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ORAZIO LAUDANI

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Orazio Laudani, insegnante, ha condotto diverse ricerche storiche e archeologiche in Veneto e in Sicilia; è stato Presidente del Museo Civico di Conegliano, Ministro O.F.S. Nell’ambito della storia del Francescanesimo, ha aggiunto ulteriori nuove considerazioni rivalutando le fonti sulla nascita del Terz’Ordine in Cannara (Perugia), (Rivista Tau 2001, portale web dell’O.F.S. di Conegliano). E’ conduttore di una trasmissione radiofonica di cultura cattolica presso l’emittente Diocesana “Radio Palazzo Carli” di Sacile (Diocesi di Vittorio Veneto). E’ vice Ministro della fraternità O.F.S. di Conegliano.

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Il presente lavoro vuole essere semplicemente un piccolo contributo alla grande causa dell’Ordine dei laici francescani della Chiesa Cattolica, storicamente definito Terz’Ordine Francescano, in particolare sulle sue origini. Nell’essenzialità del testo emerge con sufficiente evidenza dove e quando tutto ciò è avvenuto. La ricerca propone come cardine dell’indagine la voce autorevole della Chiesa, gli scritti di Francesco e delle Fonti Francescane, le Bolle papali, alcune testimonianze storico-artistiche e la tradizione dei luoghi d’indagine. Ringrazio in modo particolare l’amico Mario Scaloni, cannarese, per il prezioso contributo nella ricerca d’archivio. Ringrazio inoltre tutta la fraternità O.F.S. di Cannara, la ministra Lucia e lo storico Ottaviano Turrioni, Consigliere Regionale O.F.S. dell’Umbria, per la loro fraterna accoglienza e competente disponibilità.

Orazio laudani

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ORIGINE DEL TERZ'ORDINE

el prologo della Regola dei Francescani Secolari viene riportata l'esortazione o lettera di S. Francesco “ ai fratelli e alle sorelle della penitenza ”. Questa lettera, a cui ne segue una seconda , “ si configura come un semplice e

chiarissimo programma di vita penitenziale per quanti vogliono vivere evangelicamente nel mondo” (come si legge nell’introduzione alle lettere di Francesco nelle Fonti Francescane ). Lo scritto si può datare all’anno 1215 attraverso analisi filologiche dei termini e dei contenuti in parallelo con altri testi dello stesso periodo. La prima lettera ai fedeli è il primo scritto fondamentale di Francesco verso i primi, ma già numerosi, fratelli laici; infatti nell'anno 1221 la Curia Romana emanò il " Memoriale propositi " che i penitenti accolsero, aggiungendo, alle volte e secondo la facoltà loro concessa, altre norme particolari ( J. Zudaire ).

Il Memoriale è in pratica il primo atto ufficiale della Chiesa di Roma dato come regola ai laici del tempo che, infiammati dal poverello d'Assisi, volevano seguirne nel loro stato, la forma di vita. In modo più esplicito Papa Nicolò IV, cardinale francescano che nel suo pontificato ebbe tanta considerazione per S. Francesco, dirà nella bolla "Supra Montem" nel 1289 a Rieti, nel secondo anno del suo pontificato, scrivendo quanto segue : "La presente forma di vita è stata istituita dal già lodato beato Francesco "( FF 3385, 3365 ). In quest'atto il Papa, a pochi anni dalla morte del serafico Patriarca, oltre a confermare con forza apostolica la paternità della nascita del Terz’Ordine a San Francesco, organizza in modo più completo e articolato il vasto movimento laicale, scrive per loro una vera Regola e riprende lo spirito della prima lettera ai fedeli del Poverello. Un documento datato 3 gennaio 1304 ( Archivio Sacro Convento ), testimonia la professione religiosa emessa da otto "fratres" e quaranta "sorores" nella chiesa superiore di san Francesco d’Assisi; il documento fa riferimento ad un anno di prova compiuto dai professi e menziona i due ministri della fraternità ( Ziaco da Petriolo e Ceccolo di Massolo di Pietro ). Tutto ciò dimostra il dinamismo dei primi laici francescani che dopo la bolla “Supra Montem” si chiameranno per secoli Terziari; le loro riunioni ad Assisi avvenivano nello spazio antistante l’altare di S. Caterina, di fronte all’entrata della Basilica inferiore, dove nel lato destro sono rimaste sul pavimento due piastrelle votive a ricordo della numerosa presenza dei laici del Terz’Ordine. Non c'è nessun dubbio quindi che Francesco e i suoi frati abbiano suscitato il vasto movimento secolare così come scrisse anche Papa Benedetto XV nella lettera enciclica "Sacra propediem", emanata il 6 gennaio 1921: "quanto profondamente S. Francesco sia stato il vero fondatore del Terz’ordine, alla stessa maniera che lo era stato del Primo e del Secondo, così senza dubbio egli ne fu il sapientissimo legislatore".

La domanda che spesso si pongono i Terziari secolari è dove tale movimento fisicamente abbia avuto inizio. Ai tempi di Francesco esistevano già gruppi di penitenti che anche senza regole precise si ponevano alla sequela di Cristo; il

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Poverello di Assisi seppe arginare e indirizzare questi come altri e più numerosi gruppi di laici.

E' esplicito infatti nella Leggenda dei tre compagni : " Anche gli uomini ammogliati e le donne maritate, non potendo svincolarsi dai legami matrimoniali, dietro suggerimento dei frati, praticavano una più stretta penitenza nelle loro case". In tal modo per mezzo di Francesco, perfetto adoratore della Trinità, la Chiesa di Dio fu rinnovata da questi tre ordini" (FF 1472).

Di questa terza famiglia francescana parlano:1 Cel.37; Giuliano da Spira, Vita, II, 14; IV, 23; Officium in Noct. 14; Ad Laudes, 18; Enrico d’Avranches, Leg. Versificata, X, XVIII; Vita di Papa Gregorio IX ( FF 2271); Leg. mag. 4,5 – 6; Bernardo da Bessa, Liber de Laudibus beati Francisci, VII ( AF III, p. 686); testimonianze anteriori alla bolla di Nicolò IV. Cfr. anche I Fioretti XVI ( nota FF 1472).

Secondo la tradizione la nascita del Terz'Ordine è legata ad uno degli avvenimenti più celebrati dell'arte francescana: la predica agli uccelli. Fu infatti dopo un invito alle rondini di tacere a Cannara, vicino ad Assisi, che la popolazione infiammata dall'ardore del santo cercò di seguirlo, ma lui espressamente disse : " Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per la salute dell'anime vostre". E allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti"( FF 1846 ). Dunque anche se il Celano come il Bonaventura parlano del Terzo Ordine è solo nei Fioretti che ne viene indicata l’ubicazione: " E così lasciandoli molto consolati e ben disposti a penitenza si partì quindi e venne tra Cannaio e Bevagno " ( FF 1846 ). A Cannara esiste infatti una lapide nel frontone della chiesa di S. Francesco che ricorda l'avvenimento. La scritta è in latino medievale ed è un riferimento sicuro che dà ulteriore certezza all'avvenimento raccolto dai fioretti. Per ciò che riguarda il nome della località Savurniano le stesse Fonti in nota a pag. 899 parlano espressamente di errore di trascrizione degli antichi codici, bensì che si tratta di Cannara, località tra Assisi e Montefalco. E dove, possiamo aggiungere noi, poteva Dio dare a Francesco l'ispirazione di completare i suoi Ordini se non vicino ad Assisi dove egli era nato, dove morirà e dove aveva fondato i primi due Ordini. Scrive Fernando Uribe: "E' la chiesa della Buona Morte di Cannara il luogo dove ebbe perciò inizio il Terz'Ordine francescano e secondo la tradizione locale Francesco impose l'abito della penitenza al beato Lucio Modestini. Di fronte alla chiesa esiste un palazzo dove una volta sorgeva l'ospedale servito un tempo dai frati Minori. Viene ancora indicato il posto dove esisteva una volta la celletta in cui dimorò varie volte Francesco" ( F. Uribe – Itinerari francescani – Ed. Mesaggero Padova 1997 ). Anche lo storico francescano padre S. J. Piat ritiene l’indicazione di Cannara fra le più valide ( P. S. J. Piat – Con Cristo povero e crocifisso –vol. 2 pag. 362 ).

Dicono le Fonti Francescane: "E santo Francesco si puose a predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto che egli avesse predicato. E le rondini l'ubbidirono ed ivi predicò in tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per divozione gli volsono andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: " Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per la salute dell'anime vostre". E

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allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza si partì quindi e venne tra Cannaio e Bevagno" (FF.1846). Scrive S. Bonaventura, al quale Benedetto XVI ha dedicato ben tre Udienze Generali del mercoledì nel 2010, nella sua Legenda Maggiore: " Moltissimi infiammati dalla sua predicazione, si vincolavano alla nuove leggi della penitenza, secondo la forma indicata dall'uomo di Dio. Il servo di Cristo stabilì che la forma di vita si denominasse Ordine dei fratelli della Penitenza". Questo nuovo Ordine ammetteva tutti, chierici e laici, vergini e coniugi dell'uno e dell'altro sesso perché la via della penitenza è comune per tutti quelli che vogliono tendere al cielo" ( FF. 1073) .

Cannara è situata in Umbria, tra Assisi e Spello, proprio di fronte al monte Subasio distesa nella verde valle spoletana, alla confluenza tra i fiumi Timia e Topino, a 193 metri sul livello del mare. Gode di antiche origini romane quando era municipio e si chiamava Urbinum Hortense, ma vanta soprattutto nobilissime origini francescane. Qui infatti il mirabile poverello di Assisi istituì il Terz’Ordine, qui completò spiritualmente la propria famiglia francescana, qui a Pian d’Arca predicò agli uccelli e sempre qui ogni tanto si rifugiava in preghiera e meditazione.

Sulla nascita del Terz’Ordine a Cannara esiste una data - solo oralmente ricordata - , il 16 maggio 1221 e chi fu il primo Terziario: Lucio Modestini. Ciò risulta dalla relazione dello storico Idaspe Pinquicetti, al secolo fra Giuseppe Cittadini , l'originale di tale relazione si trova negli archivi del Sacro convento di Assisi, relazione che va poi a riprendere in toto il manoscritto del prologo della Regola dei fratelli e sorelle della Penitenza o dei Continenti ( come venivano chiamati a quel tempo i Terziari e come viene espressamente scritto nelle prima lettera ai fedeli di S. Francesco) scritta dal Vescovo Nicolò per i cannaresi. Il Vescovo indica la data del 1221 per richiamare il "Memoriale Propositi". A Cannara esiste il luogo dove avvenne la vestizione del primo penitente Lucio Modestini, cognome ancora vivo nella zona, ed è la Chiesa delle sacre stimmate di S. Francesco o della Buona morte.

A conclusione della sua precisa relazione del 1763, munita di sigilli e di firma notarile, il Pinquicetti spiega che a Cannara spesso veniva S. Francesco e anche i suoi compagni Leone, Ruffino e Bernardo di Quintavalle e liquida la questione di Poggibonsi dicendo che non si ha nessun dato comprovante la nascita in quel luogo del Terz’Ordine. Di Cannara invece ne parlano già le antiche Fonti Francescane ed esiste un affresco del cinquecento nella basilica di S. Maria degli Angeli della Porziuncola dove viene raffigurato S. Francesco mentre predica ai laici di Cannara e istituisce l'ordine dei penitenti. Sotto il dipinto una scritta latina in rilievo recita che a Cannara il primo patriarca istituisce il Terz'Ordine. L’affresco, abbastanza grande e ben visibile nelle giornate di sole è opera del pittore Croce e si trova nella parete sinistra della quarta cappella di destra della Basilica di Santa Maria degli Angeli alla Porziuncola, quella dedicata a S. Pio V, il Papa che decise appunto la costruzione della grande chiesa di Assisi per raccogliere e proteggere il luogo più caro a Francesco, caput e mater dell’Ordine dei frati Minori come si legge nel frontone della facciata esterna.

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Scrive il Pinquicetti: “ Carnerio ( Cannara) era cinta di mura, fortificata con torri e baluardi e tanto forte che sembrava fortezza, come mostrano le sue vestigia e vi era la residenza della Giustizia, Avvocati e Procuratori,” fra i quali viene nominato Bartolomeo, “ che lasciò la Procura delle liti terrene per procurarsi il Regno del Cielo e vestitosi l’abito del Terz’Ordine nel 1222 crebbe in tanta santità di vita e familiarità del Padre San Francesco che gli diede autorità di poter ricevere gli uomini e le donne nel Terz’Ordine in suo luogo e per sempre”.

