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UNIVERSITY OF ALBERTA
A thesis submitted to the Faculty of Graduate Studies and Research
in @al fulfillment of the requirements for the degree of MASTER
OF ARTS
DEPARTMENT OF MODERN LANGUAGES AND CULTURAL STUDIES
Edmonton, Aiberta, Canada
FaH 1998
National Library 141 ofCanada Bibliothèque nationale du Canada
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395 Wellington Sireet 395. nie wdiiigton OUawaON K l A W OttawaON K1AON4 Canada Canada
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The villotta is a fom of popular art belonging to the oral tradition For its
spontaneity, immediacy and peculiar structure, it is one of the most interesring artistic
expressions in Italian Literatu~e- The present study deds specificaily with the
Friulian villottu, which is considered the most interesting example of N kind both
from a cultural and a linguistic point of view. Following a general introduction on
the villottu and on the Friulian one in pticular, the study translates 192 villottas in
1talia.n chosen from fifteen areas of the F n d i Venezia-Giulia region exempliwng the
wide range of themes, mostly taken fiom daily life, of this poetic fom. The viiiottas
are taken h m Angelo Arboit's Villotîe Friulane, one of the f k t collections of
viII0ttu.s ever to be published. The translation of the villonas in Italian tries to fil1 a
void in existance today. A bibliography provides more references for m e r study.
La villotta e una forma di arte popofare appartenente alla tradizione orale. Per la
sua spontaneiti, immediatezza e stmmna particolari è un'espressione hstica unica
ne1 panorztma della Letteratura Italiana ll presente lavoro tratta in maniera specifica
la villotta Friulana, considerata uno tra gli esempi piu interessanti dal punto di vista
linguistic0 e culturale. Ail'introduzione generale sulla villotta, e su quella Friulana in
particolare, segue la traduzione in Italiano di 192 villotte provenienti da quindici
diverse localitê del Fndi Venezia-Giulia che esemplificaw la varietà di tematiche
tratte in gran parte dalla vita di ogni giorno di questa forma poetica. Le villotte sono
scelte da Villotte Fnulane di Ange10 Arboit, UM delle prime esaurienti raccolte
pubblicate. La traduzione cerca di sopperire al numero limitato di opere in
traduzione oggi esistenti. Un'ampia bibliografia per ulterion ricerche wnclude il
lavoro.
INDICE
INTRODUZIONE
LA VILLOTTA FRIULANA E IL. CANTO POPOLARE
LA P O P O r - A R O N E DELLA VILLOTTA
TEST0 E MELODIA QUALI LJNITÀ INSCINDIBILE
LA VILLOTTA, POESIA SEMPLICE EPPURE ALTlSSlMA
CANTI AMOROSI, RELIGIOSI E PROFAM DEL FRiüLI VENEUA-GruLIA
LA VILLOTT& IL PIÙ CONCIS0 DEI CANTI LIRICI
DITiFUSIONE DELLA VIILLOTTA
ORIGINE DEL TERMINE VILLOTTA ED ACCOSTAMENTI AD ESPRESSIONI IlRICO-MUSICAL1
ORIGIM DELLA VILLOTTA
ORIGINI
ORIGINI MUSICAL1
QUATIR0 POTESI SULLA DERNAZIONE DELLA VILLOTTA
DOCUMENTI E TESTIMOMANZE
COMMENT0 ALLA TRADUZIONE
NOTE
BlBLIOGRAFIA
1 .O LA VILLOTTA FREULANA E IL CANTO POPOLARE
La villotta fnulana, cosi corne ogni canto poplare di qualsiasi paese, è una
manifestatione d'arte e di cultura tradizionali che viene tramandata di genewione in
generazione e mantenuta viva negli anni. La fo- della villotta in quanto
produzïone viva è stata &data, fin dalla sua nascita, alla wsmissione orale, mai O
quasi mai scritta Le prime raccolte di canti popolari italiani sono state realizzate a
parthe da1 quattordicesimo secolo. Quelle delle villotte, canti poptari friulani che si
discosiano alquanto dai canti di altre parti dell'Italia, sono state date alla stampa
soltanto di mente. Per quanto concerne i versi le prime pubblicazioni risalgono al
1865, mentre per la parte musicale esse appaiono solo a pertire dai 1892.
La cultura delle tradinoni costituisce un patrimonio di enorme importanza in
quanto parte Uitegrante della cuitura dell'uomo. Fu il Movimento Romantico, fiorito
nella prima meti del170ttocento7 a çcoprire propi0 nelle tradizioni popdari, e
sopratutto nei canti storici, la testirnonianui di una unità spirituale nazionale
çopravissuta a tutte le invasioni e a Mte le divisioni politiche. Da cio la nscoperta e
la valorizzazione del Ie tradizioni forse meno ce1 ebrate ma senza dubbio di
fondamentale importana nella vita di ogni giorno. Tuttavia, a presciadere dalle
implicazioni politiche, il canto popolare, e per i Friulani la villotta, costituisce una
parte integrante della propria cuitura. In occasione di feste durante l'anno, di
manifestarioni pubbliche, di sage paesane, in generale quando ascoltiamo cantare7 O
cantiamo noi stessi delle viUotk, ci sentiam0 tutti partecipi di uoa spiritualità nostnr
L'obieîtivo della presente studio non è quel10 di definire che cosa ci sia alla base
della -one di un popolo, di questa esigenza insita nell'uomo di tramandare ai
posteri le proprie esperienze, wnoxenze, credeflze, valori. E piuttosto una presa di
wscienza di una situazione di fat0 e ci& I7indiscuh%ile esisteuza di tale necessità,
tralasciando di prendere in considerazione ed andinare le cause che ne sono
dl'oripine.
Autorevoli studiosi indiano la credenza magico-religiosa largamente
cristianizzaîa quale nucleo centrale di quaisiasi eadinone (1). Ln stesso canto viene
considerato quale formula d'incantesimo atto a c a r n e la penona mata, secondo
quant0 sostiene ancora al giorno d'oggi la d e m a poplare. La convinzione, molto
radicata nei costumi di un popolo, che è cosi che si deve agire perche e cosi che si è
sempre agito per difendeai dalle forze del Male e per assicurani I'aiuto delle forze
del Bene, detemina il perdurare di ogni manifestanone folclorica e spiega la
straordioaria lentezza della sua trasfomazione. A questo si aggiunga il fano che il
terreno di coltura della tradipone è prevalentemente costituito da classi sociali che,
per loro stessa natura, sono conservatrici, quaii ad esempio quella dei contadini O
quella della gente di montagna Le feste agresti tradizionali sono state accompagnate
sin dai tempi più remoti da riti propiziatori. LAI stesso dicasi dei piu irnportanti
appuntamenti nella vita di m uomo O di una donna Tali riti sono stati definiti riti di
pasaggio ed associati alla ciclicita delle stagioni. Più specificamente si tratta di riti di
iniziazione che segnano il passaggio dalla fanciullezza alla pubertà, e quindi alla
piena mafllfità. Essi sono sempre accompagnati da canti, dei quaii pero oggi non
siamo più in grado di percepire il carattere più recondito e piE vero. Da sacri che
erano, sono diventati profani. La stessa, famosa villotta
L'aüegria è dei giovani
e non dei veccfu rnaritati;
1 'hanno perduta andado a messa
il giorno in cui si sono sposati.
E I'degrie 'a je dai mvins
e no dai vecjos maridaz;
la jan piardude biel lant a messe
e in chel di' che son sposâz (2)
puo essere considerata corne la reliquia, O rnegiio, la versione modema e dissacrata di
un antico canto che accompagnava il rihiale di iniziazione, O di passaggio, dalla
giovinezza alla maturità Versione, si è detto, e non relitto del passato. Una villotta è
viva non perche viene riesurnata di tanto in tanto dalle raccolte a stampa per
ininativa di qualche gruppo wrde O folcloristico; è viva perchè in gmppi di amici O
di paesani, di gitanti O di emigranti, si alza dapprima una voce per iniziativa
spontanea e ad essa si aggregano Ma via aitre voci sema I'accompagnamento di
alcuno stBimento musicale. Con quel canto la persona, orgogiiosa delle proprie
radici si sente partecipe di un mondo, di ma W o n e e di una colIettività ben
definiti. si sente figlio della propria terra, ed s e n n a attraveno il canto la sua
discendem da determinate radici. il folclore non è cultiw del passato ma vita del
presente. Se cosi non fosse, esso non sarebbe altro che materiale per biblioteche e
rnusei. E fuori dubbio che nuove forme di vita tradizionale si sostituiscono a quelle
antiche, ma è altresi ver0 che in ta1 modo la tradizione si rinnova perennernente e
rimane pulsante e viva ne1 tempo.
LA POPOLARIZZAUONE DELLA VILLOTTA
L'espressione in musica di un pensiero, di un0 stato d'animo, di ima passione
amorosa O, anche più semplicemente, di una battuta ironica diventa pîrbonio
espressivo di una wllettività ogni qualvolta che un singoIo individu0 la riprende, la
rielabora e la ripmpone secondo il prowo modo di sentire. Questo particolare
fenomeno ha reso possibile la grande ciifhione della villotta e il suo continu0
rigenerarsi attravem i secoli su tutto il temtono coperto dalla regione Fnuli
Venezia-Giulia odierna Possiamo quindi affermase che le villotte sono m e
popolari, O meglio, sono diventate poplari nel corso degli anni. Esse sono opera di
un singolo autore, più O meno conosciuto, piu O meno consapevole di essere un
m e m insostituibile per la consewazione e il tramando delle tradizioni. Esse,
tuttavia, diventano in seguito proprietà di un numero sempre piu crescente di canton
che le fanno proprie rnodellandole secondo il Ioro modo di sentire. 1 cantori che le
riprendono ricmoscono ne1 linguaggio e nel contenuto di quei canti il proprio modo
di esprimeni, i propri sentimenti, e vi si identificano. La semplicità del soggetto
trattato, della si-one descritta, e la eIerne&tà della forma intesa corne insieme
di parole e melodia, che il Croce ha cosi bene maso in evidenza (3), hanno
permesso, e Mtora pennettono, la popolarinazione del canto. Tale processo è
inoltre favorito dai fano che la medesima melodia viene adottata per più testi di
villotta, anche in virtù del fam che i testi rispettano sempre 10 stesso metro, ci& la
lunghezza dei loro versi è sempre uguale. Appare evidente pertanto che per diventare
popolare la villotta non debba necessariamente venir composta da un poplano. E
piuttosto la sua semplicità a promuoveme la ciiffisione tra la gente comme che la fa
propria, e quindi entra di diritto a fêr parte della cultrira popolare. Per quanto
nguarda il carattere del canto popolare in generale, e della villotta fnulana in
particolare, c'è da sottolineare un aspetto fondamentale che ne costituisce l'essenza, e
cioè il diffondem e il ricrearsi del canto stesso. Tale arpetto riguarda le molteplici
varianti di uno stesso testo riscontrabili in l d i t à molto distanti tra loro, tanto che
sorge spontanea la domanda su quale sia il primo testo, quello autentico, quaie sia la
versione originale di una villotta. A questo proposito approfondite ricerche e vari
studi sono stati fatti da studiosi speciaikti sema peraltro giungere a conclusioni
convincenti. E una domanda a cui è difficile rispondere in maniera soddisfacente e
defitiva Si potrà indicare con una certa sicmezza il primo testo stampato, quello
più piacevole, quel10 più elaborato ma non que110 che ha dato origine alle molteplici
versioni, anche perche essi sono stati rnantenuti vivi dalla W o n e orale e da taie
tradizione sono stati alimentati, hanno trovato la lhfâ per venir tramandati di
generazione in generazione passando sempre attraverso rielaborazioni, ritocchi a
volte margindi, altre volte considerevoli. La villotta quindi e una e molteplice.
Ne1 1837 il Berchet intuiva,con un anticipo di quasi trent'anni d i a prima
raccolta di testi di villotte mai pubblicaîa, opera curata da M- Leicht, che la canzone
poplare sorge spontaneamente per opera di un &O gentile, cent0 altri I'ascoltano
e mille la ripropongono aggiungendoci del pmprio (4). 1 mille, infatti, non si limitano
a ripetere il canto meccanicamente, al contrario; essi ritoccano, modificano
particolari. capovolgono sihianoni, in dtre parole diventano CO-autori della canzone
stessa, conferendole un più arnpio respiro, tanto che in aicuni wi, dove ci si trova in
p r e s e m di versioni molto diverse tra di loro, risulta quasi impossibile risalire alla
veaione originale. Riguardo alla popolarkazione della villotta esiste un giudizïo
alquanto ironico e scherzoso, steso proprio sotto forma di villotta, dall'emerito
studioso della lingua friulana Ugo Pellis. Lo scritto, che apptiene alla prima meta
del '900 ed appare sotto il titolo di "Puisia popolar e teoria folkioristica" (s), cosi
recita:
Le vüiotte non le fanno
ne le ochette nè i gabbiani ;
usignoli cantano ne1 buio
tutti gii aitri. . . pappagalli
Lis vtlotis no li fasin
ni li ucutis ni i cocâi;
rusignui td scûr 'a &min
duc7 che altris . . . papagâi
La connotanone vagamente negativa dell'ultimo verso non deve trame in
inganno ne1 senso che i cantori che riprendono ma viUotta la npetono si corne
pappagalli, ma anche la ripropougono. Non la ripeton0 meccanicamente ma la
rinnovano, tagliano e aggiungono, rielaborano il testo rendendolo sempre a W e , gli
donano ci& nuova luifa vitale, si da mantenedo sempre vivo e vibrante. Ci si
potrebbe chiedere quando è nata "Matte tu! matte to' m W (r) , O rneglio, quaado è
diventata di dominio poplare, ma la nsposta risulta essere molto difficile se non
irnpossibile. Certarnente la sua divulgazione non è awenuta in un anno, ne in due,
ma piuttosto in un arw di tempo molto più ampio. Ne1 corso di questo sec010
risuitano piii fkquenti di quant0 non si possa credere i casi di autori di villotte che,
Iontani da1 proprio paese di origine, ascoltano una propria creazione e si sentono dire
che si tratta di opera di anonimo, se non addirittrw esclusiva del luogo. La villotta e
dunque di tutti e di wssuno, e se qualcuno si sente in diritîo di rielaborrula per
rneglio rendere una situazione che gli stà particolamente a cuore, Io fâ s e n
problemi e senza, per questo, sentirsi accusare di fiilsificazione. La maggior parte
della gente ne riconoscerà la melodia e certamente si appassionerà ad ascoltare la
nuova versione. Ritornano qui alla mente le catlzoni dei trovatori proveiizali, O dei
cantastorie siciliani, i quali elaboravano di volta in volta testi diversi suila stessa
rnelodia
La d o t a d'autore presenta invece ma situazione diarnetralinente opposta per la
sua stessa genesi, che la vuole composta a tavolino. priva quindi di quella spontaneità
che rappresenta un0 dei suoi mm più o~aaeristici. Essa quindi ha difficoltà ad
incontrare il gusto della gente comme, il piii delle volte tratta in maniera alquanto
sofisticata argomenti lontani daila dtà di ogni giorno. Ne consegue che la gente
non vi si identifica con facilità, viene a man- la rielaborazione spontanea e quindi
in breve tempo la villotta cade nel dimenticatoio. L'essenni stessa della villotta
implica van'azioni, più O meno rilevanti, del testo poetico e della melodia
ogniqualvolta viene ripetuta anche se a fado è sempre il medesimo cantore. Essa
viene cantata e ricantata per iniziativa spontanea. La poesia popolare wdi2ionale è il
risuitato di molteplici creazioni individudi che si somppongono, si mescolano, si
sommano, pu. lasciando inalterato quel suo schema originale in virtii della sua
stabilità ineinseca derivante dall'originalità dell'idea che ne sta alla base.
