quella di Borso d’Este. Arrivati all’incrocio con via Carlo Mayr, svoltiamo in via Palmieri per imboccare, dopo breve tragitto, via Caprera.

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Marco. Spingiamo lo sguardo fino alla fine della via: vedremo delinearsi l’ingresso della casa di Biagio Rossetti, recentemente restaurata. Affacciata in via XX Settembre, l’edificio era pensato come conclusione della strada appena percorsa. Fate la prova: se disegnate un angolo retto, in corrispondenza allo stipite della porta, vedrete che essa è perpendicolare non alla via XX Settembre, ma a via Caprera. Lorenzo. Vi consiglio di ammirare gli archivolti in cotto sulla porta e sulle finestre apparentemente binate. Le decorazioni, per evitare di vedere i punti in cui erano collegate, venivano ricoperte con una polvere rosso-ocra. Jenny. In fondo alla strada si vede la Prospettiva, superata la quale si arriva alle mura. Giunti all’incrocio, svoltiamo in via porta Romana. Che cosa notate? Come si presenta l’andamento della strada? Che ne dite del traffico? Lara. Superata Porta Romana, percorriamo via San Maurelio. Ci ritroviamo quasi per incanto a contatto visivo con l’elemento liquido: il Po di Volano. Oltrepassato il ponte, eccoci nell’antica isola fluviale su cui, nel VI secolo venne eretto l’antico Duomo. La basilica di san Giorgio, con le sue pareti cariche di storia e il solitario e austero campanile, ideato da Biagio Rossetti ci riportano alle origini di Ferrara. Laura. Con il nome del grande architetto, che fece di Ferrara una ‘città ideale’, concludiamo il nostro percorso. Siamo un po’ stanchi, ma speriamo che si sia realizzato quanto auspicavo all’inizio del nostro viaggio: entrare nello “spirito” della città, saperla guardare con gli occhi di chi la vede per la prima volta e provare meraviglia e stupore nel riconoscere le linee contenute nelle maglie della sua storia. Lasciarsi suggestionare da uno scorcio, da una finestra, da uno spiazzo, da un monumento, da un’atmosfera e da tutto ciò che “s’imbeve del passato” e si dilata nel presente, si materializza ai nostri occhi e contemporaneamente si alza verso l’infinito dei nostri sogni questo è lo straordinario incantesimo che Ferrara ha esercitato su di noi.

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Ingresso in via Gorgadello

Codesta arcata, simile a un atollo in un oceano di indifferenza, introduce nel mondo splendido di una città umana, da percorrere in bicicletta lentamente, senza fretta, tra vie infinite, dirette verso il cielo alla ricerca di un mondo proprio bello, che splende nella luce di un’arcata, dentro Ferrara, città fatata.

Mirco Battilana

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Scorcio della facciata del Duomo Agente come un esperto scalpellino fregi la superficie della tua facciata, con decorazioni, simili a un cerchio di pace, imponente come un pavone, che fa apparenza della sua bellezza. Atmosfera di estrema unzione tra odore d’incenso e parole di consacrazione. Sbigottita espressione di un turista offuscato dalla tua perfezione.

Andrea Casini

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Porta laterale murata del Duomo Attiva e imponente era la porta ora è passiva e dimenticata, passato imprigionato nella voluta ignoranza dei ricordi. Adesso, del presente sono i segni ad essere porta.

Marco Tartaglione

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Via Voltapaletto Il percorso del tempo sinuoso e ostile, segno dell’esistenza di un fiume, travolgente e continuo da cui affiorano piccoli vermi brulicanti temibili più di ogni altra cosa, lambisce quei muri spigolosi, quelle strade fredde, quei fili di un metallo trafiggente, quell’odore di un uomo invecchiato. Per queste vie il tempo li porterà dall’altra sponda in un futuro senza immagine.

Mattia Rossi