pasqua, ascoltando quello che gesù ci dice e cercando di · mettere in moto in noi e “a tutto...
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QUARESIMA: un cammino di 40 giorni in cui ci prepariamo alla
Pasqua, ascoltando quello che Gesù ci dice e cercando di
“convertirci”, cioè di cambiare le cose per migliorare la nostra vita.
QUARESIMA: un cammino chi ci conduce alla gioia della
resurrezione!
“Chiamati a diventare pane!”: come cristiani non possiamo limitarci
ad essere seminatori, a far germogliare il grano, l’azione continua
fino a fare il pane per donarlo agli altri.
Non è tutto, dobbiamo diventare pane. Diventare pane significa
mettere in moto in noi e “a tutto campo” (nel mondo) tutto il bene
che abbiamo dentro di noi; significa valorizzare ogni aspetto della
nostra vita nell’umiltà; significa intraprendere la via della carità che si
realizza più che in parole, in gesti concreti, in scelte di vicinanza e
condivisione da compiere anche con fatica e senza fermarci di fronte
alle difficoltà, alle sconfitte, alle cadute.
Quaresima è quindi crescita, fatica, incontro, libertà,
trasformazione
In questa quaresima faremo nostra l’esortazione di Papa Francesco:
”Vi chiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per
un mondo migliore. Cari ragazzi, per favore, non “guardate dal
balcone” la vita, mettetevi in essa. Gesù non è rimasto sul balcone, si
è immerso. Non “guardate dal balcone” la vita, immergetevi in essa
come ha fatto Gesù”.
“ E’ risorto ! ” è l’annuncio di gioia della Pasqua.
“Chiamati a diventare pane!” è l’annuncio di gioia che diffonderemo
a Pasqua.
Buon cammino e buona preparazione!
Don Giacomo
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“Il Signore è risorto”: tutto il messaggio cristiano è
un annuncio di gioia, ma è soprattutto nella
Pasqua che questo annuncio raggiunge la sua
pienezza; non si tratta di qualcosa che dovrà
avvenire, ma di un fatto compiuto.
Dobbiamo accogliere l’annuncio pasquale con
gioia, con apertura del cuore, con semplicità.
Sapere e credere che la vita è più forte della
morte, significa essere certi che ogni gesto di
bene non è mai inutile.
Come le donne sono andate di corsa ad
annunciare ai discepoli la Risurrezione, così
anche noi, con la nostra vita, dobbiamo
testimoniare al mondo che Gesù è Risorto.
Gesù ha vinto la morte, ha compiuto le Scritture,
ha portato agli uomini la salvezza! Il segno del
Natale era una semplice mangiatoia e un fragile
germoglio; oggi siamo invece davanti ad una
tomba vuota e ad una tavola dove Gesù è
diventato Pane di salvezza per noi.
Gesù è risorto! BUONA PASQUA A TUTTI!
Riporto sul cartoncino fucsia questa forma e
scrivo all’interno la parola chiave di questa
settimana che è GIOIA e la porto a Messa.
Utilizzo la stessa forma anche per decorare
la mia tela che mi servirà oggi per partecipa-
re alla grande festa di Gesù Risorto.
Nella tela avvolgo le pagnotte che ho prepa-
rato e le porto in chiesa, dove verranno be-
nedette…..e potrò condividerle con gli altri.
Dal Vangelo secondo Matteo
(28,1-10)
Dopo il sabato, all’alba del pri-
mo giorno della settimana, Ma-
ria di Màgdala e l’altra Maria
andarono a visitare la tomba.
Ed ecco, vi fu un gran terremo-
to. Un angelo del Signore, in-
fatti, sceso dal cielo, si avvici-
nò, rotolò la pietra e si pose a
sedere su di essa. Il suo aspet-
to era come folgore e il suo
vestito bianco come neve. Per lo
spavento che ebbero di lui, le
guardie furono scosse e rima-
sero come morte.
L’angelo disse alle donne: «Voi
non abbiate paura! So che cer-
cate Gesù, il crocifisso. Non è
qui. E risorto, infatti, come
aveva detto; venite, guardate il
luogo dove era stato deposto.
Presto, andate a dire ai suoi
discepoli: “È risorto dai morti,
ed ecco, vi precede in Galilea;
là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho
detto».
Abbandonato in fretta il sepol-
cro con timore e gioia grande,
le donne corsero a dare
l’annuncio ai suoi discepoli.
