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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA ROBOT E ROBOTICA 9 di Bruno Siciliano LA ROBOTICA COGNITIVA OGGI 11 di Ernesto Burattini PERCORSO NELLA LETTERATURA FANTASCIENTIFICA 13 di Matteo Palumbo I MISTERI DEL TURCO DEL BARONE VON KEMPELEN 15 di Guido Rossi ROBOT A CINEMA 17 di Paolo De Marco LE TRE LEGGI DELLA ROBOTICA DI ASIMOV 19 di Giuseppe Zollo ROBOTICA IN CHIRURGIA 21 di Giovanni Persico

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

ROBOT E ROBOTICA 9 di Bruno Siciliano LA ROBOTICA COGNITIVA OGGI 11 di Ernesto Burattini PERCORSO NELLA LETTERATURA FANTASCIENTIFICA 13 di Matteo Palumbo I MISTERI DEL TURCO DEL BARONE VON KEMPELEN 15 di Guido Rossi ROBOT A CINEMA 17 di Paolo De Marco LE TRE LEGGI DELLA ROBOTICA DI ASIMOV 19 di Giuseppe Zollo ROBOTICA IN CHIRURGIA 21 di Giovanni Persico

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Da tempo i robot hanno lasciato i libri di fantascienza per abitare il nostro mondo. Li troviamo ovunque: in fabbrica ad assemblare automobili, nello spazio a esplorare pianeti, in missioni di salvataggio, in sala operatoria e addirittura

in casa ad aiutare nelle faccende domestiche.

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Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

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Quarantanove  anni,  Ordinario  di  Automatica  presso  la  Facoltà  di Ingegneria  dell’Università  di  Napoli  Federico  II,  Bruno  SICILIANO  è responsabile  scientifico  di  PRISMA  Lab,  il  Laboratorio  di  Progetti  di Robotica  Industriale  e  di  Servizio,  Meccatronica  e  Automazione  del Dipartimento  di  Informatica  e  Sistemistica.  I  suoi  interessi  di  ricerca riguardano l'identificazione di modelli e il controllo adattativo, il controllo di  impedenza e di  forza,  il controllo visuale,  i manipolatori  ridondanti e cooperanti, i bracci flessibili in materiale leggero, i robot per applicazioni medicali e spaziali, la coabitazione tra robot ed esseri umani. Fellow delle associazioni  scientifiche  IEEE  (Institute  of  Electrical  and  Electronics Engineers),  ASME  (American  Society  of Mechanical  Engineers)  e  IFAC 

(International Federation of Automatic Control), ha pubblicato 250 articoli su rivista e a congresso e  7  libri  sulla  robotica;  il  suo  libro  Robotics: Modelling,  Planning  and  Control  è  tra  i  testi  più adottati nelle università del mondo. Ha tenuto 80 seminari su  invito di  istituzioni estere. È Editor della collana Springer Tracts in Advanced Robotics (STAR), ha fatto parte dei comitati editoriali di varie riviste e ha presieduto  i comitati scientifici di numerosi convegni  internazionali. Ha curato il libro Springer Handbook of Robotics, per il quale è stato assegnato il maggior riconoscimento per l’editoria scientifica da parte di AAP (American Association of Publishers): 2008 PROSE Award for Excellence  in Physical  Sciences & Mathematics,  and Award  for  Engineering &  Technology. Ha partecipato  a  diversi  progetti  europei  e  attualmente  coordina  il  progetto  DEXMART  sulla manipolazione  destra  bimanuale,  finanziato  nell’ambito  del  Settimo  Programma  Quadro.  Ha ricoperto  cariche  rappresentative  nell'ambito  di  IEEE  Robotics  and  Automation  Society:  Vice‐President  for  Publications,  Vice‐President  for  Technical  Activities,  Administrative  Committee Member, Distinguished Lecturer e, dal gennaio 2008, President. Per ulteriori informazioni si veda http://wpage.unina.it/sicilian. 

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Robot: sogno e bisogno

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

ROBOT E ROBOTICA Bruno Siciliano Professore di Automatica Università degli Studi di Napoli Federico II

La robotica ha radici culturali assai

profonde. Nel corso dei secoli l'uomo ha

costantemente cercato di individuare dei

sostituti che risultassero in grado di emulare il

suo comportamento. Le motivazioni che hanno

dato linfa a questa ricerca fanno riferimento a

contesti filosofici, economici, sociali e scientifici.

