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Anno Accademico 2006 - 2007
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI MAGNA GRÆCIA DI CATANZARO
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
CORSO DI LAUREA INTERATENEO IN INGEGNERIA INFORMATICA E BIOMEDICA
TESI DI LAUREA
Ottimizzazione sistema di lettura dosimetro per IORT
Relatore
Chiar.mo Prof. Ernesto Lamanna
Correlatore
Chiar.mo Prof. Antonino S. Fiorillo
Candidato
Antonio Trapasso
Matricola: 80414
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Indice
Introduzione 1
Capitolo 1
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
1.1 Che cos’è la IORT 3
1.2 La IORT dal punto di vista tecnico-medico 7
1.3 Controllo qualità-stabilità 8
1.4 Parametri decisionali per la terapia 9
1.5 Test con dosimetri standard 11
1.6 Realizzazione dosimetro per IORT 12
1.7 Simulazione Monte Carlo 14
Capitolo 2
Soluzione hardware e software per sistema
d’acquisizione dati
2.1 Criteri nella scelta dell’hardware 17
2.2 Il controllore PXI-8187 18
2.3 Dispositivo acquisizione dati (DAQ) PXI-6132 S 19
2.4 Blocco connettore NI BNC-2110 20
2.5 Digitalizzatore NI PXI-5112 22
2.5.1 Il software per Digitalizzatore NI PXI-5112 23
2.6 Utilizzo di LabVIEW 24
2.6.1 Utilizzo dei VI 26
Capitolo 3
Gestione del sistema d’acquisizione dati
3.1 Il DAQ 28
3.2 Verifica sperimentale 32
3.3.1 Strumento virtuale per segnale M-Clock 35
3.3.2 Strumento virtuale per segnale M-Reset 36
3.3.3 Strumento virtuale per l’acquisizione dei segnali
Trigger, Video e L-eos
37
Capitolo 4
Realizzazione setup e risultati test in laboratorio
4.1 Fibre ottiche scintillanti 40
4.2 Array di fotodiodi hamamatsu S8865 42
4.3 Circuto driver Hamamatsu C9118/C9118-01 44
4.4 Realizzazione del Setup Sperimentale 48
4.5 Laser utilizzato per i test 50
4.6 Test in laboratorio 51
4.7 Studio del setup con sorgente luminosa 53
Conclusioni 57
Bibliografia 59
1
Introduzione
La Radioterapia è una branca clinica che fa uso di radiazioni ionizzanti a scopo
curativo, principalmente indicata per il trattamento di neoplasie. La radioterapia
intraoperatoria IORT (Intra Operative Radiation Therapy) è una particolare tecnica
radioterapica che permette di erogare una dose unica di radiazioni, direttamente sul
letto tumorale, subito dopo l’asportazione del tumore, nel corso dell’intervento
chirurgico.
La possibilità di somministrare in un’unica frazione dosi elevate di radioterapia porta
evidenti vantaggi ai pazienti, difatti l’effetto di una dose singola di elevato dosaggio
ha una efficacia radiobiologica sicuramente maggiore della stessa dose frazionata in
modo convenzionale. Dati clinici attendibili confermano la grande efficacia di questa
tecnica nel controllo locale delle neoplasie, soprattutto nel trattamento di tumori
localmente avanzati. In questi ultimi anni la possibilità di avere degli acceleratori
lineari mobili e miniaturizzati, che producono elettroni di energia compresa tra 3 e 12
MeV con adeguati requisiti di radioprotezione, ne ha consentito l’installazione in sala
operatoria e la semplificazione delle procedure operative.
Nei trattamenti IORT, l’impiego della dosimetria in vivo (controllo della dose
effettivamente erogata al paziente) risulta molto limitato per motivi essenzialmente
pratici e per la scarsità di rivelatori adeguati. Al momento attuale nel caso degli
acceleratori dedicati, risulta del tutto impossibile seguire le raccomandazioni
riportate nelle linee guida, in quanto l’elevato rateo di dose in IORT (3-7 cGy/pulse)
fa saturare le camere a ionizzazione comunemente utilizzate nella radioterapia
convenzionale (negli acceleratori convenzionali si usano tipicamente 0.01
cGy/pulse). La IORT richiede determinazioni dosimetriche particolari e talvolta
differenti rispetto a quelle necessarie per l’esecuzione dei trattamenti frazionati con
fasci esterni. Il motivo principale risiede nel fatto che viene somministrata una
singola dose elevata ad un volume bersaglio, la cui estensione e profondità sono
determinati direttamente in sala operatoria. In tale sede vengono pertanto scelti i
parametri più idonei ad assicurare la prescrizione terapeutica. Poiché si dispone di
poco tempo per effettuare i calcoli dosimetrici è necessario che tutti i dati fisici e
2
geometrici, per ogni tipo di applicatore ed energia impiegati, siano disponibili in un
formato di rapida consultazione e facile utilizzo. Tuttavia, come riportato nel
rapporto Istisan, esistono motivazioni specifiche che rendono consigliabile effettuare
la dosimetria in vivo anche in ambito IORT.
Queste specifiche problematiche necessitano di opportune soluzioni per la misura
della dose, perciò la ricerca di metodiche affidabili di dosimetria in vivo rappresenta
uno sforzo da affrontare nell’immediato futuro. La proposta sperimentale consiste
nella realizzazione di un dosimetro per fasci di elettroni di energia 3-12 MeV da
usare come dosimetro assoluto. Il dosimetro si può schematizzare come un fantoccio
(scatola) composto da diversi piani di lettura (attivi) sovrapposti tra i quali è presente
uno spessore di materiale acqua-equivalente (che simula bene il tessuto umano) con
densità prossima ad 1 g/cc (densità dell’acqua), che si comporta come piano passivo.
Si dovrà realizzare il sistema di lettura per il dosimetro dedicato alla radioterapia
intraoperatoria.
3
Capitolo 1
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
1.1 Che cos’è la IORT
La radioterapia intraoperatoria IORT (Intra Operative Radiation Therapy) è
una particolare tecnica radioterapica che permette di erogare una dose unica di
radiazioni direttamente sul letto tumorale subito dopo l’asportazione del tumore, nel
corso dell’intervento chirurgico. Essa può essere impiegata come unico trattamento
radiante esclusivo oppure venire associata a una successiva radioterapia con fasci
esterni. La possibilità di somministrare in un’unica frazione dosi elevate di
radioterapia porta evidenti vantaggi ai pazienti e alle strutture, come il controllo
visivo diretto del volume bersaglio, la possibilità di proteggere i tessuti sani mobili
spostandoli dalla traiettoria del fascio radiante, un’elevata precisione della
irradiazione, una riduzione della durata del trattamento fino alla sola IORT, con
conseguente eliminazione delle 5-6 settimane di irradiazione esterna e quindi
riduzione delle liste di attesa. Inoltre, l’effetto di una dose singola di elevato
dosaggio ha una efficacia radiobiologica sicuramente maggiore della stessa dose
frazionata in modo convenzionale. Dati clinici attendibili confermano la grande
efficacia di questa tecnica nel controllo locale delle neoplasie, soprattutto nel
trattamento di tumori localmente avanzati. Per tali tumori, un trattamento
radioterapico con fasci esterni spesso non risulta soddisfacente in quanto la
prescrizione della dose è condizionata dalla presenza di organi a rischio nel volume
di trattamento.
I moderni acceleratori lineari dedicati alla IORT sono concepiti per essere utilizzati
direttamente in sala operatoria. L’acceleratore è montato su un braccio mobile che
provvede alla movimentazione della testa radiante.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
4
Per collimare il fascio di elettroni sul paziente, il sistema è corredato di applicatori in
perspex, di sezione circolare di diverso diametro e diversi angoli di taglio
(collimatori).
La figura 1.1 riporta i tre sistemi commerciali attualmente esistenti al mondo: il
MOBETRON (realizzato negli Stati Uniti) e due macchine italiane, il NOVAC7 e il
LIAC.
Figura 1.1 - Mobetron (a sinistra), Novac7 (al centro), Liac (a destra).
Il MOBETRON, realizzato dalla società INTRAOP (Santa Clara, California) è
operativo nei seguenti centri americani:
Mayo Clinic Hospital (Phoenix)
Methodist Hospital (Indianapolis)
University of California at San Francisco
University Hospitals of Cleveland
University of Louisville
University of North Carolina
Ohio state University medical center
Il NOVAC7 è stato realizzato in collaborazione da ENEA e società HITESYS
(Aprilia) e ha iniziato ad essere commercializzato nel 1997.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
5
Il LINAC (realizzato e commercializzato dalla società INFO&TECH di Udine) è la
macchina immessa più di recente sul mercato e già operativa in due Ospedali italiani.
Nella figura 1.2 sono indicate le principali caratteristiche tecniche della macchina
LINAC.
Figura 1.2 Linac e Specifiche tecniche della macchina.
Essa può essere considerata l’evoluzione commerciale del sistema IORT-1,
sviluppato dall’ENEA nell’ambito del progetto IORT finanziato da MIUR/UE e
recentemente istallato presso l’Azienda Ospedaliera di Cosenza. In tabella 1 sono
elencati i vari centri italiani che utilizzano questi due sistemi sviluppati in Italia1.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
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TABELLA 1: sistemi IORT dedicati in Italia
Regione Centro IORT Sistema IORT
Abruzzo Azienda Ospedaliera ASL 3 Lanciano-Vasto,
Lanciano (CH)
NOVAC7
Calabria Azienda Ospedaliera Bianchi Melacrino
Morelli, Reggio Calabria
Azienda Ospedaliera di Cosenza, Cosenza
NOVAC7
IORT-1 ENEA
Emilia Romagna Azienda Ospedaliera di Parma, Parma NOVAC7
Friuli-Venezia
Giulia
Azienda Policlinico Universitario (Università
degli studi di Udine), Udine
LIAC
Lazio Ospedale S.Filippo Neri, Roma
Istituto Regina Elena, Roma
Clinica Villa Flaminia, Roma
Ospedale Sant’Andrea, Roma
NOVAC7
NOVAC7
NOVAC7
LIAC (da
installare)
Lombardia Istituto Europeo di Oncologia (IEO), Milano NOVAC7,
LIAC
Piemonte Ospedale Maggiore della Carità, Novara NOVAC7
Puglia Ospedale Oncologico, Bari NOVAC7
Sicilia Ospedale Oncologico, Palermo NOVAC7
Toscana Azienda USL 9, Grosseto
Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa
NOVAC7
NOVAC7
Veneto Ospedale Ca’ Foncello, Treviso NOVAC7
1 Radioterapia intraoperatoria (Iort): stato dell’arte e prospettive future. C.Ronsivalle ENEA Frascati-FIS-ACC
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
7
1.2 La IORT dal punto di vista tecnico-medico
Nei trattamenti IORT, l’impiego della dosimetria in vivo (controllo della dose
effettivamente erogata al paziente) risulta molto limitato per motivi essenzialmente
pratici e per la scarsità di rivelatori adeguati.