Ed ecco, Gesù venne loro incon-
tro e disse: «Salute a voi!». Ed
esse si avvicinarono, gli abbrac-
ciarono i piedi e lo adorarono.
Allora Gesù disse loro: «Non
temete; andate ad annunciare
ai miei fratelli che vadano in
Galilea: là mi vedranno».
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Preghiera di un pezzo di Pane
Sono un pezzo di pane, Signore. All'inizio non ero, insieme a tanti miei fratellini, che
un minuscolo piccolo seme. Una mano amica un giorno d'autunno mi nascose nei
solchi profondi di una terra con ferite fresche di aratro. Trascorsi lunghi mesi nell'o-
scurità e nel silenzio, avvolto da zolle umide e amiche. Poi il miracolo: quella che ero
convinto fosse una tomba, si rivelò essere culla. Divenni prima un germoglio vestito di
un tenero verde.
Che emozione quel giorno che vidi la luce e provai la prima volta il caldo e dolce bacio
del sole. Anche la pioggia mi fu amica e con quanta ansia aspettavo il suo dono che
tu mai mi facesti mancare.
Venne l'estate e mi trovò, vestito di giallo, a danzare felice e cullato dal vento nelle
notti bagnate di luna. Un'avventura stupenda! Il mistero della vita che vince la morte!
Una piccola risurrezione! Nessun sgomento quando mi trovai con i miei fratelli stretto
in un covone, dopo il taglio di una falce affilata. Mi ritrovai subito dopo in un sacco di
farina, bianco come la neve.
Mani esperte e sapienti fecero di noi dei pani,mentre il fuoco già crepitava nel forno.
Eravamo caldi, invitanti, croccanti. La nostra meta era ormai vicina. Si compiva per
noi una lunga e trepida attesa. Finalmente! Su tovaglie candide ogni giorno portiamo
un tocco di festa regalando sorrisi a piccoli e grandi.
Qualcuno lo sa, Signore, e quando mi guarda e mi prende, pensa, non distratto ma
sorpreso e commosso, al piccolo e immenso
mondo che in me è come nascosto e riassunto.
Con me ed in me c'è la terra ed il cielo, c’è l'ac-
qua ed il sole, c’è il fuoco, il sudore della fronte
dell'uomo e, soprattutto, ci sei tu, Signore. Con
la mia presenza vuoi parlarci di tenerezze e
premure infinite. Se io manco, Signore, triste è
il focolare, freddo e vuoto. Senza di me non c’è
gioia in casa. Non spezzato e spartito, trionfa
solitudine e vince egoismo. Condiviso, rinsaldo
amicizia ed affetto tra i commensali. Segno
grande di convivialità, do sapore e gusto allo
spirito e al corpo. E che dire di quella Cena, l'Ul-
tima, quando la mensa su cui mi trovavo diven-
ne altare ed io il suo Corpo, come sarà fino alla
fine dei tempi? Segno di un mistero di Presenza
e di Dono...
IL SIMBOLO DI OGGI:
IL PANE
3
Il nostro compagno di viaggio:
Il seminatore Il seminatore, che ci ha guidato
nel cammino di Avvento verso il
Natale, si mette vicino a noi
come compagno di viaggio
anche per la Quaresima, il
periodo che ci prepara alla
Pasqua.
Il lavoro del seminatore non si
poteva certo bloccare con la
semina e i primi germogli.
È infatti nel cammino della
Quaresima che il seminatore ci
mostra come la sua azione prosegua fino a fare il pane e condividerlo
con gli altri.
In questo cammino impareremo cosa significhi la condivisione fino a
diventare pane per gli altri, così come Gesù che si è donato per la vita
di noi tutti nell’Eucarestia, nell’Ultima Cena.
Come ci ricorda papa Francesco, chi partecipa all’Eucarestia lo fa
“perché si riconosce sempre bisognoso di essere accolto e rigenerato
dalla misericordia di Dio, fatta carne in Gesù Cristo. Se ognuno di noi
non si sente bisognoso della misericordia di Dio, non si sente peccatore,
è meglio che non vada a Messa! Noi andiamo a Messa perché siamo
peccatori e vogliamo ricevere il perdono di Dio, partecipare alla
redenzione di Gesù, al suo perdono”.
Il sentirci sempre bisognosi del perdono, della misericordia, è uno degli
indizi del nostro vivere l’Eucarestia. Se portiamo nel cuore questo
sentimento, in modo particolare in questo tempo di conversione,
potremo giungere a valorizzare il bene che abbiamo dentro noi
nell’umiltà e a farci pane spezzato per la vita degli altri.