I libri di Asimov e i film di fantascienza

hanno condizionato l'immaginario collettivo che

è portato a individuare nel robot un androide che

parla e cammina, vede e sente, con gesti e

reazioni di tipo umano. In concreto, possiamo

definire robot (che in slavo significa ‘lavoro’)

una macchina in grado di svolgere dei compiti in

maniera automatizzata per sostituire o

migliorare il lavoro umano.

Per comprendere il significato tecnico del

termine robot, possiamo riferirci alla definizione

della robotica come quella scienza che studia la

connessione intelligente tra percezione e

azione. L'azione è offerta da un sistema

meccanico dotato di organi di locomozione

(ruote, cingoli, gambe meccaniche) e/o di organi

di manipolazione (braccia meccaniche, mani

artificiali, utensili). La percezione è affidata ad

un sistema sensoriale in grado di acquisire

informazioni sul sistema meccanico e

sull'ambiente (sensori di posizione, telecamere,

sensori di forza e tattili).

La connessione intelligente è affidata a

un sistema di controllo che governa il moto

secondo lo stesso principio del feedback

(retroazione) che regola le funzioni del corpo

umano.

Robotica industriale e robotica avanzata

I robot hanno trovato larga diffusione

nell'industria manifatturiera a partire dagli anni

'70, grazie ai seguenti fattori: la riduzione dei

costi di produzione, l'incremento di produttività,

il miglioramento degli standard di qualità e, non

ultima, la possibilità di eliminare compiti rischiosi

o alienanti per l'operatore umano inserito nel

processo di produzione. La robotica industriale

è da considerarsi come una tecnologia ormai

matura. D'altro canto, con la locuzione di

robotica avanzata ci riferiamo alla scienza che

studia robot con spiccate caratteristiche di

autonomia che operano in ambienti poco

strutturati. La robotica avanzata è ancora oggi in

età giovane, poiché la tecnologia associata non è

ancora matura.

Robot per l'esplorazione

Ci si riferisce al contesto di inviare, in posti dove

l'uomo potrebbe difficilmente sopravvivere, o

dove ci sia un rischio non sostenibile, dei robot

che riportino all'operatore informazioni utili

sull'ambiente, grazie all'impiego di opportuni

sensori. Una situazione tipica è quella

dell'esplorazione di un vulcano, degli interventi

in zone contaminate da gas velenosi o

radiazioni, o ancora dei compiti di esplorazione

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

sottomarina o spaziale. Analogo è lo scenario

rappresentato da disastri causati da incendi in

galleria o terremoti, ove le squadre di soccorso

possono essere coadiuvate da robot di

salvataggio.

Robot di servizio

I robot di servizio sono destinati ad

accompagnare gli esseri umani nella vita di tutti

i giorni. Tali sono i prototipi di ausili robotici per

aumentare l'autonomia di anziani e

diversamente abili: dalle sedie a rotelle

autonome e i sollevatori per la mobilità, agli

imboccatori per l'alimentazione e ai manipolatori

per i tetraplegici. In prospettiva, al cameriere

robotico tuttofare si contrappongono sistemi di

assistenza integranti moduli robotici,

interconnessi tra loro con servizi telematici per

la gestione della casa (domotica).

Diversi sono i robot di servizio impiegati

nella medicina. I sistemi per la chirurgia

assistita sfruttano l'elevata accuratezza del

robot nel posizionare uno strumento, o per la

chirurgia minimamente invasiva in cui il

chirurgo guida il robot da una stazione di

comando, seduto davanti a un computer e

manovrando una interfaccia aptica.

Ancora, nei sistemi per la diagnostica e

la chirurgia endoscopica, piccoli robot

teleguidati dal medico navigano nelle cavità del

nostro corpo trasmettendo immagini all'esterno

o intervenendo in situ per biopsie, rilascio di

farmaci o asportazione di formazioni

neoplastiche. Infine, nei sistemi per la

riabilitazione motoria, un paziente emiplegico

indossa un esoscheletro, che interviene

attivamente per sostenere e correggere i

movimenti secondo una terapia programmata

dal fisiatra.

I robot di servizio potranno essere anche

usati come compagni di giochi per i bambini e di

vita per gli anziani, come i robot umanoidi e

zoomorfi che si stanno diffondendo in Giappone.

È ragionevole prevedere che i robot di servizio

verranno naturalmente integrati nella nostra

società. Così come oggi non si fa quasi più caso

alla presenza di un personal computer nelle

abitazioni, la tecnologia robotica diventerà

sempre più pervasiva, realizzando quel

concetto di ubiquità della robotica, oggetto di

discussione approfondita in ambito scientifico.

