platone apologia socrate

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    Platone Apologia di Socrate

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    Platone

    APOLOGIA DI SOCRATE

    INDICE

    PARTE PRIMA LA DIFESA DI SOCRATE

    I - UFFICIO DELLORATORE EDIRE LA VERITAII - DUE SPECIE DI ACCUSATORI: GLI ANTICHI E I RECENTI. PIANO DELLA DIFESAIII - SOCRATE NON SI EMAI OCCUPATO DI RICERCHE NATURALISTICHEIV - SOCRATE NON CONOSCE, COME I SOFISTI, LARTE DI EDUCARE GLI UOMINI

    V- LA SAPIENZA DI SOCRATE RIVELATA DALLORACOLO DI DELFOVI - COME SONO SORTE LE CALUNNIE. SOCRATE INDAGA PRESSO I POLITICI. ILSENSO DELLORACOLO

    VII - SOCRATE INDAGA PRESSO I POETI IL SENSO DELLORACOLOVIII - SOCRATE INDAGA PRESSO GLI ARTIGIANI IL SENSO DELLORACOLOIX - IL VERO SENSO DELLORACOLOX - LODIO CONTRO SOCRATE SI ACCRESCE PERCHEI SUOI DISCEPOLI LO IMITANO

    NELLA RICERCAXI - CONTRO I NUOVI ACCUSATORIXII - MELETO NON SA CHE COSA SIA LEDUCAZIONE DEI GIOVANIXIII - SOCRATE NON CORROMPE I GIOVANI: MELETO MENTE SAPENDO DI MENTIREXIV - O FORSE MELETO VOLEVA PRENDERSI GIOCO DI TUTTI NOI ?XV- LACCUSA DI MELETO EUNA PALESE CONTRADDIZIONEXVI - IL DOVERE DELLUOMOXVII - SOCRATE NON ABBANDONERAMAI LA SUA MISSIONEXVIII - EINTERESSE DEGLI ATENIESI RISPARMIARE SOCRATE

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    XIX - PERCHESOCRATE SI EASTENUTO DAL PARTECIPARE ALLA VITA POLITICAXX - SOCRATE CONFERMA CON ESEMPI LA SUA DIRITTURA DI CARATTEREXXI - SOCRATE NON ESTATO MAESTRO DI NESSUNO E NON HA QUINDI CORROTTOI SUOI CONCITTADINIXXII - PERCHEALLORA NON LO ACCUSANO QUELLI CHE SONO STATI CORROTTI O ILORO PARENTI?

    XXIII - SOCRATE SI RIFIUTA DI IMPIETOSIRE I GIUDICI PERCHE CIONON FAREBBEONORE A SEE ALLA CITTAXXIV - SOCRATE VUOLE CHE I GIUDICI GIUDICHINO SECONDO LEGGE E NONSECONDO PIETA

    PARTE SECONDA SOCRATE EGIUDICATO COLPEVOLE

    XXV - SOCRATE FA ALCUNE RIFLESSIONI SULLA SENTENZAXXVI - LA PENA CHE SOCRATE SI ASSEGNA: ESSERE MANTENUTO NEL PRITANEOXXVII - SOCRATE NON HA FATTO TORTO A NESSUNO E PERCIONON PUOPROPORSI

    ALCUNA PENA

    XXVIII - SOCRATE PUOPROPORRE PER SE

    TUTT

    AL PIU

    L

    AMMENDA DI UNA MINA

    DARGENTO

    PARTE TERZA SOCRATE ECONDANNATO A MORTE

    XXIX - SOCRATE PARLA AI GIUDICI CHE HANNO VOTATO LA SUA CONDANNA AMORTEXXX - IL VATICINIO DI SOCRATE AI GIUDICI CHE HANNO VOTATO PER LACONDANNA A MORTEXXXI - I GIUDICI CHE HANNO VOTATO PER LASSOLUZIONE SI CONFORTINO: LAMORTE PER SOCRATE EUN BENE

    XXXII - LA MORTE EIN OGNI CASO E PER CHIUNQUE UN BENEXXXIII - LUOMO GIUSTO NON HA NULLA DA TEMERE DALLA MORTE

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    PARTE PRIMA

    LADIFESADI SOCRATE

    I - UFFICIO DELLORATORE EDIRE LA VERITA

    Io non so proprio, o Ateniesi, quale effetto abbiano prodotto su di voi i miei accusatori.Quanto a me, mentre li ascoltavo, divenivo quasi dimentico di me stesso: tale era ilfascino della loro eloquenza! Eppure, se debbo proprio dirlo, non una parola di veritera in loro. Ma, tra tutte le loro menzogne, quella che mi ha maggiormente colpito questa: essi dissero che dovevate stare bene in guardia per non lasciarvi trarre ininganno da me, essendo io un astuto parlatore. E questa mi parsa la loro maggioreimpudenza, in quanto si sono esposti con vergogna a farsi immediatamente smentire,giacchvi mostrercon i fatti come io non sia quell astuto parlatore che dicono. A

    meno che essi non intendano per

    astuto parlatore

    chi dice la verit; in tal caso concedoloro di essere un oratore, ma non certo alla loro maniera. Costoro dunque, ed amoripeterlo ancora, poco o nulla hanno detto di vero; ma da me non udrete che la verit. Eper Giove, o Ateniesi, io non parlera voi con linguaggio ornato intessuto di frasi e diparole belle ed eleganti, come sono usi fare costoro. Io vi parler invece cos,semplicemente, come le espressioni si presenteranno a me, ma improntate tutte, nesono certo, a giustizia: non aspettatevi dunque altro da me. Non starebbe infatti bene, ocittadini, che un uomo della mia etsi presentasse a voi cincischiando i suoi discorsi,come fanno i nostri giovanetti. Ecco, anzi, o Ateniesi, ciche vi chiedo e di cui visupplico; se vaccorgerete che nel difendere la mia causa io mi esprimo con quelle stesseparole che sono solito usare sia nella pubblica piazza presso i banchi dei trapeziti, dovemolti di voi mi hanno potuto ascoltare, sia altrove, non vi meravigliate e non protestate:pensate che la prima volta che mi presento davanti a un tribunale, ed ho bensettantanni; sono dunque inesperto del linguaggio duso come un forestiero. E se fossipresso di voi veramente un forestiero, voi certo mi scusereste se parlassi con l accento elo stile cui sono stato educato. Vi prego dunque, e mi pare bene a ragione, che lasciateche io mi esprima alla mia maniera, buona o cattiva che sia. La sola cosa cui dovetebadare, e badare molto scrupolosamente, di vedere se io dica cose giuste o no. Questo,infatti, lufficio proprio del giudice; quello delloratore di dire la verit.

    II - DUE SPECIE DI ACCUSATORI: GLI ANTICHI E I RECENTI. PIANODELLA DIFESA

    Ed ora giusto, o Ateniesi, che io mi difenda per primo dalle vecchie accuse e dai vecchiaccusatori; in seguito poi mi difenderdalle accuse e dagli accusatori pirecenti. Ineffetti numerosi sono coloro i quali gida tempo, anzi da molti anni ormai, mi accusanopresso di voi senza aver mai detto nulla di vero; e sono proprio costoro che mi fanno pipaura, che non Anito e i suoi seguaci, anche se non sono meno temibili. Ma quegli altri,o Ateniesi, lo sono molto di pi, perchhanno fatto presa su di voi mentre eravateancora fanciulli con lo spargere suol mio conto accuse non vere. Costoro infatti vi hanno

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    fatto credere che vun certo Socrate, uomo sapiente, indagatore dei fenomeni celesti edei misteri che si nascondono sotto terra, capace di far prevalere la causa cattiva sullabuona. Sono questi, o Ateniesi, i miei temibili accusatori, questi che hanno sparso sulmio conto tale fama giacchessi sapevano bene che chi si da un tal genere di ricerche generalmente creduto un ateo. E numerosissimi sono gli accusatori che da gran tempo

    mi recano danno avendo parlato a voi in quelletin cui, per essere ancora fanciulli, pifacilmente si inclini a credere; e alcuni di voi erano addirittura ancora adolescenti: n

    hanno esitato ad accusare un assente che nessuno era pronto a difendere. E ciche pisconcertante che non si possa nconoscere, ncitare i loro nomi, salvo di quelli cheper invidia o per calunnia hanno insinuato tali accuse, sia quelli che, persuasi, hanno aloro volta finito col persuadere altri, tutti costoro costituiscono per me un graveimbarazzo: non possibile, infatti, nportarli qui a comparire, nconfutarli nelle loroaccuse. Epur necessario, quindi che io mi difenda come se stessi combattendo contro leombre, senza che vi sia alcuno che possa ribattere le mie argomentazioni. E chiaro,dunque, come vi siano per me due specie di accusatori: gli antichi e i recenti. Consentiteallora che io mi difenda per prima da quelli che per primi mi hanno accusato e in modopitemibile che non abbiano potuto fare i secondi: giacch, o Ateniesi, si tratta diprovarsi a trarre fuori dagli animi vostri una calunnia che vi si annida da coslungotempo, e trarla fuori invece in cosbreve tempo. Il mio augurio di riuscirvi, se ciha daessere un bene per me e per voi; non me ne nascondo perle difficolt. Vada pure comea Dio piacer: il mio dovere di obbedire alla legge e di espletare la mia difesa.