4
LA MATURAZIONE
La parola del seminatore
“Era il tempo a determinare le sorti del rac-
colto; i pericoli erano soprattutto le improvvi-
se gelate autunnali, le nevicate a primavera
inoltrata, le abbondanti piogge o le prolunga-
te siccità estive. Allora si facevano le rogazio-
ni. Ci si trovava alle quattro del mattino, nei
giorni prima dell’ Ascensione e si percorreva-
no le stradine di campagna fermandosi in luoghi prestabiliti, affinché
il sacerdote benedicesse la terra e si cantavano le litanie dei Santi.
Ecco che a stagion buona sotto l’influsso dei raggi la pianta si svilup-
pa fino a maturare all’inizio dell’estate”.
In primavera, allorché le pianticelle cominciavano a crescere, l’uomo
interveniva con la sarchiatura consistente nel rompere la terra induri-
ta con una piccola zappa e
nell’estirpare con le mani le erbe infe-
stanti (cuscuta o attaccamani, viluc-
chio, gettaione, coda cavallina, la
cantarèla). Generalmente per San
Marco si era già formata la spiga.
Il contadino non potendo porre rime-
dio ai capricci del tempo, ricorreva
con fede all’aiuto divino, con pubbli-
che processioni di supplica soprattut-
to per i frutti della terra e il lavoro
dell’uomo.
IL SIMBOLO DI OGGI:
LA ZAPPA
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Quel pomeriggio preparò la torta e la cioccolata. Quando udì il solito vociare dei
bambini, guardò fuori della finestra. Stavano arrivando, ridendo e chiacchieran-
do come al solito. E come sempre l'ultimo era Carlo. Da solo.
Entrò in casa quasi di corsa e buttò lo zainetto su una sedia. Non aveva niente in
mano e la madre si aspettava che scoppiasse in lacrime. «La mamma ti ha pre-
parato la torta e la cioccolata», disse, con un nodo in gola. Ma lui quasi non sentì
le sue parole. Passò oltre, il volto acceso, dicendo forte: «Neanche uno. Neanche
uno!» .
La madre lo guardò incerta.
E il bambino aggiunse: «Non ne ho dimenticato neanche uno, neanche uno».
«Questa è la volontà del Padre che mi ha mandato: che io non perda nessuno di
quelli che mi ha dato» (Giovanni 6,39).
Neanche uno.
Un soldato tornava a casa dalla guerra. Avvicinandosi al suo villaggio, sentiva il
cuore pulsargli in petto come quello di un cerbiatto impaurito: avrebbe rivisto la
sua casa? Avrebbe potuto riabbracciare padre e madre?
La sua casa gli apparve d'improvviso, velata dalle lacrime e dal tempo. E i genito-
ri, seduti sulla soglia uno accanto all'altro, gli parvero come bambini sperduti,
disposti a un'attesa infinita.
Quando si videro, si corsero incontro come fanno le foglie d'autunno, quando un
turbine di vento le avvince in una folle danza. Ed il cielo sopra di loro era di un
indicibile azzurro.
Quando, dopo una pioggia di lacrime e sorrisi, entrarono nel piccolo cortile do-
mestico, il giovane vide con sorpresa che, accanto all'orto, era sorta una piccola
pagoda fatta con minuscoli sassi di fiume.
"L'avete fatta voi?", chiese il soldato ai genitori.
"Sì", risposero i due, arrossendo un poco, "un sasso per ogni giorno della tua as-
senza".
"Ma io", osservò il giovane, "sono stato assente soltanto alcuni anni, e questi
sassi sono migliaia di migliaia".
"Il tempo dell'attesa è come il tempo dell'amore: infinito".
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"Non aver paura. Rifugiati qui sotto la giacca. La mia paglia è asciutta e calda".
Così il cardellino trovò una casa nel cuore di paglia dello spaventapasseri. Resta-
va il problema del cibo. Era sempre più difficile per il cardellino trovare bacche o
semi. Un giorno in cui tutto rabbrividiva sotto il velo gelido della brina,
lo spaventapasseri disse dolcemente al cardellino.
"Cardellino, mangia i miei denti: sono ottimi granelli di mais".
"Ma tu resterai senza bocca".
"Sembrerò molto più saggio".
Lo spaventapasseri rimase senza bocca, ma era contento che il suo piccolo ami-
co vivesse. E gli sorrideva con gli occhi di noce.
Dopo qualche giorno fu la volta del naso di carota.
