pions to quarks – particle physics in the 1950s (based on a

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AIF Scuola Invernale 2005 Castiglioncello, 1-6 dicembre Nuclei e particelle: aspetti di storia della fisica La fisica delle La fisica delle particelle intorno al particelle intorno al 1960: come lavorare 1960: come lavorare lontano dalle macchine e lontano dalle macchine e senza una teoria” senza una teoria”

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AIF Scuola Invernale 2005 Castiglioncello, 1-6 dicembre Nuclei e particelle: aspetti di storia della fisica. “La fisica delle particelle intorno al 1960: come lavorare lontano dalle macchine e senza una teoria”. In realtà, il tentativo di tracciare un quadro sommario dello - PowerPoint PPT Presentation

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AIF Scuola Invernale 2005

Castiglioncello, 1-6 dicembre

Nuclei e particelle: aspetti di storia della fisica

““La fisica delle particelle intorno al La fisica delle particelle intorno al 1960: come lavorare lontano dalle 1960: come lavorare lontano dalle

macchine e senza una teoria”macchine e senza una teoria”

Pions to quarks – Particle Physics in the 1950s (based on aFermilab symposium), eds. Laurie Brown, Max Dresden,Lillian Hoddeson, Cambridge University Press, 1989.

In realtà, il tentativo di tracciare un quadro sommario dellosviluppo della fisica delle particelle a cavallo fra gli anni 50 e 60. Con accenni alla situazione italiana.

C. Bernardini, “AdA: the first electron-positron collider”, Physics in Perspective 6, 156-183 (2004).

S. Bergia, “!The way we were: bubble chamber pictures, pion-nucleon interactions and polology”, Foundations of Physics, Vol. 34, No. 11, November 2004, 1761-1776.

S. Vecchi, “L’anello di accumulazione per elettroni e positroni <<Adone>> dei Laboratori nazionali di Frascati (1960-1972)”; tesidi laurea, Un. di Bologna, a.a. 2004-2005, relatore G.Dragoni, correlatori C. Bernardini, L. Bonolis, G. Battimelli.

L. Bonolis, “Bruno Touschek vs machine builders: AdA, the firstmatter-antimatter collider”, preprint 2005.

F. Scarpa, “Una rivoluzione mancata – Storia dei programmi dellamatrice S”, tesi di dottorato in fisica, Nov. 2004.

Un sommario:

• Macchine e strumenti di rivelazione• Aspetti della divisione internazionale del lavoro di ricerca: la situazione italiana• Una netta separazione: interazioni deboli e interazioni forti• Qualche risultato sulle interazioni deboli• La fisica teorica e le interazioni forti. Pioni prima di tutto. La teoria dei campi dice qualcosa, ma non ci porta molto lontano• Modellizzare i fenomeni, per cominciare• La teoria dei campi ci dà le singolarità; al resto pensa l’analiticità della matrice S. Dalle relazioni di dispersione al bootstrap e alla scomparsa (provvisoria) del concetto di particella elementare: la storia di un programma perdente

Macchine e tecniche di rivelazione.

1952: Donald Glaser e la camera a bolle

1953: diventa operativo il cosmotrone di Brookhaven(raggiunge i 3,3 GeV in gennaio)

1954 (autunno): inizio ufficiale delle attività del CERN

Nei primi anni 50, alla Stanford University, si costruisce ilprimo acceleratore lineare di elettroni di alta energia (MarkIII) . Nel novembre del 1953, esso raggiunse i 400 MeV, i 600 entro un paio d’anni e il GeV nel 1960

1951: a Chicago diventa operativo il sincrociclotrone da 450-MeV

Bruno Touschek propugnò, nel 1960, la costruzione, a Frascati,di un collisionatore elettrone-positrone. Fu chiamato AdA (acronimo di Anello di Accumulazione). In 1962 fu accettatala proposta francese di trasportare AdA a Orsay, per sfruttareil loro acceleratore lineare. AdA divenne operativo nel 1964. Fu seguito, a Frascati, da Adone, un collisionatore elettrone-positrone da 3000 MeV ideato da Fernando Amman negli anni1961-1963.

