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Oltre la voce Riflessioni su linguaggio e afasia Tesina per il corso di Cibernetica II Marco Piersanti A.a. 2010-2011

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Oltre la voceRiflessioni su linguaggio e afasia

Tesina per il corso di Cibernetica II

Marco Piersanti

A.a. 2010-2011

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It speaks, and yet says nothing.William Shakespeare, Romeo and Juliet

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Indice

Indice 3

1 Precursori 4

2 Il linguaggio 72.1 I pionieri del linguaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92.2 Il linguaggio è universale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 112.3 “Language instinct” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 132.4 Una questione evolutiva . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

3 Senza parole 193.1 L’afasia di Broca . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 223.2 L’afasia di Wernicke . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 243.3 L’afasia di conduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253.4 Le afasie transcorticali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 253.5 Altre aree cerebrali coinvolte nel linguaggio . . . . . . . . . . . 263.6 L’emisfero destro e l’espressività del linguaggio . . . . . . . . . . 27

Riferimenti bibliografici 30

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1Precursori

È stato un animale feroce, oggi è cattivo.1

Per centinaia di migliaia di anni si è nutrito di erbe, bacche e frutti,poi ha scoperto i vantaggi nutrizionali di una dieta a base di carne e hacominciato a contendere ai piccoli carnivori le carogne avanzate dai grandimammiferi vertebrati. Non ha denti robusti, né artigli. Ci vede. Ma nonbene. Non possiede una visione notturna. Ci sente poco. Non ha un odoratosviluppato. Non ha neanche una muscolatura adatta alla caccia. Non hacapacità di corsa.

Con l’urina lasciava segnali che nessun’altra specie animale prendeva sulserio.

Viveva in piccoli gruppi. Soffriva e soffre il freddo e il caldo eccessivi.Ha bisogno di un ricovero notturno.

Non conosciamo ancora le modalità evolutive di questo animale a omi-nide, ma possiamo arguire che si verificarono due trasformazioni importantinella struttura della sua vita di gruppo.

Da una parte, l’acquisizione del cibo diventò progressivamente un com-pito collettivo, dall’altra, questa acquisizione cominciò a essere differenziatasulla base del sesso.

La prima affermazione è una conseguenza della condizione di inferioritàin cui si trovava l’individuo isolato che non aveva le capacità di performancedei predatori.

1Il contenuto del presente capitolo è stato in gran parte estratto dal discorso di Gianni-Emilio Simonetti pronunciato alla commemorazione dell’anniversario della morte di De-metrio Stratos al Teatro della Tosse a Genova, nell’ottobre 2009, e contenuto nel libroOltre la voce, ed. Feltrinelli.

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Qui, va da sé, non si tratta solo di strategie per migliorare la preda-zione, perché la caccia collettiva comporta, per cominciare, un sistema dicomunicazione gestuale e orale che sia in grado di coordinare l’azione.

In sub ordine, il rispetto di una gerarchia e l’obbedienza a un leader,fatto che possiamo considerare naturale presso i primati.

Infine, c’è da apprezzare il formarsi di una distinzione tra il bisogno ela sua soddisfazione. Vale a dire di un catalogo di tattiche di caccia inrelazione alle scelte che si operano, ma tutte fondate essenzialmente sullavoce e il pollice contrapposto, che consente alla mano di diventare assassina.

La differenziazione sessuale legata alla caccia è piú controversa. Certa-mente, sul piano funzionale, la disparità dei ruoli è piú recente e, per certiversi, è una perversione sociale attraverso la quale si strutturano il comandoe le forme di potere.

Discende essenzialmente dall’infanzia protratta del cucciolo degli ominidiche obbliga la madre ad accudirlo per tempi molto lunghi avendo, la posturaeretta, ridotto il passaggio pelvico, obbligandola a un parto prematuro.

Possiamo anche osservare che la caccia richiede, oltre all’attenzione, lavigilanza e la pazienza nel corso degli appostamenti. Soprattutto richiede,ed è una condizione essenziale, l’elaborazione di codici vocali che devonoessere condivisi, pena la compromissione del risultato.

Da qui discende anche un altro aspetto dell’evoluzione umana, l’orga-nizzazione vocale degli scambi tra i gruppi perché il controllo del territo-rio, la savana, pericolosa quanto ricca di risorse, presupponeva delle azionicoordinate.

Diciamo, in estrema sintesi, che un buon controllo del territorio presup-poneva per questo ominide una comunicazione sistematica che solo la vocegli consentiva. La voce, e solo essa, ha consentito un salto di qualità nellaconnessione delle menti e ha aperto il lungo cammino verso lo sviluppo dellinguaggio verbale.

Il linguaggio, infatti, come frutto della voce, compare al termine di unprocesso evolutivo importante, l’abbassamento della laringe – che i nostricugini scimpanzé e il resto della famiglia hanno ancora posizionato in altonella gola – per dare spazio alla faringe.

La faringe – questa cassa di risonanza che consente una produzione disuoni ampia e diversificata – appare già progredita in resti fossili risalenti acirca un milione e mezzo di anni fa nell’Homo erectus e risulta completatacirca quattrocentomila anni fa con l’Homo sapiens arcaico.

Un evento che si è rivelato come l’ultima specialità della specie umanasuperstite. Tutto parte dalla coscienza della voce. È questa coscienza che,per due milioni di anni, alcune specie umane – vincendo ostacoli anatomiciimportanti – hanno privilegiato fino a istituire, con essa, una comunicazioneche ha superato restrizioni e lentezze degli apparati comunicativi ereditatidal primitivo stadio evolutivo.

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Con la voce si è installato un congegno che concentra e distribuisce unampio spettro di contenuti operativi. Congegno che all’inizio non pote-va che essere una convenzione, un accordo condiviso dagli sviluppi alloraimprevedibili.

La coscienza della voce, poi, diede vita e si portò dietro anche alcuninessi fondamentali per lo sviluppo della condizione umana.

I nessi tra i contenuti mentali, privati e isolabili, e le peculiari materializ-zazioni del registro sonoro, che sono percepibili e pubbliche e che si generano,qui sta il miracolo dell’ominizzazione, attraverso l’esercizio coordinato di unorgano del corpo umano.

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2Il linguaggioUn approccio neuroscientifico

Probabilmente l’ultima frontiera della scienza, la sua sfida finale, con-siste nella comprensione delle basi biologiche su cui si posano lo stato dicoscienza ed i processi mentali attraverso cui percepiamo, agiamo, parlia-mo, apprendiamo e ricordiamo. Negli ultimi due decenni, è stato possibileraggiungere un considerevole grado di unificazione tra le ricerche sul com-portamento, vale a dire gli studi sui processi mentali, e quelle che riguardanole neuroscienze, e cioè i meccanismi del funzionamento cerebrale.

Il principio informatore di questo processo di unificazione è la consapevo-lezza che ogni comportamento rappresenta il risultato di una funzione cere-brale. Ciò che noi chiamiamo “mente” altro non è che una serie di operazionieseguite dal cervello.

È compito delle neuroscienze quello di spiegare il comportamento in ter-mini di attività cerebrali; di spiegare cioè in che modo milioni di singolecellule nervose operino nel cervello per determinare la comparsa di compor-tamenti e in che modo queste cellule possano venire a loro volta influenzatedalle condizioni dell’ambiente che le circonda, ivi compreso il comportamentodi altre persone.

Un primo sforzo per riunire in una visione unitaria concetti biologicie psicologici nello studio del comportamento fu tentato verso la fine deldiciottesimo secolo. Franz Joseph Gall, medico e neuroanatomico tedesco,avanzò infatti due idee radicalmente innovative. Anzitutto egli affermò cheogni comportamento emana dal cervello. Sostenne poi che singole regionidella corteccia cerebrale sono in grado di controllare funzioni specifiche.

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Questi studi vennero in seguito perfezionati dal neurologo tedesco KarlWernicke, dal fisiologo inglese Charles Sherrington e dal medico spagnoloSantiago Ramón y Cajal, che formularono una nuova ipotesi delle funzionicerebrali detta connessionismo cellulare. Secondo questa teoria, i singolineuroni sono le unità responsabili dei messaggi del sistema nervoso; essi sitrovano in generale raggruppati in unità funzionali e sono connessi l’un l’altroin maniera precisa. Le ricerche di Wernicke, in particolare, dimostrarono chemanifestazioni diverse del comportamento sono mediate da regioni cerebralidiverse, interconnesse da vie cerebrali specifiche.

LOBOOCCIPITALE

LOBO FRONTALE LOBO PARIETALE

LOBO TEMPORALE

Figura 1: I quattro lobi della corteccia cerebrale. Fonte: Wikipedia.

Le operazioni cerebrali necessarie per esplicare le nostre capacità cogni-tive hanno luogo essenzialmente nella corteccia cerebrale, che è la sostanzagrigia irregolarmente solcata che ricopre gli emisferi cerebrali. In ciascu-no dei due emisferi cerebrali la sovrastante corteccia è suddivisa in quattrolobi anatomicamente distinti: frontale, parietale, temporale e occipitale (Fi-gura 1), che presero originariamente il nome delle ossa del cranio che liracchiudono. Ciascuno di questi lobi possiede funzioni specializzate. Il lobofrontale è deputato, in gran parte, alla programmazione delle azioni e alcontrollo del movimento; il lobo parietale è connesso con le sensazioni soma-tiche; il lobo occipitale con la visione; il lobo temporale infine è in rapportocon l’udito e, tramite alcune sue strutture profonde come l’ippocampo e ilnucleo dell’amigdala, con certi aspetti dell’apprendimento, della memoria edel comportamento emotivo. Ciascun lobo possiede una serie di circonvolu-zioni e di caratteristici ripiegamenti profondi che costituiscono il meccanismoevolutivo di scelta che consente di racchiudere un gran numero di neuroni

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in uno spazio ristretto. Le parti sporgenti di queste circonvoluzioni sonochiamate giri mentre gli avvallamenti che le separano sono detti scissure.

L’organizzazione della corteccia cerebrale è caratterizzata da due im-portanti peculiarità. In primo luogo, ciascun emisfero è in rapporto con iprocessi sensitivi e motori della parte opposta o contralaterale del corpo.In secondo luogo, gli emisferi cerebrali, sebbene appaiano simili, non hannotuttavia una struttura del tutto simmetrica né sono interamente equivalentidal punto di vista funzionale.

§ 2.1 I pionieri del linguaggio – La maggior parte delle nostre conoscenzerelative alla localizzazione delle strutture deputate al linguaggio deriva dallostudio delle afasie, o disturbi del linguaggio, che insorgono spesso in pazientiche hanno sofferto di un ictus cerebrale. Le scoperte piú importanti, nelcampo delle afasie, hanno avuto luogo, in rapida successione, nell’ultimametà del diciannovesimo secolo.

Nel 1861 il neurologo francese Pierre Paul Broca descrisse il caso di unpaziente, un certo Leborgne, che era in grado di capire il senso del linguaggioma aveva perso la capacità di parlare. Il paziente non presentava i classi-ci deficit motori a carico della lingua, della bocca o delle corde vocali, cheavrebbero potuto compromettere l’articolazione delle parole. L’esame au-toptico del cervello di questo paziente mise in evidenza una lesione nellaparte posteriore del lobo frontale (regione che porta oggi il nome di areadi Broca). Broca poté osservare otto casi analoghi, ciascuno dei quali pre-sentava una lesione in quest’area. In tutti i pazienti la lesione era presentenell’emisfero cerebrale sinistro. Questa scoperta condusse Broca a formulare,nel 1864, uno degli assiomi piú famosi relativi alle funzioni cerebrali: “Nousparlons avec l’émisphère gauche!” (“Noi parliamo con l’emisfero sinistro!”).