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

LA ROBOTICA COGNITIVA OGGI Ernesto Burattini Professore di Sistemi per il governo dei robot Università degli Studi di Napoli Federico II

C’era una volta la cibernetica, forse così

può iniziare una breve presentazione della

Robotica Cognitiva. Era il 1943 quando sulla

rivista ‘Philosophy of science’ apparve l’articolo

di Wiener, Rosenblueth e Bigelow dal titolo

‘Comportamento, scopo e teleologia’ (Behavior,

purpose, and teleology) considerato il manifesto

della Cibernetica, una disciplina che proponeva

una contaminazione tra la teoria del controllo, la

teoria dell’informazione, e la biologia, finalizzata

alla spiegazione dei principi comuni del controllo

e della comunicazione negli animali e nelle

macchine.

Dopo circa 60 anni, siamo approdati, alla

Robotica Cognitiva passando attraverso

l’Intelligenza Artificiale. Anche questa, come la

Cibernetica, suscitò al suo apparire (McCarthy et

al. 1955) grandi attese ipotizzando di poter

aggirare, con il concetto di funzionalismo, la

necessità di modellare esplicitamente il biologico

proponendo, in alternativa, la rappresentazione

del pensiero attraverso gli strumenti della logica.

L’evoluzione di queste due discipline ha portato

oggi alla Robotica Cognitiva che cerca di

coniugare la modellistica biologica, etologica,

psicologica con i meccanismi inferenziali,

potendosi per altro avvalere di strumenti di

calcolo molto più potenti e di sensori e motori

molto più raffinati del passato.

Ma quali sono gli attributi che deve

possedere un robot con capacità cognitive? Esso

deve essere in grado di svolgere compiti in

maniera autonoma ed efficiente, in ambienti

anche sconosciuti; interagire e cooperare

eventualmente con l’uomo in maniera sicura

(per entrambi); essere in grado di prestare

attenzione, prendere autonomamente decisioni e

recentemente si richiede anche che mostri

emozioni. Ovviamente, gli attuali robot non

posseggono tutti questi requisiti ma molti

progetti di ricerca vanno in questa direzione e

alcuni risultati già si vedono. Oggi ci sono robot

che giocano al calcio, c’è una RoboCup a livello

internazionale, o suonano uno strumento, dal

flauto, al piano, al violino, richiamandoci alla

memoria gli automi settecenteschi di Vaucanson,

o giocano con un bambino (si veda il trafiletto

apparso sul Corriere della Sera del 23 Aprile

scorso intitolato ‘Il robot che accarezza i bimbi

(meglio di niente)’), o aiutano l’uomo in qualche

lavoro, ma ognuno di essi sa svolgere, in

genere, una sola di queste attività. L’obiettivo,

che si ha ora davanti, è quello di far convivere,

in un unico artefatto, diverse capacità cognitive,

ad esempio aiutare nei lavori domestici e

suonare il piano, lavorare ad una catena di

montaggio e giocare a pallone, accudire un

disabile interpretando o prevenendo le sue

necessità e desideri.

Molte discipline possono essere fonti di

ispirazione per la Robotica Cognitiva. L’etologia

che può suggerire metodologie di analisi di

comportamenti elementari, le neuroscienze che

possono proporre strutture hardware e software

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

come le reti neurali per programmare queste

macchine, la psicologia che può indicare la via

per dotare di meccanismi attentivi, emotivi e

motivazionali i robot del futuro.

Già ora, e ancor più domani, quando si

costruiranno robot capaci di svolgere molte

attività diversificate, si porrà il problema di

comprendere quale etica debba regolare la

convivenza tra esseri umani e macchine dotate

di molte prerogative finora riservate ai primi.

Alle ben note tre leggi dettate da Asimov in “Io

Robot”, che valevano solo per i robot, bisognerà

aggiungere leggi che valgano sia per gli uomini

che per i robot. Forse si può concludere dicendo:

‘Che siamo fatti di carbonio o di silicio non ha

importanza: ciascuno di noi deve essere trattato

col giusto rispetto’ (da Odissea 2010 di Arthur C.

Clarke).