1958: l’INFN aveva quasi completato la costruzione, presso i Laboratori Nazionali di Frascati, di un acceleratore, un elettrosincrotrone da 1100 MeV.

Aspetti della divisione internazionale del

lavoro di ricerca. La fisica fatta in casa.

Nelle sedi universitarie – gli Istituti di Fisica – e presso le sezioniINFN, la fisica sperimentale era necessariamente di secondo livello.

Grazie alla reputazione conseguita dalla fisica italiana con l’operadi Fermi e del suo gruppo e con quella di Bruno Rossi a altri studiosidei raggi cosmici, come Beppo Occhialini, e grazie alla mediazionedi fisici attivi nel campo, come Giampietro Puppi, si ottenne che rotoli di fotogrammi presi alla camera a bolle di Brokhaven fosseroinviati ad istituti e/o sezioni INFN italiani perché fossero analizzati, ricavandone dati, correlazioni ecc. , da gruppi di “lastristi” italianiconvertiti alla nuova tecnica di rilevazione.

30 YEARS OF BUBBLE CHAMBER PHYSICSBologna, 18 March 2003, at the Bologna Academy

of SciencesAula Ulisse - Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna

via Zamboni 31- 40126 Bologna

Una netta separazione

Le interazioni forti.

L’interazione fondamentale era ritenuta quella pione-nucleone(Yukawa, 1935); il “mesotrone”; Conversi, Pancini e Piccioni;la scoperta del pioneLa ripresa dopo la guerra: a Chicago; Fermi e “la risonanza 33”

Le interazioni deboli

Le teoria di FermiLa non conservazione della parità

Qualche risultato sulle interazioni deboli

La questione della non conservazione della parità fu sollevata dapprima in relazione ai decadimenti del K in due e tre pioni.

Nel 1955 Lee e Yang suggerirono test da compiersi sul decadimento beta e sui decadimenti del pione e del mu. La prima conferma venne da un esperimento sul decadimento beta del Co60 condotto da Wu Chen Shung (M.me Wu) nel 1957.

La scoperta della non conservazione della parità comportò modifiche alla teoria delle interazioni deboli, ma la concezione di un’interazionecorrente-corrente rimase; solo che l’interazione divenne del tipo V-A(Feynman e Gell-Mann; Marshak e Sudarshan – 1958).

Un esempio di collaborazione fra le due sponde dell’Atlantico:

Glaser (1960)

Jack Steinberger and M. Schwarz (1988), per un metodo diproduzione di fasci di neutrini di alta energia che avrebbero permesso la scoperta del neutrino muonico

M.L. Perl (1995; con F. Reines, scopritore del neutrino) perla scoperta del tau

Una collaborazione con quattro futuri premi Nobel

Nel lavoro si studiava la correlazione tra la produzione (associata)di particelle strane

e ( 0 costituendo i partners iperonici)

e angoli di decadimento degli iperoni, in cui il primo gradino fornivauna polarizzazione degli iperoni normale al piano di produzione. Laviolazione della conservazione della parità si riscontrerebbe come un’anisotropia nella distribuzione sull’angolo di decadimento rispettoall’asse di polarizzazione nel centro di massa dell’iperone. I risultatimostrarono “una statisticamente ben stabilita forte anisotropia per la Λ, dimostrando chiaramente la violazione della parità nel decadimento”.

La fisica teorica e le interazioni forti.

L’attenzione maggiore cadeva tuttavia sulle interazioni forti, che a quell’epoca pareva voler dire primariamente interazioni pione-nucleone. Occorreva naturalmente prima di tutto raccogliere dei dati.

Strumento di base: la teoria quantistica dei campi

Mesoni e campi

Il trattato di Sylvan Schweber, Hans Bethe and Frederic de Hoffmann Mesons and Fields, pubblicato per la prima volta 1956, rispecchiava la situazione: era in due volumi, il primo, Fields , dedicato a un’introduzione dei concetti, strumenti, metodi e risultati della teoria quantistica dei campi, il secondo, Mesons, concepito con il fine di “fornire un resoconto degli esperimenti esistenti sui mesoni, prescindendo dalle tecniche sperimentali, ma includendo la loro interpretazione e interconnessione.”