Tuttavia, come riportato nel rapporto Istisan , esistono motivazioni specifiche che
rendono consigliabile effettuare la dosimetria in vivo anche in ambito IORT. La
ricerca di metodiche affidabili di dosimetria in vivo rappresenta perciò uno sforzo da
affrontare nell’immediato futuro.
La IORT può essere eseguita con i comuni Linac per radioterapia convenzionale con
particolari adattatori, metodo che richiede il trasporto del paziente dalla sala
operatoria al bunker di trattamento con un inevitabile allungamento del tempo
operatorio. In questi ultimi anni la possibilità di avere degli acceleratori lineari
mobili e miniaturizzati, che producono elettroni di energia compresa tra 3 e 12 MeV
con adeguati requisiti di radioprotezione, ha consentito l’installazione in sala
operatoria e la semplificazione delle procedure operative.
L’utilizzo di fasci di elettroni consente la somministrazione di una dose omogenea al
tumore su uno strato controllato di tessuti. Le caratteristiche delle tecnica terapica
sono illustrate in un recente documento dell’Istituto Superiore di Sanità2. Ne emerge
che la IORT richiede determinazioni dosimetriche particolari e talvolta differenti
rispetto a quelle necessarie per l’esecuzione dei trattamenti frazionati con fasci
esterni. Il motivo principale risiede nel fatto che una singola dose elevata viene
somministrata ad un volume bersaglio, la cui estensione e profondità sono
determinati direttamente in sala operatoria. In tale sede vengono pertanto scelti la
forma e le dimensioni dell’applicatore, l’energia e l’isodose di riferimento più idonei
ad assicurare la prescrizione terapeutica. Poiché non si ha la possibilità di realizzare
un piano di trattamento utilizzando un TPS (Treatment Planning System) e si dispone
di poco tempo per effettuare i calcoli dosimetrici è necessario che tutti i dati fisici e
2 “Linee guida per la garanzia di qualità nella radioterapia intraoperatoria”, ISSN 1123-3117.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
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geometrici, per ogni tipo di applicatore ed energia impiegati, siano disponibili in un
formato di rapida consultazione e facile utilizzo.
1.3 Controllo qualità-stabilità
Per quanto riguarda i controlli periodici, si è definito un programma di
garanzia della qualità che, sebbene analogo a quelli stabiliti per gli acceleratori
lineari convenzionali tiene comunque conto delle specificità del Novac7 e delle
limitazioni logistiche, temporali e di natura radioprotezionistica dettate
dall’ubicazione dell’acceleratore all’interno del blocco operatorio.
I principali controlli periodici riguardano: la stabilità a lungo termine del sistema di
monitoraggio dosimetrico, (verificata mediante una camera a ionizzazione piatta
entro le 24 ore precedenti l’esecuzione di ogni trattamento); la simmetria;
l’omogeneità del campo e l’energia della radiazione, misurate impiegando una
pellicola radiografica (ogni trimestre); la stabilità a lungo termine dell’output
mediante dosimetri radiocromici e chimici a solfato ferroso (rispettivamente ogni
anno e ogni biennio). L’analisi dei dati ha mostrato, in particolare, un’ottima stabilità
a lungo termine del sistema di monitoraggio dosimetrico, in termini di costanza della
dose erogata per impulso. Gli attuali criteri di controllo sono basati sui dosimetri
presenti in commercio e quindi la metodologia è costretta a seguire delle linee
complicate per l’utilizzo di strumenti ottimizzati al controllo di fasci esterni3.
3 Radioterapia intraoperatoria (Iort): stato dell’arte e prospettive future. C.Ronsivalle ENEA Frascati-FIS-ACC
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
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1.4 Parametri decisionali per la terapia
In particolare, i dati dosimetrici devono permettere il calcolo delle Unità
Monitor (UM) necessarie per somministrare la dose prescritta al volume bersaglio.
Un ulteriore motivo che differenzia la IORT rispetto alla radioterapia transcutanea è
relativo all’uso di applicatori specifici che contribuiscono a determinare le
caratteristiche fisico-geometriche del fascio di elettroni (qualità, output, omogeneità,
ecc.). Un ulteriore motivo di differenza rispetto alla radioterapia transcutanea deriva
dall’alta dose per impulso erogata dagli acceleratori dedicati. Queste caratteristiche
pongono specifiche problematiche che necessitano di opportune soluzioni per la
misura della dose.
La definizione delle caratteristiche fisiche dei fasci di elettroni ricavati dall’utilizzo
dei collimatori IORT richiede un’accurata dosimetria iniziale, soprattutto con i nuovi
acceleratori mobili e un monitoraggio secondo procedure di garanzia di qualità che
devono far riferimento alle raccomandazioni internazionali.
I ratei di dose prodotti da alcuni acceleratori dedicati sono molto più elevati rispetto a
quelli degli acceleratori convenzionali. Tale fatto pone un limite all’uso delle camere
a ionizzazione per la taratura dei fasci in termini di dose per UM.
La dosimetria in condizioni di non riferimento ha come finalità la caratterizzazione
dosimetrica dei fasci di elettroni. Per l’utilizzo clinico della IORT occorre conoscere:
- PDD ( Percentage Depth Dose) (Dose Percentuale di Profondità):
Misurata lungo l’asse clinico del fascio, con l’indicazione dei principali parametri
che la caratterizzano: Rmax, range pratico (Rp); profondità in acqua a cui la dose
assorbita si riduce al 90% e 50% del valore massimo (R90, R50); dose superficiale e
percentuale di dose dovuta alla contaminazione fotonica del fascio;
- Profili trasversali di dose;
Misurati lungo due direzioni tra loro ortogonali alle profondità dove la dose
assume i valori del 100% (Rmax); del 90% (R90); dell’80% (R80) e del 50% (R50);
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
10
- Curve delle isodosi;
Misurate sui due piani ortogonali principali (cross-plane e in-plane) contenenti l’asse
clinico del fascio;
- Valori di dose per UM (cGy/UM);
Misurati in un punto alla profondità di riferimento sull’asse clinico del fascio
(output);
- Fattori correttivi individuati dal protocollo di ca lcolo delle UM del Centro
Tra cui i fattori per la presenza di gap d’aria tra l’applicatore e la superficie del
paziente.
Dal punto di vista applicativo tali sistemi vengono caratterizzati in termini
dosimetrici dalla curva di penetrazione della dose percentuale in acqua e dalla
uniformità traversa della dose.
In figura 1.3 sono riportate queste tipiche curve per il NOVAC7 (le curve di
penetrazione in acqua sono alle quattro energie nominali (3-5-7-9 MeV) e la curva
relativa all’uniformità traversa si riferisce all’applicatore di diametro 100 mm).
0102030405060708090
100110
0 10 20 30 40 50 60
Depth in water (mm)
Rel
ativ
e D
ose
(%
)
10MeV 8MeV 6MeV 4MeV
Figura 1.3 Curve di caratterizzazione dosimetrica relative al NOVAC7.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
11
1.5 Test con dosimetri standard.
Nelle linee guida4, nella sezione 2.1 “Dosimetria in condizioni di
riferimento” viene evidenziata la difficoltà di seguire le indicazioni riportate nei
protocolli dosimetrici internazionali quando si utilizzano acceleratori dedicati per la
IORT. Verranno quindi suggerite quelle soluzioni che al momento attuale delle
conoscenze risultano le più idonee e che spesso sono prassi consolidata nei centri di
radioterapia che utilizzano questo tipo di acceleratori.
Nell’utilizzare i protocolli dosimetrici nella modalità IORT, la dosimetria in
condizioni di riferimento non può essere effettuata con la stessa accuratezza tipica
delle modalità convenzionali non IORT. Infatti, la presenza di applicatori specifici
della modalità IORT non consente di essere totalmente conformi alle condizioni di
riferimento specificate nei protocolli dosimetrici. Tutto ciò si traduce in un aumento
dell’incertezza nella determinazione della dose assorbita in acqua, rispetto
all’incertezza tipica della dosimetria effettuata con applicatori convenzionali e in
conformità alle condizioni di riferimento del protocollo. Nel caso degli acceleratori
dedicati, caratterizzati da alti valori di dose per impulso, risulta del tutto impossibile
seguire le raccomandazioni riportate nei protocolli di misura della dose assorbita,
poiché la camera a ionizzazione non è in questo caso uno strumento idoneo per la
misura della dose visto che l’elevato rateo di dose in IORT (3-7 cGy/pulse) fa
saturare le camere (negli acceleratori convenzionali si usano tipicamente 0.01
cGy/pulse). Ciò pone un limite all’uso delle camere a ionizzazione per la taratura dei
fasci in termini di dose per Unità Monitor. In particolare, a causa dell’elevata densità
di carica prodotta nel volume della camera per ogni impulso di radiazione, il fattore
correttivo per la ricombinazione ionica può essere largamente sovrastimato quando si
applicano i metodi di correzione raccomandati nei protocolli internazionali. Pertanto,
per le misure di dose in acqua in condizioni di riferimento, non possono essere
utilizzate le camere a ionizzazione e non può essere applicato alcun protocollo di
dosimetria pubblicato.