    III - SOCRATE NON SI EMAI OCCUPATO DI RICERCHENATURALISTICHE

    Riprendiamo dunque da principio ed esaminiamo da quale accusa sorta la calunnia,confidando nella quale Melto mi ha intentato questo processo. Che cosa dicono dunquecon esattezza i miei calunniatori? Procediamo come per un accusa in piena regola di cuinecessario dare lettura del testo. Essa suona cos: Socrate colpevole. Egli indaga conanimo empio le cose del cielo e della terra, fa prevalere la causa cattiva sulla buona einsegna agli altri a fare altrettanto. Cospressa poco si esprime. E lo avete potutoconstatare voi stessi nella commedia di Aristofane dove appare un Socrate che,muovendosi qua e lnellalto della scena, dichiara di camminare nellaria e molte altrestupide cose dice delle quali io non so punto, npoco. Con cinon intendo disprezzareaffatto tale scienza, se qualcuno mai la possiede; non vorrei proprio che Melto poi miaccusasse anche di una tale temerariet. Ed in verit, o Ateniesi, io non mi sono maioccupato di siffatta scienza; e ne chiamo a testimone la gran parte di voi, e vorrei che vicontaste uno per uno tutti quelli che avete udito i miei discorsi, e ce ne siete tanti qui,

    per sapere chi di voi mi ha mai sentito fare discorsi simili. Da cipotrete facilmentededurre quale valore abbiano le altre accuse che mi sono state mosse.

    IV - SOCRATE NON CONOSCE, COME I SOFISTI, LARTE DI EDUCARE GLIUOMINI

    Nulla vdi vero in esse. E se qualcuno vi ha ancora detto che io faccio leducatore e che

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    ne ricavo gran guadagno, neppure questo vero. Riconosco certo che bello esserecapace di educare gli uomini, come un Gorgia Leontino, un Prodico di Ceo, o un Ippia diElide. A costoro concesso, o Ateniesi, di andare di cittin citte di attirare al loroinsegnamento i giovani, i quali invece potrebbero benissimo senza spendere nulla,frequentare linsegnamento di quei concittadini che amerebbero meglio scegliersi; quelli

    invece sanno persuaderli ad allontanarsi da questi e a venire loro, a pagarliprofumatamente e a mostrare anche la dovuta gratitudine. Che dico? Evenuto qui franoi un sapiente uomo, un cittadino di Paro, come ho potuto apprendere per avere ioparlato con uno che con i Sofisti ha speso pidenaro che tutti gli altri messi insieme,Callia precisamente, il figlio dIpponico. Voi sapete che egli ha due figli; ebbene io hovoluto interrogarlo: -Callia, gli dissi, se in luogo di due figli tu avessi due puledri o duevitelli non dovremmo affidarli a sovrastante e pagarlo in conseguenza, perchsviluppasse in loro le virtproprie della loro natura? E questo non potrebbe essere cheun domatore di cavalli o un massaro. Invece sono degli uomini. A chi dunque dobbiamoaffidarli? Chi abile a sviluppare in loro le virtproprie dell uomo e del cittadino?Suppongo che tu ci abbia molto riflettuto, poichhai dei figli. C qualcuno che ne siacapace o no? -Certamente, mi rispose. -E chi costui, chiesi, e di quale paese , e cheprezzo chiede per il suo insegnamento? -EEvno di Paro, o Socrate, mi rispose, e chiedecinque mine. -Felice Evno, pensai io, se veramente possiede questarte e linsegna a cosmodico prezzo! Anchio mi sentirei fiero e felice se sapessi fare altrettanto; ma non so oAteniesi.

    V- LASAPIENZADI SOCRATE RIVELATADALLORACOLODIDELFO

    A questo punto qualcuno di voi sartentato di chiedermi: -Che faccenda questa allora,o Socrate? Donde ti sono nate queste calunnie? Se, come tu dici, non hai fatto nulla dieccezionale, nulla di diverso che gli altri non fanno, perchallora ti si attribuita una scattiva fama? Spiegaci tutta questa faccenda perchnoi non si abbia a giudicare a caso.-La domanda mi sembra piche legittima. Mi provera spiegare che cosa ha provocatolinsorgere di tale fama e di tali calunnie; statemi dunque a sentire: alcuni di voi forsepenseranno che io scherzi, ma, credetemi, ciche vi dirla pura verit. Debboriconoscerlo, o Ateniesi, io debbo questa fama ad una certa qual sapienza che posseggo.Ma quale sapienza? La sapienza propria delluomo, io credo; e pu darsi che ioveramente la possegga, mentre quelli di cui parlavo pocanzi, ne possederebbero unaltrache piche umana, o che so io, ma che certamente io non posseggo, e se qualcuno melattribuisce mente e cerca solo di calunniarmi. (A questo punto lAssembleaschiamazza) Vi prego di non schiamazzare, o Ateniesi, se vi sono sembrato alquantopresuntuoso, perchad attribuirmi tale sapienza, se pur ne posseggo alcuna, non sono

    io, ma uno che per voi degno di fede: il Dio di Delfo. Voi conoscevate certamenteCherefonte. Egli mi fu amico fin dalla giovinezza e amico fu al vostro popolo e con voifuggin esilio e con voi torn. Sapevate bene di lui limpeto e lentusiasmo con cui siaccingeva a qualunque impresa. Ebbene, costui, essendosi recato una volta a Delfo, eccosu che cosa os interrogare il Dio (LAssemblea riprende lo schiamazzo) Nonschiamazzate, vi prego, o Ateniesi. Egli, dunque, interrogil Dio per sapere se vi fossequalcuno pisapiente di me. La Pitia rispose che nessuno era pisapiente. E di questoresponso delloracolo vi potrdare testimonianza il fratello di Cherefonte qui presente,

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    essendo egli morto.

    VI - COMESONOSORTE LE CALUNNIE. SOCRATE INDAGAPRESSO IPOLITICI. IL SENSO DELLORACOLO

    Ho raccontato questo perchpossiate osservare come sia nata la calunnia. Quando ioconobbi le parole delloracolo pensai cosfra di me: Che cosa vuole mai dire Dio?Giacchio non mi sento affatto di essere sapiente. Quale il senso allora delle sueparole? Certo non possibile che egli menta. E stetti molto tempo in dubbio senzariuscire a comprendere che cosa avesse mai voluto significare. E fu cosche, miomalgrado, mi decisi a venirne a capo. Mi recai infatti presso uno di quelli che passavanoper sapienti, sicuro di smentire loracolo e dimostrare cosche quello era pisapiente dime. Esaminai per tanto a fondo il mio personaggio (inutile che ve ne dica il nome: eraun uomo politico) ed ecco limpressione che ne ricavai: mi parve che questuomoapparisse sapiente a molti, e soprattutto a se stesso, ma che in realtnon lo era affatto; ecercai anche di dimostrarglielo. Naturalmente venni in odio a lui e a molti altri cheerano con lui presenti. Mentre mi allontanavo pensavo cosfra me: Sono io pisapientedi costui giacchnessuno di noi due sa nulla di buono; ma costui crede di sapere mentrenon sa; io almeno non so, ma non credo di sapere. Ed proprio per questa piccoladifferenza che io sembro di essere pisapiente, perchnon credo di sapere quello chenon so. E avvicinai un altro che mi sembrava che fosse pisapiente di costui; maottenni lo stesso risultato: quello, cio, di venire in odio a lui e a molti altri ancora.

