per poter dire che l’universo esiste essere supremo. 5 - teorie... · e’infatti impossibile,...
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– teorie scientifiche sull’origine dello spazio e dell’universo
Abbiamo visto che l’esistenza diqualsiasi cosa viene percepita unicamente
attraverso lospazio di memoria che viene occupato.
Dunquenessuna realtà fisicapotrà essere immaginata fuori dal tempo.
Se vogliamo ora applicare all’intero universo, la condizione di esistenza che
abbiamo indicato, ci rendiamo immediatamente conto che le difficoltà che si
presentano sono praticamente insuperabili.
E’ infatti impossibile, per come l’universo viene definito, avere un osservatore
ed una memoria esterna come supporto per il tempo.
Definire dunque l’esistenza dell’universo utilizzando la nozione del tempo non
è possibile e dunque si debbono cercare altre vie, visto che comunque della
sua esistenza noi abbiamo piena coscienza.
Il primo e più semplice approccio al problema può essere un profondo
atto di fede per poter dire che l’universo esiste perchè è stato
creato dal " nulla " da un " Essere Supremo ", che ne ha definito
tutta l’organizzazione.
In questa maniera diventa possibile analizzare i fatti che si osservano senza
dover necessariamente fare indagini sulle ragioni che li rendono possibili, in
quanto l’onnipotenza di Dio rende tutto fattibile.
In alternativa, possiamo considerare l’universo creato dal " nulla " non da un
"Essere Supremo", ma dal " Big Bang ", una immane esplosione del "nulla"
che conservava in sè tutte le caratteristiche necessarie per generare l’ordine
successivo.
A parte la diversa formulazione, entrambe le alternative,
rappresentano nella sostanza un atto di fede, anche se la
seconda viene oggi molto accreditata presso la comunità
scientifica.
Anche se non pensiamo di dare risposte definitive, in questa sede, vogliamo
comunque tentare un approccio diverso al problema, tenendo presenti le
considerazioni che sono state fatte finora.
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Innanzitutto dobbiamo osservare che, non essendo possibile disporre di un
osservatore esterno, si deve escludere l’esistenza di un tempo universale nel
quale dovrebbe durare l’universo per poter esistere.
La sola scelta che ci rimane è quella di ricercare un universo la cui esistenza
sia indipendentemente dal tempo : un universo senza tempo.
Qualsiasi sistema risulta indipendente dal tempo solo se
è assolutamente statico oppure se si evolve in maniera
perfettamente periodica.
Nel nostro caso, l’osservazione astronomica ci riferisce di un universo che si
presenta in evoluzione e quindi optiamo per la seconda soluzione.
Il nostro problema sarà dunque definire un universo capace di subire,
su grande scala,una evoluzione periodica per un tempo indefinito,
senza inizio nè fine.
Cominciamo con l’osservare che, se è dato un ambiente, comunque esteso,
definire in esso una qualsiasi entità, vuol dire distinguerla dalle altre presenti
attraverso la definizione delle caratteristiche di tutti i suoi punti.
Questo significa che tutti i punti che appartengono all’entità che viene definita
presentano le proprietà e le caratteristiche particolari, che vengono richieste
per provarne l’appartenenza.
I punti che non presentano quelle caratteristiche non vi appartengono
e sono dunque qualcos’altro.
Se l’entità considerata è infinitamente estesa ( nel senso che occupa tutti
i punti dello spazio geometrico ), non possono esistere, in quello spazio,
altri punti che non le appartengono.
Le eventuali caratteristiche particolari, che i suoi punti dovrebbero presentare
per poter testimoniare la loroappartenenza, non potranno certamente essere
definite, in quanto non possono esistere punti diversi dai quali distinguersi.
In altre parole, non sarà mai possibile definire l’esistenza di qualcosa che sia
infinitamente esteso, in quanto l’ambiente nel quale esso si dovrà distinguere
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(per la definizione data di esistenza) dovrà necessariamente contenere altri
punti con caratteristiche diverse.
In base a queste semplici considerazioni, all’esistenza di qualsiasi cosa non
si potrà mai dare valore assoluto, ma sempre relativo all’ambiente che viene
preso in considerazione.
Nel nostro caso, assumiamo come ambiente " lo spazio geometrico " che,
essendo un pensiero astratto, può essere considerato, senza altre indagini,
con il significato noto dalla geometria euclidea, infinitamente esteso e quindi
adatto a contenere il " tutto ".