La dosimetria in condizioni di riferimento deve essere effettuata per tutte le energie
effettivamente utilizzate nei trattamenti IORT .
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
12
Si ricorre a rivelatori indipendenti dal rateo di dose, come i dosimetri di Fricke, in cui
la valutazione della dose assorbita in acqua è effettuata attraverso la misura della
variazione di assorbenza della soluzione di solfato ferroso. Tale sistema è accurato
ma è delicato e richiede calibrazioni assolute che complicano il suo utilizzo.
In alternativa possono anche essere utilizzati sistemi dosimetrici relativi con
sensibilità indipendente dal rateo di dose, dall’ energia del fascio e dall’angolo di
incidenza degli elettroni. Una valida soluzione è costituita dalla dosimetria ad
Alanina. Le misure di dose ottenute utilizzando i dosimetri di Fricke e i dosimetri ad
Alanina hanno mostrato un accordo che nel complesso è risultato essere migliore
dell’1% per applicatori a terminazione non obliqua5.
1.6 Realizzazione dosimetro per IORT
La proposta sperimentale consiste nella realizzazione di un dosimetro per
elettroni di energia 3-12 MeV da usare come dosimetro assoluto.
Il prototipo dovrà essere in grado di misurare le dosi in alcuni piani collocati in punti
significativi per ottenere le curve di isodose e l’andamento della dose con la
profondità.
Il rivelatore finale (Figura 1.4) si può schematizzare come un fantoccio composto da
diversi piani di lettura (attivi) sovrapposti. I piani in grigio sono i piani attivi tra i
quali è presente uno spessore di materiale acqua-equivalente con densità prossima ad
1 g/cc (densità dell’acqua), che si comporta come piano passivo. Ogni piano attivo è
costituito da scintillatori realizzati sotto forma di due fasci di fibre ottiche scintillanti
perpendicolari fra loro .
4 “Linee guida per la garanzia di qualità nella radioterapia intraoperatoria”, ISSN 1123-3117. 5 Rapporti istisan 03/1
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
13
Figura 1.4 - Schematizzazione rivelatore per IORT
Gli scintillatori sono dei materiali che assorbono l’energia legata al fascio di elettroni
e la convertono in un elevatissimo numero di fotoni; tale energia assorbita è
sufficiente a creare un elevatissimo numero di fotoni nel visibile. Il fenomeno fisico
sfruttato per creare questo effetto è il fenomeno della scintillazione. Inizialmente il
fotone viene assorbito per effetto fotoelettrico (la luce assorbita dal materiale
semiconduttore produce una corrente elettrica), generando un elettrone che viaggia
attraverso il materiale dello scintillatore (fibre ottiche scintillanti); questo elettrone
viene poi a contatto con gli altri elettroni promuovendoli al livello energetico più
alto. Questi elettroni torneranno nel loro stato iniziale emettendo anch’essi
fluorescenza. Uno dei fattori di merito degli scintillatori è proprio l’efficienza di
conversione, definita come la frazione dell’energia assorbita, (effettivamente
convertita in luce di scintillazione che dipende dal numero di fotoni emessi e dalla
loro energia).
Un parametro che viene fornito è il numero di fotoni emessi per 1MeV di energia
assorbita oltre al quale ne vengono forniti degli altri. Il parametro più importante è
proprio il numero di fotoni emessi, poiché il fotorivelatore (fotodiodo) lavora sul
numero, non sull’energia.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
14
Il flash di luce creato è convertito da un sistema di lettura (rif. Cap. 4 par. 2-3)
accoppiato alle fibre ottiche scintillanti (rif. Cap. 4 par. 1) in un segnale analogico in
tensione. Questo segnale sarà direttamente collegato all’ intensità del flash di luce e
quindi all’energia legata ai fotoni creati dal fascio di elettroni che colpiscono le fibre
ottiche scintillanti.
1.7 Simulazione Monte Carlo
Lo studio della configurazione del dosimetro è iniziato attraverso una
simulazione che utilizza Geant4 ed il suo pacchetto elettromagnetico di bassa
energia. Geant4 è stato utilizzato per presentare la simulazione Monte Carlo che ha
ottimizzato il sistema.
Geant4 è una piattaforma per la simulazione del passaggio di particelle attraverso la
materia e la sua area di applicazione include la fisica, gli esperimenti nucleari, il
campo medico, acceleratori e studi fisici. Per simulare il fascio di elettroni sono stati
utilizzati i parametri misurati dai comuni acceleratori utilizzati nella IORT. La
risposta delle fibre scintillanti sono simulate utilizzando le caratteristiche nominali
delle fibre scintillanti BCF-60 di forma quadrata (rif. Cap. 4 par. 1), della ditta
BICRON. Il numero di fotoni accumulati alla fine di ogni fibra è valutato ed
utilizzato per analizzare la dose assorbita come una funzione di profondità.
In figura 1.5 è mostrata la distribuzione della dose in profondità (depth) all’interno
del fantoccio applicando un fascio di elettroni con energia pari a 8 MeV.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
15
Figura 1.5 – Numero di fotoni raccolti all’interno delle fibre (Y).
Queste distribuzioni rappresentano la lettura dei piani attivi (fibre ottiche scintillanti)
disposti lungo il fantoccio. Elaborando queste distribuzioni all’interno del range delle
energie, si ottiene la distribuzione mostrata in figura 1.6. Le curve nella figura 1.6 b
rappresentano le curve relative di profondità della dose e sono solitamente utilizzate
per decidere i parametri della terapia.
Figura 1.6 – a) fotoni raccolti all’interno dei piani attivi come funzione di profondità, per un range di energia 4-12 MeV; b) qualche distribuzione di a) ma
normalizzata rispetto al valore massimo.
La IORT (Radioterapia Intraoperatoria)
16
La relazione tra il numero di fotoni raccolti e l’energia del fascio è rappresentata
nella figura 1.7.
Figura 1.7 – Numero di fotoni raccolti nel calorimetro in funzione dell’energia del fascio di elettroni
Il risultato dell’analisi sui dati simulati ha permesso di definire la miglior
configurazione per il setup del dosimetro secondo le nostre esigenze.
In conclusione, il setup del rivelatore ottimizzato per mezzo dello studio Monte Carlo
è in grado di effettuare la dosimetria 3D di fasci di elettroni, con le stesse
caratteristiche dei fasci utilizzati nella radioterapia intraoperatoria.
17
Capitolo 2
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
2.1 Criteri nella scelta dell’hardware
Nella scelta dell’hardware per la realizzazione del sistema d’acquisizione dati
occorre innanzitutto identificare le specifiche dell’hardware e soprattutto la
piattaforma, che può essere basata su PC, PXI o VXI. Nella scelta della piattaforma è
necessario considerare le funzioni, le misure, le apparecchiature necessarie e l’area di
applicazione. Una piattaforma basata sullo standard PXI costituisce una buona scelta,
in quanto economica, ad elevata velocità, compatta e molto flessibile. Con la
piattaforma di strumentazione flessibile PXI è possibile unire tutte le funzionalità di
più strumenti tradizionali stand-alone in un’unica struttura compatta. Questa
configurazione modulare permette di risparmiare spazio e ottenere prestazioni più
elevate in quanto tutta la strumentazione comunica attraverso un bus PCI ad alta
velocità. La soluzione PXI consente inoltre di utilizzare un robusto sistema modulare
in grado di fare fronte anche a difficili ambienti di lavoro. In figura 2.1 è mostrato un
sistema PXI costituito da chassis, controllore e moduli per acquisizione dati.
Figura 2.1 - Sistema PXI mod. NI PXI-1042.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
18
2.2 Il controllore PXI-8187
I controller embedded PXI National Instruments forniscono una soluzione per
computer compatta e ad elevate prestazioni. Il controller embedded NI PXI-8187
(figura 2.2), scelto come soluzione per la realizzazione del sistema d’acquisizione
dati ha un processore Pentium 4-M da 2.5 GHz, fino a 1 GB di memoria RAM DDR,
un Hard Disk, tutte le periferiche standard quali porte USB 2.0, Ethernet.
Figure 2.2 - NI PXI-8187 Pentium 4-M 2.5 GHz Embedded Controller
Lo chassis, unito ad un computer embedded ad alte prestazioni come quello appena
descritto costituisce una piattaforma ideale per creare sistemi d’acquisizione dati
totalmente personalizzabili.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
19
2.3 Dispositivo acquisizione dati (DAQ) PXI-6132 S
La scheda d’acquisizione dati, modello “PXI-6132” (figura 2.3a) è una
scheda fornita di 4 canali analogici, 8 Linee Digitali di Input/Output
(5V/TTL/CMOS), 2 Counter/Timers con risoluzione 14-bit e funzioni di Trigger
Analogico e Digitale. Complessivamente la DAQ (acquisition device) PXI-6132
dispone di 68 pin (figura 2.3b), ognuno dei quali rappresenta un ingresso o un’uscita
del dispositivo.
(figura 2.3 a) (figura 2.3 b)
Figura 2.3 a) Scheda d’acquisizione dati (DAQ) NI PXI-6132 b) Descrizione dei 68
pin di input/output cui è provvista la scheda d’acquisizione dati NI PXI-6132.
Questo dispositivo rientra nella famiglia dei prodotti della serie ”S”. La “S” sta per
simultaneous sampling, il che rappresenta il beneficio più apparente del convertitore
analogico-digitale dedicato, che fornisce un rate di campionamento molto più alto
rispetto ai dispositivi tradizionali di acquisizione dati. Questi a loro volta ripartiscono
un convertitore analogico-digitale fra i vari canali. In questa serie di dispositivi,
invece, le prestazioni aumentano linearmente con il numero di canali attivi.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
20
Questi dispositivi sono caratterizzati da una grande memoria onboard, in particolare
questo modello è caratterizzato da una memoria pari a 16MS. Attraverso l’ampia
memoria onboard è possibile acquisire segnali ad ampia banda durante lunghi periodi
di tempo senza preoccuparsi delle limitazioni del bus.