Il Pinquicetti preso da comprensibile entusiasmo fa la chiosa:“ Quante visioni, quante visite degli Angioli, dei Santi e delle Santissima Vergine ebbero qui li novelli Santi ( Francesco e i suoi compagni ) e non sono scritti: cento e più volte il gran contemplativo Egidio stando quivi nel vedere il Terrestre Cielo di questa benedetta valle e gli ameni e deliziosi colli… si alzava alla contemplazione del Paradiso e veniva rapito in Cielo e tant’altri Beati Compagni nelli ragionamenti col popolo di Carnerio venivano inebriati di dolcezza e pasciuti della manna del Paradiso. Onde con verità potevano dire Carnerio Villa del Paradiso, nova Betania e deliziosissimo giardino dei Santi”. Tanti appellativi anche impegnativi che non sono stati valorizzati. Benissimo oggi l’antica Carnerio si potrebbe chiamare Cannara del Terz’Ordine Francescano .

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Actus Beati Francisci et Sociorum Eius li Actus beati Francisci et sociorum eius furono scritti tra il 1322 e il 1328 ( o tra il 1327 e il 1340), probabilmente da fra Ugolino da Monteregio (o Montegiorgio), con la collaborazione di un altro frate, da alcuni identificato

con Ugolino da Sormano, nipote del primo. Contengono molti elementi di una fresca e genuina tradizione orale risalente a Leone, Masseo ed Egidio e il testo si compone di 75 capitoli. Nella seconda metà del secolo XIV un altro frate ne tradusse in italiano 53 capitoli e vi aggiunse di suo le Considerazioni sulle stimmate. Questo frate, quasi sicuramente toscano da una analisi agiografica del testo è da alcuni identificato con Giovanni dei Marignolli, fiorentino e ciò esclude che il luogo della nascita del terz’Ordine possa essere Poggibonsi o Firenze, come scriverà più tardi Mariano da Firenze nel XVI secolo, ma senza alcun tipo di riscontro oggettivo, altrimenti tale luogo sarebbe stato già citato prima. Sia gli Actus che i Fioretti sono di basilare importanza per l'identificazione del luogo e del tempo dove il serafico padre S. Francesco dette vita al Terz' Ordine per i laici, all'epoca chiamati Fratelli e Sorelle della penitenza ( I Penitenti d'Assisi). Sia il testo latino che la traduzione in fiorentino dei Fioretti riportano infatti il luogo di Cannara. Mariano da Firenze porta avanti la sua tesi probabilmente perché nel capoluogo toscano erano già numerosi i laici francescani. Infatti Cosimo I de’ Medici nell’organizzare le opere di carità e di assistenza ospedaliera chiamò oltre ai “ buonuomini del Bigallo” anche il Vescovo di Assisi Angelo de’ Marzi de’ Medici. Infatti l’ospedale di San Paolo era stato istituito dai Terziari francescani dopo il soggiorno di San Francesco a Firenze.

(Arnaldo D’Addario, L’istituzione dei “Buonuomini del Bigallo” e la subordinazione degli enti ospitalieri ed assistenziali fiorentini alla direttiva centralistica del principato di Cosimo I de’ Medici, “Arch. Stor. Ital.”, 157 (1999), pp. 691-725 ).

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Caput XVI - Qualiter Deus revelavit s. Clare et fr. Silvestro

quod s. Franciscus deberet predicare.

1 Tempore quo s. Franciscus in sue conversionis principio, cum iam plures socios aggregasset, positus fuit in magne dubitationis agone, an scilicet vacaret orationi continue, an predicationi aliquando intenderet. 2 Et cupiebat valde scire quod amplius placeret D. Ihesu Cristo. Et s. humilitas s. Franciscum non permittebat de seipso presumere; ideo ad aliorum refugium se convertit, quorum orationibus divinum beneplacitum inveniret. 3 Unde vocavit fr. Masseum et ait illi: “Carissime, vade ad Claram et dicas ei ex parte mea quod ipsa cum aliqua de spiritualibus sociabus suppliciter Deum roget, ut indicet michi an aliquando predicem, an vacem orationi continue. 4 Vadas etiam ad fr. Silvestrum, qui moratur in monte Subasio, et dicas ei similiter”.

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Iste fuit ille dompnus Silvester, qui crucem auream vidit procedentem ex ore Francisci in longum usque ad celos et in latum usque ad mundi fines. Qui erat tante devotionis et gratie, quod quicquid postulabat, statim exaudiebatur a Deo. 5 Singulariter Spiritus sanctus etiam fecerat eum dignum divino eloquio; propterea s. Franciscus magnam devotionem et fidem habebat in eo. Morabatur ipse fr. Silvester solus in loco predicto. 6 Fr. vero Masseus, prout a s. Francisco sibi fuerat imperatum, primo b. Clare et postea fr. Silvestro ambasiatam predictam imposuit. 7 Fr. autem Silvester statim ad orandum perrexit; et cum oraret, statim habuit divinum responsum. 8 Et statim exivit ad fr. Masseum, dicens: “Hec dicit Deus: ut dicas fr. Francisco quod ipsum non propter se solum vocavi, sed ut fructum faciat animarum et multos per eum lucretur”. 9 Post hec fr. Masseus rediit ad s. Claram, ut sciret quid a Domino impetrasset. Que respondit quod tam ipsa quam socia responsum habuerunt a Domino responsioni fr. Silvestri per omnia simile. 10 Rediit ergo fr. Masseus ad s. Franciscum. Quem sanctus in caritate recipiens, pedes abluendo refectionemque parando; sumpto cibo, fr. Masseum vocavit in silvam, 11 et, nudato capite cancellatisque manibus, genuflexit, interrogavit, dicens: “Quid iubet D.n. Ihesus Cristus ut faciam?”. Respondit fr. Masseus quod tam fr. Silvestro quam sorori Clare et socie una fuit Cristi benedicti responsio: 12 scilicet quod vult ut vadas ad predicandum, quia non vocavit te propter te solum sed propter salutem etiam aliorum. 13 Et tunc facta est manns Domint super (cfr. Ez 1,3) s. Franciscum; et in fervore spiritus surgens, totus ignitus virtute Altissimi, dixit: “Eamus in nomine Domini!”. 14 Et assumpsit sibi in socios fr. Masseum et fr. Angelum, sanctos viros; et cum iret quasi fulgur in impetu spiritus, non attendens ad viam vel ad semitam, pervenerunt ad castrum quod dicitur Cannarium, 15 et predicavit ibi in tanto fervore et miraculo yrundinum que ad eius imperium tacuerunt, quod omnes illi de Cannario, mares et mulieres, volebant ire, relicto castro, post eum. 16 Sanctus vero Franciscus ait illis: “Non festinetis, et ego ordinabo quid pro salute vestra facere debeatis”. Et ex tunc cogitavit facere Ordinem tertium, ut salutem omnium universaliter procuraret. 17 Et dimittens illos valde consolatos et ad penitentiam dispositos, recessit inde et venit inter Cannarium et Bevanium. 18 Et transiens per territorium illud in dicto fervore cum sociis antedictis, respexit quasdam arbores iuxta viam in quibus residebat tanta multitudo avium diversarum, quod nunquam in partibus illis fuit visa similis multitudo. In campo insuper iuxta predictas arbores multitudo maxima diversarum avium residebat. 19 Quam multitudinem s. Franciscus prospiciens et admirans, facto super se Spiritu Dei, dixit sociis: “Vobis hic in via me expectantibus, ibo et predicabo sororibus meis aviculis”. Et intravit in campum ad aves que residebant in terra. 20 Et statim quod predicare incepit, omnes aves in arboribus residentes descenderunt ad eum et simul cum illis de campo immobiles permanserunt, cum tamen s. Franciscus iret inter eas plurimas tunica contingendo.

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21 Et nulla earum penitus movebatur, sicut recitavit fr. Iacobus de Massa, sanctus homo, qui omnia supradicta habuit ab ore fr. Massei, qui in illo miraculo erat socius s. patris. 22 Quibus avibus s. Franciscus ait: “Multum tenemini Deo, sorores mee aves, et debetis eum semper et ubique laudare propter liberum quem habetis ubique volatum, propter vestitum duplicatum et triplicatum, propter habitum pictum et ornatum, 23 propter victum sine vestro labore paratum? propter cantum a Creatore vobis intimatum, propter numerum ex Dei benedictione multiplicatum, propter semen vestrum a Deo in arca Noe reservatum, propter elementum aeris vobis deputatum. 24 Vos non seminatis, nec metitis, et Deus vos pascit (cfr. Luc 12,24), et dat flumina et fontes ad potum, montes et colles, sassa et ibices ad refugium et arbores altas ad nidum; et cum nec filare nec nere sciatis, prebet tam vobis quam vestris filiis necessarium indumentum. 25 Unde multum diligit vos Creator, qui vobis tot beneficia contulit. Quapropter cavete, vos mee avicule, ne sitis ingrate, sed semper laudare Deum studete”. 26 Ad hec sanctissimi verba patris omnes ille aves ceperunt aperire rostra, expandere alas et extendere colla, et reverenter usque ad terram flectere capita, et suis cantibus et gestibus demonstrare quod verba que dixerat s. pater eas multipliciter delectabant. 27 Et s. vero pater, similiter cum hec aspiceret, mirabiliter in spiritu exultabat; et mirabatur de tanta multitudine avium et de varietate pulcherrima, de ipsarum etiam affectione et familiaritate concordi; 28 et propterea ipse in eis laudabat mirabiliter Creatorem et ipsas ad Creatoris laudem dulciter invitabat. 29 Completa vero predicatione et laudis Dei exhortatione, fecit omnibus illis avibus signum crucis et, eas licentians, de laude Dei instanter admonuit. 30 Tunc omnes ille aves simul in altitudine se levaverunt et in aere simul fecerunt magnum et mirabilem cantum; et, completo cantu, secundum crucem a s. patre factam se cruciformiter diviserunt et in partes quatuor iter direxerunt. 31 Et quelibet pars in altum cum cantu mirabili se levando, ad unam de quatuor partibus mundi se direxit: una versus orientem, alia versus occidentem, tertia versus meridiem et quarta versus aquilonem; 32 ostendentes quod, sicut eis erat predicatum a sanctissimo et futuro s. crucis signifero, sic se in crucis modum diviserunt; cantando vero cruciformiter per quatuor mundi partes volabant; 33 innuentes quod crucis predicatio, per patrem sanctissimum renovata, per totum mundum per eius fratres erat portanda: qui more avium nichil proprium possidentes in terra, solius Dei providentie se committunt. 34 Et ideo tales per Cristum aquile appellantur, cum dixit: “Ubicumque fuerit corpus, illic congregabuntur et aquile (Mat 24,28)”. Qui sancti qui sperant in Domino assumunt pennas ut aquile, volabunt ad Dominum et non deficient (cfr. Is 40,31) in eternum. Ad laudem et gloriam D.n. Ihesu Cristi. Amen.

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Ed ecco il testo dei Fioretti tratto appunto dal cap XVI degli Actus:

( dal codice cartaceo di Roma, Bibl. S.S. Apostoli. ms. XIV.C.XXI )

CAPITOLO XVI

Come santo Francesco, ricevuto il consiglio di santa Chiara e del santo frate Silvestro, che dovesse predicando convertire molta gente e fece il terzo Ordine e predicò agli uccelli e fece stare quete le rondini.

L'umile servo di Cristo santo Francesco, poco tempo dopo la sua conversione, avendo già raunati molti compagni e ricevuti all' Ordine, entrò in grande pensiero e in grande dubitazione di quello che dovesse fare: ovvero d'intendere solamente ad orare, ovvero alcuna volta a predicare, e sopra ciò disiderava molto di sapere la volontà di Dio.

E però che la santa umiltà, ch' era in lui, non lo lasciava presumere di sè nè di sue orazioni, pensò di cercarne la divina volontà con le orazioni altrui. Onde egli chiamò frate Masseo e dissegli così: « Va' a suora Chiara e dille da mia parte ch' ella con alcune delle più spirituali compagne divotamente preghino Iddio, che gli piaccia dimostrarmi qual sia il meglio: ch'io intenda a predicare o solamente all' orazione. E poi va' a frate Silvestro e digli il simigliante.

Quello era stato nel secolo messere Silvestro, il quale avea veduto una croce d' oro procedere dalla bocca di santo Francesco, la quale era lunga insino al cielo e larga insino alla stremità del mondo; ed era questo frate Silvestro di tanta divozione e di tanta santità, che di ciò che chiedea a Dio, e' impetrava ed era esaudito, e spesse volte parlava con Dio; e però santo Francesco avea in lui grande divozione.

Andonne frate Masseo e, secondo il comandamento di santo Francesco, fece l'ambasciata prima a santa Chiara e poi a frate Silvestro. Il quale, ricevuta che l' ebbe, immantanente si gittò in orazione e orando ebbe la divina risposta, e tornò a frate Masseo e disse così: « Questo dice Iddio che tu dica a frate Francesco: che Iddio non l' ha chiamato in questo stato solamente per sè, ma acciò che faccia frutto delle anime e molti per lui sieno salvati.