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PERCORSO NELLA LETTERATURA FANTASCIENTIFICA Matteo Palumbo Professore di Letteratura italiana Università degli Studi di Napoli Federico II

Sono note le tre leggi della robotica che

Isaac Asimov enunciò negli anni cinquanta: ‘1)

Un robot non può arrecare danni a un essere

umano né può permettere che, a causa del

proprio mancato intervento, un essere umano

riceva danno; 2) Un robot deve obbedire agli

ordini impartiti da esseri umani, purché tali

ordini non contravvengano alla Prima Legge; 3)

Un robot deve proteggere la propria esistenza,

purché questa autodifesa non contrasti con la

Prima e con la Seconda Legge’. Questo tentativo

di codificazione voleva addomesticare la potenza

demonica dei robot e inscrivere i comportamenti

di macchine artificiali nell’esercito del Bene. Era

una nobile preoccupazione, ma la letteratura

aveva già scelto un’altra strada. Si era

incamminata lungo sentieri molto meno sicuri e

aveva utilizzato gli automi per raccontare storie

di pazzia e di morte. Nel 1818, infatti, E.T.A.

Hoffmann, un anno prima che apparisse

Frankenstein di Mary Shelley, aveva pubblicato

L’uomo della sabbia: un testo misterioso,

angosciante, cupo come un brutto sogno,

destinato a diventare più tardi oggetto di una

celeberrima lettura di Freud. Lo scrittore tedesco

aveva mostrato l’innamoramento di un giovane

per una bellissima fanciulla, Olimpia, la quale

era nient’altro che un robot: una ‘sposa morta’,

affascinante e funebre, priva di vita e di calore.

Ardente fino al delirio, il giovane, quando si

trova di fronte all’atroce scoperta, impazzisce e

resta segnato fino alla fine dei suoi giorni dal

trauma patito. La confusione tra il mondo umano

e quello che non è umano diventa deleteria. Non

distinguere i confini tra i due campi, interpretare

un simulacro impassibile, astratto, assente,

come una persona viva, dotata di sensibilità e di

emozioni, può essere fatale. L’automa uccide.

Quanto più è simile all’uomo, tanto più è

pericoloso. Incrina le certezze, spinge verso il

furore, assoggetta i sensi e li incatena.

Con Hoffmann non siamo arrivati a

pensare la rivolta delle macchine, ma il lato

oscuro che sta dietro l’esistenza artificiale è già

completamente annunciato. Il cinema, più di

tutte le arti, contribuirà a illustrare l’inimicizia

fatale tra l’uomo e i suoi replicanti. Essi

diventeranno sempre più potenti. Usciranno

dalla natura di servi, per cui erano pensati, e

rivendicheranno una signoria senza limiti.

Saranno intransigenti e vendicativi, simili

all’astronave ideata da Tommaso Landolfi nel

1950, in quell’intreccio di incubo e di follia che è

Cancroregina. Proiettata nello spazio, la navicella

impone la sua volontà al viaggiatore che ha a

bordo. Diventa ‘sempre più dispotica, arcigna e

acida’, guidandolo in una corsa pazza intorno

alla terra: senza meta e senza speranza di

nessun ritorno.

La fantascienza di Philip K. Dick è andata

ancora oltre la storia di queste insubordinazioni.

La contrapposizione di uomo-padrone e robot-

servo, i cui ruoli si rovesciano drammatica-

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mente, è stata soppiantata da un’ulteriore,

inquietante possibilità. Negli scenari che egli

immagina il robot non è neppure un’entità

estranea o derivata. Al contrario, occupa

interamente il mondo. È la sola realtà esistente.

Gli uomini, a questo punto, non sarebbero che

il riflesso della loro esistenza: il risultato di una

programmazione. In tale prospettiva niente è

sicuro o definitivo. Tutto appare reversibile e

perturbante. Come scrive Dick, ciascuno di noi

potrebbe chiedersi: ‘Sono umano? O sono

semplicemente programmato a crederlo?’.

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I MISTERI DEL TURCO DEL BARONE VON KEMPELEN Guido Rossi Professore di Immunopatologia Università degli Studi di Napoli Federico II

Nel corso di oltre due secoli si sono

occupati di Kempelen i maggiori specialisti di

automi, di illusionismo, di misteri in genere (tra i

quali Edgar Allan Poe). Premesso che tra le varie

versioni della storia del Barone non se ne

trovano due identiche, a parer mio rimane il

mistero più grande ossia il fatto che personaggi

del calibro di Maria Teresa d’Austria, di Federico

il Grande, di Napoleone, si siano lasciati

infinocchiare dal Barone, pur avendo tutti i

mezzi per smascherarlo. Ma a questo punto è

necessario un piccolo riassunto di questa storia.