Utilizzando il software driver NI-DAQmx ed il dispositivo della serie “S”, si può
trarre il massimo rendimento nelle nostre applicazioni. Con NI-DAQmx è possibile
scegliere se accumulare i dati nella memoria onboard nella RAM del PC oppure
nell’HARD-DISK. In ogni caso NI-DAQmx ottimizza il trasferimento dei dati
utilizzando l’accesso diretto alla memoria (DMA) e trasferendo grandi parti di dati
assicurando che non ci sia perdita di questi ultimi. Utilizzando questa tecnica è
possibile raggiungere rate che superano i 40 MS/s . Il software raccomandato per
l’utilizzo di questo dispositivo è NI LabVIEW.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
21
2.4 Blocco connettore NI BNC-2110
Il blocco connettore mod. BNC-2110 (figura 2.4a) è il dispositivo più adatto
per collegare fisicamente i vari segnali di Input/Output alla scheda d’acquisizione
dati. Il collegamento tra la scheda d’acquisizione dati ed il blocco connettore avviene
attraverso il cavo schermato della National Instruments SH68-68-EP (figura 2.4b)
che è un cavo schermato di 68 pin.
Figura 2.4a -Blocco Connettore NI BNC-2110 Figura 2.4b – Cavo NI SH68-68-EP
Il connettore BNC-2110 ha la possibilità di avere 8 ingressi analogici (2) indirizzati
AI< 0 . . . 7 > e 8 uscite analogiche (2), indirizzate AO< 0 . . . 7 >. Tramite il
selettore (1) di figura si può scegliere inoltre se misurare segnali di ingresso flottanti
o riferiti a massa. Vi sono inoltre due connettori per una funzione programmabile e
per un’uscita su contatore (5). Per connettere segnali digitali la scheda è dotata di
terminali Digital and Timing I/O (4) e di due connettori BNC definibili dagli utenti
(3). Nella tabella 2.1 è illustrata la corrispondenza tra i pin di Input/Output della
scheda d’acquisizione dati PXI-6132 ed i connettori del blocco connettore BNC-
2110. Ad esempio, il pin 68 (vedi figura 2.3b) della scheda d’acquisizione dati è un
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
22
input analogico denominato AI0; per collegare fisicamente un segnale analogico al
pin 68 della DAQ è necessario collegare tale segnale al connettore BNC denominato
AI0 presente sul blocco connettore BNC-2110.
PXI-6132 BNC-2110
Descrizio I/O PI I/O Connettore
Counter O → 40 O → CTR1_OUT
Counter O → 2 O → CTR0_OUT
PFI0 I ← 11 I ← PFIO
PO.3 I ← 47 I ← PO 3
--- -- -- 4 --- --- DGND
--- O → 14 O → +5V
AI0 + I ← 68 I ← AI0
AI.GND I ← 34 AI GND
Tabella 2.1 - Corrispondenza dei pin della scheda d’acquisizione dati PXI-
6132 con i connettori presenti sul blocco connettore BNC-2110
2.5 Digitalizzatore NI PXI-5112
Il digitalizzatore NI PXI-5112 (figura 2.5) dispone di un ingresso a due canali
con velocità di campionamento simultaneo fino a 100 MS/s e larghezza di banda di
100 MHz per lo stadio di ingresso. La massima velocità di campionamento è di 2,5
GS/s. L’ampia capacità di offset in corrente continua elimina la componente DC,
consentendo di sfruttare la risoluzione di 8 bit dello strumento attorno al livello di
tensione di interesse. Il digitalizzatore è inoltre in grado di gestire l’acquisizione di
più record. È possibile suddividere i 16 o 32 MB di memoria disponibile per ciascun
canale in un numero arbitrario di record, che verranno in seguito caricati con i dati di
acquisizione direttamente dal trigger del dispositivo hardware, senza alcun intervento
da parte del software. Il principale vantaggio consiste nella capacità di acquisire,
attraverso il trigger, numerose forme d’onda in modo rapido. Il tempo di ricarica,
ovvero il tempo in cui il digitalizzatore non risponde al trigger, si riduce
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
23
notevolmente e può variare da 1 a 100 microsecondi, a seconda della lunghezza del
record e del tipo di digitalizzatore utilizzato.
Figura 2.5 Digitalizzatore NI PXI-5112
Esso è fornito anche di due canali da utilizzare come oscilloscopio e consente di
effettuare tutte le verifiche che necessitano senza il bisogno di dover trasportare sul
posto altra strumentazione. Anche in questo caso è da sottolineare l’utilità e
l’efficienza di questo tipo di sistema con moduli integrati (PXI) che consentono di
ottenere altissime prestazioni nelle misure. Tra tutti i prodotti della sua categoria, il
digitalizzatore NI 5112 è quello che dispone della memoria di acquisizione a bordo
più ampia. Ciascuno dei due canali dispone di 16 MB di memoria che può essere
estesa a 32 MB, consentendo di memorizzare fino a 32 milioni di campioni da 8 bit
per ogni canale. Nelle operazioni di campionamento alla velocità massima di
100MHz è possibile registrare nella memoria a bordo un intervallo di acquisizione di
320 ms, un valore sufficiente a soddisfare anche gli utenti più esigenti.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
24
2.5.1 Il software per Digitalizzatore NI PXI-5112
L’ultima versione di NI-SCOPE, il driver software per tutti i digitalizzatori ad
alta velocità di National Instruments è il complemento software di NI 5112. Il
digitalizzatore a 100 MHz NI 5112 è in grado di gestire il time stamp dei record con
un’accuratezza di 2 ns. NI 5112 utilizza un clock ad alta precisione a 48 bit per
generare il time stamp degli eventi trigger con un’accuratezza inferiore al periodo del
clock di campionamento. È possibile rilevare eventi o transitori dei segnali, che
avvengono ad elevate velocità durante l’acquisizione di più record e per determinare
la relazione temporale tra questi eventi. Gli utenti possono inoltre configurare il
digitalizzatore NI 5112 per registrare eventi che si verificano ad intervalli di tempo
anche lunghi, sia in modalità di acquisizione semplice che in modalità a più record.
Grazie a queste caratteristiche è possibile determinare con un’accuratezza di 2 ns
l’istante in cui gli eventi si sono verificati. NI-SCOPE fornisce un buffer circolare
che consente di acquisire in continuo i dati a velocità di campionamento inferiori sul
digitalizzatore a 100 MHz NI 5112.
Attraverso l’acquisizione continua è possibile:
� Trasferire i dati acquisiti dal digitalizzatore alla memoria del computer host,
mentre il digitalizzatore acquisisce altri dati.
� Acquisire più record di quelli che la memoria a bordo può contenere grazie
alla modalità di acquisizione a più record.
In conclusione, per la realizzazione del sistema di acquisizione dati si è scelto di
utilizzare l’hardware della National Instruments, tale scelta ha notevolmente
semplificato lo sviluppo dell’intero sistema. La stessa strategia può essere adottata
per definire il software, al quale è demandato il compito di agire da punto di unione
per tutti i test. LabVIEW di National Instruments costituisce una buona scelta in
quanto possiede un’architettura modulare; è semplice da modificare ed integra una
grande varietà di Input/Output.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
25
2.6 Utilizzo di LabVIEW
Il LabVIEW (Laboratory Virtual Instrument Engineering Workbench) è stato
sviluppato come linguaggio grafico di programmazione specifico per l’acquisizione
dei dati, le misure e la loro elaborazione e presentazione. Il contributo specifico allo
sviluppo lo si deve dal vasto numero di schede di acquisizione e sistemi di misura,
dalle quali viene utilizzato come principale software attraverso cui interagiscono e
vengono programmate. LabVIEW fornisce un ambiente di programmazione di tipo
grafico ad oggetti denominato “G – Language” che consente di realizzare programmi
in forma di diagrammi a blocchi.
LabVIEW conserva dunque molte similitudini con gli ambienti di programmazione
tradizionali. Esso presenta tutti i tipi di dati e gli operatori predefiniti di uso comune;
permette di generare nuovi tipi di dati combinando tra di loro i tipi di dati elementari
e di controllare l’esecuzione dei programmi ricorrendo a strutture di controllo di
flusso, come ad esempio cicli e costrutti per l’esecuzione condizionale di codice.
Contemporaneamente, questo ambiente di sviluppo software presenta anche alcune
peculiarità che lo differenziano notevolmente dai linguaggi procedurali più
comunemente noti.
La prima differenza sostanziale è l’ambiente di sviluppo grafico, sia dell’interfaccia
utente sia dell’algoritmo di elaborazione. Altra differenza importante è che un
programma LabView non segue il flusso delle istruzioni, bensì segue il flusso di dati;
infatti i programmi scritti in LabView tendono ad essere di tipo data-driven, nel
senso che si tende ad enfatizzare il come questi dati si muovono tra i diversi blocchi
operativi anziché la sequenza delle istruzioni da eseguire.
Esso mette inoltre a disposizione del programmatore una serie di librerie di funzioni,
che possono essere richiamate ed utilizzate all’interno dei programmi. Le librerie
comprendono funzioni di uso comune (funzioni aritmetiche e statistiche, funzioni per
la manipolazione di stringhe, ecc..) ed inoltre funzioni specializzate per
l’acquisizione e l’elaborazione dei segnali, il controllo di strumentazione numerica,
la trasmissione di dati mediante l’uso di porte seriali oppure mediante il protocollo di
comunicazione TCP/IP. È possibile inoltre definire nuove funzioni ed arricchire le
librerie in dotazione ad esso.
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
26
Il programma consente di cercare e correggere errori (debug) nelle applicazioni
create in linguaggio “G” attraverso opportune modalità di esecuzione dei programmi,
come ad esempio il modo “highlight execution” o “single step” e, per mezzo di
oggetti che consentono in run-time, la modifica di variabili di programma.