"Mangialo. E' ricco di vitamine", diceva lo spaventapasseri al cardellino.
Toccò poi alle noci che servivano da occhi. "Mi basteranno i tuoi racconti", diceva
lui.
Infine lo spaventapasseri offrì al cardellino anche la zucca che gli faceva da te-
sta.
Quando arrivò la primavera, lo spaventapasseri non c'era più. Ma il cardellino
era vivo e spiccò il volo nel cielo azzurro.
"Mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo
spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: Prendete e mangiate; questo è il mio cor-
po" (Matteo 26,26).
Gli auguri Bruno Ferrero, Il segreto dei pesci rossi
Il piccolo Carlo era un bambino timido e tranquillo. Un giorno arrivò a casa e dis-
se a sua madre che avrebbe voluto preparare una cartolina di San Valentino per
tutti i suoi compagni di classe.
La madre istintivamente esclamò: «Ma no! Non è il caso!».
Ogni giorno osservava i bambini quando tornavano a casa a piedi da scuola. Il
suo Carlo arrancava sempre per ultimo. Gli altri ridevano e formavano un'allegra
e rumorosa combriccola. Ma Carlo non faceva mai parte del gruppo. La madre
decise di aiutare il figlio e acquistò cartoncini e pennarelli. Per tre settimane,
sera dopo sera, Carlo illustrò meticolosamente trentacinque cartoline di San Va-
lentino.
Giunse il giorno di San Valentino e Carlo era fuori di sé per l'emozione. Le acca-
tastò con cura, le mise nello zainetto e corse fuori. La madre decise di cucinargli
il suo dolce preferito e farglielo trovare con una tazza di cioccolata calda per
quando sarebbe tornato a casa da scuola. Sapeva che sarebbe rimasto deluso e
forse in questo modo gli avrebbe alleviato il dolore. Avrebbe dato una cartolina a
tutti, ma lui non ne avrebbe ricevuta nemmeno una.
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Dal Vangelo secondo Matteo (4,1-11)
In quel tempo, Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”». Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vàttene, satana! Sta scritto infatti: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano.
6
Questa prima domenica di Quaresima ci parla delle tentazioni di Gesù nel deserto, dove Lui si ritira in preghiera. Le tentazioni costituiscono uno dei momenti più umilianti della vita di Gesù: il demonio lo prende per la gola convinto di sopraffarlo, ma Lui non cede, dimostra la sua forza. Anche noi dobbiamo dimostrare la nostra forza e la nostra crescita facendo delle scelte. Solo così possiamo resistere alle tentazioni di ogni giorno: il potere, l’essere e l’avere. Se siamo liberi da queste tentazioni, capiamo che non basta il pane, cioè quello che abbiamo, per la nostra felicità e per quella degli altri: tutti noi dobbiamo condividere la nostra vita con gli altri, sostenendoci reciprocamente nelle difficoltà. Gesù mi indica la strada per iniziare il mio percorso di Quaresima, invitandomi a vivere con semplicità e ad evitare le cose inutili.
Riporto sul cartoncino di colore ver-
de questa forma e scrivo all’interno
la parola chiave di questa settimana
che è CRESCITA e la porto a Messa.
Utilizzo la stessa forma anche per
decorare la mia tela che mi servirà il
giorno di Pasqua per partecipare alla
grande festa di Gesù Risorto.
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Piccole storie per riflettere nel Triduo Pasquale
Lo spaventapasseri Bruno Ferrero, Cerchi nell'acqua
Una volta un cardellino fu ferito a un'ala da un cacciatore. Per qualche tempo riu-
scì a sopravvivere con quello che trovava per terra. Poi, terribile e gelido, arrivò
l'inverno.
Un freddo mattino, cercando qualcosa da mettere nel becco, il cardellino si posò
su uno spaventapasseri. Era uno spaventapasseri molto distinto, grande amico di
gazze, cornacchie e volatili vari.
Aveva il corpo di paglia infagottato in un vecchio abito da cerimonia; la testa era
una grossa zucca arancione; i denti erano fatti con granelli di mais; per naso ave-
va una carota e due noci per occhi.
"Che ti capita, cardellino?", chiese lo spaventapasseri, gentile come sempre.
"Va male. - sospirò il cardellino - Il freddo mi sta uccidendo e non ho un rifugio.
Per non parlare del cibo. Penso che non rivedrò la primavera".
Il triduo Pasquale, cioè i tre giorni più importanti dell’anno liturgico
cristiano, ricordano gli avvenimenti della passione, morte e risurre-
zione di Gesù.