Nel 1769 il Barone von Kempelen fu

incaricato da Maria Teresa di costruire un

automa che giocasse a scacchi. Il Barone, dotato

di un eccezionale talento meccanico ma un po'

sbruffone, affermò che il suo automa ‘avrebbe

oscurato tutto quello che il mondo aveva visto

sino ad allora’ e che addirittura ‘sarebbe stato in

grado di pensare!’ Dopo pochi mesi, alla

presenza dell’Imperatrice il Barone presentò con

un’elaborata messa in scena il suo automa, un

fantoccio vestito da turco, seduto dietro un

enorme cofano, dotato di vari sportelli, su cui

era poggiata una scacchiera. Il Barone aprì in

sequenza tutti gli sportelli, per mostrare che non

vi era nessuno nascosto all’interno. Maria Teresa

quindi comunicò la prima mossa, che fu eseguita

da uno spettatore seduto accanto all’automa. Il

Turco sollevò un pezzo e rispose e così via, fino

a quando non dette scacco matto all’Imperatrice.

Durante la partita Kempelen sedette accanto a

un tavolino sul quale poggiava una misteriosa

scatola nera di cui non si seppe mai il contenuto,

ma che probabilmente serviva solo a distogliere

l’attenzione e a confondere le acque.

Questo straordinario spettacolo si

rinnovò decine di volte, alla presenza di ospiti

illustri, quali Caterina II e Federico il Grande e

continuò per decenni dopo la morte del Barone,

ad opera di un certo Mälzl, che aveva acquistato

l’automa. Innumerevoli storie circolano sulle

vicende del Turco. La più gustosa vuole che

Caterina II, sospettando che un patriota polacco

si fosse introdotto alla sua corte nascosto nel

cofano, abbia fatto fucilare il Turco! Anche

Napoleone volle giocare contro l’automa e perse,

ma le versioni dell’incontro sono discordanti.

Secondo un cronista, Napoleone volle la rivincita

e, sconfitto di nuovo, per la rabbia avrebbe

distrutto a calci l’Automa, il che è falso, perché il

Turco continuò a ‘vivere’ a lungo ed emigrò

persino negli Stati Uniti, dove ‘sembra’ che perì

in un incendio nel 1854.

È ovvio che l’unica spiegazione plausibile

del mistero è la presenza, da tutti sospettata ma

mai accertata, di un giocatore di scacchi

all’interno del cofano, che si spostava man mano

che il Barone apriva gli sportelli, in modo da

rimanere sempre nascosto, poiché gli sportelli

non venivano mai aperti contemporaneamente.

Su questa versione ‘base’ sono state elaborate

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numerose varianti, la più famosa delle quali è

quella di Poe, nella novella ‘Il giocatore di

scacchi di Maelzel’.

Ma com’è possibile che nessuno abbia

mai fatto ricorso al metodo più semplice per

smascherare questo trucco, ossia sorvegliare il

cofano fino a quando lo scacchista nascosto al

suo interno non fosse stato costretto ad uscire?

Sembra che solo Federico il Grande sia stato

messo a conoscenza del trucco, sganasciandosi

dalle risate. E che dire del fatto che per circa

cento anni vi sono stati scacchisti non solo

bravissimi, perché il Turco vinceva quasi

sempre, ma anche di piccola statura e abili

contorsionisti, che comunque dovevano far parte

del seguito del Barone o di Mälzl, e quindi

dovevano essere facilmente individuabili? Non vi

è scacchista famoso dell’epoca di cui non si sia

fatto il nome, ma nessuno fu mai colto in

flagrante, né alcuno confessò mai di aver far

parte dell’equipe. Solo negli Stati Uniti uno di

loro sarebbe stato scoperto: secondo alcuni a

causa di un poderoso sternuto, secondo altri

perché un ragazzino lo avrebbe visto uscire dal

cofano. Insomma, se una conclusione può

essere tratta da questa straordinaria vicenda è

che la credulità umana non ha limiti. O forse c’è

ancora qualche mistero da svelare…?

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ROBOT A CINEMA Paolo De Marco Professore di Storia Contemporanea Seconda Università degli Studi di Napoli

Il cinema sin dai suoi primi passi s’è

ispirato ai racconti di fantascienza (è del 1902 il

Viaggio sulla luna di George Méliès) e si è perciò

ben presto interessato alla possibile

realizzazione di macchine dotate di intelligenza

artificiale, mettendo subito in evidenza i pericoli

che il loro impiego avrebbe potuto comportare

per gli uomini. Già in Metropolis di Fritz Lang,

del 1927, infatti, un robot realizzato con le

sembianze della predicatrice Maria e

programmato dallo scienziato Rotwang per

spingere ad una disastrosa sconfitta gli operai in

rivolta, finisce col provocare la rovina dell’intera

città.