Avuta questa risposta, frate Masseo tornò a santa Chiara a sapere quello ch' ella aveva impetrato da Dio. Ed ella rispuose ch' ella e 1' altre compagne aveano avuta da Dio quella medesima risposta, la quale avea avuta frate Silvestro.

Con questo ritorna frate Masseo a santo Francesco, e santo Francesco il ricevè con grandissima carità, lavandogli li piedi e apparecchiandogli desinare. E dopo 'l mangiare, santo Francesco chiamò frate Masseo nella selva e quivi dinanzi a lui s'

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inginocchia e trassesi il cappuccio, facendo croce delle braccia, e domandollo: « Che comanda ch' io faccia il mio Signore Gesù Cristo? ». Risponde frate Masseo: « Sì a frate Silvestro e sì a suora Chiara colle suore che Cristo avea risposto e rivelato che la sua volontà si è che tu vada per lo mondo a predicare, però ch' egli non t'ha eletto pure per te solo, ma eziandio per salute degli altri.

E allora santo Francesco, udito ch' egli ebbe questa risposta e conosciuta per essa la volontà di Cristo, si levò su con grandissimo fervore e disse: «Andiamo al nome di Dio ». E prende per compagno frate Masseo e frate Agnolo, uomini santi.

E andando con empito di spirito, sanza considerare via o semita, giunsono a uno castello che si chiamava Cannario. E santo Francesco si puose a predicare, e comandò prima alle rondini che tenessino silenzio infino a tanto ch' egli avesse predicato. E le rondini l' ubbidirono. Ed ivi predicò in tanto fervore, che tutti gli uomini e le donne di quel castello per divozione gli volsono andare dietro e abbandonare il castello; ma santo Francesco non lasciò, dicendo loro: « Non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per salute dell' anime vostre ». E allora pensò di fare il terzo Ordine per universale salute di tutti. E così lasciandoli molto consolati e bene disposti a penitenza, si partì quindi e venne tra Cannaio e Bevagno.

E passando oltre con quello fervore, levò gli occhi e vide alquanti arbori allato alla via, in su' quali era quasi infinita moltitudine d' uccelli; di che santo Francesco si maravigliò e disse a' compagni: « Voi m' aspetterete qui nella via, e io andrò a predicare alle mie sirocchie uccelli ». E entrò nel campo e cominciò a predicare alli uccelli ch' erano in terra; e subitamente quelli ch' erano in su gli arbori se ne vennono a lui insieme tutti quanti e stettono fermi, mentre che santo Francesco compiè di predicare, e poi anche non si partivano infino a tanto ch' egli diè loro la benedizione sua. E secondo che recitò poi frate Masseo a frate Jacopo da Massa, andando santo Francesco fra loro, toccandole colla cappa, nessuna perciò si movea. La sustanza della predica di santo Francesco fu questa: « Sirocchie mie uccelli, voi siete molto tenute a Dio vostro creatore, e sempre e in ogni luogo il dovete laudare, imperò che v' ha dato la libertà di volare in ogni luogo; anche v'ha dato ilvestimento duplicato e triplicato, appresso, perchè elli riserbò il seme di voi in nell' arca di Noè, acciò che la spezie vostra non venisse meno nel mondo, ancora gli siete tenute per lo elemento dell' aria che egli ha deputato a voi. Oltre a questo, voi non seminate e non mietete, e Iddio vi pasce e davvi li fiumi e le fonti per vostro bere, e davvi li monti e le valli per vostro refugio, e gli alberi alti per fare li vostri nidi. E con ciò sia cosa che voi non sappiate filare nè cucire, Iddio vi veste, voi e' vostri figliuoli. Onde molto v'ama il vostro Creatore, poi ch' egli vi dà tanti benefici; e però guardatevi, sirocchie mie, del peccato della ingratitudine, e sempre vi studiate di lodare Iddio ». Dicendo loro santo Francesco queste parole, tutti quanti quelli uccelli cominciarono ad aprire i becchi e distendere i colli e aprire l' alie e riverentemente inchinare li capi infino in terra, e con atti e con canti dimostrare che'l padre santo dava loro grandissimo diletto. E santo Francesco con loro insieme si rallegrava e dilettava, e maravigliavasi molto di tanta moltitudine d' uccelli e della loro bellissima varietà e della loro attenzione e famigliarità; per la qual cosa egli in loro divotamente lodava il Creatore.

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Finalmente compiuta la predicazione, santo Francesco fece loro il segno della Croce e diè loro licenza di partirsi e allora tutti quelli uccelli si levarono in aria con maravigliosi canti, e poi secondo la Croce ch' avea fatta loro santo Francesco si divisono in quattro parti; e l' una parte volò inverso l' oriente, e l' altra parte verso l' occidente, e l' altra parte verso lo meriggio, e la quarta verso l'aquilone, e ciascuna schiera n' andava cantando maravigliosi canti; in questo significando che come da santo Francesco gonfaloniere della Croce di Cristo era stato a loro predicato e sopra loro fatto il segno della Croce, secondo il quale egli si divisono in quattro parti del mondo; così la predicazione della Croce di Cristo rinnovata per santo Francesco si dovea per lui e per li suoi frati portare per tutto il mondo; li quali frati, a modo che gli uccelli, non possedendo nessuna cosa propria in questo mondo, alla sola provvidenza di Dio commettono la lor vita.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen

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ome avviene per le cose importanti, tanti sono coloro che vorrebbero fregiarsi del titolo di primogenitura del Terz’Ordine, non fosse altro perché in tanti posti anticamente esisteva una fraternità o perché il poverello d’Assisi aveva

fatto degli adepti. Ma Le Fonti Francescane parlano chiaro e se qualche errore è stato commesso nel riportare la dicitura di Cannara ciò è da imputare a sviste come lo stesso libro chiarisce in nota a pag. 898 nel capitolo dei Fioretti ( FF 1846 ); infatti, molti antichi codici riportano Cannara.

Chi visita la Basilica Patriarcale di S. Maria degli Angeli alla Porziuncola di Assisi ( il luogo più caro a S. Francesco come afferma il Celano nella sua biografia), noterà sul lato destro della Chiesa l’affresco sulla predica di S. Francesco ai laici di Cannara, eseguito dal pittore Croce nel 1500 a ricordo appunto dell’istituzione del terz’Ordine.

Da qualche anno il laicato francescano sta vivendo un momento di rinascita dopo l’avvenuta unificazione delle assistenze. In verità l’OFS non si era mai diviso al suo interno, tant’è che ha avuto sempre una stessa Regola a prescindere dall’appartenenza degli assistenti spirituali, ma semplicemente aveva seguito l’indirizzo dei propri frati del primo Ordine ( Minori, Cappuccini, Conventuali e TOR ) in una sorta di mutua adesione laica a quelle famiglie. Anche l’ex Presidente nazionale dell’OFS, Rosa Galimberti, fece corredare un suo articolo, scritto nel 1996 per “Vita Francescana”, dove si ripercorre la storia dei laici francescani con le foto appunto della Chiesa di S. Francesco di Cannara. Tanti poi sono i libri che indicano in Cannara il luogo d’elezione dei Penitenti di Francesco: da Francesco Uribe a Pierre Leprohon e a tanti altri. Lo stesso fa Paola Cerami in un articolo dell’Osservatore Romano del 27 ottobre del 2005. Lo stesso fa il francescanologo padre Piat nel suo libro “ CON CRISTO POVERO E CROCIFISSO “ 2O volume.

Cannara poi è proprio una cittadina francescana: semplice, silenziosa e tranquilla, ma anche ricchissima di tradizioni cristiane. Tante sono le confraternite e diverse sono le festività a carattere religioso. Bellissima quella del Corpus Domini con l’infiorata del centro. A Cannara – fatto singolare – ci sono due gruppi di laici francescani che si rifanno all’istituzione da parte di S. Francesco. Il gruppo OFS che è regolarmente assistito da un padre francescano di Assisi e un altro gruppo che si definisce di Fraternità francescana; gli appartenenti a quest’ultimo nelle feste francescane vestono un vero e proprio saio.

Due poi gli oggetti sacri da ammirare nella chiesa della Buona Morte di Cannara: un espressivo Crocifisso, a braccia mobili, di cui si ignora in parte la tecnica costruttiva che viene portato in processione durante la settimana santa e una piccola statua della Madonna di Loreto che è stata esposta proprio nella santa Casa di Loreto durante la triste repressione del periodo Napoleonico* che vide spogliare degli arredi sacri tante chiese e chiusi quasi tutti i conventi. All’epoca infatti la statua della Madonna della Santa Casa** era stata trafugata a Parigi e fu sostituita , per cinque anni, proprio dalla piccola statua di Cannara.

C

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Note:

* Cittadino generale,

il Direttorio sa che l’Italia deve all’arte la maggior parte delle sue ricchezze e della sua fama, ma è venuto il momento di trasferire in Francia questo regno della bellezza, per consolidare e arricchire il regno della libertà.

Il Museo nazionale deve racchiudere tutti i più celebri monumenti artistici, e voi non mancherete di arricchirlo di quelli che esso si attende dalle attuali conquiste dell’armata d’Italia.

Il Direttorio vi esorta pertanto a cercare, riunire e far portare a Parigi tutti i più preziosi oggetti di questo genere e a dare ordini precisi per l’illuminata esecuzione di tali disposizioni.

Non si potrebbe asportare la santa casa e i tesori accumulativi in quindici secoli di superstizione? Si dice che valgono dieci milioni di sterline. Fareste un’ottima operazione finanziaria, che danneggerebbe soltanto pochi frati

( Dispaccio del Direttorio al generale Bonaparte 1797 )

** Santa Casa o casa della Madonna di Loreto. I francesi si presentarono effettivamente per razziarla, ma l’intera popolazione si oppose,ed essi dovettero desistere per timore di una rivolta. In ogni caso delapidarono la stanza del tesoro e portarono via la statua della Madonna.

Da aggiungere che Napoleone fece trasportare dal 1810 al 1813 nella capitale francese tutto l'Archivio Segreto Vaticano, e nel 1811 ordinò anche il trasporto degli archivi delle varie Curie generali presenti in Roma. Decise anche la soppressione del Terz’Ordine Francescano.

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a Santa Chiesa Cattolica riconosce nella lettera ai penitenti la regola spirituale che Francesco scrisse per coloro che volevano seguirlo pur rimanendo nell’ambito del loro stato secolare. Questa lettera, che fa da

premessa alla regola approvata da Papa Paolo VI nel 1978, è considerata uno fra i testi più importanti del poverello non solo per i contenuti spirituali ma anche perché si è riusciti attraverso il confronto con diverse copie della stessa a darle, come precedente detto, una datazione: il 1215.

ESORTAZIONE DI SAN FRANCESCO

AI FRATELLI E ALLE SORELLE DELLA PENITENZA

Nel nome del Signore!

Di quelli che fanno penitenza

Tutti coloro che amano il Signore con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, con tutta la loro forza (cf. Mc 12,30) ed amano il loro prossimo come se stessi (cf. Mt 22,39), ed odiano il proprio corpo con i suoi vizi e peccati, e ricevono il corpo ed il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e fanno degni frutti di penitenza: quanto mai sono felici questi e queste, facendo tali cose e perseverando in esse, perché su di esse riposerà lo spirito del Signore (cf. Is 11,2) e stabilirà in essi la sua abitazione e la sua dimora (cf. Gv 14,23), e sono figli del Padre celeste, di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del nostro Signore Gesù Cristo (cf. Mt 12,50).

Siamo sposi quando con il vincolo dello Spirito Santo l'anima fedele si congiunge al nostro Signore Gesù Cristo. Gli siamo f fratelli, quando facciamo la volontà del Padre che è nei cieli (Mt 12,50). Madri, quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo (cf. 1 Cor 6,20) per virtù dell'amor di Dio e di pura e sincera coscienza; lo partoriamo con le opere sante, che debbono illuminare gli altri con l'esempio (cf. Mt 5,16).

O come è cosa gloriosa, avere un Padre santo e grande nei cieli! O come è cosa santa, avere un tale sposo, paraclito, bello e ammirabile! O come è cosa santa e come è cosa amabile, possedere un tale fratello ed un tale figlio, piacevolissimo, umile, pacifico, dolce, amabile e sopra tutte le cose desiderabile: il Signore nostro Gesù Cristo, che diede la sua vita per le pecore (cf. Gv 10,15) e pregò il Padre dicendo: Padre santo, conserva nel tuo nome (Gv 17,11) quelli che mi hai dato nel mondo; erano tuoi e tu li hai dati a me (Gv 17,6). E le parole che hai dato a me, io le ho date a loro; ed essi le hanno ricevute ed hanno creduto veramente che io sono uscito da te ed hanno conosciuto che tu mi hai inviato (Gv 17,8). Prego per essi e non per il mondo (cf. Gv 17,9). Benedicili e santificali (Gv 17,17) e per essi io santifico me stesso (Gv 17,19). Non prego solo per essi, ma anche per quanti crederanno in me per la loro parola (Gv 13,20) affinché siano santificati nella unità (cf. Gv 17,23) come noi (Gv 17,11). E voglio, o Padre, che, dove sono io, siano anch'essi con me, perché possano vedere la mia gloria (Gv 17,24) nel tuo regno (Mt 20,21). Amen.