    VII - SOCRATE INDAGA PRESSO I POETI IL SENSO DELLORACOLO

    Ciononostante io continuai la mia indagine con un senso di amarezza e di inquietudineinsieme, comprendendo bene che, cosfacendo, mi procuravo sempre nuovi nemici. Ilfatto si che io mi sentivo obbligato di porre al di sopra di ogni considerazione le paroledel Dio e non esitavo quindi a recarmi presso tutti coloro che mostravano di saperequalche cosa per comprendere il riposto senso delloracolo. E per il Cane, o Ateniesi,-lasciate pure che vi dica le cose come stanno- mi dovetti accorgere, io che indagavosecondo il pensiero del Dio, che quelli che erano reputati pisapienti erano proprio imeno provvisti, mentre quelli che erano considerati gente da poco, erano i pisaggi. Enecessario perche vi racconti tutta la mia peregrinazione volta a rendermi chiaro ilsignificato delloracolo, peregrinazione che non fu scevra di fatiche. Dopo averavvicinato i politici, mi recai dai poeti, dai tragici come dai ditirambici o compositoridaltri generi, sicuro di trovare me piignorante di loro. E pigliando in mano i loro

    poemi, quelli che mi sembravano meglio riusciti, chiedevo loro che me li spiegassero,anche allo scopo di potermi meglio istruire. Ebbene, o Ateniesi, ho vergogna di palesarvila verit, ma pur necessario che lo faccia: si verificava che intorno agli argomenti daloro trattati ne ragionavano molto meglio quelli che erano presenti che non gli stessiautori. Dovetti quindi concludere che i poeti non per sapienza poetavano, ma perdisposizione naturale, quasi da Dio ispirati, come gli indovini e i profeti, i quali diconocose molto belle, ma non sanno nulla di ciche dicono. Ed questo proprio cicheaccadde ai poeti. E mi dovetti accorgere anche che essi, sentendosi dotati di talento,

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    finivano col reputarsi sapienti anche in altre cose senza che lo fossero affatto. E cospartii da costoro pensando che avevo sui poeti lo stesso vantaggio che sugli uominipolitici.

    VIII - SOCRATE INDAGAPRESSOGLI ARTIGIANI IL SENSODELLORACOLO

    Infine andai anche presso gli artigiani, convinto di non sapere nulla di quelle tante ebelle cose che sanno invece costoro. E fu la volta in cui non mi ingannai, poichessisapevano cose che io ignoravo del tutto, per cui potevo reputarli, sotto questo aspettoalmeno, molto pisapienti di me. Purtroppo per, o Ateniesi, anche i valenti artigianimi parve che cadessero nello stesso errore dei poeti, poichciascuno di loro, per il fattoche eccelleva nella sua arte, si reputava sapiente in cose di maggior momento; e questaloro stoltezza finiva con loscurare quella loro sapienza. Per giustificare loracolo, provaiallora a interrogare me stesso e vedere se io avessi voluto essere tale quale sono, npernulla sapiente della loro sapienza, nignorante della loro ignoranza, o non piuttostopossedere, come loro luna cosa e laltra. Risposi a me e alloracolo che valeva moltomeglio per me essere tale e quale sono.

    IX - IL VERO SENSO DELLORACOLO

    Per queste mie indagini, o Ateniesi, mi sono procurato molte inimicizie, aspre efierissime, dalle quali sono nate tante calunnie e la mia rinomanza di sapiente. Giacch,ogni qual volta ho mostrato lignoranza altrui, si voluto credere che sapiente mireputassi io. No, Ateniesi, sapiente solo Dio che per mezzo di quelloracolo ci ha volutodire che la sapienza umana vale poco o nulla. Ed chiaro che se ha nominato Socrate,Egli ha voluto servirsi del mio nome a mo di esempio, come per dire: O uomini,sapientissimo fra di voi colui che, come Socrate, sa che la propria sapienza nulla. Nho smesso questa mia indagine, perchvado ancora oggi interrogando, secondo ilpensiero di Dio, chiunque mi sembri sapiente, sia esso cittadino o forestiero. E quandomi accorgo che egli non lo affatto, allora metto in luce la sua ignoranza per dimostrareche Dio ha ragione. E a questa occupazione dedico tutto il mio tempo, cosche non mene resta per attendere lodevolmente nagli affari della citt, nai miei personali, edessendomi consacrato solo al servizio di Dio, vivo in estrema povert.

    X - LODIO CONTROSOCRATE SI ACCRESCEPERCHEI SUOI DISCEPOLI

    LO IMITANO NELLA RICERCA

    Osservate poi ancora questo: i giovani che saccompagnano a me spontaneamente, figlidi ricche famiglie e che hanno di conseguenza tempo a disposizione, si compiacciono diascoltare gli uomini da me esaminati, e a loro volta, imitando me, si provano anchessiad esaminare altri, e ne trovano molti che credono di sapere e non sanno. Avviene allorache questi esaminati se la pigliano con me anzichcon se stessi, e vanno dicendo che vun certo Socrate, scelleratissimo uomo, che corrompe i giovani. E se qualcuno domanda

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    pare, sono capaci di rendere migliori i giovani, eccetto me. Solo io li corrompo. questoche dici? -Esattamente. -Che sciagurato uomo sono io per te! Penso che possiamo direaltrettanto dei cavalli: tutti li migliorano e uno solo li guasta. O forse mi obietterai chesolo uno purenderli migliori, o tuttal pipochissimi, e precisamente i domatori, tantoche gli altri, se mai si occupano di cavalli e li montano, non fanno che guastarli? Non

    cos, o Melto, sia che si tratti di cavalli o di altri animali? Non puessere diversamente,qualunque cosa abbiate a dire tu e Anito. Sarebbe infatti gran fortuna per i giovani sefosse vero che uno solo li guasta e tutti gli altri invece li migliorano. No, o Melto: troppochiaramente fai vedere che non ti sei curato mai dei giovani e dimostri bene la tuaassoluta noncuranza per ciper cui mi hai trascinato davanti ai giudici.

    XIII - SOCRATE NON CORROMPE I GIOVANI: MELETOMENTE SAPENDODI MENTIRE

    -E dimmi anche questo, o Melto, per Giove, se meglio vivere fra onesti cittadini,piuttosto che fra malvagi. Suvvia! Rispondi, amico; non ti domando nulla di cosimbarazzante . Non forse vero che i malvagi recano danno a chi li accosta, mentre lagente onesta reca loro del bene? -Penso di s. -E credi che ci sia alcuno che voglia esseredanneggiato, anzichricevere giovamento da quelli con i quali entra in dimestichezza?Rispondi, amico: la legge che te lo impone. Cdunque chi voglia essere danneggiato?-No, certamente. -E tu citi me davanti ai giudici come uno che corrompe e rende malvagii giovani volontariamente o involontariamente? -Volontariamente. -E che, o Melto?Giovane come tu sei, pensi di essere tanto pisaggio di me, che giovane non sono, dacrederti il solo a sapere che i malvagi fanno sempre del male e i buoni del bene? Mireputi dunque cospoco accorto da non capire che quelli che ho reso malvagi nonpotranno che recarmi del danno? E pensi dunque che io faccia tutto questovolontariamente? Nio, nnessun altro disposto a crederti. Dunque io non corrompo igiovani o, se li corrompo, lo faccio involontariamente, sicchin entrambi i casi tu menti.E se lo faccio involontariamente, la legge non consente di tradurre davanti ai giudicinessuno per tali falli involontari, ma in tal caso occorre che si chiami in disparte ilcolpevole per ammonirlo e correggerlo nei suoi errori. Poichchiaro che io non farpiinvolontariamente quel che faccio, quando avrimparato come si fa. Ma tu ti sei benguardato dal venirmi incontro ed istruirmi. Tu questo lo hai fatto volontariamente; e mitrascini qua dove legge che siano trascinati solo quelli che hanno bisogno di castigo enon dinsegnamento.

    XIV - O FORSEMELETO VOLEVA PRENDERSI GIOCO DI TUTTI NOI ?

    Edunque chiaro, o Ateniesi, come vi dicevo, che Melto di queste cose non si curatomai molto, npoco. Tuttavia, o Melto, spiegaci in che maniera allora io corrompa igiovani. Sembra, secondo laccusa da te sottoscritta, che io corrompa i giovaniinsegnando loro a non credere agli Dei ai quali crede la citt, ma piuttosto a nuovedivinitdemoniache. Non dici tu che io corrompo i giovani insegnando questo? -Proprioquesto quello che dico. -E in nome di questi Dei, o Melto, spiega pichiaramente ame e ai qui presenti il tuo pensiero. Io non riesco a capire bene se tu voglia dire che io

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    insegni sa credere che ci siano certe Divinit-nel qual caso io non sono in alcun modoun ateo, nmi si pudichiarare colpevole - ma che queste Divinitnon sono quelle allequali crede la citt, ma altre, e che appunto per questo mi accusi; o non piuttosto tuvoglia dire che io non credo affatto che ci siano Dei, e che proprio questo vadoinsegnando. -Io intendo dire proprio questo, che tu non credi in alcun Dio.