Se in tale ambiente consideriamo l’universo appena formato, ossia se
vogliamo considerare " l’istante iniziale ", dobbiamo pensarlo privo
di materia organizzata e senza alcuna evoluzione passata o in corso.
Dobbiamo quindi immaginare l’universo iniziale come lo "spazio
fisico puro"che si separa esidistingue dal restante spazio geometrico.
La separazione si ottiene con le diverse caratteristiche dei suoi punti,
che vengono indicati come "elementi spaziali fondamentali".Essi rappresentano così i più piccoli " punti " distinguibili nello spazio
fisico puro (universo primordiale).
In definitiva, ci troviamo, a questo punto, uno spazio geometrico infinitamente
esteso in cui "si separa " uno spazio fisico puro, il quale viene identificato
come " universo ".
I suoi punti si distinguono dal restante spazio geometrico, che viene indicato
come il " nulla ".
Secondo questa impostazione, l’esistenza del nulla è condizione necessaria
perchè si possa definire un universo primordiale, mancante cioè di qualsiasi
struttura organizzata.
E’ altresì indispensabile che gli elementi spaziali che costituiscono lo spazio
fisico puro non siano uniformemente distribuiti nello spazio geometrico, ma
separati dal nulla da un confine ben preciso, altrimenti si rigenera uno spazio
avente caratteristiche omogenee e si ricade così nella impossibilità di poter
distinguere e definire in esso qualcosa.
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Si tratta, a questo punto, di definire in dettaglio le caratteristiche dello
spazio fisico puro che abbiamo identificato con l’universo primordiale.
Avendo ipotizzato, nello spazio fisico iniziale, la totale assenza di evoluzione
in corso e la assoluta impossibilità di individuare in esso qualsiasi forma di
materia organizzata (universo appena separato dal nulla), tutti i suoi punti
debbono essere equivalenti, con le stesse caratteristiche e non deve esistere
nulla che possa distinguerli, nemmeno la posizione.
Essa sarebbe infatti comunque un elemento di distinzione per poter definire
il primo livello di organizzazione della materia presente dopo una prima fase
di evoluzione.
Per poter definire dunque un universo iniziale, non devono essere presenti
nè confini, nè punti o direzioni privilegiate, in modo che lo spazio fisico puro,
che forma l’universo primordiale, assuma sempre la stessa configurazione,
indipendentemente dalla direzione e dal punto d’osservazione.
Dal punto di vista geometrico, restando nell’ambito della geometria euclidea,
alla quale tutto sembra più adatto, l’unica figura che consente di ottenere uno
spazio non infinito, con tutte le caratteristiche richieste, è la superficie sferica
formata da " punti " (elementi spaziali) uniformemente distribuiti.
Ne risulta così uno spazio avente solo due dimensioni,che si sviluppa
sulla superficie curva della sfera.
L’esistenza di una terza dimensione, finita, in direzione perpendicolare alla
superficie della sfera, nell’universo iniziale, deve essere esclusa in quanto
creerebbe un confine con conseguente possibilità di distinguere i suoi punti
utilizzando la posizione.
Questa disposizione potrebbe dunque essere interpretata come primo livello
di organizzazione, che si ottiene dopo una prima fase di evoluzione che però
noi abbiamo escluso per ipotesi.
Definita la geometria, si tratta ora di scegliere le caratteristiche specifiche
da assegnare ai singoli punti che formano lo spazio fisico puro.
E’chiaro che,conoscendo noi l’universo che si è poi evoluto, la nostra
scelta non potrà essere arbitraria, ma deve essere tale da consentire
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allo spazio fisico che ne deriva di dareorigine a tutti i fenomeni che noi
oggi osserviamo nel nostro universo.
A tale riguardo, osserviamo che, se ci accingiamo ad elaborare "una teoria
del tutto ", ammettiamo, implicitamente, la sua reale esistenza.
Se dunque si considera che essa, per definizione, deve descrivere tutto
l’universo con le stesse leggi, iniziare la sua elaborazione implica l’ipotesi
iniziale che le caratteristiche della materia debbano essere indipendenti dal
suo livello di aggregazione.
In base a queste osservazioni, l’elemento spaziale dovrà
presentare le stesse caratteristiche della materia, da
quella ordinaria, organizzata in ammassi galattici, a quella
ancora nella fase di puro spazio fisico.