Ma il nesso fra le due parti non era stringente. Punto cruciale è che il metodo perturbativo non funzionava per le interazioni forti.

Le interazioni forti: un terreno da dissodare

Per la costruzione di una teoria specifica delle interazioni forti, appariva comunque necessaria una fase preliminare di estesa analisi fenomenologica.

Pions to quarks: anche – o soprattutto – un cambiamento di metodo?

Modellizzare i fenomeni, per cominciare.

Una risonanza 3/2, 3/2 nella diffusione pione-nucleone era statascoperta dal gruppo di Fermi al sincrociclotrone di Chicago.

Valeva la pena di vedere che succedeva ad energie più alte,in particolare per quanto riguardava le sezioni d’urto differenzialielastiche; ed anche di controllare se la risonanza 33 poteva giocare qualche ruolo nei processi di produzione.

In articoli del 1957 e 1958 Lindenbaum e Sternheimer avevanoprospettato la possibilità che essa potesse in effetti svolgerlo comegradino intermedio dei processi di produzione singola di pioniin collisioni pione-nucleone.

Il “modello isobarico”

3,3

N N

π π

π

Nel 1957 i film di camera a bolle erano stati saccheggiati del loro materiale più prezioso. Ma c’era ancora qualcosa a cui guardare. Un gruppo misto Bologna-Trieste, guidato peraltro dall’argentinoPedro Waloschek, cui si aggiunse Leo Lavatelli, dell’Università dell’Illinois a Urbana, selezionò gli eventi di diffusione elastica pione-nucleone e ne misurò la sezione d’urto differenziale a 915 MeV.

Lo stesso gruppo, a ranghi più ristretti, studiò, su altri film, iprocessi di produzione singola, al fine di controllare la validità del modello isobarico. Gli spettri dei pioni al centro di massa avrebbero dovuto mostrare un picco e una spalla, rispettivamentea momenti più e meno alti, il picco derivante da eventi in cui il pione era prodotto “direttamente” prodotto in coppia con la risonanza (pioni-extra), la spalla dovuta a pioni di decadimento. I risultati si mostrarono in buon accordo col modello.

Altri esempi di collaborazione transatlantica:

Non varrebbe la pena di menzionare queste ricerche piuttostomarginali se non fosse per questi motivi:

1) Si tratta di esempi della ricerca sulle interazioni forti che si conduceva in quei tempi.

2) La risonanza 33 poneva un problema interpretativo: si poteva(o forse doveva) considerarla una particella? Una particella che eraprodotta nelle collisioni pione-nucleone e poi decadeva appunto inuna coppia pione-nucleone? Certo che a decadere ci metteva

2310 secondi. Ma questo andava imputato al fatto che del

era responsabile l’interazione forte anziché la debole. E non sidovrebbe fare una differenza concettuale fra le due.

3) Ci fu uno sviluppo di una qualche rilevanza.

Il modello isobarico non poteva costituire la fine della storia, perché prendeva solo in esame l’aspetto dell’interazione nellostato finale, lasciando completamente inesplorato quello dell’interazione responsabile per la produzione

Il modello periferico e l’interazione pione-pione

Bonsignori e Selleri (1958): il picco di diffrazione nella diffusione elastica protone-protone e pione-protone dà per il raggio del nucleone un valore prossimo a quello della lunghezza d’onda Compton del pione. Questo suggerisce fortemente “che l’interazione responsabile per l’assorbimento della particella incidente abbia luogo con la nuvola pionica del nucleone bersaglio”. Ma con quantipioni? Considerazioni fenomenologiche (nello stile di Mesons) e semi-teoriche (nello stile di Fields) suggerivano fortemente che questo numero dovesse essere prossimo a uno.

Ma, gli autori ricordavano, si sarebbero dovute valutare “tutte le possibili correzioni di vertice e di self-energia del pione intermedio”.