    -Meravigliosa affermazione, Melto! Ma infine, che vuoi tu dire? Non credo io dunqueche il sole e la luna siano Dei, coscome lo credono gli altri? -No, per Giove, o giudici:egli dice che il sole pietra e la luna terra. -Ma cosdicendo, tu accusi Anassagora, caroMelto. Stimi cospoco i qui presenti da crederli tanto illetterati da ignorare che diqueste teorie sono pieni i libri di Anassagora di Clazomne? E per apprendere questo igiovani verrebbero ad istruirsi da me, quando potrebbero benissimo alloccasionecomprare tali libri nellorchestra con la modica spesa di una dracma tuttal pi, e poidare la baia a Socrate se spaccia per sue sstrane teorie? Per Giove, pensi dunqueproprio che io non creda in alcun Dio? -Proprio in alcuno, per Giove. -Nessuno ti crede,o Melto. e, a quel che sembra, neanche tu credi a te stesso. Egli, o Ateniesi, mi sembraun insolente e un avventato, e la stessa accusa rivela l insolenza e lavventatezza propriadel giovane. Egli ha tutta laria di chi compone enimmi per provare: vediamo un po-sisardetto- se quel sapientone di Socrate si accorgero no che io mi prendo gioco di lui emi contraddico, o se riuscirinvece a trarre in inganno lui e gli altri che mi ascoltano.Poichchiaro che egli si contraddice apertamente nellaccusa, come se dicesse:Socrate colpevole di non credere negli Dei, benchegli ci creda. Non una burlatutto questo?

    XV- LACCUSA DI MELETO EUNAPALESE CONTRADDIZIONE

    Osservate con me, o Ateniesi, come egli, in ciche dice, non fa che contraddirsi; e tuMelto, rispondi. A voi ricordo solo cidi cui ebbi a farvi raccomandazione fin daprincipio, di non protestare con schiamazzi se interrogo nel modo che mi solito. -Cqualcuno, o Melto, che crede che ci siano cose umane, senza credere che ci sianouomini?... Fate, o cittadini, che egli risponda, invece di protestare a dritta e a manca. C qualcuno che crede che non ci siano cavalli, ma cose cavalline s? Flautisti no, masuonate di flauto s? No, mio caro amico, non c. Rispondo io a te e agli altri quipresenti, visto che non vuoi rispondere tu. Ma a questo devi pur rispondere: cqualcuno che creda che vi siano cose demoniache, ma demoni no? -No, non c. -Cheservizio tu mi rendi con la tua risposta, sia pure data a malincuore e perchcostrettovida costoro. Cosdunque tu dichiari che io credo allesistenza di cose demoniache,antiche o nuove che siano, e induco gli altri a credervi. Allora, secondo che dici, e lo haianche attestato con giuramento nella tua accusa, io credo in cose demoniache. Ma se

    credo in cose demoniache, ben necessario che creda nei demoni: non ti pare? Non puche essere cos; debbo pensare che tu ne convenga, visto che non rispondi. E i demoni,secondo che si crede, non sono Dei o figli di Dei? So no? -S, certamente. -Allora, secome tu affermi, io credo nei demoni, e i demoni sono Dei, ecco che tu proponi, comedicevo poco fa, un enimma per prenderti gioco di noi. Infatti, tu prima affermi che ionon credo negli Dei, poi invece che credo negli Dei dal momento che credo nei demoni.E se poi i demoni sono figli spurii di Dei, partoriti, come si dice, da ninfe o da altre chesiano, chi oserebbe affermare che ci siano figli di Dei, e Dei no? Sarebbe come dire che ci

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    sono i muli figli di cavalli e di asini, ma cavalli e asini no. Caro il mio Melto, non possibile che tu abbia voluto formulare cosla tua accusa se non per prenderti gioco dinoi, o per non sapere di che altro incolparmi. Ma che tu riesca a persuadere qualcuno,anche se dintelletto corto, a credere che ci siano cose demoniache e divine, senzacredere nnei demoni, nnegli Dei, nnegli eroi, questo mi pare veramente

    impossibile.

    XVI - IL DOVERE DELLUOMO

    A questo punto, o Ateniesi, io credo di non avere bisogno pioltre per dimostrare chelaccusa di Melto del tutto infondata: le ragioni da me addotte penso che siano pichesufficienti. E voi sapete bene, per averlo io dianzi ricordato, quanto odio e inimicizia taleaccusa mi ha procurato. E questodio mi perder, se pur mi potrperdere; non certoMelto o Anito, ma la calunnia e la malvagitdei molti, che hanno giperduto, eperderanno ancora, altri valenti uomini; nsarcerto io lultimo. Se a questo punto,qualcuno mi dicesse: -Ma non ti vergogni, o Socrate, desserti dato unoccupazione, taleper la quale ora ti sei messo a rischio di morire? -io cosrisponderei a buon diritto: -Haitorto, amico, se stimi che un uomo di qualche valore debba tenere in conto la vita e lamorte. Egli nelle sue azioni deve unicamente considerare se ciche fa sia giusto oingiusto e se si comporta da uomo onesto o da malvagio. Secondo il tuo ragionamento,sarebbero da stimare poco quei semidei e tutti gli altri che sono morti davanti a Troia, eparticolarmente il figlio di Tetide, il quale preferaffrontare la morte piuttosto che ildisonore. Quando infatti la madre, che era Dea, disse pressa poco cosa lui che ardevadi uccidere Ettore: O figlio, se tu vendicherai la morte del tuo amico Patroclo eucciderai Ettore, anche tu morrai dopo di lui, poichtale il corso del destino , eglitenne in cospoco conto il pericolo e la morte, piuttosto che vivere da vile e nonvendicare lamico, che rispose cos: Possa io subito morire dopo aver inflitto il castigo alcolpevole, anzichrimanere qui a ludibrio presso le ricurve navi, inutile peso alla terra.Credi tu forse, o amico, che egli si sia curato della morte e del pericolo? Questa laverit, o Ateniesi: ovunque un uomo si sia posto, giudicando questo il suo meglio, odovunque si sia posto da colui che lo comanda, ivi egli deve restare, qualunque sia ilpericolo da affrontare, non tenendo in alcun conto nla morte naltro in confrontodella vergogna.

    XVII - SOCRATE NON ABBANDONERAMAI LA SUAMISSIONE

    Ed io sarei stato ben colpevole, o Ateniesi, se a Potidea, ad Anfipoli, a Delio non avessi

    affrontato la morte e non fossi rimasto ldove i comandanti da voi scelti mi avevanoordinato di combattere. Ed ora che Dio mi ha assegnato un posto di combattimento, cosalmeno io credo di dovere interpretare il suo volere, posto di combattimento che quellodi vivere filosofando, esaminando me e gli altri, sarebbe veramente cosa grave se io, perpaura della morte o daltro, disertassi il campo. Allora sche mi si dovrebbe tradurredavanti ai giudici per non avere creduto agli Dei, disubbidendo all oracolo, temendo lamorte e reputandomi sapiente, senza esserlo. Giacch, o Ateniesi, il temere la mortealtro non che parere sapienti senza esserlo, cioa dire credere di sapere ciche si

