obesità essenziale - home -istituto danone · motivazioni e obiettivi dd ... obesità essenziale...

112
I TEMI DELLA NUTRIZIONE Obesità essenziale A cura di Enrica Riva Professore Associato presso la Clinica Pediatrica Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano Con la collaborazione di Michele O. Carruba, Hellas Cena, Ermanno Lanzola, Tiziano Lucchi, Enzo Nisoli, Alberto Notarbartolo, Silvia Scaglioni, Anna Tagliabue, Carlo Vergani Genetica, Metabolismo, Ambiente I STITUTO D ANONE I I T T E E M M S S

Upload: dinhkiet

Post on 19-Feb-2019

233 views

Category:

Documents


0 download

TRANSCRIPT

I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

Obesità essenziale

A cura di

Enrica RivaProfessore Associato presso la Clinica Pediatrica

Ospedale San Paolo, Università degli Studi di Milano

Con la collaborazione di

Michele O. Carruba, Hellas Cena, Ermanno Lanzola, Tiziano Lucchi, Enzo Nisoli, Alberto Notarbartolo, Silvia Scaglioni, Anna Tagliabue, Carlo Vergani

Genetica, Metabolismo,Ambiente

I S T I T U T O D A N O N E

II TT EE MM SS

#copertina+retro+costa 29-05-2002 10:51 Pagina 1

I S T I T U T O D A N O N EPER LA RICERCA E LA CULTURA DELLA NUTRIZIONE

M O T I V A Z I O N I E O B I E T T I V I

DD anone è una società multinazionale operante nel settore alimentare. La sua “mission”istituzionale è quella di migliorare l’alimentazione umana, sia con prodotti di alta qualità

ed elevato valore nutrizionale, sia con iniziative di ricerca e di divulgazione scientifica. In que-st’ottica ha deciso di destinare risorse alla ricerca e alla cultura della nutrizione, dando vitaall’Istituto Danone.

L’Istituto Danone si prefigge di:

Incoraggiare la ricerca scientifica sul rapporto tra alimentazione e salute

Promuovere una corretta educazione alimentare

Diffondere i risultati della ricerca nutrizionale presso gli operatori della salute e del-l’educazione alimentare

Costituire un anello di giunzione tra il mondo scientifico e gli operatori della salute e dell’educazione alimentare

Gli obiettivi dell’Istituto Danone sono quindi due:

Conoscere – attraverso la promozione di ricerche, proprie o di terzi, nel settore nutrizionale

Far conoscere – attraverso attività editoriali e congressuali mirate a diffondere la culturadella nutrizione

Per adempiere a questa missione, l’Istituto Danone si avvale di un Comitato Scientificoche rappresenta l’elemento propositivo, la fonte delle conoscenze ed il garante della scienti-ficità di tutte le attività dell’Istituto stesso. A far parte di questo Comitato sono stati chiama-ti, tra i massimi esperti nazionali dei vari settori della nutrizione umana, i professori MarcelloGiovannini (Presidente), Ermanno Lanzola e Carlo Vergani (Vicepresidenti), Vittorio Bottazzi,Alberto Daghetta, Alberto Notarbartolo, Pierpaolo Resmini, Enrica Riva e Angelo Stacchini.

Segreteria Scientifica e Organizzativa: CHA – Creative Healthcare Advertising – 20145 Milano – Via A. Canova, 12

#Lettera 29-05-2002 10:52 Pagina 1

Obesità essenziale

II TT EE MM SS

Genetica, Metabolismo, AmbienteA cura di

Enrica RivaProfessore Associato presso la Clinica Pediatrica, Ospedale San Paolo,

Università degli Studi di Milano

Con la collaborazione di

Michele O. CarrubaProfessore Ordinario di Farmacologia, Dipartimento di Farmacologia,

Chemioterapia e Tossicologia Medica, Padiglione LITA, Ospedale L. Sacco, Università degli Studi di Milano

Hellas CenaRicercatore presso il Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica,

Università degli Studi di Pavia

Ermanno LanzolaDirettore del Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica,

Università degli Studi di Pavia

Tiziano LucchiSpecialista in Geriatria, Cattedra di Gerontologia e Geriatria,

Università degli Studi di Milano

Enzo NisoliDipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica, Padiglione LITA, Ospedale L. Sacco, Università degli Studi di Milano

Alberto NotarbartoloProfessore Ordinario di Medicina Interna, Cattedra di Medicina Interna,

Università degli Studi di Palermo

Silvia ScaglioniRicercatore presso la Clinica Pediatrica, Ospedale San Paolo,

Università degli Studi di Milano

Anna TagliabueRicercatore presso il Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la Dietetica,

Università degli Studi di Pavia

Carlo VerganiDirettore della Cattedra di Gerontologia e Geriatria,

Università degli Studi di Milano

I T E M I D E L L A N U T R I Z I O N E

#frontespizio 29-05-2002 10:53 Pagina 1

Introduzione 5E. Riva

Chi è il paziente obeso? 7A. Notarbartolo

Obesità essenziale infantile 43E. Riva, S. Scaglioni

Le complicanze in corso di obesità 63T. Lucchi, C. Vergani

Obesità e stile di vita 79H. Cena, E. Lanzola, A. Tagliabue

Provvedimenti terapeutici 95M.O. Carruba, E. Nisoli

3

II ndice

#indice 29-05-2002 10:53 Pagina 3

Un volume sull’obesità essenziale èsicuramente un progetto ambizioso. Talepatologia emergente in questi anni, inparticolare nelle società più avanzate, of-fre allo studioso un campo affascinante diricerca e sollecita il medico ad un inter-vento attivo che richiede numerose com-petenze ed un approccio psicologico.L’obesità essenziale è detta anche sem-plice e riconosce un’eziologia multifatto-riale in cui genetica, metabolismo e am-biente interagiscono assumendo ruoli viavia differenti in diverse realtà socio-eco-nomiche, ma tali comunque da determi-nare una condizione di patologia a cosìelevata prevalenza da suscitare, oltre chel’interesse di clinici e di ricercatori, l’at-tenzione degli operatori in campo socialee sanitario. Se volessimo procedere adun aggiornamento bibliografico del temaobesità essenziale dovremmo leggere allevoci “parole chiave”: epidemiologia e ge-netica, insulina e ormoni, bilancio energe-tico e attività fisica, nutrizione e regolazio-ne dell’appetito, antropometria, metaboli-

smo dei lipidi e ipertensione, terapia die-tetica e approccio farmacologico, aspettipsicologici e comportamentali, terapiachirurgica, e via via potremmo ricercareancora altre voci. Lo hanno fatto per noigli Autori di questo volume di ITEMS, conl’obiettivo di tradurre le crescenti e incal-zanti conoscenze della ricerca di base inmessaggi per una diretta applicazione allapratica medica nell’attività professionalequotidiana. Verranno nuove soluzioni perla terapia dell’obesità dalla conoscenzadei fini meccanismi cellulari e molecolariche mano a mano si vanno delineando?L’attesa è grande! Soprattutto perché èprevedibile che la conoscenza della ge-netica dell’obesità possa migliorare l’effi-cacia dei programmi di prevenzione,quando siano essi indirizzati a pazienti adalto rischio genetico di obesità. Per ora,se è vero l’assioma “la genetica determi-na l’obesità, l’ambiente ne determina ilgrado”, molto spazio di intervento rimaneal clinico che può, con gli strumenti tera-peutici a sua disposizione, contribuire a

5

II ntroduzione

E. Riva

#introduzione 29-05-2002 10:54 Pagina 5

modificare in maniera permanente queicomportamenti alimentari e di vita erratiche giocano un ruolo significativo nel pa-ziente obeso. E proprio a questo argo-mento si riallaccia il grande tema dellaprevenzione delle malattie cardiovascolariche, perché sia efficace, deve iniziare inetà pediatrica, quando si vanno struttu-rando le abitudini alimentari e di vita. I da-ti epidemiologici indicano chiaramenteche l’obesità in età adolescenziale rap-presenta un fattore di rischio importanteper la malattia coronarica, indipendente-mente dall’evoluzione del peso in etàadulta, e da qui si deduce che la preven-zione del sovrappeso in età pediatrica po-trebbe essere una delle misure più effica-ci. Inoltre, vi sono evidenze che le patolo-gie croniche dell’adulto prenderebberoorigine nel corso addirittura della vita fe-tale e dei primi anni di vita. Il rischio dimalattia degenerativa si andrebbe quindidelineando molto precocemente. Per talemotivo è determinante l’intervento delmedico in termini di assistenza alla gravi-danza e di educazione sanitaria continua,allo scopo di ridurre gli eccessi nutrizionalie di creare un’attenzione allo stile di vitain tutte le famiglie. Troppo spesso in etàevolutiva viene richiesta la consulenza delpediatra per escludere solamente la pre-senza di un’obesità che abbia una causaendocrina o polimalformativa.

Sicuramente l’obesità essenziale è lacausa più frequente, ma non la sola, diobesità in età pediatrica. Possiamo cosìriassumere le cause endocrine che sonocaratterizzate da: – ipersurrenalismo dasindrome di Cushing o iatrogeno (distri-buzione del tessuto adiposo prevalente-mente viscerale); – deficit dell’ormonedella crescita (obesità lieve al tronco); –ipotiroidismo (i sintomi endocrini prece-dono di gran lunga l’obesità che è di me-dio grado, con tessuto adiposo normodi-stribuito); – tumori ipotalamo-ipofisari(sintomo prevalente l’ipogenitalismo); –sindrome di Stein-Leventhal (l’obesitàcompare nella femmina dopo la pubertàed è accompagnata da amenorrea e ir-sutismo). Di riscontro raro sono le sin-dromi polimalformative che sono caratte-rizzate da esordio molto precoce e dauna prognosi poco favorevole: le sindro-mi di Laurence-Moon-Biedl, Prader-Williin cui l’obesità grave è associata ad ipo-genitalismo e, nel caso della sindrome diAltrom, presenza anche di sordità e de-generazione retinica. Deve essere rece-pito dal medico che anche l’obesità es-senziale è una malattia e come tale deveessere curata e prevenuta con tutti glistrumenti che la ricerca ci sta fornendo.

Enrica Riva

Introduzione

6

#introduzione 29-05-2002 10:54 Pagina 6

Definizione

Obesità comprende un insieme dicondizioni meglio indicate come “le obe-sità” a causa della grande variabilità ezio-logica: essa si può strettamente definireun eccesso di tessuto adiposo che vieneespresso come indice di massa corporea(BMI) superiore a 30 kg/m2 (di altezza).Si tratta pertanto di un numero, sceltoartificialmente, che grossolanamentecorrisponde ad un aumento di circa il20% del peso corporeo relativamente aquello ritenuto ideale. È una misura utileper uniformare i dati clinici ed epidemio-logici provenienti dalle varie parti delmondo scientifico, ma che non tiene as-solutamente conto né del tipo di accu-mulo di grasso, massa magra e massagrassa valutate insieme, né della distri-buzione del grasso corporeo nei vari di-stretti, che ha un significato fisiopatologi-co e prognostico più importante. Tuttiquesti concetti saranno ampiamentecommentati nei prossimi paragrafi.

Il termine obesità proviene dal latino“ob-edere”, cioè mangiare in eccesso.Questa dei Latini è senza dubbio unaesemplificazione del problema che, co-me vedremo, è ben più complesso, matuttavia ha un’intrinseca saggezza per-ché, anche considerando tutti i fattorigenetici, metabolici e neuro-endocrini, lacausa prima dell’eccesso di grasso cor-poreo è sempre collegata ad un relativoeccesso alimentare.

Composizione corporea e metodi di valutazione

Per quanto riguarda la composizionedel corpo umano (compartimenti cor-porei) ed i metodi di valutazione si rinviaal capitolo “Le basi conoscitive delladiagnostica nutrizionale”, scritto daErmanno Lanzola, su Items – Diagno-stica nutrizionale (1).

Il capitolo che è intitolato “Metodichedi impiego in diagnostica nutrizionale”

7

CC hi è il paziente obeso?