GIOVEDI’ SANTO E’
CONDIVISIONE
DONO VENERDI’ SANTO E’
ATTESA SABATO SANTO E’
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Riporto sul cartoncino
di colore rosso questa
forma e scr i vo
all’interno la parola
chiave di questa setti-
mana che è ACCO-
GLIENZA e la porto a
Messa.
Utilizzo la stessa for-
ma anche per decorare
la mia tela che mi ser-
virà il giorno di Pasqua
per partecipare alla
grande festa di Gesù
Risorto.
A Messa riceverò il
lievito da usare per
fare il pane per il gior-
no di Pasqua.
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LA MIETITURA
La parola del seminatore:
“Quando le belle spighe dorate coprivano i campi era
il tempo della mietitura. Si cominciava il 26 luglio,
giorno di S. Anna, in anni eccezionali si anticipava ai
primi di luglio. Tutta la famiglia contadina al completo
era in quei giorni di mietitura impegnata sul campo.
La fatica era tanta e nella calura di quelle giornate
estive la sete si faceva sentire. Ogni tanto si rialzava-
no e si tergevano il sudore e la polvere dalla fronte. Allora le giovani ragazze
di casa, le quali avevano il compito di portare da bere ai mietitori, si affretta-
vano con il fiasco del vino o una boccia d’acqua e soddisfacevano la sete di
tutti, mettendo poi il vino all’ombra. Anche i ragazzi si davano da fare con i
piccoli falcini.
La mietitura del grano, nel periodo estivo era tra i lavori agricoli che richiede-
vano grande sacrificio ai contadini sia per l'atto manuale del tagliare le piante
in posizione china sia per il grande caldo che di solito l'accompagnava. Questa
operazione prevedeva il taglio del grano, la sua provvisoria sistemazione nel
campo e infine il trasporto nell'aia. Il lavoro aveva inizio all’alba poiché la ru-
giada manteneva le spighe umide ostacolando la caduta dei grani. Piegato
verso la terra, il contadino afferrava con la
sinistra una manciata di pianticelle di grano e
le tagliava quasi a terra, portandole a sé.
Quando ne aveva una certa quantità le
legava usando come legaccio altre pianti-
celle e così si aveva il covone che veniva
lasciato sul posto. Dieci covoni venivano
poi legati a formare la decima, lasciati
nel campo a seccare, mantenuti in piedi
dalla base allargata a cerchio. Una volta
completamente essiccati si portavano i
covoni nel fienile.
IL SIMBOLO DI OGGI:
IL FALCETTO
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Dal Vangelo secondo Matteo (21,1-11) Quando furono vicini a Gerusalemme e
giunsero presso Bètfage, verso il mon-
te degli Ulivi, Gesù mandò due disce-
poli, dicendo loro: "Andate nel villaggio
di fronte a voi e subito troverete
un'asina, legata, e con essa un puledro.
Slegateli e conduceteli da me. E se
qualcuno vi dirà qualcosa, rispondete:
"Il Signore ne ha bisogno, ma li riman-
derà indietro subito". Ora questo av-
venne perché si compisse ciò che era
stato detto per mezzo del profeta:
Dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un'asina e su un puledro, figlio di una bestia da so-ma.
I discepoli andarono e fecero quello
che aveva ordinato loro Gesù: condus-
sero l'asina e il puledro, misero su di
essi i mantelli ed egli vi si pose a sede-
re. La folla, numerosissima, stese i
propri mantelli sulla strada, mentre
altri tagliavano rami dagli alberi e li
stendevano sulla strada.
La folla che lo precedeva e quella che
lo seguiva, gridava: "Osanna al figlio di
Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nel più alto dei cieli!".
Nel Vangelo del giorno della
benedizione delle Palme ci
sono due momenti: il primo, di
festa, è seguito dal secondo
che è il racconto della
Passione.
Gesù vuole fare festa e
manda due discepoli ad
organizzarla.
Entra in Gerusalemme in un
modo inusuale per una
persona importante: seduto
su un’asina. Non entra perciò
in modo trionfale, ma con
l’umiltà dell’amore e del
servizio. Questo è un giorno
grande per l’umanità: si sta
per compiere il mistero della
nostra salvezza. La gente
riconosce Gesù come il
Messia atteso e dimostra
grande accoglienza nei suoi
confronti: lo aspetta agitando
le Palme, stendendo i mantelli
sulla strada, cantando:
”Osanna nel più alto dei
cieli”. Gesù è entrato in
Gerusalemme e oggi vuole
entrare nelle nostre famiglie e
nelle nostre comunità per
farci uscire dalle ingiustizie,
dalle paure, dalle chiusure,
così da vivere la gioia
dell’incontro con il Risorto.
