“ognuno è il prodotto di scelte e circostanze. nessuno ha

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“Ognuno è il prodotto di scelte e circostanze. Nessuno ha potere sulle circostanze, ma tutti hanno potere sulle proprie scelte.”

Eric Emmanuel Schmitt, La parte dell’altro.

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Figura 1: “Il Sogno e il Film”; acrilico su tela. – Aurora Mazzoldi.

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INTRODUZIONE Quando mi incontrai con Aurora, nel 1991, avevo già fatto molti

cambiamenti nella mia vita. Fino ad allora ero convinto che avrei trovato un giorno il posto ideale

in cui vivere, il lavoro adatto a me, la donna con cui essere felice. Queste mete si erano, col tempo, dimostrate sempre più irraggiungibili e mi sentivo sempre più deluso.

Avevo vissuto in Italia, Germania, Canada e Brasile e la mia vita era ogni volta apparentemente cambiata. Nuove abitudini in ambienti diversi alimentavano questa mia illusione Ma avevo portato me stesso in tutti quei paesi e mi ritrovavo con le stesse emozioni, con gli stessi pensieri, con le stesse reazioni di sempre.

Avevo fatto lavori molto diversi fra loro e le circostanze sempre nuove mi distraevano dai miei problemi interiori, mi illudevano di aver dato una svolta alla mia vita… ma poi mi ritrovavo con l’insoddisfazione di sempre. E anche i miei tentativi di vivere in coppia finivano miseramente!

Dopo molte esperienze di insoddisfazione, cominciai a pensare che stavo sbagliando tutto, che il continuare a cambiare le cose all’esterno non avrebbe mai risolto i miei problemi. Cominciavo a rendermi conto che qualcosa che non andava e che quel qualcosa doveva essere dentro di me.

Fu a quel punto che mi imbattei in Aurora, anche lei reduce da una serie di esperienze deludenti, simili alle mie e anche lei alla ricerca di una verità all’interno di sé stessa.

Ma, purtroppo, dopo un breve periodo di intesa e di nuove illusioni, il rapporto cominciò a prendere la china di sempre. Le cose non andavano, come altre volte, per colpa dell’altro. Queste cose, sommate a quelle che non andavano a causa del lavoro e dell’ambiente in cui vivevamo, diventavano sempre più intollerabili.

Ormai ci stavamo convincendo entrambi che nuovi cambiamenti esterni (di coppia, di lavoro, di ambiente in cui vivere) ci avrebbero portati in una realtà differente, ma non avrebbero cambiato il nostro modo di affrontarla. E questo modo cominciava a sembrarci inadeguato. Così decidemmo di comune accordo di percorrere una via diversa.

Il cambiamento doveva avvenire da dentro.

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Per prima cosa era essenziale smettere di dare la colpa all’altro. Dovevamo invece portare l’attenzione su come ognuno di noi contribuiva a creare malintesi, a mettere zizzania, a reagire in modi inopportuni.

Non è stato facile per nessuno dei due. Scivolavamo in abitudini ormai incancrenite, difficili da riconoscere. Rinunciare a un pregiudizio o all’orgoglio di ammettere di non aver sempre ragione ci sembravano, all’inizio, dei sacrifici impossibili. Ci sembrava innaturale apprezzare un punto di vista diverso: quello dell’altro. Sacrificare anche piccoli diritti sembrava a entrambi un lavoro enorme e, a volte, umiliante.

Ma il risultato ripagava sempre. Era solo una questione di abituarsi diversamente. Cambiare abitudine

è difficile, ma non impossibile. Se ci riusciamo, la nuova abitudine lavorerà a nostro favore. E poi, qual è l’alternativa?

Un progressivo cambiamento di abitudini infelici ha fatto in modo

che, dopo 29 anni di compromessi e rispetto reciproco, siamo ancora insieme. Non abbiamo mai smesso di cercare un modo diverso. I risultati?

- Aurora ha creato una nuova forma di “Arte Introspettiva”. Ha fatto

mostre in vari Paesi per farla conoscere e ha scritto il libro “Le mie Madri – Arte Introspettiva”

- Io ho creato e gestisco i siti o https://www.osservatoriointeriore.com/ o https://www.introspectivity.com/

- Abbiamo fondato con due amici l’associazione Osservatorio Interiore a. p. s.

- Per mettere i contenuti della nostra ricerca a disposizione degli interessati facciamo frequenti incontri e conferenze

- E abbiamo scritto insieme questo libro! Il nostro segreto? Comprendere che ci sono più parti di noi in lotta fra di loro. Questo libro mostra questi conflitti nella vita di ogni giorno. Mostra

come avvengono le lotte in noi, fra noi e gli altri e come metter pace in questi tumultuosi campi di battaglia.

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Per impedire che ogni nostra parte scelga per conto suo,

dobbiamo imparare a centrarci. Se lo contattiamo, il nostro centro è in grado di coordinare,

armonizzare e gestire le nostre varie parti. Si tratta solo di riconoscerle e contattare il centro in uno dei molti modi di cui disponiamo. Presto impareremo a sceglierli istintivamente. Così si trasformeranno molte Male Scelte in scelte di benessere. Questo libro mostrerà come fare.

Scegliere istintivamente un percorso può sembrare strano e sembrava strano anche a me alcuni anni fa. Allora avevo altre idee. Volevo razionalizzare la mia vita e tendevo a ignorare le altre componenti dell’essere.

Questo, finché non mi trovai a vivere a Rio de Janeiro, dove mi resi conto che era difficile programmare le cose con rigidità. Anche sul lavoro, dove mi occupavo di organizzazione aziendale ed elaborazione dati, mi ero dovuto accorgere che la mia rigidità era in contrasto con una realtà fatta di continui eventi difficili da prevedere. Poco per volta mi stavo orientando verso ciò che definivo programmazione flessibile. La

Figura 2: Libera interpretazione della “Camera degli Specchi” (particolare); acrilico su tela - Aurora Mazzoldi

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realtà si trasformava rapidamente ed era importante non farsi trovare impreparati.

Ricevetti la lezione più importante a fine anno. Mi trovai ad attendere l’anno nuovo scrivendo a mano, insieme ad alcuni sfortunati volontari, un mucchio di fatture che dovevano essere emesse dal computer. Perché? C’era stato un grosso, imprevisto ritardo nella consegna dei moduli prestampati per la stampante. Dov’era l’errore? Non aver ordinato i moduli contemporaneamente a due diversi fornitori.

“Mai più un fine anno simile” Mi ero detto. E da allora considero il

futuro come imprevedibile. E sono ritornato ad ascoltare anche l’istinto, oltre alla razionalità. Così mi sono accorto che, quando queste due mie componenti agivano insieme, erano una coppia vincente.

Il lavoro su noi stessi ha migliorato molto la nostra vita, così ci è

sembrato importante condividere le nostre esperienze con altri. Con chi? Con quelle persone che sono interessate a risolvere i

problemi della loro vita e che cercano soluzioni attraverso i libri e le esperienze di altri. Ma, cosa ancora più importante, cercandole dentro sé stessi.

È proprio per questi ricercatori che abbiamo preparato un percorso in 11 tappe che approfondisce i più importanti fra gli argomenti.

Il libro esamina delle scelte di vita che facciamo e poi ricerca i motivi dell’insoddisfazione che ne consegue. Come lo fa? Prende in esame un problema e mostra come qualcuno lo ha risolto. Poi mostra i vantaggi/svantaggi di questa soluzione.

Non vi aspettate un libro che vi dica: “Fate questo!” o “Non fate quello!” Perché? Perché ognuno di noi ha diverse possibilità di crescere: uno sceglie di salire ed è pronto a lottare e soffrire per arrivare alla meta; un altro sceglie di scendere, perché ha poca energia, poca voglia di lottare e preferisce riposare; un terzo ama il rischio e ha bisogno di scalare una parete rocciosa per arrivare allo stesso traguardo.

C’è una scelta sbagliata? Certamente! Se l’istinto di una persona la porta a scalare le montagne e lei sceglie la via in discesa. Questo esempio mostra le diverse soluzioni perché ognuno possa scegliersi la più adatta.

Per decidere ciò che vogliamo veramente, è importante accrescere la nostra comprensione, in modo da non fare scelte superficiali. Per questo può essere utile aver semplici spiegazioni su come agiscono i nostri processi emotivi e mentali e su come scorre la nostra energia.

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Ci può sembrare un compito difficile, ma ci aiuteremo con dei quadri che rappresentano delle posizioni esistenziali; essi agiscono come i disegni sulla lavagna in una lezione di geometria.

In breve, questo libro propone 11 passi per favorire il miglioramento della vita e per aiutare a fissare gli obiettivi giusti per noi.

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Parte 1. SCELTE DI VITA

Per risanare la vita occorre prima risanare le scelte di vita. Da dove partiamo? Avendo affidato alla razionalità il compito di sollevarci dalle piccole

scelte quotidiane, è facile che finiamo, per abitudine o per comodità, per affidarle anche le scelte più importanti della nostra vita. È un errore? Non necessariamente; l’errore è quello di ascoltare soltanto la nostra razionalità, ignorando i preziosi suggerimenti dell’istinto e dell’intuizione. Questi suggerimenti ci potrebbero liberare da certi schemi ristretti di pensiero e offrirci delle possibilità inesplorate.

Vediamo ora alcune scelte di base che tendono a restringere la vita, limitandone le potenzialità e la libertà d’azione…

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1. SCELTE DI BASE DA “RISANARE”

“Questa battaglia è completamente persa, ma sono solo le due e siamo ancora in tempo per vincerne un’altra”. Detto attribuito da alcuni al generale francese Desaix, da altri a Napoleone. Battaglia di Marengo, 14 Giugno 1800

Quando scegliamo come vivere non siamo normalmente consapevoli

di che cosa stiamo facendo e delle decisioni che prendiamo; generalmente, non teniamo conto dei nostri istinti e delle nostre intuizioni.

Spesso le nostre decisioni si basano su questi fattori: - Il desiderio di far piacere – o dispiacere – ad altri - Il lasciare che siano le nostre emozioni a decidere per noi - La lotta con noi stessi - L’evitare il contatto con gli altri - Etc. …

Tutti questi sono processi decisionali di base, molto comuni quando eravamo bambini. Generalmente, il basare le nostre decisioni su questi fattori non ci soddisfa e solo se ce ne rendiamo conto possiamo cominciare a “risanarle” – altrimenti continueranno a influenzare tutte le nostre scelte quotidiane. Le faremo ascoltando emozioni e pensieri superficiali, senza prendere in considerazione ciò che vogliamo veramente.

IGNORARE L’ISTINTO

Quando entriamo, nascendo, in questa “bella d’erbe famiglia e d’animali” (Ugo Foscolo: I Sepolcri)1, Madre Natura ci fornisce uno strumento di sopravvivenza: l’istinto.

Come gli altri esseri viventi, ricorriamo all’istinto per muoverci in un ambiente sconosciuto che, così, non ci appare più completamente estraneo. Qualcosa di vago e di innato in noi sembra conoscere già le leggi che lo governano. Una saggezza interiore – un indefinito sentire – ci mantiene in contatto con l’ambiente che ci circonda e ci guida. Questo aiuto ci permette un armonioso inserimento nel nuovo mondo fisico. E, cosa non meno importante, ci facilita anche l’inserimento nel più impalpabile mondo emotivo e nella sua complessità.

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Ma l’istinto è tutto quello che ci serve per prendere le decisioni migliori?

Agli albori dell’umanità bastava alla sopravvivenza dell’uomo; poteva soddisfare i suoi bisogni primari. Vivere di solo istinto però significava anche vivere al momento, sempre pronti a reagire alle imprevedibili sollecitazioni dell’ambiente.

La vita sarebbe potuta continuare così; l’uomo avrebbe favorito la sua sopravvivenza, senza fare grandi passi avanti. Ma non si è accontentato e ha sviluppato qualcosa di più dell’animale: la possibilità e la capacità di scegliere.

Anche l’animale può, in parte, farlo, ma le sue scelte sono pesantemente condizionate dall’istinto, che gli fornisce sì un aiuto ma, al tempo stesso, anche un vincolo.

L’uomo ha imparato a decidere basandosi anche su altri fattori, oltre che sull’istinto. Può chiedersi che cosa vuol fare della sua vita e decidere di conseguenza. E potrebbe ricorrere all’istinto per riconnettersi con l’intuizione, a esso collegata, invece di restarne condizionato come l’animale. Ma si è abituato invece a decidere la sua vita senza neppure tener conto di che cosa gli suggerisce l’istinto. Per cercare di avere di più di quello che la natura gli offrirebbe, continua a ignorarlo.