Vedremo in seguito che, per la verità, questa situazione non corrisponde alla
realtà fisica, ma risulta una conseguenza del fatto che noi ed i nostri mezzi di
indagine abbiamo dei limiti che si riflettono su qualsiasi teoria universale.
E’ dunque utile tenere presente quanto segue :
1 – tutte le trasformazioni che si verificano nell’universo attuale sono
sempre riconducibili a scambi di " forze ".
2 – tutto l’universo osservabile ci appare disseminato di qualcosa che
noi chiamiamo " materia ", che presenta la capacità di aggregarsi e
disgregarsi continuamente.
3 – tutto ciò che occupa spazio nell’universo, indipendentemente dal
livello di aggregazione,è sempre animato di moto " rototraslatorio "
che si sviluppa, quasi sempre su un piano privilegiato.
4 – da qualsiasi punto ed in qualunque direzione si osservi, l’universo
" rivela sempre la stessa organizzazione ", anche per i punti che si
trovano ad una distanza di 1024 Km, valore massimo osservabile.
Per quanto riguarda il primo punto, va precisato che il concetto di forza come
grandezza fisica è stato introdotto come comodo strumento per studiare il
comportamento dei corpi che ci circondano nelle condizioni ordinarie, ma si
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è rivelato di natura e significato assolutamente incerti per le applicazioni fuori
dall’ordinario.
Essendo il nostro universo primordiale certamente in condizioni non comuni,
prima di usare il termine sarebbe necessario fare qualche precisazione.
Tuttavia, per i nostri scopi attuali, lo useremo con il significato comune, senza
ulteriori indagini.
Anche il termine materia non ha un significato ben definito, scientificamente,
ed è stato preso con il senso dato nel linguaggio comune.
Nell’universo primordiale essa non compare e dunque, per adesso, non crea
particolari problemi.
Quando verrà usato, se non viene diversamente specificato, il termine dovrà
inizialmente intendersi con il significato corrente.
Il terzo e quarto punto ci portano, ragionevolmente, ad ipotizzare che le leggi
che regolano l’equilibrio e l’organizzazione dell’universo non siano il risultato
di una "comunicazione " diretta tra i diversi " elementi spaziali ", difficile da
immaginare ad una distanza di 1024 Km , ma che siano scritte negli elementi
spaziali stessi.
Solo in questo modo l’organizzazione potrà essere rigorosamente la
stessa ovunque ed a qualsiasi livello di aggregazione.
Prendendo in considerazione quanto è stato finora esposto, immaginiamo lo
"spazio puro" formato da elementi spaziali o punti materiali, che indichiamo
con S0 , come sfere rotanti indeformabili, aventi raggio r0 piccolo a piacere
( r0 → 0 ), distribuiti uniformemente e con continuità sulla superficie di
una sfera di raggio R.
La capacità degli elementi spaziali di distribuirsi uniformemente sulla sfera si
può ottenere automaticamente assegnando a ciascuno di essi la possibilità
di trasferire attraverso ogni punto della sua superficie un’azione specifica f0
costante ed indipendente dalla direzione.
Assegnando ancora a ciascun elemento spaziale la possibilità di ruotare su
se stesso con una velocità periferica V0 nel verso orario oppure antiorario,
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la continuità dello spazio fisico e la presenza dell’azione f0 creeranno
una rotazione nei due versi con distribuzione esattamente al 50 % , come è
rappresentato in figura 5 .
Quello che, a questo punto, ci proponiamo di fare è dimostrare che :
Senza introdurre alcuna ipotesi restrittiva e senza dover fare ricorso a
dati empirici, utilizzando unicamente i metodi impiegati normalmente
nella meccanica razionale, lo spazio fisico puro così definito si evolve
spontaneamente e si organizza, generando tutte le strutture ed
i fenomeni che si manifestano oggi nell’universo,sia a
livello atomico che astronomico, fino al " grande attrattore ".
Tutto questo viene ottenuto utilizzando una sola forza ed una sola legge
del moto, le quali consentono l’equilibrio solo in condizioni ben precise.
Il verificarsi di queste condizioni porta alla quantizzazione generale di tutte le
grandezze fisiche che caratterizzano il moto, inclusa quella nota e largamente
utilizzata in campo atomico.