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    ignora; poichnessuno sa se la morte, che luomo teme come se conoscesse giche ilmaggiore di tutti i mali, non sia invece per essere il pigran bene. E non la pivituperevole ignoranza quella che consiste nel credere di sapere ciche non si sa? Ed io,o Ateniesi, proprio in questo forse mi differenzio dalla piparte degli uomini, e se ccosa per la quale io affermo di essere pisapiente di ogni altro questa: che coscome io

    non so nulla di ciche ci attende nellAde, cosanche credo di non saperne. Ma una cosaso di certo: che il fare ingiustizia e disobbedire a un nostro superiore, sia esso Dio o

    uomo, cosa cattiva e vergognosa. Giammai dunque io temernfuggirquello che nonso se sia un bene, ma piuttosto il male che so essere tale. E se voi ora mi assolveste, nonprestando fede alle accuse di Anito, il quale anzi ha detto che bisognava che Socrate noncomparisse affatto davanti ai giudici o, se vi fosse comparso, era necessario pronunziareuna condanna a morte perchdiversamente i vostri figli, seguendo gli insegnamenti diSocrate, si sarebbero corrotti totalmente, se voi dunque mi assolveste dicendo cos:-Socrate, noi non vogliamo dare retta ad Anito; ti assolviamo, ma ad una condizione: chetu non abbia a continuare nella tua ricerca, na dedicarti pioltre alla filosofia; se ticoglieremo ancora, morrai,- ebbene, o Ateniesi, se per mandarmi assolto mi ponestequesta condizione, io allora cosvi risponderei: -O Ateniesi, io ho per voi venerazione eaffetto, ma debbo obbedire a Dio piuttosto che a voi, e finchavrun soffio di vita e leforze me lo concederanno, non cesser di filosofare, di esortarvi e di ammonirechiunque mi capiter. E cosparlera lui come mio costume e gli dir: -O mio ottimoamico, tu che sei Ateniese, cittadino duna cittche la pigrande e la pifamosadogni altre per la sua scienza e per la sua potenza, non ti vergogni, tu che ti prendi tantacura delle tue ricchezze perchsi moltiplichino, della tua reputazione e del tuo onore, dinon darti affatto della sapienza, della verite dellanima perchquesta divenga quantopipumigliore? -E se qualcuno mi oppone che egli ne ha ben cura, non lo lascerandare cospresto, nme nandrvia, ma lo interrogher, lo esaminer, lo confuter, ese mi accorgerche egli non possiede affatto la virt, come dice, lo riprenderperchhavile le cose di maggior conto e apprezza invece le pispregevoli. Cosio continuera

    comportarmi con chiunque mi avvenga di incontrarmi, giovane o vecchio, cittadino oforestiero, ma picon voi miei concittadini che mi siate pivicini per nascita. Giacch,sappiatelo bene, questo che mi ha comandato Dio, e credo che nessun bene maggioreabbia la vostra cittche questo mio zelo a servire Dio, sollecitando voi, giovani e vecchi,a non prendervi cura ndel corpo ndelle ricchezze piche dellanima perchdivengaquanto migliore possibile, giacchnon dalla ricchezza deriva la virt, ma dalla virtlaricchezza e ogni altro bene ai cittadini e alla citt. E se dicendo questo io corrompo igiovani, allora diciamo pure che il mio parlare nocivo, ma nessuno affermi che ioinsegno cose diverse, poichaffermerebbe il falso. Ascoltatemi dunque bene, o Ateniesi:diate retta ad Anito o no, mi assolviate o no, state pur certi che io non muterla miacondotta, dovessi morire cento volte.

    XVIII - EINTERESSE DEGLI ATENIESI RISPARMIARE SOCRATE

    (A questo punto lAssemblea schiamazza). Non date in schiamazzi, o Ateniesi, e nonprotestate per quel che dico, ma ascoltatemi in silenzio come ebbi a pregarvi, perchpenso che ne potrete trarre profitto. Altre cose ho da dirvi che vi faranno gridare piforte; state dunque quieti, vi prego. Sappiate dunque che se condannate a morte me, che

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    cosvi parlo per il vostro bene, piche a me recherete danno a voi stessi. A me, infatti,nessun danno possono recare Melto e Anito perchnon potrebbero, convinto comesono che un uomo migliore non puricevere danno da uno peggiore. Essi potrebberobene uccidermi, mandarmi in esilio, privarmi dei diritti politici, reputando tali cose, ipigrandi mali; ma io non li reputo tali. Per me male fare quello che fa costui: tentare

    di uccidere ingiustamente un uomo. Ecco perch, o Ateniesi, io non intendo difendermiper me stesso, come potrebbe pensare qualcuno, ma per voi, perch, condannandomi,non abbiate a peccare contro Dio, disprezzando il dono che Egli vi ha dato. Se miucciderete, infatti, -lasciate pur che ve lo dica anche a rischio di darvi pretesto al riso-voi non troverete tanto facilmente un uomo posto da Dio a tutela della cittcome ingroppa a un cavallo grande e generoso, ma incline, per la sua stessa grandezza, allapigrizia, per cui ha bisogno dessere stimolato dagli sproni. Questo infatti lufficio a cuiDio mi ha destinato nella citt, perchstandovi addosso tutto il giorno, abbia astimolarvi, ad esortarvi, a correggervi. Un uomo siffatto non lo riavrete pitantofacilmente; e se mi date retta, mi risparmierete. Invece voi, come gente che sonnecchiaancora se svegliata, presi da subitanea ira, darete ascolto ad Anito e mi ucciderete cosalla leggera, consumando la rimanente vita nel sonno, a meno che Dio, prendendo curadi voi, non abbia a mandarvi qualche altro. E che io sia stato inviato alla cittcome undono di Dio, lo potete desumere dal fatto che non cosa umana che io abbia trascuratoper tanti anni i miei interessi personali e quelli della mia famiglia per occuparmisoltanto di voi come un padre o un fratello maggiore perchcoltivaste la virt. E sipotrebbe ancora capire se tutto cilo avessi fatto per ricavarne qualche vantaggiopersonale o qualche remunerazione in denaro; ma voi vedete bene che gli accusatori,pur attribuendomi spudoratamente tante colpe, non sono stati spudorati fino al puntoda addurre un solo testimone che affermasse davere io percepito o chiesto mai denaro.Ma io invece ho un testimonio della veritdi ciche dico: la mia povert.

    XIX - PERCHESOCRATE SI EASTENUTODAL PARTECIPARE ALLA VITAPOLITICA

    Una cosa perpusembrarvi strana, ed che io mi affanni tanto a dare consigli inprivato e non osi invece pubblicamente, in cospetto del popolo, dare consigli alla citt.La ragione di cilavete spesso udita da me ad ogni pisospinto, e cioche avverto inme un non so che di divino e di soprannaturale, come una voce di cui Melto,prendendosi gioco, ha fatto cenno nellaccusa. Euna voce che sento dentro di me fin dafanciullo e tutte le volte che lavverto mi distoglie da ciche sto per fare, ma non misollecita mai a fare qualche cosa. Eessa che soppone a cichio mimmischi nella vitapolitica; e credo bene, a ragione. Giacch, sappiate o Ateniesi, se io mi fossi gida tempo

    dato alla vita politica, gida tempo sarei morto, e non avrei recato alcun vantaggio navoi, na me. E non andate in collera se dico la verit: non vi infatti nessuno che possaevitare la morte per poco che egli per generoso impulso contrasti a voi o a qualsivogliaaltra assemblea, e tenti di impedire alla cittingiustizie e illegalit. Chi combatte per lagiustizia, anche se non riuscira preservarsi a lungo dalla morte, necessario checonduca una vita di privato cittadino, lontano dai pubblici uffici.

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    XX - SOCRATE CONFERMA CON ESEMPI LA SUA DIRITTURADICARATTERE

    E di cipotraddurvi io stesso concrete testimonianze; non di parole, ma di fatti, chevoi certo apprezzerete di pi. Ascoltate dunque quel che mavvenne, perchpossiate da

    voi stessi constatare come io non sia uomo da cedere contro giustizia a nessuno perpaura della morte; e vedrete che, coscomportandomi, mi perdersicuramente. Io vidirforse cose importune e curialesche, ma profondamente vere. Io non ho mai tenutonella citt, o Ateniesi, nessuna Magistratura: fui solamente membro del Consiglio.Avvenne che la mia tribAntiochide si trovasse a tenere la Pritania quando voi volevatesottoporre a giudizio tutti insieme i dieci strateghi che non avevano recuperato inaufraghi e i morti della battaglia navale. Ciera illegale, e voi stessi in seguito lavetericonosciuto. Tuttavia, allora, io solo dei Pritani mi opposi perchnon fosse violata lalegge; e votai contro. E gigli oratori erano pronti ad accusarmi, a farmi arrestare, e voistessi li incoraggiavate con i vostri schiamazzi. Ciononostante, io stimai che era miodovere affrontare il pericolo standomene dalla parte della legge e della giustizia

    piuttosto che associarmi a voi nellingiustizia per timore del carcere e della morte. Ciavvenne al tempo in cui la cittsi reggeva ancora a democrazia. Allorchvi si stabil

    loligarchia, i Trenta tiranni mi mandarono a chiamare nella Tholo insieme con altriquattro e ci ordinarono di andare ad arrestare a Salamina Leonte il Salaminio perchfosse messo a morte; e simili ordini essi dettero a molti altri ancora con lintendimentodi associare ai loro crimini picittadini che fosse possibile. In tale circostanza iodimostrai, non con parole ma con fatti, che della morte non mimporta proprio un belnulla - scusatemi lespressione alquanto grossolana; ma ci che maggiormentemimporta di non commettere cosa ingiusta ed empia. Nquel governo, per quantoviolento fosse, riuscad incutermi tanta paura da farmi commettere un delitto. Infatti,quando uscimmo dalla Tholo, i quattro miei compagni andarono a Salamina econdussero via Leonte; io invece me nandai a casa. E forse avrei pagato con la vita untale gesto se quel governo non fosse stato rovesciato di la poco. E di questi fatti moltisono i testimoni.