A. Notarbartolo

Cattedra di Medicina InternaUniversità degli Studi di Palermo

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 7

costituisce una delle più approfondite echiare rassegne del settore ed è indi-spensabile per potere comprendere ladistribuzione del grasso corporeo, la di-stinzione tra Massa lipidica totale (FATMASS) e Massa magra (FAT FREEMASS), nonché le metodiche di valuta-zione. Per quanto riguarda alcune misureantropometriche è opportuno consultareanche tabelle e figure sul capitolo scrittoda R. Bellù e A. Tagliabue, sempre suItems – I temi della nutrizione (2).

In questa sede invece riferiremo del-le misure del peso corporeo più comu-nemente usate negli studi epidemiologi-ci, clinici e terapeutici.

Dagli studi epidemiologici più esau-rienti degli ultimi anni sembrerebbeemergere una distinzione tra sovrappe-so, inteso soltanto come aumento delpeso corporeo relativo, ed obesità, inte-sa come aumento cospicuo e patologicodella massa grassa.

È evidente che per estese indaginistatistiche non possono essere adottatisistemi di misurazione indaginosi anchese più esatti, come quelli basati su rileva-zioni radioisotopiche o su determinazionidensitometriche; si è dovuto pertanto ri-correre a criteri di valutazione meno pre-cisi ma più facilmente applicabili, cioèquelli basati sulla valutazione del rapportostatura-peso (peso in kg = cm di statura

eccedenti il metro con correzioni in baseal tipo costituzionale) oppure sulla misu-razione dello spessore delle pliche cuta-nee. Il rapporto statura-peso è moltogrossolano in quanto non tiene conto divari fattori (impalcatura scheletrica, svi-luppo delle masse muscolari etc.) chepossono inficiare il giudizio circa la quan-tità di tessuto adiposo in percentuale sul-la massa corporea totale. Più attendibilee di semplice esecuzione è invece la mi-surazione delle pliche cutanee in regioniopportunamente prescelte (ad esempiola plica tricipitale e la plica sottoscapola-re). D’altronde esistono delle ricercheche hanno studiato la correlazione trametodo radioisotopico di misurazionedella massa grassa e rilievo del sovrap-peso mediante plicometria o come pesocorporeo relativo, riscontrandola alta-mente significativa. L’interesse di cono-scere la diffusione della condizione «ec-cedenza ponderale» nell’ambito di gruppidi popolazione è notevole, dato che que-sta condizione si associa più o meno si-gnificativamente ad altri stati morbosi ca-paci di ridurre, anche in modo notevole, illivello di salute della popolazione stessa.

Per ricerche epidemiologiche in cam-po aperto o comunque per grossi numeridi soggetti si usano rilevazioni dell’ecce-denza ponderale o come aumento del pe-so corporeo relativo o come plicometria.

Chi è il paz iente obeso?

8

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 8

Secondo le constatazioni del KentNutrition Study, altezza e peso sono digran lunga semplici e probabilmente mi-gliori misure dello stato di nutrizione per-ché espressioni del risultato alla finedell’accrescimento.

Una stima grossolana della distribu-zione del peso corporeo nella popolazione

in generale si può ricavare dalle tabelledella Metropolitan Life Insurance (Met.Life Ins. Co. – New York 1960) che dan-no una misura del sovrappeso in base al-la costituzione corporea.

Un’ulteriore evoluzione migliorativa diquesti valori è quella presentata allaFogarty Conference degli USA (Tab. 1).

A. Notarbartolo

9

Altezza Uomini Donne(cm)

Media Range Sovrappeso Obesi Media Range Sovrappeso Obesi(kg) accettabile (kg) (kg) (kg) accettabile (kg) (kg)

(kg) (kg)

145 46,0 37-53 58 64

148 46,5 37-54 59 65

150 47,0 38-55 61 66

152 48,5 39-57 63 68

156 49,5 39-58 64 70

158 55,8 44-64 70 77 50,4 40-58 64 70

160 57,6 44-65 72 78 51,3 41-59 65 71

162 58,6 46-66 73 79 52,6 42-61 67 73

164 59,6 47-67 74 80 54,0 43-62 68 74

166 60,6 48-69 76 83 55,4 44-64 70 77

168 61,7 49-71 78 85 56,8 45-65 72 78

170 63,5 51-73 80 88 58,1 45-66 73 79

172 65,0 52-74 81 89 60,0 46-67 74 80

174 66,5 53-75 83 90 61,3 48-69 76 83

176 68,0 54-77 85 92 62,6 49-70 77 84

178 69,4 55-79 87 95 64,0 51-72 79 86

180 71,0 58-80 88 96 65,3 52-74 81 89

182 72,6 59-82 90 98

184 74,2 60-84 92 101

186 75,8 62-86 95 103

188 77,6 64-88 97 106

190 79,3 66-90 99 108

192 81,0 68-93 102 112

Tabella 1

Peso corporeo normale e limiti inferiori perdefinire sovrappeso ed obesità.

Valori tratti dalla tabellaFogarty, ma riaggiustati pertenere in considerazione il limite inferiore allargatosuggerito dallo studio Build del 1979. Quale limite per il sovrappeso consideratol’intervallo 110-119% del limite superiore, l’obesità è presente con pesi uguali o superiori al 120%.

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 9

Le precedenti tabelle sono stateriaggiustate perché l’altezza veniva ripor-tata scarpe comprese ed il peso deter-minato con i vestiti, e inoltre, poiché nonveniva fornita alcuna definizione relativaalle tre costituzioni considerate, l’abitudi-ne di precisare la costituzione è stata ab-bandonata. Pertanto, in base a questidati si parla di peso corporeo relativo(PCR) rispetto a quello ideale postouguale a 100; si definisce sovrappesoquando il peso è compreso tra il 110 e il120% degli standard della tabella, obe-sità per pesi superiori al 120%. Natu-ralmente questi valori non si riferiscono abambini e ragazzi fino alla pubertà, per iquali le misure di riferimento si trovanonel capitolo ad essi dedicato.

Per avere uno standard universaledel peso corporeo da utilizzare nelle ana-lisi statistiche e negli studi clinici ed epi-demiologici, è stata adottata una misurache esprime l’indice di massa corporea(BMI) (Body Mass Index) che è dato dal-la somma della massa grassa e dellamassa magra. Si calcola dividendo il pe-so in kg rilevato nel soggetto senza ve-stiti, per l’altezza, rilevata senza scarpe,in metri al quadrato: P/H2, nelle pubbli-cazioni anglosassoni W/H2; esso ha ilvantaggio di dare un’indicazione numeri-ca ben precisa. Il BMI ideale è un nume-ro compreso tra 20 e 25 (in media circa

22-23 per i M e 21-22 per le F), tra 25e 30 si parla di sovrappeso, e oltre 30 diobesità.

In molti studi internazionali, accantoal BMI si è utilizzata un’altra misura delgrasso corporeo che è sicuramente piùprecisa ma molto più indaginosa, e cioèlo spessore delle pliche cutanee, che èespressione del grasso sottocutaneo edella sua distribuzione ed ha una corre-lazione diretta molto elevata con il con-tenuto di grasso corporeo totale, calco-lato ad esempio con metodiche densi-tometriche. Lo spessore delle plichecutanee si calcola utilizzando il compas-so di Harpenden a livello dei punti stan-dard; la rilevazione viene eseguita sultricipite, a metà della distanza fra pro-cesso acromiale ed olecrano, sul bicipi-te sullo stesso piano di fronte al bracciocon la mano in posizione supina, in zo-na sottoscapolare proprio all’altezzadella parte terminale dell’osso, ed in zo-na immediatamente sopra la cresta ilia-ca. Il contenuto equivalente di grasso,come percentuale del peso corporeo, èespresso come range di valori determi-nati dalla somma delle quattro plichecutanee.

All’inizio degli anni ’80 sono statepubblicate ad opera del gruppo diGothenburg della Scuola Svedese, epoi in tutto il mondo, delle ricerche che

Chi è il paz iente obeso?

10

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 10

individuavano nel grasso sottocutaneoaddominale e nel grasso intraddominaleil principale responsabile delle alterazio-ni metaboliche glicidiche e lipidiche cor-relate alla comparsa di diabete e di ma-lattia cardiovascolare.

Si pensava, giustamente, che le al-terazioni metaboliche osservate potes-sero dipendere dal notevole accumulodi adipociti intraddominali e che le alte-razioni potessero derivare dalla singola-re posizione di queste cellule rispettoalla circolazione portale. Su questa ba-se nacquero due nuovi indici di grassocorporeo basati sulla distribuzione delgrasso a livello addominale, che sono ilrapporto vita/fianchi (in lingua anglo-sassone “waist hips ratio”, abbreviatoWHR) o vita/coscia. Questo rapporto èpiù elevato negli uomini, intorno a 0,90-0,95, che se sono in sovrappeso spic-cato assumono una caratteristica con-formazione a mela, che è l’obesità di ti-po androide ben inquadrata più di 50anni fa da Jean Vague; è più basso nel-le donne, intorno a 0,76-0,80, che sesono in sovrappeso assumono unaconformazione a pera, obesità di tipoginoide.

È evidente che è più a rischio l’obe-sità androide con un elevato rapporto vi-ta/fianchi, che si può realizzare in amboi sessi.

Eziopatogenesi e rischio genetico

La forma comune di Obesità (O) èuna conseguenza di una predisposizionegenetica e di fattori ambientali. Come intutte le malattie del metabolismo a pato-genesi multifattoriale è difficile separarela parte dovuta all’influenza della trasmis-sione ereditaria da quella legata invece aicomportamenti individuali in seguito aicondizionamenti ambientali. Risultati dinumerosi studi condotti su coppie di ge-melli che vivevano separati indicherebbe-ro che i fattori genetici predominano ead essi è dovuto il 70% della variabilitàdell’indice di massa corporea (BMI); ilBMI sarebbe fortemente influenzato daun gene principale di tipo recessivo.Fattori genetici rivestirebbero un ruoloimportante anche nel causare l’adipositàaddomino-viscerale che si associa ad altilivelli di ormoni glucocorticoidi e nelladonna di androgeni. Ma altre importantiassociazioni vi sono tra la prevalenza diun grasso localizzato fra la vita e i fianchi(rapporto vita-fianchi aumentato) e latendenza all’iperinsulinismo ed altre ma-nifestazioni patologiche dismetaboliche ecardiovascolari che verranno descrittepiù avanti in questo volume.

Il concetto comune a tutti, addetti enon ai lavori, è che l’obesità è un disordi-

A. Notarbartolo

11

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 11

ne familiare. Già nel 1985 Gain dimo-strò, dopo una serie di studi precedenticon risultati analoghi, che la gran partedei discendenti di due genitori obesi eraobesa, mentre quelli di genitori magrierano magri. Il disturbo è presente an-che nelle famiglie in cui un genitore sol-tanto è grasso, ma con minore prevalen-za. Tuttavia i componenti di una stessafamiglia condividono non soltanto i geni,ma anche le abitudini igienicoalimentari,che poggiano su uno sfondo culturale di-verso da famiglia a famiglia ma che in-fluenza moltissimo i comportamenti psi-cologici e sociali del singolo individuo.

Abbiamo accennato che il BMI sa-rebbe per il 70% influenzato da fattorigenetici: questa considerazione si basasugli studi gemellari. Il razionale di questistudi è molto semplice: gemelli monoco-riali condividono il patrimonio genetico e,almeno nei primi 20-30 anni di vita,l’ambiente, e sono identici. I gemelli nonmonocoriali condividono l’ambiente mahanno solo metà patrimonio genetico incomune: dunque, assumendo che le in-fluenze ambientali sono uguali per qual-siasi coppia di gemelli, ogni differenza diuguaglianza nei gemelli monozigoti e di-zigoti è dovuta al patrimonio genetico.L’ereditabilità (cioè la percentuale di va-riazione di un carattere attribuibile a fat-tori genetici) è stata stimata molto alta

nei gemelli, tra 0,77 e 0,84, anche semolti la considerano eccessivamente altaper errore; si ritiene che l’ereditabilità siapiù forte per la distribuzione del grasso(es. grasso del tronco, grasso addomino-viscerale) che nei confronti della massagrassa totale.