In effetti sono ben poche le macchine

dotate d’intelligenza artificiale che sugli schermi

sembrano attenersi alle ‘Tre Leggi della robotica’

di Isaac Asimov (a partire dalla prima, secondo

la quale ‘un robot non può recare danno ad un

essere umano, né può permettere che, a causa

del proprio mancato intervento, un essere

umano riceva danno’), comportandosi come

compagni servizievoli e amichevoli dell’uomo,

come il droide C-3PO, goffo, obsoleto e anche un

po’ tonto, ma simpatico di Guerre stellari di

George Lucas, del 1977. Sono innumerevoli,

invece, i film in cui queste macchine

costituiscono una seria minaccia per l’uomo, per

tanti diversi motivi. Possono essere costruiti

dagli alieni e perciò privi di riguardi nei confronti

dei terrestri, come nel caso del gigantesco robot,

minaccioso nella sua apparente immobilità, di

Ultimatum alla Terra di Robert Wise, del 1951,

pronto a scatenare la sua devastante potenza, in

nome della superiore necessità di tutelare

l’Universo dalla furia distruttrice dell’uomo.

Possono modificarsi nel tempo fino a sfuggire ai

controlli, come il robot pistolero-Yul Brynner de

Il mondo dei robot di Michel Crichton, del 1973,

che si ribella agli umani dopo essere stato

‘ucciso’ infinite volte dai clienti del parco di

divertimento Westworld. Possono esser stati

programmati con istruzioni che non tengono

conto della prima legge della robotica, come

l’Hal 9000 di 2001. Odissea nello spazio di

Stanley Kubrick, del 1968, il supercomputer che

gestisce tutte le operazioni della navicella

spaziale, che tenta di sopprimere l’intero

equipaggio temendo di essere disinserito. Può

esser stato persino realizzato col preciso scopo

di distruggere l’intero pianeta, come l’ordigno

‘fine-di-mondo’ de Il dottor Stranamore, dello

stesso Kubrick, del 1964, la superbomba

nucleare che si attiva automaticamente, con un

procedimento irreversibile, in grado di

respingere qualsiasi ‘interferenza’ umana, nella

folle illusione di creare la perfetta arma di

deterrenza. I robot possono cercare d’imporre la

loro dittatura sugli uomini, come nel caso degli

NS-5, le sofisticatissime macchine androidi di Io

Robot di Alex Proyas, del 2005, per ‘proteggere’

l’umanità da se stessa, secondo

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un’interpretazione perversa della Quarta legge

della Robotica (‘un robot non può recare danno

all’umanità, né può permettere che, a causa del

proprio mancato intervento, l’umanità riceva

danno’). Le macchine dotate d’intelligenza

‘artificiale’ possono, infine, evolversi al punto da

non voler più sottostare ad alcun controllo e

puntare anzi a sterminare la razza umana,

perché giudicata ormai obsoleta, con

l’implacabile determinazione del cyborg

Terminator-Arnold Schwarzenegger del film di

James Cameron, del 1984.

Negli ultimi tempi, grazie alle prospettive

aperte dalla biotecnologia, sugli schermi si

assiste ad una curiosa opposta tendenza, degli

uomini, a farsi robot, acquistando potenza e

nuove capacità, ma riducendosi anche sempre

più a macchine, e, al contrario, dei robot, degli

androidi e dei cyborg ad acquisire sempre più

sentimenti e comportamenti umani. Da un lato,

l’agente Murphy in Robocop, di Paul Verhoven,

del 1987, si trasforma nella macchina perfetta

per imporre l’ordine pubblico. Dall’altro, lo

stesso Hal 9000, mentre viene progressivamente

disinserito, si spegne lentamente cantando una

filastrocca infantile; l’infelice robot David-

Pinocchio (Haley Joel Osment) di A.I. Artificial

Intelligence di Steven Spielberg, del 2001, è

capace di provare amore per la sua «mamma«

umana ed è disperatamente bisognoso del suo

amore; il «replicante» Roy Batty (Rutger Hauer)

di Blade Runner di Ridley Scott, del 1982, nel

suo commovente lamento finale (‘Io ne ho viste

cose che voi umani non potreste immaginarvi...’)

esprime la dolente umanità degli androidi ribelli

condannati a morire giovani, ed, infine, il robot

Andrew (Robin Williams) de L’uomo bicentenario

di Chris Columbus, del 1999, giunge a rinunciare

al dono dell’immortalità per farsi uomo.