    XXI - SOCRATENON ESTATOMAESTRODI NESSUNO E NONHA QUINDICORROTTO I SUOI CONCITTADINI

    Ed ora, credete voi che io avrei vissuto questi miei lunghi anni se mi fossi dato allapolitica, sostenendo, come si conviene a un uomo onesto, la giustizia e ponendola al disopra di tutto? Tuttaltro, o Ateniesi! Nio nalcun altro ci sarebbe riuscito. E tutta lamia vita, sia nelle funzioni pubbliche che per caso ho esercitato che nelle mie privatefaccende, testimonia che mi sono sempre mostrato tale da non concedere mai a nessunocosa alquanto contraria alla giustizia chiunque egli fosse, fosse pure uno di quelli che imiei calunniatori dicono i miei discepoli. Io poi non fui mai maestro di nessuno: sequalcuno, giovane o vecchio, ha desiderato di ascoltarmi quando parlavo ed attendevoad esplicare la mia missione, io non glielo ho mai impedito. Non sono stato di quelli cheparlano solo con chi li paga e allontanano chi non paga; ma a ricchi e poveriindifferentemente io ho concesso di interrogarmi e di interloquire, se hanno voluto, suciche mavveniva di dire. E se poi alcuni di questi siano divenuti onesti e altri no non si

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    pucerto dare la colpa a me, giacchio non ho mai promesso a nessuno di insegnare nho mai insegnato dottrina alcuna. E se vqualcuno che dice di avere privatamenteappreso o udito da me cosa che altri non hanno udito nappreso, sappiate che costuimente.

    XXII - PERCHEALLORANON LO ACCUSANO QUELLI CHE SONO STATICORROTTIO I LOROPARENTI?

    Ma perchmai allora prendono diletto a trascorrere il loro tempo con me? Io ve lho gidetto, o Ateniesi, con tutta franchezza: perchpiace loro di vedermi esaminare quelli chesi credono sapienti e non lo sono. E in effetti non cosa spiacevole. Quanto a me, io ho ildovere di adempiere a questa missione commessami da Dio con vaticini, con sogni e contutti quei modi di cui un divino volere si serve per ordinare cosa alcuna ad un uomo.Tutto ciche dico, o Ateniesi, la verited facile darvene la prova. Giacchse veroche io continuo a corrompere i giovani, altri ne ho gicorrotti; e costoro, essendo venutiormai avanti negli anni e riconoscendo che io ho dato loro quando erano giovani cattiviinsegnamenti, avrebbero dovuto oggi presentarsi qui per accusarmi e vendicarsi. Esupponendo che non hanno voluto farlo da s, avrebbero potuto in loro vece farlo i lorofamiliari, padri, fratelli, congiunti che siano, se mai si fossero accorti che io ho fatto delmale a un loro parente; certo se ne sarebbero ricordati e si sarebbero vendicati. Molti diloro sono qui presenti; io li vedo: primo fra tutti Critone, mio coetaneo e del mio stessodemo, padre di Critoblo qui presente; poi Lisnia di Sfetto, padre di Eschine, anche quipresente; e poi ancora Antifnte di Cefisia, padre di Epgene; ed altri ancora, i cui fratellihanno trattato con me, Nicstrato figlio di Teozdite e fratello di Tedoto, il qualeTedoto morto e non pucerto indurlo con il suo intervento a non accusarmi; eParlio, figlio di Demdoco, del quale era fratello Teage; e Adimnto, figlio di Aristne,di cui Platone, qui presente, fratello; ed Eantodro, del quale presente il fratelloApollodro; e molti altri ancora potrei nominare. E bisognava bene che Melto nel suodiscorso ne citasse qualcuno come testimonio; e se lo ha dimenticato, lo faccia adesso: loautorizzo; ne dica il nome, parli. Invece, o Ateniesi, troverete tutto il contrario; trovereteche tutti sono pronti ad aiutare me, luomo che li ha corrotti, colui che ha pervertito iloro parenti, come dicono Melto ed Anito. E forse vero che quelli che io ho corrottodavvero avrebbero motivo di aiutarmi; ma i non corrotti, uomini giavanti negli anni,parenti loro, quale motivo hanno di aiutarmi se non la rettitudine e la giustizia? Essisanno benissimo che Melto mente, mentre io dico la verit.

    XXIII - SOCRATE SI RIFIUTA DI IMPIETOSIRE I GIUDICI PERCHECIO

    NON FAREBBE ONORE A SEE ALLA CITTA

    E credo che basti, o Ateniesi! Sono questi su per gigli argomenti che potrei addurre inmia discolpa e altri non dissimili. E forse cqualcuno tra di voi che non approva affattoche io abbia a terminare qui la mia difesa, ricordandosi che in circostanze analoghe, eper motivi meno gravi dei miei, ha pregato e supplicato fra le lacrime i giudici, menandoseco i figlioletti per meglio intenerirli e parenti e amici in gran numero. Io invece nonfarnulla di tutto questo, ancorchmi sembri evidente che incombe su di me il pericolo

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    estremo. E potrebbe ben darsi che costui, indispettito da questo mio atteggiamento,deponesse il suo voto nellurna sospinto da un moto di stizza. Se cqualcuno quindi tradi voi cosdisposto verso di me - ed io non credo che ci sia - ma se comunque ci fosse,cospenserei di dovergli dire: -Mio ottimo amico, anchio ho dei congiunti, perch, comedice Omero, ndi quercia son nato ndi pietra, ma duomini; di conseguenza ho anchio

    parenti e figlioli: tre essi sono, uno giovanetto, due ancora fanciulli. Eppure non menerqui nessuno di loro e non supplicherperchio venga assolto. Perchnon lo faccio? Noncerto per orgoglio, o Ateniesi, o per dimostrarvi il mio disprezzo, Non qui questione seio abbia o no paura della morte, ma gli perchstimo che il mio onore, il vostro e quellodellintera cittsarebbero compromessi se mi comportassi cosalla mia ete con lareputazione che mi sono fatta, vera o falsa che sia, ma che comunque presenta Socratealla pubblica opinione come uno che si distingue in qualche cosa dalla maggior partedegli uomini. Ora se quelli tra di voi che si distinguono per sapienza, per coraggio o perqualche altra virtsi comportassero cos, sarebbe certo una vergogna. E tuttavia ne hovisti molti, che pur sembravano uomini eccellenti, comportarsi davanti ai giudici inmodo cossconveniente da destare meraviglia, credendo essi davere a soffrire chissche cosa se morivano, come se, non condannandoli voi a morte, avessero a rimanereimmortali. Costoro hanno certo disonorato la cittperchhanno lasciato credere aiforestieri che in niente differiscono dalle donne quegli uomini che in virtdei loro meritiil popolo ateniese prepone alla magistratura e ad altri onorifici incarichi. Non convienedunque, o Ateniesi, fare tali cose a quanti di noi mostriamo di valere un poco, na voiconverrebbe tollerarle se le facessimo; dovreste anzi fare chiaramente intendere checondannereste molto pigravemente colui che apparecchia tali scene pietose, rendendoridicola la citt, che non colui che mantiene un contegno dignitoso.