L

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Di quelli che non fanno penitenza

Tutti quelli e quelle, che non fanno penitenza, e non ricevono il corpo ed il sangue del nostro Signore Gesù Cristo, e vivono nei vizi e peccati e camminano dietro alta prava concupiscenza ed alle cattive brame della loro carne, e non osservano quanto promisero al Signore, e servono col corpo al mondo, ai desideri carnali ed alle sollecitudini del secolo ed agli affari di questa vita: schiavi del diavolo, di cui sono figli e di cui fanno le opere (cf. Gv 8,41), sono ciechi, perché non riconoscono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Non possiedono la sapienza spirituale, perché non possiedono il Figlio di Dio che è la vera sapienza del Padre, dei quali è scritto: La loro sapienza è stata divorata (Sal 106,27); e: Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti (Sal 118,21).

Vedono e lo riconoscono, sanno di fare il male e lo fanno e così consapevolmente mandano in rovina la loro anima. Aprite gli occhi, o ciechi, ingannati dai vostri nemici: dalla carne, dal mondo e dal diavolo; poiché è cosa dolce per il corpo commettere il peccato e gli è cosa amara farlo servire a Dio; poiché tutti i vizi ed i peccati escono dal cuore degli uomini e da lì procedono, come dice il Signore net Vangelo (cf. Mc 7, 21).

E così non avete niente di buono in questo mondo e non ne avrete per il futuro. E pensate di possedere a lungo le cose vane di quaggiù, ma vi fate imbrogliare, poiché verrà un giorno ed un'ora, che non pensate, che non conoscete e che ignorate; s'ammala il corpo, s'avvicina la morte e così l'uomo muore di una morte amara. E dovunque, in qualsiasi tempo e modo l'uomo muoia in peccato mortale senza penitenza e soddisfazione, se può soddisfare e non soddisfa, allora il diavolo rapisce la sua anima dal suo corpo con tanta angustia e tribolazione, che nessuno può immaginare, tranne colui che ciò subisce. E saranno loro tolti (cf. Lc 8,18; Mc 4,25) tutti i talenti ed il potere e la scienza e la sapienza (2Par 1,12), che credevano di possedere. E lasciano tutto ai parenti ed agli amici e dopo che essi si sono tolti e divisi i suoi beni soggiungono: Maledetta sia l'anima sua, poiché avrebbe potuto darci di più e guadagnare di più di quanto non abbia guadagnato. I vermi (intanto) divorano il corpo, e così hanno mandato alla malora il corpo e l'anima nel breve periodo di tempo di questo mondo, e se ne andranno all'inferno, ove saranno tormentati all'infinito. Per la carità che è Dio (cf. 1 Gv 4,16), preghiamo tutti coloro, ai quali giungerà questa lettera, di ricevere benignamente per amore di Dio queste olezzanti parole del nostro Signore Gesù Cristo, come sopra riferite. E quanti non sanno leggere, se le facciano leggere spesso; e le conservino presso di sé mettendole santamente in pratica sino alla fine, perché sono spirito e vita (Gv 6,64). E coloro che non faranno ciò, saranno tenuti a rendere conto nel giorno del giudizio (cf. Mt 12,36) davanti al tribunale del nostro Signore Gesù Cristo (cf. Rm 14,10).

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uesta “Lettera ai fedeli ”, all’interno della nuova Regola OFS, è preceduta dal testo di approvazione papale di Paolo VI Ad perpetuam rei memoriam che di seguito proponiamo.

PAPA PAOLO VI Ad perpetuam rei memoriam

Il serafico Patriarca San Francesco d Assisi, mentre era in vita ed anche dopo la sua preziosa morte, ha invogliato molti a servire Dio in seno alla famiglia religiosa da lui fondata, ma ha attirato anche innumerevoli laici ad entrare nelle sue istituzioni rimanendo nel mondo, per quanto era loro possibile. Difatti, per servici delle parole del nostro Predecessore Pio XI, "sembra... non esservi stato mai alcuno in cui brillasse più viva e più somigliante l'immagine di Gesù Cristo e la forma evangelica di vita che in Francesco. Pertanto egli che si era chiamato l'Araldo del Gran Re, giustamente fu salutato quale un altro Gesù Cristo per essersi presentato ai contemporanei e ai secoli futuri quasi Cristo redivivo, dal che seguì che, come tale, egli vive tuttora agli occhi degli uomini e continuerà a vivere per tutte le generazioni avvenire" (Encicl. "-Rite expiatis-" 30 aprile 1926; AAS, 18 [1926] p. 154). Noi siamo lieti che il "-carisma francescano-" ancora oggi vigoreggi per il bene della Chiesa e della comunità umana, nonostante il serpeggiare di dottrine accomodanti e la crescita di tendenze che allontanano gli uomini da Dio e dalle cose soprannaturali. Con lodevole impegno e con una comune azione le quattro Famiglie Francescane per un decennio hanno studiato per elaborare una nuova Regola del Terz'Ordine Francescano Secolare o, come ora viene chiamato, Ordine Francescano Secolare. Ciò è sembrato necessario sia per le mutate condizioni dei tempi, sia per le disposizioni e gli incoraggiamenti dati in proposito dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Perciò i diletti figli, i quattro Ministri Generali degli Ordini Francescani ci hanno rivolto la istanza perché approvassimo la Regola in tal modo preparata. E noi, seguendo l'esempio di alcuni Nostri Predecessori, ultimo dei quali Leone XIII, volentieri abbiamo deciso di accondiscendere alle suppliche. In tal modo Noi, nutrendo fiducia che la forma di vita predicata da quel mirabile Uomo d'Assisi riceverà un nuovo impulso e fiorirà con vigore, dopo aver consultato la Sacra Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari, che ha esaminato con diligenza il testo presentato, avendo tutto ponderato attentamente, con sciente e matura deliberazione, approviamo e confermiamo, con la Nostra Apostolica autorità per mezzo di queste Lettere, la Regola dell'Ordine Francescano Secolare, e vi annettiamo la forza della sanzione apostolica, purché concordi con l'esemplare che si conserva nell'archivio della Sacra Congregazione per i religiosi e gl'Istituti Secolari, di cui le prime parole sono "- Inter spirituales familias -", le ultime "- ad normam Constitutionum, petenda - ". Con la presente Lettera e con la Nostra autorità abroghiamo la precedente Regola di quello che era chiamato Terz'Ordine Francescano Secolare. E stabiliamo che queste Lettere restino ferme e raggiungano il loro scopo ora e nell'avvenire nonostante qualsiasi cosa in contrario. Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l'anello del Pescatore, il 24 giugno 1978, anno 16o del Nostro pontificato.

Q

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lla prima lettera ai fedeli di San Francesco ne segue un’altra che riprende i temi e ne sviluppa le finalità; essa è la riconferma della regola spirituale dei fratelli del Terz’Ordine ed è stata, molto probabilmente, scritta in funzione

del Memoriale Propositi che la Chiesa emanò nel 1221 come Regola per i laici francescani. Infatti la datazione di questa seconda lettera ai fedeli è la stessa del Memoriale.

LETTERA A TUTTI I FEDELI ( II )

Nel nome del Signore, Padre e Figlio e Spirito Santo. Amen. A tutti i cristiani religiosi, chierici e laici, uomini e donne, a tutti gli abitanti del mondo intero, frate Francesco, loro servo e suddito, ossequio rispettoso, pace dal cielo e sincera carità nel Signore. Poiché sono servo di tutti, sono tenuto a servire a tutti e ad amministrare le fragranti parole del mio Signore. E perciò, considerando che non posso visitare personalmente i singoli, a causa della malattia e debolezza del mio corpo, mi sono proposto di riferire a voi, mediante la presente lettera e messaggio, le parole del Signore nostro Gesù Cristo, che è il Verbo del Padre, e le parole dello Spirito Santo, che sono spirito e vita (Gv. 6,63).

I

IL VERBO DEL PADRE

L’altissimo Padre celeste, per mezzo del santo suo angelo Gabriele (cf. Lc. 1,31), annunciò questo Verbo del Padre, così degno, così santo e glorioso, nel grembo della santa e gloriosa Vergine Maria, e dal grembo di lei ricevette la vera carne della nostra umanità e fragilità. Lui, che era ricco (2Cor. 8,9) sopra ogni altra cosa, volle scegliere in questo mondo, insieme alla beatissima Vergine, sua madre, la povertà. E prossimo alla passione (cf. Mt. 26, 17-20; Mc. 14, 12-16; Lc. 22,7-13), celebrò la pasqua con i suoi discepoli, e prendendo il pane, rese grazie, lo benedisse e lo spezzò dicendo: “Prendete e mangiata questo è il mio corpo” (Mt. 26,26). E prendendo il calice disse: “Questo è il mio sangue della nuova alleanza, che per voi e per molti sarà sparso in remissione dei peccati” (Mt. 26,27). Poi pregò il Padre dicendo: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice”. E il suo sudore divenne simile a gocce di sangue che scorre per terra (Lc. 22,44). Depose tuttavia la sua volontà nella volontà del Padre dicendo: “Padre, sia fatta la tua volontà: non come voglio io, ma come vuoi tu”(Mt.26,42; 26,39). E la volontà di suo Padre fu questa, che il suo figlio benedetto e glorioso, che egli ci ha donato ed è nato per noi, offrisse se stesso, mediante il proprio sangue, come sacrificio e vittima sull’altare della croce, non per sé, poiché per mezzo di lui sono state create tutte le cose (cf. Gv. 1,3), ma in espiazione dei nostri peccati, lasciando a noi l’esempio perché ne seguiamo le orme (1Pt. 2,21). E vuole che tutti siamo salvi per mezzo di lui e che lo riceviamo con cuore puro e col nostro corpo casto. Ma pochi sono coloro che lo vogliono ricevere ed essere salvati per mezzo di lui, sebbene il suo giogo sia soave e il suo peso leggero (cf. Mt. 11,30).

A

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II

DI QUELLI CHE NON VOGLIONO OSSERVARE I COMANDAMENTI DI DIO

Coloro che non vogliono gustare quanto sia soave il Signore (cf. Sal. 33,9) e preferiscono le tenebre alla luce (Gv. 3,19), rifiutando di osservare i comandamenti di Dio, sono maledetti, di essi dice il profeta: “Maledetti coloro che si allontanano dai tuoi comandamenti” (Sal. 118,21). Invece, quanto sono beati e benedetti quelli che amano il Signore e fanno così come dice il Signore stesso nel Vangelo: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore e tutta l’anima, e il prossimo tuo come te stesso” (Mt. 22, 37.39).

III

DELL’AMORE DI DIO E DEL SUO CULTO

Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e mente pura, poiché egli stesso, ricercando questo sopra tutte le altre cose, disse: I veri adoratori adoreranno il Padre nello Spirito e nella verità (Gv. 4,23). Tutti infatti quelli che lo adorano, bisogna che lo adorino nello spirito (cf. Gv. 4,24) della verità. Ed eleviamo a lui lodi e preghiere giorno e notte (Sal. 31,4), dicendo: “Padre nostro, che sei nei cieli” (Mt. 6,9), poiché bisogna che noi preghiamo sempre senza stancarci (Lc. 18,1).

IV

DELLA VITA SACRAMENTALE

Dobbiamo anche confessare al sacerdote tutti i nostri peccati e ricevere da lui il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo. Chi non mangia la sua carne e non beve il suo sangue, non può entrare nel regno di Dio (cf. Gv. 6,55.57; Gv. 3,5). Lo deve però mangiare e bere degnamente, poiché chi lo riceve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, non discernendo il corpo del Signore (1Cor. 11,29), cioè non distinguendolo dagli altri cibi. Facciamo, inoltre, frutti degni di penitenza (Lc. 3,8). E amiamo i prossimi come noi stessi (cf. Mt. 22,39). E se uno non vuole amarli come se stesso, almeno non arrechi loro del male, ma faccia del bene.

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V

DEL GIUDICARE CON MISERICORDIA Coloro poi che hanno ricevuto l’autorità di giudicare gli altri, esercitino il giudizio con misericordia, cosi come essi stessi vogliono ottenere misericordia dal Signore; infatti il giudizio sarà senza misericordia per coloro che non hanno usato misericordia (Gv. 2,13). Abbiamo perciò carità e umiltà e facciamo elemosine, perché l’elemosina lava l’anima dalle brutture dei peccati (cf. Tb. 4,11; 12,9). Gli uomini infatti perdono tutte le cose che lasciano in questo mondo, ma portano con sé la ricompensa della carità e le elemosine che hanno fatto, di cui avranno dal Signore il premio e la degna ricompensa.