In definitiva LabVIEW presenta alcuni vantaggi rispetto ad un linguaggio di
programmazione tradizionale:
• Permette di dare al codice una struttura modulare che consente di suddividere
programmi complessi in sottoprogrammi più semplici che possono essere riutilizzati;
• Consente di raccogliere i VI (Virtual Instrument, gli applicativi del linguaggio) in
librerie, ovvero in un insieme di sub-VI (i sottoprogrammi del linguaggio) utilizzabili
da altri VI e velocemente inseribili nel codice sorgente del programmatore;
• Fornisce un considerevole insieme di librerie per lo sviluppo di applicativi tra le
quali si trovano funzioni di tipo matematico e statistico, controllo di dispositivi per
mezzo di alcuni tipi di interfaccia, comunicazione tra calcolatori, ecc..
2.6.1 Utilizzo dei VI
Virtual Instrument è il programma che si può realizzare mediante tale
linguaggio e permette l’interazione tra calcolatore e strumentazione, fornendo
contemporaneamente all’utente un opportuno pannello frontale grafico per il dialogo
con il VI stesso.
L’utilizzatore può modificare il valore di alcune grandezze agendo su opportune
manopole o interruttori visualizzati dal programma e può osservare il risultato delle
elaborazioni condotte internamente al VI, su display grafici molto simili a quelli che
si trovano sulla strumentazione numerica.
Un VI è composto da tre parti fondamentali:
• Pannello frontale ( Front Panel) ;
• Diagramma a blocchi funzionale ( Block Diagram) ;
• Icona /connettore ( Icon / connector).
Soluzione hardware e software per sistema d’acquisizione dati
27
Il Front Panel è la finestra che rappresenta l’interfaccia tra il programma e
l’utilizzatore. In esso trovano posto tutti i controllori e gli indicatori dello strumento
virtuale, dove per controllore s’intende una variabile di ingresso che può essere
modificata, mentre per indicatore, una variabile di uscita il cui valore può essere
modificato dal programma e non dall’utente.
Il Block Diagram contiene il codice nella forma di diagramma a blocchi ed è
costituito da:
• Nodi, che sono degli elementi di elaborazione
• Collegamenti, che uniscono i nodi e permettono lo scambio di informazioni.
Le informazioni passano da un nodo all’altro del pannello frontale per mezzo dei
connettori che uniscono i nodi stessi. La coppia Icon / Connector è il terzo elemento
fondamentale di un programma LabVIEW. L’icona è il simbolo grafico di piccole
dimensioni che rappresenta simbolicamente il VI stesso e che permette di trasformare
il programma in un oggetto. Il connettore stabilisce la corrispondenza tra aree
dell’icona e controllori/indicatori del pannello frontale.
28
Capitolo 3
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
3.1 Il DAQ
Il sistema d’acquisizione dati utilizzato è formato dall’insieme dei
componenti hardware, descritti nel capitolo precedente, in grado di ricevere segnali
analogici e/o digitali dall’apparato sperimentale e da un insieme di componenti
software, atti ad analizzare, visualizzare e memorizzare i dati su memorie di massa.
Il sistema d’acquisizione dati in questione è un elemento attivo, in quanto riceve dati
in ingresso, attraverso la catena d’acquisizione e produce dati in uscita gestendo di
fatto sia canali in ingresso (tabella 3.1) sia canali in uscita (tabella 3.2).
Canale Input Digitale TRIGGER
Canale Input Digitale L-EOS
Canale Input Analogico VIDEO
Tabella 3.1 – Canali di input del DAQ
Canale Output Digitale M-CLOCK
Canale Output Digitale M-RESET
Tabella 3.2 – Canali di output del DAQ
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
29
Figura 3.1 – Schema a blocchi dell’intero sistema realizzato.
L’interfaccia fra il sistema di lettura ed il sistema d’acquisizione dati (figura 3.1) si
basa sullo studio delle temporizzazioni dei segnali che interessano i circuiti utilizzati
per la realizzazione del sistema di lettura (capitolo 4 paragrafi 2-3). Nello schema a
blocchi di figura 3.0, ogni freccia indica un segnale di Input/Output per il sistema
d’acquisizione dati,; questi segnali (tabelle 1-2) sono di seguito descritti:
1. M-CLOCK : è un segnale di tipo TTL, con duty cycle pari a 0,5 che costituisce
un input per il complesso array fotodiodi – circuito driver. Il valore ottimale di
frequenza è di 1 MHz, ma questi può variare tra 40 KHz e 4 MHz.
Il segnale viene generato dal DAQ ed ha una frequenza regolabile dall’esterno in
modo da poter determinare la durata di tutti gli eventi.
2. M-RESET : è un segnale di tipo TTL che costituisce un input per il complesso
array fotodiodi - circuito driver. Durante lo stato alto (High) del segnale, i fotodiodi
accumulano la carica legata ai fotoni incidenti sugli stessi; il tempo in cui viene
accumulata la carica è definito tempo di integrazione (Integration Time). L’istante in
cui lo stesso segnale passa dallo stato alto allo stato basso (Low) è definito “tempo di
reset”; in questo stesso istante è presente il segnale video. Il segnale viene generato
dal DAQ ed ha una durata regolabile.
Tale durata deve essere abbastanza breve rispetto alla durata del tempo di reset, in
modo tale da evitare la saturazione della concentrazione di carica all’interno dei
fotodiodi; per tale scopo è fondamentale scegliere un adeguato tempo di
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
30
integrazione. Per quanto riguarda invece il tempo di reset, si può calcolarne la durata
attraverso la seguente formula:
Time Required= 17 clock + (4 clock * 128 * N) + 4
Dove N rappresenta il numero di stadi utilizzati per effettuare il test.
Per concludere, il tempo richiesto per una scansione completa dipende
essenzialmente dal numero di stadi utilizzati e dalla frequenza del segnale M-
CLOCK. Ad esempio utilizzando una frequenza del segnale M-CLOCK pari a 40
KHz, (con un solo stadio [N=1] ) il tempo richiesto per una scansione completa sarà
pari a:
Time Required= 533 clock= 533 * 25µS = 13,325 mS
3. TRIGGER: è un segnale di tipo TTL che costituisce un output per il complesso
array fotodiodi- circuito driver. Lo stesso costituisce un input digitale per il DAQ e
avvisa della presenza del segnale Video (rif. punto 5). La sua durata equivale ad 1
clock, mentre il tempo tra un impulso di trigger ed il successivo è pari a 4 clocks
(figura 3.2).
Fig. 3.2 – Rappresentazione grafica dei segnali M-CLK, TRIGGER
L’ impulso di trigger viene generato per ogni pixel prodotto dall’array di fotodiodi
(figura 3.3).
Fig. 3.3 – rappresentazione grafica dei segnali M-CLK, M-RESET
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
31
4. L-EOS : è un segnale di tipo TTL che costituisce un output per il complesso array
fotodiodi- circuito driver, mentre costituisce un input digitale per il Daq. L’acronimo
sta per “End Of Scan” e indica la fine della scansione. Il segnale ha funzione di
avviso di assenza del segnale video, passando dallo stato alto (che permane durante
l’Integration Time) allo stato basso. Allo stesso istante, anche il segnale TRIGGER
và allo stato basso e non si ripete fino alla nuova presenza di segnale sul canale
video.
Fig. 3.4 – L’intera sequenza dei segnali
5. VIDEO: è un segnale di tipo analogico. Costituisce un segnale di output per il
complesso array fotodiodi- circuito driver, mentre costituisce un input analogico per
il Daq. Dall’osservazione di questo segnale si nota la presenza di un valore di soglia
prima del quale il segnale TRIGGER non da alcun avviso di presenza di segnale
VIDEO. La durata di un segnale VIDEO è pari a 4 clock (figura 3.5).
Fig. 3.5 – Durata del segnale video
Ipotizzando di settare la frequenza del segnale CLOCK ad 1MHz (frequenza
consigliata per il dispositivo), si avrà una informazione video ogni 4 µS, il che
equivale al fatto che il rate del segnale video è pari a 250KHz.
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
32
3.2 Verifica sperimentale
Dopo l’analisi dei vari segnali, si è passati alla verifica sperimentale.
È importante sottolineare come il circuito driver C9118 (vedi cap. 4), connesso
all’array di fotodiodi della serie S8865-128 (rif. Cap. 4 par. 2), necessita di due
segnali: M-CLOCK ed M-RESET (oltre alla tensione di alimentazione), senza i
quali, il dispositivo non dà alcun segnale in output.
Dopo aver analizzato le caratteristiche di questi segnali è stato realizzato, attraverso
il software LabVIEW (rif. Cap. 2), uno strumento virtuale in grado di fornire tali
segnali. La verifica sperimentale è stata effettuata settando i parametri dei segnali ai
valori elencati in tabella 3.3.
SEGNALE FREQUENZA DUTY CYCLE
M-CLOCK 40 KHz 0,5
SEGNALE HIGH TIME LOW TIME
M-RESET 5mS 30 mS
Tabella 3.3 – Parametri utilizzati nella verifica sperimetale
Prima di fornire questi due segnali al circuito driver C9118 attraverso la DAQ,
gestita dallo strumento virtuale realizzato, si è provveduto a controllare l’esattezza di
questi segnali su oscilloscopio, mentre attraverso multimetro digitale, si è controllata
la tensione e la corrente di alimentazione che la scheda DAQ è in grado di fornire. Si
è riscontrata una consistente variabilità delle caratteristiche di alimentazione della
scheda DAQ (Power rating, most devices: +4.65 to + 5.25 VDC at 1 mA), mentre,
per un corretto funzionamento le schede elettroniche utilizzate necessitano di una
tensione di alimentazione compresa tra 4.9 e 5.2 Vdc, con una corrente pari a
100mA. Nella verifica effettuata si è preferito utilizzare un alimentatore esterno,
anziché un onboard che avrebbe potuto danneggiare i circuiti elettronici in questione.
In particolare, le giuste caratteristiche di alimentazione sono state ricercate in un
comunissimo alimentatore per telefoni cellulari.