Ora, c’è un polo nel piano complesso del momento trasferito …

1p 2p

2

12 ppt

Con metrica 1, -1, -1 , -1, t è <0. Ma invividua il quadrato dell’energia totale al centro di massa per il processo dicollisione fra protone e antiprotone; secondo la teoria dei campi,dati i diagrammi, questo processo ha, in questa variabile, un polo per il valore

2t

Questo polo, per quanto appena detto, è esterno alla regione fisicadel processo di collisione pione-nucleone (o protone-protone), ma vi farà sentire la sua influenza ...

t 02

Illustrazione dell’idea primitiva della “polologia”

Gli autori si rifacevano a una formula ottenuta da Chew e Low, valida quando i valori di t si accostavano al valore del quadratodella massa del pione. L’uso della formula nella regione fisica,cioè per valori negativi del momento trasferito, comportava trascurare le correzioni per i vertici e il propagatore. Si poteva giustificare sulla base della considerazione che il punto inquestione era molto vicino alla regione fisica.

Un modello? O un’approssimazione (“rigorosa”) a una teoria (in fieri)?

L’uso del risultato di Chew and Low nella regione fisica aveva“esattamente la stessa giustificazione teorica del trascurare idiagrammi con più di un pione scambiato”.

La matrice S: storia di un programma perdente

Si tratterà di basarsi basarsi sui concetti basilari della teoria dei campi, ma non sui suoi tipici procedimenti di calcolo. Quei concettiandranno invece di volta in volta utilizzati nell’ambito di formalismiderivabili da principi generali. Sono individuabili alcune tappe:

• Le relazioni di dispersione• La rappresentazione di Mandelstam• Il “bootstrap”• I poli di Regge

Nel corso di questo processo prenderà corpo la convinzione che non vi siano particelle più elementari di altre (“democrazia particellare”).Molti autori hanno contribuito a questa scuola, ma un indubbio ruolo di guida deve essere attribuito a Geoffrey Chew.

Geoffrey Chew

Un paio d’anni dopo l’uscita del trattato di Schweber, Bethe e de Hoffmann, Chew scriveva: “Credo che l’associazione tradizionale di campi alle particelle fortemente interagenti sia vuota”. Egli esprimeva così quella che era diventata una profonda convinzione personale, ma anche quello che era diventato un sentire diffuso. Chew riconosceva che “l’apparato dei campi era stato enormemente utile nella scoperta di principi di simmetria, particolarmente riguardo alla coniugazione di carica. Una seconda area dove la teoria dei campi aveva giocato un ruolo storico cruciale era nella continuazione analitica della matrice S; la nozione di microcausalità e dei diagrammi di Feynman era stata inestimabile in questo contesto”.

... e il suo programma

)),(,(lim 0 0 if

ttfi ttUS

Nei processi di diffusione

Tuttavia la sua impressione era “che finalmente avessimo alla nostra portata tutte le proprietà della matrice S che potrebbero essere dedotte dalla teoria dei campi e che lo sviluppo futuro di una comprensione delle interazioni forti sarebbe facilitato se eliminassimo dal nostro pensiero nozioni proprie della teoria dei campi come lagrangiane, masse ‘nude’, costanti ‘nude’ d’accoppiamento, e fino la nozione di ‘particelle elementari’.

“Io credo – concludeva – che nel futuro dovremmo lavorare interamente entro lo schema della matrice S analiticamente continuata.”

[1] Geoffrey F. Chew, S-Matrix Theory of Strong Interactions, A Lecture Note and Reprint Volume, W. A. Benjamin, New York, 1961, page 1 of Chapter 1.

Le relazioni di dispersione

J.D. Jackson, “Introduction to dispersion relations J.D. Jackson, “Introduction to dispersion relations techniques”, in: techniques”, in:

Dispersion RelationsDispersion Relations,,

Scottish Universities Summer Schol, 1960Scottish Universities Summer Schol, 1960

Oliver and Boyd, 1961Oliver and Boyd, 1961

R. Kronig, H. A. Kramers (1926-27): teoria classica della dispersionedella luce; la r.d.s. segue da ipotesi di analiticità sull’indice di rifrazionecome funzione della frequenza complessa, collegabili al requisito dellacausalità (velocità limite).

Vari autori (ca. 1946-1950): causalità e altre condizioni potrebbero essere imposte alla matrice S e limitare la sua forma.