Di conseguenza, vive una vita innaturale, basata soprattutto su delle mentalizzazioni, che lo portano spesso a un uso smodato della tecnologia. Inoltre, i suoi comportamenti sono dettati perlopiù da stereotipi o da abitudini che lo imbrigliano in routine più o meno restrittive. Così finisce per lasciarsi distrarre dai suoi obiettivi profondi e perde di vista quello che lui vorrebbe, nel suo intimo, realizzare e che potrebbe dare un senso alla sua vita. La società attuale è strutturata in modo da consentire e perfino favorire, questo tipo di scelte.

OBBEDIRE O NON OBBEDIRE?

Quando siamo bambini, gli adulti hanno una grande influenza su di noi. Ci preparano a vivere in un mondo che troviamo difficile conoscere e comprendere. Alcuni accettano i loro insegnamenti e obbediscono senza opporsi, mentre altri si ribellano e rifiutano i loro ordini e spesso anche i loro suggerimenti. Entrambi i tipi di bambini si comportano in base a uno schema che si sta formando e che si rinforza col tempo. Quali sono i pro e i contro di questi due modi opposti di reagire?

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LA STORIA DI ADA ED EVA

Ada, una signora di mezza età e ben inserita nel suo ambiente, si è costruita una vita apparentemente serena. È stata educata nel rispetto delle regole e dei genitori e ha seguito i loro consigli. Dopo essersi diplomata e aver messo su famiglia ha trascorso molti anni continuando ad assecondare bisogni, desideri e aspettative di familiari e amici, anche se non ha però un vero interesse ad approfondire la relazione con loro.

La sera, dopo aver messo a letto i bambini, si rilassa finalmente col marito davanti al televisore, ma è troppo stanca e distratta per aver voglia di scambiare con lui più di qualche parola

È comunque una donna esemplare, accettata e apprezzata da molte persone e rispettata da tutti.

Ma è veramente soddisfatta delle sue scelte? Tiene conto di istinto e

intuizioni o li ha accantonati per rincorrere invece un sogno di approvazione sociale? Ma, soprattutto, quanto ne è consapevole?

Da come vive, tutto fa pensare che Ada lasci che gli altri e gli eventi decidano per lei. Se così fosse, potrebbe essere profondamente insoddisfatta del modo in cui si sta trovando a vivere, degli impegni che le gravano sulle spalle e delle limitazioni che si è data… Magari le verrebbe voglia, a volte, di mandare tutto all’aria e ricominciare a vivere in altro modo – o, almeno, di ricavarsi uno spazio tutto suo in cui nessuno ci possa mettere il naso e nel quale poter fare finalmente quello che vuole lei.

Ma come trovare un proprio spazio in una situazione così consolidata, ormai? E se riuscisse a procurarselo, non si sentirebbe poi in colpa? In casi come questo, sembra spesso più comodo evitare di mettersi in questione e di rivedere le proprie scelte. E poi, non è importante, nella vita, sapersi adattare?

Fino a un certo punto lo è. Ma ci deve essere un limite; la continua scusa di doversi adattare può portare a rinunciare a scegliere e a non tener più conto dei propri obiettivi. Di conseguenza lasciamo che siano gli altri o gli eventi a decidere per noi. Ma gli altri, o gli eventi, sono poi tenuti a conoscere e interpretare i nostri desideri? Quale garanzia abbiamo che sceglieranno per noi proprio quello che speravamo di ottenere?

Abbiamo visto che Ada vive la sua vita trascurando i propri istinti (non dà ascolto a quella parte più profonda, ma più vera di sé stessa, l’istinto, che vorrebbe esprimersi nella vita in modo diverso), per mantenersi entro certi schemi e aspettative sociali. Non sappiamo quanto ciò la

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soddisfi realmente, ma possiamo però immaginare che questa non sia la soluzione perfetta per i suoi problemi.

Eva, invece, ha scelto di non conformarsi a regole e schemi e di

ignorare a quello che le viene imposto da altri. Reagisce spesso in modo violento a tutto ciò che tenta di condizionarla o di metterle dei limiti. Si oppone con forza perfino a chi le viene incontro, perché questo disturberebbe il suo personaggio di donna forte, che sa il fatto suo. Vive sola, è una donna indipendente e ha ottenuto un certo successo, riuscendo a imporsi nel mondo del lavoro.

Eva sembra essere molto diversa da Ada. Si mostra come una donna

decisa, che sceglie autonomamente. Ma si può dire con questo che si comporti seguendo il suo istinto? Le sue scelte potrebbero non essere né libere, né dettate dall’istinto ma, semplicemente, reattive.

Figure 3 – Il Potere del NO pittura acrilica su tela –Aurora

Mazzoldi

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Nel caso di Eva, esser reattiva significa che le sue scelte sono determinate non dai suoi obiettivi o dai suoi desideri, ma dall’impulso a rispondere in modo automatico e contrario a quello che fanno, o che suggeriscono, altre persone. Se si fa sempre il contrario, per principio, non si decide in base a ciò che piace, o che interessa, o che corrisponde ai nostri obiettivi. Il nostro comportamento diventa automatico – una conseguenza delle decisioni di altri. Si potrebbe perfino dire che Eva, per fare le sue scelte, si comporti come una bambina che, a qualsiasi richiesta o invito, risponda mostrando la lingua. Ada invece ci ricorda una bambina che abbassa sempre la testa.

Nessuna delle due valuta obiettivamente le situazioni. Entrambe impongono a sé stesse dei comportamenti standardizzati in risposta a quelli altrui. Ada accetta passivamente le cose, mentre Eva reagisce opponendosi. Sembra che vivano l’una in modo completamente diverso dall’altra o, addirittura, opposto. Ma si comportano pur sempre in funzione degli schemi sociali dei quali sono prigioniere.

Anche se, come abbiamo visto, occorre tenerli presenti, entrambe li pongono al centro delle loro decisioni. Una li subisce, l’altra li combatte. Inoltre, si ha l’impressione che, sia Ada che Eva, si preoccupino, in modo diverso e con risultati a prima vista diversi, solo degli eventi e degli schemi del quotidiano, nel quale hanno comunque trovato una loro collocazione.

A entrambe sembra che vada tutto bene, nel seguire queste dinamiche. Ma è realmente così? Tutt’e due sono ben inserite nella società e hanno ottenuto un discreto benessere materiale. Ma sono realmente soddisfatte nel loro intimo? Come si muoverebbero se ascoltassero anche il loro istinto?

PERSI NEL MONDO EMOTIVO

Non solo Ada ed Eva, ma anche la maggior parte delle persone vive come se esistesse solo il quotidiano e sono radicate soprattutto nel mondo della materia.

Sembra la soluzione più ovvia. È il mondo che possiamo percepire con i nostri sensi, che possiamo toccare, vedere… ma è solo con esso che abbiamo a che fare?

Ebbene, ci sono cose che normalmente non si vedono, non si toccano e non si odono, ma che influiscono notevolmente sulla nostra vita. Prendiamo, per esempio, l’energia elettrica; la usiamo quasi senza renderci conto che esiste, ma continuiamo ugualmente a servircene. Accendiamo la luce, avviamo il motore della macchina, prendiamo

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l’ascensore, usiamo il computer o la televisione. Tutto avviene in modo più o meno inconsapevole.

Quand’è che ci accorgiamo che tutti questi dispositivi funzionano soltanto se c’è la corrente elettrica? Proprio quando qualcosa si ferma.

Così avviene anche con le nostre emozioni. Siamo destinati a conviverci, le sentiamo da sempre e, normalmente,

non diamo loro troppo peso e importanza – almeno, finché tutto sembra andar bene! Possiamo così vivere senza preoccuparci troppo dei messaggi che ci giungono dal nostro flusso emotivo in sottofondo. Ma fino a quando? Fino a quando qualcosa non interviene a scombussolare i nostri schemi. Questo può dare il via a una vera e propria tempesta emotiva.

L’ESPERIENZA DI GUALTIERO

Gualtiero, un giovane imprenditore che è stato appena lasciato da Elena, la sua ragazza, non riesce più a chiudere occhio la notte. Questo gli toglie lucidità durante il giorno e così lui ha sempre più difficoltà a risolvere i problemi sul lavoro. Si ritrova a vivere in un continuo stato di ansia e le cose tendono a peggiorare. Dopo vani tentativi di ridurre al silenzio le emozioni fastidiose, che lo stanno scombussolando, Gualtiero ricorre al parere del medico.

Il medico gli prescrive una cura e lui la segue, con la speranza di risolvere i suoi problemi. Le pillole lo aiutano a rilassarsi e riesce a riposare meglio. Ma, anche se tutto gli appare ora più accettabile, non riesce ugualmente a tenere sotto controllo, con la volontà e le pillole, le proprie emozioni. I pensieri tristi, i rimpianti e, soprattutto, i ricordi, ritornano di continuo e lo mantengono in uno stato di tensione permanente. E questo gli crea problemi, come già visto, anche sul lavoro. Solo e abbandonato dalla sua ragazza, si sente disorientato.

Senza capirne il perché, si ritrova a vivere le stesse emozioni di quando, molti anni prima, era nato il suo fratellino: esteriormente allora, non era cambiato molto nella sua vita – né la sua esistenza, né le sue abitudini erano minacciate; continuava a ricevere le stesse premure dai suoi genitori – però, quando cercava l’attenzione di sua madre, sentiva spesso che lei era altrove, o occupata col nuovo nato; e questo minava la sua sicurezza e gli dava un senso di perdita. Proprio come succedeva negli ultimi tempi con Elena; sentiva la stessa distanza emotiva.

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Gualtiero, a questi pensieri, si sentiva confuso. Nella sua vita quotidiana non sembrava esser cambiato nulla, come non era cambiato nulla alla nascita del fratellino; anche da un punto di vista medico, tutto funzionava esattamente come prima. Però lui, in entrambe le esperienze, aveva cominciato a star male

Sapeva che il suo “male” non era né fisico, né mentale. Cominciò a domandarsi se qualcosa non funzionasse con le sue emozioni; aveva forse una “malattia emotiva”?

Per Gualtiero la malattia deve esser necessariamente legata a un corpo; perciò, se c’è una malattia emotiva, deve esserci anche un corpo emotivo. Se no, che cos’è che si ammala?

La stranezza della situazione era che, senza che se ne fosse mai reso

conto, il suo “corpo emotivo” si portava addosso questa specie di “malattia” fin dai tempi dell’infanzia – la nuova situazione con Elena l’aveva risvegliata. Com’era possibile che provasse ancora oggi la stessa sofferenza di allora, quando riceveva minori attenzioni da sua madre – e questo qualche decennio dopo? Al suo corpo fisico non era successo niente; continuava a esistere nell’oggi.

Ma, mentre l’ieri aveva smesso di esistere nella realtà materiale, non appena Gualtiero spostava l’attenzione sul suo stato di sofferenza ed entrava nel “corpo emotivo”, la distinzione fra passato e presente diventava più incerta. Per di più, in qualche momento sembrava addirittura svanire e lui si ritrovava con la stessa angoscia da abbandono che aveva provato tanti anni prima – e la riviveva con una tale veemenza da non riuscire più a distinguerla da quella attuale.

Anche oggi, se pensa a Elena, sa che il rapporto può continuare in un modo diverso da quello che la sua ansia gli suggerisce – e svilupparsi magari in una solida amicizia. Ma sente che un certo tipo di contatto emotivo si è interrotto, che loro due non sono più sulla stessa “lunghezza d’onda”, che l’attenzione di lei si è rivolta altrove… E questo lo fa inspiegabilmente soffrire.

Perché “inspiegabilmente”? Perché non riesce a comprendere come mai non è in grado di gestire la propria situazione emotiva. Si sente impotente. Non può liberarsi del senso di perdita che lo perseguita. Non può ristabilire quella “sintonia” che gli dava sicurezza: la sicurezza di sentirsi amato.

…Gualtiero, da buon tecnico, comincia a rendersi conto che ciò su cui

non riesce ad agire, è semplicemente un sistema di vibrazioni, in qualche modo simili alle onde radio. Non riesce più a ritrovare la

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sintonia con Elena. Sa che ognuno dei due si è ormai sintonizzato su una lunghezza d’onda diversa. È come se si trovassero a camminare su due strade parallele.

Come è successo? Dov’è la chiave per poter agire su questo apparentemente inafferrabile sistema?

Lui si sta curando con le pillole che gli ha prescritto il suo medico. Ed

è vero che queste gli garantiscono un certo stato di calma. Ma quanto lo aiutano poi a riequilibrare il suo stato emotivo e a toglierlo dalla sofferenza senza stordirlo o rendere ovattate le sue emozioni? Gualtiero si rende conto che le pillole che prende hanno su di lui solo un effetto parziale. Come mai? Adesso che ha intuito che ci può essere anche un corpo emotivo, arriva alla conclusione che le pillole, essendo fatte di sola materia, possono agire direttamente solo sul corpo fisico. In una seconda fase il rilassamento fisico può poi favorire un seppur parziale e, spesso, temporaneo rilassamento emotivo; ma per le tensioni emotive ci vorrebbe un’ipotetica “pillola emotiva”. Il suo medico sembra esserne consapevole. Infatti, gli consiglia di avvalersi anche dell’aiuto di uno psicoterapeuta, al quale spetterebbe il compito di fornirgli le “pillole” di comprensione emotiva adatte a lui.