3.0 TEST0 E MELODIA QUALI UNITÀ INSCINDIBILI
Da quanto fino ad ora esposto risulta aidente che I'aspetto lirico del testo va di
pari p a s o con quelio della melodia Assieme essi formano un corpus unico che
rappresenta l'essenza stessa della villota Tuttavia, a questo proposito va sottolineato
che i pimi studiosi che curarono la -one e la stampa dei canti poplari in
Friuli si occuparono di tramandare solamente i testi poetici. Ne è un esempio
Michele Leicht, il quale ebbe I'onore di essere colui che ne1 lontano 1 865, diede alle
stampe la prima niccolta di testi di villotte fnulane con il titolo di Rima Centuria (7).
Fu solo in un secondo tempo, ci& quando ci si rese conto dell'irnportanza
dell'aspetto musicale, che ci si intaes& anche della t r a sc~one della parte musicale.
A questo proposito rïcordiarno il Berchet che in Vecchie rom- mamole del 1837
suggeriva al lettore di leggere le romanze canticchiandole sottovoce, cosi corne
faceva egli stesso rnentre le componeva, al fine di raffonanie I'effetto sull'animo,
quasi a voler sottolineare I'indispensabilita del recitativo nella poesia popolare.
Secondo Io studios0 Michele Barbi la poesia propriamente poplare non pu0
esistere se non accompagnata dal canto (8). Dello stesso parere si dice anche il
Santoti quando afferma che "sempre la poesia popolare è stata posta in relazione O
identificata col canto, anche se per lungo tempo la raccolta delle melodie e stata
trascurata p e f i o da grandi studiosi" (9). Ne comegue che un giudirio basato
esclusivamente su1 testo poetico non puo essere altro cch e giuiudizio ne1
sens0 che manca di quell'accrescitivo allargamento di orinonti che il canto porta
con sè.
3.1 LA VILLOïTA, POESIA SEMPLICE EPPURE ALTTSSIMA
Quando una villotta è per lunga -one e diffusione molto conosciuta, questo
significa che essa è diventata genuinamente espressione dell'animo di tutti coloro che
in essa si ide~tificano~ ed è a questo punto che essa raggiunge un aitissimo valore
estetico. Intomo agli anni Trenta sui mensile La Piccola Patria, curato da Chino
Ermacora, Gabriele D'Annunzio ebbe a bvere , a proposito dell'antica Mllotta
fiulana, che essa "è breve come M dardo e cane un fiore, corne LIXI bacio e come un
morso, corne m pianto e un somsou (IO).
Io sintonia con la -one popolare, la villotta emerge e si hpone, alla pari di
ogni altro canto, per la sernpliciîà del contenuto che la ispira e per la semplicità della
corrispondente espressione poetico-musicale. Riprendendo il pensiero del Croce
potremmo dire che la villotta presenta sentimenti sernplici in forma semplice, e che
non va considerata poesia minore in quant0 la poesia, quando è tale, non ammette
alcuna categoria(ii). Nella villotta l'espressione e concisa, limpida, la nanazione
completa ed autonoma, diversamente da quanto accade nella poesia cosiddetta coita.
Ne consegue che ogni popolano la puo riconoscere come propria e vi si pu0
identificare in maniera spontanea
3.2 CANTI AMOROSI, RELJGIOSI E PROFAM DEL FRIULI VENEZIA-GILTLIA
Corne ogni paese appartenente alla civiltà di tipo europeo, anche in Friuli
Venezia-Giulia il canto poplare puo essere facilmente distinto in tre generi diveni, a
seconda degli argomenti trattati, e ci&: canto iirico-amoroso, canto narcativo-
reiigioso, e canto narrative-profano (12).
Il canto lin-amoroso presenta una forma mealca particolare ed esclusiva del
Friuli. Si distingue in maniera netta dallo stmmbotto, che domina I'Italia tutta, e non
presenta alcuna similitudine con Io stornello.
Il canto narrative-reiigioso è quello che rnaggiomente si awicina, O ricalca,
modeIli che provengoao dal171talia Centnile. Fatta eccezione per alcuni casi, e
nafuralmente per la lingua che si discosta notevohente dall'Italiano, i canti poplari
fidani di contenuto religioso rispecchiano la tradizone della penisola
n canto narrativcymfano. tdvolta defi t0 anche storico o epicdirico, è quasi
del tutto assente ne1 Friuli Centraie e in quel10 Orientale, mentre nella parte
occidentale tale canto è presente, seppur con evidenti tracce ed uifluenze veneto-
italiane. Sempre nella parte occidentale, a ridosso del Veneto, si riscontrano canti
lirici di carattere strambottesco, sempre in lingua veneteitaliana, con evidenti
influenze lombarde O emiliane, quasi mai m'ulane. Tali canti rappresentano solo un
aspetto del più complesso corpus della viliota fnulana
La villotta e dunque un'espressione tipica del Fridi e costituisce un caso a se
stante, wi panorama del canto popolare italiano, per la Canti simili si riscontrano in
Corsica, con la differenza perb che questi sono formati da sei versi e non da quattro
corne la villotta Swperti di mente in Spagna, i kharge sono stati ipotizzati quali sua
stmttura di soli quatiro versi, ciascuno format0 da otto sillabe. antichi progenitori del
canto lirico di lingua neolatina Tm di essi pero è m a la presenni del170ttonario e
pertanto 17ipotetica progenia abbisogna di studi più approfonditi (13). Al& fome di
canto che si possow trovare in Friuli comprendow le ninue-mime, le filastrocche,
gli indovinelli, le formule per giochi. Ci sono tuttavia due testi di canti che vengono
comiderati quali pmti di riferimento nella tradizione fnulana. Il primo e
rappresentato dalla versione lîiulana della fmosa "Vie de Saint Alexis" fiancese,
risalente alla metà del sec010 XI e della quale esiste la versione italiana intitolata
"Ritmo Marchigiano" dei primi armi del Xm secolo. Il testo riportato è quel10
raccolto da Dolfo Zormt e pubblicato ne1 1924 e si limita ai primi veai
San Alessio illuminato
fa wnsigiio e si marita;
Sant Alessio inlubia
fiise consei e si marida:
oggi la prende,
domani la tascia
- Ho fatto voto di castità
di fàr sette anni di verginità
e il mio libretto ti lascero.
- Ho abbandouato mi0 padre,
ho abbandonato mia rnadre,
I'oro e I'argento
e ancora mi volete lasciare (u).
come vuè la ciole,
corne doman la lassâ.
- Ai fat vôt di castitât
di fa siet agn di virginitât
e 'I me librut td lassmiï.
- Ai abandonât mi0 pari,
ai abandon& mia mari,
l'aur e l'arint
e ancjemo mi ores las&
il secundo è invece rappresentato dalla versione fidana dell'indovinello "La
mano che scrive" che ripete, in Latino volgare, il conosciutissimo "Boves se pareba",
il testo più antico a disposizione degli specialisti che studiano le ongini della lingua
italiana:
Se pareba boves, alba pratalia araba,
dbo versorio teneba
negro semen seminaba
Cjamp blanc, semenze nere
doi ch'a cjàlùi cinc ch'a &in (is).
3.3 LA VILLOTTA, IL PC~I CONCIS0 DEI CANTI LIRICI
A differenza della lingua italiana, la IUigua finulana appartiene al ceppo delle
lingue celtico-latine e possiede una di suoni, vocaboli brevi, lunghe e
reduplicate, simile a quella che si riscontra nella metrica quantitativa dei greci e dei
latini. Il Friulano si differenzia quindi dal171taliano per i versi ossitoni, che sono
molto numerosi nella poesia celto-romana. La ritmica qmtitativa coesisteva con
una ritmica di accenti delle forme popolarï pagane e fu in seguito sostituita da quella
accentuativa per opera del Crishanesirno (16).
Per quamo riguarda la vera e propria stmttma della villotta c'è da sottolineare il
fatto che i'argomento presentato neila tipica quarlina viene sduppato e conciuso
nell'arco dei quattro veni. Solo ranunente I'argomento viene ripreso e ampliato da
una seconda quartina, corne ad esempio accade nella villotta veneta. Queila fiiulana
è quindi più conci% corne si puo notare nei t h riportati nella seconda parte della
presente dissertaziooe, quasi a sottol ineare 1 'espressività più contenuta del la gente
fndaM
Mano a mano che si procede da1 sud del171talia verso il nord la stmttura del
canto poplare lirico che si incontra passa dalla ottava siciliana, strofa di otto
endecasillabi, alla sestina toscans con sei endecasiliabi, alla quarcina veneziana con
quattro endecasillabi, per amvare d a quartina fkiulaoa, formata pero da versi con
otto sillabe (17).
Ne1 suo C m n i e r e Itaiiano P.P. Pasolini, analizrando la peculiariti di taie
canto popolare, 10 definisce fulmiwo per indicame I'imienza, I'imrnediatezra e la
densa brevità (a).
4.0 DETUSIONE DELLA ViLLOTTA
La villotta si trova sparsa su tutto il territorio del Fridi Venezia-Giulia, anche se
la Camia è stata di gran lunga la zona che ha rappresentato un serbatoio di
inestimabile valore ed ha fomito il numero maggior di villotte agli studiosi a partire
cial 1800 fino ai giomi nostri. La cosa è dovuta principalmente a ragioni geogmfiche,
le quali non hanno permesso il contatto della villotta wn altre fome espressive di
canto, e ne hanno quindi salvaguardato la sua contaminazione (s). Un fatto per molti
versi analogo è successo anche in altn parti del mondo, zone in cui la villota è
rimasta pressoché inalterata Ci riferiamo a paesi quali l7America del Sud, il Canada
e 17Austraiia, paesi dove l ' emipte friuiano di questo sec010 si è tmferito. Ivi egii
ha conservato, a volte con gelosia ma sempre, aspetto molto importante, sema
alterame la forma, la villotta appresa da bambin0 quale prova di appartenenza ad ma
cultura ben precisa. È questo un aspetto decisamente rilevante cial punto di vista
della conservazione delle tradizioui popdari per qua~to concerne gli d t h i 150 anni.
in tali paesi in- la villotta viene custodita e mantenuta integra proprio in Mmi del
fatto che non ci sono rielaborazioni con~eglfenti ai cammùio culturale della temi di
origine. Se da un lato questo aspetto pu0 venir considerato quasi negativo perche non
in sintooia con i tempi, dall'aitro lato quello della cooservazione è sema ombra di
dubbio interessantissimo. Esso offre infatti materiale comparative prezioso e di
estrema dev- per gli specialisti che si occupano dello sviluppo delle lingue
dando loro la possibilità di analizzare forme idiomatiche cadute in disw sotto
l'influenza dell71taliano, parole O bsolete, cosûuzioni grammaticali arcaiche.
5.0 ORIGINE DEL TERMINE VILLOTTA ED ACCOSTAMENTI AD
ESPRESSIOM LIR.IC0-MUSICAL1 SIMILI
La villotta fidana pende impropriamente il nome dalla ornonima villotta
veneta, dalla quale pero si discosta in maniera piuttosto netta sia per la sua brevità
che per la sua compatteza Non va confusa con la piu tarda villotta che si cantava a
Venezia su strofe di undici sillabe, e solo più rararnente di otto corne quella fndana
Quest'ultimo tipo veniva infatti chiamato "alla furlana", per cui è pensabile sia stata
piutîosto la villotta fnulana ad avere una certa influenza su quella veneziana e non
viceversa Rimane curioso il fatto che il canto fiiulano fosse denominato a "cjanf' O
'4c ja~~nete" fin verso la metà del Settecento, mentre pare che il termine amiale
faccia la sua prima appkione ne "Tl Strolic Furlan -m l'An 182 1 " di Pietro Zonim'
(20). fl termine villotta sta ad indicare un'espressione lirico-musicale villereccia-
Tale termine veniva usato ne1 Veneto fin dall'inizio del '500 per definire un canto
popolare polifonico, su testi di vario metro, derivat0 dai prototipi toscani dello
strmbotto e del rispetto. Per quanto ri&uar& la forma, il contenuto è raccolto nei
tipici quattro versi otîonari mentre la melodia si limita ai soli primi due versi e viene
quindi ripetuta negli ultimi due. Ne1 testo spesso si N c o n ~ o forme piu O meno
variate di ripetinonï e di aggiunte sillabiche, wme si puo ben notare nei testi riportati
nella seconda parte. Va sottolineata la intercambiabilità del testo, nel sew che Io
stesso puo venir cantato su melodie diverse e viceversa Taie fatto rende pressoché
impossibde stabilire quale combinaPone di test0 e melodia sia quella originale. A
rigor di logica, e in sintonia con quanto fino ad ora esposto, il termine villotta
definisce uniamente una melodia popolare su una quartina di otto-. in realtà è
uso cornune definire villotta qualsiasi composizione con testo in lingua fiulana,
qualmque sia il metro in versi.