VI

DEL DIGIUNO CORPORALE E SPIRITUALE

Dobbiamo anche digiunare e astenerci dai vizi e dai peccati (cf. Sir. 3,32) e da ogni eccesso nel mangiare e nel bere ed essere cattolici. Dobbiamo anche visitare frequentemente le chiese e venerare e usare reverenza verso i chierici, non tanto per loro stessi, se sono peccatori, ma per l’ufficio e l’amministrazione del santissimo corpo e sangue di Cristo, che sacrificano sull’altare e ricevono e amministrano agli altri. E siamo tutti fermamente convinti che nessuno può essere salvato se non per mezzo delle sante parole e del sangue del Signore nostro Gesù Cristo, che i chierici pronunciano, annunciano e amministrano. Ed essi soli debbono amministrarli e non altri. Specialmente poi i religiosi, i quali hanno rinunciato al mondo, sono tenuti a fare molte altre cose e più grandi, senza però tralasciare queste (cf. Lc. 11,42).

VII

DELL’AMORE VERSO I NEMICI Dobbiamo avere in odio i nostri corpi con i vizi e i peccati, poiché il Signore dice nel Vangelo: Tutte le cose cattive, i vizi e i peccati escono dal cuore (cf. Mt. 15,18-19; Mc. 7,23). Dobbiamo amare i nostri nemici e fare del bene a coloro che ci odiano (cf. Mt. 5,44; Lc. 6,27). Dobbiamo osservare i precetti e i consigli del Signore nostro Gesù Cristo. Dobbiamo anche rinnegare noi stessi (cf. Mt. 16,24) e porre i nostri corpi sotto il giogo del servizio e della santa obbedienza, così come ciascuno ha promesso al Signore.

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VIII

DELL’UMILTA’ NEL COMANDARE

E nessun uomo si ritenga obbligato dall’obbedienza a obbedire a qualcuno là dove si commette delitto o peccato. E colui al quale è affidata l’obbedienza e che è ritenuto maggiore, sia come il minore (Lc. 22,26) e servo degli altri fratelli, e usi ed abbia nei confronti di ciascuno dei suoi fratelli quella misericordia che vorrebbe fosse usata verso di sé qualora si trovasse in un caso simile. E per il peccato commesso dal fratello non si adiri contro di lui, ma lo ammonisca e lo conforti con ogni pazienza e umiltà.

IX

DEL FUGGIRE LA SAPIENZA CARNALE

Non dobbiamo essere sapienti e prudenti secondo la carne (cf. 1Cor. 1,26), ma piuttosto dobbiamo essere semplici, umili puri. Teniamo i nostri corpi in umiliazione e dispregio, perché noi, per colpa nostra, siamo miseri, fetidi e vermi, come dice il Signore per bocca del profeta: “Io sono un verme e non un uomo, l'obbrobrio degli uomini e scherno del popolo” (Sal.21,7). Mai dobbiamo desiderare di essere sopra gli altri, innanzi dobbiamo essere servi e soggetti ad ogni umana creatura per amore di Dio (1Pt. 2,13).

X

DEL SERVO FEDELE CHE DIVIENE DIMORA DI DIO

E tutti quelli e quelle che si diporteranno in questo modo, fino a quando faranno tali cose e persevereranno in esse sino alla fine, riposerà su di essi lo Spirito del Signore (Is. 11,2), ed egli ne farà sua abitazione e dimora (cf. Gv. 14,23). E saranno figli del Padre celeste (cf. Mt. 5,45), di cui fanno le opere, e sono sposi, fratelli e madri del Signore nostro Gesù Cristo cf. Mt. 12,50). Siamo sposi, quando l’anima fedele si congiunge a Gesù Cristo per l’azione dello Spirito Santo. E siamo fratelli, quando facciamo la volontà del Padre suo (cf. Mt. 12,50), che è in cielo. Siamo madri (1Cor. 6,20), quando lo portiamo nel nostro cuore e nel nostro corpo attraverso l’amore e la pura e sincera coscienza, e lo generiamo attraverso il santo operare, che deve risplendere in esempio per gli altri (cf. Mt. 5,16). Oh, come è glorioso e santo e grande avere in cielo un Padre! Oh, come è santo, consolante, bello e ammirabile avere un tale Sposo! Oh, come è santo, come è delizioso, piacevole, umile, pacifico, dolce e amabile e sopra ogni cosa desiderabile avere un tale fratello e figlio, il quale offrì la sua vita per le sue pecore (cf. Gv.10,15) e pregò il Padre per noi, dicendo: “Padre santo, custodisci nel tuo nome quelli che mi hai dato (Gv. 17,11). Padre, tutti coloro che mi

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hai dato nel mondo erano tuoi e tu li hai dati a me (Gv. 17,6). E le parole che desti a me, le ho date a loro; ed essi le hanno accolte e veramente hanno riconosciuto che io sono uscito da te ed hanno creduto che tu mi hai mandato (Gv. 17,8). Io prego per loro e non per il mondo (Gv. 17,9). Benedicili e santificali (Gv. 17,17). E per loro io santifico me stesso, affinché siano santificati nell’unità, come lo siamo noi (Gv. 17,19.21). E voglio, o Padre, che dove io sono ci siano anch’essi con me, affinché vedano la mia gloria nel tuo regno” (Gv. 17,24; Mt. 20,21). A colui che tanto patì per noi, che tanti beni ha elargito e ci elargirà in futuro, a Dio, ogni creatura che vive nei cieli, sulla terra, nel mare e negli abissi, renda lode, gloria, onore e benedizione (cf. Ap. 5,13), poiché egli è la nostra virtù e la nostra fortezza. Egli che solo è buono (cf. Lc. 18,19), solo altissimo, solo onnipotente, ammirabile, glorioso e solo è santo, degno di lode e benedetto per gli infiniti secoli dei secoli. Amen.

XI

DI COLORO CHE NON FANNO PENITENZA

Invece, tutti coloro che non vivono nella penitenza, e non ricevono il corpo e il sangue del Signore nostro Gesù Cristo, e compiono vizi e peccati, e che camminano dietro la cattiva concupiscenza e i cattivi desideri, e non osservano quelle cose che hanno promesso, e servono con il proprio corpo il mondo, gli istinti della carne, le cure e preoccupazioni del mondo e le cure di questa vita, ingannati dal diavolo, di cui sono figli e ne compiono le opere (cf. Gv. 8,49), costoro sono ciechi, poiché non vedono la vera luce, il Signore nostro Gesù Cristo. Questi non posseggono la sapienza spirituale, poiché non hanno in sé il Figlio di Dio, che è la vera sapienza del Padre. Di essi dice la Scrittura: “La loro sapienza è stata divorata” (Sal. 106,27). Essi vedono, conoscono, sanno e fanno il male e consapevolmente perdono le loro anime. Vedete, o ciechi, ingannati dai nostri nemici, cioè dalla carne, dal mondo e dal diavolo, che al corpo è dolce fare il peccato ed è cosa amara servire Dio, poiché tutte le cose cattive, vizi e peccati, escono e procedono dal cuore degli uomini (cf. Mt. 7,21.23; 15,18.19), come dice il Signore nel Vangelo. E così non possedete nulla né in questo mondo né nell’altro. Credete di possedere a lungo le vanità di questo secolo, ma vi ingannate, perché verrà il giorno e l’ora che non pensate, non conoscete e ignorate (cf. Mt. 24,44; 25,13).

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XII

IL MORIBONDO IMPENITENTE

Il corpo è infermo, si avvicina la morte, accorrono i parenti e gli amici e dicono: “Disponi delle tue cose”. Ecco, la moglie di lui, i figli, i parenti e gli amici fingono di piangere. Ed egli, sollevando gli occhi, li vede piangere e, mosso da un cattivo sentimento, pensando tra sé dice: “Ecco, la mia anima e il mio corpo e tutte le mie cose pongo nelle vostre mani”. In verità questo uomo è maledetto, poiché colloca la sua fiducia e affida la sua anima, il suo corpo e tutti i suoi averi in tali mani. Perciò dice il Signore per bocca del profeta: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo!” (Ger. 17,5). E subito fanno venire il sacerdote. Gli domanda il sacerdote: “Vuoi ricevere la penitenza per tutti i tuoi peccati?”. Rispose: “Si”. “Vuoi dare soddisfazione, con i tuoi mezzi, così come puoi, per tutte le colpe e per quelle cose che hai defraudato e nelle quali hai ingannato gli uomini?”. Risponde: “No”. E il sacerdote: “Perché no?”. “Perché ho consegnato ogni mio avere nelle mani dei parenti e degli amici”. E incomincia a perdere la parola, e così quel misero muore. Ma sappiamo tutti che ovunque e in qualsiasi modo un uomo muoia in peccato mortale senza compiere la soddisfazione sacramentale, e può farlo e non lo fa, il diavolo rapisce la sua anima dal suo corpo con una angoscia e sofferenza così grandi, che nessuno può sapere se non chi ne fa la prova. E tutti i talenti e l’autorità e la scienza, che credeva di possedere (cf. Lc. 8,18), gli sono portati via (Mc. 4,25). Egli li lascia ai parenti e agli amici; ed essi prendono il patrimonio e se lo dividono e poi dicono: “Maledetta sia la sua anima, poiché poteva darci e acquistare più di quanto non acquistò!”. I vermi divorano il corpo; e così quell’uomo perde l’anima e il corpo in questa breve vita e va all’inferno, ove sarà tormentato eternamente. Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Io frate Francesco, il più piccolo servo vostro, vi prego e vi scongiuro, nella carità che è Dio (cf. 1Gv. 4,16), e col desiderio di baciarvi i piedi, che queste parole e le altre del Signore nostro Gesù Cristo con umiltà e amore le dobbiate accogliere e attuare e osservare. E coloro che non sanno leggere, se le facciano leggere spesso, e le imparino a memoria, mettendole in pratica santamente sino alla fine, perché sono spirito e vita (Gv. 6,63). E coloro che non faranno ciò, ne renderanno ragione nel giorno del giudizio davanti al tribunale di Cristo. E tutti quelli e quelle che con benevolenza le accoglieranno e le comprenderanno e ne invieranno copie ad altri, se in esse persevereranno fino alla fine (Mt. 24,13), li benedica il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo. Amen.

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QUANDO NASCE L’O.F.S.

rancesco d’Assisi, definito da Papa Benedetto XVI nell’Udienza Generale del 27 gennaio 2010 “ un gigante di santità ” è considerato uno dei più grandi riformatori della Chiesa e anche la sua influenza sociale è notevole se

consideriamo che viene indicato come l’uomo, che più di tutti, ha segnato il secondo millennio trascorso. Una vita breve la sua, tardiva la conversione , muore a 45 anni; ma già poteva contare su cinquemila frati nel famoso capitolo delle Stuoie del 1217, davanti alla Porziuncola di S. Maria degli Angeli, ad Assisi. Francesco, dopo la sua conversione, opera in concreto e fa di Cristo il centro della sua esistenza : “…dello stesso altissimo Figlio di Dio nient’altro vedo corporalmente in questo mondo..” (Testamento). Pur vivendo in un periodo minacciato da eretici ed eresie e pur essendoci contrasti all’interno della Chiesa egli pone la più cieca fiducia nel Papa e in tutti i suoi rappresentanti (chiama i sacerdoti suoi signori a cui vuole ubbidire). Abbraccia i lebbrosi e mangia con loro, rinuncia alla ricchezza non solo per comando evangelico ed essere perciò libero nello spirito, ma anche per amare Cristo povero e sofferente nei poveri e nei malati. Egli “sposerà” per amore Madonna povertà e farà dell’ubbidienza il cardine della sua missione; ubbidire ai superiori è compiere la volontà di Dio. Tutto questo senza un progetto iniziale; egli stesso è travolto dai medesimi avvenimenti che ha suscitato, o meglio e più giustamente, che la Provvidenza Divina ha operato per mezzo di lui. Egli non fu un presbitero e tale volle rimanere per umiltà e pur essendo sufficientemente colto si definiva privo di cultura. Colto al punto di conoscere una seconda lingua ( il francese grazie alla madre e ai suoi viaggi in Francia ) di scrivere più di una regola e diverse ammonizioni e preghiere. Capace anche di predicare davanti al Papa, di richiamare il dotto Sant’Antonio e di conoscere in profondità la Sacra Scrittura, come i suoi scritti dimostrano e come egli stesso confessò ad un frate che lo invitava a leggere la Scrittura per avere consolazioni spirituali in un momento di forte infermità: “ E’ bene leggere le testimonianze della Scrittura, ed è bene cercare in esse il Signore nostro Dio. Ma per quanto mi riguarda, mi sono già preso tanto dalle Scritture, da essere più che sufficiente alla mia meditazione e riflessione. Non ho bisogno di più. Figlio: conosco Cristo povero e Crocifisso” ( Cel. 2 FF 692 ). A tutti coloro che infiammati dalla sua predicazione ricorrevano a lui diede una norma di vita, una Regola ai Frati Minori, alle Clarisse di Chiara ( anche se in concreto sarà Chiara a farsi approvare una regola per le sue consorelle adattandola su quella di Francesco) e ai laici Penitenti (Terziari e oggi definiti Secolari); sono i tre Ordini che S. Francesco e i suoi frati hanno suscitato agli inizi della sua conversione e tutt’ora esistono e vigoreggiano nel mondo e per ripetere il Celano: “Artista e maestro di vita evangelica veramente glorioso… a tutti dava una regola di vita e indicava la via della salvezza a ciascuno secondo la propria condizione”( 1 Cel. 37 ). Si è tanto discusso sulla cronologia dell’istituzione dei tre Ordini Francescani e se per le povere Dame di S. Damiano di Chiara è piuttosto facile indicarne la cronologia perché coincide con la fuga da casa di lei e l’accoglienza alla Porziuncola il giorno delle Palme del 1211, resta più incerto fissare la data per gli altri due Ordini. E, in un certo senso,