Il passo successivo fu fatto da Karl Wernicke nel 1876. All’età di 26 anni,Wernicke pubblicò un lavoro, ora divenuto classico, intitolato: “La sindromedell’afasia: studio psicologico su base anatomica”. In questo lavoro venivadescritto un nuovo tipo di afasia caratterizzato da disturbi della compren-sione del linguaggio piú che dell’espressione verbale. Mentre i pazienti diBroca capivano il senso del discorso ma non riuscivano a parlare, il pazienteosservato da Wernicke parlava ma non riusciva a capire il senso delle parole.Inoltre la localizzazione di questo nuovo tipo di afasia era diversa da quelladescritta da Broca: la lesione cerebrale critica era localizzata nella parteposteriore del lobo temporale, là dove questo si unisce al lobo parietale e aquello occipitale.

Wernicke propose che soltanto le funzioni mentali piú elementari, in rap-porto con attività percettive e motrici semplici, fossero localizzate in areecorticali circoscritte, mentre le interconnessioni esistenti fra diverse aree spe-cializzate rendevano possibile lo svolgimento delle funzioni intellettuali piúcomplesse.

Wernicke postulò che l’espressione del linguaggio comporti l’intervento

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incoming sensory information that leads to language production and understanding is processed in more than one pathway.

Recall that Wernicke believed that both written and spoken words are transformed into a representation of language by both auditory and visual inputs. This information, he thought, is then conveyed to Wernicke's area, where it becomes associated with meaning before being transformed in Broca's area into output as spoken language. Posner and his colleagues asked: Must the neural code for a word that is read be translated into an auditory representation before it can be associated with a meaning? Or can visual information be sent directly to Broca's area with no involvement of the auditory system? Using PET, they determined how individual words are coded in the brain of normal subjects when the words are read on a screen or heard through earphones. Thus, when words are heard Wernicke's area becomes active, but when words are seen but not heard or spoken Wernicke's area is not activated. The visual information from the occipital cortex appears to be conveyed directly to Broca's area without first being transformed into an auditory representation in the posterior temporal cortex. Posner and his colleagues concluded that the brain pathways and sensory codes used to see words are different from those used to hear words. They proposed, therefore, that these pathways have independent access to higher-order regions of the cortex concerned with the meaning of words and with the ability to express language (Figure 1-6).

Not only are reading and listening processed separately, but the act of thinking about a word's meaning (in the absence of sensory inputs) activates a still different area in the left frontal cortex. Thus language processing is parallel as well as serial; as we shall learn in Chapter 59, it is considerably more complex

than initially envisaged by Wernicke. Indeed, similar conclusions have been reached from studies of behavior other than language. These studies demonstrate that information processing requires many individual cortical areas that are appropriately interconnected—each of them responding to, and therefore coding for, only some aspects of specific sensory stimuli or motor movement, and not for others.

Studies of aphasia afford unusual insight into how the brain is organized for language. One of the most impressive insights comes from a study of deaf people who lost their ability to speak American Sign Language after suffering cerebral damage. Unlike spoken language, American signing is accomplished with hand gestures rather than by sound and is perceived by visual rather than auditory pathways. Nonetheless, signing, which has the same structural complexities characteristic of spoken languages, is also localized to the left hemisphere. Thus, deaf people can become aphasic for sign language as a result of lesions in the left hemisphere. Lesions in the right hemisphere do not produce these defects. Moreover, damage to the left hemisphere can have quite specific consequences, affecting either sign comprehension (following damage in Wernicke's area) or grammar (following damage in Broca's area) or signing fluency.

These observations illustrate three points. First, the cognitive processing for language occurs in the left hemisphere and is independent of pathways that process the sensory or motor modalities used in language. Second, speech and hearing are not necessary conditions for the emergence of language capabilities in the left hemisphere. Third, spoken language represents only one of a family of cognitive skills mediated by the left hemisphere.

Figure 1-6 Specific regions of the cortex involved in the recognition of a spoken or written word can be identified with PET scanning. Each of the four images of the human brain shown here (from the left side of the cortex) actually represents the averaged brain activity of several normal subjects. (In these PET images white represents the areas of highest activity, red and yellow quite high activity, and blue and gray the areas of minimal activity.) The “input” component of language (reading or hearing a word) activates the regions of the brain shown in A and B. The motor “output” component of language (speech or thought) activates the regions shown in C and D. (Courtesy of Cathy Price.)

A. The reading of a single word produces a response both inthe primary visual cortex and in the visual association cortex (see Figure 1-5).

B. Hearing a word activates an entirely different set of areas in the temporal cortex and at the junction of the temporalparietal cortex. (To control for irrelevant differences, the same list of words was used in both the reading and listening tests.) A and B show that the brain uses several discrete pathways for processing language and does not transform visual signals for processing in the auditory pathway.

C. Subjects were asked to repeat a word presented either through earphones or on a screen. Speaking a word activates the supplementary motor area of the medial frontal cortex. Broca's area is activated whether the word is presented orally or visually. Thus both visual and auditory pathways converge on Broca's area, the common site for the motor articulation of speech.

D. Subjects were asked to respond to the word “brain” with an appropriate verb (for example, “to think”). This type of thinking activates the frontal cortex as well as Broca's and Wernicke's areas. These areas play a role in all cognition and abstract representation.

P.14

Figura 2: L’esplorazione cerebrale mediante pet è in grado di mettere in evidenza le di-verse regioni corticali interessate al riconoscimento delle parole ascoltate o scritte. Ciascunadelle quattro immagini del cervello umano rappresentate in figura (veduta laterale dell’emisfero sinistro)rappresenta l’attività cerebrale media ottenuta da numerosi soggetti normali. (In queste immagini petil bianco rappresenta le aree che hanno l’attività massima, il rosso e il giallo quelle dove l’attività è moltoelevata e il blu e il grigio le aree di minima attività). Le componenti di “ingresso” del linguaggio (lalettura o l’ascolto di una parola) attivano le regioni rappresentate in A e B. Le componenti motorie di“uscita” (il parlare o il pensare) attivano le regioni rappresentate in C e D. (A) La lettura di una parolaisolata determina una risposta sia nella corteccia visiva primaria che nelle cortecce visive associative.(B) L’ascolto di una parola attiva un gruppo di aree completamente diverso nella corteccia temporale e alivello della giunzione temporo-parietale della corteccia. A e B dimostrano che nell’analisi del linguaggioil sistema nervoso centrale impiega diverse vie distinte e non trasforma i segnali visivi per analizzarlilungo la via acustica. (C) Ai soggetti esaminati veniva chiesto di ripetere una parola sentita attraversouna cuffia o vista su uno schermo. La pronuncia di una parola attiva l’area motoria supplementaredella corteccia frontale mediale. L’area di Broca si attiva sia che la parola sia presentata oralmenteche visivamente. Perciò sia vie visive che uditive convergono sull’area di Broca che rappresenta il luogocomune dell’articolazione motoria del linguaggio. (D) Ai soggetti esaminati veniva chiesto di risponderealla parola “cervello” con un verbo di significato corrispondente (per esempio “pensare”). Questo tipo diattività mentale attiva sia la corteccia frontale che le aree di Broca e Wernicke. Queste aree partecipanoall’analisi di tutte le rappresentazioni cognitive ed astratte. [Kandel et al., 2000].

di due distinti programmi, uno sensitivo e uno motorio, sotto il controllo diaree cerebrali diverse. Egli formulò l’ipotesi che il programma motorio, che

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coordina i movimenti della bocca necessari per l’emissione corretta delle pa-role, sia localizzato nell’area di Broca, che è particolarmente ben situata perquesta funzione in quanto è posta immediatamente davanti all’area motoriache controlla la bocca, la lingua, il palato e le corde vocali. Il programmasensitivo, che controlla la percezione delle parole, veniva invece localizzatonell’area del lobo temporale da lui scoperta (e che ora è chiamata area diWernicke). Anche quest’area è localizzata in modo opportuno, in quantoè circondata dalla corteccia uditiva e da altre aree corticali (dette cortec-ce associative) che integrano informazioni acustiche, visive e somatiche inpercezioni complesse.

L’area di Wernicke si attiva quando le parole vengono ascoltate, ma nonquando le parole vengono viste (ma non ascoltate o pronunciate). L’infor-mazione visiva, proveniente dalla corteccia occipitale, sembra venir trasfe-rita direttamente all’area di Broca senza essere stata prima trasformata inrappresentazione acustica nella corteccia temporale posteriore.

Perciò, non solo le parole lette ed ascoltate vengono analizzate medianteprocessi distinti, ma quando un soggetto riflette semplicemente sul signifi-cato di una parola (in assenza di stimoli sensoriali) viene attivata un’areaancora diversa, localizzata nella corteccia frontale sinistra (Figura 2). Per-ciò l’elaborazione del linguaggio avviene sia in serie che in parallelo e, comevedremo nel Capitolo 3, comporta meccanismi assai piú complessi di quantoWernicke avesse pensato.

§ 2.2 Il linguaggio è universale – Il linguaggio è quello straordinariosistema che consente agli individui di comunicare una combinazione infinitadi idee usando un flusso altamente strutturato di suoni.

Una serie di intense ricerche scientifiche sviluppate da linguisti in questiultimi quarant’anni ha dimostrato che tutti i linguaggi si basano su principigenerali particolarmente simili e che il linguaggio si sviluppa spontaneamentein tutti i bambini normali a qualsiasi società essi appartengano.

La parola linguaggio viene usata in molti sensi, e nell’intraprenderneuna trattazione scientifica è utile distinguere, anzitutto, la facoltà di parlarecome tale da altre capacità che vengono spesso confuse insieme.

In primo luogo, si dice spesso che il linguaggio non si può separare dalpensiero, ma in effetti è assolutamente necessario tener distinte le due co-se. Il pensare costituisce la capacità di avere idee e di inferire nuove ideedalle vecchie; il linguaggio è la capacità di codificare le idee in segnali percomunicarle a qualcun altro. La gente non pensa soltanto con parole e frasidel proprio linguaggio naturale; i bambini nei primi anni di vita, i soggettiafasici e i soggetti adulti normali pensano anche usando immagini visive,concetti e proposizioni astratte.

In secondo luogo, il linguaggio deve essere distinto dalla lettura e dallascrittura. Nella storia dell’uomo il linguaggio scritto è un’acquisizione re-cente e deve essere formalmente insegnato, peraltro con risultati incostanti.

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Lo studio scientifico del linguaggio è descrittivo e non predittivo. Esso sioccupa di come parla la gente e non di come dovrebbe parlare.

Tutte le culture umane possiedono un linguaggio e dappertutto la gentelo usa in modo creativo per comunicare nuove idee. In che modo ciò accade?

La struttura del linguaggio si basa su due componenti: le parole e lagrammatica. Una parola è un’associazione arbitraria fra un suono ed unsignificato. All’età di 6 anni un bambino capisce all’incirca 13.000 parolee coloro che hanno superato un esame di maturità ne sanno usare almeno60.000. Ciò sta ad indicare che i bambini stabiliscono un nesso tra un nuovosuono e un significato approssimativamente ogni 90 minuti di veglia.