A prescindere dalla pecdian-tà della quareina di ottonari per la parte rnelodica, la
villotta fiidana offre un interessante termine di paragone, per quel che nguarda la
parte musicale, per un mflkonto comparative con espressioni iirico-musicdi
appartenenti ad etnie di regioni diverse. A nostro parere tale dEonto mette in
evidenui analogie che non sono athibuibili ad intluenze esteme, prestiti O dtro, bensi
hanno luogo spontaneamente in virtù di certe formule melodiche insite nella natura
dell 'uomo, le quali si manifestano in maniera del tutto natu.de, sema cioè essere
condiPonate da diversità etnicocuiturali (21).
6.0 ORTGINI DELLA VILLOTTA FNüLANA
Se prendiamo in considerazione tutte le travagiiate vicende storiche, sociali e
culturali del Friuli Venezia-Giulia, dalle sue origini neolitiche alla cornparsa dei
Veneti ne1 primo millennio aC., a quella dei Carni del N secolo, all'influsso della
Chiesa Romana AiessandRna e a tutte le invasioni nelI9Aito Medioevo delle tribu
germaniche, dei Visigoti, degli Unni, degli Ostrogoti, fino all'affiusso degli Slavi ne1
W e VïiI secolo, abbiamo solamente una vaga idea della complessità, da1 punto di
Wca ebiico, deii7anima del popolo nidano. Pier Paoio Pasolini descrive il popolo
friulano corne nordico net suo rnoralismo, meridiode ne1 su0 abbandono melico,
insieme goffo e agile, duro e allegro, vivente una sorta, per cosi dire, di substrat0
politico, di rustico mondo a sè, nobile a modo suo, su cui sono passate, semi per
questo intaccario, s e o n i guadagnarlo e sema esseme gwdagmîe, le domintuioni
straniere (22).
È chiaro pero che, se le dominazioni esterne non ebbero ad intaccare l'anima e il
carattere del popolo friulano, queste non poterono non influire sui costumi e s d b
forme di espressione di queste genti. Risalire alle origini musicali della viUotta
fndana è dunque un'impresa aiquanto ardua, se non impossibile, ove si considen che
non esistono reperti che ne documentin0 I'evoluzione dagii aibon fino al modello
poetimmusicale pervenutoci e che è stato dato aile stampe per la prima volta
soltanb sul finire del secolo scorso. Un vuoto abissale di quindici secoli ci separa
dall'epoca in cui alcuni storici lodavano i chienci aquileiesi per i loro canti simili a
quelli degli angeli. Riferimenti sui canto fnulano ci sono pervenuti anche da parte di
storici quali Sîrabone, Cesare, Cicerone, Livio, Plinio, Cornelio Gallo, Crornazio, San
Paolino, ma nulla di preciso sappiarno delle forme che inipa1met.e qwsto canto ebbe.
htorno all'anno Mille ne1 Patriarcat0 di Aquileia nascono e si vanno diffondendo
leggende Cnstiane e saghe barbariche memtre su tutto I'arco alpino la Iingua dei
Romani comincia la sua lenta ma inesorabile trasfomazione ed acquisisce una
ladinità tutta propria Net W e XIIi secolo, quando in Friuli la lingua assume quella
sua parûcotare individualita allontanandosi ulterionnente da1 Latino di Roma,
compaiono i primi canti prowamente friulani. Si tratta di danze, filastrocche, giochi
e c d che si fanno in ogni luogo e in ogni occasione. Questi canti, espressioni
spontanee del popolo, sono da wrisiderarsi il nucleo della villotta che nei secoli
successivi mdrà a svilupparsi (a).
L'ottonario, rnetro fondamentale della villotta filulana, è indubbiarnente
fiequente nell'iunodia, ci& nel canto degli inni, e nelle sequenze dell'antica liturgia
cristiana Non è certo che I'inno fosse di origine greca, anche se ne1l7area classica
I'himw era un canto in lode alla divinità, wme Io dimostrano gli inni attnit i ad
Omero e Callimaco (a). Uno dei metri che piii fiequeutemente compaiono nella
l i tq ia cristiana è il dimetro giambico, O settenario, wme uell'inno ambrosiano
"Creator aime sidenun" che suona alla pari del canto di none fidano "Yen four. venfour mazomiubb. Un altro mmet ababbastanza fnquente è il dimetro trocaico, O
anche ottonario, presente in molti inni e sequenze quaii "Lauda Sion Saivatorem",
"Dies Ïra dies illru, "Slclbal mater dolorosa" che suonano alla pari delle villotte "O
ce biel lusor di lune", e "TmÏn ai è un bzei =ovinu e tante dire ancora (z).
Tuttavia, il metro ottonario ha origini più vetuste di quelle della imografia
cristiana, ed esso ci riconduce, come ci ricorda 10 storico Tito Livio, a quei "Carninu
TtiumphaIiau, poesie apotropaiche che venivano intonate dai sol&ti romani durante
il loro trionfo in lode al generale vittorioso ne1 corteo che entrava nella cinà
conquistata dalla porta Triumphalis. Queste poesie erano ne1 versus @ratus, detto
anche verso dei Iegionari, verso panisillabo che Dante ebbe a definire rono e
monotono, da intendersi come prirnitivo ed ingenuo. Esso ebbe una Iarghissima
diffkione ne1 canto poplare mentre neUa poesia d'arte quasi wu compare. Poplari
erano anche i salrni dell'antica chiesa siriaca, la cui melodia poteva adatîarsi a strofe
diverse tra di loro purchè del10 stesso schema, proprio wme awiene nella villotta
fidana Rispetto al canto profano I'ottonario trova riscontro in alcune poesie d'arte
fiiulana del XIII e XIV sec010 nella forma deîle bailate quali "E Io four ciai nestri
ciampu e ''Bielo M o di vaiôr? Nella stessa poesia d'arte si riscontram anche versi
n o v e b , più rani ne1 canto popolare Wulano, wme nella trecentesoi canzone
amorosa "Piruc myo doc h x h r i f ' che suona alla pari della secentesca canzonetta
" G j o l . aoIdin fin che @nu O ancoca nella famosa ecloga natalizia " A t e z
ducqmc. stait a szntf' (u). Frequenti ottonari si incontrano anche nelle laudi, nei
canti caniascialesc& neIle fiottole e nelle villotte polifoniche cinquecentesche.
Per quanto riguarda la forma del tetrastico, O mofa di quattro veai, a rime
alteme della villotta cbe dcuni studiosi wnsiderano quale nucleo pnmitivo del canto
lirico-monostrofico, secondo il Barbi risulterebbe forma secondaria di origine
moderna assai posteriore non solo al rispetto ma anche alIo stomello (n). Solo in
epoca molto recente tale tetmstico sarebbe divenuto ma forma @ca autonoma,
corne Io comproverebbero alcune mite ottocentesche. Concordando con il
pensiero del Barbi, possiamo affermare che, verosimilmente, la villotta nella sua
forma amiale, fa la sua cornparsa soltanto verso la metà del XM secolo.
Se I'aspetto poetico, inquadrato nelle forme ritmiche e metriche, permette con
relativa facilita una coUocazione storica circa le origini della villotta, non altretîanto
si puo dire per quel che nguarda I'aspetto musicale. Ii sumo, uifatti, a differenza
della paroia, implica un linguaggio astmtto che ne1 canto popolare rende più difficile
ma inquadraîura secondo determinati stili ed epoche.
È intomo ai.Iyanm> Miiie che nasce la notanone musicale diastemica e il primo
tipo di musica ad essere codificato è quasi esclusivamente quel10 di tipo liturgico,
non certo popolare, in virtù dell'importante d o rivestito dalla Chiesa ne1 contesto
sociale di quel tempo. Tenendo presente che la stampa della musica vede i suoi
albon soltanto nei pnmi anni del XVI secolo, va sottolineato il fatto che agli inizi
essa serve esclusivamente per la musica dom Il canto popolare invece viene
mantenuto vivo e tramaadato solamente per opera di giullan e menestrelli. Esso è
quindi arrivato a noi trarnandato oralmente di genemzione in generazione, non sema
aver subito ne1 corso dei secoli modifiche e trasformazioni notevoli, se non
addirimira radicali, tali da stravolgere cornpletamente le stnmure originarie e
renderle rnisconosciute.
Del l'abbondante matenale musicale popolare finora raccolto in Friuli si ri leva
micamente quiche modulo arcaico grec0 risalente al V sec010 ed alcuni moduii del
canto gregonaao in generale, derivato dal canto litrrrgico cridano della chiesa
orientale, O di quella aquileiese in particolare, del quale ultimo aicuni storici
riconoscono idlussi della chiesa alessandrina. Di certo pero questi CrisLiani, e quindi
questi Friuiani, cantavano anche ai di fuori della chiesa i loro canti, di altro genere
ben s'intende, canti autentici, del popolo, destinati a rimanere ne1 buio dei secoli.
I documenti che si consexvano negli archivi e nelle biblioteche del Friuli
oggigiorno sono perlopiù posteriori al sec010 Vm, epoca in cui il paeiarca Paolino di
Aquileia, dovendo scegiiere davanti a Car10 Magno fia il cauto di nto ambrosiano e
quel10 di rito romano scelse quest'ultimo, che fu seguito fedelmente da1 sec010 iX in
p i . Non poche influenze esteme dovettero verifiausi, anche a motivo della
posizione geografica del Friuli, posto com'è tra nord e su& tra oriente e occidente.
Nel canto aquileiese e notevole l'apporta avuto dal canto romano-gallicano. È
proprio a partire da1 secolo XI che la liturgia aquileiese fa largo uso di queste forme.
Dalla sequenza dialogata dai canton, O dai canton e il popolo in forma respousariale,
si cominciano a delineare i personaggi, che conducono ai teatro e al dnunma, che dB
al Friuii quel famoso Pianctza M i e wnservato in un COdice aquileiese del XiII
secdo (a). DcamnU che inizialrnente si svolgono nelle chiese ma che in seguito,
essendosi inserite in essi delle volgarità e delle trasformazioni non conficenti al testo
sacro, escono dai luoghi sacri per svolgersi s u l sagrato e nelie piazze, dando cosi
forma aile rappresentazioni sacre. Proprio nelle esecuzioni di queste sequeme e di
questi tropi awiene che i cantori i r n p r ~ ~ s a n o talvolta ma seconda voce, dando
cosi luogo ad una forma di polifonia che oggi, aile no- orecchie, pub anche
risultare alquanto rom e sgraziata.
Ii rnuseo di Cividale dei Friuii possiede la collezïone più importantey di fonte
manoscritta, di que& canti a due voci destuiati all'uso liturgico della chiesa della
Colleggiaîa di S-Maria AsSunta di Cividale. All'inizio del XV sec010 questi canti
vengono chiamati con il termine di cuntw plunus bzmthz e, nella sostanza, seguono
la tecnica che è alla base della scuola polifonica di Notre-Dame di Parigi del Xm
secolo. Queste forme polifoniche, considerate allyavan&uardia per tutto il Medio
Evo, vengono praticate anche nelle Isole hitanniche con il gymel, O anche mtus
gemelhs, dove le due voci si rnuovono per terze pamllele, corne nella villotta m'ulana
e nei canti b c e s i (s).
Si aggiungano poi gli idlussi celtici, che si riaflacciano ail'arte giullaresca
medievale, i canti d'more tedeschi mianesang, la musica italiana popolaresca e
ariosa del Quattrocento, i corali luterani protestanti e tutta la musica europea dal XV
al XIX sec010 e que110 che si ottiene è il quadro abbastanza complesso intomo alla
nascita della villotta. in questo groviglio duaque sono wstretti a destreggiarsi gii
studiosi per cercare di definire le origini della villotta friulana, problema che rimane
tuttora aperto e ne1 quale si inseriscono le varie ipotesi proposte fino ad oggi.