Come si può vedere,abbiamo scelto le caratteristiche dell’elemento spaziale
primordiale esattamente coincidenti con quelle della materia organizzata.
Questo equivale ad assumere come principio guida per tutta la teoria il fatto
che le caratteristiche della materia siano del tutto indipendenti dal livello di
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organizzazione e quindi che tutte le leggi della fisica debbano avere validità
assolutamente universale.
Inoltre, dato che le leggi che governano gli equilibri sono state derivate dalle
caratteristiche di un elemento di spazio estremamente semplice e privo
di struttura interna, esse non potranno che essere poche ed elementari ed
il nostro scopo sarà quello di cercarle.
Cercheremo dunque l’espressione di un’unica forza che, per avere validità
generale, deve essere applicabile a qualsiasi livello di aggregazione e quindi
dovrà risultare necessariamente indipendente dalle particolari caratteristiche
della materia organizzata.
Indicheremo questa espressione come " forza universale ".
Analogo discorso si può fare per la condizione di equilibrio, che dovrà avere
validità generale, applicabile a tutti i livelli di aggregazione e dunque dovrà
essere descritta da una espressione molto semplice che indicheremo come
" condizione di equilibrio universale ".
Applicando queste due espressioni agli aggregati astromici, ricaveremo tutte
le orbite, velocità ed altre caratteristiche di tutti i sistemi satellitari, planetari,
stellari e galattici.
Applicando le stesse relazioni agli aggregati atomici e subatomici, potranno
essere ricavate sia la struttura dell’atomo e del suo nucleo, che l’espressione
teorica dell’enegia di legame, di cui oggi è disponibile solo un’espressione
semiempirica.
Studiando il nucleo atomico con l’espressione teorica dell’energia di legame,
verranno giustificati i comportamenti già noti, mettendo anche in evidenza il
meccanismo di formazione dei neutroni al suo interno.
Usando la stessa relazione, ricaveremo, infine, il valore teorico della massa
di tutti gli isotopi naturali fino al numero atomico Z = 118 , che rappresenta il
limite assoluto, previsto dalla teoria per il numero di elementi sintetizzabili
nell’universo.
Ritornando ora al nostro universo, iniziamo il primo passo verso l’evoluzione
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partendo dalla schematizzazione di figura 6.
Se indichiamo con Rmax il raggio delle sfera universale con tutti gli elementi
spaziali S0, disposti sulla sua superficie, perfettamente a contatto tra loro, su
un unico strato, lo spessore dello spazio puro sarà (figura 5) : dR= 2 ⋅ r0
il volume occupato da tutto lo spazio nella condizione iniziale sarà quindi :
V0 = 4 ⋅ π ⋅ Rmax
2⋅ 2 ⋅ r0 .
Se gli elementi spaziali S0 sono indeformabili per definizione,qualunque sia
l’evoluzione della sfera cosmica, tale volume resterà costante.
Il numero di elementi spaziali che agiscono in ogni momento sulla superficie
unitaria, ovvero la densità di elementi spaziali, sarà :
δs = Ns =Rma x
R
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Se ora, con riferimento alla figura 5, consideriamo una superficie elementare
dS = R2 ⋅ dα , per la indivisibilità di S0 , possiamo porre dS = π ⋅ r0
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e la forza F0 che tale superficie scambia con gli elementi contigui fa nascere
una componente radiale : dFr = F0 ⋅ sen dα
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e, per un limite notevole, si ha : dFr = F0 ⋅ dα
La pressione che gli elementi spaziali distribuiti sulla superficie della sfera
esercitano verso il centro O vale :
P =dFr
dS=
F0⋅ dα
R2 ⋅ dα=
F0
R2
Essendo uguale a zero la pressione esercitata dal " nulla " all’interno
della sfera, sotto l’azione della pressione P essa si contrae.
Lacontrazione produce un aumento della densità superficiale δscon ulteriore
aumento della pressione P , per cui, man mano che diminuisce il valore del
raggio R della sfera, aumenta la velocità radiale di contrazione fino al valore
massimo osservabile Vmax che verrà raggiunto in corrispondenza del valore
minimo osservabile del raggio Rmin .
La riduzione del raggio R,associato alla contrazione della sfera,produce una
riduzione della sua superficie e quindi anche uno scorrimento superficiale di
tutti gli elementi spaziali.