Un po’ di storia

Gell-Mann, Goldberger e Thirring (1954): prova quanto-meccanicadi relazioni di dispersione per diffusione in avanti della luce basata sulla condizione di microcausalità.

Vari autori (Goldberger, Lehmann-Symanzik-Zimmermann, ...Chew-Goldberger-Low-Nambu (1955/1957): estensione a particellemassive - diffusione in avanti e non; in particolare alla diffusione pione-nucleone.

Le relazioni di dispersione nell’ottica classica

In ottica classica vale la relazione

)(2

)()( r

icnn

dove α(ω) è il coefficiente di assorbimento. Se la funzione n(ω) è olomorfa nell’intero piano complesso eccettuato un tagliosull’asse reale positivo, vale la relazione di dispersione di Kronig-Kramers

022r '

'

)'(1)(

dP

cn

dove P indica la parte principale.

In questo contesto si preferisce avere a che fare con l’ampiezza di diffusione f(ω) in avanti piuttosto che con l’indice di rifrazione. Il legame fra le due quantità è il seguente:

)( 2

1)(2

2

Nf

cn

(N indica il numero di centri diffusori per unità di volume)

Similmente, il coefficiente di assorbimento è legato all’indice di rifrazione attraverso il cosiddetto “teorema ottico”:

)()(Im4

)( tNf

cN

Utilizzando le ultime due relazioni si perviene alla:

022

2

'''

)'(Im2)(Re

d

fPf

Questo risultato vale in realtà solo se la diffusione avviene suparticelle legate, per le quali Re f(ω) è effettivamente 0. Più ingenerale, vale la

022

2

'''

)'(Im2)0(Re)(Re

d

fPff

che si può anche riscrivere:

0222

2

''

)'(

2)0(Re)(Re

dPff t

Le relazioni di dispersione per la diffusione pione-nucleone

Qui le cose si complicano notevolmente per tener conto di spine spin isotopico. La variabile significativa diventa l’energia. Persemplicità continuo a riferirmi alla:

0222

2

''

)'(

2)0(Re)(Re

dPff t

Emerge un aspetto: quello della correlazione fra insiemi diversidi dati (ampiezza per la diffusione elastica a una data energia – andamento complessivo della sezione d’urto totale con l’energia).

L’emergere di discrepanze poteva implicare un ripensamentocirca le condizioni imposte alla matrice S o un riesame dei dati“The Puppi-Stanghellini discrepancy” (N.C 5, 1305, 1957).

Un aggiornamento del controllo (gruppo Waloschek, N.C. 15, 551, 1960): nuovi dati sulle sezioni d’urto totali e misura dell’ampiezza in avanti a 915 MeV.

Nei primi anni 50, Robert Hofstadter, alla Stanford University, concepisce l’idea di studiare la struttura dei nuclei atomici utilizzando i fasci di elettroni prodotti dalla macchina Mark III.

L’idea ha il suo remoto ascendente in Rutherford. Forse non è un caso che i primi esperimenti fossero condotti proprio su oro, l’elemento che Rutherford aveva utilizzato come bersaglio delle sue particelle alfa negli esperimenti che comprovarono la struttura nucleare dell’atomo. Essi mostrarono forti deviazioni dalladistribuzione attesa per elettroni diffusi da un nucleo puntiforme,e indicarono che il nucleo aveva un raggio finito e misurabile.

Si fecero poi misure su nuclei d’idrogeno (in polietilene), che mostrarono che anche il protone aveva una struttura.

Le relazioni di dispersione e la struttura del nucleone

Robert Hofstadter, Premio Nobel per la fisica nel 1961 (con Rudolf Mössbauer)

“La spiegazione più naturale dell’estensione spaziale osservata è che essa derivi dalla ‘nuvola’ pionica che circonda il nucleone […]Ora, se anche il pione ha una struttura, saranno corrispondentemente dilatate le dimensione del nucleone. Perciò è necessario conoscerela struttura del pione prima di poter predire quella del nucleone.”

W.R. Frazer, “The electromagnetic structure of pions and nucleons”,in: Dispersion relations, op. cit.