6.3 QUATTRO IPOTESI SULLA DERIVAZIONE DELLA VILLOTTA
La prima ipotesi è quella del10 studios0 F. Spessot, il quale sostiene che la
villotta friulaaa afXonda le proprie radici nei canti della chiesa aquileiese, da essi ha
awto indirettamente origine e nei secoli successivi si e quindi sviluppata
indipendentemente trascurando I'aspetto del sacro a favore di contenuti popolari, fino
ad assumere una sua ben precisa identiti Lo studioso sostiene che il metro dei versi
ottonari, la forma in quartine e la melodia stessa, molto vicina a quella del canto
gregoriano, altro non sono che il risuitato dell'imitazione dei numerosi e melodiosi
canti ecclesiastici presenti nell'antica liturgia del Patriarcat0 di Aquileia (30)-
Tale ipotesi è condivisa da P.P. Erneîti, secondo il quale la villotta sarebbe una
derivazione della monodia linirgica, canto per una voce sola, sia per cio che riguarda
la stmttura della melodia stessa che per la tematica trattata, in auge nell'Aquileia dei
Paîriarchi. Nel corso dei secoli la villotta ha pi seguito le trasformazioni sociali
degli usi e dei costumi ma ha mantenuto la stBmuni interna degli stilemi di intervalli
inconfondiiili acquistando in tal modo una particolare unicita' (n). Nella musica
aquileiese si puo riscontrare un certo ethos in quanto le melodie manifestano
chianunente moveiize melodiche e moddi di stile bizantino in senso generale, di stile
siriaco, slavo e turco. Secondo questa ipotesi quindi la villotta di per sè è nata
monodica e per voce scoperta. Ne dexiva che Io schema metrico ha una libertà
ritmica che segue la liïbertà oratoria della parola medesima
Costantino Nigra avanza I'ipotesi dell'origine celtica per i canti delI'Italia
settentrionale del genere narrative (n), tesi in seguito ripresa da E. Morpurgo per
I'aspetto prettamente musicale (33) e da M. Ostermann per quanto riguarda la parte
poetica (a). Secondo questi studiosi l'atteggiamento lirico della villotta e del metm
ottoILano troverebbe riscontro in regioni loatane qudi la Sardegna, la Spagna, e in
modo particolare la Catalogna, riscontro spiegabile con le forti tracce lasciate
dall'antica celtizzazione, dovute alla forma dei canto popolare a due voci, il gia citato
gynzel britannico in uso dal IX al X sec010 in Galles, paese prettamente celtico oggi
come mille ami fa, e tale W o n e si sarebbe conservata negli angoli sperduti della
Camia (35)
Secondo ia terza ipotesi la villotta niulana tradizionaie sarebbe di indiscutibile
origine slava, tuttavia ne1 corso dei secoli awebbe lentamente ma inesorabilmente
perduto i legarni con quella cultura. Verso la seconda metii dell'ûttocento, atiraverso
la mediazione di vBn gnippi coraii fonnatisi in quel periodo, si sarebbe andata
trasfomiando in villotta modema di tipo alpino. Questa è la tesi wstenuta da R.
Leydi (jr). 1 punti di incontro del canto popolare slavo, cosi come di quello
cat-i~ano, con il canto popolare nidano sono stati evide~at i già all'inizio dei
secdo dalla Adaiewsky (n ) e piu recentemente dal Merkù (a)
A prescindere dalle sue forme embnonali e dalle sue tendenze inindi cosi come
ci sono pervenute, la villotta fiidana come modello musicale sarebbe un prodotto
ottocentesco con scarsi agganci ai secoli precedenti. Il riferimento a qualsiasi fonna
dell'antico canto liturgico sarebbe marginale, quasi mai essetlaaie, in quanto cornune
a tutta la musica europea La villotta sarebbe di natura monica, in sintonia con la
tesi dell'origine celtica, non per l7aspetto etnico ma per quello del rapport0 ecologiw
uomo-montagna per cui, salvo le debite eccezioni, la gente di montagna sarebbe
predisposta alla polifonia mentre la gente di pianura alla monodia corne conseguenza
della pianura stessa che favorisce la dispenione dei suoni, mentre la montagna li
ConseNa e li fa risuonare (m).
Questo potrebbe spiegare, in un certo se-, quella non megiio identificata fomi
immanente presente nelle espressioni liri~musicaii di tutto il mondo, come
sostenuto dal musicologo tedesco C. Sachs. Secondo questa tesi, le rare villotte
monodiche riscontrabili si sarebbem infiltrate in Friuli dall'ûriente, sia sotto
I'infiusso della liturgia corne già accennato in precederm, sia sotto quello del canto
profmo, in seguito alle varie e molteplici invasioni. La maggior parte delle villotte
armoniciie si sarebbe invece formata non senza venir ùiflueflzata dalla stessa
posiziow geografica di confine del Friuli, e questo vale sopratutto per le zone di
montagna quali la Carinzia e la Carniola, nonchè dalla raatura fortemente migratoria
del pop010 nidano che al suo ritorno nella "Piccola Patiiau portava con sè i se@ e le
influenze di aitre culture. Va segnalato qui che il termine "Piccola Patriau, in us0 fin
da1 MX secolo, sta ad indicare il texriorio del Friuli (a).
L'origine pre-romantica, per I'aspetto musicale, concorderebbe per i versi wn la
tesi del gemonese Giuseppe Marchetti, autore di Lineamenti di Grartunatica Friulana,
opera che ancor oggi mppresenta uno dei punti di riferimento più importanti per tutti
wlor che intendessm apprestmi ad uno studio sistematico ed approfondito della
lingua friulana (41). Lo shidioso sostiene che i veni delle villotte sono un prodotto
dell'Onocento in quanto essi presentano generalmente un quadro della vita popolare
che va da1 periodo napoleonico al tempo della grande emigrazione di inizio secolo.
Non riteniarno sia questa la sede per esprimere giudizi critici sulle quattro tesi più
sopra esposte. Riteniamo oppomino riporta.de per ofire spunti ad evenhiali studiosi
interessati ad approfondire ulteriortnente I'argomento. Riteniamo inoltre sia
importante prendere in considerazione ed esaminare, qui di seguito, le preziose
testirnoniame rilevate da scritti e documenti, peraitro non molto numerosi ma sema
dubbio interessanti, che hanno contriiuito a gettare uno spiraglio di luce suila storia
della vilIota fidana
Dai manoscritto del XV sec010 "De Patria Illustrata'' dell'umanista J a w p
Porcia si Rleva che già a quel tempo il canto, accompagnato dalla danza, veniva
praticato nella zona occidentale tra il Tagliamento e il Liveriza (42)- Nel17Archivio
della Curia Arcivescovile di Udine e conservato un documento, si tratta di una
denuncia al Santo Ufficio, cial quale nsulta che ne1 1624 a Palaaalo del10 Stella la
notte di Pentecoste venivano eseguiti dei canti per propiziare la pioggia Tali canti
venivano eseguiti a due cori, il che testirnonia che fin da allora le espressioni linco-
musicali avevano un carattere polifonico.
"Mascherate piacevoli et ridicolose per il Carnevaleu di Giovanni Croce è il
primo documento che testhonia la cornparsa di un canto polifonico su versi ottonari
(O). Più numerose risuitano essere inveze le testimonianze nella seconda metà del
w< secoio, periodo in cui ha inizio la raccolta e la catalogazione della villotta con le
pubblicazioni giunte h o ai tempi nostri. In ordine di tempo esse sono Prima e
seconda centuria di cati wmlari fidani , del 1867 per opera di Michele Leicht, a
cui fa subito seguito la Terza Centuria, wrredata da una prefàzione storico-linguistica
di irnportari~i notevole (u). Nello stesso anno viene pubblicato Sami di canti
ponolari fidani ad opera di Giovanw Gortani (4). Ne1 1876 appare la raccolta
Villotte Friulane a cura di Ange10 ArboiNa), da cui sono traîte le villotte scelte per la
presente dissertapone, suddivise secondo le tre grandi varietà linguistiche indicate
dal17Ascoli, e ci&: quella principale parlata a Udine e dintorni, quella con le finali
dei sostantivi in es e quella con le M i dei sostantivi in -as nspettivameute (n).
Segue ne1 1892 la raccolta ViIiotte Friulane ad opera di Valentino ûstemiarm (m) che
ha il pregio di prendere in esame oltre duemila villotte ma sema, purtroppo7 alcune
cenno suila zona di provenienza Ci sono poi nuxohe minori quaii quelle del
Podrecca (49) e del Teui (9) che pero presentano un numero molto esiguo di villotte,
nonchè la raccolta del Tommaseo pubblicata postuma (si). Ail'inuio di questo
secolo molto importante è la raccolta del TeHini Spieli de l'anime furlane con circa
4500 villotte, dcune delle quaii pero già riportate nelle mccolte precedenti (sr). Per
dtre raccolte pubblicate in questo secolo si rimanda il lettore agii Studi di letteratura
pomlare fridana a cura de1 D7Aronw (o).
II presente lavoro di traduzione comprende 1 92 villotte tratte dai volume Villotte
Friulane di Ange10 b i t pubblicato ne1 1876 ( p. 81-103, 154-1 79). Le villotte sono
riportate con la stessa numerazione che appare neila stesura origuiale.. La scelta è
stata fiaiîa in base alla località di provenienza e al particolare tipo di Friulano usato,
prendendo in esame le villotte ritenute le piu rappresentative.
La traduzione ha pmentato delle difficoll per quanto nguarda voraboli e forme
idiomatiche obsolete e per la @a decisamente singolare di alcune cornposizioni. In
alcuni casi si sono incontrate difflcoltà ne1 rendere in traduzione il contesto in cui si
wolge I'azione descrina, tenendo presente la densità e brevità della villotta 11 testo
originale a fkonte mette in risalto la densità e la pregnanza di significato del Friulano
rispetto all'Italiano. Nella versione italiaaa non si è tenuto conto della metrica,
privilegiando la traduzione letterale.
DA MOIMACCO, NELLA CAMPAGNA UDINE= VERSO CIVIDALE
177.
Quando ero piccolina
Ero tanto orgogiiosa di me stessa;
Ce I'avevo cosi streîtina
Come I'occhio di un cappone?
Qum ch' 'O en piccinine,
Mi tignivi tant in bon;
'O la 'vevi sb'ettuline
Come un vôli di ciappon.
* allusione di significato equivoco
178.
Le mgazze udinesi Lis fantatis udinezis
Non hanno aicun ingegno, E? no àn nissun inzèn,
E se vogliono maritarsi E se vueh maridâssi
Devono costmini un uomo di legno ScueiTin &si un om di lèn.
179.
Ambedue su di una sella
Non si possono accomodare;
Questa sera devo utpere
Chi, tra loro, devo sposare.
Duc e doi su d'une sielle
No si pu& wmodâ;
Cheste sere ai di savelle
Chi di lor ài di spozâ.
180,
Ragazzine fate le crocette,*
che 1 giovanom vanno soldati;
Adattatevi a zoppi e gobbi,
A nani e storpi.
181.
Porta il cappello da bullo,
E il @le da wrtigiano;
Ed ha sposato una giovane
Che non vaie nulia
Fantaccinis, fait crozettis,
Che 1 fantass e' van soldiiss;
Adattaisi a suess e gobbos,
A oanins e stmpYâss.
El ciappiel al l'à da bulo,
E '1 gilè da cortesan;
E 1 'a ciolt une fantate
Che no val un carantan *
* vecchia moneta di rame di poco valore del Ducato di C a r i ~ a
DA GEMONA, PRESS0 L'IMBOCCATZTRA DELLA V A L U DEL FELLA
183.
Ho provato malincania,
Ho provato freddo d'invemo,
Ho provato la gelosia:
Sono tre pene dell'infemo.
À provat malinconie,
Ài provât il fren d' invièr,
provât la gelozie:
Son tre penis da I'infier.
183.
Matta tu! Matta tua madre! Matte tu! matte to' mari
Due mattone tutt'e due; Doz mattonis duttis doz;
Non lo sai, tu carogua, No lu sastis tu carogne,
Se posso essere il tu0 innarnoraîo? S'i' pues jessi '1 to' moroz?
1 84.
Questo qui non è un paese, Cheste chi no è une ville,
È una punta di c i e Je e une ponte di cittât,
Le fanciulle che ci vivono Lis fantatis ch'a son dentri
Hanno il colore del latte schiumato. Son color di Iâtt sbmàt.
185.
I giovanotti di questo villaggio 1 fan& di cheste ville
Non valgono un0 da dieci;* A no valin un da diz;
Se non c'eravamo noi a difenderli S'a no èrin a parallis
Se li rnangiavatlo i topi. Ju rnangiavin lis suriz.
* uno da dieci = moneta veneta
186.
Una volta le belIeze
Conducevano al marito;
E adesso, si! gira Rossa,
Gira FIora! verso San Vito.*
Une volte Lis bellacis
A menavin a m a
E cumo, si! volte, Rosse,
Volte, Rore! par San Vit
* è ta voce che dà il contadino ai te mucche. San Vito è la focaliti dove si trova il
cimitero di Udine-
187.
Brutta strega. chi ti ha chiamata, Brutte strie, cui ti a clamade;
Chi ti ha detto di uscire? Cui ti à ditt di vigni tllr?
Vogiio andare dritto per la mia sûada, I o uei Iâ drett pa' me' strade,
E manda* a far benedire. E mandâtti a ciolli in cd.
188,
Non sono un battente di porta, I o no soi un scùr di puarte,
E tantorneno un'imposta di fin- E tant mancul di balcon;
Ne ho gia trovata m'dtra, 1' 'nd' ai già ciattade un'altre,
Con più fede, che si e promessa Cun plui fede, e promission.
189.
Sposati pure con Meni O con Tonio, Ciolti pur O Meni, O Toni,
Che per me è proprio Io stesso: Chè par me 1' è chel istess:
Voglia Dio che il matrimonio Uèli Dio ch7iI matrimoni
Ti m m a posto per bene le ossa A ti cuinci ben i uèss.
190.
Io non voglio nè campi, ne terra,
Io non voglio un capitale;
Io non voglio che quel fiorellino
Che hai sono al grembiale.
Io no uei nè ciamp, ne cierre,
I o no uei un capitâi;
Io no uei che che' rosutte
Chi tu âs sott il grima.
191,
Tutti mi dicono di maritarmi, Dug mi diz ch' 'O mi maridi,
Ed io non so, non so proprio con chi; E 'O no sai, no sai cun cui;
Prenderei il gatto per la coda, Ciapparèss el giatt pe' code,
E gli direi tufui. futui. * E 'i diress: futùi tzdùi.
* voce con cui si chiamano e si blandiscono i gatti in Friuli.
192,
Pensi di farti desiderare
Con quel seno sbottonato?