Essendo r0 → 0, è sufficiente che si produca un piccolo spostamento relativo
perchè si abbiano elementi spaziali rotanti equiversi vicini con conseguente
aggregazione, nei modi mostrati in figura 7.
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Quando questo accade, il punto O di contatto rimane fermo nello spazio, per
cui i due elementi spaziali iniziano a ruotare attorno ad esso, se le condizioni
sono tali da consentirlo.
Bisogna infatti tenere presente che, affinchè possa iniziare la rotazione, sarà
necessario che la coppia motrice che tende a far ruotare l’aggregato riesca
a vincere la forza di legame con lo spazio circostante in modo da permettere
lo scorrimento.
La coppia motrice aumenta man mano che cresce il numero di elementi che
si aggregano.
Se indichiamo con N1 il numero di elementi aggregati in corrispondenza del
quale si verifica la rottura di questi legami, lo scorrimento superficiale che si
crea, benchè minimo, rappresenta un confine tra l’aggregato, che chiamiamo
A1 e lo spazio circostante.
Nasce così nello spazio fisico puro iniziale qualcosa che si distingue da esso
anche se è formato dagli stessi elementi spaziali.
Questo fatto è di un’importanza eccezionale, in quanto rappresenta il
primo passo evolutivo verso la materia organizzata.
L’esistenza dell’aggregato A1 nello spazio è quindi legata unicamente
alla sua velocità relativa rispetto agli elementi spaziali circostanti.
Essi soltanto possono dunque rivelarne la presenza.
Qualora tale velocità dovesse, per una ragione qualsiasi, annullarsi, il nuovo
aggregato A1 cesserebbe di esistere.
Questa osservazione ci consente di interpretare la materia presente
nell’universo semplicemente come " manifestazione del moto relativo
tra punti diversi dello spazio fisico ".
A1 = N1 ⋅ S0 rappresenta il primo livello di aggregazione che lo spazio puro
riesce a produrre.
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Quello che più conta è il fatto che la creazione di una velocità di scorrimento
VS0 sul confine costituisce un ostacolo per l’aggiunta di altri elementi spaziali
S0 all’aggregato A1.
Per questa ragione esso è ben definito e tutti gli aggregati A1 che si formano
nello spazio sono perfettamente identici tra loro, anche se essi si trovano ad
una notevole distanza tra loro, senza alcun bisogno di comunicare.
Si assiste così ad una graduale proliferazione di aggregati di questo tipo, sia
destrogiri che levogiri.
Man mano che la loro concentrazione nello spazio aumenta, cresce anche la
probabilità che essi possano incontrarsi.
E’ chiaro che gli aggregati A1 equiversi, con la stessa velocità perifericaVS0 ,
incontrandosi, si aggregano in maniera del tutto simile agli elementi S0.
Esisterà dunque un numero N2 di aggregati A1 in corrispondenza del quale
un nuovo aggregato A2 = N2 ⋅ A1 sarà capace di dare origine ad un nuovo
confine di raggio maggiore, con una velocità di scorrimento VS2 rispetto agli
elementi spaziali circostanti.
Continuando con questo meccanismo, sulla sfera universale, si assisterà alla
formazione di due grandi spazi controrotanti che crescono fino ad occupare
ciascuno un intero emisfero, restando infine separati, idealmente, dalla linea
che individua l’equatore.
In questa fase l’universo si presenta come in figura 8 .
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Facciamo notare che la gradualità deiprocessiutilizzata nell’esposizione non
è reale, ma solo necessaria e utile a noi per la descrizione.
Nella realtà, trattandosi di un universo senza tempo, la sfera universale
non si polarizza gradualmente nel tempo,ma è semplicemente sempre
polarizzata.
Finora abbiamo parlato sempre di velocità di scorrimento relativa del confine
di un aggregato rispetto allo spazio circostante.
Se consideriamo l’intera sfera universale, tale velocità coincide con quella di
scorrimento relativo di un parallelo rispetto all’altro.
La rappresentazione data in figura 8 indica dunque quella di una sfera
cosmica assolutamente ferma, con l’asse polare immobile.
D’altra parte, se non possiamo assumere un sistema di riferimento esterno,
l’operazione di assegnare all’universo una velocità di rotazione su se stesso
sarebbe priva di significato e quindi essa si deve intendere solo dei paralleli
rispetto ai poli , considerati fermi.