La grammatica è il sistema che specifica il modo con cui le singole unitàdel vocabolario possono venir combinate in parole, in frasi e in periodi, e inche modo è possibile capire il significato di una combinazione da quello dellesingole unità che la compongono e dal modo in cui esse sono disposte.

La grammatica comprende tre elementi principali: la morfologia, la sin-tassi e la fonologia. La morfologia si riferisce alle regole necessarie percombinare parole e suffissi in nuove parole, come nel caso di radio + grafiao di pelliccia + i. In molti linguaggi la morfologia è di estrema importanzaper stabilire chi ha fatto cosa a chi.

La sintassi è il complesso delle regole necessarie per combinare le parolein frasi e periodi e per determinare le relazioni che intercorrono fra le diverseparole. In prima approssimazione si può affermare che la sintassi obbediscea tre principi. In primo luogo, sequenze di parole vengono raggruppate infrasi, che a loro volta vengono riunite in frasi piú lunghe e cosí via, in mododa formare una struttura ad albero delle frasi.

In secondo luogo, il verbo determina il modo in cui i significati delleparole di una frase devono venir integrati in una proposizione unica.

Il terzo principio della sintassi è che due frasi di un periodo sono talvoltalegate e si riferiscono alla stessa entità del mondo esterno, processo dettoanche anafora. Per esempio, nella frase Anna si è lavata, la parola Anna ela particella si vengono intese come riferite alla stessa persona.

Il terzo sottosistema della grammatica, o fonologia, consiste in una seriedi regole in grado di combinare i diversi suoni nella struttura stabile dellinguaggio. Per esempio, noi possiamo supporre che la parola blicco possaessere una parola italiana, mentre ngagat non lo è. A differenza della sintassie della morfologia, la fonologia non assegna alcun significato agli elementiche pone in combinazione. (Non vi è nulla nell’ordine delle lettere d, o, gche possa far presagire che il significato di dog [cane] sia diverso da quellodi god [dio]). Le regole della fonologia, quindi, rappresentano solo un modoper costruire, da un piccolo numero di suoni articolati, un enorme gruppodi parole possibili, ciascuna delle quali possiede un significato arbitrario damemorizzare. La fonologia comprende anche la prosodia, cioè l’insieme delleintonazioni, delle sottolineature e delle pause con cui vengono pronunciate

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le frasi e i periodi. La prosodia, in generale, permette di distinguere ledomande dalle affermazioni, conferisce enfasi, indica sarcasmo ed esprimeemozioni.

L’uso della grammatica e del vocabolario non consentono, da soli, la for-mulazione o la comprensione di una frase. La grammatica e il vocabolariocostituiscono semplicemente dei codici che stabiliscono relazioni tra segnali esignificati di un determinato linguaggio. Per formulare una frase è necessarioscegliere le parole e usare le regole della grammatica per codificare un’ideao un’intenzione (cioè, per inviare un messaggio) e poi generare una serie dicomandi diretti al sistema motorio per l’emissione di suoni articolati. Percapire una frase è necessario coordinare le informazioni che entrano attra-verso il sistema uditivo (o il sistema visivo nel linguaggio dei segni e nellascrittura) con le nozioni della grammatica e con le conoscenze lessicali e in-viare informazioni circa la relativa interpretazione (del messaggio) ai sistemiche stanno alla base della memoria e del pensiero. L’uso del linguaggio,pertanto, richiede un flusso di informazioni complesse che interessano granparte del cervello.

§ 2.3 “Language instinct” – Secondo Darwin, «l’uomo ha una tendenzaistintiva a parlare, come vediamo nel balbettio dei nostri piccoli; mentrenessun bambino ha una tendenza istintiva a fare la birra, a cuocere il pane oa scrivere»2. Nel primo anno di vita i bambini si esercitano con i suoni. Essicominciano ad emettere suoni che assomigliano a parole verso i 5-7 mesi,balbettano mediante sillabe già ben formate verso i 7-8 mesi ed emettonoun flusso di suoni articolati simile a delle vere frasi all’età di un anno (lacosiddetta fase di lallazione). Nei primi mesi di vita essi sono in grado didistinguere i suoni caratteristici del linguaggio, compresi alcuni suoni chenon vengono usati nel linguaggio dei genitori e che i genitori stessi non sononormalmente in grado di distinguere (per esempio, i bebè cinesi sono in gradodi distinguere la r dalla l). All’età di 10 mesi la capacità di distinguere idiversi fonemi è all’incirca uguale a quella dei genitori. La sintonizzazionedella percezione del linguaggio con quello che viene parlato nell’ambientespecifico che circonda l’infante precede l’emissione delle prime parole; essadeve pertanto basarsi su una serie di complicate analisi acustiche sviluppatedall’infante stesso piuttosto che sulla correlazione fra i suoni delle parole edil loro significato.

Le prime parole vengono pronunciate all’incirca in corrispondenza delprimo compleanno del bambino e la velocità di apprendimento di nuove pa-role aumenta in modo improvviso attorno ai 18 mesi, che è anche l’età allaquale i bambini cominciano a collegare le parole in combinazioni. All’età di2 anni i bambini parlano già con frasi di struttura complessa e sono abba-stanza padroni del vocabolario grammaticale della propria lingua (articoli,preposizioni, ecc.). All’età di 3 anni, in generale, i bambini usano già i voca-

2Charles Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale, 1871, parte I, cap. 3.

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boli e le forme grammaticali in modo corretto, usano la maggior parte dellecostruzioni del linguaggio parlato in maniera adeguata e, per lo piú, con-versano in maniera fluente ed espressiva. Anche se i bambini commettonoancora molti errori, questi riguardano solo una minoranza di parole e sonosempre gli stessi. In realtà, ciò non è che la conferma di ciò che potremmogià aver desunto dal fatto che i bambini sono spesso cosí eloquenti e creativi:i bambini non stanno semplicemente imitando i genitori, ma si impegnanoin complicate analisi grammaticali del linguaggio che sentono parlare.

Un’intrigante spiegazione della funzione della fase di lallazione ci vie-ne offerta dallo scienziato italiano Valentino Braitenberg, il quale sostieneche essa rappresenti un prerequisito fondamentale per la futura abilità delbambino nel ripetere parole e quindi, per l’acquisizione del linguaggio.

Seguendo [Braitenberg, 2001], analizziamo dal punto di vista neuronaleun atto apparentemente semplice come la ripetizione di una parola. Il se-gnale acustico – la madre del bambino che pronuncia la parola latte – attivaun pattern spazio-temporale ben definito nella zona della corteccia cerebraledel bimbo dedicata all’udito. Per riprodurre questo suono, il bambino devegenerare un altro pattern di attività neurale specifico in un’altra parte dellacorteccia, quella che comanda l’attività motoria dei muscoli coinvolti nellafonazione. Si noti che la corrispondenza tra i due pattern è estremamentecomplessa: il pattern corrispondente a una certa parola nell’area acusticadella corteccia non ha niente in comune con quello che genera la contrazionedei muscoli della lingua, delle labbra, della laringe, del torace, ecc. neces-sari alla pronuncia della stessa parola, eccetto, approssimativamente, la suadurata.

Come può un bambino configurare il proprio apparato muscolare nellamaniera adeguata per produrre il suono della l, e successivamente modificaretale configurazione per pronunciare la a, la t e la e? La risposta sempliceè che il bimbo lo impara associando il pattern acustico a quello motorio,creando quindi nuove connessioni tra gli insiemi di neuroni della cortecciacoinvolti. L’associazione dei pattern motori nell’apparato fonatorio con icorrispondenti pattern acustici avviene nella prima, irreversibile, fase di ac-quisizione della corteccia, ed è ben definita prima che l’apprendimento dellalingua madre abbia inizio.

A questo punto sorge una difficoltà. Per poter associare il pattern mo-torio corrispondente alla parola latte al suo pattern acustico, entrambi ipattern di attività neurale devono essere contemporaneamente presenti nel-la corteccia. Ma come è possibile, se il bambino non ha mai pronunciato laparola latte finché non l’ha udita per la prima volta dalla madre?

La soluzione di questo problema è proprio il ben noto fenomeno della lal-lazione. Verso la fine del primo anno di vita, il bambino emette spontanea-mente sequenze di sillabe ripetute, spesso variando i suoni che compongonole sillabe stesse, altre volte alternando diverse sillabe nella stessa sequen-

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za. In questo modo, lasciando i neuroni che controllano la fonazione liberidi sperimentare tutto il repertorio dei possibili pattern motori, la cortecciapercepisce allo stesso tempo il suono che ciascun pattern produce, stabilendouna corrispondenza tra i pattern motori e acustici. Poiché tale associazionevale in entrambe le direzioni, il bambino è in grado di riprodurre i suoni cheascolta.

Il linguaggio, come altre capacità cognitive non può essere consideratointeramente innato o interamente appreso. È ovvio che l’apprendimentoabbia un ruolo fondamentale: ogni bambino finirà con l’acquisire il linguag-gio al quale verrà esposto. Analogamente, i cosiddetti “bambini selvaggi”,che sono stati abbandonati dai genitori e sono riusciti a sopravvivere nellaforesta, o quelli che sono stati allevati in ambiente silente da genitori handi-cappati sono sempre muti. Ma l’apprendimento non può avere luogo senzache ci sia un meccanismo innato sul quale esso possa operare, e d’altra parte,gli animali delle altre specie, esposti agli stessi stimoli di un bambino, nonimparano mai a parlare. Nel 1959 Chomsky propose l’ipotesi, allora consi-derata rivoluzionaria, che i bambini posseggano una serie di circuiti nervosiinnati dedicati in maniera specifica all’acquisizione del linguaggio.

A sostegno dell’ipotesi di Chomsky sono state addotte diverse prove.In primo luogo, esistono elementi fondamentali che possono essere desuntidalla distribuzione del linguaggio nelle diverse razze umane. Sia gli individuiappartenenti a culture primitive che bambini di tre anni abbandonati o adultiappartenenti al nostro tipo di cultura, ma con un basso livello di istruzione,riescono a padroneggiare con disinvoltura strutture grammaticali complessenon appena acquisiscono un linguaggio. In realtà, se i bambini appartenentiad un certo ambiente sociale non vengono esposti ad un linguaggio corrente,se ne creano uno di loro invenzione; è cosí che sono nati i linguaggi a segnidei non udenti.

Inoltre, in diversi tipi di condizioni patologiche il linguaggio e l’intelligen-za, generalmente intesa, possono essere completamente dissociati. I bambiniaffetti da una sindrome ereditaria detta alterazione specifica del linguaggiosono generalmente intelligenti, hanno un udito perfetto e possono stabili-re interazioni sociali normali, ma presentano una persistente difficoltà nelparlare e nel comprendere cose che vengono loro esposte seguendo le regolegrammaticali del loro stesso linguaggio. Al contrario, bambini con un certogrado di ritardo mentale sono in grado di esprimere le loro idee puerili ed in-coerenti in maniera fluente e con una grammatica impeccabile. Questi bam-bini inoltre, riescono a ottenere valutazioni normali nei test di comprensionedi frasi complesse.