A volte si assiste ad un vero e proprio

ribaltamento dei ruoli tra umani sempre più aridi

e privi di sentimenti, e macchine dotate

d’intelligenza artificiale, che esprimono

sentimenti, fantasia, persino spirito poetico: si

pensi alle macchine gioiose e indisciplinate

addette alla verniciatura dello spot pubblicitario

della Citroen Picasso, che si zittiscono

spaventate quando passa l’arcigno sorvegliante

umano, o al robotino poeta, protagonista del film

d’animazione Wall-E di Andrew Stanton, del

2008, costretto a sopravvivere, unico essere

‘vivo’, in un pianeta ridotto, per l’opera

devastatrice dell’uomo, in una gigantesca

discarica.

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

LE TRE LEGGI DELLA ROBOTICA DI ASIMOV Giuseppe Zollo Professore di Gestione aziendale Università degli Studi di Napoli Federico II

Prima Legge: Un robot non può recare danno a

un essere umano o permettere con l’inazione

che un essere umano possa essere danneggiato.

Seconda Legge: Un robot deve ubbidire agli

ordini degli esseri umani, tranne quando tali

ordini entrano in conflitto con la Prima Legge.

Terza Legge: Un robot deve proteggere la

propria esistenza finché tale protezione non entri

in conflitto con la Prima e la Seconda Legge.

Asimov ricorda la nascita delle tre leggi.

Stava spiegando il comportamento complesso

del robot del racconto ‘Liar’ (Bugiardo) al suo

editore John Campbell. Questi, spazientito, gli

chiese di non dilungarsi. Di condensare in tre

leggi le norme alla base del comportamento dei

robot. Era il 16 dicembre 1940. La data di

nascita dei robot moderni. Ed anche la nascita

dei robot buoni e servizievoli. La nascita dei

robot operai. Fino ad allora i robot si

chiamavano Frankestein e Golem. Erano robot

piuttosto inquietanti, dall’indole ribelle. Ma

neanche per i robot asimoviani le cose andavano

troppo bene. Le tre leggi sono spesso in conflitto

tra loro. Proprio nel racconto ‘Liar’, uscito nel

1941 il robot si trova di fronte ad un dilemma.

Se dà una risposta ad un problema fa del male

agli uomini perché danneggia il loro amor

proprio. Se rifiuta li danneggia lo stesso. Di

fronte al dilemma insolubile il robot impazzisce.

Nel racconto ‘Little lost robot’ (Il piccolo

robot perduto) del 1947 un tecnico

imprudentemente ordina al robot ‘Sparisci’. Il

robot non si trova più. Eppure l’episodio si

svolge in una stazione spaziale. Si scopre che il

robot si è mimetizzato tra gli altri robot. Il fatto

che i robot prendono alla lettera gli ordini è un

problema mai completamente risolto dalla

robotpsicologia. La fantascienza scopre ben

prima della scienza che i robot non riescono a

fare una cosa che gli uomini fanno con

naturalezza. Interpretare i messaggi. L’unico

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

modo per comunicare con i robot senza equivoci

è un linguaggio puramente formale.

Privo delle sfumature e delle ambiguità

del linguaggio naturale. Gli eredi dei robot

asimoviani non hanno superato i limiti dei loro

progenitori. Tuttavia si sono evoluti. Non hanno

più bisogno di un corpo antropomorfo. Vivono

nel ciberspazio. Puro insieme di regole. Solo

anima senza corpo. Sono i programmi che ci

fanno navigare in rete.

Google ne è l’ultimo rampollo.

Servizievole come ogni buon robot esegue

pazientemente le ricerche per noi nell’universo

sterminato di Internet.

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

ROBOTICA IN CHIRURGIA Giovanni Persico Professore di Chirurgia generale Università degli Studi di Napoli Federico II

Il ventesimo secolo è stato definito da

Eric J. Hobsbawm ‘il secolo breve’ per l’enorme

accelerazione impressa agli eventi della Storia e

alle trasformazioni avvenute nella vita degli

uomini. Tanti e tali sono stati i mutamenti che,

anche noi come Max Planck, potremmo

affermare che ‘Stiamo vivendo in un momento

davvero singolare della storia… In ogni campo

della nostra civiltà spirituale e materiale ci

sembra di essere giunti a una svolta critica...

Non c’è qualche assioma scientifico che non sia

oggidì negato da qualcuno. E allo stesso tempo

quasi ogni assurda teoria può quasi certamente

trovare seguaci e discepoli da qualche parte’.