LOTTE INTERIORI

Spesso, quando non riusciamo a ottenere qualcosa, ci mettiamo a lottare contro noi stessi. Si pensa spesso che qualcosa dentro di noi non si dia abbastanza da fare per soddisfare i nostri desideri.

GILDA SI SENTE TORTEGGIATA DALLA VITA

Gilda non è soddisfatta del proprio corpo; vorrebbe essere alta e magra, invece che di statura media e un po’ in carne. Non le piacciono i suoi occhi scuri e non accetta le sue prime rughe che la fanno sentire brutta. Quando si guarda allo specchio e vi vede la sua immagine riflessa, si sente torteggiata e le sembra che la vita non abbia più molto da darle. La sente ostile e ingiusta

Disprezza il suo corpo, lo rifiuta, lo odia. Non lo sopporta.

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In questo modo e senza rendersene conto, lo trascura e lo porta, senza rendersene conto, a un più rapido decadimento.

Gilda proietta un’immagine di sé idealizzata e irraggiungibile, ma non

fa nulla per cercare di avvicinarvisi. È come se fosse scontenta della sua macchina. Come se, invece di tenerla in buone condizioni, di sforzarsi di comprenderne i limiti e le potenzialità e, magari, cercare di accrescerne le prestazioni con qualche modifica tecnica, la portasse con rabbia su percorsi inadatti e ne trascurasse la manutenzione.

Quanti altri uomini e donne hanno, come Gilda, un corpo che non corrisponde ai loro desideri e sono anche meno attraenti di lei? Eppure, lo vivono meglio e ne sono più contenti. E hanno magari anche più successo con l’altro (o con lo stesso) sesso!

Gilda si identifica esageratamente col suo aspetto fisico e sta dando molto peso a fattori che lei crede molto importanti. Se la sua attenzione non si fosse ancorata lì, rendendola scontenta del proprio aspetto e scontrosa con tutti, potrebbe stabilire dei contatti anche molto profondi con altre persone e anche con qualcuno che saprebbe amare e apprezzare il suo corpo così com’è. Ma come possono farlo gli altri, se Gilda stessa lo disprezza?

Abbiamo visto che Gilda vive il suo corpo come un nemico e gli dà

un’eccessiva importanza. Questo la tiene prigioniera di certe vibrazioni del mondo materiale.

Gualtiero, invece, non sa liberarsi di un progetto di felicità che si è dimostrato illusorio; si è perso nei meandri del mondo emotivo.

Che cosa ha portato Gilda e Gualtiero in vibrazioni così differenti? Perché l’attenzione dell’una è rimasta intrappolata nel mondo materiale e quella dell’altro nel mondo emotivo?

Ogni situazione che ci troviamo a vivere provoca in noi delle emozioni, che si manifestano come vibrazioni di energia. Più la situazione ci coinvolge ed è importante per noi, più rimaniamo agganciati a quel tipo di vibrazione. Ma che cosa ci spinge a preferire una vibrazione invece di un’altra?

Il fatto è che siamo attratti e rimaniamo catturati dal l’onda energetica che ci piace di più, anche se non ne siamo consapevoli. Da quella cioè, che favorisce le emozioni che vogliamo vivere e le esperienze che scegliamo di fare.

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Teniamo presente che ognuno di noi si trova a vivere in quelle vibrazioni emotive che gli servono per fare una data esperienza, in una data situazione e nel modo che ha prescelto.

Una volta che, per affinità vibratoria, si è stati attratti da un’onda particolare,2 ci si incastra sempre di più in situazioni che ne favoriscono il mantenimento. Queste situazioni si concatenano poi le une con le altre.

Per cercare di districarsi in questo labirinto l’essere umano, invece di aprire a nuove soluzioni, ha sviluppato nel tempo – per ignoranza, per paura o per abitudine – un sistema di difesa, che è inefficace e illusorio, ma al quale resta aggrappato. In che cosa consiste? In uno sbarramento emotivo, fatto di tensioni muscolari, che ha lo scopo di bloccare il flusso delle emozioni portate da quella particolare onda emotiva. Così, per assurdo, si chiude proprio a quell’onda e a quelle emozioni che abbiamo scelto di vivere.

La chiusura può essere spesso un modo valido per proteggersi nel mondo materiale: posso ripararmi dal maltempo chiudendomi in casa; tengo a distanza persone e animali con porte, finestre, serrature e lucchetti; se vi sono bombardamenti, mi chiudo in un apposito rifugio; e se sento freddo cerco di coprirmi con indumenti pesanti perché il freddo non penetri. Nel mondo materiale la legge dell’impenetrabilità dei corpi3 è molto rigida e la chiusura può essere opportuna in certe situazioni.

Se, però, utilizziamo dei meccanismi materiali – come la tensione

muscolare – in mondi che materiali non sono, non otterremo i risultati voluti.

Nel mondo emotivo, infatti, i corpi sono penetrabili. Non esiste una barriera che ci separi da atmosfere collettive, che siano di gioia, di terrore o altro. Per esempio, in guerra o durante un terremoto, il panico ci contagia tutti; più cerchiamo di evitarlo, più perdiamo energia. Va poi a finire che, esausti, smettiamo di combatterlo e lasciamo che sia esso a portarci in direzioni inaspettate.

Siamo tutti d’accordo che sarebbe più sensato dirigere la nostra attenzione sul da farsi, invece di ingaggiare una lotta impari con la paura; per gestire la situazione avremmo bisogno di calma e di neutralità. Ma la chiusura che le opponiamo ce lo impedisce. Per riuscire a gestirla ci vorrebbero infatti calma e neutralità; tutti i nostri sforzi per cercare di contenere la paura invece di lasciarci attraversare dalla sua onda, non fanno altro che ingigantirla.

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CHIUSURA E INSODDISFAZIONE

Tutti noi abbiamo delle chiusure automatiche e alcune di queste possono condizionare il nostro quotidiano e contribuire al consolidarsi di paure limitanti. Nel mondo emotivo, la chiusura può impedirci di avvicinarci di più a persone con le quali vorremmo stare in contatto. Anche quando ci sembra che tutto ci porti verso un’altra persona, può prevalere il meccanismo di protezione…

CATERINA EVITA L’AFFETTIVITÀ

Caterina era nata e vissuta in una famiglia nella quale qualsiasi dimostrazione di affettività era considerata una manifestazione di debolezza; se lei si fosse lasciata andare a qualche parola gentile o a qualche gesto affettuoso, sarebbe stata trattata con ironia e disprezzo.

Questa censura affettiva aveva condizionato tutta la sua vita ed era continuata poi anche dopo il matrimonio. Faceva tutto per dovere e non provava piacere neanche nell’occuparsi dei bambini, con i quali si comportava più come un’istitutrice che come una mamma amorevole Anche se non si permetteva mai delle manifestazioni di affettività, era ugualmente considerata un’ottima moglie e una madre premurosa. In realtà Caterina subiva con rassegnazione l’eccessiva vicinanza del marito e il dovere, a volte pesante, di tenere in ordine la casa e gestire bene la famiglia.

Quando il marito morì, si sentì persa: il suo modo di vivere – e la

ragione della sua vita – erano crollati. I suoi figli erano diventati adulti e vivevano lontani da lei. Tutti i suoi obblighi familiari avevano smesso di esserci. Si ritrovò improvvisamente sola e senza un’idea di come reimpostare, su basi nuove, la sua vita.

Quando, col tempo, diminuì la sofferenza per la perdita del compagno della sua vita, cominciò a sentir crescere in lei una sensazione di sollievo per la diminuzione degli impegni e la riconquistata libertà. Ma, a causa della sua tendenza a evitare l’affettività, non riuscì a mettere a frutto la nuova situazione. Questa sua resistenza la spinse a isolarsi sempre di più. Usciva poco per non incontrare i vicini, che lei considerava invadenti; si sentiva protetta solo tra i muri del suo appartamento. Era riuscita, infine, a chiudersi completamente nel suo guscio.

Ma dentro di sé sentiva il vuoto e la noia, le sole emozioni che la sua chiusura le permetteva di vivere. Si proteggeva chiudendo perché, sotto

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a queste emozioni se ne muovevano altre ancora più drammatiche, delle quali aveva molta paura.

Caterina si era preoccupata di non lasciar emergere la sua indole gentile e amichevole per aderire allo schema che le avevano imposto i suoi familiari. La critica, sempre in agguato in loro, la rendeva insicura; questo la portava a diffidare di chi le proponeva una qualsiasi forma di contatto. Vedeva gli altri come nemici, viveva il mondo intorno a sé come minaccioso e sentiva il bisogno di proteggersi; difendersi era diventata un’abitudine della quale non riusciva più a fare a meno. La sua tensione di difesa, anche a livello muscolare era, col tempo, diventata permanente, quasi una necessità.

Non ricorreva a una chiusura selettiva, limitata a certe persone o situazioni. Naturalmente, la sua chiusura era meno ferrea in quelle situazioni che non viveva come pericolose, ma Caterina continuava ugualmente ad aver bisogno di proteggersi da tutto quello che le arrivava. E questo la costringeva a vivere in uno stato di preallarme.

Quello di Caterina non è un caso raro. Molti di noi, in una società competitiva, come la nostra, vivono in questo modo.

Tenendo conto di questa situazione, che possibilità di scelta ci restano? Ce ne restano ancora, ma solo all’interno dell’onda nella quale ci siamo incastrati. Ci troviamo confinati in uno spazio circoscritto, nel quale tendiamo, come abbiamo visto, ad aumentare e automatizzare sempre più le nostre reazioni di chiusura.

Come fare a uscirne? Un certo malessere interiore – una continua insoddisfazione –

potrebbero essere il campanello d’allarme che ci avverte che qualcosa in noi sollecita la nostra attenzione. Quando ci capita, invece di ignorare il messaggio e sentirci sempre più scontenti, potremmo farci delle domande, come: “Che cosa mi manca?” o “Che cosa mi rende così insoddisfatto?”

Sono domande alle quali sentiamo un bisogno impellente di dare

risposta; ci è sempre più difficile ignorarle. Un fastidioso granellino di sabbia è entrato in un ingranaggio che ritenevamo indistruttibile. Il disagio che proviamo ci obbliga a guardarci in modo nuovo.

È qualcosa di diverso dal mettersi allo specchio o dallo scrutarsi dentro per trovare il guasto e cercare di ripararlo; si tratta piuttosto di portare l’attenzione su noi stessi, osservando che cosa si sta muovendo

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dentro di noi e lasciando che eventuali intuizioni siano libere di emergere. Cominciamo allora a renderci conto che le nostre scelte precedenti che, finora, ritenevamo logiche, erano soltanto razionali4 e che, per non metterle in questione, avevamo chiuso l’accesso all’intuizione. Avevamo paura che l’intuizione scombinasse i nostri ragionamenti apparentemente ineccepibili. Ma erano solo apparentemente ineccepibili. Come può essere, per esempio, ineccepibile un ragionamento che opera una scelta futura basandosi solo su elementi del passato? Non si può in nessun modo essere sicuri che il futuro sarà una copia esatta del passato e che tutto si ripeterà tale e quale, senza che cambi nulla.

Per chiarire quanto detto, osserviamo come si comportano certe persone, quando si trovano a vivere in un altro Paese. Non hanno forse la tendenza a mantenere le loro consuetudini precedenti, senza tener conto della nuova realtà? Ma come potranno, le vecchie abitudini, proteggerle in un nuovo ambiente?

Anche se non si può prevedere come sarà il futuro, si può però intuirne qualcosa. Perché non tenerne conto, rinunciando magari a qualche falsa certezza? E perché non tener conto anche della nostra emotività e, magari, anche delle nostre inclinazioni e debolezze? Se lo faremo, cominceremo ad allargare la nostra comprensione, prendendo in considerazione degli elementi che, anche se ci sembrano irrazionali, possono portare a una logica più ampia. Questo ci permetterà di non fermarci al buon senso e ci consentirà di andare ancora più in là, per trovare altre soluzioni e per verificarle poi alla luce della realtà.

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2. SCELTE PROFONDE

Rivedendo alcune scelte fatte nel passato, ci può capitare di accorgerci che molte di esse erano frutto di condizionamenti o erano comunque determinate da motivazioni che non tenevano conto dei nostri obiettivi. Alcune poi, ci possono apparire ora francamente sbagliate o non più in linea con quello che vogliamo attualmente. Ci rendiamo conto che può volerci molto tempo per cambiare o correggere scelte fatte nel passato e che oggi riteniamo fuorvianti.