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questa definizione sarà difficile chiarirla con esattezza temporale, perché all’inizio il movimento era soprattutto laicale ( Storia d’Italia, Einaudi, v. II ) e appena riunì undici compagni Francesco partì nel 1209, dall’umile ricovero di Rivotorto per Roma a chiedere al Papa una regola per i suoi fratelli o “frati”. Papa Innocenzo III all’inizio dette solo un assenso verbale, ma ciò fu sufficiente per l’entusiasta Francesco che chiedeva solo di vivere la penitenza e annunciare il Vangelo con la vita e la parola. Qualcosa di simile era già avvenuto, alcuni anni prima, nel 1201, con gli Umiliati di Milano che si presentarono al Pontefice come gruppi di laici per vivere in modo più completo il Vangelo pur restando nelle loro famiglie; similmente nel 1208 con i Poveri Cattolici e nel 1210 con i Poveri Lombardi. Papa Innocenzo III si adoperò per sostenere i vari gruppi di penitenti che fiorivano all’epoca e vennero stilate diverse Regole o “proposita” per disciplinare la vita dei laici cristiani. Nelle Regole di questi gruppi esisteva comunque l’indicazione a prestare giuramento verso i signori e i feudatari come era costume all’epoca, ma il Papa Nicolò IV nella Regola ai Terziari del 1289 al capitolo XII fa scrivere: “Si guardino per quanto possono dai giuramenti solenni” e al capitolo VII si invitano i laici francescani a non portare armi offensive “ se non per difendere la Romana Chiesa, la Fede Cristiana, o anche le loro terre o con licenza dei loro Ministri”. Papa Onorio III il 16 dicembre 1221 scrisse al Vescovo di Rimini perché dissuadesse il Podestà di Faenza dal molestare i terziari che – consci del nuovo spirito di pace portato loro da Francesco – si rifiutarono di prendere le armi e di seguirlo nella guerra contro Imola. S. Francesco era a conoscenza di questo variegato mondo di laici e penitenti e ciò piuttosto che indirizzarlo verso un gruppo o un altro o perlomeno di farsi ispirare, lo lasciava confuso. Questo suo iniziale smarrimento lo rivela egli stesso nel suo Testamento: “ E dopo che il Signore mi dette dei frati, nessuno mi mostrava che cosa dovessi fare, ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del santo Vangelo. Ed io la feci scrivere con poche parole e con semplicità e il signor Papa me la confermò”. Lo scritto poi continua: “Noi chierici dicevamo l’ufficio, conforme agli altri chierici; i laici dicevano i Pater noster; e assai volentieri ci fermavamo nelle chiese”. Questo accenno esplicito ai laici potrebbe far pensare che già fin dall’inizio Francesco avesse dei frati saltuari che spesso venivano a trovarlo e si univano con lui in preghiera e che poi ritornavano alle loro normali occupazioni. Ecco perché la cronologia delle Fonti francescane dà come possibile data di inizio del Terz’Ordine il 1209, l’anno in cui Francesco, appena all’inizio della sua esperienza di conversione, si recò a Roma a presentare la sua breve regola al Papa e ne ottenne un’approvazione verbale. Studiosi come il Mauller, il Sabatier o il Madonnet insistono sulla tesi che all’inizio coesistevano nella forma di penitenza tutti e tre gli Ordini francescani e che poi la Chiesa si adoperò per la loro nascita ufficiale. Ciò però contrasta con la richiesta diretta dei Cannaresi di indicargli una regola anche per loro come pure la risposta di Francesco: “ non abbiate fretta e non vi partite, ed io ordinerò quello che voi dobbiate fare per la salute delle anime vostre”. E allora pensò di fare il Terz’Ordine per universale salute di tutti ( FF 1846 ). Alcuni propendono di datare tale avvenimento nel 1212 o poco dopo. “…il terz’Ordine fu da san Francesco istituito durante il secondo decennio del Duecento benché la sua fondazione canonica venga ordinariamente fissata all’anno

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1221”(Mariano da Alatri dell’Istituto Storico dei Minori Cappuccini - I Fioretti Ed. Paoline 1978, pag. 10). Nasce anche una domanda: perché Francesco si definisce chierico? Probabilmente fa un riferimento preciso alla tonsura o “ chierica” che già fin dall’inizio il Papa Innocenzo III gli aveva concesso a lui e a suoi frati laici assieme alla predicazione della Penitenza e della parola di Dio ( Aggiunta Posteriore alla Leggenda Maggiore FF 1064). E’ vero però che Francesco avesse già fin dall’inizio frati sacerdoti ( frate Silvestro – 2 Cel. FF 696 e “Leg. Tre Comp. FF 1433) e che il Cardinale di S. Paolo ottenne per il poverello di Assisi e gli undici suoi frati la tonsura, come si legge nella leggenda dei tre Compagni ( FF 1460,1461), appunto perché fossero aggregati al clero e non più sottoposti alla giurisdizione dei Principi secolari; è possibile che il Cardinale Colonna, che lo aveva preso in tutela , per rendere più facile la predicazione di Francesco e dei suoi frati nelle chiese gli avesse affidato un sacerdote a vigilare e a sostenere il gruppo. Da qui la premura costante di Francesco di affidare un assistente del primo ordine alle Clarisse di Chiara e ai laici secolari. Non è improbabile che per facilitare il compito lo stesso Cardinale lo abbia ordinato anche diacono. Scrive infatti il Celano nella sua vita prima a proposito del Natale di Greccio: “ Francesco è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo…( FF 470). La tonsura fu comunque un atto di totale abbandono alla Chiesa e un dichiarato distacco dai legami dal mondo, insomma Francesco e i suoi undici frati dovevano vivere senza troppi stretti legami con le famiglie e considerarsi chierici a tutti gli effetti. Consideriamo che già fin dall’inizio e ancora prima della conferma della regola, il poverello d’Assisi aveva già inviato i suoi pochi frati in missioni di predicazione; infatti nella primavera del 1208 ad Ancona va lui con Egidio e altri due frati in direzione opposta; in autunno delle stesso anno parte per un’altra missione nella valle reatina a Poggio Bustone dove riceverà, da un angelo, l’annuncio del perdono totale dei propri peccati e l’espansione del suo gruppo, questa è una conferma di uno stato di vita clericale. Un esplicito riferimento ai laici è contenuto nel capitolo XXXIII della Regola Non Bollata del 1221 quando dice: “ E tutti coloro che vogliono servire il Signore Iddio nella santa Chiesa cattolica e apostolica, e tutti i seguenti ordini: sacerdoti, diaconi, suddiaconi….re, i principi , i lavoratori e i contadini, i servi e i padroni…i laici , uomini e donne…”. E un altro accenno si trova ancora nel medesimo scritto al capitolo VII. Ora c’è da dire che il prologo di questa regola viene individuato come la parte sostanziale della protoregola del 1209 presentata al Papa Innocenzo III. Questo per sostenere come all’inizio Francesco includeva tutti nel suo progetto penitenziale. Penitenza che voleva dire vivere secondo la norma del santo Vangelo. Ed è questo che emerge dalla lettera dei quattro Ministri Generali dei frati Minori e dalla Ministra Internazionale OFS e dalla Presidenza dell’OFS a proposito della ricorrenza degli otto secoli di francescanesimo nella chiesa e nel mondo ( Comunità Francescana, Roma, 29 novembre 2006). Ecco perché esistono già documenti comprovanti riunioni di laici francescani già nel 1211 ( Lino Temperini, Assisi 2007). La stessa “Lettera a tutti i fedeli” che viene unanimemente considerata la prima Regola che Francesco scrisse espressamente per i laici, tant’è che la Chiesa inserisce tale documento nella Regola dell’OFS, è una lettera scritta per tutti e non solo per i Terziari. Nella seconda Lettera ai fedeli infatti Francesco oltre a riferirsi ai laici e ai chierici, alle donne come agli uomini, decisamente continua .. “a tutti gli

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abitanti del mondo intero”. Per Francesco la regola era sostanzialmente sempre la stessa e per qualsiasi fedele: vivere il santo Vangelo. Ma così come per i frati che aumentavano di numero nacque il bisogno di dare una regola più precisa, lo stesso avvenne con i laici che sempre con più forza chiedevano, in concreto, secondo quali regole potessero seguirlo. Scrivere, a quell’epoca, non era un fatto semplice e scontato come lo è oggi. Non tutti sapevano scrivere, anzi la stragrande maggioranza delle persone non sapeva né leggere né scrivere. Solitamente erano i nobili e i ricchi che avevano tale privilegio oltre al clero. Esistevano nei comuni i banditori che invitavano gli abitanti all’ascolto della lettura di qualche ordinanza o di comunicazioni da parte del Podestà o dell’autorità. Se Francesco scrive una regola per i laici lo fa perciò a posteriori, quando ormai essi sono numerosi e necessitano di una più articolata organizzazione. Ma egli nella sua “lettera ai fedeli” dà solo un indirizzo spirituale e non parla di fraternità locali. Sarà poi la Chiesa nel 1221 con il “Memoriale propositi” a dare una veste più completa all’indirizzo di Francesco. Il Memoriale è stato scritto per persone "viventi nelle proprie case" e "che fanno parte di … fraternità". Faceva la distinzione tra "questa fraternità" e "una religione" . Vuol dire che in quel tempo i membri non erano considerati veri e propri religiosi. Tale documento indicava il modo di vestire che doveva essere semplice, l’obbligo di visitare i malati e indicava anche il modo di agire per esempio ,"in caso di discordia ...e per ristabilire la pace". Perché nasce il Terz’Ordine? Perché Francesco accoglie tutti; chierici e laici, ricchi e poveri, donne e uomini. Tutti sono chiamati alla salvezza attraverso la via della penitenza intesa come amore a Cristo e al Vangelo. Ecco perché i patroni del Terz’Ordine sono due regnanti viventi al tempo di Francesco che si erano legati al poverello d’Assisi fin dall’inizio della sua esperienza: S. Luigi IX re di Francia e S. Elisabetta d’Ungheria. Due nobili giovani regnanti ricchi soprattutto di opere di misericordia e di atti concreti verso gli ultimi. Ed ecco perché la nascita del Terz’Ordine deve essere gioco-forza vicina alla conversione di Francesco. Quasi tutte le biografie di S. Francesco riportano l’esistenza dei laici francescani fin dalle origini del francescanesimo, l’unico riferimento più preciso lo fanno I Fioretti quando riportano la predica ai Cannaresi, dopo che Francesco fece tacere le rondini. " E così lasciandoli molto consolati e ben disposti a penitenza si partì quindi e venne tra Cannaio e Bevagno.” ( FF 1846). Alcuni datano tale avvenimento intorno al 1212 cioè poco dopo la fuga di Chiara e l’inizio del secondo Ordine, quello delle Clarisse. Terz’Ordine perciò perché concludeva il ciclo degli Ordini di Francesco dopo i primi due. C’è però un dato importante da ricordare: la prima lettera ai fedeli, che la Chiesa pone come prologo alla regola rinnovata da Paolo VI dei francescani secolari, è stata accuratamente studiata e confrontata con altri testi dell’epoca e si è perciò riusciti a datarla al 1215. L’avvenimento di Cannara ben si inquadra ad essere datato qualche anno prima con la richiesta dei cannaresi per una loro regola e cioè proprio nel 1212. Anzi, nell’estate o nella primavera avanzata del 1212 visto che le rondini erano in piena attività. Nel 1289 papa Niccolò IV volle conferire un volto definitivo al Terzo Ordine di San Francesco, riproponendo in forma più giuridica la Regola del 1221 (Memoriale propositi) con la Regola “Supra Montem” e approvando più esplicitamente il movimento francescano laico della penitenza ricordando che tale Ordine era stato