Io ti dico che di roba fkolla
Ce n'è sempre sui mercato.
Oh ce crostu, di fa gole
C m chel pètt disbottonât?
I o ti diz che robe fiole
A 'nd' è simpri su1 merciât
193.
Nemmeno in cielo ci sono due stelle, Nancie in cil no son dôs stellis,
Quando c'e il più bel sereno; Quand ch'a I'è il plui biel seren;
Nemmeno ne1 mare ci sono due perle, Nancie in mâr no son dôs perlis,
Corne quelle del vostro seno. Corne chês da1 uestn sen,
194.
Mariettina bianca e rosa,
Come un'ala di corvo;
È un peccato che abbia il gozzo,
E che sia sema innamorato!
Mariuttine blancie e roze,
Corne m'ale di cornât;
L'è un pécciât ch'a 'vei la goze,
E ch'a sei cence f d t !
195.
Ti ricordi, mia cara, Ti ricuardistu, ninine,
Quando dicevo: daF i i ~ ~ grit, Co' disevi: & w@. E un-$ jô, ed un bacio E un: jô jô, e une bussade
Mi arrivavano corne risposta?* Mi vignive rispuindût?
* dal Tedesco, appreso durante le esperienze lavorative ail'estero: dm 1st gut = questo e buono j ô j o = si, si
196.
Quel ricciolo di lato sulla fionte
A quella fanciuila sta tanto bene;
Io le ho fatto la proposta,
E posso dire di esseme padrone.
197.
Teresina è una giovinetta
Che vale più di un milione;
Lei pare una regina
Quando sta su1 suo portone.
Che1 ricciotî sul fiont in bande
A che' nine 'i par tant bon;
I o 'i ai fatte la domande,
E pues di d' 'i sei paroa
Teresine i' è une fiutte
Ch'a val piui d'un milion;
A semèe une regine
Quand ch'a è sui so' porton.
198.
Quaie boria ha mai quel @ovine
Lui, per sentirsi mi grande;
Nella stagione dell'insalata
Sotto ad un c e p lui ci sta tutto!
199.
La vedete in grande pompa
Sempre sernpre a chiacchierare?
Fosse Iunga la giomata!
Lei non fa altro che criticare.
200.
Mariettina criticma,
Tu 10 saï che lo dicouo tutîi;
A ragione la tua padrona
Ti ha mandata fuori dai piedi.
Ce braure a l'a che giovin
Lui par jessi cussi grant;
Ta' stagiou da la salate
Sott rm bar al sta diraquant!
La viodèzo in gran parade
Simpri sirnpri a cizicâ?
Fossie lungie la zornade!
Jè no fas, che criticâ.
Mariuttine criticone
Tu lu sâs che dug lu diz;
Cm rason la to' parone
Ti d mandade fur dai piz
201.
E arrivata una gran chiatta
Con cinquanta sacchi di sale;
Saleremo quelle ragamicce
Che wminciano ad andare marce.
I'è rivade me gran batte
Cun cincuante sacs di sâl;
Salarin ches fantacciatis
Che scomencin 1% di mal.
302.
A bruciare scardaccioni e rami secchi A bruzâ bniscins e bniscis
La minestra prende di h o , La mifiestre pie di fûm,
Ad impicciarsi con ragazmcce A impacciâssi c m bardassis
Si perde ogni dignità A si pierd oiii costum.
203.
Oh, si, si che voglio amarla Oh, si, si, ch' 'O uei amâie
Anche se avesse solo il grembiule; S' 'e no 'vess dome il grumâl;
Anche se pensassi di fde la casa S' i' crodess di fai la ciaze
All'ombra di un faggio. Sott I'ombrene d'un fajâr.
204.
Anche la lepre vive d'erba,
Anche noi aunperemo;
Vivremo una vita sauta
Come il fkate cappuccino.
205.
11 sole tramonta,
E la luna risplende,
E le stelle ti incoronano,
Bambinella del Signore.
206.
Anche i preti si divertono
Qualche volta a far I'amore;
Loro sdtano le palizzate
Sia wu il buio che con Ia luce.
Ancie il jèur al vif di jerbe,
Ancie w ' la c a m e
'1 fa* la vite sante
Come il fiân cappuccin
lï sorèli a1 tramonte,
E la lune a fass splendôr,
E lis stellis ti incoronin,
Bambinute da1 Signôr.
Ancie i prédis si divertin
Qualchi volte a fâ I'amô~
Lôr a saltin lis pdadis
Tant a scûr, che di l d r .
207.
Cosa vuoi discuter tanto,
E di me tant0 parlare?
Mi sembn una pecoraccia
Che è nil punto di crepare.
E ce 'ustu tant discom,
E di me tant feveUâ?
Tu semêis une pionitte
Quand ch'a tire di crepâ
208.
Quel10 che avevo era una pesca, Che1 ch' i' 'vevi a I'ere un piènul,
Quel che ho è un'albicocca; Che1 ch' i' ai 1'e un anneilin;
Quelio che avevo era un giovanotto, Che1 ch' i' 'vevi I'ere un giovin;
Quel che ho è un agnellino. ~ h e i ch' i' ài l'è un agndin.
209.
Dicano pure cio che vogliono; E ch' a dizin ce ch' a uelin;
Non importa niente a me; No m' impuarte nuje a mi;
Io la faccia ce l'ho per sostenerlo I o 'i ai muze di puartâle
E per farglielo rimangiare. E di fajle tigni.
210.
E arrivata la primavera, A l'e ci la primavera,
L'dlegria dei giovanotti; L'allegrie dai fantàss;
Passano a prendere Io loro bella Ciapph su la lor pivelle
E la sera vanno a spasso. E la sere a van a spass.
DA SAN DANIELE DEL FRIüLI
21 1.
Quand0 entro in questo paese
Io vi entro con cautela;
Sono pronti a metterti in Croce,
Se fai un passo falso.
Quand ch' 'O entri in chiste ville
Io 'i entri CO' nguard;
E' son prontz a dB la berte,
Se si mett un pit in mÿut
212.
Voi credevate che lasciandomi Vo' crodevis par lassâmi
Io sarei rimasta cosi;* ch' 'O vess vût di stâ cussi;
Voi non eravate fuon dalla porta Vo' no eris tiir di puarte,
Che un altro era già li. Che un àtri a l'ere 1i.
213.
Io di voi non mi lamento Io di vo' no mi lamenti
Chè siete abbastama di buon cuore; Che ses 'vonde di bon cUr,
Ma bensi di vostra rnadre Ma s&ben di vuestre mari
Che non mi mole per casa Che par ciaze no mi 'ui.
2 14.
Se sentiste dire, mia ma,, Si sintiss a dî, ninine,
Che sono rnorto Iontano dd paese, Ch' i' soi muart fCr di pais;
Per me reciterete un De Profundis, Mi diress un De profimdis,
Perche io vada in paradiso. Par ch' i' vadi in paradis.
2 15.
Chiestale ma rosellina
Mi ha detto che non è sua;
Chiestala corne fidanzata,
Me le ha date tutt'e due.
Domandade une ronitte
Je mi à ditt che non son sôz;
Domandade par morose,
Mês a dadis duttis dôz.
216.
Que1 garofaw senni spine
Mai visto in paese,
Dal seno di quella giovinetia
Sembra essere nato.
Chel garou cence spine
Tal no mai viodût
In ta1 sen di che' ninine
Luialpârch 'alseinassût
217.
Maritatevi, fanciulletta, Maridzüsi, bambioute,
Mantatevi col primo che viene;* Maridàisi al prin che vên;
Voi 10 sapete che anche I'erba Vo' savess che ancie la jarbe
Quando è secca diventa fieno. Quand ch' a è seccie e' va in En.
* alla prima opportunità che si presenta
2 18.
Un garofaoo di montagna
È venuto su1 rnio balcone;
Su di una foglia ha scritto,
Che di lei sono padrone.
Un garoful di montagne
L' è vifiut su1 mio balcon;
A 1' à scritt su d'une fùe,
Che di je no soi paron.
219,
Godete pure, fate festa.
Li da voi va Mta bene;
Io non ho più contentezze;
Qui da me tutto e finito.
Gioldit pûr, fait allegreccis,
La di vo' al va dutî pulIc
I7 no iii plui contentmis;
Cà di me 1' eV dutt fi&
230.
Tu sei di casato nobiIe, Tu tu sês di ciaze grande,
Ed io sono di umile estrazione; E io sôi di picciul stât;
Ma non per questo mi inginocchio, Ma par chest no m' inzenôli,
E non chiedo la carità. No domandi c a r i a
DA PURGESSIMO, PRESS0 CIVEDALE
221.
Buonasera casa buia, Buine sere ciaze scure,
Accendetemi la luce; Impiàïmi il Iuzor,
Questa e la prima sera, Cheste i' è la prime sere
La sera in cui comincio ad arnoreggiare. Ch' i 'scomençi a ta I'amor.
222.
A questo mondo non c'é nessuna
Che mi piaccia più di voi;
Se il Signore mi desse fomuüi
Io I'amore 10 farei con voi,
in cheist mond no 'nd' è nissune
Che mi plazi plui di vo';
Se il Signor mi dess fortune
Io l'amor faress cun vo'.
223.
Quella bidmna di tua madre Che' birbone di to' mâri
Ti ha lasciata marcire;* Ti a lassade zi di mal;
Non avrebbe dovuto rendersene conto No si 'veve di 'visassi
Mentre il grembi de cresceva? In ta1 cressi da1 mai?
* ne1 senso di sciupata a causa di una gravidanza indesiderata e prima del matrimonio.
224.
Con quel seno di rosa
Mi avete fatto innamorare;
Se la mia morosa siete
Non mi dovete abbandonare.
Cun chel sen fornit di roze
Mi 'vess fatt innamord;
Se vo' sês la me' moroze
No mi 'vess di bandonâ
225.
Cuoricino che tanto adoro,
Io ti voglio tant0 bene!
Se ti incontro per la strada,
Se c'è nuvolo mi par sereno.
226.
Non lu sai, fanciulletta,
Che il mio cuore è per te?
Cambia vita, metti giudùio,
Lascia quel10 e scegli me.
227.
La Rosetta va per la strada,
E Toniw va per il sentiero,
Quando sono a rnetà strada
Loro due si incontrano.
Curinn che tant ti adori,
Io ti uèi tant di chel ben!
Se t'incontri par lis sûadis,
S ' a 1 'e nûi mi par seren
No lu sastu, bambinutte,
Che '1 mio cur a I'è par te?
MU& vite, fai judizi,
Lasse chèl e ciolmi me.
La Rozutte va pe' d e 7
E Tonin al va pel troi,
Quand ch' e' son a miezze strade
Lor si ciaîtin duc e doi.
228.
Finche mi trovo su questa terra
Vogiio godere, vogiio m;
Voglio godermi I'dlegria,
Non voglio piu essere triste.
229.
Che bel paio di wlombelle
Che tenete ne1 vostro seno;
Ne1 cielo non ci sono due steile
Accoppiate cosi bene.
Fin ch' 'O sbi su cheste tiarre
'O uei gioldi, 'O uei amâ;
'O uei gioldi I'allegrie,
Plui passion no uei puartH
Ce biel pâr di colombinis
Che vo' 'vess ta1 uestri sen;
In tel cil no son doz steIlis
Compailadis cussi ben
230.
Non vorrei che il cuore mi dolesse,* No 'orress che il CÛY mi dueli,
O provare un gmn dolore; Che jo vebbi un gran dolôr,
Se dovessi vedere la mia innamorata 'Vint di viodi la moroze
Con un dtro a far I'amore! C m d'un altri a fa l'amor!
* ne1 sens0 di provare un grande dispiacere
231.
Benedetta sia la madre Benedette sèi la mâri
Che ha messo al mondo quella figliola, Che à mitîût che' fie al monci,
Con quel bel vitino Cun che' bielle vihiline
E con quel petto cosi tondo! Cun chel pett cussi tarond!
232.
Benedetta la maniera
Che voi avete di arnoreggiare;
Se io avessi il cuore di pietra
Me Io fareste innamorare.
233.
Se ma rondine io fossi
In quella casa volare vorrei.
Batter vorrei tanto le d i
Finche entrar dentro potrei.
Benedette la maniere
Che vo' 'vess di rnoroz&
Se jo 'vess il ciir di piere
Vo' me 'I fais innamorâ.
Se jo foss une cizille
in che' ciaze 'oress svolâ.
'Otess bâtti tant lis dis
Fin che dentri podess lâ
234.
Amoreggiate con me, Miutte;
Oh, ricorninciamo a parlarci:
Verri, con dolce @a
Come il prete quand0 confessa
235.
E quell'albero che in-
Che fiorisce in ogni stagione;
È dolce corne la manna,
Ma quel iïutto non è buono.
236.
Mariettina, lasciamoci ;
Lasciarnoci che è meglio;
Per la strada salutiamoci,
Ma ognuno per i fatîi suoi
Fait l'amor cun me, Miutte;
Oh' tominsi a favelI&
Vi+ c m mutte
Come il prêdi a confessâ
L'è chel arbul che l'ingianne,
Che al floriss ogni stagion;
A I'è dolç corne la manne;
Ma chel pom a no I'e bon
Mari uttine, bandoninsi;
Bandoninsi ch'a l'e rniei;
fer la strade sdudinsi,
Ma ognidun per i fatz sièi.
237.
Quelli che h o n o 17&arono
E noi l'amiffiamo:
Amiffata 1 ' abbiamo trovata,
Amiffata la fasciamo.*
* da intendersi la matassa del mondo
238.
Questa è una letterina
Che mi mm& il mio momso;
Benedetta la manina,
E quel10 scrivere grazioso!
239.
Io di fuori nella nigiada,
Io di hori sempre a patire;
Voi nella camera chiusa
Che vi pascete a domiire.
Chei che forin la imbrojàrin.