    XXIV - SOCRATE VUOLE CHE I GIUDICI GIUDICHINO SECONDO LEGGEE NON SECONDO PIETA

    Daltronde, lasciando da parte la questione dellonore, non mi sembra giusto, o Ateniesi,pregare il giudice, ntentare di sfuggire alla condanna con le preghiere, bensinformarlo dei fatti e persuaderlo. Giacchil giudice non siede per amministraresecondo favore la giustizia, ma per giudicare secondo giustizia. Egli ha giurato infatti dinon favorire a suo capriccio il tale o il tal altro, ma di giudicare secondo le leggi. Nondobbiamo dunque nabituarvi noi a non tenere fede al giuramento, nvoi abituarvi davoi stessi; giacchnon saremmo nnoi nvoi rispettosi degli Dei. Non vogliate dunque,o Ateniesi, che io faccia davanti a voi tali cose, che non giudico nbelle, ngiuste, nsante; tanto pi, per Giove, che sono accusato di empietda questo Melto qui. Infatti,se io persuadessi voi a forza di preghiere e facessi violenza al vostro giuramento, vi

    insegnerei a non credere agli Dei; e proprio nel cercare di difendermi cosmi accusereichiaramente da me stesso, dimostrando che non credo negli Dei. Ma non cos; iocredo, o Ateniesi, negli Dei, come nessuno dei miei accusatori; e lascio a voi e a Dio lacura di giudicarmi nel modo che sarmeglio per me e per voi.

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    PARTE SECONDA

    SOCRATE E GIUDICATOCOLPEVOLE

    XXV - SOCRATE FA ALCUNE RIFLESSIONI SULLA SENTENZA

    Per molte ragioni non provo sdegno alcuno per voi, o Ateniesi, se mi avete giudicatocolpevole, tanto piche me laspettavo; anzi mi meraviglio non poco del numero dei votiriscossi dalluna e dallaltra parte poichnon mi aspettavo certo che vi sarebbe stata unaspiccola differenza: pensavo invero che ve ne sarebbe stata una molto maggiore.Quindi, a quel che risulta, bastava uno spostamento di trenta voti perchio sfuggissi allacondanna. Ma anche cossono egualmente sfuggito a Melto; non solo, ma anchemanifesto che se egli non avesse avuto lappoggio di Anito e Licone sarebbe statocondannato a pagare unammenda di mille dracme per non aver ottenuto la quinta parte

    dei voti.

    XXVI - LA PENA CHE SOCRATE SI ASSEGNA: ESSEREMANTENUTO NELPRITANEO

    Costui dunque propone per me la pena di morte. E sia. Ma io, o Ateniesi, per conto mio,che pena mi assegner? E chiaro: quella che merito. Ma quale? Che pena o cheammenda io merito per avere sempre creduto mio dovere rinunziare alla miatranquillit, non curarmi di ciche sta a cuore alla maggior parte degli uomini: fortuna,interessi privati, comandi militari, successi oratori, magistrature, congiure, sedizioni?Per avere giudicato me degno di maggiore reputazione non immischiandomi in similioccupazioni, anche se mi avessero procurato salvezza, che, immischiandomi, nongiovare na voi na me? Per essermi volto ldove recare potevo a ciascuno di voiprivatamente il maggior beneficio possibile, cercando di persuaderlo a non avere curadelle sue cose prima che di se stesso, affinchdivenisse quanto pipossibile buono esaggio, ndelle cose della cittprima che della citt, e cosa regolarsi in tutte le altrefaccende? Quale pena io merito dunque, o Ateniesi, per essermi comportato in talmodo? Non pena, ma premio, o Ateniesi, se debbo assegnarmi quel che in veritmerito;e un premio che mi sia appropriato. E che cosa appropriato a un povero e pur beneficouomo, il quale ha bisogno di non dovere attendere ad altro che ad esortarvi al bene?Nulla gli si addice piche di essere mantenuto nel Pritaneo, molto di piche se alcunodi voi avesse vinto col cavallo o con la quadriga nei giochi olimpici: poichquello che vifa parere felici, io invece faccio che lo siate davvero; quello inoltre non ha bisognodessere mantenuto, io s. Se devo dunque assegnarmi quel che merito, questo miassegno: essere mantenuto nel Pritaneo.

    XXVII - SOCRATE NONHA FATTO TORTO A NESSUNO E PERCIONONPUOPROPORSI ALCUNA PENA

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    Forse penserete che queste mie parole siano dettate da quello stesso sentimento diorgoglio cui feci cenno parlandovi delle lagrime e delle supplicazioni. No, o Ateniesi, noncos! Piuttosto che io sono persuaso di non avere mai fatto torto a nessunovolontariamente; ma di questo non riesco a persuadere voi, giacchpoco tempo checonversiamo insieme. Se presso di voi fosse una legge, come presso altri popoli, che

    imponesse di non terminare in un sol giorno un processo di condanna a morte ma in pigiorni, sarei certo riuscito a persuadervi. Invece in cospoco tempo non facile dissiparecosgrandi calunnie. Convinto quindi di non avere fatto torto a nessuno, tanto menovoglio fare torto a me stesso col riconoscermi degno di patire la pena e assegnarmela dame stesso. E per quale timore dovrei fare ci? Per timore forse della pena che Melto haproposto per me, e che io non so se sia un bene o un male? Per scegliermi in cambio unapena che so essere sicuramente un male? Dovrei propormi forse la pena del carcere? Eperchmai dovrei vivere in prigione, schiavo della magistratura degli Undici? Fissarmiallora unammenda e stare in carcere, perchdenari non ne ho? Propormi lesilio? Forsevoi laccettereste. Ma dovrei essere davvero preso da una cieca brama di vivere, oAteniesi, se fossi cosirragionevole da non comprendere che se voi, nonostanteconcittadini miei, non siete riusciti a tollerare la mia compagnia e i miei discorsi,divenuti tanto gravi ed odiosi da liberarvene, non riusciranno certo a tollerarli gli altri. Equale vita menerei io a questet, passando da una cittallaltra, sempre dogni partecacciato via? Perchso bene che dovunque andrio terrgli stessi discorsi e i giovani,come succede qui, mi ascolteranno. E se provassi ad allontanarli da me, loro stessi mifarebbero bandire dalla citt, intercedendo presso gli anziani; se invece li richiamassi ame, mi caccerebbero via i loro padri e parenti preoccupati per i loro figli.

    XXVIII - SOCRATE PUOPROPORRE PER SETUTTAL PIULAMMENDADI UNAMINA DARGENTO

    A questo punto qualcuno potrebbe dirmi: -Ma non sei capace, Socrate, andato che sei inesilio, di vivere tranquillo tacendo? - Ecco cidi cui mi pare veramente difficilepersuadere alcuno di voi. Se vi dico che ciper me disubbidire a Dio e che, diconseguenza, io non posso astenermene, voi non mi credete e pensate che parli conironia. Tanto meno mi crederete se vi dico che il pigran bene per un uomo fare ognidragionamenti intorno alla virte ad altri argomenti su cui mi avete udito parlare edesaminare me e gli altri; e se aggiungo ancora che una vita senza esame non merita diessere vissuta, voi mi crederete ancora meno. Tuttavia, o Ateniesi, questa la verit:solamente non facile persuadervene. Daltro canto io non sono capace dassuefarmiallidea di assegnarmi una qualsiasi pena. Ciononostante, se avessi del denaro, mimulterei per unammenda tale da poterla pagare: perchnon me ne verrebbe danno. Ma

    non ne ho. A meno che non vi contentiate di quel tanto che posso pagare: una minadargento. Ebbene propongo per me dunque come ammenda una mina. Platone quipresente, o Ateniesi, e con lui Critone, Critbulo e Apolldoro insistono perchioproponga unammenda di trenta mine di cui si rendono garanti. Ebbene, io mi multo ditanto. Voi avete in loro garanti degni di ogni fiducia.

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    PARTE TERZA

    SOCRATE E CONDANNATOAMORTE

    XXIX - SOCRATE PARLA AI GIUDICI CHE HANNO VOTATO LA SUACONDANNAAMORTE

    Ecco dunque, o Ateniesi, che per non avere voluto attendere ancora un poco avete datoadito a coloro che vogliono recare offesa alla cittdi accusarvi di avere ucciso Socrate,uomo sapiente; perchsapiente mi diranno, anche se non lo sono, allo scopo didiffamarvi. Mentre, se aveste atteso un podi tempo ancora, la morte sarebbe venuta das. Guardate infatti la mia et, come gilontana dalla vita e prossima alla morte. Equesto io dico non a tutti voi, ma solo a quelli che hanno votato la mia condanna. E aquesti io voglio dire ancora una cosa. Forse voi pensate, o Ateniesi, che io sono stato

    condannato per mancanza di quei tali abili discorsi con i quali avrei potuto persuadervise io avessi creduto che era necessario dire e far di tutto pur di scampare alla condanna.Niente affatto! Ciche mi venuto a mancare non sono stati gli argomenti, benslaudacia e limpudenza e la volont di non dire cose che vi sarebbero stategradevolissime ad udire, piangendo e lamentandomi e facendo altre cose indegne di me,ma alle quali altri vi avevano abituati. E come poco fa non credetti di fare cosa indegnaper paura del pericolo, cosora non mi pento di essermi difeso cos; anzi preferisco assaipivolentieri essermi cosdifeso, e morire, che difendermi in quellaltro modo, e vivere.Giacchnin tribunale, nin guerra conviene a nessuno di noi far di tutto pur disfuggire alla morte. Certo che in battaglia si scamperebbe a volte alla morte se sigettassero le armi o se ci si volgesse supplichevoli agli inseguitori; ed egualmente in tuttigli altri pericoli si potrebbe in molti modi sfuggire alla morte se si fosse disposti a dire ofare cosa indegna. Ma considerate bene, o Ateniesi, che il difficile non evitare la mortequanto piuttosto evitare la malvagit, che ci viene incontro piveloce della morte. Edora io, come tardo e vecchio, sono stato raggiunto da quella che pitarda ; i mieiaccusatori, invece, come pigagliardi e veloci, da quella che piveloce, la malvagit.Ed ora io me ne vado da qui condannato da voi a morire; costoro invece condannatidalla veritad essere malvagi e ingiusti. Io accetto la mia pena, questi la loro. Dovevaforse essere cos, e penso che cossia bene.