Se però si lasciano le cose come sono – per indolenza o per paura di non potervi rimediare – si continua a subirne le conseguenze. Ed è, a questo punto, fin troppo facile darne la colpa al destino o agli altri.

Si può perciò ipotizzare che molte persone siano vittime non del destino, ma delle proprie decisioni superficiali, o non più adatte alla situazione attuale.

Come ritrovare le scelte superficiali che avevamo fatte? Dovremmo renderci conto della discrepanza fra come stiamo vivendo e i nostri obiettivi.

Ci sentiamo in conflitto con noi stessi quando la nostra vita diverge dai nostri obiettivi profondi. Una parte di noi continua a vivere di abitudini o aderendo passivamente a desideri e schemi di altri. Un’altra parte però, sente di non potersi esprimere e da qui nasce l’insoddisfazione. Per renderci conto di questa discrepanza dovremmo imparare a guardare più profondamente in noi stessi. Se lo facciamo, saremo in grado di fare scelte profonde.

L’EFFETTO PARADOSSO

Le grandi scoperte dell’umanità sono spesso dovute a quello che potremmo chiamare “effetto paradosso”. Lo si può chiarire con qualche esempio:

• La scoperta dell’America. Colombo, andando al di là del buon

senso, ha voluto provare a raggiungere le Indie dall’altra parte, cioè navigando verso occidente, invece che verso oriente, come facevano tutti.

• Si racconta che Newton abbia visto cadere una mela. Non sarà stato senz’altro il primo a osservare questo fenomeno, Ma può esser stato uno dei primi a fare un ragionamento paradossale, del tipo: “La mela cade sulla Terra perché la Terra la attira su di sé. Ma,

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se la Terra attira su di sé la mela, perché non può essere anche il contrario? Cioè che anche la mela attiri a sé la Terra?”

Se qualcuno ci aveva pensato prima di Newton, si sarà forse dato del

cretino. “Quando mai la Terra può cadere su una mela? Devo esser matto da legare, se mi vengono simili pensieri!” Invece Newton ha accettato la sua intuizione, anche se andava contro qualsiasi buon senso. L’ha spiegata e giustificata matematicamente, da grande scienziato qual era.

Se cominciamo ad accettare i paradossi dovuti all’intuizione, possono arrivare momenti in cui ci accorgiamo di considerare qualche aspetto della vita in un modo completamente nuovo. Ci può capitare di scoprire che la logica che stava finora alla base di quell’aspetto ci è diventata incomprensibile; quello che ci sembrava normale, a partire da un dato momento, viene messo in questione. Ci si può addirittura stupire di aver potuto pensare in quel modo finora; ci si sente anche un po’ sbigottiti! Quando l’effetto paradosso si scatena, qualche convinzione traballa, la sicurezza vacilla, alcuni vecchi riferimenti crollano.

Un esempio di questo effetto lo troviamo negli Atti degli Apostoli. Raccontano che Saulo rimase folgorato sulla via di Damasco, dove andava per far punire i cristiani. La voce di Gesù gli disse: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”5

“Già, perché?” Si deve esser chiesto Saulo – e, per quanto cercasse,

non trovava una risposta valida. Una domanda gli stava rivoluzionando quella che fino ad allora era stata una convinzione ben radicata – Quella convinzione era diventata una chiave di volta su cui si reggeva un suo personaggio interiore; un personaggio che, improvvisamente, aveva perso tutta la sua importanza e che ora Saulo non si sentiva più di interpretare. L’effetto paradosso può mettere in questione tutta la vita (come nel caso di Saulo) oppure un suo singolo aspetto.

L’INTUIZIONE DI SANDRA

Sandra è un’avvocatessa molto nota in città. Gestisce bene la sua famiglia e si occupa, in modo ineccepibile, dei suoi genitori. Ma si porta dentro un cruccio: sta aspettando, da sempre, che sua madre riconosca una buona volta le sue qualità e tutto quello che sta facendo per lei. Ma non riceve mai una gentilezza, mai una parola di apprezzamento da parte sua; anzi, viene spesso criticata e svalutata. Ci resta molto male.

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“Che cosa devo ancora fare per avere una parola di riconoscimento da mia madre?” dice, con la voce un po’ alterata, confidandosi con Luisa, la sua più cara amica. “Mi son sempre preso cura di lei, l’ho trattata come una regina, ma tutto le è dovuto. Mai un apprezzamento, un grazie, mai gesto affettuoso!”

“Da quanti anni te lo aspetti?” risponde Luisa. ”Da sempre, che io ricordi!” “Cioè da più di 50 anni?” “Devi sempre ricordarmi la mia età! Sì, è vero, da più di 50 anni.” “Non ti è mai venuto il dubbio che, dopo cinquant’anni di tentativi, le

possibilità di ottenere un riconoscimento da tua madre siano poche? Sei certa che tua madre possa darti quello che ti aspetti da lei – che ne sia in grado?”

Sandra ammutolisce ed evita di rispondere all’amica. Torna a casa, cena con la sua famiglia e cerca di rilassarsi davanti al televisore…

Alcuni giorni dopo, Sandra sta camminando per strada e ripensa, con sofferenza, al comportamento sempre duro e critico di sua madre; a un tratto le vengono in mente le parole di Luisa. Si domanda: “perché sto continuando ad aspettarmi da mia madre qualcosa che non otterrò mai?”

Non trova una risposta a questa domanda – e, a questo punto,

l’effetto paradosso si scatena. Si sente stupida, a disagio, confusa… Si rende conto di quanto faccia

fatica a mollare l’aspettativa nei confronti di sua madre. Sente dentro di sé una gran confusione. Più emozioni combattono in lei... Poi, all’improvviso, le appare una nuova possibilità:

“Ho molte persone che mi apprezzano. Perché non mi godo il loro riconoscimento e non rinuncio definitivamente a quello di mia madre?”

A questa idea si sente sollevata, come se si stesse scrollando un peso di dosso.

Questo è un esempio in cui una scelta viene stravolta a proprio

vantaggio. Ma viene veramente stravolta? Possiamo parlare più propriamente di

scelta fatta a due livelli diversi. Se Sandra si mantiene in superficie, la scelta di continuare a chiedere attenzione le appare logica, un suo diritto – e le appare logica anche la speranza di ottenere, prima o poi, quello che vuole. Se però, aiutata dall’amica, scende più in profondità, le possono venire in mente alcuni fattori che non aveva ancora considerato:

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• sono reduce da oltre 50 anni di sforzi falliti • mia madre soddisferà mai la mia richiesta? • quanto impegno e frustrazione mi è costato insistere? • posso trovare altrove, e con meno fatica, quello che sto cercando? L’emergere di nuovi elementi può far scattare il cambio di livello,

favorendo l’intuizione e scatenando l’effetto paradosso. Ma, che cosa c’è di paradossale nell’accorgersi improvvisamente della

realtà? Occorre tener presente che noi siamo abituati a vivere di

accomodamenti e di abitudini, senza far molta attenzione a quello che succede. (Sandra ha ignorato decenni di insuccessi con la madre). Siamo continuamente allettati da un film interiore (Sandra si immagina che la madre un giorno si accorga del suo valore e si congratuli con lei), fatto di fantasie, di progetti, di reattività, che ben poco ha a che vedere con la realtà oggettiva.

Quando un lampo di consapevolezza attraversa le nostre limitazioni ci appare d’un tratto la realtà; ne prendiamo improvvisamente coscienza e ci sentiamo frastornati. Abituati, come siamo, a vivere nell’illusione, questo inatteso contatto con la concretezza ci sembra un paradosso.

E ora sorgono delle domande cruciali: • Quale delle due scelte risolverà meglio il mio problema? • Quale mi attira di più? quella superficiale o quella profonda?

Ognuno di questi due livelli di scelta ci propone una via differente: 1. Imparare dalle esperienze della vita. È la via più lenta, più indiretta

e più superficiale. Si passa di insoddisfazione in insoddisfazione, di insuccesso in insuccesso, finché si arriva, col tempo e con le esperienze che si vanno accumulando, a comprendere che cosa si vuole veramente e come ottenerla.

2. Incominciare a domandarsi qual è il nostro vero obiettivo e, una volta trovatolo, predisporsi a raggiungerlo. Seguire un obiettivo valido ci aiuta a capire quali scelte sono vantaggiose per noi, perché ci portano alla meta che abbiamo deciso di raggiungere. Durante questo processo potremo raccogliere ed elaborare i dati necessari per superare gli ostacoli. Questo sempre lasciando spazio a delle intuizioni, che ci aiuteranno a operare nella realtà.

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Se optiamo per la seconda via, ci troviamo in un percorso di introspezione.

Quando si parla di introspezione, si pensa subito a qualcosa di teorico; a qualcosa che si estranea dalla realtà.

Ma restare nella realtà non significa tener conto: - solo di ciò che succede fuori di noi - solo di ciò che succede dentro di noi ma di tutt’e due le cose. L’introspezione ci aiuta a risolvere anche i problemi del mondo

materiale – questi ultimi sono, a loro volta, degli importanti stimoli per comprendere che cosa non funziona dentro di noi.

Il ricercatore introspettivo non può che essere un ricercatore a tutto tondo e si guarda bene dal mettere dei limiti alla sua ricerca. Perciò ricerca sia all’esterno che all’interno di sé stesso, a seconda della natura dei problemi che gli si presentano.

3 M DA FRONTEGGIARE: MORTALITÀ, MALATTIA, MALESSERE

Le scelte superficiali non ci aiutano quasi mai a risolvere i problemi importanti.

L’ESPERIENZA DI NESTORE

Nestore aveva raggiunto quel punto della vita in cui diventa più difficile evitare di porsi certe domande. Aveva superato traguardi importanti e ottenuto una certa agiatezza, godeva di una discreta salute e, soprattutto, aveva anche abbastanza tempo libero per occuparsi di sé stesso. Un giorno, però, si trovò alle prese con una brutta malattia.

Lo specialista, al quale si era rivolto, gli consigliò di sottoporsi con urgenza a un’operazione molto invasiva e dall’esito non scontato. Nestore però consultò anche un centro specializzato, che gli sconsigliò l’operazione, devastante e potenzialmente pericolosa e lo indirizzò verso una cura farmacologica, lunga e fastidiosa, ma che gli avrebbe potuto evitare l’intervento.

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Non era una decisione facile, soprattutto perché Nestore nutriva qualche dubbio sull’efficacia della terapia alternativa. Pur con queste incertezze e senza una spiegazione razionale, lui sentì però di dare fiducia alla cura che gli avevano proposto. Vi si sottomise pazientemente e la continuò fino alla guarigione.

Dopo aver superato questa non facile prova ritenne di aver preso la decisione giusta. Si trovò a chiedersi se si fosse trattato di fortuna o della scelta che aveva fatto, se era riuscito a scansare due brutte “M”: la “Morte” e la “Malattia”. “La fortuna ha giocato certamente un ruolo ma,” si disse, “se avessi scelto di farmi operare, avrei forse rischiato la vita o, magari, ne sarei uscito menomato.”

Si rese conto di quanto era stato importante aver scelto oculatamente. Comprese che vi sono scelte che possono far la differenza vivere e morire. Si ricordò delle volte nelle quali era riuscito a evitare degli incidenti, anche gravi, o di altre situazioni, oltre all’ultima, che avrebbero potuto mettere a rischio la sua vita. Mormorò fra sé e sé:

“Scelgo, dunque esisto!” A questo punto gli parve di sentire una voce interna che gli

sussurrava “Sì, ’sta volta, ti è andata bene ma, come la mettiamo con la terza M?”

Ebbe inizio un muto colloquio con sé stesso: “Come, quale altra M! Non ne bastano due? La voce si fece più insistente: “Fai finta di esserti dimenticato del tuo

‘Malessere’?” “Quale malessere?” “Quando ti trovi solo o in certe situazioni, non senti qualcosa che rode

dentro di te? Qualcosa che cerchi in tutti i modi di zittire?” “A pensarci bene, è vero, ogni tanto mi capita e non capisco perché.” “Forse è quello che alcuni chiamano ‘mal di vivere’ o ‘malessere

esistenziale’.” “Mi circondo continuamente di amici, mi sforzo di essere allegro, di

aver sempre qualcosa da fare… eppure... È questo che sto facendo? Cercare in tutti i modi di non sentire questo malessere?”

Nestore sentì salire dentro di sé una strana rabbia; si sentì improvvisamente messo all’angolo, privo di risorse. “Perché non riesco a uscire da questo malessere? Non ha nessun motivo di esistere! Ho recuperato la salute; ho abbastanza denaro per viver bene; ho un lavoro e una famiglia che mi danno molte soddisfazioni… Che motivo

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ho di sentirmi inappagato e scontento? Non mi capisco. Mi prenderei a sberle!”

Percepì di nuovo la voce interna, che cominciava a diventare fastidiosa: “Come puoi star veramente bene? Finché continuerai a nasconderti delle cose, continuerai a lottare con te stesso!”