Nel 1986 e nel 1987 sono statipubblicati (4,5) i risultati di due studi diadozione: il BMI dei bambini adottati eracorrelato con il BMI dei genitori biologicie non con quello dei genitori adottivi. Mase dunque la componente genetica neldeterminare il peso corporeo di un certosoggetto ha grande importanza, l’am-biente familiare non va assolutamentetrascurato; difatti l’eziopatogenesi dell’O.è multifattoriale, e pertanto molti genicondizionano la quantità e la distribuzio-ne del grasso. Ora vi sono dei genotipiche sono più sensibili di altri alle modifi-cazioni ambientali: ciò è stato dimostratoda Claude Bouchard, direttore di ungruppo di ricerca Canadese sull’O. moltoprestigioso, con un esperimento di ipera-limentazione a lungo termine (100 gior-ni), studiando gli effetti di un bilancioenergetico positivo su 12 paia di gemellimonozigoti sani, normopeso e sedentari,di età media di 21 anni, della provinciadel Quebec, senza storia di obesità o al-tre malattie metaboliche familiari (6). Laricerca ha dimostrato che la variabilità di

Chi è il paz iente obeso?

12

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 12

risposta all’iperalimentazione del BMI,della massa grassa ecc. nell’ambito dellacoppia è molto bassa, mentre è elevatatra le diverse coppie; ad esempio se unacoppia aumenta di 4,3 kg, in un’altra ilpeso può crescere di 13,3 kg (e la me-dia tra tutte le coppie di aumento di pesoera 8,1 kg).

Dunque ci sono soggetti che rispon-dono di meno ed altri di più al sovraccari-co energetico, ma se i cromosomi sonoidentici, rispondono in maniera simile.

Tuttavia la Figura 1 evidenzia altri datiinteressanti: i due gemelli di una stessacoppia si comportano in modo simile, maalcuni sono più simili degli altri. Ciò valeper le coppie dall’1 al 7, meno per le al-tre, in particolare la 11 e la 12 in cui unodei due gemelli approfittò eccessivamen-te dell’opportunità, rispettivamente 11 kge 7,5 kg.

I due gemelli corrispondenti invecemantennero una buona linea, ingrassan-do, rispettivamente, 6 e 4 kg.

La Figura 2 mostra che la correla-zione intracoppia fra i gemelli, perquanto riguarda il grasso viscerale, èmolto più alta, con una variabilità solodel 28% e ciò conferma che la quantitàe la distribuzione del grasso addominaleviscerale è più dipendente dalla costitu-zione genetica del soggetto rispetto algrasso totale.

Considerando le alterazioni che ilgrasso addomino-viscerale determina sulmetabolismo dell’insulina e delle lipopro-teine, la scoperta che alcuni soggetti so-no più disposti di altri a depositare gras-so nella cavità addominale ha un interes-se clinico considerevole.

La più probabile spiegazione dellasomiglianza fra gemelli identici in rispostaad un’iperalimentazione è che il genotipodi ogni soggetto è un’importante deter-minante dell’adattamento al surplusenergetico introdotto.

Se l’ipotesi che l’O. sia fortementedeterminata dalla costituzione geneticaha avuto oramai conferme inoppugnabili,è più difficile l’identificazione di quei geniche sono per prevalenza e per motivazio-ne patogenetica più direttamente colle-gati allo sviluppo dell’O. Difatti l’elencodei geni candidati patogeni dell’O. èmolto lungo; molti di questi geni sonostati identificati in animali che per condi-zioni metaboliche sono simili all’uomo, eper analogia o per diretta conferma sivanno anche ipotizzando o scoprendonell’uomo. Qui discuteremo di quelli dicui è più provata e riprodotta l’identitànell’uomo nei confronti dell’animale daesperimento, o per i quali è stata dimo-strata una reale influenza sul metaboli-smo dell’uomo e sulle alterazioni collega-te con lo sviluppo di O.

A. Notarbartolo

13

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 13

Chi è il paz iente obeso?

14

Incr

emen

to c

orre

ttode

l gra

sso

visc

eral

e (c

m2 ) .......................................

50

40

30

20

10

0

r = 0,72F = 6,1 (p < 0,01)

0 10 20 30 40 50

Incremento corretto del grasso viscerale (cm2)

Gemello A

Gemello B

Figura 2

Somiglianza all’internodelle coppie riguardo aicambiamenti del grassoviscerale addominale in 12coppie di gemelli maschiin risposta a 100 giorni di sovralimentazione,dopo correzione perl’incremento di massagrassa. Quando le stesseanalisi sono stateeseguite con la crescitapercentuale del grassoviscerale come variabile, il coefficiente dicorrelazione intraclasse era 0,90 e l’F ratio 18,9 (p < 0,001).

(Bouchard C et al, NEJM,322:1477-1482, 1990mod.)

Modificazioni del peso corporeo (kg)

Gemello A

Gemello B

11

6

7

510

9 48

1

3

2

12

Mod

ifica

zioni

del

pes

oco

rpor

eo (k

g)

.....................................

14

12

10

8

6

4

r = 0,55F = 3,4 (p < 0,02)

.

0 4 6 8 10 12 14

Figura 1

Somiglianza all’internodelle coppie in confrontocon le modificazioni delpeso corporeo in 12coppie di gemelli maschidopo 100 giorni disovralimentazione.Ogni punto rappresentauna coppia di gemelli (A e B). Quanto più i punti sono vicini alladiagonale tanto piùsimili sono i gemelli tra loro.

(Bouchard C et al, NEJM,322:1477-1482, 1990mod.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 14

Anzitutto bisogna considerare le im-plicazioni genetiche e cliniche dell’effettolipotossico nella patogenesi di una dellepiù gravi complicanze dell’O. e cioè ildiabete di tipo 2 (NIDDM) obesità-di-pendente, pubblicata in un recente arti-colo su Diabetes da R.H. Unger, diretto-re del Centro per la ricerca sul diabete,Laboratori Gifford dell’Università delTexas a Dallas (7).

L’evidenza epidemiologica che l’O.esercita un effetto dose sull’incidenza didiabete di tipo 2 solleva la possibilità chel’insulino-resistenza dell’O. sia di per sésufficiente a causare la comparsa dellamalattia. Tuttavia due esempi molto chia-ri contraddicono questa evidenza: la po-polazione giapponese ha una bassa inci-denza di obesità e di NIDDM (menodell’1%), ma fra i lottatori Sumo estre-mamente obesi solo il 30% fa il NIDDMin età avanzata; in modo analogo tra gliAmericani con un BMI maggiore del46% del peso ideale, il 50% diviene dia-betico, ma il restante 50% anch’esso in-sulino-resistente non lo diverrà mai.

Questi due esempi suggerisconoche l’insulino-resistenza di per sé non èsufficiente a condizionare l’insorgenzadel NIDDM e che è necessaria la pre-senza di una seconda alterazione, che èstata identificata, almeno nei roditori, inuna netta riduzione del recettore GLUT

2 delle B-cellule del pancreas, e quindiin una ridotta secrezione di Insulina (I) daparte delle B-cellule iperstimolate dallacronica eccedenza di glucosio. Questaperdita di risposta al glucosio da partedelle B-cellule sarebbe la seconda alte-razione metabolica che in questi “rag-gruppamenti familiari” predisposti alNIDDM sarebbe ereditata insieme allaresistenza all’I.

La teoria di Unger, supportata dauna serie di esperimenti condotti dal suogruppo e da altri nei roditori, è che il di-fetto primitivo nell’O. sia unico e risiedain una accresciuta lipolisi con aumentatoflusso di acidi grassi liberi (FFA) ai tessu-ti periferici (aumentata resistenza all’I.)ed alle isole di Langherans (incompeten-za al glucosio delle B-cellule), che vasotto il nome di “ipotesi lipotossica” eche è descritta nella Figura 3.

L’ipotesi lipotossica

A: nei ratti obesi non diabetici c’èun aumento relativo dei FFA plasmaticicircolanti e dei livelli nei tessuti del CoAlegato agli acidi grassi. Questa iperlipi-dacidemia può essere secondaria all’au-mentata massa di adipociti, all’insensibi-lità degli adipociti all’azione dell’I., o adentrambi.

A. Notarbartolo

15

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 15

Chi è il paz iente obeso?

16

L’aumento degli FFA tissutali interfe-risce nel normale metabolismo del glu-cosio a vari livelli. Nei tessuti insulino-sensibili, come il muscolo, si ha un’insu-lino-resistenza. Nelle isole pancreatichegli FFA in eccesso causano l’ipersecre-zione di I. agli stimoli. Poiché le alterazio-ni tissutali indotte dagli FFA sono inequilibrio con i livelli di FFA circolanti, laresistenza e l’ipersecrezione di I. sonoperfettamente bilanciate ed il metaboli-smo del glucosio resta normale.

B: nei ratti obesi che divengono dia-betici, i FFA aumentano massivamente esi verifica una marmificazione dei tessutipoiché lo FFA acyl CoA si trasforma inTrigliceridi. Nel muscolo ciò induce un’ul-teriore resistenza all’I., nelle B-celluleuna incapacità ad aumentare la secrezio-ne di I. (nella figura il rettangolo delle B-

cellule non si espande), aumenta invecequello dell’I.-resistenza. Il sovraccarico diFFA interferisce con il metabolismo delglucosio, si sviluppa iperglicemia e com-pare il diabete obesità-indotto (NIDDM).

Per la realtà le variazioni metabolichedescritte nella Figura 4 e che avvengonocontemporaneamente (iperglicemia, au-mento di FFA circolanti, ipertrigliceride-mia e aumento dei TG tessutali) nei rattiZDF (Zucker Diabetic Fatty) obesi predi-sposti al diabete, sono state descritte innumerosi lavori di Scuole diabetologicheanche italiane, in casistiche separate disoggetti ipertrigliceridemici, obesi diabe-tici e non, e rappresentano il lato clinico-metabolico di una medaglia in cui l’altrolato è quello dell’alterazione genetica di-mostrata nei roditori con la dizione ipote-si lipotossica.

Figura 3

La differenza tra A (O. pre-NIDDM) e B (O. con NIDDM) è dovutaalla maggior produzionedi FFA da parte deltessuto adiposo in B e loro successivaacetilazione in trigliceridi,con “marmificazione” dei tessuti (v. testo).

(Unger RH, Diabetes,44:863-870, 1995 mod.)

A. OBESITÀ PRE-NIDDM

β-celluleIperinsulinemia

Obesità

B. OBESITÀ CON NIDDM

β-celluleIperinsulinemia

Obesità

FACoAtissutale

FACoAtissutale

Resistenza insulinica delmuscolo scheletrico

Resistenzainsulinica delmuscolo scheletrico

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 16

A. Notarbartolo

17

Età (settimane)

TG “

isle

t” (n

g/is

let) ...................

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0

D

Glic

emia

(mM

) ...................

30

20

10

0

A

TG p

lasm

atic

i (m

M) ...................

30

20

10

0

B

FFA

(mM

) ...................

3,0

2,0

1,0

0

C

5 6 7 8 9 1410 11 12 13

Figura 4

Studi longitudinali sullaglicemia (A), TG plasmatici(B), FFA (C) e TG “islet” (D)in ratti maschi ZDF (––);ratti femmine obese ZDF(––), che non sviluppanodiabete; e ratti maschiobesi (––), che sviluppanodiabete tra le 8 e le 10settimane di età.

(Lee Y et al, PNAS,91:1978-1982, 1994.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 17

Ipotesi genetiche collegate

all’ipotesi lipotossica

La possibilità di indurre alterazionidella risposta delle B-cellule del pan-creas di due gruppi di ratti genetica-mente differenti con identiche concen-trazioni di FFA solleva la possibilità diuna predisposizione genetica al sovrac-carico di grassi in tessuti esposti ad altilivelli di FFA.

Nell’uomo è stato identificato un poli-morfismo apolipoproteico (cioè a caricodelle proteine che trasportano gli FFAquando coniugati, denominate appuntoapoproteine), in una coorte di soggetti ci-no-americani, che predispone al diabete;e negli Indiani Pima è stato identificatoun “linkage” tra massima capacità di se-crezione dell’I. e gene della proteina inte-stinale che si lega agli FFA (FAB P2).