Riassumendo, i bambini acquisiscono il linguaggio facendo uso di capa-cità che sono piú specifiche di quelle dell’intelligenza generalmente intesa.Che cosa c’è allora di innato? Presumibilmente si tratta di qualche siste-ma neurale che analizza i segnali di comunicazione che provengono dalle

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altre persone, non come sequenze arbitrarie di suoni o di comportamentima secondo la struttura del linguaggio. Seguendo questo schema il bambinoimpara un lessico composto da un accoppiamento bidirezionale ed arbitrariodi suoni e significati e da diversi tipi di regole grammaticali. Una di que-ste regole riunisce gli elementi fonologici in parole; altre regole riunisconole parole in frasi e periodi di dimensioni maggiori seguendo i principi dellastruttura delle frasi, le categorie e le subcategorie grammaticali, i casi e leconcordanze, l’anafora, le dipendenze a distanza e i movimenti di trasfor-mazione. Con ogni probabilità tutte queste capacità hanno preso origine daadattamenti del cervello umano nati nel corso dell’evoluzione.

§ 2.4 Una questione evolutiva – Si potrebbe pensare che, se il linguag-gio si è evoluto gradualmente seguendo una selezione naturale di tipo dar-winiano, esso debba aver avuto un precursore negli altri animali. Tuttavia, isistemi naturali di comunicazione delle specie animali non umane sono netta-mente diversi dal linguaggio dell’uomo. Esiste in primo luogo una differenzatecnica. In uno studio comparativo svolto su numerosi primati, ThomasGeissmann nel 1994 scoprí che essi emettono suoni sia in fase di inspirazioneche di espirazione. Al contrario, il linguaggio umano si basa esclusivamentesull’azione espiratoria dei polmoni. Se qualcosa negli uomini è stato ere-ditato dalle vocalizzazioni dei nostri antenati subumani, sono i suoni cheaccompagnano il riso e il pianto, che sono effettivamente simili tra loro edemessi in entrambe le fasi polmonari.

Inoltre, la comunicazione animale si basa su uno di questi tre schemi: unnumero finito di richiami (per esempio, un richiamo per gettare l’allarme perla presenza di un predatore o un avvertimento di supremazia su un certoterritorio), un segnale analogico continuativo che registra l’entità di unacerta condizione (per esempio, la danza delle api che segnala la distanza diuna certa sorgente di cibo) o, ancora, sequenze di risposte replicate piú voltein successione casuale che servono come variazioni di un tema fisso (come ilcanto degli uccelli). Non vi è alcuna somiglianza con il sistema combinatorio,praticamente illimitato, di elementi distinti, ciascuno dei quali ha un sensocompiuto, che si può osservare nel linguaggio umano.

In situazioni artificiali è possibile allenare alcune specie animali ad imi-tare alcuni aspetti del linguaggio umano. In numerosi esperimenti, tantofamosi quanto controversi, è stato possibile insegnare a scimpanzé e gorillaad usare segnali manuali tratti dal Linguaggio Americano dei Segni (maiperò le sue regole grammaticali), a manipolare interruttori o segnali coloratie ad eseguire alcuni comandi semplici impartiti a voce. Ai pappagalli e aidelfini è anche possibile insegnare ad emettere altri tipi di segnali. Questericerche sono state di grande utilità in quanto ci hanno insegnato molto sullecategorie cognitive di diverse specie non umane, ma l’importanza di questicomportamenti animali in rapporto al linguaggio umano è assai discutibile.

Il problema scientifico, e il solo problema che abbia importanza per sa-

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pere se questi sistemi appresi artificialmente possano servire come modellianimali del linguaggio, è se queste capacità sono omologhe al linguaggio uma-no, cioè se i due sistemi cognitivi hanno la stessa organizzazione di fondo inquanto sono derivati da un unico sistema presente in un antenato comune.

Sebbene i sistemi artificiali di segnalazione che possono venir insegnatiagli animali abbiano qualche analogia con il linguaggio dell’uomo, sembraassai improbabile che essi possano esserne omologhi. Per acquisire qualchecapacità rudimentale gli scimpanzé necessitano di allenamenti prolungati,svolti secondo protocolli escogitati da un’altra specie (l’uomo); le capacitàacquisite si limitano per lo piú all’esecuzione di un certo numero di segnidisposti in sequenze ripetitive che vengono usate per chiedere cibo o perrisvegliare simpatia. La struttura di fondo del linguaggio umano, e in par-ticolare la formazione delle parole, delle frasi e dei periodi secondo un unicodisegno che sta alla base sia della loro emissione che della loro comprensio-ne, non emerge affatto mentre i diversi animali interagiscono fra loro e, perquanto ne sappiamo finora, non può venir loro insegnata.

Ciò è in netto contrasto con quello che osserviamo nei bambini che im-parano spontaneamente migliaia di parole; le combinano in frasi nuove nellequali ogni parola ricopre un ruolo; rispettano la corretta successione delleparole, i casi e le concordanze usati nel linguaggio dalle persone adulte; usa-no il linguaggio per una quantità di ragioni non meramente utilitarie, comeesprimere un giudizio su cose interessanti, e interpretano in modo creativola complessità delle regole grammaticali che apprendono.

Tale mancanza di omologia non è tale, tuttavia, da mettere in dubbio lanatura darwiniana e graduale dell’evoluzione del linguaggio. L’uomo non siè evoluto direttamente dagli scimpanzé. Entrambe le specie animali si sonoevolute a partire da un antenato comune, probabilmente circa 6-8 milioni dianni fa. In questo lasso di tempo si sono succedute circa 300.000 generazioninel corso delle quali il linguaggio ha potuto evolversi gradualmente nellediverse specie che hanno condotto all’uomo, dopo la separazione dalle specieche hanno condotto allo scimpanzé. Con ogni probabilità il linguaggio si èevoluto nella progenie umana per via di due adattamenti correlati tra loroche hanno avuto luogo noi nostri progenitori. Anzitutto essi svilupparonouna serie di tecnologie per meglio sfruttare le risorse dell’ambiente e, insecondo luogo, intrattenevano intense relazioni di cooperazione con gli altriindividui della specie. Queste caratteristiche del tipo di vita degli ominididovettero essere preesistenti al linguaggio e potrebbero essere stati i fattoriche gli hanno dato origine. Infatti, il linguaggio avrebbe avuto un effettobenefico sull’evoluzione degli ominidi in quanto avrebbe loro permesso di farpartecipi gli altri uomini del proprio ceppo delle nuove conoscenze acquisitea duro prezzo e di scambiare informazioni con gli individui dei ceppi vicini.

In ogni caso, le origini specifiche del linguaggio sono oscure. Nei cranidell’Homo abilis, che visse fra 2,5 e 2 milioni di anni fa, sono impresse leggereimpronte della disposizione dei giri cerebrali e sono visibili ed hanno dimen-

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sioni maggiori nell’emisfero sinistro alcune aree che nell’uomo moderno sonodedicate al linguaggio (l’area di Broca e i giri sopramarginale e angolare).Ovviamente, non possiamo essere certi che queste aree fossero adibite allinguaggio in quanto esistono aree omologhe anche nelle scimmie, anche setali aree non svolgono alcuna funzione nei sistemi di comunicazione vocaledi questi animali. L’Homo erectus, che partendo dall’Africa si espanse nellamaggior parte del Vecchio Mondo fra 1,5 milioni e 500.000 anni fa, sapevaaccendere il fuoco e usava un tipo stereotipato di ascia a mano. Non è dif-ficile pensare che il linguaggio possa aver dato un grande impulso a questescoperte.

Si ritiene che il primo Homo Sapiens sia comparso circa 200.000 anni fae che si sia mosso dall’Africa circa 100.000 anni fa. Il suo cranio è simileal nostro ed egli sapeva usare una serie di strumenti, molto ben costrui-ti e complessi, che sono alquanto diversi a seconda delle regioni dove sonostati rinvenuti. Quasi certamente l’Homo sapiens possedeva un linguaggio,dato che la sua anatomia fa pensare che fosse biologicamente molto simi-le all’uomo moderno e dato che tutti gli uomini moderni posseggono unlinguaggio.

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3Senza paroleAfasia e neuroscienze

La mancanza di facoltà omologhe nelle altre specie animali ha impeditola costruzione di modelli animali del linguaggio; pertanto, le nostre cono-scenze sulle basi nervose del linguaggio hanno dovuto basarsi su fonti diverse.La sorgente di gran lunga piú importante è stata lo studio delle alterazionidel linguaggio, note anche come afasie, determinate da lesioni cerebrali cir-coscritte, consecutive, per lo piú, a incidenti vascolari cerebrali o a traumidel capo.

Le prime ricerche sulle afasie hanno aperto una strada che ha condot-to a numerose importanti scoperte sulle basi nervose dell’elaborazione dellinguaggio. In primo luogo, esse hanno messo in evidenza che nella maggio-ranza degli individui il linguaggio dipende in maniera critica dall’emisferosinistro. In totale, circa il 96% degli uomini dipende dall’emisfero sinistroper quello che attiene l’elaborazione del linguaggio rispetto alla grammatica,al lessico, alla capacità di raggruppare fonemi diversi e all’emissione dellaparola. In secondo luogo, i primi studi sulle afasie misero in evidenza chele lesioni che interessano le due principali aree corticali connesse con il lin-guaggio, la prima localizzata nella regione frontale laterale e la seconda nellobo temporale posteriore superiore, determinavano la comparsa delle afasieclinicamente piú diffuse e che tali afasie colpivano il linguaggio in modo deltutto diverso. Queste due aree corticali sono rispettivamente l’area di Brocae l’area di Wernicke (Figura 3(a)).

Tali osservazioni permisero ai neurologi di mettere a punto un modellodi linguaggio che è oggi noto come modello di Wernicke-Geschwind. La ver-

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Figure 59-1 Language-related areas in the human brain.

A. A highly simplified view of the primary language areas of the brain are indicated in this lateral view of the exterior surface of the left hemisphere. Broca's area (B) is adjacent to the region of the motor cortex (pre-central gyrus) that controls the movements of facial expression, articulation, and phonation. Wernicke's area (W) lies in the posterior superior temporal lobe near the primary auditory cortex (superior temporal gyrus). Wernicke's and Broca's areas are joined by a bidirectional pathway, the arcuate fasciculus (brown arrow). These regions are part of a complex network of areas that all contribute to normal language processing.

B. Modern and more elaborate view of the language areas in a lateral view of the left hemisphere. These languages area contain three functional language systems: the implementation system, the mediational system, and the conceptual system. Two of these are illustrated here. The implementation system is made up of several regions located around the left sylvian fissure. It includes the classical language areas (B = Broca's area; W = Wernicke's area) and the adjoining supramarginal gyrus (Sm), angular gyrus (AG), auditory cortex (A), motor cortex (M), and somatosensory cortex (Ss). The posterior and anterior components of the implementation system, respectively Wernicke's area and Broca's area, are interconnected by the arcuate fasciculus. The mediational system surrounds the implementation system like a belt (blue areas). The regions identified so far are located in the left temporal pole (TP), left inferotemporal cortex (It), and left prefrontal cortex (Pf). The left basal ganglia complex (not pictured) is an integral part of the language implementation system. (Courtesy of H. Damasio.)