E nôaitris la irnbroin:
hbrojade la c i a m
E imbrojade la lassin
Cheste i' è une lettarine
Che mi mande il mi0 moroz;
Benedette che ' manine,
E chel scrivi grazïoz!
Io' di fur a la rode,
Io' di tllr simpri a pati;
E vo' in ciamare siarrade
Che si passis di durmi.
240.
Benedetta I'antichità, Bmedette 1 'antigiie,
Benedetto il tempo andato; Benedett il timp pas&;
Mdedetto sia 170giio,* Maledette sei la vrâe,
Che il fiumento ha consumato. Che il forment à consumât.
* anche zinania; per stensione qualsiasi ehcc ia che consurni il b e n t o
241.
L'ho vista tutta a festa L'ài vidude in di fieste
Quando ero al tir0 al gallo,* Quaml ch' 'O jeri a trâi al giail
Mi è caduto il sasso a terra, Mi è colât il clap par tirne*
Mi sono sentit0 un fringuelIo! Soi restât corne un boccai!
* in alcune località del Friuli, ad esempio Località Gallo, tra Sant Andrat del Judno e Ruttars, durante le feste d'estate si tenevano delle gare di destrezza che consistevano ne1 lanciare dei sassi e centme un foro su delle tavole poste a distanza; ai vincitore veniva dato in premio un gallo.
242.
Oh, prima di maritarsi
SoIo rose, solo fiori!
E p i dopo maritate
Solo s p k e dolori!
Oh, davant di maridassi
Nome rozis, nome flors!
E po' dopo maridadis
Nome spinis e dolors!
243.
La rugiada del rnattino
Bagna il fiore del seotimento;
La nigiada della sera
Bagna il fior del pentimento.
La rozade de matine
Bagw il flôr del sentiment
La rozade de la sere
Bagne il flôr del pentiment.
244.
Voglio andare vestita di nero, 'O uèi Iâ vistude a neri,
Voglio andare vestita a lutto; 'O uèi ià vistude a SC*,
Tuttavia l'more ver0 Ma per altri I'amor vieri
Rimarrà sempre dentro al mio cuore. Starà simpri tal mio ciir.
245.
Maritatevi donzelle,
Sperando che vi porti bene;
Se quest'anno siete leggiadre,
Vedremo p i I'anno che viene!
Maridàisi fantaccinis,
Cun spenuize di 've' ben;
Se chisst an sês galandinis,
Viodarin chist an CU ven
246.
Quel grembiule di tela indiana,
Quelle cake di color .. .
Due, tre miglia la Iontana
Quella bimba fa splendor.
247.
Quel grembiule sema fettuccia
Si puo dire che ben non stia;
E un giovanoto sema bella
Si pu0 dir che fesso sia.
Chel gurmal di andiane,
Chès cialzuttis di color . . .
Doz tre miis a la lontane
Che' bambine 'e fess splendor.
Che1 gurmai sençe curdelle
Si po' dî ch'a no1 par bon;
E un fantât sençe pivelle
Si PO' dî che l'è un mincion.
248.
Andate dicendo e mdate vantandovi Lait dizint e làit vantansi
Che voi me non mi volete. Che vo' me no mi volèss.
Ma se pensate che sia io a chiedervi * Se spiettàit che jo 'us domandi
Arriva l'anno di n.edici mesi. A ven l'an dai trediz mes.
249.
Al trarnonto il sole scende,
E la luna è uno splendore,
E le stelle fan corona
E i giovanotti fm I'amore.
250.
Quel garofano ne1 bicchiere,
E quel bicchiere alla fine-;
Datemelo giù, bambina ara,
Che sento se profuma
25 1.
A cosa serve essere bella,
Essere di buona famiglia;
Ed avere la mggine sulla bocca
Come la mani-glia del portone?
iI soreli ai tramonte,
E la lune ' e fas splendôr,
E lis stellis fan corone
E i k t a z fâzin I'amor
Che1 garoful in te7 tazze,
E che' tazze sul balcon;
Demmal jù, bambine ciare,
Ch' a lu nazi s'ai nul bon.
E çe zovial jessi bielle,
Jessi fie d'un bon paron;
E 'vê il riizin su la h c i e
Come iI cl- del puarton?
252.
Con un colpo non cade un aibero,
Ne con due si puo abbattere;
Verrai hr, fmciuiletta,
Verrai con me a passeggïare?
C m tun bott no ciad un d ù i ,
Ne cun doi no1 po' ciadê;
Vepnarastu. barn binute,
Vegministu a spass c m me?
DA CIVIDALE DEL FRllTLI
253.
Se Io vedo da lontano Se lu viod a la Iontana
Come un rmocchio mi sobbalza il cuore; Come m crott mi sbalta il c k ,
Se io fossi nella tomba Se jo foss in seppoltura
Riuscirei a saltar fiion, 'Rivaress a dtâ f2r-
254.
Benedetta quella bocca!
Non parla se non col somso;
E mi sembra proprio un ange10
Sceso da1 paradiso.
Benedetta sei c he' boccia!
No favella se no rît;
'E mi pâr un agnul propri
Vignût jù del paradiz.
255.
Benedetîe le parole Benedetûs lis peraulis
Quelle che dice il mio innamorato; Chès che al diz il mio moroz;
Le dicono anche gli dm, E lis nin'n ancia i altris;
Ma non sono corne le sue. Ma no son wme lis sôz.
256.
Sempre bella è la gallina
Fino a che porta le piume;
Ma se il gallo me la rovina
Lei cambia colore*
* riferito alle penne
357.
Oh, rendetemelo! Oh, rendeterneIo!
Che mi avete rubato il cuore!
Io 10 so c he voi Io avete
Annodato ne1 fazzoletto.
Simpn biella la gidlina
Finch' 'e à la pluma atiôr,
Me se 'I giall me la ruvina
'E si muda di colôr!
Oh, tomàimal! oh, tornàimal,
Che '1 mio ciir mi 'vess ciolett!
'O lu sai che 'vess di vêlu
hgroppât tal fanolett.
258.
Date uno spintone a quella porta, Dàit un sburt a di che' puarta,
Che saki il chiavistelIo; Ch'al si alçi chel sahel;
E che esca l'innamorata, E che jessi la momza,
Che io l'abbraccio, Ch' 'O la ciappi a braçacuell.
259.
Oh, tu, stella, bella stella,
Oh, rivela il mio destino;
Dietro va a quella montagna
Là dov'è i l mio amorino-
Oh, tu, stelfa, bieIIa stelIa,
Oh, palesa il rnio destin;
Va daUr di che' montagna
La ch'd è il mi8 curuzin.
260.
Tumi i fiori in primavera, Duc i floa di primavera,
Tutta la bellena che giunge in aprile, Dutt il biel ch'd vên d'avril
Sono un nulla di fi-onte all'aspetto No I'è nuja a front de çiera
Cosi gentile che voi avete. Che vo' 'vess cussi civil.
26 1.
Amare chi non ti m a ,
E un amore disperato;
10 te 10 &CO, io l'ho provato,
È un iafemo anticipato.
Ami cui ch'a no ti arna,
L'è un amor da dispe*
JO tal diz che I'ài provada,
L'è un infiârr anticipât
262.
Andate a cercare fiori in montagna, Vait a rozis in mon-
E non venite dove ce ne sono; E no vegnis là ch'a 'nd' è;
ParIate con i miei di casa, Faveilkit cui miei di ciaza,
Che son loro i miei padroni. Ch7a son lôr parons di me.
263.
Morir, morir, pazierua;
Che a questo mondo non si sta;
Ma è dura la sente-
Il non saper dove si va.
A mwÎ, murî, pazienza;
Che a chest mond no si a di st&
Ma i7 è dura la sentenza
No savê dulà si v â
264,
Carnica son, Carnica son,
Figlia di un tessitore:
Ne1 girar la navicelia
h p a i a fa I'amore.
Soi ciariielle, soi ciariielle
E soi fia d'un tiessidor,
Biel buttand ia navezelle
tmparai a fa I'amor.
265.
È ben vero che a bruciare frasche L'è ben ver che a b d fiascis
Si dishlrba tutto il fuoco; Si disturba dutî il füc;
Avere a che fare con un briccone Impinassi cm d e
Si perde ogni virtù. Si piard dutta la virtût-
266.
Cullatela, cullatela
Che si possa addormeutare;
L7amor che la consuma,
Non la lascia riposare.
N i d à i l a , nizdàila
Ch' 'e si possa indurmidi;
E I'amor che la consuma,
No la lassa mai durmî-
267.
11 giovanotto è andato in guerra,
A combatter per l'onore;
Pregherem mattina e sera,
Perche tomi vincitore.
268.
Dove son quelle belleze
Che pretendete voi di avere?
Forse son sotto le trecce,
Che nessun le puo vedere?
269.
Tu sei bella, tu carina,
E tutti te Io diwno;
Tu sei un raggio di sole,
La colomba del paese.
11 fantatt I'e lit in uerra,
A combatti par I'onor,
Prearin mattina e sera,
Parchè al torni vincitor.
Dula sonin cbès bellezzis
Che pretendis vo' di vè?
Sonin forsi sott lis trezzis,
Che nissun lis po' vedê?
Tu ses biella, tu ninina,
E ognidun a te lu dV;
Sês un raggio cial sorèli,
La colomba del pdlir
270.
Con rasserenata fionte,
Con quegli occhi pieni d'amore;
Maddalena assomigliate
Convertita da1 Signore.
371.
Oh, bellezza delle rose,
Dei profûmi in quanti*
Io là dentro non b lascio,
Sposar vogiio una r h t à .
Se Ie stelle fossero cosi basse
Da poter pariare,*
Direbbero cose belle
Che nessuno ancora conosce-
Cun chei fiont a la sereaa,
Cm che' vôi pietoz d'arnôr,
Semeàis la Madddena
Convertida dai Signor.
O ninina dei garofbi,
Dei d o n in quantitât;
10 là dentri no ti lassi,
Vuèi spom una raritât.
Se lis stellis fossin bassis
Che podessin favellâ;
Dizaressin robis biellis
Che nissun anciemo sâ.
273.
È questo il sentier0 del podere
Che mi porta a fa l'more?
Siete voi barnbina bella,
Che piacete a tanti?
274.
Benedetta quella colornba
Quella colomba dell'divo!
Che ne1 bosco ai10 sbaraglio
Va cercando di fare il nido.
275.
Tutto il mondo alla rovescia
Io Io vedo camminare;
Tanto Iontano da quel la traversa
Non è possibile che io posa stare.
bel ch& il troj de' braide
Che mi mene a f"a l'mot?
Seso vo' bambine bielle,
Che plazess a tanc di lor?
Benedette che' colombe
Che' cotombe dell'ulif!
Che al busc, alla sbarâie
'E va in cercia di fa il nit!
Dutt il mond aiIa roviersa
Io lu viod a ciammin&
Tant Iontan di che' traviersa
No I'è casch' 'O puedi stâ
276.
Io ti guardo, ti rimiro,
E mai nieute io ti dico;
Va il sole al tramooto,
E giunge 170ra dei pensieri.
277.
Sono awezzo aile pianure,
Le colline mi va pesando,
Io ti prego, bambina cara,
Non fmi venir per niente?
* a fd visita
278.
E quelle porte wsi chiuse,
E quel baicone cosi sbarrato!
Cosa fai, bambinella,
In una taie oscurità?
I o ti cili , io ti smiri,
E mai nuje no ti dir,
Ai si monte lu soréli,
E ven l'ora dei pinsin.
Soi usât a lis planuris,
1 pecôi mi van pezand,
'O ti prêi bambina ciara,
No mi Fa vigni di band
E chès puartis tant sierradis,
Che1 balcon tant inclostrât!
E ce fastu bambinutta,
T'ma ta1 oscitât?
279.
Non sapevi tu, assassina,
Che dovevo io veniire?*
Se in me avevi fede,
Non andavi a dormire.
No savevistu, 'sassina,
Se no 'vevi di vigniî
Se tu 'vevis fede buha,
No tu lèvis a d-.
* a farti visita
516.
Se io fossi una formica Se dgio foss una fonnia
Tutti i muri vorrei attraversare; Ducc i murs voness pas*
Vorrei andare vicino a quella figiiola Vorress ô dongia a che fia
Su quel letto a tiposare. Sun chel Iiert a repozâ-
517.
Se io fossi Sant7Antonio
Quanti miracoli vomi fke!
Seccar vomi far quella lingua
Che tant0 vu01 di me parlare.
Se dgio foss un Santantoni
Quanc miniCChi voress fa!
Vorress fil secciâ che' Ienga
Che de me vol tan park
518.
Se incontrate la mia sposa
Piano piano da me portatela;
Se trovate I 'ombrellina
Quando piove voi usatela
5 19.
Si sta poco a maritmi,
Si sta poco a dir di si;
Si sta poco a lamentarsi
Quand'è passato il primo di.
520.
Io non so se c'è nuvolo
Io non so se è sereno;
La mia gente e all'osteria
La mia casa non va bene.
Se cciattàit la me' nuviccia
Vo' rnenàimela plan planc;
Se cciattait le ombrenucce
Mendila refiesciant.
Se sta pùoc a maridâssi,
Se sta pùoc a dî de si;
Se sta pùoc a lamentâssi
Qum che 1% pas& '1 prin di.
Dgio no sai cigio, se I'è nûvel
Dgio no sai 'se I'è saren;
La me' zent è all'osteria
La me' cciaza no va ben.
521.
Madre mia son maritata;
Ho sposato un mestierante;
Quando la pentoia è rotta,
Lui ci mette una toppa andante.
522.
Madre mia son maritata
Ho sposato un ometto,
La notte che mi sono sposata
L'ho perduto dentro al letto.
523.
Di che cosa vi vantate
Quando voi non mi volete?
Che ve Io chieda aspetterete * E p i dopo Io direte.