Un’importante scoperta nella ricercasull’O. è stata la clonazione del gene“ob” che codifica la secrezione di unpeptide espresso negli adipociti del “to-po”, che inibisce l’assunzione di cibo e/oregola la produzione di energia. Il topocon una mutazione “nonsense” di questogene, o con incapacità ad esprimerlo,sviluppa una grande obesità e successi-vamente un NIDDM.

Sul piano preventivo le implicazionicliniche sono estremamente cogenti: co-

me mostrano la Figura 5 e la Figura 6, fi-no all’8a settimana di vita vi è poca diffe-renza tra ratti magri ed obesi per quantoriguarda gli indici metabolici; la restrizionecalorica o la somministrazione di acido ni-cotinico che ha un effetto antilipolitico su-gli adipociti cambia il destino anche deiratti geneticamente determinati. Una con-dizione simile si verifica nell’uomo se siagisce nei primi anni di vita o almeno neiprimi decenni: è noto che i migliori risultatipreventivi in questo settore si hanno se siinterviene quando ancora l’O. non è pas-sata dalla fase dinamica alla fase statica.Bisogna dunque agire sui bambini, sui ra-gazzi, sui giovani adulti, nelle scuole, neiluoghi di lavoro e nelle famiglie, poiché itentativi successivi con le mille ed unometodologie o sistemi “dimagranti” sonofallaci e spesso pericolosi.

Un aspetto genetico completamentedifferente dalla “ipotesi lipotossica” finqui discussa è il seguente. Il topo ob/obdi cui è stato identificato il gene che co-difica per una proteina espressa sugliepatociti, diviene obeso intorno alla 5a

settimana di vita; esiste un topo Fat/Fatche lo diviene intorno alla 10-12a setti-mana. Il Fat/Fat è cronicamente iperin-sulinemico, ma se gli si somministra I.esogena, la glicemia si riduce, e se si in-daga si scopre che la sua I. endogena èin realtà pro-insulina.

Chi è il paz iente obeso?

18

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 18

A. Notarbartolo

19

Glic

emia

(mg/

dl) .......................................

500

400

300

200

1006 8 9 10 11 12

Età (settimane)

7

ControlliNicotinamide

Figura 6

Effetti sui livelli di glicemia con iniezioniintraperitoneali dinicotinamide (500 mg/kgdi peso corporeo)somministrategiornalmente dall’età di 6settimane. C’è stata ancheuna normalizzazione deilivelli di insulinemiabasale ed unmiglioramentodell’accumulo ditrigliceridi nelle isolepancreatiche del gruppodei trattati rispetto aicontrolli.

(Ohneda et al, mod. Dati incorso di stampa.)

Glic

emia

(mg/

100

ml) .......................................

600

500

400

300

200

100

0

r = 0,873p = 0,001

0 0,5 1 1,5 2 2,5

FFA plasmatico (mM)

Figura 5

Relazione tra FFAplasmatici e livelli diglucosio plasmatico inratti ZDF maschi obesi di età tra le 6 e le 14settimane.

(Lee Y et al, PNAS, 91:1978-1982, 1994.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 19

Per farla breve il gene “Fat” si loca-lizza in vicinanza del gene che codificaper la carbossipeptidasi E (CPE) che ènecessaria per scindere la proinsulina eprodurre I. attiva; questo gene dunque siidentifica con il gene “Fat”, poiché laCPE è 20 volte più bassa nelle isolepancreatiche e nella ghiandola pituitariadei topi Fat/Fat; ciò è dovuto ad unamutazione missense (Ser 202 Pro) inuna regione della proteina CPE, che in-duce un’attività enzimatica molto piùbassa del topo sano normale (8). Questaalterazione genetica non sembra giochiun ruolo direttamente sull’aumento dellaresistenza I. ma è probabilmente coinvol-ta nelle reazioni che inducono la forma-zione di sostanze pro-ormonali neuro-en-docrine associate con il controllo dell’in-troito nutritivo e del consumo energeticodell’individuo.

L’esempio dei Pima

Un modello per capire l’aumento delsovrappeso nei Paesi industrializzati ericchi... è quello dei Pima. Gli IndianiPima erano una laboriosa popolazione dicontadini che viveva in Arizona e prende-va le acque del fiume Gila per irrigare iterreni; la fatica era dura e se per caso laquantità di pioggia si riduceva drastica-

mente per cause atmosferiche, i prodottidella terra diminuivano sensibilmente edinsorgeva la carestia. Tuttavia c’eranoannate di grande benessere e la popola-zione accumulava, con una sufficientenutrizione, quel grasso che poi si riduce-va o spariva durante le annate di magroraccolto. La mano del bianco, insediatosiverso la metà del secolo scorso nei terri-tori degli Indiani, deviando il corso del fiu-me Gila per i propri bisogni, distrussequesto ciclo benefico; dopo alcune care-stie che distrussero buona parte della po-polazione Pima, agli inizi di questo seco-lo, le poche migliaia di Indiani rimasti fu-rono insediati in riserve, dove, conducen-do una vita totalmente sedentaria, impa-rarono a mangiare grassi e zuccheri co-me i bianchi che li avevano prima distruttie poi sussidiati con i fondi governativi.Scoppiò a poco a poco un’epidemia diobesità e diabete, fra i Pima rimasti.

Nel 1962 Neel (9) avanzò l’ipotesiche l’O. di recente acquisizione dei Pimafosse espressione di un “thrifty genoty-pe”, un gene del risparmio, che nel pas-sato aveva aiutato gli indigeni a sopravvi-vere ai periodi di siccità e di carestia, maadesso, con l’abbondanza continua di ci-bo, era diventato una maledizione. I Pimarappresentano un esempio vivente delpassaggio dal tradizionale stile di vita conscarsezza di cibo e difficoltà a procurar-

Chi è il paz iente obeso?

20

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 20

selo con un’intensa attività fisica, alla vitasedentaria con cibi abbondanti della ci-viltà ricca dei nostri giorni. L’obesità ge-neralmente precede e nel 50% di casi sitrasforma in diabete (Fig. 7); in quel mo-mento si verifica costantemente una per-dita di peso che potrebbe essere dovutaad un aumento delle richieste metaboli-che di energia.

L’O. è il risultato di uno squilibrio frala ridotta spesa energetica e l’aumentata

assunzione di calorie con il cibo. Poichél’O. ha una forte impronta genetica, èprobabile che entrambi i fattori possonoessere determinati geneticamente, equindi è stato misurato il consumo meta-bolico a riposo (RMR in lingua anglosas-sone significa “resting metabolic rate”) inconsanguinei Pima per vedere se ci fos-se un’aggregazione familiare di questavariabile, indipendentemente dall’età,sesso e taglia corporea.

A. Notarbartolo

21

–20 –10 –5 0 5 10

Tempo dalla diagnosi (anni)

–15 15 20

Pes

o co

rpor

eo (k

g)

110

100

90

80

70

60

50

40

........................

Glu

cosi

o pl

asm

atic

odo

po 2

ore

(mg/

dl)

600

500

400

300

200

100

0

..........................

A

B

Figura 7

Media del peso corporeo(A) e del glucosioplasmatico 2 ore dopocarico di 75 g di glucosio(B) in 702 Indiani Pima(età 17-50 anni) prima e dopo la diagnosi di NIDDM (non tutti i soggetti sonorappresentati ad ognipunto). Notare ilprogressivo incrementodel peso corporeo (circa20 kg in 20 anni) primadello sviluppo del NIDDMe la perdita di peso dopol’inizio della malattia.

(Ravussin E, Diabetes Care,16 (S1):232-238, 1993mod.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 21

Come si nota dall’esame della Figu-ra 8 c’è, indipendentemente dal sesso,un’alta correlazione tra RMR e la massacorporea non grassa (FFM); tuttavia, perogni singolo valore di FFM c’è un rangedi variabilità di RMR dell’ordine di 500Kcal/giornaliere tra soggetti di diversefamiglie, mentre la variazione media fra imembri della stessa famiglia è soltantodi 100 Kcal giornaliere.

L’indice di correlazione intrafamigliaè 0,41, e ciò suggerisce che l’effetto fa-miglia è responsabile di una variabilità del41% dello RMR dopo avere corretto ivalori per età, sesso e FFM, e che laspesa energetica è determinata geneti-camente. Questi dati sono simili a quelliprima descritti, ottenuti da Bouchard neigemelli mono e dizigoti in cui si dimo-strava che lo RMR è influenzato dalla co-stituzione genetica, ovverossia soggetticon caratteristiche simili possono richie-dere più o meno energia per mantenereil loro peso corporeo. Questo è un primopasso verso la dimostrazione di un “ge-notipo del risparmio”.

Un secondo passo è descritto nellaFigura 9 presa dal lavoro di Ravussin (10);126 Pima in cui era stato precedente-mente misurato lo RMR, erano divisi re-trospettivamente in 15 “guadagnatori” dipeso, e 111 “non guadagnatori” (defi-nendo guadagnatori quelli in cui il peso

aumentava di 10 kg). All’inizio i duegruppi erano simili per età, altezza, pesoe grado di obesità, ma lo RMR era signi-ficativamente più basso (1694 vs 1764Kcal/al giorno) nei “guadagnatori” di pe-so, mentre dopo l’aumento di peso i dueRMR erano sovrapponibili nei due gruppi.

In sostanza l’aumento di peso puòessere inteso come un meccanismo re-golatorio per compensare un “metaboli-smo di risparmio” determinato genetica-mente. Ciò spiega anche perché in tuttele ricerche in cui si sono paragonate lespese energetiche di obesi e magri, ilconsumo metabolico era simile. In realtàil RISCHIO di ingrassare dopo tre anniera 7 volte più elevato in quei soggetticon un RMR più basso rispetto a quelliche lo avevano più elevato.

Infine, la spesa energetica nelle 24ore, misurata in una camera respiratoriain 95 Indiani Pima, si correlava in modonegativo con l’aumento del peso corpo-reo seguito negli anni; tali dati eranoidentici a quelli riscontrati in infanti dimadri in sovrappeso in cui il peso corpo-reo ad un anno era nettamente più altonei lattanti che a 3 mesi di vita avevanola più bassa spesa energetica.

In conclusione, c’è un ampio corpodottrinale che dimostra in modo inattac-cabile che il patrimonio genetico condi-ziona ampiamente, attraverso una bassa

Chi è il paz iente obeso?

22

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 22

A. Notarbartolo

23

RM

R (K

cal/

die) .......................................

2500

2000

1500

1000

r2= 0,82p < 0,0001

40 50 60 70 80 100

Massa magra (kg)

RMR = 392 + 21,8 FFM

90

maschi (129)femmine (120)

Figura 8

Correlazione tra RMR e massa corporea magrain 249 Indiani Pima non-diabetici (59osservazioni nascoste).Notare che l’82% dellavarianza nell’RMR puòessere attribuito alledifferenze in massamagra (r2 = 0,82) e che la relazione è simile tra uomini e donne.

......................................

2000

1900

1800

1700

1600

1500

Follow-upIniziale

RM

R c

orre

tto p

er c

ompo

sizio

ne c

orpo

rea,

età

e se

sso

(Kca

l/di

e)

0

p < 0,03

aumentati di peso (n = 15)

non aumentati di peso (n = 111)

Figura 9

RMR corretto per massacorporea magra, massagrassa, età e sesso in 15soggetti aumentati dipeso e 111 che non sonoaumentati di peso allavisita iniziale ed allesuccessive. Notare che coloro chesono aumentati di pesoavevano un RMRsignificativamente più basso alla visitainiziale ma che, inrisposta all’aumento di peso, si aveva una“normalizzazione” dei loro RMR.

(Ravussin E, Diabetes Care,16 (S1):232-238, 1993mod.)