    XXX - IL VATICINIO DI SOCRATE AI GIUDICI CHE HANNO VOTATO PERLA CONDANNA AMORTE

    Ed ora a voi che mi avete condannato voglio fare una predizione poich, essendoprossimo alla morte, mi trovo in quel momento della vita in cui dato agli uominivaticinare meglio. A voi dunque che avete votato la mia morte io dico che, appena avrcessato di vivere, cadrsopra di voi castigo molto pigrave, per Giove, che non quelloche mi avete inflitto, uccidendomi. Condannandomi, voi avete infatti creduto di liberarvidal rendere ragione della vostra vita; ma io vi assicuro che vi succedertutto il contrario,perchsi leveranno contro di voi molto pinumerosi gli accusatori, che io trattenevo

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    Platone Apologia di Socrate

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    senza che voi ve ne accorgeste, ed essi vi riusciranno tanto piaspri e importuni inquanto sono pigiovani. Giacch, se pensate, uccidendo uomini, di trattenere alcuno dalrimproverarvi la non diritta vita, pensate stoltamente: non questo un rimedio npossibile, nbello; di gran lunga migliore e piagevole sarebbe invece quello di nonrecare danno agli altri, ma procurare di rendere se stessi quanto pibuoni possibile. E

    con questo vaticinio io prendo congedo da coloro che hanno votato la mia morte.

    XXXI - I GIUDICI CHE HANNO VOTATO PER LASSOLUZIONE SICONFORTINO: LAMORTE PER SOCRATE EUNBENE

    Con quelli invece che hanno votato per la mia assoluzione mi tratterrei volentieri ancoraun poco a parlare su una cosa che mavvenuta, mentre i Magistrati sono occupati e siattende che mi portino ldove io debbo morire. Vogliate dunque rimanere con me perquesto tempo ancora che ci concesso, giacchnulla vieta che ci si intrattenga aconversare. Voglio, infatti, mostrare a voi, come ad amici, che significa mai quello chemora avvenuto. Dunque, o giudici, - e bene a ragione vi chiamo giudici - mavvenutauna cosa meravigliosa: la solita voce profetica, quella del demone, che finoggi io houdito molto frequentemente contrariarmi anche in piccole cose se non stavo per far beneora invece che, come voi vedete, mi succedono cose ben pi importanti, che sicrederebbero e si credono mali estremi, non mi ha contrariato nstamane, quando sonouscito di casa, nquando sono venuto da voi in tribunale, nmentre pronunziavo la miadifesa, qualunque cosa fossi io per dire, nonostante altre volte mi avesse fermato laparola a mezzo. Qualunque cosa, insomma, io stessi per dire o per fare durante linteroprocesso, tale voce mai mi contrari. Che cosa debbo dunque arguire? Ve lo dir: mipare, cio, che quel che avvenuto a me sia un bene, e quanti di noi pensano che ilmorire sia un male, pensano stoltamente. E la prova che il segno consueto non potevanon contrariarmi se stavo per fare cosa che non fosse buona.

    XXXII - LAMORTE EIN OGNI CASO E PER CHIUNQUE UN BENE

    Cerchiamo anche per altra via di vedere come cmolto da sperare che la morte sia unbene. Morire infatti una delle due cose: o un precipitare nel nulla, per cui il mortonon ha pisentimento di alcuna cosa; o , secondo che si dice, un transito e unatrasmigrazione dellanima da questo luogo ad un altro. Se un precipitare nel nulla e uncessare di ogni sensazione, quasi come un sonno in cui nulla si vede, neppure il sogno,gran guadagno allora la morte. Se si considera infatti una di quelle notti in cui si dormito profondamente senza nulla vedere, neanche lo stesso sogno, e si raffronta alle

    altre notti e giorni della propria vita e si dovesse decidere, dopo aver riflettuto, perstabilire quante notti e giorni si sono vissuti meglio e pi dolcemente di quella,immagino che non solo luomo comune, ma lo stesso grande Re in persona, troverebbequeste ben poco numerose rispetto alle altre. Se tale dunque la morte, gran guadagnoessa , perchallora linfinito tempo una sola e unica notte. Se poi la morte unatrasmigrazione da qui ad altro luogo, ed vero quel che si dice, cioche ldimoranotutti i morti, qual bene, o giudici, potremmo noi allora aspettarci maggiore di questo?Se, giungendo nellAde, dopo esserci liberati da questi qua che si danno il nome di

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    Platone Apologia di Socrate

    giudici, si troveranno i veri giudici, quelli che anche lgiudicano, Minosse, Radamnto,Eaco e Trittolmo e tutti gli altri semidei che in vita furono giusti, sarebbe forse dadisprezzare tale trasmigrazione? O al contrario, non sarebbe essa di tal valore da pagarequalsiasi prezzo pur di potere conversare con Muso, Orfeo, Esiodo e Omero? Quanto ame, se tali cose sono vere, preferirei morire mille volte. Oh! quale meravigliosa

    conversazione sarebbe la mia quando mi imbattessi in Palamede e Aiace il telamonio ein qualche altro dei tempi antichi morto per ingiusto giudizio! Raffronterei la mia sortealla loro; e ci penso sarebbe per me motivo di dolcezza. E soprattutto amereitrascorrere il tempo ad esaminare ed interrogare quelli di l, come sono solito esaminarequesti di qua, per scoprire chi di loro sapiente e chi invece crede di esserlo e non lo affatto. Quanto, infatti, non pagherebbe ciascuno di voi, o giudici, per interrogare coluiche guidlesercito contro Troia, o Ulisse, o Sisifo, o tanti altri uomini e donne chepotrei nominare? Quale inesprimibile beatitudine sarebbe parlare con loro, vivere inloro compagnia, esaminarli! Non avverrebbe di certo, a causa di codesto esame, chequelli di lmi uccidessero, poicholtre ad essere per molte ragioni pifelici di noi, sonoormai immortali per tutto il restante tempo, se vero ciche si dice.

    XXXIII - LUOMO GIUSTO NONHANULLADA TEMEREDALLAMORTE

    E dovete sperare bene anche voi, o giudici, dinanzi alla morte e credere fermamente chea colui che buono non puaccadere nulla di male, nda vivo nda morto, e che gli Deisi prenderanno cura della sua sorte. Quel che a me avvenuto ora non stato cospercaso, poichvedo che il morire e lessere liberato dalle angustie del mondo era per me ilmeglio. Per questo non mi ha contrariato lavvertimento divino ed io non sono affatto incollera con quelli che mi hanno votato contro e con i miei accusatori, sebbene costoronon mi avessero votato contro con questa intenzione, ma credendo invece di farmi delmale. E in questo essi sono da biasimare. Tuttavia io li prego ancora di questo: quando imiei figlioli saranno grandi, castigateli, o Ateniesi, tormentateli come io ho tormentatovoi se vi sembrano di avere picura del denaro o daltro piuttosto che della virt; e semostrano di essere qualche cosa senza valere nulla, svergognateli come ho fatto io convoi per ciche non curano quello che conviene curare e credono di valere quando nonvalgono nulla. Se farete ci, avremo avuto da voi ciche era giusto avere, io e i miei figli.Ma vedo che tempo ormai di andar via, io a morire, voi a vivere. Chi di noi avrsortemigliore, occulto a ognuno, tranne che a Dio.

    FINE