Mâri me' Soi maridada;
h toliet un ccialnimit;
Quand ch'è rotta la pignatta,
Al 'dgie mett un taccunît
Mâri me' soi maridada
Ài tollett un omenût,
E la nott che soi spozada
Via pal liett 'O I'ài piardût.
Cce vole-va vantaggiàisi
Quand che vo' no me voièz?
Spenurèi che ve domande
E po' dopo lu dirèi.
* di essere mia sposa
524.
Oh che befIa scatolina;
Che tabacco buon che ha;
Me ne ha data una presina,
Che mi ha fatto innarnorar,
525.
Madre n i a son maritata
Un abbnistolito mi son presa;
Egli è qui sopra la cenere
Non ha cuore e non respira.
Oh cce bieila sciatulina;
Oh cce bon tabacc ch'a l'â;
Mi 'nd' a' dât una prezina,
Che mi à fàtt imamorâ-
Mân me' soi maridada
Ài tollett un bnistulg
A I'è avui sulia ciniza
Ch'a no l'à nè cour ne flâ.
DA RUBIGNACCO, NE1 PRESSI DI CIVIDALE
526.
Guardate quella bambinetta;
Voi guardatela da tergo,
A me pare una fasciaetta
Dentro ai fomo bruciacchiata
Oh ciaiàit che' bambinutte;
Oh ciàlaila par davôr,
Mi somèe 'na fiusinutte
BniBnade su paf for.
527.
Madre mia sono ammalata,
Ed ho paura di morire;
E nè nippa ne panata*
A me servono più
Mari me' 'O soi malade,
E ài pure di muri;
E ne soppis ne panade
No mi zove plui a mî.
* tipico piatto friulano fano con pane raffermo, acqua, oiio, semena di finocchio, cucinato per un giorno inter0 a h o molto lento e mangiato il giorno seguente.
528.
Madre mia son maritata,
Uno storpio ho sposato;
E caduto neila cenere
Ed ancora non si è riaizaîo.
529.
Sta sognando la graziosa
Di quel giovin benedetto;
Si sveglia e non trova nulla,
Sol bagnato tutto il letto.
Mâri me' soi maridade,
E Ai ciolt un scuintiât;
L'è coiât in te çinize
E anchno no I'è jevât
Che' ninine s'insumie
Di chei zovin benedett:
Si dismof, no ciatte nie,
Nome duit bagnât il jett
530.
Io non sono un delinquente, 'O no soi 'sassin di strade,
E nemmeno un baditor, E nè nancie un traditôr,
Son padron di andar per s t d a Son paron di Iâ pe' made
Con chi voglio a fhr I'amor. Con chu' 'O m i , a fa I'amor.
531.
A San Guarzo fan scodelle
A Rualis fan forchette,
A Togiiano ci son le belle;
Rubignacco ha i fiori.
532.
Eccolo che tira Io spago
E che batte il rnartelletto,
Sol perchè è sull'armatura
Retende di vedere tutto.
A San Uàrz fazin scujellis
A R a d s fazin pirôns,
A Toàns a son lis biellis;
Ruvignass a l'a lis flôrs.
Vèllu là ch'al rire '1 spali
E ch'al batt il martiellûtt
Lui par 'se' su I'amadure
A 1' pritint di viodi dim
533.
Quella stanza a cake bianca,
Quel balcune rifinito,
La barnbina che vi è dentro
Ha il color del latte e del Mno.
Che1 I d di malte blance,
Che1 balcon di lustri fin,
Che' bambine ch'a 'i è dentri
L'è culor di Ett e vin,
534.
Quelle f i n e con le infimate; Chi baicons di filliade;
E quelle porte di ottone; E ches puartis di letton;
Per sposare quella bambinetta Pe' spozâ che' bambinutte
Ci vogliono signori col velo !ungo.* Vuelin siors da1 velledôn,
535.
Lui e piccolo e magretto,
E cornunque l'ho sposato;
Gli ho messo la briglia*
Per non perderlo ne1 letto
A I'è piçul, a I'è miser,
Tant e tant Io ài ciollett;
'1 Ai mittude la ciavezze
Par no pierdilu in ta1 je^
* rifenmento al mondo animale
536.
1 giovanom di questo paese
Hanw preso fieddo I7 inverno;
La bina è arrivata
GIi è venuto iI calcinaccio,*
* rnalattia che colpisce polli e uccelli.
537.
La domenica mattina
Io vi invito a casa mia;
Vi daro il geranietto
Perche Io meîtiate su1 gilè.
1 fantâz di cheste ville
E' àn cia* il frett d'inviârr,
'1 è caiade la çilugne
'1 è vinid il cialçioâr.
In domenie di matine
I o 'us invidi cà di me;
'Us darai la canne1 line
Ch7 'O mettedis sul gilè.
DA W N A , NELL'ALTA VALLE DEL FELLA
538.
Oggi parto, domani vado via Uoi io part, doman voi vie
Nelle vostre braccia lascio il mio cuore; 'N bnu~: a vo' lassi '1 mio cûr,
Fategli buona compagnia; Fais 'i bùne compagnie;
Ritorno presto se non muoio. Prest io torni s'a no mûr.
539.
Oh fancid te, fanciulline,
Siete andate a riposare?
Siete in piedi? Siete supine,
O al baicone ad ascoltare?
O fantattis, fmtaccinis,
Seu, lâdis a durmi"!
Sezo in pis? Sezo ponètis
O ai balcon sezo a sintî?
540.
Bume giù lenniolo e rïmbocco7 Penàit jù iinnii e plette,
Venite fuon su quel baicone, Faisi in cà su chef balcôn,
Una parolina devo dwi, Ch'ài di dî une perauline,
Che domani vado lontano lontano. Che doman vo' lontdn.
541.
IO lavando le stovigiie
Un gelsomino ho trovato;
Preso l'ho e messo da parte,
Al mio bel l'ho regalato.
I o lavant la massarie
'I ài cciattât un bielsamin;
L7iii jevât, e mettût vie.
L'ài do& ai mi0 ninin.
542.
Oh fanciulIe, fanciulIacce,
Vi siete fatte proprio onore!
Venduto avete la camicia
Per pagare i suonatori.
O fantattis, fantacciatis,
Si 'vess fââ un biel onôr!
'Vess vendude la ciameze
Par pajâ i sonadôn.
543.
Tutti mi diwno zitetla, Ducc mi diz ch' 'O soi vedràne,
Ed ho pretendenti da molte zone; E ài fantâtz d'ogni region;
Ne ho di Dom ne ho di Chiusa* 'Nd' ài di Dogne, 'nd' ài di Sclwe,
Di Pontebba e di Venzone, Di Pontiebbe, e di Vencion.
* Chiusaforte, neIla Val del Ferro.
DA SAN PLETRO AL NATISONIF,
544.
Oh che fusto di giovanotto! Oh çe aste di biel zovin!
Oh che incedere nobiIe! Oh çe nobil ciamminâ!
Vogiio vedere dove cammina, Uèi cialâ là che '1 ciammine,
Ià dove passa voglio baciare. Là ch'al pescia 'O uèi bussâ.
545.
Tutti mi dicono di sposarmi; Ducc mi diz ch' 'O mi maridi;
Ab no, non è il caso, no; Ah! no no, ch'a no I'è caz;
Che mi dicano di dire,* Ch'a mi dizin che 'O dizï,
Chi mi piace IO diro. Ch' 'O dirai chel ch'a mi piaz
* che mi chiedano
546. 546.
Benedetîo quel sentier0 Benedett il troj di braide
Dove andavo a far I'amor! Li ch' 'O tevi a fii I 'amer!
Ho creduto di prendere un giovane* 'O iii crodût di ciolli un zovin
E mi sono presa un traditore. E ai cioliett un traditôr.
547.
-Se ti tocco ma manina, - S' 'O ti toccie une manine,
Glielo dirai al tuo innamorato? '1 al dirasni al to' moroz?
- Perche vu01 che giielo dica? - Par çe 'ustu che 'i al dizi?
Tocca, tocca tutt'e due! Toccie, toccie dutis doz!
548.
Oh fanciulla, fanciulietta,
Siete andata a riposare?
Oppure siete in camicietia,
Sul balcone ad ascoitare?
O faatatte, f811tacciutte,
Seu, Iâde a donniu
Oppur sezo in ciamerutte,
Sul balcon a stâ a senti?
549.
Tra il fienile e la muragiia
Io gliel'ho chiesto;*
La risposta che mi ha dato
I capelli mi ha fatto rinare.
550.
sedaquestepartipasso
Con gli agnelli a pascolare;
Di roseti ma ghirlanda
Su quel seno deve volare.
Tra Ia cize e la muràde
I o l'ai fatte domanda;
La nspueste che mi à dade
Iu ciavèi mi à fatt d r e A
Se jo passe par 'ste bande
Cui ailei a passon&
Di r o m une ghirlande
In chel sen à di svoiâ.
DA ENEMONU), ALLA CONFLUENZA DEI FLUMI DEGANO,
TAGLIAMENTO E LUMEI
551.
10 lavando le stoviglie
Mi son messa a meditar,
Dover dar il mio vitino*
A quel vecchio a wnnrmar.
JO lavant Ia massarie
Mi mettéi a pins*
Vê di ci6 la me' vitine
A chel viêli a consumâ.
* da intendersi corpo
552.
1 Camici mangiano la jota,* I Ciargnei mangin la jotte,
E la condiscono con stoppimi;** E la c u i b coi giardons;
E si pemiiano la festa, E la fieste a si petténin,
Per sembrare buoni padroni. E par fisi boins parons.
* tipo di minesha senza pasta ne riso caratteristica della zona montana del Friuli ** tipo di erba
553.
Mentre io lavavo i piatti
inventai questa canzone,
Che mai pi9 non mi mante,
Se di voi non ho il perdono.
Biel lavant Ia massarie
'O midiai cheste ciançon;
Ch' 'O mai plui no mi maride,
Se di vo' no ài perdon.
554.
Oh so ben che sei ambiziosa, 'O sai ben che tu às braure,
Che tu mi vuoi catlzonare; Che às di fammi la cjançoa;
Cornunque tu non ti mariti Tant par chel no ti maridis
Nemmeao se avessi quattro milioni. * Se tu 'vas cuattci milion
* ne1 sens0 di dote cospicua
555.
Mio caro! Non pretendevo
Che con me aveste trattato;
Mi avete per scherzo cercata,
Io per gioco ho accettato.
Benedett! no pretindevi
Che cun me 'vessis trattât;
Vo' par scherz mi 'vas çeride,
Iopargustàiaccenât
556.
Questa sera sema Irene!
E che mai sarà di me?
Se I'mor non porta pene
Lontan non muoio io da te.
Cheste sere senze 'Rene!
E ce mai sarà di me?
Se I'amiier no puarte pene
Io no mûr Iontan di te.
557,
Llna stretta di manina, Une streite di manine,
Assieme al mi0 cuore ti donai; Col fi0 cUr ti mase@;
Tieailo da conto, cara barnbina; Tenlu cont ciare bambine;
Accanto al tu0 10 mettero- Domgie il ccio' tal mettemi.
558.
Quella viola spanm'na Che' viole sparvidine
Raccolta dal vaso or ora, CcioIte su ciai vâz cm8,
Voglio douarla a quella carina, Vuei donâle a che' ninine,
Quella con cui adesso amoreggio. Che' ch' 'i fass I'amor curno.
559.
Fra il mare e la laguna
b domandero di voi;
E se c'è fede sincera,
Morir si, ma mancar mai.
Enfie il mar e la marine
Io di VO' dommderzii;
S'a è fede di che buine,
Murî si, ma mancià mai.
560.
L ' irmenta gioventù
Quando vive i suoi giomi,
E come una tempesta
Quando cade sui paesi.
561.
Un tempo un giovane io avevo,
Adesso io non ho nessuno;
Fortuna p o s a mai lui avere,
Finch'io non ne trovi uno.
562.
Che volete prendere in giro,
Che volete canzonar?
Non mi manca un giovanotto
Finche ce n'e da maritar.
ZoventÛt precipitade
Quand ch'a i son in tai Iùer dîs
A i fass come la tempieste,
Quan ch7a cole sui pals.
Une voIte 'O 'vevi un zovin,
E cumo no 'nd' ài nissun;
C'ai no pues mai 'vei fortune,
Fin ch' 'O no 'nd' in ciatti un.
Cce volezo cciolli vie;
Cce volezo rnincionâ?
Un f d t a no mi mancie
Finche 'O son di marida
563.
Madre mia sposato ho un vecchio. Mâri me' ài cciolt un vieli,
E che mai ci posso far? E ce mai ajo di tà?
Io al prossirno mercato E lu prin rnarciàt ch' a tome
A cambiarlo voglio andar- 'O vuèi lâllu a baratta
564.
E le noci costan care,
Dover andarle a cercar,
E prima di &le via,
Ne dobbiamo noi parlar.
E lis nôlis cùstin cciaris,
Vê di Iâilis a raspâ;
E devant di dâllis vie,
No' 'i vin di feveilâ
565.
E no no, non voglio più noci, E no no, no vuèi pui nôlis,
Che le noci mi f a male; Che lis nôlis mi fhss mai;
Tenete voi quelle di tasca, Tegnit vo' ches di sacchette,
Ch'io mi tengo quella del grembiule? Ch' 'O mi t h che7 dal grima.
* allusione di significato equivoco.
566.
Mi ha mandat0 a dire il mio giovane, Mi a r n d t a dl '1 mi8 zovin
Che non viene più da queste parti; Ch'al no1 vên âtri covènc
Magari proprio mai p i 4 E magari mai pui âtri,
Quando lui non è contento.* Quan che lui no I'e content
* nef sens0 di avere piacere
567.
Una volta non sapevo
Che cos'era a far I'amore;
Adesso io mi rendo conto
Che non è altro che il buon cuore.