(Ravussin E, Diabetes Care,16 (S1):232-238, 1993mod.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 23

spesa energetica ed un basso RMR, il“thrifty genotype”, un atteggiamento ri-sparmiatore in certi individui rispetto adaltri di quella energia accumulata sottoforma di grasso corporeo. Non c’è dub-bio d’altronde che ridotta attività fisica eiperalimentazione sono sempre i re-sponsabili diretti dell’accrescimento delpeso corporeo, tuttavia l’obesità si veri-fica quando in lunghi periodi di tempol’immagazzinamento di energia sottoforma di grasso prevale anche di pocosul consumo.

Le turbe del comportamento alimen-tare, sotto forma di atteggiamento com-pulsivo verso il cibo, su cui si sono versatifiumi di inchiostro, è sicuramente impor-tante ma non sufficiente a spiegare, sullabase solo di un alterato atteggiamentomentale o di problemi esistenziali, il 30%di obesi ed il 40% di soggetti in sovrappe-so delle nazioni fiorenti ed industrializzate.

È proprio quest’ultimo fatto che ha al-terato l’atteggiamento metabolico indivi-duale causando anche mutazioni o accen-tuazioni del patrimonio genetico a livello digruppi o intere popolazioni, e bisogna per-tanto considerare ed affrontare il tratta-mento dell’obesità come una malattia me-tabolica, alla stessa maniera di come ven-gono inquadrate le dislipidemie ed il diabe-te, che spesso si trovano associati all’O.stessa.

Bilancio energetico

Vedremo più avanti come O. signifi-ca squilibrio tra introduzione di materialeenergetico tramite l’alimentazione e di-spendio energetico inteso come utilizza-zione delle calorie introdotte per il funzio-namento dei vari organi e sistemi; l’ener-gia in eccesso viene immagazzinata co-me grasso di deposito. Questo proces-so, che avviene in ogni individuo, implicache con il cibo si acquisiscono dall’ester-no le proteine che vanno a costituire ilpatrimonio strutturale, enzimatico e ge-netico, e i grassi ed i glicidi che sonomateriale energetico di consumo: se tut-to procede bene si è verificata un’otti-mizzazione del “bilancio energetico”.

L’energia viene calcolata in MJ, cheè una misura diretta dell’equivalenteprodotto dal consumo delle calorie in-trodotte con gli alimenti; 1 MJ = 240Kcal, che è pressappoco l’energia intro-dotta mangiando 50 grammi di zucche-ro, e si deve calcolare che un soggettosano di media costituzione che svolgeun’attività fisica moderata ingerisce me-diamente ogni giorno 2400 Kcal (10MJ) per più di 60 anni. In realtà questaottimizzazione del bilancio energetico di-pende da influenze molteplici che sonodi natura endogena, sistema neuro-en-docrino, ed esogena, stress, fattori psi-

Chi è il paz iente obeso?

24

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 24

co-sociali ed affettivi, per cui l’equilibriosi mantiene nell’arco del tempo, conprevalenza dell’introduzione calorica suldispendio energetico e viceversa. Unsoggetto, dunque, il cui peso corporeonon subisce variazioni superiori al 10%del suo BMI ideale nell’arco della suaesistenza, ha un regolare bilancio ener-getico.

Ma se anche piccole alterazioni delbilancio energetico vengono mantenutecostanti nel tempo, si realizza la condizio-ne di aumento del grasso corporeo, cheuna volta stabilizzatosi diviene sovrappe-so o franca obesità.

Componenti

del bilancio energetico

Nella Figura 10 sono elencati tutti glielementi che concorrono fisiologicamen-te, cioè al di fuori dello stato di malattia odi eccezionali condizioni di stress, al di-spendio energetico.

A parte le perdite fecali, che solo incaso di diarrea di qualsiasi genere posso-no causare calo di peso e pertanto hannoimportanza trascurabile, esercizio fisicoed azione dinamico-specifico (ADS) deglialimenti, possono essere influenzati dalcomportamento del soggetto e quindi in

A. Notarbartolo

25

ASSUNZIONEDI CIBO

INTRODUZIONEDI ENERGIA

DISPENDIODI ENERGIA

METABOLISMO A RIPOSOESERCIZIO FISICOPERDITE FECALIAZ. DIN. SPEC. DEGLI ALIMENTITERMOGENESICONSUMO DI LUSSO

DEPOSITODI ENERGIA

Figura 10

Bilancio energetico etermogenesi nell’obesità.Il peso corporeo èespressione di unequilibrio tra introduzionedi energia, che dipendeesclusivamentedall’assunzione di cibo, e spesa energetica, che invece dipende da numerose variabili chesono descritte nel testo.

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 25

Chi è il paz iente obeso?

26

un certo senso modificabili. Le altrecomponenti fanno parte della costituzio-ne del soggetto, quindi in gran parte ge-neticamente determinate, e in parte sot-to l’influsso di condizioni anch’esse im-modificabili quali età e sesso.

L’attività fisica è fondamentale per ilbenessere fisico e psichico dell’individuo, edi essa si occuperà più avanti il Prof.Lanzola nel capitolo su “Obesità e stile divita”. Tuttavia il ruolo dell’esercizio fisico re-golare, come spesa energetica nel mante-nimento del bilancio energetico o per ridur-re il sovrappeso, deve essere consideratonel contesto dell’eterogeneità comune-mente osservata nelle risposte adattative.

Nella Figura 11 sono mostrate ledifferenze individuali di risposta del mas-simo potere aerobico (VO2 max) in pro-grammi standardizzati di allenamento;essa dimostra la grande variabilità di ri-sposta all’esercizio fisico, e inoltre che cisono soggetti che rispondono poco, e,per certi fenotipi, che non rispondonoassolutamente (3). Inoltre, in moltissimisoggetti, un’attività fisica troppo intensaporta ad un aumento dell’apporto di ci-bo. Sono questi alcuni dei motivi per cuiin linea di massima, e al di là degli evi-denti benefici sulla salute in generale,l’attività fisica fa perdere poco peso ed incerti soggetti non ne fa perdere affatto,

........................................

1,2

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0

∆ V

O2 m

ax (L

)

2625242322212019181716151413121110987654321

Figura 11

Differenze individuali nella risposta da parte di 47 giovani uomini ad un programma di allenamento standard.I risultati sono espressicome incremento di VO2 max in litri e O2 perminuto.

(Bouchard C, InternationalJournal of Obesity, 19 (S4):S5-S8, 1995 mod.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 26

anche se si ha una trasformazione dimassa grassa in massa magra con evi-dente vantaggio metabolico.

La termogenesi è in parte finalizza-ta al mantenimento della omeostasi ter-mica, in parte si identifica con l’ADS oeffetto termico degli alimenti, cioè il “co-sto metabolico” del trasporto delle so-stanze alimentari e della loro conversionein materiale di deposito che è massimoper le proteine, intermedio per gli zucche-ri e minimo per i grassi.

La termogenesi finalizzata all’omeo-stasi termica è definita “shivering” dafreddo; quella alimentare “non shivering”facoltativa.

È quella che assicura il funziona-mento di un meccanismo omeostatico,per cui l’eccesso di introduzione di cibo èseguito da un aumentato consumo ener-getico; nel soggetto “normopeso” percrescere ponderalmente è necessario uneccesso ulteriore di cibo per bilanciare ilconsumo da termogenesi.

Il “consumo di lusso” è la capacitàdi incrementare il dispendio energeticoper un eccesso di apporto calorico (iper-alimentazione).

Il metabolismo basale o metaboli-smo a riposo, (RMR) degli AA. anglosas-soni, viene misurato la mattina a riposo ea digiuno; esso è correlato alla massamagra, e quando il tessuto muscolare siriduce, diminuisce anche il metabolismobasale; le donne hanno uno RMR piùbasso del 15% di un uomo di altezzaequivalente in relazione appunto alla mi-nore massa magra e relativamente mag-giore massa grassa, e la richiesta ener-getica risulta ridotta in media del 20%.L’efficienza metabolica nasce dal con-cetto di equilibrio tra deposito e dispen-dio di energia: ad orientare in senso ca-tabolico ad anabolico sarebbe il “patri-monio enzimatico” che è geneticamentedeterminato.

Una discreta quantità di pazientiobesi presenta una risposta ai pasti infe-riore alla norma; essi non solo accumula-

A. Notarbartolo

27

4746454443424140393837363534333231302928276

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 27

no grassi in eccesso, ma anche tessutomagro. Tale tessuto magro aumenta ilmetabolismo basale limitando così un ul-teriore aumento di peso; come si vedenella Figura 12, il soggetto con predi-sposizione all’obesità ha un RMR piùbasso, che si porta fino a valori simili aquello dei soggetti normopeso nella fasedi sviluppo dell’obesità; l’alto RMR deipazienti obesi in fase di stabilizzazione èdovuto all’aumento anche della loromassa magra, ed è una conseguenza enon una causa dell’obesità, e compensala loro ridotta risposta termogenica all’in-troduzione del cibo.

Quando il soggetto vuole dimagrire,con la perdita di grasso si ha anche unariduzione della massa magra e di conse-guenza dello RMR, che rientra nei limitidella norma.

Per tale motivo l’obeso dovrà man-giare sempre meno del normale per riu-scire a mantenere la perdita del peso.

Questo è uno dei tanti grandi proble-mi che si incontrano nei trattamenti di-magranti, che spiegano ad esempio i di-sperati appelli dell’obeso che malgradola ridotta introduzione di cibo non calapiù di peso, e spesso non è creduto dalmedico che lo ha in cura.

Chi è il paz iente obeso?

28

........................................

12

10

8

6

4

2

0Normale

Mj/

die

Pre-obeso Obesitàin fase disviluppo

Obesitàin fase di

stabilizzazione

Termogenesifacoltativa

Figura 12

Gli obesi bruciano unaminore quantità di grassoalimentare. Accumulanooltre al grasso, tessutomagro. Nell’obesostabilizzato il M.B. *impedisce un ulterioreaumento di peso ecompensa la ridottatermogenesi da alimenti.

* M.B. = stato di riposo,coricato, a digiuno al mattino.

attività fisica

freddo

pasti

caffeina/fumo

metabolismo basale

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 28

È chiaro che vi sono anche obesitàdovute ad altri fattori, che verranno af-frontati da altri in questa rassegna, senzaalcuna familiarità per obesità, mentre inaltri soggetti ancora il fattore predispo-nente primario può essere costituito daun RMR eccezionalmente basso.

Infine, negli individui obesi la rispostaai grassi introdotti con l’alimentazione èinferiore alla norma e persino se sovrali-mentati consumano solo il 3% dell’ener-gia apportata dai grassi.

Purtroppo, come vedremo più avan-ti, è provato che gli obesi sono “attirati”dai grassi alimentari, per problemi di go-la, psicologici e neuro-endocrini.

Gli obesi, se consumano una dietaad alto contenuto lipidico, sono moltopredisposti ad ulteriori incrementi ponde-rali. Invece, uomini giovani e magri, sen-za storia familiare di obesità e che nor-malmente richiedono 3000 Kcal (12,6MJ) al giorno per mantenere il propriopeso, se vengono sovralimentati con cibigrassi a lungo, hanno solo un piccoloaumento ponderale, persino se vengonoconvinti a ridurre la propria attività fisica.Questo è un ennesimo motivo di con-fronto e disillusione per i soggetti grassiche vogliono dimagrire; se il medico cu-rante non spiega questo problema, nonriuscirà mai a motivare sufficientementeil proprio paziente.

Epidemiologiadell’obesità

La prevalenza del sovrappeso e del-l’obesità è variabile a seconda del Paesee del Continente di provenienza e di resi-denza ed è sicuramente molto alta neiPaesi ricchi ed industrializzati come anchein quelli in cui il benessere si è stabilito piùdi recente (anche 20-30 anni indietro).Rispetto ai Paesi in via di sviluppo la per-centuale di sovrappeso e di obesità nellapopolazione adulta dei Paesi Europei,Italia inclusa, e negli USA, raggiunge il35%, con una maggiore prevalenza per ledonne. È evidente che andando avanti diquesto passo si può calcolare che negliUSA, col tasso attuale di incremento, nel2230 il 100% degli abitanti sarà in so-vrappeso (cioè con un BMI > 27,5kg/m2); il costo annuale stimato dell’obe-sità è di 70 miliardi di dollari. Questa cifraè circa 2000 volte superiore a quello cheil governo USA stanzia per la ricercasull’obesità (34 milioni di dollari).