La stuttura del pione

q

'q

k

K’

e

Il contributo del diagramma è proporzionale a:

tkukueqqj /)()'()',(

con

)cos1(2)'()'( 222 qqqkkt

Il vertice π π γ ha la forma:

)()'( tFqqej

)(tF prende il nome di fattore di forma del pione.

Nella regione della diffusione è 0t mentre è 4t per

il processo ee dato che per esso rappresenta

il quadrato dell’energia totale al centro di massa.

Il fattore di forma del pione è una funzione analitica nell’intero piano complesso di t, fatta eccezione per un taglio lungo l’asse reale per t>,=4. Applicando il teorema di Cauchy alla funzione

4

')'('

)'(Im1)( dt

ttt

tFttF

tFtF /)]0()([ si ottiene

Ora, per 4t , l’interazione scritta inizialmente, riscritta nella

forma ,/)()'(v)',( tkukeqqj descrive il processo

ee e )(tFè parte determinante della

relativa ampiezza. Ora, come stadi intermedi di quella reazione, possono intervenire vari stati, limitati solo dalle condizioni diavere carica, numero barionico e stranezza nulli. Per quanto riguarda stati di pioni, la cosiddetta G-parità dice che possono avere solo un numero pari di pioni. Nella regione

164 t

possono contribuire solo stati di due pioni.

La G-parità è una combinazione della coniugazione di carica e di una rotazione di π rad attorno al secondo asse dello spazio dell’isospin. Dato che la coniugazione di carica e l’isospin sono conservati dalle interazioni forti, così deve essere per G.

I fattori di forma del nucleone

La corrente nucleonica si può scrivere nella forma generale

puqFm

qqFpuie pp

p

)(

2

1)()'( 2

22

1

In essa intervengono dunque due fattori di forma, rispettivamentelegati alla distribuzione della carica e del momento magnetico.

La diffusione di elettronisu protoni è descritta dal grafico

Una corrente neutronica, implicata nella descrizione delladiffusione di elettroni da parte di deutoni richiedeva a suavolta due fattori di forma

)(),( 22

21 qFqF nn

Le espressioni per le due correnti si possono combinare nella:

)]()([){'( 213

21 qFqFpuie VS

N

puqFqFM

q NVS )]()([

2

1 223

22

n

p

n

p

Nu

u

u

uu 33 dove M è la massa del nucleone, e

La struttura del nucleone è dunque descritta da quattro fattori di forma, uno isoscalare e uno isovettoriale sia per la distribuzionedi carica sia per quella di momento magnetico.

La separazione dei termini isoscalare e isovettoriale èfondamentale, perché, per la G-parità, solo stati intermedi con un numero pari (risp. dispari) di pioni possono contribuire agli integrali dispersivi relativi ai fattori di forma isovettoriali(risp. isoscalari).

Ora, per quanto riguarda i primi, non cambia sostanzialmentenulla rispetto al caso della struttura del pione.

W. R. Fraser, J. R. Fulco, Phys. Rev. Letters, 2, 365 (1959). Sperimentalmente, i fattori di forma isovettoriali variavano fortemente (calavano) con il momento trasferito. Questo comportamento escludeva che Im F potesse avere un comportamento di tipo a, e indicava invece con forza un comportamento di tipo b. Questo, a sua volta, inplicava che il sistema pione-pione presentasse una risonanza in prossimità della soglia:

Le r.d.d., in quanto condizioni di autoconsistenza, potevano dunquefornire previsioni.

)11 circa (a 2mt

Frazer e Fulco scrivevano esplicitamente che le loro considerazioni si limitavano ai fattori di forma isovettoriali, e che non avevano nulla da dire su quelli isoscalari.

A mia conoscenza, fu Sergio Fubini la prima persona a suggerireche il comportamento sperimentale dei fattori di forma isoscalaririchiedevano a loro volta un contributo piccato a Im F . Dunque,nei sistemi di tre pioni con T=0, J=1 doveva esistere una risonanza ... o uno stato legato se

29mt

S. Fubini, S. Bergia, A. Stanghellini, C.Villi, “Electromagneticform factors of the nucleon and pion-pion interaction”, Phys. Rev. Letters, 6, 367 (1961).