Notiamo che, essendo la velocità crescente dall’equatore ai poli, nelle zone
polari (escluso l’asse) la velocità di rotazione raggiungerà il valore massimo
V0 associato alla superficie dell’elemento spaziale S0.
Possiamo dunque concludereche,secondo il meccanismo che èstato
descritto, gli elementi spaziali, con le caratteristiche che abbiamo loro
assegnato, compiono un primo passo evolutivo dando origine ad un
universo polarizzato il quale si contrae con una velocità crescente e
dunque con moto accelerato.
Dato però che il centro della sfera non si trova nell’universo, in quanto è solo
un punto geometrico e dunque non appartiene alla realtà fisica, per noi non è
possibile rilevare direttamente il moto radiale, ma solo quello di scorrimento
che si genera sulla superficie della sfera.
Va infine osservato che, su scala cosmica, i due emisferi universali risultano
assolutamente identici ed indistinguibili, anche nel verso di rotazione, perchè
non si potrà mai realizzare una loro osservazione simultanea sul piano, dove
essi risulterebbero chiaramente controversi.
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I due emisferi continuano la loro evoluzione indipendentemente uno dall’altro,
ma, essendo essi costituiti dagli stessi elementi spaziali, i fenomeni che si
manifestano e gli aggregati che si formano sono assolutamente identici, con
versi di rotazione opposti.
Proprio per questo motivo, se, per qualsiasi ragione , due aggregati identici,
appartenenti a diversi emisferi, vengono a scontrarsi, il " rimescolamento "
degli elementi controversi annulla le caratteristiche proprie degli aggregati,
riproducendo lo " spazio fisico puro iniziale " con elementi S0 controversi
esattamente al 50 % e/o aggregati più piccoli.
In questo senso, i due emisferi si possono definire "spazio" ed "antispazio"
e gli aggregati corrispondenti " materia " ed " antimateria ".
E’ da notare che finora abbiamo trattato l’universo come se la sua esistenza
fosse una realtà oggettiva, definita con precisione fin dalla sua separazione
come puro spazio fisico.
Sappiamo bene che questo non può essere vero, ma abbiamo trascurato di
affrontare l’argomento per necessità di esposizione.
Per esempio,abbiamo prima detto che l’universo non ha una sua origine,ma
esiste da sempre fuori dal tempo e successivamente abbiamo utilizziamo la
velocità relativa come parametro fondamentale per rilevarne sia l’esistenza
che l’evoluzione.
E’chiaro che, se abbiamo un sistema formato da due punti, per poter dire che
essi occupano una posizione variabile nel tempo, e dunque affermare che il
sistema si evolve, è necessario disporre di una memoria per poter registrare
la configurazione assunta in due punti di memoria consecutivi in modo da
determinare la loro velocità relativa con la definizione : V =Δd
Δt
dove Δd rappresenta la differenza tra le distanze memorizzate nei due punti
di memoria consecutivi e Δt è la distanza temporale caratteristica tra le due
registrazioni.
La stessa definizione di velocità implica la presenza di una memoria capace
di organizzare i rilievi.
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Il problema fondamentale diventa dunque capire se possono esistere
nello spazio fisico due punti in moto relativo senza la presenza di un
osservatore e quale significato può avere il moto, in questo caso.
In altre parole, dobbiamo capire che cosa, nell’universo, è realtà fisica e che
cos’altro è invece pura costruzione del cervello.
Per molte ragioni, è per noi estremamente difficile distinguere le due cose e
questo si può facilmente capire se confrontiamo l’universo che "vedremmo",
se fossimo privi di tutti i sensi, con quello che viene percepito nella nostra
condizione attuale.
La conclusioneche si potrebbe trarreda questo sempliceesperimento
è che al di fuori del nostro cervello non esiste assolutamente nulla e
che tutto quello che percepiamo è solo una nostra costruzione teorica.
Se anche si accetta questa drammatica conclusione, ci si deve comunque
chiedere qual’è il " fenomeno elementare " che, se applicato ripetutamente,
porta alla impressionante varietà di eventi percepiti.
Penso che a questa domanda non potremo mai dare una risposta, in
quanto nel tentativo di farlo ci troveremmo costretti a negare anche la
esistenza dello spazio fisico puro e dunque dell’universo primordiale.
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