PORTARE LA PACE

I bambini, quando vogliono farsi valere con gli adulti, hanno i loro metodi. Possono, per esempio, fare i capricci; strillare; ribellarsi; pestare i piedi; piangere; o fare qualche moina – e alcune di queste azioni dànno loro la sensazione di avere un certo potere.

Uno dei modi vincenti è quello di mostrarsi offesi e chiudersi in sé stessi. Possono diventare ostili, non parlare più con nessuno, mandare via chi cerca di avvicinarsi e, qualche volta, rifiutarsi perfino di mangiare – tutte cose che fa molto preoccupare ogni genitore.

Se queste tattiche di chiusura funzionano da bambini, perché non dovrebbero funzionare anche da adulti?

La realtà è che hanno effetto solo se c’è qualcuno che si preoccupa e si sente responsabile per chi le sta usando. Da adulti, possono non aver più successo neanche più con i genitori.

Il problema è che finiscono per diventare un’abitudine; noi continuiamo ad aver fiducia in una loro supposta efficacia, che però hanno perso ormai da tempo. Ma non vogliamo rassegnarci a rinunciare al potere che ci davano tanti anni fa.

Anche quando non funzionano più all’esterno, con gli altri, continuiamo, per abitudine, a mantenere alcuni di questi atteggiamenti dell’infanzia con noi stessi. Se siamo insoddisfatti o delusi per una qualsiasi cosa che non va esattamente come ce l’aspettavamo, qual è la nostra reazione? Se siamo scontenti, per esempio, del nostro aspetto fisico o delle nostre capacità o di quello che facciamo, cerchiamo veramente di trovare una soluzione o continuiamo a lottare contro quelle parti di noi che non sono come le vorremmo? Manteniamo forse la speranza che qualcosa o qualcuno, vedendoci tanto infelici, intervenga, come facevano i nostri genitori, a mettere a posto le cose? Ma in questo modo ci facciamo del male.

Non abbiamo, evidentemente, la saggezza di Ulisse che, dopo aver

accettato il suggerimento di Minerva (che poteva rappresentare la sua intuizione)6, interruppe la guerra7 contro i parenti di quei Proci che lui

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aveva ucciso. Ulisse aveva capito che continuare la guerra a oltranza fra due fazioni del suo stesso popolo, avrebbe irrimediabilmente indebolito lo Stato di cui era il re – e questo, anche se avesse “vinto”. Quanti di noi si rendono conto che le battaglie che facciamo contro dei nostri aspetti sgraditi (perché non corrispondono a certi schemi mentali) finiscono per indebolirci ogni giorno di più?

Capita a tutti di fare delle scelte inappropriate. Seguiamo troppo spesso dei meccanismi che ci portano a decidere non sulla base della realtà e dei nostri obiettivi, ma di motivazioni che conducono altrove. Per esempio, scegliamo seguendo schemi di altre persone; o in preda all’emozione del momento; o per paura di conseguenze fantasticate; o per ottenere riconoscimenti che non avremo mai; o…; o…; o….

Se, col tempo, ci renderemo conto dei meccanismi che compromettono le nostre scelte, potremo continuare a riconoscere e alleggerire il nostro Malessere – la terza M – e ad assaporare sempre più la vita. Questo graduale passaggio dal sentirsi vittima all’agire da protagonista, ci permetterà– anche se solo in qualche occasione – di cominciare a dire:

“Scelgo, dunque vivo!”

MODI DI FARE ESPERIENZA

Fra i molti modi per affrontare le cose della vita, ce ne sono due, che sarebbe utile prendere in considerazione:

• Approfittare di tutti gli aiuti e i consigli di chi ha imparato dalle

proprie esperienze • Voler fare a modo nostro

1° modo. Un bambino piccolo vuole toccare la fiamma della candela sulla

torta del suo primo compleanno. La mamma gli dice. “No, brucia!” e cerca di allontanargli la manina. Ma il bambino non capisce che cosa significa la parola “brucia” perché non ne ha ancora fatto l’esperienza; insiste e piange perché vuole toccare e afferrare la fiammella che così lo affascina.

La mamma allora gli prende la manina, l’avvicina lentamente alla fiamma; quando il bambino ne avverte il calore fa, istintivamente, un movimento per ritrarla. In questo modo la mamma lo ha portato a

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comprendere che cosa vuol dire la parola “brucia” e che il fuoco non lo si deve toccare.

Le cose le si accettano meglio quando si riesce a comprenderle. Le

persone che approfittano di aiuti e consigli potranno perciò far buon uso dell’esperienza di chi ha vissuto certe situazioni prima di loro e chiarire, in anticipo, degli aspetti della strada che hanno davanti.

2° modo.

Se però quel bambino vuol fare da solo, non accetterà l’aiuto di nessuno, soprattutto senza che lui lo abbia richiesto. Non vorrà che lo si accompagni nelle sue scoperte, né che gli si prenda la manina per mostrargli qualcosa. Considererà perciò l’aiuto della mamma un sopruso, una forzatura e si metterà a strillare. Vuole capire e sperimentare le cose a modo suo e lo farà, a tempo debito, attraverso le esperienze che gli procurerà la vita.

Di questi bambini si dice che hanno “un bel caratterino” e

diventeranno facilmente degli adolescenti ribelli. Impareranno più tardi, quando si presenterà loro l’occasione. Potrà trattarsi magari di un’esperienza più dura e dolorosa, che darà però loro in compenso la possibilità di capire le cose in modo più concreto e tangibile. Probabilmente dovranno pagare un prezzo più alto. Quale scelta ci conviene di più?

Nella maggior parte dei casi, faremo, di volta in volta, delle scelte intermedie, che dovranno corrispondere al nostro carattere e alla situazione in cui ci troveremo. La decisione su come organizzare la nostra vita può esser perciò soltanto nostra. Solo noi conosciamo la scena in cui operiamo e solo noi siamo in grado di comprenderla.

ADELINA NON SI LIBERA DEL PASSATO

Ognuno sceglie un suo modo per esprimere sé stesso nella direzione nella quale vorrebbe andare.

Poi le cose non sono semplici per nessuno. Ci sono infatti parti di noi che sono in disaccordo con quello che ci sembra di volere e che, con dubbi e con paure, cercano di proporci il loro programma.

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Perché? Perché ci sono dei programmi che abbiamo stabilito tempo addietro, in situazioni diverse e che non abbiamo ancora esaurito. Siccome non vogliamo rinunciare a dei piccoli attaccamenti o a degli effimeri vantaggi che consideriamo ancora importanti, continuiamo a dar loro energia – in questo modo li manteniamo operanti.

Adelina, una bambina di 5 anni, pensava: “Non voglio crescere. Se

cresco non potrò più giocare con le bambole!” Le piaceva perdersi nel mondo incantato dei suoi giocattoli e giochi

ed evitava gli adulti, sempre nervosi e preoccupati. Non voleva, un giorno, arrivare ad assomigliare a loro. Soprattutto, non voleva vivere come loro.

Figura 4: “Madre 6: La Solitudine”; pittura acrilica su tela –

Aurora Mazzoldi.

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Per Adelina il mondo degli adulti era fatto di cose serie e non lasciava posto ai giocattoli. Suo padre aveva sempre da fare e si lamentava spesso dei molti e pesanti impegni che aveva. Neanche sua madre riusciva mai a trovare il tempo per occuparsi di lei o, magari, per giocare un pochino insieme. Solo in un mondo tutto suo poteva trovare spazio per la fantasia e i giochi ed evitare la sofferenza che provava nel sentirsi lasciata sola.

Adelina si proteggeva rifugiandosi nella fantasticheria, nella quale

cercava sicurezza e non voleva saperne della realtà che le faceva paura e che avrebbe dovuto affrontare crescendo. Nessuno le aveva spiegato che le fantasticherie e i giochi continuiamo a portarceli dietro anche da adulti e che non smettiamo mai di sognare, di fantasticare e di giocare – anche se non sono più le bambole il nostro oggetto preferito. Nessuno le aveva detto che le cose piacevoli, crescendo, troveranno una loro strada nella nostra vita.

Potrà continuare così ma se, per esorcizzare la paura di crescere, continuerà a costruire dentro di sé un muro di protezione troppo spesso e a dare troppa energia ai vecchi programmi, finirà per rallentare il proprio sviluppo. Adelina vorrebbe fermare il tempo – e chi non lo vorrebbe! – ma, a volte, le cose vecchie e ormai superate non servono più ed è meglio lasciarle andare. Se le tratteniamo dentro di noi, possono impedirci di raggiungere nuovi obiettivi.

Se si impara a camminare, perché andare ancora a

carponi?

I bambini credono spesso che crescere significhi diventare grandi e

poter fare quello che vogliono. Adelina pensa, come abbiamo visto che, al contrario, una volta adulta

giocare con le bambole non le sarà più permesso. Non sa che ci sono molti adulti che continuano a mantenere degli atteggiamenti dell’infanzia e che diventare adulti non vuol dire necessariamente crescere.

Per crescere bisognerebbe fare come il serpente: lasciare indietro la vecchia pelle. Anche se questo può far paura, possiamo considerare che noi, a differenza del serpente, possiamo abbandonarla con gradualità, man mano che comprendiamo e accettiamo che non ci serve più a nulla.

Se scegliamo di portarcela ancora appresso, è perché vogliamo restare in una realtà di giochi, di diritti (nostri) e di doveri (degli altri); non accettiamo che le cose possano evolversi. Ma, senza questa graduale

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evoluzione, è come se continuassimo a riempire un sacco che ci portiamo sulle spalle: quello delle aspettative, basate su supposti diritti e vantaggi del passato. Più camminiamo, più il sacco diventa grosso e pesante e ci schiaccia con il suo peso. Ci rallenta, ci opprime, ci sfianca. Adulti lo diventiamo lo stesso, ma cammineremo più eretti e spediti, con passo più leggero, se riusciremo a liberarci di qualcosa che sta nel sacco, come:

- vecchi diritti che non abbiamo più - desideri che ormai hanno perso la loro attrattiva - attaccamenti che frenano e immobilizzano

Non servono grandi rinunce o grandi sacrifici; Serve solo considerare le cose da un altro punto di vista. Occorre accogliere la paura delle nostre parti bambine a lasciar andare le cose. È da tener anche presente che: I problemi che lasciamo irrisolti ci gravano sulle spalle! Vecchi timori e tenaci pregiudizi, se non vengono elaborati, diventano un fardello molto pesante. Ma, invece di perder tempo a elaborarli, non sarebbe più semplice cercar di scrollarseli di dosso con la forza di volontà?

Le forzature, in questo caso, non porterebbero lontano. L’elaborazione è un processo lento e graduale, che ci permette di comprendere e riequilibrare, poco per volta, le nostre disarmonie interiori. Questo, tenendo conto che dentro di noi esiste una spinta naturale alla crescita, la stessa spinta che ha il seme che si appresta a diventare un albero. Le esigenze di una piantina, di un giovane albero o di un albero completamente sviluppato saranno molto diverse da quelle del seme; e il seme non le può anticipare.

Per questa ragione piuttosto che sforzarci di crescere, potremmo

cercar di rimuovere gli ostacoli che intralciano questa spinta naturale. La nostra idea di crescita si rifà normalmente a degli schemi o a dei

percorsi che, come un fiume incanalato, tendono a portarci verso delle realizzazioni che riguardano il solo mondo materiale.

Poi, andando verso la fine della vita, ci rendiamo conto che, anche se siamo riusciti a far crescere fuori di noi un albero rigoglioso e pieno di frutti, questo non ci basta: il nostro germoglio interiore non ha potuto progredire e svilupparsi. Una parte di noi si accontenta e ci sembra soddisfatta, ma un’altra piange e, col passare degli anni, preme sempre di più per emergere.

Come possiamo darle voce?

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Ascoltando ciò che avviene dentro di noi e accettando di ammettere di aver sbagliato qualcosa. Restare aggrappati ai propri pregiudizi, come se fossero dei salvagenti, anche se ci dà un senso di sicurezza, non farà che portarci alla deriva. Se vogliamo crescere, è meglio che impariamo ad accettare senza remore ogni tipo di emozione che emerge in noi. Così impareremo a conoscerci, a comprenderci e ad affrontare le nostre paure.

Chi non è riuscito a costruire sé stesso secondo la sua spinta naturale, ma ha forzato la sua crescita in una direzione che non tiene conto di tutte le sue esigenze, carica il suo fardello di molti rimpianti.

Come posso capire quando trascuro il mio desiderio più profondo? Soltanto se seguo il mio impulso naturale, andrò sempre verso

qualcosa che mi appaga e che mi fa piacere. Devo imparare ad ascoltare dentro di me i segnali di insoddisfazione e noia, che mi avvertono che non sto seguendo il mio “sogno”.