Questa è la giusta premessa storico-emozionale

per introdurre l’argomento della robotica in

chirurgia. Curiosamente le parole ‘chirurgia’ e

‘robotica’ presentano un’analogia etimologica.

Chirurgia deriva dal greco cheir, mano, e ergon,

lavoro, mentre l’etimologia di robot è legata alla

parola slava con radice raboti, cioè lavoro.

Nel 1993 la FAD (Food and Drug

Adminitration) degli Stati Uniti concesse

l’autorizzazione ad operare con un robot per

l’impianto di una protesi d’anca. Il progettista

del sistema era l’ingegnere Robert Paul ed il

chirurgo il dottor William Bargar del Sutter

Hospital di Sacramento. Da allora notevoli

progressi sono stati fatti e la robotica viene

utilizzata per biopsie e per l’impianto di reperi in

chirurgia stereotassica, ma sicuramente il campo

di maggior impiego è in chirurgia video assistita.

La punta di diamante di quest’approccio è una

sofisticata apparecchiatura battezzata da Vinci,

frutto di una ricerca iniziata negli Stati Uniti negli

anni Novanta per la microchirurgia della quale

l'Italia si sta dotando sempre più, e meglio, di

altri paesi europei: 32 contro 13 in Germania e

una in Francia, con una quota di casi trattati

arrivata nel 2008 a 2480. Il Sistema chirurgico

da Vinci, composto da una console chirurgica

con integrato un visore stereo 3D, un carrello

chirurgico, un braccio camera e due bracci

strumento, un carrello vision, permette al

chirurgo, seduto alla console, di operare usando

due master posizionati direttamente sotto un

visualizzatore del campo operatorio 3D

ingrandito. Con questo sistema i chirurghi hanno

il vantaggio di accedere attraverso piccole

incisioni senza rinunciare alla destrezza, alla

precisione ed ai movimenti istintivi della

chirurgia a cielo aperto. Ma questo è solo l’inizio,

infatti gli sviluppi permetteranno in futuro

l’esecuzione di interventi a distanza. Un paziente

non dovrà spostarsi dalla propria sede, ma potrà

subire l’operazione eseguita, tramite un robot,

dal chirurgo esperto sito a chilometri di distanza.

Fantascienza alla Star Trek? No, se si pensa che

già nel 2001 è stato eseguito il primo

collegamento transatlantico tra New York e

Strasburgo e sono state eseguite alcune parti di

un intervento con l’ausilio di questo Strumento

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

Robot: il chirurgo a Strasburgo faceva muovere

lo strumento negli Stati Uniti per via satellite.

Forse, in un futuro non tanto lontano, ci

saranno tanti Claude Malloche (protagonista del

romanzo di Michel Palmer, Il Paziente) che

sceglieranno il chirurgo in base al robot

utilizzato. C’è da chiedersi, in caso di errore, chi

sarà denunciato: il chirurgo o il robot? In studio

sono, inoltre, micro robot che immessi nel

circolo sanguigno o nell’apparato digerente o

respiratorio potranno raccogliere informazioni,

eseguire biopsie o, addirittura, praticare piccoli

interventi chirurgici. Ci deve assolutamente

tranquillizzare l’evidenza che almeno per il

prossimo futuro i robot rimarranno meravigliose

macchine senza anima o capacità decisionale.

Non ci saranno Hal 9000 o ‘Caterine’ gelose.

Comunque, il progresso tecnologico, soprattutto

in medicina ed in particolare in chirurgia deve

aprire un ampio capitolo di riflessione. In realtà,

la chirurgia robotica comporta anche notevoli

inconvenienti come una curva di apprendimento

lunga, difficoltà tecniche che rendono difficile

una pronta conversione alla chirurgia

tradizionale in caso di emergenza, costi spesso

eccessivi, nonché errori legati ad una inefficienza

dello strumento.

Attualmente il funzionamento delle

apparecchiature deve essere controllato dal

chirurgo, ma il progredire della tecnologia

richiederà un adeguamento della legislatura in

tal senso ed una contestuale riorganizzazione del

personale dedicato con l’introduzione di nuove

figure professionali dotate di alte competenze

tecnologiche per il controllo delle nuove

attrezzature durante gli interventi chirurgici.

Comunque, appare evidente che il progresso

tecnologico deve essere supportato con tutte le

energie sia dalla ricerca che dagli operatori

sanitari e, soprattutto, dalle istituzioni.

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