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“già lodato da altri Papi”. Questa regola rimarrà in vigore per cinque secoli. I Penitenti Francescani che rimanevano nelle loro case (sposandosi oppure no) e che attendevano ad una professione costituiranno il «Terz’ Ordine Francescano Secolare» (TOF), dal 1978 detto "Ordine Francesco Secolare" (OFS). Però l'autonomia dei terziari fu cancellata definitivamente nel 1471, quando Sisto IV li sottomise alla direzione dei frati minori, iniziando così l’ obbedienzialità. Dal 1725 al 1729, Papa Benedetto XIII dovette emanare, all’epoca, ben quattro diverse Costituzioni dei terziari francescani, una per ciascuna delle obbedienze religiose. Ciò di fatto portò allo smembramento dell’OFS. Con l’attuale regola di Papa Paolo VI consegnata nel sedicesimo anno del suo pontificato si ridà finalmente autonomia all’O.F.S. e si concede una fisionomia singolare facendolo soggetto a due organi della Chiesa: la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Come dire che l’OFS è un Ordine laico ma anche religioso della Chiesa e come gli altri Ordini Francescani rinnova la propria organizzazione nei Capitoli triennali dove elegge a tutti i livelli, il proprio Ministro e il Consiglio e del quale fa parte di diritto l’Assistente spirituale che di norma è un chierico del primo Ordine, con la sola funzione appunto di assistere spiritualmente il gruppo. Finalmente e pur con qualche ritrosia, che ha costretto la Chiesa di Roma nel 2009 come ultima ratio a minacciare persino l’uscita dall’Ordine di coloro che si opponevano, si è di nuovo riusciti ad unificare l’O.F.S. che diventa così l’unico Ordine francescano ancora unito da quando fu istituito dal serafico padre Francesco. La Chiesa nutre quindi tanta fiducia in quest’Ordine e come diceva in un discorso ai Terziari Papa Paolo VI: “Noi speriamo che voi, voi tutti, Figli di San Francesco, sarete questa spalla poderosa sostenitrice, e che nel vostro silenzioso e generoso servizio sarete a noi vicini, con noi pazienti, con noi fiduciosi che nessuna infausta avversità potrà prevalere sulla stabilità perenne dell’edificio di Cristo, la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Ed è con questa fiducia che di cuore vi benediciamo”. Nella rivista francescana TAU il sottoscritto aveva già ribadito in un articolo del 2001 che le ricerche portavano appunto ad identificare definitivamente in Cannara le origini dell’Ordine laico dei francescani (studiosi più autorevoli avevano già dato tale indicazione come ipotesi valida ma molti continuavano a fornire diverse possibilità con il risultato di creare incertezze e confusione) e nel 2008 la cittadina di Cannara è diventata sede regionale O.F.S. dell'Umbria e riconosciuta così ufficialmente come culla dell'Ordine laico di S. Francesco. Diamo, per senso di completezza, solo un accenno all’altro ordine legato all’OFS, cioè al TOR ( Terz’ Ordine Regolare ). Il Terz’Ordine Regolare è storicamente un ramo del Terz’Ordine Francescano laico e la sua nascita è vicina a quest’ultimo. Quando San Francesco era ancora vivente, alcuni Terziari manifestarono il desiderio di un impegno più specifico verso la perfezione cristiana pur non vincolandosi nei conventi o nelle clausure. Alcuni si appartavano in luoghi solitari e trovavano arricchimento spirituale nella preghiera, altri invece si dedicavano ad opere di carità come assistere gli ammalati o gli anziani o si impegnavano a dare un’educazione ai giovani o agli orfani. Molti ospedali infatti sorsero grazie alla loro opera. Alcuni poi scelsero la via missionaria.

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“L’orientamento alla vita comunitaria si esprime, nel corso dei secoli, in numerose Congregazioni autonome di frati e di suore. Nel 1295, 11 luglio, il papa Bonifacio VIII promulga la bolla "Cupientes cultum" con la quale concede ai Terziari Regolari, «presenti in numerosi insediamenti in diverse parti, di avere propri luoghi di culto». Approva quindi formalmente lo stile di vita comunitaria e l'attività pastorale esercitata dai Terziari, frati e suore" ( Lino Temperini, TOR, Assisi )”.

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ASPETTI SPIRITUALI DI S. FRANCESCO

an Francesco detiene certamente un posto privilegiato nella Chiesa Cattolica ed è venerato anche nelle altre religioni. Nella visita che Papa Benedetto XVI ha compiuto nel gennaio del 2010 alla sinagoga di Roma, il gran Rabbino Di

Segni nel suo discorso ha citato proprio San Francesco. Qualcuno ha scritto che il santo di Assisi non appartiene solo ai suoi frati ma a tutta la cristianità. Non solo. Se poi vogliamo tener conto che anche gli Ortodossi hanno scritto per lui persino preghiere e che nessuno categoria è esclusa dall’ammirazione verso l’umile fraticello, diciamo che egli appartiene a tutta l’umanità. Diventa perciò più comprensibile la frase di Papa Paolo VI quando scrive, riprendendo Pio XI, che Francesco “giustamente fu salutato quale un altro Gesù Cristo per essersi presentato ai contemporanei e ai secoli futuri quasi Cristo redivivo, dal che seguì che, come tale, egli vive tuttora agli occhi degli uomini e continuerà a vivere per tutte le generazioni avvenire”. Certamente è il santo più citato, il più ricercato nella rete multimediale di internet, il più rappresentato nella cineteca spirituale. E nei tempi di crisi, che non mancano mai, si suole dire: ci vorrebbe un altro San Francesco. Anche noi perciò come frate Masseo vorremmo dire: perché a te, perché a te tutto il mondo corre dietro! E la risposta del Patriarca è umile e disarmante: “ ti chiedevi perché a me tutto il mondo corre dietro? Te lo dico: perché il Signore Dio non ha trovato nessuno più piccolo e peccatore di me, su cui riversare il suo amore e la sua misericordia!”. E questo mistero Francesco l’aveva previsto e anche spiegato ai suoi frati: se voi amerete la povertà tutto il mondo vi correrà dietro ma se inschiferete la povertà, il mondo inschiferà voi. Il tema della povertà era uno dei cardini di Francesco ma il santo riesce a dare una dimensione nuova considerando ricchezza l’attaccamento al proprio “io” e alle proprie sicurezze. Alla vista dei cinquemila frati davanti alla Porziuncola afferma: siamo in tanti, siamo troppo ricchi. E poi nelle Ammonizioni: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli (Mt. 5,3). Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano. Questi non sono poveri in spirito, poiché chi è veramente povero in spirito odia se stesso (cf. Mt. 5,39; Lc. 14,26) e ama quelli che lo percuotono nella guancia”. Francesco è l’uomo tutto cattolico e da tutti amato ma è da pochi veramente conosciuto. Per capire questo basta entrare in uno di quei negozi dove si vendono assieme a libri e oggetti devozionali anche statuine o santini. San Francesco è sempre ritratto con tortore , colombe e uccelli. E le copertine dei libri non sono di meno. Per il comune vasto sentire egli è il santo della natura. Eppure a S. Damiano di Assisi Cristo parlandogli attraverso il crocifisso gli aveva dato un incarico ben più gravoso: Francesco, va e ripara la mia casa che come vedi va tutta in rovina. E Papa Innocenzo III così lo sogna mentre sorregge il Laterano e poi lo riconosce nella visita

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del 1209 quando assieme ai primi undici compagni va a Roma per l’approvazione della proto regola. Pur avendo visitato tantissimi posti in Italia ed essersi recato in terra santa egli rimane sempre un contemplativo capace di fare cinque quaresime all’anno. Sono perciò più i giorni dedicati alla preghiera che quelli per la predicazione. Il Celano scrive che San Francesco aveva sempre Cristo negli occhi e sulle labbra e che più che pregare egli era l’uomo fatto preghiera; viveva sempre alla presenza di Dio. Era umile e si esercitava per mantenere alta la guardia contro la tentazione della superbia. “ Spesso, quand'era da tutti esaltato, sentendosi ferito come da troppo acerbo dolore, controbilanciava e scacciava l'onore degli uomini, incaricando qualcuno di maltrattarlo. Chiamava per lo più qualche confratello e gli diceva: «Ti scongiuro per obbedienza di coprirmi di ingiurie senza alcun riguardo e di dir la verità contro la falsità di costoro che mi elogiano». E quando quel fratello, costretto, lo chiamava villano, mercenario, buono a nulla, lui sorridendo e applaudendo diceva: «Ti benedica il Signore, perché dici cose verissime e quali convengono al figlio di Pietro di Bernardone». Con queste parole intendeva rammentare l'umiltà delle sue origini” ( Celano, vita prima cap XIX ). Ammoniva i sui frati dall’essere tristi poiché diceva che la prima opera del demonio è quella di togliere la letizia, quando il nemico ha fatto questo ha già scavato il buco per entrare nell’anima. "Il servo di Dio non deve mostrarsi agli altri triste e rabbuiato, ma sempre sereno. Ai tuoi peccati, rifletti nella tua stanza... Ma quando ritorni tra i frati, lascia la tristezza e conformati agli altri". E direbbe ieri come oggi: "Si guardino i frati di non mostrarsi tristi fuori e rannuvolati come degli ipocriti, ma si mostrino lieti nel Signore, ilari e convenientemente graziosi". Egli è un rivoluzionario, ma alla sua maniera; non a parole ma con la vita. Egli non critica e non mormora mai, agisce. Di fronte allo sfarzo della Curia chiede di poter vivere nella povertà assoluta. Di fronte al sacerdote peccatore egli vede il ministro dell’Eucarestia e a lui si inginocchia. Se i ladri chiedono l’elemosina al convento di Monte Casale dopo aver rubato nel paese, non solo bisogna accontentarli ma anzi cercare i fratelli ladroni e sfamarli e poi, attraverso la preghiera e la generosità convertirli. La perfetta letizia non è fare miracoli, convertire i dotti parigini o tutti i musulmani o risuscitare i morti di quattro dì. La perfetta letizia è vincere se stessi e la propria impulsività. Come dice S. Paolo nel suo inno alla carità: l’amore è paziente e generoso. Per cui se il portinaio della Porziuncola mi bastona perché io continuo a bussare, non solo non mi adiro ma, senza turbarmi, penso che egli abbia ragione di punirmi per aver conosciuto i miei peccati per i quali merito la giusta punizione. Il dotto S. Antonio faceva bene ad insegnar la teologia ai frati, purché, nota Francesco, non venga meno lo spirito di preghiera. Per il Poverello la preghiera era il nutrimento dell’anima, memore che nel Vangelo Cristo ci dice di pregare incessantemente per non cadere in tentazione e perché senza di Lui non possiamo far nulla.

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Croce e delizia per i suoi compagni era il mantello di Francesco: andava a ruba! O perché lo chiedevano per devozione o perché spesso il Poverello se ne disfa incontrando qualche povero infreddolito e privo di sufficienti abiti. Se i frati cercavano di dissuaderlo perché lui ne aveva bisogno in quanto malato, egli insisteva dicendo chiaramente di non volere fare il ladro perché incontrando uno più povero di lui sentiva in cuore l’accusa di avere rubato il mantello a colui che ne aveva più necessità. Un frate un giorno lo provocò dicendogli: certo tu sei povero ma quel giorno che andrai al Signore il tuo corpo sarà ricoperto di pregiati tessuti di gran valore. E lui senza scomporsi risponde: si, è vero quello che tu dici, ma non per me ma a gloria del mio Signore! E quando alla fine della sua vita voleva essere posto nudo sulla terra, senza niente di proprio, accettò la tonaca per obbedienza e perché fu rassicurato che gli veniva data in prestito. Con i frati predicatori era poi determinato: dovevano essere concisi e di poche parole e soprattutto dovevano vivere quello che predicavano. “Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!” ( Ammonizioni ). Famosa in questo senso è la predica muta di Assisi. Parte con un suo frate per una predica alla sua amata Assisi e subito comincia ad incontrare gente che chiede consigli e preghiere, alla fine è ora di rientrare e Francesco senza tentennamenti e rimpianti dice di rientrare alla Porziuncola, al che il frate ribatte : e la predica ? E Francesco: l’abbiamo già fatta! Ad un confratello giovane che con insistenza chiedeva un libro di preghiere spiegò così il suo diniego: vedi, oggi tu mi chiedi un libro e domani, dopo averlo letto, ti metterai sopra quella pietra a farmi la predica come un prelato! E’ noto che davanti alla Porziuncola durante il Capitolo del 1219, Francesco dissuase S. Domenico dal diventare francescano e contro l’insistenza di Domenico spiegò che la sua missione era diversa. Ma domenicani e francescani ebbero sempre ottimi rapporti. Il Beato Angelico, domenicano, spesso nei suoi mirabili affreschi dipinge il Poverello assieme a Domenico. Quando un dotto domenicano chiese un giorno a Francesco la spiegazione del passo di Ezechiele che dice: “ Se non ammonirai l’empio per la sua empietà, io chiederò conto a te della sua anima”. Francesco inizialmente cercò di non rispondere accennando alla sua scarsa cultura ma poi disse: “ Se si deve dare al versetto un significato generico, ecco in che come io lo intendo: il servo di Dio deve avere in sé tale fuoco di santità da riprendere tutti gli empi con l’esempio della sua vita e con l’eloquenza della sua buona fama ”. E il dotto frate predicatore rimase ammirato dalla risposta di Francesco. Anche perché fa passare in secondo ordine l’eloquenza e la cultura di fronte alla santità della vita. E qui bisogna insistere nel dire che non è per niente vero che San Francesco era povero di cultura: basta leggere – come dicevamo – i suoi scritti e le sue preghiere. Il Celano nella sua vita seconda ci racconta che “trovandosi a Roma in casa di un cardinale, fu interrogato su alcuni passi oscuri, ed espose con tanta chiarezza quei concetti profondi, da far pensare che fosse sempre vissuto in mezzo alle Scritture. Perciò il signor cardinale gli disse: «Io non ti interrogo come letterato, ma come uomo che ha lo spirito di Dio. E per questo accetto volentieri il senso della tua risposta, perché so che proviene da Dio solo» ”.