Il seme si sviluppa per esprimere le proprie potenzialità e la propria natura, non per seguire schemi di comportamento o di dovere; la nostra crescita interiore va di pari passo con lo sviluppo di questo seme.

È naturale che le persone, vivendo nel corpo fisico, con le sue impellenti necessità, siano portate a occuparsi soprattutto di problemi di ordine materiale. Ci sono però sempre state delle persone che hanno imparato a esplorare in profondità anche realtà non fisiche, come il mondo emotivo. Qualcuna, è andata ancora oltre, spingendosi in mondi ancora più impalpabili.

Per queste ultime si parla di trascendenza. Si tratta di persone che riescono a trascendere la natura umana per avventurarsi in realtà sempre più profonde. Ma come è possibile arrivarci, pur continuando a vivere nel mondo della materia? Aggiungendo alla cura e all’interesse per il proprio corpo fisico l’esplorazione e la scoperta di corpi energetici meno conosciuti. Questo avviene attraverso passaggi fatti di conoscenza, consapevolezza, comprensione e accoglienza. Non si tratta di smettere di occuparci del corpo materiale, che ci consente la vita; né di passare oltre, magari disprezzando e rifiutando questa delicata struttura autoregolantesi che ci permette di fare la nostra esperienza su questo pianeta; si tratta piuttosto di un processo di integrazione di corpi (per ora quello fisico e quello emotivo) che agiscono contemporaneamente in noi, a differenti livelli.

Non serve a nulla sentirsi superiori al nostro meraviglioso corpo fisico e ai complicatissimi congegni che lo mantengono in vita; proviamo a paragonarlo a una barca a vela che ci consente di viaggiare in mare per

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esplorare il mondo intorno a noi; quale skipper trascura e disprezza l’unico mezzo che ha per continuare a navigare?

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Parte 2: UN PERCORSO VERSO IL BENESSERE

“Pánta rêi (πάντα ῥεῖ); Tutto scorre.” Eraclito.8

La realtà è in costante movimento e noi siamo alla continua ricerca di certezze. Se potessimo, vorremmo allontanare tutto quello che non ci piace e appropriarci di tutto quello che ci piace. Ci troviamo davanti al nastro trasportatore della vita. Alcune delle cose sul nastro le dobbiamo prendere, altre le possiamo scegliere, ma non possiamo in nessun modo averle tutte: per prendere delle cose nuove dobbiamo riporne delle vecchie

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3. IL PIACERE DI CONOSCERMI

Se arriviamo a conoscere meglio alcuni meccanismi che agiscono nascostamente in noi abbiamo la chiave per risolvere i nostri problemi interiori e per migliorare la nostra vita. Se accettiamo di lasciar andare alcune vecchie cose a cui teniamo ostinatamente, la vita diventa un’avventura. Possiamo attendere fiduciosi di continuare a ricevere cose nuove, accettando di restituirne alcune di quelle che abbiamo avuto in prestito.

E se invece ci concentriamo sulle cose che vorremmo trattenere e non siamo disposti a rimetterle sul nastro trasportatore? Allora siamo destinati alla stagnazione.

Perché? Perché rimanendo agganciati a ciò che tratteniamo, non prendiamo più in considerazione le altre cose che la vita ci offre. Smettiamo di muoverci e restiamo fermi, bloccati in una stessa situazione.

L’ESPERIENZA DI CLARA

Il matrimonio di Clara era finito molto male. Non era riuscita a coronare il suo sogno di avere dei figli da Michele, che riteneva essere l’uomo della sua vita. Dopo alcuni anni, passati insieme, lui si era ammalato gravemente e, nonostante le lunghe cure e la sua continua assistenza, era morto.

Da quell’esperienza terribile erano ormai passati molti anni, ma Clara continuava a vivere nel ricordo di quell’unione con un uomo che per lei era stato il marito ideale. Per quanto cercasse di trovare in altri le caratteristiche di Michele, nessuno, proprio nessuno, dava segni di averle. E siccome Clara sapeva che non può esistere la copia esatta di un’altra persona, si vedeva destinata a vivere di ricordi e di rimpianti.

Ma, un giorno, capitò una di quelle cose che, pur sembrando di normale quotidianità, aveva quel potenziale dirompente che poteva sconvolgere tutti i suoi programmi e cambiare il corso della sua vita. Adele, la sua migliore amica, venne a trovarla molto turbata, scoppiò in lacrime e le raccontò l’ennesima pesante lite col suo compagno. Clara l’ascoltò con comprensione e partecipazione, come sempre.

Ma, quella volta, qualcosa nel racconto della sua amica entrò in risonanza con un ricordo, che manteneva ben nascosto dentro di lei: “Mi sembra di essere io con Michele!” Di colpo si sentì trasportare nel passato a rivivere l’amarezza dei litigi con suo marito. “Ma come poteva essere, se eravamo una coppia così affiatata!”

Col passare dei giorni il dubbio continuava a farsi strada nella sua mente; dei ricordi, che prima non avrebbe mai lasciato emergere, affioravano ora con prepotenza, mostrandole una realtà più nascosta. “Forse le cose erano diverse da come me le sono raccontate finora!”

Questo processo di riconsiderazione andò avanti, finché, un giorno, si ritrovò con una gran rabbia in corpo. Si chiese perché e sentì affiorare, di nuovo, il ricordo di pesanti liti con il suo ex marito e, improvvisamente, si

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ritrovò in una realtà che ora non poteva più negare. “No, non ero affatto felice! Non era questa la vita che volevo!” si disse. “Perché mi sono sempre raccontata la favola di un’unione perfetta?”

Le vennero due risposte: 1. Si era sentita in colpa quando Michele si era ammalato. “E se si fosse

ammalato perché continuavo a litigare con lui? E se fosse tutta colpa mia? del mio voler aver sempre ragione, a tutti i costi?” Così aveva scelto di assecondarlo in tutto, con la speranza di tacitare quel tarlo che le rodeva dentro. Si aggrappò all’idea che, se fosse tornato a star bene, avrebbero vissuto un’unione perfetta. Questo la aiutava ad assisterlo.

2. Più tardi, dopo la morte di Michele, rimase in lei il timore e il rifiuto di rivivere un’esperienza simile, fatta di liti, di malattia e di morte. Come proteggersi da questo pericolo? Il suo subconscio suggeriva, come la maggior parte dei subconsci delle persone, di chiudere a qualsiasi opportunità di ripeterla. Ed ecco la strategia perfetta: “Chiudo a nuove occasioni perché non troverò mai più qualcosa di così meraviglioso!” In realtà, Clara chiudeva perché aveva paura di trovarla!

Abbiamo appena visto un esempio di “aggiustamento finalizzato”, ottenuto

attraverso un’esasperata idealizzazione del suo matrimonio. Che cosa lo aveva messo in atto?

La paura di avventurarsi in qualcosa di nuovo che – in potenza – poteva essere una nuova occasione di sofferenza. Clara aveva cercato di convincersi che aveva già vissuto il meglio e il meglio non poteva ripetersi – e questa era la scusa per restare da sola per il resto della sua vita. E, finché alimentava dentro di sé questa menzogna, si precludeva altre possibilità. La realtà, infatti, era ben diversa: aveva paura di vivere un’altra relazione. Non accettava di confrontarsi con questa sua paura; le sembrava più semplice ignorarla.

Le era più facile rinunciare che rischiare. Non riusciva a valutare bene le nuove possibilità, perché faceva dei paragoni

con un’unione perfetta che non era mai esistita. Restava immobile, bloccata nel passato. La sua vita si era fermata in un punto del tempo. Le cose avevano smesso di evolversi.

BENESSERE INTERIORE

Nella nostra società la maggior parte delle persone pensa che il benessere dipenda solo dall’aver soldi, avvenenza o prestigio, dal godere di una buona salute, dal potersi divertire, etc. Senza tutto questo, come ci si potrebbe sentire realizzati?

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E, siccome è difficile avere tutte queste cose contemporaneamente – e in misura sufficiente – pensiamo che sia colpa di qualcosa all’esterno di noi stessi se non le abbiamo e se non possiamo sentirci soddisfatti.

E quando sentiamo un disagio interno, emotivo, che cosa facciamo? Ci facciamo consolare da un amico, da un tranquillante, da un bicchiere in più… Continuiamo a credere che, se riusciamo a mettere a posto i fattori esterni, risolveremo anche i nostri problemi interiori. Cerchiamo di coprire il nostro malessere con più denaro, più prestigio, più affermazioni sociali o migliorando la nostra estetica.

Non sempre ci rendiamo conto che, accanto a una visione del benessere basata soltanto su fattori esterni a noi, ne esiste, a buon diritto, un’altra, meno diffusa perché di più difficile spiegazione e applicazione.

Secondo quest’altra visione, il nostro benessere non dipende soltanto dall’accumulo di ricchezze, da cure e altri interventi fisici, ma anche – e soprattutto – da un approfondimento della nostra comprensione. Questa comprensione include, naturalmente, anche la ricerca del benessere fisico, tenendo però conto che siamo provvisti di un’autoregolazione innata. Considera perciò che la nostra salute e il nostro benessere potrebbero essere quasi perfetti (perché autoregolantisi) se si vivesse in modo da non ostacolare e indebolire questo meraviglioso meccanismo.

Viene però da chiedersi, a questo punto, se per gli animali, che vivono secondo natura, valga lo stesso criterio – la risposta non è così semplice e lineare. Anche negli animali l’azione innata di riequilibrio può essere alterata e compromessa e, per di più, essi non dispongono dei nostri mezzi per rendersene conto e per rimediarvi. Succede quando, per esempio, pur seguendo il loro istinto, sono messi in stato di stress dalla mancanza di cibo o da situazioni prolungate di paura o disagio.

C’è una realtà esterna, ambientale e sociale – una realtà in continuo mutamento – alla quale uomini e animali devono far fronte. Le difficoltà di adattamento possono creare stress, sia fisico che emotivo e, a lungo andare, stati di deterioramento. Se l’animale non se ne rende conto, l’essere umano ha degli strumenti in più – ma non sempre li usa a suo vantaggio. L’ignorare la sua componente emotivo/mentale/spirituale per affidare il suo benessere esclusivamente a cure fisiche, a un rigido controllo razionale e a interventi drastici o invasivi, come estenuanti allenamenti in palestra o chirurgia estetica, lo porta a stati di benessere solo parziali.

Alla base di questa ricerca c’è spesso una non accettazione di noi stessi – un disagio più profondo – che proiettiamo all’esterno (gli altri non ci amano perché non abbiamo un bel viso o una muscolatura sviluppata). Ma c’è di più. L’essere umano è frammentato e alcune sue parti lottano contro l’istinto, compromettendo la sua capacità di provvedere all’autoregolazione.

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SIAMO FATTI DI MOLTE PARTI

Salvo lodevoli eccezioni, noi pensiamo di essere unitari. La parola “io”, ci fa credere che, dentro di noi, ci sia un unico soggetto che sceglie e decide quello che vuole, invece di quello che “noi” vogliamo. Ma è questa la realtà? Se è così, perché continuiamo a cambiare idee e progetti? Un giorno desideriamo ardentemente una cosa e il giorno dopo non ci interessa più perché – ne vogliamo un’altra.

Qualche volta capita di voler prendere una decisione, ma un dubbio, un’esitazione, una mancanza d’interesse ci avvertono che qualcosa in noi non è d’accordo. Oppure può succedere anche che una nostra parte voglia fare qualcosa, ma un’altra non ne voglia sapere di collaborare. A certi studenti può capitare, per es., che si mettano a studiare per preparare un esame, ma provino all’improvviso un’avversione tale allo studio da dover smettere e occuparsi d’altro. Raramente si rendono conto che si è scatenata una vera e propria lotta dentro di loro, fra due parti che hanno desideri e programmi diversi. In questo caso si può parlare di “conflitto interiore” e i conflitti avvengono, notoriamente, fra soggetti che hanno visioni e interessi contrastanti.

Dato che dentro di noi ci sono normalmente più conflitti, è facile che si arrivi al caos e non si sappia più a quali parti di noi dare ascolto.

ALICE, ASTOLFO E LO SCUOLABUS INTERIORE

Era una tepida mattina di maggio e Alice stava portando le figlie a scuola, in fondo al paese, con la sua station-wagon. Si dovette fermare all’ultima rotatoria per lasciar passare lo scuolabus, che aveva la precedenza. Ma, quando si accinse a ripartire, notò qualcosa di strano: Lo scuolabus, dopo aver fatto il giro completo della rotatoria, stava passando di nuovo davanti a lei. e, cosa ancora più strana, invece di dirigersi verso la scuola, prese un’uscita successiva, che costeggiava il paese e un tratto di bosco e si ricongiungeva poi con la via percorsa da Alice. Gli alunni sembravano molto agitati.