Nel calcolo di questa enorme spesavanno elencati i costi dei farmaci sia perdimagrire che per curare le complicanzedell’obesità, prima fra tutte il diabete ditipo 2 e poi quelle cardiorespiratorie, or-topediche e così via, ma anche i costidelle diete, delle giornate lavorative per-dute e dei ricoveri ospedalieri.

A. Notarbartolo

29

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 29

Dati più vicini a noi provenienti dal-l’Olanda danno una stima dei costi direttiper mantenere una buona salute fisica euna buona qualità della vita nell’obesovariabile tra l’1-5% del totale della spesasanitaria. La variabilità dipende dalla defi-nizione di obesità e dai metodi usati percalcolare questi costi. A ciò vanno ag-giunti i costi indiretti legati alla perdita diproduttività che non è necessariamenteconfinata ai soggetti tra i 15 e i 65 anni;specialmente nella popolazione che in-vecchia, e che è sempre più numerosa,l’inizio dei disturbi della motilità è in granparte dipendente dall’obesità. Questi datisono confermati da studi analoghi finlan-desi, australiani ed americani.

Malgrado tutte queste considerazioninon c’è una evidente correlazione tramortalità generale, o mortalità cardiova-scolare e BMI, almeno fino ad un certovalore di incremento del peso. In una re-centissima relazione al CongressoNazionale UICO (Unione Italiana Control’Obesità) il Prof. Alessandro Menotti,uno dei massimi esperti di Epidemiolo-gia, ha commentato che in tutte le anali-si eseguite nell’ambito delle Aree Italianedel Seven Countries Study, indice dimassa corporea e pliche cutanee hannodimostrato solo occasionalmente relazio-ni dirette con l’incidenza e la mortalitàcardiovascolare, che sono sistematica-

mente scomparse con l’analisi multiva-riata. Un’analisi speciale eseguita sugliipertesi “grassi e magri” ha dimostratoche il rischio è più elevato tra i “magri”che tra i “grassi”.

Nel progetto RIFLE, le relazioni tra in-dice di massa corporea e mortalità per tut-te le cause a breve termine (6 anni), stu-diate in uomini e donne di età compresatra 20 e 69 anni, sono risultate sistemati-camente di tipo parabolico (U shaped),anche se un modesto eccesso di mortalitàcardiovascolare (coronarica) è stato identi-ficato nella branca ds della parabola spe-cie tra gli uomini. La rimozione dei fuma-tori e delle morti precoci tra gli uomini an-nulla ogni relazione significativa tra indicedi massa corporea e mortalità tra gli uomi-ni, che invece persiste tra le donne.

Nella predizione della cardiopatia co-ronarica tra gli uomini di età media, nonè possibile identificare una relazione pa-rabolica con l’indice di massa corporeama solo un andamento moderatamentepositivo, che invece è inverso tra le don-ne della stessa età.

Ai fini della speranza di vita a brevetermine, comunque, i valori desiderabilidi indice di massa corporea (BMI), cioèquelli associati con minimo di mortalità,sono dell’ordine di 29 unità o più tra gliuomini e di 30 per le donne di età me-dia. Queste stime, sebbene siano asso-

Chi è il paz iente obeso?

30

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 30

ciate a larghi limiti fiduciali (tra 22 e 36unità per gli uomini e tra 25 e 37 per ledonne), indicano che i livelli desiderabilidi indice di massa corporea, suggeriteda parte degli specialisti, sono verosimil-mente più bassi di quelli di fatto osserva-bili nella popolazione (11).

Dunque da questi dati sembra che inItalia il sovrappeso sia poco correlato conla mortalità generale, mentre sfugge aquesta regola la grande obesità, che inbase alle stime fornite dal Prof. Menottiimplica livelli di BMI oltre il 37. È evidenteche questi sono dati epidemiologici presisu campioni di popolazione piccoli rispet-to all’intera popolazione Italiana, ed inoltreriguardano una misura del grasso corpo-reo che include tutto, massa magra egrassa, e non tiene assolutamente contodel tipo di disposizione del grasso, che in-vece è fondamentale nel causare un au-mento del rischio cardiovascolare che in-cide massimamente nel rapporto tra obe-sità e rischio di mortalità generale.

Sovrappeso e obesità

in Italia, 1990-91

Questi dati riguardano la prevalenzadi sovrappeso ed O. in Italia e sono statiraccolti dall’ISTAT nel periodo Dicembre1990-Maggio 1991, su un campione

randomizzato di 24.602 M e 26.090 Fdai 15 anni in su, stratificato per areageografica, municipale e grandezza didomicilio. È pertanto molto rappresenta-tivo dell’intera popolazione Italiana anchedal punto di vista socio-economico.

L’indice di misura adottato è il BMIsulla base di altezza e peso riferiti, e poi-ché il 90% di persone intervistate ha ri-sposto è difficile che ci possa essere ungrosso errore di stima. Inoltre l’adozionedi un indice correttivo desunto da unostudio di validazione Svedese dimostrache comunque i valori di BMI sono sot-tostimati, e la situazione pertanto è peg-giore sicuramente. I valori di BMI riferitisono stati mediamente divisi in sottopeso(< 20), normopeso (20-24,9) sovrappe-so (25-29,9) ed obesi (> 30). Nel cam-pione nazionale intero 11% di soggettierano sottopeso (4,4% M, 12,2% F);50,8% normopeso, in modo simile M eF; 31,6% in sovrappeso (39,2% M,24,5% F); 6,5% obesi (7% M e 6,1%F). La prevalenza di sovrappeso ed obe-sità era più elevata nell’età media e nelSud del Paese ed in particolare nelleIsole e direttamente correlata alla storia(riferita) di diabete mellito, ipertensione,malattie cardiache, della colecisti e del-l’apparato respiratorio.

Abbiamo riassunto e confrontato fradi loro altri dati epidemiologici e quelli ri-

A. Notarbartolo

31

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 31

portati dagli stessi AA. dell’articolo pub-blicato nel 1994 (12), desunti da analo-ghe ricerche di altri Paesi, ma con cam-pioni di popolazione differenti per nume-rosità, limiti di età, e soprattutto con taglidi BMI per definire il sovrappeso e l’obe-sità differenti non solo come valore as-soluto ma come valore relativo adottatonell’uomo e nella donna. Hanno adottatotagli simili in Svezia, ma solo su un cam-pione di uomini, ottenendo percentuali disovrappeso ed obesità simili a quelleItaliane, ed in Gran Bretagna, ma solo sugiovani adulti e pertanto i dati non sonoconfrontabili.

In Germania un’indagine condotta su2006 soggetti M e F rappresentativi del-la popolazione adulta della GermaniaOvest, di età compresa tra 18 e 88 anni,ha evidenziato tassi di sovrappeso (BMI25-30) oscillanti tra il 15% nei giovanitra i 18 e i 24 anni, e del 50%, moltoelevato, nel gruppo con oltre 55 anni. Itassi di obesità (BMI 30-40) era 3% peri giovani e 17% per gli anziani, e questisono dati più simili ai nostri, mentre lagrave obesità, definita BMI superiore a40, era presente nello 0,4% della popo-lazione (13).

Nell’indagine condotta in USA suuna grossa casistica maschile e femmini-le (studio NHANES del 1990 – NationalHealth American Nutrition Examination

Survey lI), hanno usato dei tagli più altiper il sovrappeso e differenti per sesso(27,8 M, 27,3 F) e per l’obesità (31,1M, 32,3 F), ottenendo un valore di so-vrappeso di 24,2% per i M e 27,1% perle F, e di obesità dell’8% nei M e del10,8% nelle F.

La prevalenza di sovrappeso e diobesità negli USA è più elevata rispettoall’Italia in senso assoluto, e questo è no-to, ed è maggiore nel sesso femminile,cosa molto spesso riscontrata in indaginipiù antiche anche in Italia e nel restodell’Europa, tanto che il sesso femminileviene ritenuto un fattore di rischio di obe-sità. Se questo trend riscontrato da noied in Gran Bretagna, ma non in Francia oUSA o nei Paesi dell’Est Europa, diun’inversione di tendenza della prevalenzadi obesità nell’uomo rispetto alla donnasia un dato reale emergente di recente,per i nuovi ritmi di vita della donna rispettoal passato, deve essere confermato.

Per quanto riguarda l’età in Italia,quando i soggetti intervistati erano sud-divisi in decenni (da 15-24 a 75 ed ol-tre), la più alta percentuale di sovrappe-so maschile era nel gruppo di età tra 45e 54 anni nella gran parte delle areegeografiche. Fra le donne si osservava lapiù alta percentuale nel Centro-Nord tra i65 ed i 74 anni, e nel Sud ed Isole tra i55 e 64 anni.

Chi è il paz iente obeso?

32

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 32

I dati su mortalità e morbosità offerti-ci dalle indagini svolte in Italia sono par-zialmente confermati da quelli provenien-ti da due studi internazionali di interventosull’O. pubblicati nel 1992, che docu-mentano un aumento del rischio di pro-blemi polmonari, ortopedici, metabolici,cardiovascolari, di alcune forme di can-cro (es. mammelle, colon), e persino didisturbi del sonno e psicologici in indivi-dui con BMI superiore a 34. Un’altra re-view fatta da Sjostrom conferma un au-mento del rischio di mortalità generale didue volte con un BMI oltre 35 (14).

Infine una metanalisi condotta nel1993 da Manson sui 25 più grossi studiprospettici conclude “che c’è una strin-gente evidenza di una diretta relazionetra obesità e mortalità generale” (15).

Comunque queste considerazionivanno tenute presenti quando poi si de-ve ragionare in termini di prevenzione edi spesa sanitaria; difatti la prevenzionedeve essere esercitata in tutti i settoridella vita socio-economica che incidonosui comportamenti igienici degli abitantidella Nazione dalle scuole ai mass-me-dia ed alle industrie alimentari.

Ma ragionando in termini di “diete”,farmaci e altri sistemi terapeutici, è chia-ro che non è giustificato l’accanimentoterapeutico nei confronti del sovrappeso,dato che misure fino al 20% e oltre più

elevate del peso ideale sono compatibilicon una normale spettanza di vita.

Sarà invece importante prevenire etrattare i soggetti con aumento del gras-so viscerale a livello dell’addome respon-sabile delle alterazione metaboliche di cuiabbiamo parlato alla fine del capitolo sueziopatogenesi e rischio genetico.

A tale proposito dobbiamo ricordareiniziative come quella recente dell’UICO,che ha istituito l’Osservatorio Epidemio-logico UICO “Michelangelo Cairella” cheha appunto lo scopo di promuovere ecoordinare iniziative atte a raccogliereinformazioni attraverso studi multicentricisu Obesità e anche Distribuzione Adiposa(MODA) su tutto il territorio nazionale.

Oscillazioni cicliche del peso

e longevità

Alcuni studi hanno affrontato il pro-blema della correlazione tra longevità evariazione del peso corporeo: fra questi,più attendibili sono quelli che hanno valu-tato coorti o gruppi di popolazione saniescludendo dal calcolo finale effetticonfondenti come il fumo di sigaretta el’attività fisica, che sono di per sé diretta-mente correlati con la mortalità generale,ed analizzando separatamente la morta-lità dovuta al cancro (16).

A. Notarbartolo

33

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 33

Come si vede dall’analisi della Figura13 il rischio più basso di mortalità è statoosservato tra gli ex-studenti il cui pesoera rimasto invariato per 10-15 anni,mentre il rischio relativo sia di mortalitàper cardiopatia che per tutte le causeaumenta lievemente, ma in modo simile,sia tra quelli che perdono che fra quelliche guadagnano peso.

Le variazioni di peso invece nonhanno presentato alcuna correlazionecon la mortalità da neoplasie (Fig. 14).La curva ad U persiste se si separano isoggetti con BMI inferiore a 25 e quellicon BMI superiore a 25, cioè in sovrap-peso o francamente obesi: questa os-servazione starebbe ad indicare che nonè la quantità del grasso ad influenzare la

Chi è il paz iente obeso?