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LA PANIFICAZIONE
La parola del seminatore:
“Era una festa quando si panificava e a chiunque
varcasse la soglia di casa, mentre si sfornava, il pa-
ne veniva offerto in segno di ospitalità. Rifiutarlo era
una vera offesa, infatti vi era il detto che solo le stre-
ghe rifiutano il pane. Con lo stesso impasto del pane
venivano preparate, alla fine, forme particolari atte-
se con gioia dai bambini: bambole, galletti, cavallini,
fiori…”.
La famiglia si dedicava alla preparazione del pane in primavera e in autunno,
periodi in cui si trovava ad essere meno impegnata nei lavori agricoli. Si cer-
cava sempre di scegliere i giorni in cui la luna era in fase calante, perché il
pane si sarebbe conservato più
a lungo e una volta secco sa-
rebbe risultato friabile. Le fami-
glie che usufruivano di uno
stesso forno si accordavano in
modo da preparare il pane per
tutte nel giro di pochi giorni
continuativi; evitavano sprechi
di legna e sfruttavano l’aiuto
reciproco, mantenendo vivo il
senso della comunità.
I SIMBOLI DI OGGI:
L’IMPASTO E LA MADIA
9
Dal Vangelo secondo Matteo (17,1-9) In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo
fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu
trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue
vesti divennero candide come la luce. Ed ecco apparvero loro
Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi
essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per
Mosè e una per Elia». Egli stava ancora parlando, quando una nube
luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube
che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio
compiacimento. Ascoltatelo».
All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono
presi da grande timore. Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse:
«Alzatevi e non temete». Alzando gli occhi non videro nessuno, se
non Gesù solo.
Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a
nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia
risorto dai morti».
10
Nella liturgia di oggi troviamo Gesù che sale sul monte con
alcuni discepoli e lì, lontano da tutti, Dio lo trasfigura e ci indica
la strada della salvezza: ascoltare Gesù!
I due apostoli ascoltano questo messaggio che cambia la loro
vita. Tutti abbiamo bisogno di
“trasfigurarci” alla luce di quel Gesù che chiede di seguirlo. È
necessario credere che accogliere la Parola di Gesù, che ci
ama, significa incontrarlo, decidere di stare con Lui. Questo ci
deve cambiare la vita. Chiede fede e impegno, riflessione e
tanta fatica. Gesù ci fa capire che c’è bisogno della Sua luce
per saper amare e ascoltare.
Se incontriamo veramente Gesù, che trasforma la nostra vita,
siamo nella gioia.
Questa gioia non possiamo tenerla solo per noi, ma dobbiamo
portarla anche agli altri.
Riporto sul cartoncino
di colore giallo questa
forma e scrivo
all’interno la parola
chiave di questa setti-
mana che è FATICA e la
porto a Messa.
Utilizzo la stessa forma
anche per decorare la
mia tela che mi servirà
il giorno di Pasqua per
partecipare alla grande
festa di Gesù Risorto.
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22
In questa domenica assistiamo alla Risurrezione di Lazzaro,
l’ultimo miracolo, quello che porterà i giudei alla decisione di
uccidere Gesù. Il dono della vita all’amico Lazzaro sta a
significare che la missione di Cristo consiste nel dare la propria
vita al mondo.
Vero uomo come noi, Gesù piange l’amico Lazzaro e lo
richiama dal sepolcro: assistiamo a una trasformazione, al
passaggio dalla morte alla vita.
Quello che avviene sulla tomba di Lazzaro è un segno, è un
miracolo che Gesù continua ad operare anche oggi, anche
per noi, fin dal giorno in cui, nel Battesimo, ci ha chiamati dalla
morte alla vita, dalle tenebre alla luce.
Gesù ridona la vita all’amico Lazzaro: lo fa perché gli vuole
bene e perché i suoi discepoli capiscano il messaggio “Io sono
la vita”. Sì, Gesù è la Vita, la Sua Parola è vita e salvezza.
Riporto sul cartoncino di
colore azzurro questa
f o r m a e s c r i v o
all’interno la parola chia-
ve di questa settimana
che è TRASFORMA-
ZIONE e la porto a
Messa.
Utilizzo la stessa forma
anche per decorare la
mia tela che mi servirà il
giorno di Pasqua per par-
tecipare alla grande fe-
sta di Gesù Risorto.