The specific origins of language are obscure. Homo habilis, which lived about 2.5 to 2 million years ago, left behind caches of stone tools that may have served as home bases or butchering stations. The sharing of skills required to make the tools, and the social coordination required to share the caches, may have made it necessary for H. habilis to put simple language to use, though this is speculation. The skulls of H. habilis bear faint imprints of the gyral patterns of their brains, and some of the areas involved in language in modern humans (Broca's area and the supramarginal and angular gyri) are visible and are larger in the left hemisphere. We cannot be sure, of course, that these areas were used for language, since they have homologs even in monkeys, but the homologs play no role in the monkeys' vocal communication. Homo erectus, which spread from Africa across much of the Old World from 1.5 million to 500,000 years ago, controlled fire and used a stereotyped kind of stone hand ax. It is easy to imagine some form of language contributing to such successes, though again we cannot be sure.

The first Homo sapiens, thought to have appeared about 200,000 years ago and to have moved out of Africa 100,000 years ago, had skulls similar to ours and much more elegant and complex tools showing considerable regional variation. They almost certainly had language, given that their anatomy suggests they were biologically very similar to modern humans and that all modern humans have language. The major human races probably diverged about 50,000 years ago, which puts a late boundary on the emergence of language, because all modern races have indistinguishable language abilities.

The Study of Aphasia Led to the Discovery of Critical Brain Areas Related to LanguageThe lack of a homolog to language in other species precludes the attempt to model language in animals, and our understanding of the neural basis of language must be pieced together from other sources. By far the most important source has been the study of language disorders, known as aphasias, which are caused by focal brain lesions that result, most frequently, from stroke or head injury.

The early study of the aphasias paved the way for a number of important discoveries on the neural basis of language processing. First, it suggested that in a majority

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of individuals language depends principally on left hemisphere rather than on right hemisphere structures. All but a few right-handed individuals have left cerebral dominance for language, and so do most left-handed individuals. All told, about 96% of people depend on the left hemisphere for language processing related to grammar, the lexicon, phonemic assembly, and phonetic production. Even languages such as American Sign Language, which rely on visuomotor signs rather than auditory speech signs, depend primarily on the left hemisphere. Second, the early study of aphasia revealed that damage to each of two cortical areas, one in the lateral frontal region, the other in the posterior superior temporal lobe, was associated with a major and linguistically different profile of language impairment. The two cortical areas are Broca's area and Wernicke's area (Figure 59-1).

(a)

Figure 59-1 Language-related areas in the human brain.

A. A highly simplified view of the primary language areas of the brain are indicated in this lateral view of the exterior surface of the left hemisphere. Broca's area (B) is adjacent to the region of the motor cortex (pre-central gyrus) that controls the movements of facial expression, articulation, and phonation. Wernicke's area (W) lies in the posterior superior temporal lobe near the primary auditory cortex (superior temporal gyrus). Wernicke's and Broca's areas are joined by a bidirectional pathway, the arcuate fasciculus (brown arrow). These regions are part of a complex network of areas that all contribute to normal language processing.

B. Modern and more elaborate view of the language areas in a lateral view of the left hemisphere. These languages area contain three functional language systems: the implementation system, the mediational system, and the conceptual system. Two of these are illustrated here. The implementation system is made up of several regions located around the left sylvian fissure. It includes the classical language areas (B = Broca's area; W = Wernicke's area) and the adjoining supramarginal gyrus (Sm), angular gyrus (AG), auditory cortex (A), motor cortex (M), and somatosensory cortex (Ss). The posterior and anterior components of the implementation system, respectively Wernicke's area and Broca's area, are interconnected by the arcuate fasciculus. The mediational system surrounds the implementation system like a belt (blue areas). The regions identified so far are located in the left temporal pole (TP), left inferotemporal cortex (It), and left prefrontal cortex (Pf). The left basal ganglia complex (not pictured) is an integral part of the language implementation system. (Courtesy of H. Damasio.)

The specific origins of language are obscure. Homo habilis, which lived about 2.5 to 2 million years ago, left behind caches of stone tools that may have served as home bases or butchering stations. The sharing of skills required to make the tools, and the social coordination required to share the caches, may have made it necessary for H. habilis to put simple language to use, though this is speculation. The skulls of H. habilis bear faint imprints of the gyral patterns of their brains, and some of the areas involved in language in modern humans (Broca's area and the supramarginal and angular gyri) are visible and are larger in the left hemisphere. We cannot be sure, of course, that these areas were used for language, since they have homologs even in monkeys, but the homologs play no role in the monkeys' vocal communication. Homo erectus, which spread from Africa across much of the Old World from 1.5 million to 500,000 years ago, controlled fire and used a stereotyped kind of stone hand ax. It is easy to imagine some form of language contributing to such successes, though again we cannot be sure.

The first Homo sapiens, thought to have appeared about 200,000 years ago and to have moved out of Africa 100,000 years ago, had skulls similar to ours and much more elegant and complex tools showing considerable regional variation. They almost certainly had language, given that their anatomy suggests they were biologically very similar to modern humans and that all modern humans have language. The major human races probably diverged about 50,000 years ago, which puts a late boundary on the emergence of language, because all modern races have indistinguishable language abilities.

The Study of Aphasia Led to the Discovery of Critical Brain Areas Related to LanguageThe lack of a homolog to language in other species precludes the attempt to model language in animals, and our understanding of the neural basis of language must be pieced together from other sources. By far the most important source has been the study of language disorders, known as aphasias, which are caused by focal brain lesions that result, most frequently, from stroke or head injury.

The early study of the aphasias paved the way for a number of important discoveries on the neural basis of language processing. First, it suggested that in a majority

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of individuals language depends principally on left hemisphere rather than on right hemisphere structures. All but a few right-handed individuals have left cerebral dominance for language, and so do most left-handed individuals. All told, about 96% of people depend on the left hemisphere for language processing related to grammar, the lexicon, phonemic assembly, and phonetic production. Even languages such as American Sign Language, which rely on visuomotor signs rather than auditory speech signs, depend primarily on the left hemisphere. Second, the early study of aphasia revealed that damage to each of two cortical areas, one in the lateral frontal region, the other in the posterior superior temporal lobe, was associated with a major and linguistically different profile of language impairment. The two cortical areas are Broca's area and Wernicke's area (Figure 59-1).

(b)

Figura 3: Aree del cervello dell’uomo in rapporto con il linguaggio. (a) In questa vedutalaterale della superficie esterna dell’emisfero cerebrale sinistro è illustrato uno schema altamente sem-plificato delle aree primarie del linguaggio. L’area di Broca (B) è adiacente alla regione della cortecciamotrice (area precentrale) che controlla i movimenti dell’espressione facciale, dell’articolazione delle pa-role e della fonazione. L’area di Wernicke (W) è localizzata nel lobo temporale posteriore superiorevicino all’area uditiva primaria (giro temporale superiore). Le aree di Broca e Wernicke sono intercon-nesse da un fascio bidirezionale di fibre detto fascicolo arcuato (freccia). Queste regioni fanno parte diuna complessa rete di aree che danno tutte un contributo all’elaborazione normale del linguaggio. (b)Ipotesi moderna e piú elaborata delle aree del linguaggio in una veduta laterale dell’emisfero sinistro.Queste aree contengono tre sistemi funzionali dedicati al linguaggio: il sistema di implementazione, ilsistema di mediazione e il sistema concettuale. Due di questi sistemi sono illustrati nella figura. Ilsistema di implementazione è composto da numerose regioni localizzate attorno alla scissura di Silvio disinistra. Esso comprende le aree classiche del linguaggio (B = area di Broca; W = area di Wernicke)e il contiguo giro sopramarginale sinistro (Sm), il giro angolare (AG), la corteccia uditiva (A), la cor-teccia motrice (M) e la corteccia somatosensitiva (Ss). I componenti posteriori e anteriori del sistemadi implementazione, rappresentati rispettivamente dalle aree di Wernicke e di Broca, sono connessi traloro dal fascicolo arcuato. Il sistema di mediazione circonda quello di implementazione a mo’ di cintura(aree in blu). Le regioni che sono state identificate finora sono tutte localizzate nel polo temporalesinistro (TP), nella corteccia inferotemporale sinistra (It) e nella corteccia prefrontale sinistra (Pf).Il complesso dei nuclei della base di sinistra (non illustrato in figura) fa parte integrale del sistema diimplementazione [Kandel et al., 2000].

sione iniziale di questo modello comprendeva i seguenti elementi. In primoluogo, si ipotizzava che le aree cerebrali di Wernicke e di Broca svolgesseroil compito, rispettivamente, di analizzare le immagini acustiche delle parolee di articolarle foneticamente. In secondo luogo, si riteneva che il fascicoloarcuato fosse una via unidirezionale che trasportava le informazioni dall’areadi Wernicke a quella di Broca.

Questo modello generale ha costituito la base di un’utile classificazione

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Tipo di afasia Linguaggio Comprensione Capacità di ripe-tizione

Localizzazione delle le-sioni

Di Broca Non fluente, emes-so con difficoltà

In gran parte conserva-ta per le singole paro-le e il significato di frasisemplici

Alterata Corteccia frontale poste-riore sinistra e strutturesottostanti

Di Wernicke Fluente, eccessivo,ben articolato emelodico

Alterata Alterata Cortecce temporali po-steriore, superiore e me-diale sinistre

Di conduzione Fluente con qual-che difetto di arti-colazione

Inalterata o largamentepreservata

Alterata Giri temporale superio-re e sopramarginale disinistra

Transcorticale mo-toria

Non fluente, esplo-sivo

Inalterata o largamentepreservata

Inalterata o larga-mente preservata

Lesione delle zone ante-riori o superiori all’area diBroca

Transcorticale sen-soriale

Fluente, ma scarso Alterata Inalterata o larga-mente preservata

Lesione delle zone poste-riori o inferiori all’area diWernicke

Tabella 1: Diagnosi differenziale delle principali forme di afasia.

delle afasie (Tabella 1) ed ha rappresentato lo schema di fondo dal qualesono partite tutte le successive ricerche sulle basi neurali del linguaggio.

Tuttavia, in questi ultimi decenni nuovi studi sugli effetti delle lesio-ni e ricerche di neuropsicologia sperimentale hanno dimostrato che questomodello generale presenta notevoli limitazioni. In particolare, sono statifatti molti progressi nella definizione delle aree importanti per l’esecuzionedi compiti linguistici dopo l’avvento di nuove tecnologie, fra le quali la to-mografia ad emissione di positroni (pet), la risonanza magnetica funzionale(fmri) e la registrazione diretta di potenziali elettrici dalla superficie cere-brale esposta di pazienti sottoposti ad interventi chirurgici per la terapia diforme intrattabili di epilessia.

Dai risultati di queste ricerche è apparso chiaro che il ruolo delle aree diWernicke e di Broca non è cosí netto come sembrava ad un primo esame.Analogamente, sappiamo oggi che il fascicolo arcuato è un sistema bidire-zionale che mette in comunicazione estese parti delle cortecce sensitive conle cortecce prefrontale e premotoria. Infine, si è osservato che anche diversealtre regioni dell’emisfero cerebrale sinistro, sia corticali che sottocorticali,hanno un’importanza critica nell’elaborazione del linguaggio.