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
33
Dopo aver effettuato i suddetti controlli, si sono forniti i segnali al circuito
C9118, ed utilizzando l’oscilloscopio a 4 canali, sono stati visualizzati i vari
segnali in output dal circuito stesso.
Il risultato della verifica sperimentale (figura 3.6), evidenzia la temporizzazione
dei segnali visualizzati sui vari canali dell’oscilloscopio:
� Canale 1 : Segnale M-Reset
� Canale 2 : Segnale Trigger
� Canale 3: Segnale L-eos
� Canale 4: Segnale Video
Figura 3.6 – Risultato della verifica sperimentale.
L’analisi dei vari segnali visualizzati inizia dal fronte di salita del segnale M-RESET,
istante dal quale i fotodiodi iniziano ad accumulare carica. La fase di accumulo della
carica si conclude sul fronte di discesa dello stesso segnale M-RESET. Dalla figura
si può notare come durante la fase in cui il segnale M-RESET (canale 1) rimane allo
stato basso, si ha una sequenza di TRIGER (canale 2), che indica la presenza del
segnale VIDEO (canale 4). Nel momento in cui non è più presente segnale VIDEO,
il circuito driver C9118 invia un segnale di fine scansione L-EOS (canale 3). Da
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
34
questo punto in poi non succederà nulla fino a quando non si verifica nuovamente un
tempo di integrazione, ovvero un nuovo fronte di salita del segnale M-RESET.
Dall’analisi dei segnali che intervengono, si è reso necessario creare cinque task.
Concettualmente un task rappresenta una misura oppure una generazione di segnale.
In LabVIEW un task è una collezione di uno o più canali reali o virtuali con timing,
triggering ed altre proprietà. Due task, precisamente quelli che realizzano i segnali in
uscita dal DAQ, quindi i segnali M-CLK ed M-RESET sono totalmente indipendenti
tra di loro pur comparendo nello stesso VI, per consentire la totale gestione
dell’acquisizione da un unico pannello frontale. Invece, per quanto riguarda i task,
per l’acquisizione dei segnali di TRIGGER, VIDEO ed L-EOS, questi devono
interagire tra di loro per realizzare la gestione dell’acquisizione dati, rispettando
quelli che sono i parametri e la logica richiesta dal sistema progettato.
Detto questo, gli strumenti virtuali di cui si ha necessità sono tre:
1. VI per la generazione di un treno continuo di impulsi per il segnale M-CLK.
Le caratteristiche di questo strumento virtuale devono consentire all’utente di
poter variare dal pannello frontale le impostazioni del segnale, questo
strumento virtuale è costituito da 1 task.
2. VI per la generazione di un treno di impulsi continuo per il segnale M-
RESET. Anche in questo caso, con la possibilità di variare i parametri dello
strumento; questo strumento virtuale è costituito da 1 task.
3. VI per l’acquisizione del segnale VIDEO costituito da 3 task.
Ciascun VI elencato costituisce un SubVI all’interno del VI che consente di avere la
gestione completa dell’acquisizione dati. Per la realizzazione di ciascuno dei suddetti
VI è stato utilizzato un modulo chiamato NI-DAQmx, recentemente ideato dalla
National Instruments, presente all’interno del LabVIEW, che ha una maggiore
potenzialità nel gestire le schede d’acquisizione dati ed i programmi realizzati per
l’acquisizione dati. In questa fase di progettazione del software, per quanto riguarda
il software LabVIEW, notevole importanza ha assunto l’osservazione del flusso dei
dati, infatti, all’interno dello schema a blocchi (block Panel) è possibile osservare il
flusso dati per rendersi conto di eventuali errori e relative correzioni da effettuare.
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
35
3.3.1 Strumento Virtuale per segnale M-Clock
In figura 3.7 è evidenziato lo strumento virtuale per la generazione continua
di un treno di impulsi da utilizzare come segnale M-CLOCK. Frequenza e duty cycle
di questo segnale sono impostabili dal pannello frontale dello strumento virtuale
(figura 3.8). Per la generazione hardware del segnale si è utilizzato il counter a bordo
scheda “CTR0 OUT”, che garantisce una buona stabilità del segnale generato.
Schema a Blocchi Segnale CLOCK:
Figura 3.7 - Schema a blocchi del VI che genera il segnale M-CLOCK
Pannello Frontale Segnale CLOCK:
Figura 3.8 Pannello frontale del VI che genera il segnale M-CLOCK
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
36
3.3.2 Strumento Virtuale per segnale M-Reset
In figura 3.9 è evidenziato lo strumento virtuale per la generazione continua
di un treno di impulsi da utilizzare come segnale M-Reset. High Time e Low Time di
questo segnale sono impostabili dal pannello frontale dello strumento virtuale (figura
3.10). Per la generazione hardware del segnale, si è utilizzato il counter a bordo
scheda “CTR1 OUT”; anche in questo caso, la scelta del counter a bordo scheda
deriva dalla buona stabilità del segnale garantita dalla DAQ.
Schema a Blocchi Segnale M-RESET:
Figura 3.9 - Schema a blocchi del VI che genera il segnale M-RESET
Pannello Frontale M-RESET:
Figura 3.10 Pannello frontale del VI che genera il segnale M-RESET
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
37
3.3.3 Strumento Virtuale per l’acquisizione dei segnali
Trigger, Video e L-eos
In figura 3.11 è possibile individuare i tre VI che creano i tre task, attraverso i
quali si acquisiscono i segnali di TRIGGER (VI: Start Digital Edge), VIDEO (VI: AI
Voltage) ed L-EOS (VI: Digital Input); la struttura che li racchiude è un “while loop”
che sostanzialmente ripete ciò che è contenuto al suo interno fino a quando non
riceve un determinato valore booleano (true-false), che in tal caso è fornito dal
controllo presente nel pannello frontale “Start Video Input”. Prima che il flusso dei
dati prosegua all’interno del secondo “while loop” incontra il VI che realizza il task
sul quale si acquisisce il segnale Trigger (Start Digital Edge). Questo blocco è quello
che effettua il triggering del while loop successivo nel quale sono presenti i VI che
realizzano la lettura/scrittura dei valori assunti dal segnale Video. Infatti, la
lettura/scrittura dei valori assunti dal segnale Video avviene solo su ogni fronte di
salita (triggering) del segnale Trigger. Ad ogni ciclo di lettura/scrittura interviene
inoltre un’operazione di controllo, sulla presenza o meno del segnale L-EOS, che
costituisce il segnale che deve fermare l’acquisizione del segnale Video. Qualora il
segnale L-EOS fosse allo stato “low”, il loop contenente la lettura/scrittura dei dati si
arresterebbe, viceversa il loop continuerebbe fino ad uguagliare il numero di cicli
impostati dall’utente sul pannello frontale.
Schema a Blocchi Acquisizione Video:
Figura 3.11 Schema a blocchi del VI che acquisisce i segnali video, trigger, l-eos.
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
38
Pannello Frontale Acquisizione Video:
Figura 3.12 Pannello frontale del VI per acquisire il segnale video
Terminata l’acquisizione attraverso lo strumento virtuale (figura 3.12), si sono
confrontati i risultati con quelli ottenuti nella verifica sperimentale (rif. Par. 2). Dal
confronto della visualizzazione (figura 3.13) e dell’analisi dei dati scritti su file è
emersa la uguaglianza nelle variazioni del segnale che contiene l’informazione a cui
si è interessati, per cui si può dedurre che la logica del programma realizzato con
LabVIEW rispetta quella che interviene nei circuiti elettronici utilizzati.
Gestione del Sistema d’acquisizione dati
39
Figura 3.13 Confronto tra il segnale analogico visualizzato sull’oscilloscopio e
quello visualizzato con il VI realizzato
In conclusione, si può dire che lo strumento virtuale realizzato, al quale è demandato
il compito di agire da punto di unione per tutti i test effettuati, si è rivelato adatto a
questo tipo di applicazione, in quanto è in grado di integrare in un unico programma,
l’acquisizione, l’elaborazione e la visualizzazione dei dati.
40
Capitolo 4
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
4.1 Fibre Ottiche Scintillanti
Per la realizzazione del setup sperimentale sono state utilizzate due misure
differenti di fibre ottiche scintillanti (figura 4.1) per verificare le dimensioni più
appropriate alle nostre esigenze.
Figura 4.1 - Fibre della BICRON (BCF-60) da 500 µm e da 1 mm
Le fibre scelte sono ricoperte di EMA bianco (per eliminare il cross talk tra fibre) ed
hanno dimensioni nominali di 0.5 e 1.0 mm. L’aggiunta dell’EMA aumenta lo
spessore di 30 microns per le fibre da 1.0 mm e di 60 microns per le fibre da 0.5 mm.
In tabella 4.1 sono evidenziate le caratteristiche nominali delle fibre.
Caratteristiche Nominali Cladding 4% size Multicladding 2% size ExtraMuralAbsorber 10-15 µm Trapping Efficiency 7.3% No. Of Photons/1MeV 7100 (2.3 eV)
Tabella 4.1 – Caratteristiche nominali fibre BRICON BCF-60
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
41
La scelta della sezione quadrata è scaturita dalla necessità di avere un piano
perfettamente adiacente al materiale in polistirene con densità pari ad 1 g/cc, oltre
che dalla necessità di incollare più fibre.
Figura 4.2 - Ribbon di 64 fibre da 0.563 mm nominali
Le fibre assemblate in ribbon sono mostrate in figura 4.2. Emerge lo spessore
additivo di 30 µm per le fibre da 1 mm e 63 µm per quelle da 0.5 mm che occorre
considerare per l’ema e la colla. L’assemblaggio in ribbon, fatto dalla Saint Gobain
rende flessibile il piano, consentendo di posizionare le fibre curvandole per
l’ottimizzazione nel setup. Tale caratteristica è garantita dall’utilizzo di una tecnica
di immersione delle fibre in un materiale plastico, il ribbon cement, che le assembla
in una struttura unica. L’utilizzo della colla optic cement, consente di eliminare lo
spessore aggiuntivo ma introduce una rigidità nei piani e rende difficile il loro
utilizzo per i pericoli di scollamento delle singole fibre. Le fibre da 500 µm,
assemblate in ribbon, sono state prescelte per ottimizzare l’accoppiamento ottico con
gli array di fotodiodi. Per ridurre ulteriormente i problemi di cross talk è stato
selezionato un deposito di EMA nero.