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Egli è anche il santo che in pieno medioevo esalta la Divina misericordia quando chiede a Cristo, su invito della Madonna, durante la visione alla Porziuncola l’indulgenza plenaria quotidiana per la chiesetta di Santa Maria degli Angeli. E riunito il popolo assisano dirà: fratelli voglio mandarvi tutti in Paradiso. Ecco come viene descritto l’avvenimento ne " Il Diploma di Teobaldo " ( F.F. 3391-3397). Una notte dell'anno del Signore 1216, Francesco era immerso nella preghiera e nella contemplazione nella chiesetta della Porziuncola, quando improvvisamente dilagò nella chiesina una vivissima luce e Francesco vide sopra l'altare il Cristo rivestito di luce e alla sua destra la sua Madre Santissima, circondati da una moltitudine di Angeli. Francesco adorò in silenzio con la faccia a terra il suo Signore! Gli chiesero allora che cosa desiderasse per la salvezza delle anime. La risposta di Francesco fu immediata: "Santissimo Padre, benché io sia misero e peccatore, ti prego che a tutti quanti, pentiti e confessati, verranno a visitare questa chiesa, conceda ampio e generoso perdono, con una completa remissione di tutte le colpe". "Quello che tu chiedi, o frate Francesco, è grande - gli disse il Signore -, ma di maggiori cose sei degno e di maggiori ne avrai. E c’è una rivoluzione che egli portò nel suo Ordine, nella Chiesa e che poi sarà destinata a cambiare anche il modo di governare la stessa società civile. Al tempo in cui gli incarichi duravano a vita, “ una volta Abate , Abate per sempre” dicevano i Benedettini e i parroci si diceva che “sposassero la parrocchia”, introdusse la novità degli incarichi a durata breve, al massimo tre anni. Eliminò la parola “superiore” per introdurre quella di Ministro intesa come servitore e amministratore. Memore che Cristo durante l’ultima cena lava i piedi agli apostoli, i frati responsabili della comunità devono considerarsi servi degli altri, minores appunto. Ma per evitare che ci si possa appropriare anche del servizio occorre che questo sia provvisorio e chi ha incarichi sia pronto ad accettarli e allo stesso modo anche pronto a lasciarli. Francesco inventa anche un modo nuovo di morire, egli considera la morte un’amica, anzi di più, una sorella. Come i martiri andavano anche cantando davanti al rogo o al patibolo, Francesco aspetta con gioia la morte perché attraverso questo passaggio incontrerà l’amore della sua vita: Cristo. Egli chiede ai frati di cantare i salmi e aggiunge la strofa di sorella morte al Cantico delle creature. Mentre per S. Paolo la morte è l’ultimo nemico da sottomettere, per Francesco è una sorella che lo accompagna al suo dolce Signore. E poi, certo, c’è anche l’aspetto originale del sommo rispetto per la natura e gli animali. I frati incaricati di far legna nel bosco non dovevano tagliarla tutta da una singola pianta altrimenti questa avrebbe sofferto. Ma un singolo ramo per ogni singola pianta. Nell’attraversare il torrente evitava di disturbare il corso cristallino dell’acqua e saltava da una pietra all’altra per non intorbidirla. Facendo l’orto i frati non dovevano occupare tutta la terra a disposizione, ma lasciarne un po’ per gli animali che ci abitavano prima. E poi le prediche agli uccelli e alla natura come ci ricorda il celebre Cantico di frate sole. Ma i ricordi più grandi di Francesco sono le impressioni delle sacre stimmate che ricevette a La Verna. Egli così riceve il sigillo divino della sua santità. E quasi otto secoli dopo un suo degno figlio, padre Pio, ci ricorda con più forza che Francesco è ancora vivo e attuale.

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Francesco è un uomo lieto, dolce e sensibile ma anche austero, soprattutto con se stesso. Sa che egli è dato come esempio agli altri e per questo invita i suoi, alla fine della propria vita a vedere non in lui ma in Cristo il vero esempio: “ Io ho fatto la mia parte, la vostra ve l’insegna Cristo”. Prima di morire, attorniato dai frati e a poca distanza da sorella Chiara reclusa a San Damiano, sente il bisogno della presenza materna di frate Jacopa la nobildonna romana a cui era affettuosamente legato e la incarica di preparare tutto l’occorrente per la sua sepoltura a significare anche che prima di morire egli desidera vedere riuniti tutti e tre gli Ordini ad Assisi dove tutto aveva avuto inizio. «Giacoma de’ Settesoli, ugualmente famosa per nobiltà e per santità nella città di Roma, aveva meritato il privilegio di uno speciale amore da parte del Santo» (Celano, Trattato dei Miracoli ). «Il Santo, dunque, mentre giaceva ammalato di quell’infermità che, ponendo termine al suo patire, compì con beatissimo esito il felice corso della vita, pochi giorni prima di morire desiderò mandare a Roma per donna Giacoma, affinché, se voleva vederlo mentre tornava alla patria lui che così ardentemente aveva amato in quest’esilio, accorresse in tutta fretta. Si scrive la lettera, si cerca un messo velocissimo, e questi, trovato, si accinge a mettersi in cammino. Ma improvvisamente presso la porta si ode uno scalpitio di cavalli, un rumore di soldati, l’affluire di una comitiva. Uno dei soci, proprio quello che stava dando gli ordini al messo, si fa sull’uscio e vede presente colei che mandava a chiamare ritenendola lontana. Tutto pieno di meraviglia, corre precipitosamente al Santo, e non potendo stare in sé per la gioia, esclama: "Buone nuove, o Padre, ti porto!". E a lui subito il Santo affrettandosi a prevenirlo, rispose : "Benedetto Iddio, il quale ci ha mandato il fratello nostro donna Giacoma! Ma aprite le porte - aggiunse - fatela entrare e conducetemela, perché per frate Giacoma non va osservata la clausura stabilita per le donne". Esultano i nobili ospiti, e tra le consolazioni dello spirito cadono abbondanti lagrime” ». Francesco cerca di stimolare i suoi figli al bene e contro l’umana inerzia dice loro “ cominciamo a fare qualcosa fratelli perché fin’adesso non abbiamo fatto nulla”. S’infiamma di gioia al vedere che frate Masseo è capace di procurarsi più pane di lui nella questua e ringrazia Dio per la propria povertà. Nella quaresima dell’isola del Trasimeno si porta due piccoli pani e ne mangerà un pezzo perché non si possa dire che egli è quasi un altro Cristo. Ma la Chiesa poi proprio così lo venererà, con l’appellativo, unico nella storia, di “alter Christus”. Rimprovera in modo fermo l’arroganza dei militari di Perugia che disturbano la sua predica e preannuncia con rigore che non cambiando modo avranno da pentirsene. La profezia si avvererà presto. Con il Sultano El Malik instaura un rapporto d’amicizia e ottiene il permesso di predicare tra i musulmani e alla fine riceve anche dei doni che si trovano esposti nel piccolo museo della Basilica Inferiore di Assisi. Francesco invita il sacerdote musulmano di corte ad una singolare sfida: passare insieme dentro un falò per dimostrare qual’è il vero Dio che protegge. Alla veloce dipartita del musulmano Francesco non si arrende e dice al Sultano: accendi pure il falò e io passerò da solo in mezzo al fuoco e se dovessi subire dei danni non è perché il mio Dio non sia quello vero ma perché avrò avuto poca fede.

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E poi la predica agli uccelli a Pian d’Arca di Cannara e i suoi frati se meravigliano non poco a vedere la partecipazione evidente dei volatili che in Francesco vedevano la bontà e l’amicizia e quindi un loro alleato. E Come dirà Papa Paolo VI: in Francesco Dio ci ha fatto rivivere la pacificazione dell’uomo e del creato prima del peccato originale. E infine possiamo inserire il Cantico delle Creature che in qualche modo è l’atto di presentazione del santo; è lo scritto più conosciuto e forse quello che più degli altri racchiude la vita straordinaria e per certi versi paradossale, di Francesco. Egli che si definiva uomo illetterato e privo di cultura entra con i versi in volgare umbro del suo Cantico a far parte della storia della letteratura italiana. E’ il cantico delle creature ma è anche il cantico di Francesco a Dio. Lo scrive alla fine della propria vita e ne segna le tappe più dolorose, lo scrive a San Damiano durante una sosta di convalescenza quando ormai era quasi totalmente cieco e la malattia ormai aveva il sopravvento e lo conclude alla Porziuncola inserendo la strofa di sorella morte. Sorella morte che lo accompagnerà all’incontro perenne con il suo Signore.

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Il testo integrale della presente pubblicazione è rintracciabile anche nel web come E-book free scaricabile in formato PDF dal motore Google all’indirizzo

http://sites.google.com/site/storiaterzordinefrancescano Oppure, sempre da internet, attraverso il portale dell’O.F.S. Conegliano

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Assisi, Basilica inferiore – Una delle due Piastrelle pavimentali con la scritta del Terz’Ordine e il simbolo penitenziale della corona di spine e dei chiodi della croce di Cristo.

Cartolina commemorativa del Terz’Ordine dei laici

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in occasione degli 800 anni di francescanesimo.

LA SCRITTA CINQUECENTESCA, CHE SI LEGGE SOTTO IL GRANDE AFFRESCO DEL PITTORE CROCE NELLA CAPPELLA PAPALE DI S. PIO V, NELLA BASILICA

DI S. MARIA DEGLI ANGELI ALLA PORZIUNCOLA. VIENE RICORDATA LA PREDICA A CANNARA E L'ISTITUZIONE DEL TERZ' ORDINE.

IN RILIEVO SI LEGGE:

"De mundi contemptu dicentem Franciscum / Canarienses turmatim sequi cupiunt/ his ad sua remissis tertium ordinem /

primo patriarca instituit " .

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Cannara - Il tugurio di San Francesco all’interno del Palazzo Landrini Maiolica, di fronte alla chiesa della Buona Morte, dove storicamente molti Terziari vestivano qui l’abito dei laici francescani. Di recente sede Regionale dell’O.F.S dell’ Umbria.

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"S. Francesco in questo posto e per primo istituì il sacro Ordine dei secolari penitenti". E' quanto si legge in questa pietra scolpita posta a memoriale sopra la porta della chiesa di S. Francesco a Cannara, piccolo centro vicino ad Assisi. Sopra la scritta un dipinto (da restaurare) ricorda la predica fatta alle rondini.

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Un articolo su “ L’OSSERVATORE ROMANO” del 2005 a firma di Paola Cerami ricorda gli avvenimenti francescani di Cannara.

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Annuale processione, la quinta domenica dopo Pasqua e di solito nel mese di maggio, a Pian d’Arca di Cannara per rievocare la predica agli uccelli di S. Francesco.

Documento tratto dalla relazione di fra Giuseppe Cittadini del 1763 sull’istituzione del Terz’Ordine a Cannara da parte di S. Francesco d’Assisi

( Archivio Sacro Convento d’Assisi, ricerca a cura di Mario Scaloni).

Introduzione del manoscritto del Vescovo d’Assisi Nicolò sulla “ Regola del Terz’Ordine istituito e fondato in Cannara da S. Francesco”, qui definito “figlio del crocifisso,crocifisso da Cristo”.

( Archivio parrocchiale di Cannara, Mario Scaloni ).