568,
Sono stato fino a Udine,
Ci son solo mivato;
E per te, cara barnbina,
A Forgaria son tomato.
Une volte no savevi
Ce ch'a I'en a fa 1 7 m Ô r ,
E cumo ven a conossi
Ch'a no è âtri che '1 bon côr.
Io soi stât infint a Udin,
Nome tant ch' '0 soi 'rivât;
E par te. bambine ciare,
A Forgiarie soi t od t .
569.
Uscite hori, giovanotti del paese,
Ci sono forestien a far l'more;
Se riuscite a farli andar via,
Vi do la croce dell'onore.
Faisi €3 fan* di ville,
Son foresg a £à l'amôr,
Se Sis boi& di fàju corri,
I o us doi la croz d'onôr.
570.
Lunedi, martedi faccio la scala: Lunis, marhs, fass la sciale:
Giovedi, venerdi faccio irnbiancare: Ioibe, viners fass sblanciâ:
Sabato è per gli anelli; Sabadin par lis verêttis;
E p i mercoledi mi sposo. E po' mièrcus a spozâ.
571.
Su quel picco di montagna
C'è un0 spazio di trifogfio;
Quel grembiule di bambina
Toccarlo posso quand0 voglio.
Su' che' picche di montagne
1' e une rame di straEoii;
Che1 grhiil di che7 bambine
Pues tocciâiu quand ch' 'O voii.
572,
A falciar nella gran Cengla,
Far fien sotto ai Fornazi,..*
Sono buone quelle giovenche
Quando sono di due, tre Iatti.**
* località del paese. ** indica 17età delle giovenche.
573.
Che artigiani di merda
Che mestiere privilegiato !
Sono là in quelle botteghe,
Fuligginosi corne il diavolo.
574.
Sei rnarcia fino al midollo,
Come un legno tarlato;
Maledeth anche quel giovane
Che con te è impiuentato.
A séâ te la gran Cengla,
FâpatthsottiFomâz .. .
A son buinis ches manzùttis
Qum ch'a son di doi tre lâtz
E ce artezans di rnierde
Ce mistîr pnvilegiat!
E' son 16 par ches butteghs,
Come il ggiaul infiozooâtz
Tu ses f%ida pattocca,
Corne un Iên carIolit;
Malandrêtt encie chel zovin
Che c m te fa parentât!
575.
Il salut0 che mi mmdavi
Quand0 en> d a t o ,
Da medicina mi è s e ~ t o ,
E con quel son risanato.
576.
Siamo hmi figli del10 stesso padre,
Tutti fratelli e sorelle;
E la Chiesa è nostra madre,
E la casa dei Signore.
II saliit che mi mandavis
Ta1 frafimp ch' 'O fuoi malât
Mi A seMt di medezhe,
E c m chel soi risanât.
E ducc quaoc sin fis d'un pàri,
E ducc quanc fradis e sôrs;
E la Glezie è nestre mari,
E la cciaze del Signôr.
577.
Quel grembiul fatto a pieghette, Che1 grima tàtt a falduttis,
Quelle d e t t e di color, Ches ccialciuttis di colôr,
A trenta miglia di distanza Trente mîis a la Iontane
Quella bimba fa splendor. Che' bambine a fass luzôr.
578,
Abbiate cura della riccioIina,
Fino a che sono in mon-
Vi porter0 una ricotta
Per quelle vostre premure.
579.
Vi alzerete di buon'ora;
Sotto al mio balcon verrete;
Vi dard una rosuccia,
Sul gilè la metterete.
580.
Son costi su questa strada
Giunto son in questo momento;
Se non vedo la mia bella
A dormir vado scontento.
Tegnit cont da la ncciotte,
Par insin ch' 'O stoi in mont;
Porterai 'us une scotte
Su pal vuestn- tignî cont
Ievarèss a bunurucce;
Vegnaress dappè di me;
Vus darai une rozutte
Che la mettis su1 gilè.
Soi coli su cheste strade
Soi 'rivàt in chest moment;
Si no viod la me' ninule
A d- no voi content
581.
Quella rosa di montagna
Non è un fiore da curare,
La prima sera già l'ho detto.
Tu per me non ritomare.
582.
Andare a letto cosi presto
Che vantaggio pu0 portarvi?
Se Io fate per lasciami
Che non possiate più alzarvi.
583.
Alzatevi, alzatevi, mia cara,
Che è ora di h i ;
Le tre sono gia passate
E le quamo stanno per scoccare.
Che1 garofid di montagne
No I'e ff ôr di mantignî,
Ccià I'ai ditt la prime sere.
Tu par me no sta viW.
Lâ a durmi tant a buinore
Ce profitt 'us puedial £à?
Se lu E s par 'bandonâmi
Non podessis p h i jevâ
Su jevàit, jevziit, ninine,
Ch'a 17è ore di jev&
E li trèi son za battudis
E li cuàttri a son par dâ.
584.
Se è bel10 glielo chiedo,
Se mi vuole gli chiedero;
Se è brutto, perdere Io lascio,
All'infemo Io mandero.
585.
I giovanom di q u e parti
Di loro non si sa cosa fare,
Vogliamo usarli corne coperta,
Corne coperchio di cesso.
S'a l'è bie1 voi dornandâlu,
Domandailu s'a mi 'tl;
S'a I'è bnrtt voi traiassâiu,
Voi mandâiu a cciolIi in cûl.
1 fantazz ch'a son culenci
No si sa ce fa di Kir,
Volin mettju par cwierte,
Par tappon di cagador.
586.
Se io avessi una carrozza, Se jo vess une camcce,
Se io avessi quattro cavaili, Se jo 'vess cuattri ciavai,
Vorrei metterrni in viaggio, Voress mettirni pe' stràde,
Andare a cercare quel10 che non ho. LA a cerî cheI che no ài.
587.
Chiestale una rosuccia
Lei mi ha &to una resèda,
Chiestala corne fidamata
Lei mi ha deîto che si vedrà-
588.
Non appena fui passata
Salta fiiori a curiosar,
Ed io m'ero già fernata
Con l'aitro ad amoreggiar.
Domandade une rozutte
Iè mi à dât un amo-
Domandade par moroze
Iè mi a ditt che vedarin
E subit che foi passade
Salte fur a cunoz&
E jo eri za fermade
Cun chell'âtri a rnorozâ
589.
Tra il fienile e la muraglia Fra la cize e la rnurâe
IO gliel'ho domandato ; Io l'ài fatte domandai;
Lei mi ha deno, quella benedeîta, Iè mi a ditt, che benedette,
Che non e il caso di sposarsi. Ch'a no 1% di marida,
590.
Benedetta la maniera
Che avete voi di amoreggiar,
S7i0 avessi il cuor di pieira
Me Io fhs îe iinnamorare,
Benedetîe la rnaniere
Che vo' 'vess di moro*
Se jo 'vess il cur di piere
Vo me1 fais innamorâ.
DA MOGGIO CIDINESE SUL FELLA, NELLA VALLE DEL FERRO
591.
Vita mia tanto pesante Vite me' tant smsiade
Notte e di a lavorar, Di e iiott a l a v o m
Il giorno per quelle montagne, E lu di par chèes montagnis,
La notte ad amoteggiar. E la nott a morozâ
592.
Se le stelle, se la luna
Se lor sapessero parlare;
Ne direbbero piu d' una
dei giovani da maritare.
Se lis sctellis, se la lune
Ai savessin favellâa;
An diressin pÙi di une
Dai fan& di mari&
593.
Oh, su, su! pietose stelle
Butîak giù fiamme Bamore
Ne1 petto di quel giovin bel10
Perché non sia il mio traditore.
594,
Benedetto quel berretto
A cui sta sono quel ricciolino;
Quel faccino benedetto,
Quell'occhietto di scimiottino!
Oh su su! pietozïs sctellis
Butîait jù fiammis d'amôor
in tal sen di chel biel zoviat
Ch'a no1 sei '1 Tlo traditoor.
Benedette chêe barette,
Ch'al sctà sott chel biel ricciott;
Chêe muzutte benedette,
Che1 vôglin di cimiott !
595.
Mdedetto quel sentier0 Malandrett chel troj di braide
Dove andavo a far l'more! Là ch' i' lâvi a fSa I'amôor!
Ho creduto di scegliere un giovane, I'ài crediiut di sielzi un zovin,
Ed ho scelto un traditore. E ài sielzliut un traditôor.
DA MEDEUZZA, NE= V1[CLlYANZE DI MEDEA
596.
Se non e piovoso il tempo
Io domani devo piutire;
Parto io con Ia mia vita
Lascio a te il mio cuore.
597.
Quando andavo a fade visita,
Non mi voleva parlare;
Io non so se voglio amarla,
O se vogiio lasciarla perdere.
598.
Una prova fari, ancora,
A chiederla voglio man&,*
Se anche questo non mi giova
Mai la voglio più guardar.
Ce chest timp no mi fass ploe
Io doman ài di
Io partiss CU' la me' vite
E il mi8 cûr te1 Iassi a tî
Quand 'O Ièvi par ciattâle,
No mi 'oleve fevelIâ;
Io no sai s' 'O vuei d e ,
O s' 'O vuei lassâle sta
'O farai ancie une prove,
Uèi rnandâie a domand&
Se ancie cheste no mi zove
No la vuei mai phi cialii
* chiedere la sua mano
599.
Catinetta fai la signora*
Sulla porta e sul balcone;
A te serve Ia cameriera
Che ti lavi wl sapone.
600,
Se tu fossi un. regina
Io me la farei pasme;*
Ma tu sei una contadina,
Vai ne1 campo a lavorare.
601.
È la Bassa scura scura,'
L'occidente è annwolato;
Mariettina dura, dura,
E Luigino awelenato.
Catinutte fai ai siore
Sulla puarte e sul botleon;
A ti 'iil la camarelle
che ti lavi cul savon,
Se tu foss une reguie
Io m'a lassaress passi%
Ma tu sês 'ne contadine,
Va ta1 ciamp a lavorâ
J'è la basse scure scure,
Tramontan a I'è innulât;
Marj uttine dure'dure,
E Vigiim inveleiiât
* indica la parte pianeggiante del Friuli che si estende verso il mare
DA FORNI AVOLTRI, SULLA SINISTRA DELL'ALTO DEGANO IN
CARNI[A
602.
A che serve battere noci* E ce zovial bâtfi cocculis
Quando sull'aibero non ce n'è? Co' ch'u no 'nd' è sui nojâr?
Nemmeno parlarne di entrare qui, Nenggie di di eutrd cà dentri,
Se il focolare è afToUato. S'a 1'è plen il fogolâr.
* si intende battere i rami dell'albero a f i chè le noci cadano
603.
Quel balcone con la griglia
Dentm non ci si pu0 andar,
Quella giovane a vedere
Che sa cosi ben dormir.
604.
Oh no no, non vogiio averlo
Perchè fedele lui non è;
Vero è che non ne ho altri
Mh non voglio nemmeno quello.
Che1 balcon a catterade
Dentri no si po' wii,
A vedêi che fantazzutte
Che a sa ben cusi dormi.
Oh no no, ch'a no voi vêllu
Parce chè no I'è fiel;
A l'e ver ch' i' no 'nd' ài âtri
Ma no voi po' nanggie chel.
605.
Quel car0 con la barba bionda Chei ninin da barbe blonde
Com'è lontan da me!* Ce lontan ch'al sta di me!
Ma se lui mi abbandona Ma se lui a mi 'bandone
Oh cosa mai sarà di me! Oh ce mai sarâ di me!
* allusione dl'amato che si trova ail'estero per lavoro.
NOTE
1. Giuseppe Cocchiara, Le orieini della poesia wwlare , Tonw, 1 970.
2. Valentino Ost- Villotie Friuiane, Udine, 1867.
3. Benedeîîo Croce, "La letteratwu diaiettaie rrflessa ", La Critica Rivista di Letteratura Storia e Filosofia Bari, 1 - 12, l9Wl9 14.
4. Giovanni Berchet, Vecchie Romanze S-ole, Bcuxe1Ies, 1837.
5. Ugo Pellis, "Puisia popoim e teoriu folkloristica ", Ce Fastu?, Udine, 1, 1919/t972.
6. Angelo Arboit, Villotte Friulane, Piacenza, 1876.
7. Michele Leicht, Rima e Seconda Centuna di canti -wwlari friulani. con prelePone,Venezia, 1 867, p. 1 O.
8. Michele Barbi, Poesia wpolare italiana, F i r e m , 1974.
9. Vittorio Santoli, 1 mti wwlari italiani, Firenze, 1968.
10. Gabriele D'Annunzio, ''La canzone popo2me " su La Piccola Patria di Chino Ecmac~ra in Strolic 25, 1944, p. 3-6.
1 1 . Benedetto Croce, La Poesia Introdwione alla critica e storia della Poesia e della Letteratura, Bari, 1966.
12. Piera Wasserman, I canti oowlari,a cura di Roberto Starec, Udine, 199 1.
1 3. Nino Angel, Caociones w~ulares. Madrid, 1 976.
1 4. Zomit Do1 fo, "1 racconfi dei popolo fiiulmo " in Sot la Nam, Udine 1924.
1 5. R. M. Ruggeri, "S'pie ladino-venete neii 'Indovinel20 veronese " in Am del - -
Con- hte&onde di Linpïstica e Tradiponi rnowlari, Udine, 1969, p.
16. Rocco Murari, Ritmica e metnca, Milano, 1900.
17. EMCO Morpurgo, 'La viIZottafiidc171ct " in La Panarie . Udine, 1925, vol. 2, p. 129- 1 35.
1 8. Pier Paolo Pasolini, Canzoniere Etaliano, Milano, 1 972, vol . 1.
20. Pietro Zonrtti, II Sîrolic Furlan oa l 'an 182 1 , Udine, 182 1 .
22. Ibid, 18.
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