E. Clementel, C. Villi, “On the scattering of high energyelectrons by protons”, Nuovo Cimento, 4, 1207 (1956): Una forma polare per uno dei fattori di forma emergeva a partire dall’idea che l’elettrone sentisse una carica efficace (effective)del protone più piccola della carica naturale come conseguenza della sua penetrazione nella nuvola pionica.

S.B., A. Stanghellini, Nuovo Cimento, 21, 155(1961)

Il fit migliore è attorno a 25 e 6 masse pioniche al quadrato rispettivamente per la parte isovettoriale e isoscalare. Prudenzialmente non escludevamo un t maggiore di 9 per la seconda.

Le cose si mostrarono più complicate di così: sono di quegli annile scoperte dei mesoni vettori ρ, ω e φ al cosmotrone di Brookhaven e al bevatrone di Berkeley:

1961: ρ (750 MeV); ω (780 MeV); 1962: φ (1020 MeV)

La ρ contribuiva ai fattori di forma isovettoriali, le altre due particelle a quelli isoscalari.

Già i primi tentativi di riprodurre i dati sui fattori di forma a partireda quelli accertati sulla ρ furono insoddisfacenti, e si dovette introdurre una fittizia ρ’. Ancora più complicato si mostrò il problemaper la parte isoscalare: in ogni caso le pendenze erano più forti diquelle prodotte da un comportamento a un polo, e in generale si richiedevano interferenze distruttive fra poli diversi.

La rappresentazione di Mandelstam

0 n

p

np 0 pn 0 np 0

S. Mandelstam, Phys. Rev. 112, 1344 (1958)

L’idea è che l’ampiezza per le tre reazioni deve essere una funzione analitica di tutte e tre le variabili, che assume ilsignificato specifico di ampiezza per uno dei tre processi pervalori delle variabili appartenenti agli intervalli adeguati.

Le singolarità nelle tre variabili sono ora le singolarità di una sola funzione in regioni diverse.

Per tale funzione si ipotizza una rappresentazione integrale(di Mandelstam). Si dovrebbe così riuscire a concentrare tuttal’informazione derivante dai tre processi volta a volta suun solo problema.

La rappresentazione vale sotto l’ipotesi della massima analiticità:le ampiezze hanno la massima analiticità compatibile con l’esistenza di singolarità derivata da considerazioni di teoriadei campi.

Relativamente a ogni dato problema, una volta date alcune singolarità, la collocazione e la forza di tutte le altre dovrebberisultare determinata.

Nel quadro della teoria dei campi, l’informazione necessaria esufficiente dovrebbe essere quella riguardante le posizioni e i residui nei poli associati con le “particelle elementari”.

Tutte le altre (quelle le cui masse e interazioni sono predicibili) dovranno essere stati legati (se stabili) o risonanze (se instabili) di quelle “particelle elementari”.

Ma la definizione di particella elementare è significativa solo dopo che il problema sia stato risolto. Ed è difficile immaginareun calcolo sufficientemente completo da permettere una rispostaunivoca alla domanda: quale delle particelle fortemente interagenti è elementare?

“La teoria corretta dovrebbe esser tale da non permettere di direquali particelle sono elementari”. Che è come dire che scompareil concetto stesso di particella elementare.

G. Chew, S-Matrix Theory of Strong Interactions, Benjamin, 1961

Il bootstrap

Appare come il suggello definitivo dell’idea. Nel 1959, Chew eMandelstam trovarono che una risonanza pione-pione di spin 1poteva essere generata da una forza dovuta a uno scambio tra pioni di quella stessa risonanza.

ρρ

Bootstrap è, alla lettera, il tirante di uno stivale. Come tutti sanno,il barone di Münchhausen si sollevò dalla palude che lo stavainghiottendo tirandosi su per quei tiranti. Pittorescamente, sivoleva rendere col termine l’idea che le particelle non avessero bisogno di un appoggio esterno – fatto di costituenti ultimi – peremergere dalla palude del nulla e venire in esistenza.

G. Chew, “Particles and S-matrix poles: hadron democracy”, in: Pions to quarks, op. cit.

Cfr. anche: D. Kaiser, “Nuclear Democracy – Political Engagement,Pedagogical reform, and Particle Physics in Postwar America”, ISIS,2002, 93: 229-268.