Lo schema moderno che emerge da queste ricerche suggerisce che vi sianotre vasti sistemi che interagiscono strettamente nella percezione e nell’emis-sione del linguaggio. Uno di questi sistemi è formato dalle aree del linguaggiodi Broca e Wernicke, da regioni circoscritte della corteccia dell’insula e dainuclei della base. Prese nel loro insieme, tali regioni costituiscono il sistema

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di implementazione del linguaggio. Il sistema di implementazione analizza isegnali uditivi afferenti in modo da attivare la loro conoscenza concettuale eprovvede altresí alla costruzione dei fonemi, delle forme grammaticali non-ché al controllo dell’articolazione delle parole. Il sistema di implementazio-ne è circondato da un secondo sistema, il sistema di mediazione, compostoda numerose regioni distinte localizzate nelle cortecce associative dei lobitemporale, parietale e frontale (Figura 3(b)). Le regioni del sistema di me-diazione agiscono come una specie di “agente per conto terzi” fra il sistemadi implementazione e un sistema concettuale, rappresentato da un gruppodi regioni distribuite nella parte restante delle cortecce associative d’ordinesuperiore, che sono di supporto alla conoscenza concettuale.

§ 3.1 L’afasia di Broca – L’afasia di Broca non costituisce un’unica en-tità clinica. La vera afasia cronica di Broca è una sindrome che consegue aduna lesione dell’area di Broca (giro frontale inferiore sinistro, che compren-de le aree 44 e 45 di Brodmann), dei campi frontali circostanti (superficieesterna dell’area 6 e aree 8, 9, 10 e 46 di Brodmann), della sostanza biancasottostante, dell’insula e dei nuclei della base (Figura 4). Il linguaggio delpaziente è difficoltoso e lento, l’articolazione delle parole è alterata e le nor-mali inflessioni del discorso mancano del tutto. Nonostante ciò, i pazientiriescono a comunicare verbalmente con un certo successo in quanto, anchese le parole che pronunciano si capiscono con difficoltà, la scelta delle parole,specialmente dei sostantivi, è spesso esatta. Un altro sintomo importantedell’afasia di Broca è l’incapacità di ripetere frasi complesse pronunciatedall’esaminatore.

Figure 59-2 Broca aphasia. Left: A three-dimensional magnetic resonance imaging (MRI) reconstruction of a lesion (an infarction in the left frontal operculum, dark gray area) in a patient with Broca aphasia. Right: Coronal section of the same brain taken along the plane defined by the blue slab. The brain is viewed from the front, with the left hemisphere on the right half of the image. The infarct is visible in black.

When damage is restricted to Broca's area alone, or to its subjacent white matter, a condition now known as Broca area aphasia, the patient develops a milder and transient aphasia rather than true Broca aphasia.

People With Broca Aphasia Have Trouble Understanding Grammatically Complex SentencesBroca aphasia was initially thought to be a deficit of production only, because most patients give the impression of understanding casual speech. Modern psycholinguistic studies have shown that people who have Broca aphasia comprehend sentences whose meaning can be pieced together from the individual meanings of content words and prior knowledge of how the world works. For example, these patients can understand The apple that the boy is eating is red. Boys eat apples, but apples do not eat boys; apples are red, but boys are not. But they cannot comprehend sentences in which meaning depends on complex grammar. They cannot understand The boy that the girl is chasing is tall.

Aphasic patients can understand the first sentence, as well as much casual conversation in general, based on vocabulary and general knowledge, without exercising grammatical abilities. But they have difficulty with the second sentence because either boys or girls can be tall and either one can chase the other. The only way to understand the second sentence is to recover its phrase structure, look up the lexical entry of chase to find the positions of the chaser and the person being chased, and link the gap after chasing to the boy. People with Broca aphasia are tripped up by this demand, showing that their aphasia is not just a disorder of speech output but embraces deficits in syntactic processing.

Is Broca aphasia, then, a deficit of grammar, implying that Broca's area is the center for grammar? Not really. First, the speech of patients with Broca aphasia is not altogether devoid of grammatical structure. Their speech retains the phrase order of their particular language (eg, subject-verb-object in English, subject-object-verb in Turkish). Moreover, although grammatical suffixes such as -ed, -ing, and -s are often omitted in the speech of English-speaking aphasic patients, suffixes may be preserved in the speech of aphasic patients speaking other languages in which suffixes are obligatory to conform with the phonological structure of words. Second, people with Broca aphasia often can make surprisingly fine grammatical judgments, discriminating the grammatical and ungrammatical versions of sentences such as the following:

John was finally kissed by Louise.

John was finally kissed Louise.

I want you to go to the store now.

I want you will go to the store now.

For a sentence to be grammatically well formed, it needs certain functional morphemes —the smallest meaningful unit of a word. The ability of patients to recognize that a sentence needs these morphemes—combined with an inability to analyze those morphemes when understanding complex sentences—has been called the “syntax-there-but-not-there” paradox.

A possible resolution is that the major syntactic difficulty in Broca aphasia is linking up elements in different parts of the sentence that must refer to the same entity (anaphora and gap-filling). In John was finally kissed by

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Louise, the failure to link John to the empty object position after was kissed would make the sentence incomprehensible. The aphasic person is able to detect the ungrammaticality of John was finally kissed Louise by simply noting that a passive verb (was kissed) appears illicitly with a direct object. This recognition does not depend on linking a gap with its filler. Indeed, people who have Broca aphasia cannot recognize that a sentence is ungrammatical if the ungrammaticality comes from an incorrect linkage between two separated elements in a sentence. That is, they are poor at discriminating between sentences such as the following pairs:

Table 59-2 Examples of Spontaneous Speech Production, Auditory Comprehension, and Repetition for the Primary Types of Aphasia

Type of aphasia Spontaneous speech Auditory comprehension Repetition Stimulus (Western Aphasia Battery picnic picture):

What do you see in this picture?Stimulus: What seems to be the trouble? Stimulus: The pastry cook was elated.

Broca “O, yea. Det's a boy an' a girl… an'… a… car… house… light po' (pole). Dog an' a… boat. ‘N det's a… mm… a… cofee, an' reading. Det's a… mm… a… det's a boy… fishin'.” (Elapsed time: 1 min 30 s)

“Yea, but, ah, notes an', ah… an', ah… I don' know.” “Elated.”

Figura 4: Afasia di Broca. A sinistra: Ricostruzione tridimensionale con la visualizzazione medianterisonanza magnetica (rmi) di una lesione (un infarto) dell’opercolo frontale sinistro (area in grigioscuro) in un paziente di afasia di Broca. A destra: Sezione coronale dello stesso cervello presa lungo ilpiano definito dal piano di sezione in blu. Il cervello è visto dal davanti e l’emisfero sinistro occupala parte destra dell’immagine. L’infarto è evidenziato in nero [Kandel et al., 2000].

Recenti ricerche di psicolinguistica hanno dimostrato che i pazienti affettida afasia di Broca riescono a capire le frasi il cui significato si può desumere

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dal contenuto delle singole parole e dalla conoscenza pregressa del mondoche ci circonda. Questi pazienti non riescono a capire, tuttavia, frasi il cuisignificato dipende da una regola grammaticale. Non capiscono, per esempio,una frase come: Il bambino che la bambina sta inseguendo è grande.

I pazienti di afasia di Broca sono indotti in inganno da questa frase, ilche dimostra che la loro afasia non è un semplice difetto di emissione dellinguaggio ma comprende anche un deficit dell’analisi sintattica. È lecitoquindi pensare che l’area di Broca sia il centro della grammatica? In realtà,no. Intanto i discorsi dei pazienti di afasia di Broca non sono del tutto prividi strutture grammaticali. I loro discorsi conservano l’ordine della frasecaratteristica della loro lingua. In secondo luogo, le persone affette da afasiadi Broca sono talvolta in grado di compiere analisi grammaticali sottili e didistinguere frasi grammaticalmente corrette da altre che non lo sono, comenelle frasi seguenti:

John fu infine baciato da LuisaJohn fu infine baciato Luisa

Perché una frase sia grammaticalmente corretta, sono necessari alcunimorfemi funzionali, che sono le componenti piú piccole di una parola chehanno un senso compiuto. La capacità dei pazienti di riconoscere che unafrase necessita l’impiego di questi morfemi, insieme alla loro incapacità dianalizzare i morfemi stessi per la comprensione di frasi complesse, è statachiamata paradosso della “syntax-there-but-not-there”.

Una soluzione possibile di questo problema risiede nel fatto che una delleprincipali difficoltà sintattiche cui vanno incontro i pazienti affetti da afasiadi Broca è quella di legare insieme elementi localizzati in parti diverse dellafrase e che debbono venir riferiti alla stessa entità (anafora e riempimentodi un vuoto sintattico). Non riescono cioè a stabilire che una frase è sgram-maticata se l’errore di grammatica proviene da un legame scorretto fra dueelementi staccati di una frase.

La capacità di legare insieme due elementi del discorso richiede che il pri-mo dei due elementi possa essere mantenuto nella memoria operativa finchénon si incontra il secondo elemento e i due elementi possano venir collegati.Ciò fa ritenere che l’area di Broca e le regioni ad essa associate prendanoparte alla memoria verbale a breve termine necessaria per la comprensionedella frase. Studi recenti di visualizzazione funzionale in vivo eseguiti con latecnica della pet dimostrano che il livello di attivazione tende ad aumenta-re in certe zone circoscritte dell’area di Broca quando un soggetto cerca dicapire una frase in mezzo alla quale esiste un grande vuoto sintattico.

L’ipotesi che l’area di Broca abbia a che fare con la memoria operati-va a breve termine è in buon accordo con altre osservazioni. Si ritiene chela memoria operativa possegga un circuito fonologico, rappresentato da unmagazzino fugace di memoria relativa alle informazioni fonologiche, ed un

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processo di ripasso mediante il quale la memoria viene continuamente rin-frescata e dal quale vengono inviati, ma non eseguiti, comandi ai muscolidell’apparato vocale. L’area di Broca potrebbe prender parte al circuitodi ripasso, il che appare in buon accordo con la ben documentata funzionedell’area di Broca nell’articolazione delle parole.

§ 3.2 L’afasia di Wernicke – L’afasia di Wernicke, in generale, conseguea lesioni del settore posteriore della corteccia uditiva associativa sinistra(area 22 di Brodmann), anche se nelle forme piú gravi le lesioni interessanoanche il giro temporale medio e la sostanza bianca sottostante (Figura 5).

Wernicke “Ah, yes, it's, ah… several things. It's a girl… uncurl… on a boat. A dog…'S is another dog… uh-oh… long's… on a boat. The lady, it's a young lady. An' a man a They were eatin'. ‘S be place there. This… a tree! A boat. No, this is a… It's a house. Over in here… a cake. An' it's, it's a lot of water. Ah, all right. I think I mentioned about that boat. I noticed a boat being there. I did mention that before.… Several things down, different things down… a bat… a cake… you have a…” (Elapsed time: 1 min 20 s)

“Well, I jus' lost a lot a time” “/I/… no… In a fog.”

Conduction “Kay. I see a guy readin' a book. See a women / ka… he… /pourin' drink or somethin'. An' they're sittin' under a tree. An' there's a… car behind that an' then there's a house behind th' car. An' on the other side, the guy's flyn' a / fait… fait /(kite). See a dog there an' a guy down on the bank. See a flag blowin' in the wind. Bunch of/hi… a…/trees in behind. An a sailboat on th' river, river… lake. 'N guess that's about all… ‘Basket there.” (Elapsed time: 1 min 5 s)

“T: see if I can't talk straight, where I can have… not havin'trouble to say words an' sentences.”