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
42
4.2 Array di fotodiodi hamamatsu S8865
Per ottimizzare l’accoppiamento ottico tra fibre ottiche scintillanti e fotodiodi
di lettura è stato selezionato l’array Hamamatsu S8865-128 che contiene 128
fotodiodi di 300 µm, spaziati 100 µm ed alti 600 µm. Ciascun array copre 51.2 cm.
In figura 4.3 sono mostrati i fotodiodi.
Figura 4.3 - Array di fotodiodi Hamamatsu S8865-128
Ciascun array di fotodiodi è pilotato da un driver di lettura (C9118) come è mostrato
in figura 4.4 . Il sistema delle due schede è lungo circa 11 cm. Ciascun piano di
lettura richiederà 2 array di fotodiodi e 2 circuiti driver per la lettura lungo X ed Y.
Figura 4.4 - Accoppiamento Circuito driver e Array di fotodiodi
Driver/elettronica ArrayDriver/elettronica Array
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
43
Tale integrazione del circuito driver C9118 facilita sostanzialmente la configurazione
del disegno e migliora le prestazioni, rendendo la serie S8865 ideale per applicazioni
del sensore nella rivelazione di radiazioni, con l’aggiunta semplicemente di uno
scintillatore (rif. Cap. 1 par. 6) sul fotodiodo. Inoltre si possono realizzare grandi
zone di rivelazione disponendo allineamenti multipli di array di fotodiodi. I modelli
della serie S8865 disponibili differiscono nel numero di fotodiodi. In figura 4.6 è
mostrato l’array di fotodiodi S8865-128 costituito da 128 fotodiodi allineati. Tutti i
modelli della serie S8865 hanno una risposta spettrale (figura 4.5) compresa in un
range tra 200 nm e 1000 nm e realizzano il picco massimo intorno ai 720 nm.
Figura 4.5 – Risposta spettrale dell’array di fotodiodi S8865.
L’ S8865-128 ha una “corrente di buio” tipica di 0.1 mV, una fotosensibilità pari a
1500 V/lx*s e rumore tipico di 1 mV. La serie S8865 richiede una sola tensione di
alimentazione di 5 V sufficiente a tutti i fotodiodi per trasportare una lettura
sequenziale con un registro a scorrimento.
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
44
4.3 Circuto driver Hamamatsu C9118/C9118-01
Il circuito driver C9118 (figura 4.6) è realizzato con tecnologia CMOS ed è
progettato appositamente per gli array di fotodiodi con amplificatori, della serie
S8865. La funzione che ricopre è quella di pilotare l’array di fotodiodi ad esso
connesso.
Figura 4.6 – Circuito driver hamamatsu C9118
Il C9118 può essere utilizzato in connessione singola o parallela, mentre il C9118-01
(variante dello stesso modello) è utilizzato per connessioni in cascata. Il circuito
driver C9118 è costituito principalmente da due parti:
1) Timing Signal Generator, che sincronizza i segnali M-CLOCK ed M-RESET.
2) Video Signal Processor, che elabora il segnale video.
La figura 4.7 rappresenta il diagramma a blocchi del circuito driver nel quale si
distinguono le due sezioni principali sopra elencate.
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
45
Figura 4.7 – Diagramma a blocchi del C9118
Inoltre dalla figura 4.7 è possibile notare la rappresentazione schematica di tre
connettori differenti attraverso i quali il C9118 si interfaccia con il resto
dell’hardware:
1. S8865 Series: la stessa nomenclatura indica che questo connettore serve per
il collegamento dell’array di fotodiodi della serie S8865 per il quale il
circuito driver è stato progettato.
2-3. CN2 e CN3: i connettori CN2 e CN3 servono rispettivamente per il
collegamento di un controllore esterno (4.8 a) e per il collegamento di più stadi di
lettura (S8865+C9118) in cascata (figura .8b).
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
46
a) b)
Figura 4.8 - a) Connettore CN2 collegato al controller esterno (DAQ). b) Connettori
CN3 collegati al connettore CN2 dello stadio successivo (collegamento in cascata).
I due cavi rappresentati nella figura 4.9 a e 4.9 b sono utilizzati rispettivamente per
effettuare la connessione fisica tra il connettore CN2 ed il controllore esterno (DAQ)
e per connettere due stadi di lettura in cascata (figura 4.8 b). Ciascun conduttore è
distinto da una colorazione diversa e conduce un determinato segnale, come indicato
nella tabella 2.2 .
Figura 4.9 a – Cavo connettore CN2 - controller esterno.
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
47
Figura 4.9 b – Cavo per connettore CN3 con CN2 dello stadio successivo
No.
Conduttore
Colore
Conduttore
Segnale I/O Descrizione
1 Marrone Reset In Definisce il tempo di integrazione ed il tempo di lettura per i fotodiodi
2 Rosso M-Clock In Definisce la durata dei vari eventi
3 Arancione Trigger Out Indica presenza di segnale video
4 Giallo L-EOS Out Indica assenza segnale video
5 Verde In-Start In Segnale di start
6 Blu Gain In Determina l’amplificazione del sensore
7 Viola GND - Massa dei circuiti elettronici di lettura
8 Grigio +5V In Alimentazione Onboard
9 Bianco Video Out Morsetto positivo del segnale video
10 Nero A.GND Out Morsetto negativo (massa) del segnale video
Tabella 4.2 – Descrizione del connettore “CN2” e dei segnali condotti
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
48
4.4 Realizzazione del Setup Sperimentale
Due campioni di fibre, rispettivamente 32 da 1 mm2 di sezione e 64 da 0.5
mm2 di sezione, sono stati utilizzati per costruire il setup da testare in laboratorio e
successivamente su fascio. I due campioni sono assemblati in due ribbon. Ciascuna
fibra contiene per il 6% della lunghezza uno strato di multicladding ed un
rivestimento di circa 30 microns di EMA. Le fibre, lunghe 20 cm, incollate per 10
cm e libere per gli altri 10 cm, sono state incollate anche per i 10 cm in cui non lo
erano, utilizzando della colla vinilica.
I due strati sono stati inseriti tra due spessori di 2 mm di polystyrene trasparente.
Sono state utilizzate due bacchette di perspex per l’incollaggio delle fibre e il
fissaggio di circuiti driver + array di fotodiodi ad un estremo delle fibre.
I due ribbon sono stati avvicinati (separandoli per circa 4 cm) e sono state fissate due
schedine di lettura complete, quindi array di fotodiodi e circuiti driver. Il tutto è stato
rivestito di PVC nero lasciando liberi solo le due aree che si notano in figura 4.10 e
una sottile fessura agli estremi delle fibre opposta al lato dei fotodiodi.
Figura 4.10 - Setup realizzato per i test
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
49
Il fascio laser è stato applicato al sistema con due diverse modalità:
a) quasi ortogonalmente alle fibre;
b) longitudinalmente alle fibre.
In figura 4.11 è mostrato il caso a), dove si può notare il fascetto di luce emergente
all’estremo delle fibre sottoposte al fascio. L’ema non è sufficiente a bloccare la
potenza emessa dal laser. Tale caratteristica può essere osservata sia nelle fibre da 1
mm2 di sezione (figura a) che nelle fibre di 0.5 mm2 (figura b).
Figura 4.11 a) – Fascio visibile nelle fibre da 1 mm2 di sezione
Figura 4.11 b) – Fascio visibile nelle fibre da 0,5 mm2 di sezione
I fasci di luce sono visibili nelle fibre attraversate, anche esternamente, dopo aver
attraversato l’EMA. Il fenomeno è visibile sia sulle fibre da 1 mm2 (figura 4.12 a) ,
sia in quelle da 0.5 mm2 (figura 4.12 b).
Figura 4.12 a) – Fascio visibile esternamente nelle fibre da 1 mm2
Figura 4.12 b) – Fascio visibile esternamente nelle fibre da 0,5 mm2
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
50
4.5 Laser utilizzato per i test
Per effettuare i test in laboratorio attraverso il setup appena descritto, è stato
utilizzato un laser (Orion SkyLine) di 5 mW emettente luce verde di 532 nm (la
medesima generata per scintillazione dalle fibre). Nelle figure 18 e 19 sono mostrate
le caratteristiche della copertura dell’EMA sottoponendo alla luce del laser il ribbon
rispettivamente trasversalmente e longitudinalmente il puntatore laser di tipo “Diode-
pumped solid state” mostrato in figura 4.13.
Figura 4.13 - Laser utilizzato per i test mod. Orion SkyLine
Nella tabella 4.3 sono elencate le caratteristiche principali del laser utilizzato.
Laser Class Class 3R Output wavelength 532 nm Output power
< 5 mW (continuous wave)
Operating current
390 mA
Batteries
Two AAA
Battery life
Up to 4 hours of continuous use
Dimensions
5.8” long (14.73 cm) x 0.5” dia (1.27 cm).
Polarizzazione lineare 50:1 Diametro raggio alla sorgente 1,1 mm Variazione di intensità 10% dopo 20 min. Divergenza 1,2 mRad Vita operativa 2000-3000 ore
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
51
Tabella 4.3 – Caratteristiche laser utilizzato per i test mod. Orion SkyLine
4.6 Test in laboratorio
Utilizzando il setup descritto, si è proceduti ad effettuare vari test, al fine di
caratterizzare la risposta dello stesso. Una volta prodotta la radiazione luminosa,
questa deve essere convertita in un segnale elettrico mediante i rivelatori di luce
(array di fotodiodi); l’informazione che deve essere ottenuta riguarda l’intensità della
luce misurata (emessa dalle fibre) che è proporzionale all’energia della sorgente
luminosa. Il segnale elettrico prodotto dagli array di fotodiodi, in risposta
all’eccitamento prodotto dalla luce emessa dalle fibre ottiche scintillanti, viene poi
acquisito attraverso il sistema d’acquisizione dati (rif. Cap. 2), interfacciandosi poi
con il programma realizzato attraverso il software LabVIEW.