Tutto appariva assurdo, quasi irreale: l’incomprensibile giro intorno alla rotatoria, i ragazzi che gridavano concitati, l’insolita direzione che il bus aveva preso… Alice era incuriosita e avrebbe voluto saperne di più, ma era già tardi e così si preoccupò soltanto di accompagnare le figlie alle lezioni prima che suonasse il campanello d’inizio.

Tornando a casa, vide di nuovo lo scuolabus; ora era vuoto e parcheggiato in uno spiazzo da cui partiva una via che s’inoltrava nel bosco. Pensò di avvisare il preside della scuola, ma ritenne che, ormai, lui doveva già essere al corrente delle cose.

Quando però uscì, un po’ più tardi, per fare la spesa, vide di nuovo il bus, parcheggiato vicino alla sala giochi. A spesa finita, lo incontrò di nuovo, con i ragazzi a bordo, che si dirigeva, finalmente, verso la scuola.

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Che cosa era accaduto? A questo punto, allarmata, Alice telefonò al preside per chiedere spiegazioni.

Lui le raccontò, un po’ divertito, che aveva deciso, d’accordo con alcuni genitori e con gli insegnanti, di fare un esperimento; voleva accertarsi se era riuscito, con le sue innovazioni scolastiche, a motivare di più gli alunni allo studio. Ricordò ad Alice come, nei mesi precedenti, avesse cercato di rendere più interessanti le lezioni con vari accorgimenti quali:

- Maggior utilizzo di audiovisivi - Più flessibilità nell’orario scolastico - Gare a premi in alcune materie - Lezioni all’aperto e visite guidate Gli era sembrato che fosse giunto il momento di verificare i risultati di

questo impegno extra da parte sua e dei docenti. Aveva perciò incaricato Astolfo, il conducente dello scuolabus – che era stato lui stesso un insegnante – di lasciare una maggior libertà ai ragazzi quel lunedì mattina. I ragazzi potevano decidere che cosa fare nelle prime due ore di scuola e avevano il bus a loro disposizione. Ma questo, a due condizioni: dovevano rientrare non oltre la fine della seconda ora e dovevano restare sempre tutti insieme. Astolfo aveva il compito di assecondarli, ma era libero di proporre il ritorno anticipato a scuola come alternativa alle loro decisioni se necessario.

L’esperimento non era andato come sperava il preside. C’era stata un’animata discussione alla rotatoria e si era imposto chi aveva urlato di più. Qualche alunno avrebbe preferito dirigersi, prima o poi, verso la scuola, ma la maggioranza – resa euforica da questo momento di libertà e guidata da un ragazzo piuttosto corpulento e risoluto – aveva deciso altrimenti.

Poi, dopo aver parcheggiato lo scuolabus ed essersi inoltrato a piedi, insieme a loro, nel bosco per un chilometro o due, il conducente li aveva finalmente convinti a tornare a scuola ma…. Ecco che sulla strada comparve – più allettante che mai – la sala giochi, che accese subito l’entusiasmo dei ragazzi.

Quando si trattò di interrompere il divertimento, perché il tempo stava per scadere, i ragazzi, brontolando e di malavoglia, si rassegnarono a tornare in classe – e ci volle tutta la determinazione di Astolfo per riportarli alle lezioni. Così rientrarono appena in tempo per la terza ora. Tutti sembravano scontenti per motivi diversi. Infatti: • Alcuni non avrebbe voluto perdere una lezione interessante • Altri avrebbe voluto passare il tempo in modo diverso • Altri ancora si erano sentiti costretti a rientrare, anche se non ne

avevano nessuna voglia. La classe, nel seguire le decisioni del ragazzo più autoritario, si era

frammentata e la frammentazione aveva creato disarmonia.

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La sera Astolfo, prima di addormentarsi, rifletté a lungo sull’esperimento fatto. Pensò a com’erano andate le cose e a come aveva dovuto imporsi sui ragazzi per farli rientrare in orario.

“Ma non solo sui ragazzi!” pensò. “Per tutto il tempo ho dovuto cercare di contenere la ‘mia’ voglia di impormi sui ragazzi, di troncare le loro discussioni senza aspettare che trovassero un accordo”. A questo punto si rese conto che più parti di lui erano in conflitto fra loro e di dove lo avrebbero portato:

• “una parte di me, stufa di sentirli gridare e litigare, li avrebbe piantati

lì e se ne sarebbe andata” • “un’altra poi, mi dava del cretino per essermi preso la responsabilità

dell’esperimento” • “un’altra ancora si sentiva in alcuni momenti con le spalle al muro –

vittima di una situazione che mi sentivo incapace di gestire”

“Per fortuna”, continuava Astolfo, “in questa lotta che avevo dentro di me ha prevalso la mia componente più ragionevole: quella che aveva deciso di tollerare e di portar pazienza. Così sono riuscito a prevedere le conseguenze di certi miei impulsi che, essendo inadeguati alla situazione, avrebbero compromesso l’esperimento.”

A questo punto Astolfo si chiese: “Questa mattina sono riuscito a gestire a stento i ragazzini dello scuolabus. Ma come avrei potuto farlo se non avessi gestito prima i miei ‘ragazzini interiori’? Che non ci sia un intero scuolabus, carico di ragazzini indisciplinati, anche dentro di me?!”

Questo esempio ci porta a capire alcune cause del nostro malessere. La

nostra squadra di “ragazzini interiori”, se non sappiamo come gestirla – ed è difficile saperlo senza averlo imparato – non è facile da coordinare.

Perché? Che possibilità ho, se sono l’autista? Quali sarebbero le mie scelte? Ecco alcune cose che potrei fare:

• Intimorire i ragazzi. Ma poi, in che ambiente mi ritroverei, in quale

atmosfera? • Impormi con la severità. Ma, se appena mi rilassassi, le cose

tornerebbero come prima. • Lottare con loro per cercare di convincerli a essere più ragionevoli.

Ma rischierei di entrare in discussioni senza fine. • Pensare che “sono soltanto dei ragazzi” ed essere più permissivo o

cercare di rabbonirli. Ma, a quel punto, rischierei di lasciar le cose in mano a loro.

• Oppure, scoraggiato, lasciarli fare quello che vogliono! Però la situazione potrebbe degenerare rapidamente.

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Come conducente di uno scuolabus vero, mi sarebbe difficile trovare un’unica ricetta che valga per tutti i casi che possono presentarsi. L’esperienza e la conoscenza dei ragazzi suggeriranno, di volta in volta, la soluzione migliore. Sempre però tenendo ben presente che spetta al conducente (e non ai ragazzi) gestire le cose.

Per quanto riguarda invece lo “scuolabus interiore”, si tratta di un problema con il quale abbiamo a che fare tutti nella nostra quotidianità. Quanto spesso ci arrivano dei pensieri o delle emozioni che disturbano il nostro viaggio nella vita o ci fanno addirittura deviare dal nostro percorso? E quante volte poi, invece di riflettere sulla situazione, nel caso che non li assecondiamo,

- li ricacciamo indietro? - li combattiamo con altri pensieri? - ci distraiamo per non sentirli?

C’È UNA SCELTA GIUSTA?

La storia di Oliviero.

A Oliviero viene proposto un nuovo lavoro, più prestigioso e meglio remunerato. Dopo molte esitazioni lo accetta, per vivere più agiatamente e avere più considerazione nel suo ambiente. Qualcosa in lui esulta.

Ma la sua euforia non dura a lungo; ben presto, la paura del cambiamento comincia a farsi sentire e a turbare i suoi sonni con pensieri come questi:

“Ce la farò… È troppo complicato per me… Non mi sento all’altezza… Forse sono stato un cretino ad accettare!... Come posso risolvere i nuovi problemi che mi si presenteranno, se non riesco mai a risolvere neanche i vecchi? Non ho nessuna esperienza in merito… È impossibile che ce la faccia!... Aveva ragione la zia Gelsomina: sono un impulsivo, non penso mai prima di agire.”

Questi pensieri continuano a non lasciarlo dormire la notte. “Forse sarebbe meglio rinunciare…” Stando così le cose, Oliviero si sta veramente preparando ad aumentare il

suo benessere? Se però, rinunciasse al nuovo lavoro o se non lo avesse mai accettato,

sarebbe ora più tranquillo? Non è detto! Forse una sua parte interiore – uno dei ragazzini sullo scuolabus – troverebbe comunque da ridire: “Sono il solito fifone! Mi si presenta un’occasione d’oro, irripetibile e io me la lascio scappare. Riuscirò mai a combinare qualcosa di buono nella vita?”

E se avesse preso tempo per decidere? L’attacco dall’interno di sé stesso avrebbe semplicemente cambiato strategia: “Il solito indeciso! Sto lì come uno stupido a pensare mentre gli altri mi fregano il posto. Sarò mai capace di assumermi una sia pur minima responsabilità?”

Oliviero non sa darsi pace. Gli sembra quasi che, offrendogli questa opportunità, gli abbiano fatto un torto. Ma ci sarà mai qualcosa che gli vada bene?

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Con questi chiari di luna, il benessere interiore non rischia di essere una chimera?

Infatti: qualsiasi cosa facciamo, non andrà mai bene a qualche parte di noi! In questo esempio, Oliviero può decidere per il sì, per il no o per il dopo, ma

niente lo soddisferà pienamente. Una sua parte interiore si farà sentire in modo prepotente e lui avrà la sensazione di essere scontent0 comunque.

Nonostante tutte le strategie che usiamo per raggiungere il benessere, non rischiamo anche noi, come Oliviero, di essere sempre scontenti e infelici? Ci sarà una via d’uscita?

La soluzione c’è e gli antichi Greci l’avevano scritta nel tempio di Apollo, a Delfi. Diceva:

“ΓΝῶΘΙ ΣΕΑΥΤΌΝ”(Conosci Te Stesso!)9

È una frase che abbiamo sentito spesso ma, oltre a essere applicata poco

(perché, normalmente, non si sa da dove cominciare) chi di noi la comprende veramente?

Quando guardiamo in noi stessi ci fermiamo alla nostra immagine sociale o, quando vogliamo essere più introspettivi, ai nostri bisogni insoddisfatti o ai desideri non appagati. Chi di noi pensa che sia necessario spingersi oltre?

Spesso cerchiamo di convincerci che l’evitare di aver a che fare con i nostri processi interiori profondi ci protegga dall’infelicità e dal malessere. Ma, anche se ci crediamo tanto da agire in questo modo, non solo non risolveremo nulla, ma diventeremo sempre più scontenti e insoddisfatti.

Figura 5: “Conosci te stesso” (in Greco) - Foto Mladifilozof,

Wikimedia Commons

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Per quanto tempo ancora dobbiamo continuare a stordirci, evitando di affrontare i problemi, prima di comprendere che questo non ci porta da nessuna parte? E, una volta che abbiamo capito che non è questa la soluzione, siamo pronti ad avventurarci in territori poco conosciuti? O ci inventiamo magari qualche altra via di fuga?

UN VIAGGIO DENTRO DI NOI

“La conoscenza di sé stessi è raccomandata dai grandi sistemi filosofici dell’antichità e dalle grandi religioni. Essa è non soltanto un nostro diritto, ma anche una nostra esigenza primaria – questa esigenza è altrettanto importante quanto la scoperta del mondo intorno a noi. Il recuperare quel senso di scoperta del mondo circostante che avevamo da bambini può rendere molto più interessante la nostra vita. Iniziare un percorso interiore per scoprire sé stessi la rende affascinante. Il mondo interiore non è meno interessante e bello di quello esterno. Spesso ci piace trascorrere da turisti le vacanze in altri Paesi. Abbiamo mai pensato che possiamo trascorrere delle vacanze – molto più a portata di mano – dedicate a scoprire noi stessi?

In un lontano passato il turismo quasi non esisteva e l’esplorazione del mondo era opera di esploratori e ricercatori che descrivevano poi i loro viaggi. Le persone leggevano e sognavano. Più tardi ci siamo accorti che potevamo viaggiare ed esplorare in prima persona e scoprire noi stessi ciò che gli esploratori non potevano raccontarci. L’incontro con persone sconosciute in luoghi anche non molto lontani ci soddisfa ora di più della lettura dei diari di Stanley o di Livingstone. Altrettanto, in futuro, l’esplorazione per scoprire il nostro mondo interiore potrà diventare più affascinante della lettura di testi di psicoanalisi.

Questo atteggiamento di ricerca, sia all’esterno che all’interno di noi stessi, è stato così sintetizzato dal poeta spagnolo Ramón Jiménez:

Non lasciare che un giorno vada via senza strappargli il suo segreto, grande o breve. Sia la tua vita desta scoperta quotidiana.10” 11

Nessuno sarà mai in grado di trasmettermi la soavità del profumo di una rosa.

Se si vuole affrontare un viaggio, è bene sapere come procedere. Ci sono,

naturalmente, moltissime possibilità (tutte le strade conducono a Roma); le vie del Signore sono infinite.