“The baker was… What was that last word?”(“Let me repeat it: The pastry cook was elated.”)“The baker-er was/vaskerin/… uh…”

Global (Grunt) (Gesturing) (No response)

Figure 59-3 Wernicke aphasia. Left:A three-dimensional magnetic resonance imaging (MRI) reconstruction of a lesion in a patient with Wernicke aphasia. The infarction affected a large area of temporal lobe cortex as well as underlying white matter. Large, deep lesions are typically seen in severe cases. Right: Coronal section of the same brain taken along the plane defined by the blue slab. The brain is viewed from the front, with the left hemisphere on the right half of the image. The infarct is visible in black.

The woman is outside, isn't she?

The woman is outside, isn't it?

The girl fixed herself a sandwich.

The girl fixed themselves a sandwich.

Linking two elements (filler to gap, or antecedent to pronoun) requires keeping the first element in one's working memory (Chapters 19 and 62) until the

second is encountered and the two can be joined. This suggests that Broca's area and associated regions may participate in the verbal short-term memory required for sentence comprehension. Recent functional brain imaging studies using PET show that the level of activation in a subregion of Broca's area increases when a subject has to understand a sentence in which there is a long gap in the middle compared with the level when the subject must understand similar sentences with shorter gaps in the middle

The idea that Broca's area is related to short-term working memory fits with other findings. Working memory is thought to have a phonological loop consisting of a transient memory store for phonological information and a rehearsal process—a covert articulatory process in which commands are sent to the vocal tract muscles but not carried out—which repeatedly refreshes the memory. Broca's area may participate in the rehearsal component of the loop, something that accords with the well-documented role of Broca's area in articulation.

The structures usually damaged in true Broca aphasia and in Broca area aphasia may be part of a neural network involved in both the assembly of phonemes into words and the assembly of words into sentences. This network is thought to be concerned with relational aspects of language, which include the grammatical structure of sentences and the proper use of grammatical vocabulary and verbs. The other cortical components of the network are located in external areas of the left frontal cortex (Brodmann's areas 47, 46, and 9), the left parietal cortex (areas 40, and 39), and sensorimotor areas above the sylvian fissure between Broca's and Wernicke's areas (the lower sector of areas 3, 1, 2, and 4) and the insula.

Wernicke Aphasia Results From Damage to Left Temporal Lobe StructuresWernicke aphasia is usually caused by damage to the posterior sector of the left auditory association cortex (Brodmann's area 22), although in severe and persisting cases there is involvement of the middle temporal gyrus and deep white matter (Figure 59-3). The speech of patients with Wernicke aphasia is

effortless, melodic, and produced at a normal rate and is thus quite unlike that of patients with true Broca aphasia. The content, however, is often unintelligible because of frequent errors in the choice of words and phonemes, the individual sound units that make up morphemes (Table 59-2).

Patients with Wernicke aphasia often shift the order of individual sounds and sound clusters and add or subtract them to a word in a manner that distorts the intended phonemic plan. These errors are called phonemic paraphasias (paraphasia refers to any substitution of an erroneous phoneme or entire word for the intended, correct

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one). When phoneme shifts occur frequently and close together, words become unintelligible and constitute neologisms. Even when words are put together with the proper individual sounds, patients with Wernicke aphasia have great difficulty selecting words that accurately represent their intended meaning (known as a verbal or semantic paraphasia). For example, a patient may say headman for president.

These patients also have difficulty comprehending sentences uttered by others. Although this deficit is suggested by the Wernicke-Geschwind model,

Figura 5: Afasia di Wernicke. A sinistra: Ricostruzione tridimensionale con la visualizzazionemediante risonanza magnetica (rmi) della lesione di un paziente di afasia di Wernicke. L’infarto hainteressato una vasta zona della corteccia del lobo temporale e della sottostante sostanza bianca. Levaste lesioni profonde sono tipiche dei casi gravi. A destra: Sezione coronale dello stesso cervello presalungo il piano definito dal piano di sezione in blu. Il cervello è visto dal davanti e l’emisfero sinistrooccupa la parte destra dell’immagine. L’infarto è evidenziato in nero [Kandel et al., 2000].

I pazienti di afasia di Wernicke parlano senza sforzo, con inflessione evelocità normali ed il loro modo di parlare è pertanto del tutto diverso daquello dei pazienti affetti dall’afasia di Broca. Il contenuto dei loro discorsi,tuttavia, è spesso inintellegibile per via dei frequenti errori nella scelta delleparole e dei fonemi. Invertono spesso l’ordine dei singoli suoni e dei lororaggruppamenti e li aggiungono o li sottraggono alle singole parole in modoche lo schema corretto dei fonemi ne risulta totalmente sconvolto (questierrori vengono detti parafasie fonemiche). Anche nei casi in cui i singolisuoni delle parole vengano formulati in modo corretto i pazienti di afasiadi Wernicke provano difficoltà nella scelta delle parole che esprimano nellamaniera migliore il significato di quanto vogliono dire (parafasia semanticao verbale).

Questi pazienti capiscono inoltre con difficoltà i discorsi degli altri. An-che se questo sintomo è ben previsto dal modello di Wernicke-Geschwind,l’area di Wernicke non viene piú considerata come il centro della compren-sione delle cose udite. Secondo la concezione piú recente l’area di Wernicke

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viene considerata come un elaboratore di suoni in grado di associare suonie concetti. Questa elaborazione si estende, oltre all’area di Wernicke vera epropria, a molte altre aree cerebrali che sono in relazione con la grammatica,l’attenzione, i rapporti di convivenza sociale ed i concetti che corrispondonoai significati che le singole parole assumono nelle frasi.

§ 3.3 L’afasia di conduzione – I pazienti affetti da afasia di conduzionesono in grado di capire frasi semplici e di parlare in modo intellegibile ma,analogamente ai pazienti di afasia di Broca e Wernicke, non sanno ripeterea voce le frasi che sentono, non riescono a riunire in modo efficace i diversifonemi delle parole e non sono capaci di denominare agevolmente ciò cheappare in un disegno o gli oggetti reali che vengono loro mostrati.

La forma cronica dell’afasia di conduzione è determinata dalla lesionedel giro temporale superiore e del lobo parietale inferiore (aree 39 e 40 diBrodmann). Tali lesioni danneggiano certamente le proiezioni a feed-back ea feed-forward che pongono in connessione le cortecce temporale, parietale,insulare e frontale. Queste vie di connessione sembrano appartenere a unsistema necessario per accomunare fonemi diversi in parole e per coordinarel’articolazione del discorso.

§ 3.4 Le afasie transcorticali – Il modello di Wernicke-Geschwind pre-dice che le afasie possano insorgere non solo in seguito alla lesione di sin-goli componenti del sistema del linguaggio ma anche a quella di aree e vieche connettono quei componenti alla restante massa cerebrale. I pazientidi afasia motoria transcorticale parlano in maniera impacciata ma sono ingrado di ripetere frasi anche molto lunghe. Secondo il modello di Wernicke-Geschwind, questa afasia viene determinata dalla perdita delle connessionifra le aree del linguaggio e quelle che danno inizio e controllano il linguaggiospontaneo; la facoltà di ripetere è conservata in quanto le connessioni conl’area di Wernicke restano intatte.

Questo tipo di afasia è stato messo in relazione con lesioni che interessanol’area frontale dorsolaterale, che costituisce un lembo di corteccia associativasituata anteriormente e superiormente all’area di Broca. Si ritiene che lacorteccia frontale dorsolaterale abbia importanza per indirizzare l’attenzionee per il mantenimento di talune facoltà esecutive di carattere superiore, ivicompresa la migliore scelta delle parole.

L’afasia transcorticale può anche insorgere in seguito a lesioni dell’areamotoria supplementare sinistra, che è localizzata nella parte alta del lobofrontale. La stimolazione elettrica di quest’area, nel corso di operazioni chi-rurgiche su pazienti non afasici, determina la comparsa di vocalizzazioniinvolontarie o l’incapacità di parlare. Sembra perciò che l’area motrice sup-plementare possa contribuire all’inizio del discorso, mentre le regioni fron-tali dorsolaterali contribuiscono al suo continuo controllo, particolarmentequando il compito diviene difficile.

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I pazienti di afasia transcorticale sensitiva parlano in modo fluente mahanno una ridotta comprensione del significato del discorso e incontranonon poche difficoltà nel denominare gli oggetti. Quest’afasia differisce daquella di Wernicke allo stesso modo con cui l’afasia transcorticale motoriadifferisce da quella di Broca: la ripetizione delle parole è conservata. Ineffetti, i pazienti di afasia transcorticale sensitiva possono anche suggerirecorrezioni grammaticali di frasi che in realtà non capiscono e perfino ripetereparole straniere. Quest’afasia sembra perciò un deficit del ripasso seman-tico, mentre le capacità sintattiche e fonologiche appaiono relativamenteconservate.

L’afasia transcorticale sensitiva è, in generale, dovuta a lesioni circoscrit-te dell’area di giunzione fra i lobi temporale, parietale e occipitale, che con-nette le aree perisilviane del linguaggio con le regioni corticali che presiedonoalla comprensione del significato delle parole.

§ 3.5 Altre aree cerebrali coinvolte nel linguaggio – I correlati anatomicidelle forme classiche di afasia interessano soltanto una zona limitata di areecerebrali in rapporto con il linguaggio. In questi ultimi dieci anni, tuttavia,le ricerche sulle afasie hanno messo in evidenza la presenza di numerose altrestrutture corticali e sottocorticali correlate con il linguaggio e localizzate, perlo piú, nella regione temporale sinistra.

Ricerche recenti hanno messo in luce che lesioni della corteccia temporalesinistra (aree 21, 20 e 38 di Brodmann) determinano una notevole alterazionedel linguaggio, che consiste nell’incapacità di ricordare i nomi e che non siaccompagna ad altre difficoltà grammaticali, fonemiche o fonetiche. Se lelesioni sono limitate al polo temporale sinistro (area 38 di Brodmann), ilpaziente prova difficoltà nel ricordare i nomi propri di determinati luoghi epersone, ma non nel ricordare quelli delle cose comuni. Quando le lesioniinteressano invece il settore mediotemporale sinistro (aree 21 e 20), i pazientihanno difficoltà a ricordare sia i nomi propri che quelli comuni. Infine, unalesione localizzata al settore inferotemporale posteriore sinistro determina undeficit nel ricordo dei nomi di particolari tipi di oggetti, di certi strumenti outensili, ma non dei nomi delle cose naturali o di particolari entità. Il ricordodei vocaboli relativi ad azioni o a relazioni spaziali non viene compromesso.

Queste osservazioni fanno ritenere che nelle cortecce del lobo temporalesinistro abbiano sede sistemi neurali che consentono l’accesso alle parole chespecificano diverse categorie di oggetti ma non a quelle che specificano leazioni relative a quegli oggetti o il rapporto fra un certo oggetto ed altreentità.