34

Perdita> 5

RR

di m

orta

lità

per t

utte

le c

ause

2,0

1,5

1,0

0,5

0

..........................

Perdita> 1-5

Peso invariato(± 1)

Aumento> 1-5

Aumento> 5

RR

di m

orta

lità

per t

utte

le c

ause

2,0

1,5

1,0

0,5

0

..........................

Variazioni di peso (kg)

Figura 13

Rischi relativi (RR)corretti per età, altezza,fumo di sigaretta eattività fisica per lamortalità da tutte lecause tra gli ex-studentidella Harvard Universitysuddivisi in baseall’indice di massacorporea (< 25 unità, inalto, e ≥ 25 unità, inbasso) nel periodocompreso tra il 1977 e il 1988, in funzionedelle variazioni di pesoregistrate tra il 1962-1966 e il 1977. I segmenti verticaliindicano gli intervalli diconfidenza al 95%.

(Min Lee I, JAMA ed. it., Vol. 5, N. 3, Marzo 1993.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 34

A. Notarbartolo

35

Perdita> 5

Perdita> 1-5

Peso invariato(± 1)

Aumento> 1-5

Aumento> 5

Variazioni di peso (kg)

RR

di m

orta

lità

per t

utte

le c

ause

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0

...........................

RR

di m

orta

lità

da c

ardi

opat

ia c

oron

aric

a

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0

...........................

RR

di m

orta

lità

da c

ancr

o

3,0

2,5

2,0

1,5

1,0

0,5

0

...........................

Figura 14

Rischi relativi (RR)corretti per età, altezza,fumo di sigaretta eattività fisica per lamortalità da tutte lecause (in alto), per lamortalità da cardiopatiacoronarica (al centro) e per la mortalità dacancro (in basso) tra gli ex-studenti dellaHarvard University tra il 1977 e il 1988, secondo le variazioni di peso registrate tra il 1962-1966 ed il 1977. I segmenti verticaliindicano gli intervalli di confidenza al 95%.

(Min Lee I, JAMA ed. it., Vol. 5, N. 3, Marzo 1993.)

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 35

mortalità ma le oscillazioni di peso, sia indiminuzione che in aumento rispetto alpeso corporeo ideale; il dato è confer-mato escludendo tutti i soggetti che ini-zialmente avevano un BMI inferiore a 22cioè molto magri.

Queste osservazioni sono importantima sono basate su dati retrospettivi epertanto risentono le conseguenze diquesto tipo di studi.

Tuttavia risultati analoghi, ottenuti in-vece su dati prima raccolti e poi seguitinel tempo, cioè con studi prospettici, me-no soggetti ad errori di valutazione, sonostati pubblicati dal gruppo di Stamler cheè un epidemiologo di altissimo valore, inSvezia dal gruppo di Bjorntorp, lo scopri-tore della relazione tra O. viscerale emortalità cardiovascolare, ed infine aFramingham (17-19).

In tutti questi studi le variazioni di pe-so in più o in meno erano dovute a flut-tuazioni del peso; è possibile che fre-quenti fluttuazioni di peso influiscano ne-gativamente sulla longevità?

L’unico fattore che sembra negativonella perdita del peso è che il grassomobilizzato tende a trasferirsi nei depositiadiposi centrali: se la perdita di pesopersiste e si mantiene, si hanno degli ef-fetti metabolici benefici nel tempo, se in-vece il peso si riacquista, condizione pre-sente nel 90% dei casi, il danno meta-

bolico persiste e si aggiunge nel tempoquello cardiovascolare.

Dato l’interesse del problema, poi-ché è caratteristica dell’obeso quella diperdere e riacquistare peso “Weight cy-cling” nel corso della vita, molti gruppihanno cercato di capire il ruolo potenzia-le dell’andamento ciclico sui meccanismipatogenetici e sulla distribuzione delgrasso corporeo. In particolare, soprat-tutto in seguito ad osservazioni condottesull’animale da esperimento, sono statiindagati nell’uomo la preferenza per cibiricchi in grassi, ridotto RMR, variazioninella distribuzione del grasso nei vari de-positi dell’organismo soprattutto a livellointraddominale ed infine prevalenza spic-cata di fattori di rischio per diabete melli-to e/o malattia cardiovascolare. In attonessuno di questi meccanismi è stato di-mostrato particolarmente attivo, poichénella letteratura appena si legge un lavo-ro che evidenzia un meccanismo, subitose ne trova un secondo che dice il con-trario, e questo quando sono state esa-minate casistiche sia di soggetti obesi,maschi e femmine, sia di normopeso. Dicontro esistono forti evidenze epidemio-logiche di un’associazione tra “Weightcycling” ed aumento della morbosità emortalità.

L’unico fattore che sembra differen-ziare i “cyclers” dai “non-cyclers” costan-

Chi è il paz iente obeso?

36

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 36

temente, ma nelle donne soprattutto, èche i primi hanno più grasso addominalesottocutaneo. In quei pochi lavori in cui idepositi di grasso nelle varie regioni sonostati valutati in modo assolutamente affi-dabile, e cioè con tomografia compute-rizzata o con risonanza magnetico-nu-cleare, ed in cui il BMI si è mantenutostabilmente dopo riduzione del peso suvalori ideali (BMI = 21,1 nei controlli,BMI = 22,6 nelle donne ex-obese),l’unico deposito di grasso che rimane si-gnificativamente più abbondante è quellosottocutaneo addominale (a livello dellavita). Questo indicherebbe che il grassointraddominale si perde più rapidamentedi quello sottocutaneo addominale che èquello che resiste di più; anche la massamagra si normalizza; il rapporto vita-fian-chi (WHR) resta più elevato, e ciò dimo-stra che è il miglior indice di “pericolo-sità” del grasso del soggetto obeso. Epoiché in donne che ingrassano c’è laconferma che il primo deposito che sisatura è quello sottocutaneo addomina-le, la sua presenza può essere indicatacome un fattore di rischio nel sesso fem-minile, specie in condizioni di frequentioscillazioni del peso corporeo. È dunqueauspicabile che i soggetti obesi perdanopeso in eccesso e successivamentemantengano un peso stabile a livello piùdesiderabile.

Comunque quasi tutti gli studiosiconcordano che la perdita di peso anchemodesta, ma stabile, è benefica per lasalute dell’individuo. Il rischio è quellodelle “diete” ripetute: esse provocanoconseguenze psicologiche negative, oun rallentamento del metabolismo basaleche si innesca su un retroterra geneticoe diviene pericoloso, ed a volte aumentodel rischio cardiovascolare.

Fattori di rischio di obesità

Finora è stata analizzata la prevalen-za dell’O. in base al tipo di popolazioneesaminato, e la sua relazione con lamortalità e morbosità.

Il riconoscimento dei fattori di rischiopiù importanti per l’obesità (Tab. 2) è unodei compiti essenziali dell’epidemiologia,poiché alcuni sono modificabili e pertantoprevenibili, altri inamovibili; i secondi pos-sono restare allo stato di latenza oppurerivelarsi in tenera età; è importante peròsapere che un loro precoce depistagepuò, attraverso un’azione preventiva, im-pedire il sovrapporsi di altre cause scate-nanti. I modificabili sono distinti in diretti,cioè quei fattori che possono indipenden-temente causare sovrappeso (squilibrioalimentare, rapido incremento ponderalenei primi 6 mesi di vita, nell’infanzia, nella

A. Notarbartolo

37

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 37

pubertà, diminuita attività fisica), e indiret-ti, cioè quei fattori per cui è necessaria lapresenza di un’altra causa gerarchica-mente più valida per causare sovrappeso(condizioni economiche, tensioni psico-sociali, ampiezza del nucleo familiare, ma-lattie dell’ipotalamo, endocrinopatie ediperinsulinismo). Tra i fattori inamovibili visono il sesso e l’ereditarietà.

Per il sesso è dimostrata la predi-sposizione delle femmine ad un maggiorsovrappeso in tutte le età e in quasi tuttele casistiche; forse questa maggiore ec-cedenza ponderale rispetto ai maschipotrebbe in parte spiegare la prevalenza

di diabete nel sesso femminile; una spie-gazione di tale comportamento secondomolti Autori potrebbe risiedere nel fattoche le cellule adipose sono più grandi enumerose nelle femmine. L’ereditarietà èstata discussa nel capitolo in cui si ètrattata anche la patogenesi dell’O. per-ché gli studi di genetica hanno contribui-to a chiarire molti punti oscuri. Per l’etàsi conferma un aumento del peso conl’età, e questo si riscontra in tutte le raz-ze ed i Continenti e in Italia abbiamo rife-rito prima i dati; il momento di massimoincremento ponderale è sia per l’uomoche per la donna tra i 40 ed i 60 anni.

Chi è il paz iente obeso?

38

Tabella 2

Fattori di rischio di obesità.

A. MODIFICABILI

Diretti• Aumentata introduzione calorica, specie di grassi, a scapito degli

zuccheri complessi• Ridotta attività fisica• Rapido incremento di peso nei primi sei mesi di vita• Incremento ponderale alla pubertà

B. INAMOVIBILI

• Ereditarietà• Età• Sesso

Indiretti• Stress• Classe di livello socio-economico basso• Nucleo famigliare: figlio unico, madre anziana, unico genitore vivente• Malattie dell’ipotalamo ed endocrinopatie

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 38

Fra i fattori modificabili direttamentecollegati all’aumento del grasso corpo-reo, vi sono in primo luogo l’alimentazio-ne e in secondo luogo la sedentarietà odiminuita attività fisica.

Secondo Ries, la quantità di cibo in-gerito da soggetti normopeso non differi-sce, tranne che nei soggetti spiccata-mente obesi, dalla quantità ingerita daisoggetti in sovrappeso o obesi sia M cheF; il fabbisogno calorico medio della casi-stica esaminata (giovani che svolgono la-vori pesanti) è di circa 3500 Kal/pro die,corrispondente alla quota energetica in-trodotta giornalmente; ma poiché tra isoggetti considerati pochi svolgono lavoripesanti, la quantità di cibo consumato èeccessiva sia per i normopeso che per isoggetti in sovrappeso. Considerando ilproblema alimentare non solo quantitati-vamente ma anche qualitativamente, ri-spetto agli standards ideali di alimentazio-ne proposti nel ’70 per la stessa popola-zione studiata da Ries, c’è uno squilibriodovuto ad un’eccessiva assunzione digrassi a spese della ridotta introduzione dicarboidrati che è uguale sia nei normope-so che nei sovrappeso e negli obesi (20).

Un altro aspetto recentemente stu-diato, collegato alla obesità infantile edell’adulto è il rapido aumento di pesonei primi 6 mesi di vita e nella pubertà,indicato come co-fattore di rischio sotto

la voce alimentazione. Secondo Wolff,«l’obesità è il più frequente disturbo dellanutrizione nell’infanzia nei Paesi svilup-pati e può persistere nella vita adulta».

Il problema del rapido accrescimentonell’infanzia e nella pubertà è estrema-mente importante per la prevenzione eper la comprensione di alcuni aspetti epi-demiologici dell’obesità nell’adulto.

Tali osservazioni partono fondamental-mente dallo studio longitudinale di EID,l’unico attendibile nel suo genere: egli hariesaminato a 6 e ad 8 anni bimbi osser-vati nei primi sei mesi di vita: coloro cheavevano guadagnato rapidamente pesonei primi sei mesi di vita, forse per una ec-cessiva e precoce somministrazione di ce-reali, avevano un peso ed un’altezza me-dia superiore ed il numero di obesi era si-gnificativamente più alto; il guadagno dipeso nei primi sei mesi di vita era un mi-gliore indice di rischio per il sovrappesonella tarda infanzia che non il sovrappesodei genitori (21). Infine il sovrappeso nellaprima infanzia, prima dei 5 anni, è un im-portante fattore predittivo per l’obesitànell’adolescenza, secondo Wilkinson, pri-ma dei 7 anni (studio retrospettivo), se-condo Zack, in ragazzi dai 4 anni in su(studio longitudinale con la misurazionedelle pliche corporee); nelle donne, seobese, con un’indagine retrospettiva èstata riscontrata una frequenza 2-4 volte

A. Notarbartolo

39

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 39

maggiore di obesità infantile (22). Altri AA.notano ancora un fatto simile in coloro(studi retrospettivi) che erano ingrassatinella pubertà; in sostanza vi sono due pe-riodi caratterizzati dal rapido aumento dinumero e dall’ingrossamento delle celluleadipose, uno nella primissima infanzia euno nella pubertà. Tutto ciò è estrema-mente invitante dal punto di vista specu-lativo ed operativo, ma non si può ignora-re l’esistenza di molti soggetti “medi” cheraggiungono un certo stabile sovrappesoproprio con il crescere dell’età.