Poli di Regge

Nel 1959, T. Regge mostrò che, per un’ampia classe di potenziali, le sole singolarità dell’ampiezza di diffusione non relativistica nelpiano complesso del momento angolare orbitale l erano poli la cuiposizione si spostava con l’energia: l=α(s)

lIm

lReE

• • •

1 2 3

E

1E

2E

E di soglia

N.B.: la figura non rendecorrettamente l’idea: al disotto dell’energia di soglia, la parte immaginaria siannulla.

La prova di Regge divenne un’ipotesi nell’ambito delle teorie di seconda quantizzazione (Chew e e Frautschi,1961).

Essa infatti appariva in grado di risolvere un problema di caratteregenerale che emergeva in questo ambito. In esso, infatti, i poli nelle ampiezze di diffusione, che si ipotizzava dominassero la scena, erano dovuti allo scambio di particelle di momento angolare fissato. Come conseguenza, per alte energie incidenti, le ampiezze, permomenti angolari sufficientemente alti, dovevano “esplodere”.

Ma i poli di Regge potevano anche rendere conto di poli e risonanzenel canale s. Infatti le traiettorie di Regge corrispondevano a particelle o risonanze quando α(s) uguagliava un intero.

P.D.B. Collins, E.J. Squires, Regge Poles in Particle Physics,Springer-Verlag, 1968.

)(Im)(Re)( EiEE

)(Im)(Re)( EiEdE

dEEl

lEE

l

Ponendo:

lEE

EdE

d

)(Re )(Im2

E

2

)( iEElE lsi può riscrivere

Le risonanze:

Se l ed E hanno valori corrispondenti a un polo, dovrà essere:

)(

)(),(

El

ERElf

Sostituendovi la

2

)( iEElE l

2/

1),(

iEE

RElf

l

(R(E) è il residuo nel polo).

A parte il momento anmgolare, tutti i numeri quantici dovrebbero essere gli stessi per tutti i poli su una data traiettoria.

Perciò – per esempio – nella diffusione di pioni positivi su protonitutto deve procedere via il canale

0S 1 2

3 BI

La richiesta che i poli di Regge devono anche descrivere forze discambio nel canale t ha l’effetto che due poli consecutivi devonoessere separati da due unità di momento angolare, ciò che fissaanche la parità della traiettoria.

I valori dei momenti angolari delle risonanze possono essere seguiticome funzioni della massa.

Il grafico di Chew e Frautschi

)( 22 GeVM

J

3/2

7/2

11/2

)2/3( J

1 4 6

Sezioni d’urto ad alte energie

Se i processi ad alta energia sono dominati da un solo polodi Regge scambiato P, l’ampiezza per la diffusione elastica deve avere la forma

)()()(),( tba

PetttsF

Se le sezioni d’urto totali, come sembra, sono circa costanti ad alta energia, deve essere α(t=0)=1 (<1per tutti gli altri poli).Si dimostra poi che quel polo deve avere i numeri quantici del vuoto (vacuum trajectory). Esso non distingue, per esempio, fra le sezioni d’urto totali di pioni positivi e negativi su protoni. Poiché ciò era predettto da un teorema di Pomeranchuk, la traiettoria in questione era detta di Pomeranchuk (o pomerone).

S. C. Frautschi, Regge Poles and S-Matrix Theory, Benjamin, 1963.D.H. Perkins, Introduction to High Energy Physics, Oxford, 1971.

Si prevedevano allora sezioni d’urto differenziali elastiche che cadevano esponenzialmente al crescere del momento trasferito,come nei picchi di diffrazione; si doveva inoltre verificare un restringimento (shrinking) logaritmico dal picco al crescere di s.

“Il primo fiorire di teoria e fenomenologia ebbe vita breve”(Collins e Squires, op. cit., p. 2). Gli esperimenti (1962/63)mostrarono ben presto che lo shrinking si mostrava solo nelle sezioni d’urto pp. Dal punto di vista teorico poi, Mandelstam mostrò che nel caso relativistico, nel piano complesso del momento angolare comparivano tagli accanto ai poli.