Un’altra area non compresa nel modello classico delle afasie è una regio-ne circoscritta dell’insula, che è un lembo di corteccia nascosto in profon-dità, all’interno degli emisferi cerebrali. Osservazioni recenti suggerisconoche quest’area abbia un ruolo importante nella pianificazione e nella coordi-nazione dei movimenti articolatori necessari per l’emissione delle parole. I

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behavior. Yet during the first half of this century the aggregate-field view of the brain, not cellular connectionism, continued to dominate experimental thinking and clinical practice. This surprising state of affairs owed much to the arguments of several prominent neural scientists, among them the British neurologist Henry Head, the German neuropsychologist Kurt Goldstein, the Russian behavioral physiologist Ivan Pavlov, and the American psychologist Karl Lashley, all advocates of the aggregate-field view.

The most influential of this group was Lashley, who was deeply skeptical of the cytoarchitectonic approach to functional delineation of the cortex. “The ‘ideal’ architectonic map is nearly worthless,” Lashley wrote.

P.12

“The area subdivisions are in large part anatomically meaningless, and misleading as to the presumptive functional divisions of the cortex.” Lashley's skepticism was reinforced by his attempts, in the tradition of Flourens's work, to find a specific seat of learning by studying the effects of various brain lesions on the ability of rats to learn to run a maze. But Lashley found that the severity of the learning defect seemed to depend on the size of the lesions, not on their precise site. Disillusioned, Lashley—and, after him, many other psychologists —concluded that learning and other mental functions have no special locus in the brain and consequently cannot be pinned down to specific collections of neurons.

On the basis of his observations, Lashley reformulated the aggregate-field view into a theory of brain function called mass action, which further belittled the importance of individual neurons, specific neuronal connections, and brain regions dedicated to particular tasks. According to this view, it was brain mass, not its neuronal components, that was crucial to its function. Applying this logic to aphasia, Head and Goldstein asserted that language disorders could result from injury to almost any cortical area. Cortical damage, regardless of site, caused patients to regress from a rich, abstract language to the impoverished utterances of aphasia.

Lashley's experiments with rats, and Head's observations on human patients, have gradually been reinterpreted. A variety of studies have demonstrated that the maze-learning task used by Lashley is unsuited to the study of local cortical function because the task involves so many motor and sensory capabilities. Deprived of one sensory capability (such as vision), a rat can still learn to run a maze using another (by following tactile or olfactory cues). Besides, as we shall see, many mental functions are handled by more than one region or neuronal pathway, and a single lesion may not eliminate them all.

In addition, the evidence for the localization of function soon became overwhelming. Beginning in the late 1930s, Edgar Adrian in England and Wade Marshall and Philip Bard in the United States discovered that applying a tactile stimulus to different parts of a cat's body elicits electrical activity in distinctly different subregions of the cortex, allowing for the establishment of a precise map of the body surface in specific areas of the cerebral cortex described by Brodmann. These studies established that cytoarchitectonic areas of cortex can be defined unambiguously according to several independent criteria, such as cell type and cell layering, connections, and—most important—physiological function. As we shall see in later chapters, local functional specialization has emerged as a key principle of cortical organization, extending even to individual columns of cells within a functional area. Indeed, the brain is divided into many more functional regions than even Brodmann envisaged!

Figure 1-5 In the early part of the twentieth century Korbinian Brodmann divided the human cerebral cortex into 52 discrete areas on the basis of distinctive nerve cell structures and characteristic arrangements of cell layers. Brodmann's scheme of the cortex is still widely used today and is continually updated. In this drawing each area is represented by its own symbol and is assigned a unique number. Several areas defined by Brodmann have been found to control specific brain functions. For instance, area 4, the motor cortex, is responsible for voluntary movement. Areas 1, 2, and 3 comprise the primary somatosensory cortex, which receives information on bodily sensation. Area 17 is the primary visual cortex, which receives signals from the eyes and relays them to other areas for further deciphering. Areas 41 and 42 comprise the primary auditory cortex. Areas not visible from the outer surface of the cortex are not shown in this drawing.

More refined methods have made it possible to learn even more about the function of different brain regions involved in language. In the late 1950s Wilder Penfield, and more recently George Ojemann used small electrodes to stimulate the cortex of awake patients during brain surgery for epilepsy (carried out under local anesthesia), in search of areas that produce language. Patients were asked to name objects or use language in other ways while different areas of the cortex were stimulated. If the area of the cortex was critical for language, application of the electrical stimulus blocked the patient's ability to name objects. In this way Penfield and Ojemann were able to confirm—in the living conscious brain—the language areas of the cortex described by Broca and Wernicke. In addition, Ojemann discovered other sites essential for language, indicating

P.13

that the neural networks for language are larger than those delineated by Broca and Wernicke.

Our understanding of the neural basis of language has also advanced through brain localization studies that combine linguistic and cognitive psychological approaches. From these studies we have learned that a brain area dedicated to even a specific component of language, such as Wernicke's area for language comprehension, is further subdivided functionally. These modular subdivisions of what had previously appeared to be fairly elementary operations were first discovered in the mid 1970s by Alfonso Caramazza and Edgar Zurif. They found that different lesions within Wernicke's area give rise to different failures to comprehend. Lesions of the frontal-temporal region of Wernicke's area result in failures in lexical processing, an inability to understand the meaning of words. By contrast, lesions in the parietal-temporal region of Wernicke's area result in failures in syntactical processing, the ability to understand the relationship between the words of a sentence. (Thus syntactical knowledge allows one to appreciate that the sentence “Jim is in love with Harriet” has a different meaning from “Harriet is in love with Jim.”)

Until recently, almost everything we knew about the anatomical organization of language came from studies of patients who had suffered brain lesions. Positron emission tomography (PET) and functional magnetic resonance imaging (MRI) have extended this approach to normal people (Chapter 20). PET is a noninvasive

imaging technique for visualizing the local changes in cerebral blood flow and metabolism that accompany mental activities, such as reading, speaking, and thinking. In 1988, using this new imaging form, Michael Posner, Marcus Raichle, and their colleagues made an interesting discovery. They found that the

Figura 6: Nei primi decenni del ventesimo secolo Korbinian Brodmann suddivise lacorteccia cerebrale dell’uomo in 52 aree distinte in base alla struttura caratteristica dellecellule nervose e alla loro disposizione in strati. Lo schema della corteccia di Brodmann è ancoraampiamente usato oggi e viene continuamente aggiornato. Nel disegno illustrato in figura ogni area èindicata con un proprio simbolo ed è contrassegnata da un numero particolare. Abbiamo oggi le proveche parecchie delle aree classificate da Brodmann controllano funzioni cerebrali specifiche. Per esempiol’area 4 è la corteccia motrice ed è responsabile del movimento volontario. Le aree 1, 2 e 3 formano lacorteccia somatosensitiva primaria che riceve le informazioni relative alle sensazioni somatiche. L’area17 è la corteccia visiva primaria che riceve informazioni dagli occhi e le invia alle cortecce visive superioriper ulteriori analisi. Le aree 41 e 42 sono la sede della corteccia uditiva primaria. Le aree non visibilisulla superficie esterna della corteccia non sono rappresentate in questa figura. [Kandel et al., 2000].

pazienti portatori di una lesione di quest’area provano difficoltà a pronuncia-re i fonemi nel loro giusto ordine; questi soggetti emettono combinazioni disuoni abbastanza simili ma non identici alle parole che vogliono pronunciare.I pazienti di queste forme non hanno difficoltà nella percezione dei suoni dellinguaggio o nel ricordare le parole ma soltanto nella loro pronuncia.

Anche la parte della corteccia frontale localizzata sulla superficie mesialedell’emisfero sinistro, e che comprende sia l’area motrice supplementare chela regione anteriore del cingolo (area 24 di Brodmann), svolge un’importantefunzione nell’inizio e nello sviluppo del discorso. Queste stesse aree hannoanche un’importante funzione nell’attenzione e nelle emozioni e sono in gra-do, pertanto, di influenzare molte facoltà mentali superiori. La lesione diqueste aree non determina la comparsa di un’afasia vera e propria ma ren-de difficile l’inizio del discorso (acinesia) e può determinare anche l’assenzacompleta della parola o mutismo.

§ 3.6 L’emisfero destro e l’espressività del linguaggio – In quasi tuttii soggetti destrimani e in una leggera maggioranza dei soggetti mancini le

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capacità linguistiche, la fonologia, il lessico e la grammatica sono localizzatenell’emisfero sinistro. Nei soggetti cui sia stato sezionato il corpo calloso,che è il principale fascio di connessione tra i due emisferi cerebrali, comemezzo terapeutico di forme gravi di epilessia si può osservare che in qualchecaso l’emisfero destro possiede una rudimentale facoltà di capire o di leggereparole, ma le capacità sintattiche sono modeste e in molti casi l’emisferodestro si rivela privo del tutto di capacità lessicali o grammaticali.

Nonostante ciò, l’emisfero cerebrale destro ricopre una sua funzione nellinguaggio. In particolare, esso riveste importanza negli aspetti di prosodiadella comunicazione e delle emozioni (sottolineature, pause e intonazione deldiscorso). L’organizzazione anatomica degli elementi affettivi del linguaggioè l’immagine speculare di quella che riguarda l’organizzazione dei conte-nuti razionali del linguaggio, localizzati nell’emisfero sinistro. Una lesionedell’area temporale destra, omologa a quella di Wernicke dell’emisfero sini-stro, determina disturbi della comprensione delle componenti emotive dellinguaggio impedendo, per esempio, di valutare dall’intonazione del discor-so se una persona sta parlando di argomenti tristi o allegri. Al contrario,una lesione dell’area frontale destra, omologa a quella di Broca, determinaun’alterazione della capacità di espressione delle componenti emotive dellinguaggio.

L’integrità dell’emisfero destro è indispensabile per apprezzare certe sot-tigliezze del linguaggio come l’ironia, la metafora e l’umorismo.

I soggetti adulti cui sia stata praticata l’ablazione totale dell’emisferosinistro vanno incontro a una perdita completa del linguaggio con gravis-sime conseguenze. Al contrario, se tale operazione viene eseguita durantel’infanzia, i bambini imparano a parlare in maniera soddisfacente. Gli adul-ti non presentano questo tipo di plasticità funzionale, e vi sono prove cheesiste un periodo critico dell’infanzia che è fondamentale per lo sviluppo dellinguaggio. I bambini riescono ad imparare perfettamente parecchie linguestraniere, mentre la maggior parte delle persone adulte che imparano unanuova lingua continuano ad avere una cattiva pronuncia e a commettereerrori di grammatica.

Nonostante la notevole capacità dell’emisfero destro di assumersi la re-sponsabilità del linguaggio nei giovani, esso sembra, in ogni caso, meno adat-to a questo scopo dell’emisfero sinistro. Una ricerca condotta su un numerolimitato di bambini che avevano subito l’ablazione di uno dei due emisfericerebrali ha messo in evidenza che i bambini cui era rimasto soltanto l’emi-sfero destro presentavano una seria difficoltà del linguaggio (e di altri aspettidelle facoltà intellettive), rispetto ai bambini che avevano conservato il soloemisfero sinistro (che avevano, nel complesso, deficit molto minori). Analo-gamente ai pazienti di afasia di Broca, i bambini che possedevano soltantol’emisfero destro erano in grado di capire la maggior parte delle frasi diuna conversazione, ma avevano difficoltà a capire costruzioni sintattiche piúcomplesse, come, per esempio, le frasi rette da verbi passivi. I bambini che

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avevano conservato il solo emisfero sinistro, al contrario, non presentavanodifetti di comprensione anche per le frasi piú complesse.

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