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12
LA TREBBIATURA
La parola del seminatore:
”E ora bisognava staccare i chicchi dalla spiga, lo si
faceva nel fienile, si adagiavano i covoni di grano sul
pavimento e con il correggiato si batteva il grano. Oc-
correva una certa forza e i movimenti dovevano esse-
re sincronizzati con quelli dell’intero gruppo di lavoro
per evitare di mettere in pericolo se stessi e gli altri.
L’azione avveniva ritmicamente: una schiera solleva-
va il correggiato e l’altra lo abbassava e sotto i colpi i
chicchi schizzavano fuori dalle spighe. Questo ritmico battere risuonava nel
fienile, nel paese e si udiva anche da lontano. Si terminava la giornata con le
ossa rotte.”
La trebbiatura coinvolgeva non solo la famiglia direttamente interessata, ma
molte altre persone. Erano soprattutto i contadini dei poderi vicini, i quali, nel
sistema del reciproco scambio, facevano
fronte a quella giornata dove si richiedeva-
no un grande numero di braccia. Lo scam-
bio dei contadini era semplicemente
l’aiuto che si davano l’un l’altro: io vengo a
trebbiare da te e tu vieni a trebbiare da
me. Tutti e due risparmiavano e facevano
fede all’impegno che loro spettava nella
consuetudine. Per molti contadini, quindi,
le giornate di trebbiatura si moltiplicavano.
Era una giornata particolare dove regnava
l’armonia, dove i lavoranti intuivano
l’importanza dell’avvenimento e si finiva a
tavola con l’allegria che traboccava.
IL SIMBOLO DI OGGI:
IL CORREGGIATO
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Dal Vangelo secondo Giovanni (11,3.5.17.32-35.39-45)
Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, colui che tu
ami è malato". Gesù amava Marta e sua sorella e Lazzaro. Quando
Gesù arrivò, trovò Lazzaro che già da quattro giorni era nel sepol-
cro.
Maria appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli: "Signore, se tu
fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!". Gesù allora, quan-
do la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con
lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: "Dove lo
avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!". Gesù scoppiò in
pianto.
Allora Gesù, ancora una volta commosso profondamente, si recò al
sepolcro: era una grotta e contro di essa era posta una pietra. Disse
Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto:
"Signore, manda già cattivo odore: è lì da quattro giorni". Le disse
Gesù: "Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?".
Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti
rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre
ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché cre-
dano che tu mi hai mandato".
Detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!". Il morto
uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un suda-
rio. Gesù disse loro: "Liberàtelo e lasciàtelo andare". Molti dei Giu-
dei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che egli aveva com-
piuto, credettero in lui.
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LA MACINATURA
La parola del seminatore:
“Il mugnaio era difficile confonderlo con altri lavora-
tori perché stando tutto il giorno a contatto con la
farina aveva sempre il viso e le mani ricoperte da
un velo bianco. Il mestiere del mugnaio era traman-
dato di padre in figlio, tutte famiglie dei dintorni gli
affidavano il loro grano e per questo era importante
che fosse onesto e bravo. Il lavoro era duro, spesso
sia di giorno che di notte in un ambiente freddo e umido. Il mulino era un
crocevia di persone, di incontri, di pettegolezzi e spesso il mugnaio
l’orchestratore di tanti discorsi.
Una volta ottenuto il grano pulito lo si portava al mulino per ricavarne farina
per pane e pasta. La macina era un attrezzo particolare e fondamentale. Il
grano veniva schiacciato da due pietre di granito in modo che non si surri-
scaldasse e la farina non subisse alterazioni. Infatti queste pietre avevano
un lento funzionamento che garantiva una
bontà singolare alla farina. Queste pietre
non erano scelte a caso. I mugnai erano
veri e propri artisti del mestiere, erano abili
artigiani che con martelli appositi, periodi-
camente, modificavano e praticavano degli
incavi sulla pietra orizzontale della macina.
Quest’incavi erano praticati al fine di otte-
nere una perfetta funzionalità della macina
e in modo da ottenere un prodotto farinoso
costantemente omogeneo. Il macinato ve-
niva messo nel grande setaccio che divide-
va la farina dalla crusca. Una volta setac-
ciata la farina veniva messa nei sacchi. .
IL SIMBOLO DI OGGI:
LA MACINA
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Dal Vangelo secondo Giovanni (4,5-15) In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata
Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo
figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato
per il viaggio, sedeva presso il pozzo.
Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad
attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli
erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna
samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere
a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non
hanno rapporti con i Samaritani.
Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui
che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti
avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un
secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua
viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci
diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo
sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in
eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente
d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la
donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non
continui a venire qui ad attingere acqua».
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Oggi Gesù presso il pozzo incontra la donna di Samaria.
Apparentemente è lui il viandante stanco ed assetato che
chiede aiuto e la Samaritana, con generosità, lo aiuta.
Invece questo è un incontro molto più profondo, difficile non
solamente da capire, ma molto più da vivere, da accogliere
per cambiare.
L’iniziativa di Gesù di parlare con la samaritana, chiedendole da
bere, ci fa capire l’importanza di creare relazioni con gli altri,
senza pregiudizi o condizionamenti.
Gesù rivolge la parola a una donna, per di più samaritana:
anche noi dobbiamo aver sete di Lui e lasciare che la Sua
acqua, cioè la Sua vita, disseti ciò che noi siamo. Quest’acqua
che riceviamo deve diventare sorgente per dissetare altri.
Questo ci fa capire che dobbiamo farci poveri nel chiedere e
nel saper ricevere dagli altri, anche da chi pensiamo che non ci
possa dare niente, e anche condividere questi doni.
Riporto sul cartoncino di
colore turchese questa
forma e scrivo all’interno la
parola chiave di questa set-
timana che è INCONTRO e
la porto a Messa.
Utilizzo la stessa forma
anche per decorare la mia
tela che mi servirà il giorno
di Pasqua per partecipare
alla grande festa di Gesù
Risorto.
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18
Oggi il messaggio di salvezza arriva a noi attraverso il gesto di
Gesù che può aprirci gli occhi, come ha fatto col cieco nato,
ma bisogna che noi siamo ben disposti. A volte rimaniamo
arroccati sulle nostre posizioni, senza mai metterci in discussione;
ci è più comodo rimanere nel mondo che ci siamo costruiti a
nostra misura.
La nostra conversione costa e la luce mette in evidenza tutte le
cose nascoste, che spesso non vogliamo dire a nessuno e che
neppure noi vogliamo vedere. È Gesù che, come al cieco, offre
la vista a tutti, ci dà la possibilità di incontrare Dio e la libertà da
tutto quello che ci ostacola nel vedere e nell’entrare nella luce.
C’è bisogno che ancora oggi il Signore sputi in terra e, togliendo
il fango dai nostri occhi, faccia cadere tutto ciò che ci
impedisce di vederlo.
Riporto sul cartoncino di colore
rosa questa forma e scrivo all’interno
la parola chiave di questa settimana
che è LIBERTA’ e la porto a Messa
Utilizzo la stessa forma anche per
decorare la mia tela che mi servirà il
giorno di Pasqua per partecipare alla
grande festa di Gesù Risorto.
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LA VAGLIATURA
La parola del seminatore:
”Il grano ammucchiato durante la battitura a mano
doveva poi essere pulito, eliminando i sassolini e i
frammenti di paglia e di spiga con i setacci . Venivano
usati prima quelli a trama larga e via via quelli ad
intreccio più fitto. Si crivellava a forza di braccia,
scuotendo l’arnese pieno di cereale”.
Successivamente si separavano i chicchi dal loro involucro, la pula, con la
vagliatura effettuata manualmente con il vaglio. Questa operazione richiedeva
di essere fatta all’aperto in una giornata particolarmente ventosa, in quanto
occorreva afferrare con le due mani il vaglio, appoggiarlo al basso ventre e
sollevarlo rapidamente per
gettare verso l’alto il contenuto e
raccoglierlo durante la caduta,
mentre il vento ne asportava la
pula. Tale modo di vagliare, che
spesso sfruttava la corrente
d’aria creata tra due abitazioni,
r i c h i e d e v a p e r s o n e d i
eccezionale prestanza fisica,
però la fatica era compensata
dalla pulizia quasi totale del
prodotto. Il grano veniva poi
passato, agitandolo avanti e
indietro nei setacci dalla trama
via via più fine.
IL SIMBOLO DI OGGI:
IL VAGLIO
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Dal Vangelo secondo Giovanni (9,1.6-9.13-17.34-38) In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita;
sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli
occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che
significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora
i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un
mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere
l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno
che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il
giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.
Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato
la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi
sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano:
«Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri
invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo
genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco:
«Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?».
Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei
peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse:
«Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore,
perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che
parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi
a lui.