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Una delle possibilità per iniziare un percorso la possiamo trovare proprio in quello scuolabus, carico di ragazzini indisciplinati che rappresentano le nostre parti interiori. Questa similitudine ci aiuta a comprendere le situazioni e l’ambiente in cui viviamo. Ci offre un modo per osservare noi stessi e per districarci nella vita. Ci aiuta ad approfondire la conoscenza di ciò che agisce dentro di noi e a prendere contatto con quelle parti interiori che, in questo libro, chiameremo “forze”12.

Come i ragazzini nello scuolabus, le forze interferiscono continuamente nel nostro percorso. Se, invece di aiutarle a crescere, rinunciamo a gestirle, ci porteranno fuori strada, in direzioni che non abbiamo scelto.

Per fortuna, non tutti gli scuolabus emotivi funzionano in questo modo. Le forze ben gestite possono diventarci utili; il viaggio in autobus, con una squadra di ragazzini svegli e simpatici, può essere più bello che un viaggio in solitudine.

Ma possiamo sceglierci i ragazzi con cui fare il viaggio? Purtroppo, la nostra possibilità di scelta è limitatissima.

Però possiamo – tenendo sempre a mente il nostro obiettivo – non farci influenzare dai desideri di singoli ragazzini (non identificandoci con le loro aspettative) e coordinare l’insieme tenendo conto dell’intero gruppo. È difficile? Sì, lo è, perché la nostra tendenza è quella di essere frammentati. Se poi cerchiamo di contrastarla, ricorriamo al raziocinio – ma il raziocinio è spesso gestito dal ragazzino che urla di più e che lo usa per far valere le sue ragioni.

C’è un modo per rendere più facili le cose? Teniamo pur presente che la nostra razionalità è e resta uno strumento

molto utile. Ma, per la complessa organizzazione di questo viaggio interiore, abbiamo bisogno di un consulente ancora più fidato: l’intuizione.

TRASFORMARE LE ESPERIENZE IN GIOIELLI

Per cominciare a scoprire che cosa succede dentro di noi, dobbiamo prima di tutto chiarire verso che cosa vogliamo andare (che cosa vogliamo) e che cosa siamo disposti a mettere in atto (quale prezzo accettiamo di pagare) per raggiungerla. Per saperlo ci basta osservare dove ci portano i nostri interessi e dove ci spingono le nostre forze emotive – in altre parole, a quali ragazzini dello scuolabus stiamo dando ascolto.

L’esperienza accumulata e le batoste subite possono averci già portato a farci delle domande. Ma, forse, quello che abbiamo scoperto di noi stessi, non corrisponde all’immagine alla quale ci sforziamo di aderire. Dobbiamo allora rivoluzionare tutto all’interno di noi? O rinnegare le nostre esperienze?

Le esperienze fatte – anche se ci sembrano dolorose o deprecabili – sono una delle cose più preziose che abbiamo, se le sappiamo utilizzare correttamente. Possono diventare il nostro tesoro, i nostri gioielli.

Perché dovremmo smentirle o rifiutarle?

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Non si tratta di rinunciare o di cambiare nulla, ma di approfondire e utilizzare meglio quello che abbiamo già e di ampliare la nostra visione. Potremmo cercare di costruirci delle nuove opportunità, invece di rinnegare quelle già sfruttate o di sciupare quelle che sono a portata di mano. Cominceremmo così a uscire da quel mondo ristretto che abbiamo creato intorno a noi.

Possiamo, per esempio, rendere preziose tutte quelle esperienze di malessere che il nostro corpo ci ha fatto vivere quando non abbiamo tenuto conto delle sue esigenze. Come? Considerando che esse ci hanno offerto la possibilità di imparare a gestire meglio la nostra salute e la nostra vita nel mondo fisico. Infatti, se il corpo è sofferente, è meno facile occuparsi d’altro.

Ma, anche se i nostri “gioielli” ci sono utili per curare la nostra salute (tutti noi abbiamo ben chiare le difficoltà e le sofferenze che ci può dare il nostro corpo fisico quando non è in grado di funzionare adeguatamente) questa non dovrebbe essere la nostra unica preoccupazione: spesso non teniamo abbastanza conto dei problemi che ci possono procurare le nostre emozioni. Se il corpo fisico sa come fare a richiamare la nostra attenzione col dolore, l’emozione fastidiosa viene normalmente zittita; o la si reprime o ci si stordisce per non sentirla. Che dire poi di quelle persone che, pur di sfuggire a un’insopportabile tensione emotiva arrivano anche a procurarsi dei mali fisici?

Ma, in questi modi, si riesce veramente a non provare paura o tristezza o a non sentirsi depressi?

Per quanto riguarda poi i nostri pensieri, dove ci possono portare delle visioni distorte della realtà, anche quando non portino a vere e proprie patologie?

DIOMEDE PAGA IL PREZZO PER AVER RAGIONE

Diomede era un bravissimo ingegnere minerario e lavorava in Canada per una compagnia europea. Guadagnava molto ed era un dirigente quasi perfetto – “quasi”, perché aveva un punto debole: il suo carattere; era molto impulsivo e quando si arrabbiava, perdeva facilmente il controllo.

Un giorno il suo capo gli ordinò – in modo perentorio – di interrompere una ricerca mineraria, alla quale stava lavorando e per la quale si era dato un gran da fare. Diomede cercò di convincerlo – con sempre maggior insistenza – del valore della sua ricerca. Voleva fargli cambiare idea a tutti i costi, con le buone o con le cattive.

Si era convinto di aver ragione; non gli passava neanche per la testa il fatto che il suo capo potesse avere delle motivazioni più valide delle sue. Non si rendeva conto né di essere aggressivo, né di mancargli di rispetto. Una strana furia emotiva (una forza) si era impadronita di lui.

A un certo punto il suo capo reagì con veemenza, gli si avvicinò urlando e minacciò di licenziarlo. Diomede, ormai incapace di trattenersi, fece un gesto inconsulto: gli diede uno spintone.

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In tempi brevissimi si ritrovò in Italia a cercare un’occupazione qualsiasi. Si ritrovò a fare lavori generici, saltuari e mal pagati e dovette chiedere aiuto ai genitori per sopravvivere.

Diomede, nella sua vita, aveva dato importanza quasi esclusivamente

all’intelligenza e alle sue attitudini professionali – ma non si era mai curato del suo carattere impetuoso. Questo suo problema era bastato a impedirgli di continuare a occupare quel posto di primo piano che, altrimenti, sarebbe stato senz’altro adeguato alle sue capacità lavorative. Aveva trascurato troppo spesso le sue componenti non razionali.

Dove si manifestava questa sua incompletezza? nel mondo materiale (dov’era apparentemente vittorioso) o in quello emotivo?

Forse il problema aveva ancora più sfaccettature. Diomede aveva, per esempio, preso in considerazione il fatto che il suo capo potesse aver ricevuto ordini superiori? che forse avesse paura a contrastarli e reagisse diventando inflessibile e perentorio?

Questa sua limitazione, nel rendersi conto della realtà, era di natura materiale, emotiva o mentale?

Possiamo tener conto che, oltre a questi tre aspetti, ce n’è anche un altro, molto importante: Diomede non aveva valutato correttamente le cose: aveva mostrato una mancanza di intuizione.

Questo suo errore non l’ha portato alla rovina. Ma, anche se, dandosi da fare, è riuscito poi a ricostruirsi un benessere materiale, un miglior accesso all’intuizione gli avrebbe potuto evitare un brutto periodo.

Ma che cosa emerge di utile per noi dalla sua vicenda?

1. Che la parte di noi alla quale diamo più importanza, è quella che decide al posto nostro, anche a discapito delle altre.

2. Che, a seconda di come si bilanciano le nostre forze interiori, finiamo per vivere in un modo o in un altro.

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4. STAR BENE NEI MONDI INTERIORI

Grazie all’ultimo esempio, possiamo cominciare a notare che viviamo contemporaneamente in più “mondi”, caratterizzati da diversi livelli vibratori. E sono mondi che influiscono in modo determinante sul nostro benessere, mondi che sarebbe opportuno imparare a conoscere:

• Il “mondo materiale” – nel quale viviamo attraverso il nostro corpo (e al quale cercava di limitarsi Diomede, almeno fino al suo licenziamento)

• Il “mondo emotivo” – nel quale viviamo attraverso le nostre emozioni (la rabbia non gestita che lo ha fatto licenziare)

• Il “mondo dei pensieri “– (aveva considerato le cose da un unico punto di vista, il suo)

• Il “mondo intuitivo” – dove si accendono le lampadine (non aveva intuito che il suo capo poteva avere, a sua volta, dei problemi seri).

Ma, se la nostra unica preoccupazione è quella di star bene nel mondo

materiale, perché mai dovremmo interessarci alle altre realtà? Abbiamo visto che Diomede si è trovato di fronte a pesanti conseguenze

per: • non aver saputo gestire la rabbia nel mondo emotivo • non aver approfondito la situazione nel mondo dei pensieri • non aver captato alcuni importanti aspetti del problema nel mondo

intuitivo. Questi mondi sono collegati fra loro e noi possiamo raggiungere il

benessere se abbiamo imparato a rimanere in contatto con ognuno di essi; stiamo bene quando tutto si svolge in armonia.

Per avvicinarsi a questo risultato si segue un percorso che, pur non essendo breve, è un viaggio affascinante, di continua ricerca e di continue scoperte. Non c’è un punto d’arrivo perché si può migliorare sempre – perciò non ha senso chiedersi quanto durerà.

Non c’è neanche bisogno di cambiare sé stessi, né di aderire a qualche modello; si tratta solo di continuare a riscoprirsi – come il bambino, che non smette di andare carponi, finché non scopre che può camminare, poi correre, andare in bicicletta e arrivare infine a muoversi anche in ambienti non solidi. Quello che ci può aiutare in questo viaggio è il cercar di favorire un’armoniosa collaborazione fra i mondi in cui viviamo.

Il bambino, di cui abbiamo appena parlato, potrà così ricevere più facilmente:

• dal mondo materiale i muscoli e la forza per camminare • dal mondo emotivo l’entusiasmo e la gioia di muoversi

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• dal mondo dei pensieri un aiuto per scegliersi un percorso • dal mondo intuitivo la sensazione che il percorso scelto possa

essere/non essere quello giusto e gli avvertimenti necessari per poterlo continuare senza intoppi.

Che cosa ci rimane ancora da fare? In ogni essere c’è un impulso naturale a

evolvere – dobbiamo solo imparare ad ascoltarlo. Da ognuno dei mondi ci viene un invito a ricercare, a progredire, a esplorare. Ci sarà sempre una tendenza a lasciarsi andare – a regredire – ma l’ascolto delle nostre sensazioni profonde ci ricollegherà con i diversi mondi in cui viviamo.

Come interagiscono fra loro questi mondi?

Fine della lettura in omaggio. Per proseguire la lettura:

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NOTE FINALI

1 Ugo FOSCOLO, I Sepolcri.

2 Per la maggior parte delle persone è una di quelle del mondo materiale.

3 Due corpi solidi non possono occupare contemporaneamente lo stesso spazio.

4 Come scelte razionali, intendiamo quelle operate da una razionalità ristretta, che soddisfa solo il

nostro cervello. Trascuriamo così altri fattori importanti anche se qualcosa non ci convince, perché

restiamo pericolosamente attratti dall’apparente coerenza del nostro ragionamento.

5 “Saulo frattanto, sempre fremente minaccia e strage contro i discepoli del Signore, si presentò al

sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco al fine di essere autorizzato a

condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati.

E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all'improvviso lo avvolse una

luce dal cielo e cadendo a terra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?».

Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella

città e ti sarà detto ciò che devi fare” Atti 9,1-5

6 “Contienti e frena il desiderio ardente, della guerra, che a tutti è sempre grave”

Odissea, libro 24 – v. 688

7 “Obbedì Ulisse e s’allegrò nell’alma. “

Odissea, libro 24 – v. 692

8 Detto attribuito a Eraclito, filosofo greco; Efeso, 535 a.C. – Efeso, 475 a.C. 9 https://it.wikipedia.org/wiki/Conosci_te_stesso 10 “No dejes ir un día, - sin cojerle un secreto, grande o breve. - Sea tu vida alerta

- descubrimiento cotidiano.” Juan Ramón JIMÉNEZ, Eternità Pietra e Cielo, a cura di Francesco Tentori Montalto, Edizioni Accademia, Milano 1974, 78-79.

11 Luis Pisoni, L’esigenza di Sapere, Formazione e Ricerca, Project Learning, 1997,

20-22 e anche: https://www.osservatoriointeriore.com/scoprire-se-stessi/ 12 Gurdjieff e Ousspenski vedevano in noi moltissimi ‘io’; Stylianos Atteshlis

(Daskalos) ci vedeva una serie di ‘elementali’; Assagioli (Psicosintesi) ci vedeva delle ‘sub-personalità’, etc.