I test che verranno descritti sono stati fondamentali, oltre che per la caratterizzazione
dell’elettronica di lettura, anche per verificare la dimensione dei due campioni di
fibre ottiche scintillanti, per selezionare la più appropriata ai fini del progetto.
Infatti, i due campioni di fibre utilizzati hanno caratteristiche geometriche differenti,
quindi il loro accoppiamento con l’array di fotodiodi, risulta essere differente;
inoltre, il contatto tra l’area sensibile degli array di fotodiodi e le fibre ottiche
scintillanti non è uniforme, di conseguenza esiste una differenza nel segnale elettrico
in uscita dai fotodiodi.
Altri fattori determinanti nei test effettuati sono i parametri scelti per definire il
tempo di integrazione, durante il quale, gli array di fotodiodi accumulano la carica
legata alla sorgente luminosa. Quindi è particolarmente importante studiare il segnale
in uscita dai fotodiodi, variando il tempo d’integrazione.
Il tempo durante il quale i fotodiodi accumulano la carica (Integration Time)
coincide con il tempo durante il quale il segnale M-RESET, fornito attraverso la
scheda d’acquisizione dati, permane allo stato alto.
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
52
La configurazione utilizzata per la connessione dell’elettronica di lettura è la seguente:
Figura 4.14 - Connessione degli stadi in cascata
La connessione con il sistema d’acquisizione dati (external controller, rif. Figura
4.14) è stata effettuata con CN2 del primo stadio.
È importante osservare che la direzione con cui procede la scansione (figura 4.14) è
quella che va dallo stadio di lettura connesso alla scheda d’acquisizione, allo stadio
successivo.
I segnali gestiti dal Daq attraverso il programma realizzato con LabVIEW sono
quelli mostrati nella tabella 4.4:
Segnali di input al DAQ Segnali di output al DAQ
TRIGGER M-CLOCK
VIDEO M-RESET
L-EOS
Tabella 4.4 - Segnali gestiti dal Daq
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
53
4.7 Studio del setup con sorgente luminosa
Facendo uso dello strumento virtuale realizzato con LabVIEW si è studiata la
risposta del sistema di lettura, in funzione della durata del tempo di integrazione
(canale 1 nella figura 4.15) sottoponendo il sistema ad una sorgente luminosa.
Figura 4.15 – Visualizzazione dei segnali di output del circuito C9118su
oscilloscopio
In questa fase di lavoro, lo strumento virtuale realizzato si è rivelato efficiente, in
quanto consente di variare con estrema facilità la durata del tempo di integrazione, di
visualizzare immediatamente su video il segnale acquisito (figura 4.16), ed effettuare
la scrittura su file dei valori assunti da ogni canale, per consentire un’analisi più
approfondita del segnale visualizzato (figura 4.17).
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
54
Figura 4.16 - Visualizzazione del segnale proveniente dai due stadi di lettura
accoppiati ai due campioni di fibre di dimensione 1,0 e 0,5 mm.
Dalla visualizzazione su video, si notano le fluttuazioni del segnale (figura 4.16
segnale di sinistra), che non sono legate alle caratteristiche dei fotodiodi, ma
all’accettanza geometrica, ovverosia la luce non è perfettamente focalizzata nell’area
attiva, ma solo una parte dell’area della fibra si sovrappone sull’area sensibile del
fotodiodo. La calibrazione dovrà quindi tenere conto di queste variazioni di
accettanza e verrà effettuata su fascio utilizzato per la terapia.
I dati raccolti hanno consentito di fare una serie di osservazioni sul sistema che si è
utilizzato. Nella figura 4.17 sono riportati le ampiezze in volt dei 256 canali (asse Y),
associati ai fotodiodi delle due schede di lettura, in funzione del numero di canale
(fotodiodo, asse X) quando viene fatto variare il tempo di integrazione (Integration
time). Per ciascuna lettura solo alcuni dei 256 canali sono accoppiati otticamente ai
due ribbon. I canali della prima schedina, da 8 ad 89 (corrispondenti a 32.8 mm)
sono accoppiati alle 32 fibre di 1 mm (lato sinistro). I canali della seconda schedina,
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
55
da 146 a 230 (corrispondenti a 34.0 mm) sono accoppiati alle 64 fibre di 0.5 mm
(lato destro). Gli altri canali (1÷7; 90÷145; 231÷256) sono oscurati.
La parte superiore della figura 4.17 conferma quanto è stato verificato con lo studio
della sola elettronica (figura 4.18); variando il tempo di integrazione della carica si
riesce a coprire l’intero range dinamico dei fotodiodi (0.4÷4.7 V).
È evidente che la curva con ampiezza maggiore (4,7 V) è quella relativa ad un tempo
di integrazione maggiore, motivo per cui i fotodiodi raggiungono il livello di
saturazione. In tale figura sono tuttavia presenti fluttuazioni tra i diversi canali
superiori a quelli osservati in figura 4.17.
Figura 4.17 - Ampiezza in Volt dei 258 canali dei due array di fotodiodi connessi in cascata
Realizzazione Setup e Risultati Test in Laboratorio
56
Figura 4.18 - Lettura degli array di fotodiodi non accoppiati alle fibre
L’efficienza quantica produce la dispersione della figura 4.18. Nella figura 4.17 si
sovrappone la dispersione legata all’accettanza geometrica. Ciascun fotodiodo di 0.3
mm e pitch di 0.4 mm vede solo una parte sensibile delle fibre. Tale sovrapposizione
differenzia la risposta dei diversi canali e genera quasi una periodicità nella risposta.
In figura 4.17 si nota che l’andamento è più rilevante nei canali associati alle fibre da
1 mm.
I canali 146÷230, associati alle fibre da 0.5 mm, presentano anche delle regioni in cui
la risposta del sistema è più bassa dei canali vicini, questi ultimi canali sono relativi a
fibre che hanno subito un deterioramento. Tali risultati confermano la decisione di
ricevere le fibre già lavorate otticamente ed assemblate in ribbon. In tal modo sono
ridotte le possibilità di danneggiamento in sede. Lo studio ottico consente di ricavare
fattori di conversione da associare a ciascun canale che includa l’efficienza quantica
e l’accettanza geometrica. E’ comunque più significativo effettuare la calibrazione
sottoponendo il sistema a fascio di elettroni di cui si conosce la dose rilasciata.
57
Conclusioni
Per la realizzazione del sistema di lettura si è scelto di utilizzare l’hardware ed il
software (LabVIEW) della National Instruments, tale scelta ha notevolmente
semplificato lo sviluppo del sistema di lettura. Lo strumento virtuale realizzato, al
quale è stato demandato il compito di agire da punto di unione per tutti i test
effettuati, si è rivelato adatto a questo tipo di applicazione, in quanto è in grado di
integrare in un unico programma, l’acquisizione, l’elaborazione e la visualizzazione
dei dati acquisiti. Per la caratterizzazione del sistema di lettura è stato realizzato un
setup sperimentale costituito da due array di fotodiodi; ciascun array è accoppiato da
un lato ad un estremo delle fibre e dall’altro lato al circuito driver che ha il compito
di pilotare l’array. Le fibre accoppiate ai due array di fotodiodi hanno sezione
differente (0,5 e 1,0 mm²).
Utilizzando il setup sperimentale, si è proceduti ad effettuare vari test, al fine di
caratterizzare la risposta del setup e selezionare la sezione delle fibre ottiche
scintillanti più appropriata per la realizzazione del dosimetro dedicato. Infatti i due
campioni di fibre accoppiati agli array di fotodiodi hanno caratteristiche geometriche
differenti, quindi il loro accoppiamento con l’array di fotodiodi, risulta essere
differente, di conseguenza è risultato differente il segnale elettrico in uscita dai due
array di fotodiodi. Lo studio della risposta è stato condotto in funzione della durata
del tempo di integrazione (durante il quale, gli array di fotodiodi accumulano la
carica) sottoponendo il sistema ad una sorgente luminosa. In questa fase, lo
strumento virtuale realizzato si è rivelato un ottimo strumento sperimentale, in
quanto consente di variare con estrema facilità la durata del tempo di integrazione.
L’analisi dei segnali ottenuti dai test hanno mostrato fluttuazioni del segnale che non
sono legate alle caratteristiche dei fotodiodi, ma all’accettanza geometrica, ovverosia
la luce non è perfettamente focalizzata nell’area attiva, ma solo una parte dell’area
della fibra si sovrappone sull’area sensibile del fotodiodo. Altra caratteristica rivelata
dai test è che variando il tempo di integrazione della carica si riesce a coprire l’intero
range dinamico dei fotodiodi (0.4÷4.7 V). Ed ancora, si è potuto osservare che
ciascun fotodiodo di 0.3 mm e pitch di 0.4 mm vede solo una parte sensibile delle
fibre. Tale sovrapposizione differenzia la risposta dei diversi canali e genera quasi
58
una periodicità nella risposta. Tali risultati suggeriscono la decisione di ricevere le
fibre già lavorate otticamente ed assemblate in ribbon. In tal modo sono ridotte le
possibilità di danneggiamento in sede. Lo studio ottico consente di ricavare fattori di
conversione da associare a ciascun canale che includa l’efficienza quantica e
l’accettanza geometrica.
59
Bibliografia
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Manuali National Instruments controller embedded NI PXI-8187 reference manual.
National Instruments Acquisition Device NI PXI-6132 S reference manual.
National Instruments Block Connector NI BNC-2110 reference manual.
National Instruments Digitalizer NI PXI-5112 reference manual.
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Siti Internet www.ni.com
www.hamamatsu.com