Alcuni AA. americani hanno notatoche bambini allattati artificialmente rad-doppiano il loro peso di nascita in epocapiù precoce di quelli alimentati al seno, el’incremento ponderale è relativamentepiù rapido di quello staturale; pertanto ilproblema dell’associazione iperalimenta-zione-infanzia-aumento numero di celluleadipose come fattore predittivo dell’obe-sità dell’adulto può in parte essere spie-gato dalla variazione dei metodi di alimen-tazione nei bambini durante gli anni ’60ed i primi anni ’70; una conferma dellaimportanza di questo fattore di rischio è lasegnalazione di una bassa incidenza diobesità tra i soggetti nati durante la care-stia 1944-45 in Olanda in cui l’ipoali-mentazione si era verificata negli ultimimesi della vita prenatale e nei primi mesidalla nascita. Altri fattori di rischio sareb-

bero la presenza nel nucleo familiare diun figlio unico di madre anziana, l’assen-za di un genitore, la provenienza da fami-glie appartenenti ad una classe socialepovera socioeconomicamente e ciò nonsolo tra i bianchi ma anche in popolazionidi razza nera o indiana.

Recentemente su Preventive Medi-cine è apparsa una rivista della letteratu-ra dal titolo significativo: “I bambini obesidivengono adulti obesi?” (23).

Gli studi epidemiologici che copronol’ultimo ventennio sembrano confermarei risultati di quelli precedenti ed in parti-colare che fra bambini obesi in età pre-scolare, dal 26 al 41% è obeso da adul-to, e fra i bambini in età scolare dal 42 al63%, e nell’insieme, il rischio per i bam-bini obesi di divenirlo anche da adulti va-ria tra 2 e 6,5 volte rispetto ai bambininon obesi.

Detto questo gli AA. concludono condelle raccomandazioni che coincidonocon la nostra osservazione dell’esistenzadi un cospicuo numero di obesi adulti eanziani (l’O. è direttamente correlata conil crescere dell’età) che erano normopesonell’infanzia e nell’adolescenza. Il rischioassoluto in una popolazione che un bam-bino obeso lo divenga da adulto è inferio-re al 50%. In particolare il rischio di ma-lattie croniche correlate all’O. (diabetemellito, ipertensione e malattie cardiova-

Chi è il paz iente obeso?

40

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 40

scolari e renali) è stato riscontrato più altofra gli adulti obesi che non erano obesida piccoli. Ciò implica la necessità di at-tente misure di controllo dell’alimentazio-ne e dell’abitudine all’esercizio fisico intutti i bambini, siano essi obesi o no.

Ci resta infine da accennare ai fattoridi rischio indiretti: condizioni economichehanno un certo valore se associate a fat-tori alimentari o a sedentarietà; anche letensioni psico-sociali hanno notevole im-portanza. Alcuni dati sono di comune ac-cezione: recente inurbamento, motivazio-ni di carattere professionale lavorativo.

Grande obesità

Pochi cenni all’epidemiologia dellagrande obesità o “obesità patologica”come viene chiamata da alcuni.

Non esistono molte stime della pre-valenza della malattia: abbiamo riferitoprecedentemente che in Germania circail 4‰ della popolazione avrebbe un BMIsuperiore a 40, che è circa il doppio delBMI normale. Numerosi AA. hanno peròtrattato l’argomento, evidenziando più fre-quentemente alcune caratteristiche.Anzitutto su 5 grandi obesi, 4 sono don-ne: dal punto di vista dell’evoluzione, unruolo lo può giocare la selezione naturale esessuale, che rende la donna più resisten-

te al digiuno da carestia e quindi predispo-sta ad aumentare di peso in tempi di ab-bondanza di cibo. Un’altra caratteristicanella donna è la correlazione inversa tra ilBMI ed il livello di educazione del partner,o il proprio grado di educazione, ma qual-cosa del genere è stato trovato anche fragli uomini (24).

Non sembra che abbia influenza inve-ce il tipo di mestiere o di professione eser-citata, e per le donne il numero di gravi-danze, che invece hanno influenza sull’au-mento moderato del peso corporeo.

Infine non sembra che influisca, inentrambi i sessi, essere o meno coniu-gati; per quanto riguarda la famiglia, c’èuna forte associazione con l’estremaobesità nella madre. Tutti gli altri fattori dirischio che agiscono nell’obesità non digrado elevato sembra che abbiano pocainfluenza.

Bibliografia

1. Lanzola ELe basi conoscitive della diagnostica nutrizionale.In: Items – I temi della nutrizione. Ed da IstitutoDanone, pp 7-27, 1995.

2. Bellù R, Tagliabue ADeterminazioni antropometriche nell’adulto e nel bambino.Ibidem, pp 49-59.

3. Bouchard CIndividual differences in the response to regular exercise. Int J Obes, 19, Suppl 4, S558, 1995.

A. Notarbartolo

41

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 41

4. Stunkard AJ, Sorensen TIA, Hanis C et alAn adoption study of human obesity. N Engl J Med, 314:193-198, 1986.

5. Price RA, Cadoret RJ, Stunkard AJ et alGenetic contributions to human fatness: an adoptionstudy. Am J Psychiatry, 144:1003-1008, 1987.

6. Bouchard C, Tremblay A, Despres JP et alThe response to long-term overfeeding in identicaltwins. N Engl J Med, 322:1477-1482, 1990.

7. Unger RHLipotoxicity in the pathogenesis of obesity-depen-dent NIDDM. Genetic and clinical implications. Diabetes, 44:863-870, 1995.

8. EditorialeObesity and insulin processing in mice. Nature, 375:433, 1995.

9. Neel JVDiabetes mellitus: a “thrifty” genotype rendered de-trimental by progress. Am J Hum Genet, 14:353-362, 1962.

10. Ravussin EEnergy metabolism in Obesity. Studies in Pimaindians. Diabetes Care, 16, Suppl 1, 232-238, 1993.

11. Menotti AEpidemiologia dell’Obesità in Italia. Atti del Congresso UICO, Roma, 1995.

12. Pagano R, La Vecchia COverweight and obesity in Italy, 1990-91. Int J Obes, 18:665-669, 1994.

13. Heseker H, Hartmann S, Kubler WAn epidemiologic study of food consumption habitsin Germany. Metabolism, 44, 2, Suppl 2:10-13, 1996.

14. Sjostrom L

Mortality of severely obese subjects. Am J Clin Nutr, 55 (Suppl): 516S-523S, 1992.

15. Manson JE, Stampfer MJ, Hennekens CHBody weight and longevity: a reassessment. JAMA, 257:353-358, 1987.

16. Min Lee I, Paffenbarger RSVariazioni del peso corporeo e della longevità. JAMA ed It, 5, 3:154-160, 1993.

17. Stamler JEpidemic obesity in the United States. Arch Intern Med, 153:1040-1043, 1993.

18. Robinson JI, Sharon L, Hoerr RDObesity, weight loss, and health. J Am Diet Ass, 93, 4:445-449, 1993.

19. Rebuffè-Sorive M, Hendler R, Bracero N et alBiobehavioral effects of weight cycling. Int J Obes, 18:651-658, 1994.

20. Ries WFeeding behaviour in obesity. Proc Nutr Soc, 32:187-197, 1973.

21. Eid EEFollow up study of physical growth of children whohad excessive weight gain in first six months of life. Br Med J, 2:74-79, 1970.

22. Zack P, Harlan WR, Leaverton PE et alA longitudinal study of body fatness in childhoodand adolescence. Pediatrics, 95:126, 1997.

23. Serdula MK, Ivery D, Coates RS et alDo obese children become obese adults? A reviewof the literature. Prev Medicine, 22:167-177, 1993.

24. Merkus PM, Mathus-Vliegen MHL, Broekoff Cet alExtreme obesity: sociodemographic, familial andbehavioural correlates in the Netherlands. J Epid Comm Health, 49:22-27, 1995.

Chi è il paz iente obeso?

42

1009/96 cap. 1 29-05-2002 10:56 Pagina 42

Definizione

L’obesità essenziale è una condizio-ne clinica caratterizzata da un eccessodi tessuto adiposo. L’attuale interesseper tale patologia è legato al progressi-vo incremento della sua prevalenza neiPaesi a più elevato tenore di vita e dalsicuro legame tra obesità e aumentatorischio cardiovascolare.

Un problema che risulta a tutt’ogginon risolto è rappresentato dal punto didemarcazione tra normalità e patologiache non può essere definito fino a chevenga adottato il criterio di utilizzare co-me normale una popolazione di riferi-mento.

Nei Paesi industrializzati la medianae la distribuzione della popolazione cheviene scelta come standard può nonessere per nulla ideale (1,2).

Idealmente l’obesità dovrebbe es-sere definita come un eccesso di tes-suto adiposo in grado di indurre unaumento significativo di rischi per

la salute. In pratica i criteri clinici chevengono correntemente utilizzati perdefinire un soggetto obeso sono:– presenza di un sovrappeso maggioredel 20% rispetto al peso ideale calcola-to in base all’altezza;– Body mass index (BMI): peso inkg/altezza in m2 > 2 DS oppure > 90°percentile (Figg. 1a e 1b);– plica tricipitale > 90° percentile.

Epidemiologia

Nei Paesi a più elevato tenore so-cio-economico l’obesità essenziale rap-presenta “il problema nutrizionale”.

Negli U.S.A. negli anni ’80 la pre-valenza dell’obesità essenziale è pre-sente in percentuale intorno al 25% tra6 e 11 anni e intorno al 20% tra i 12ed i 17 anni; quasi la metà dei casi ècostituita da grandi obesi.

In Italia la prevalenza è passatadall’1,6% nel 1951 (3,4) al 12,5%

43

OO besità essenziale infantile

E. Riva, S. Scaglioni

Clinica Pediatrica, Ospedale San PaoloUniversità degli Studi di Milano

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 43

Obesità essenziale infantile

44

35

34

33

32

31

30

29

28

27

26

25

24

23

22

21

20

19

18

17

16

15

14

13

12

11

10

9

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

.........................................................................................

1 3 6 9mesi

Età, anni

Area di sottopeso

Area di sovrappeso

Femmine

Peso (kg)/altezza2 (m)

97

90

75

50

25

10

3

Figura 1a

Body Mass Index (BMI)nelle femmine espressoin percentili. (Rolland-Cachera MF,Sampè M, Guilloud-Bataille M, Patois E,Pequinot-Gugenbuhl F,Fautrad V, Adiposityindices in children. Am J Clin Nutr, 36:178-184,1982)

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 44

E. R iva

45

35

34

33

32

31

30

29

28

27

26

25

24

23

22

21

20

19

18

17

16

15

14

13

12

11

10

9

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

......................................................................................... Età, anni

Area di sottopeso

Area di sovrappeso

Maschi

Peso (kg)/altezza2 (m)

97

90

75

50

25

10

3

1 3 6 9mesi

Figura 1b

Body Mass Index (BMI)nei maschi espresso in percentili.

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 45

(5,6% in I elementare, 14,1% in IVelementare e 15,8% in II media) (5) nel1986 e ad una percentuale compresatra 11% e 20% in età scolare nel 1989-1993 (6-8). Nell’Italia meridionale nel1992 vengono segnalate prevalenzeancora più elevate, pari al 25% (9). Co-me negli altri Paesi industrializzati anchein Italia si è assistito, quindi, ad un no-tevole incremento del numero di bambiniobesi.

Rischio di obesità

Il rischio relativo per un bambinoobeso di diventare un adulto obeso au-menta con l’età. Circa il 40% dei bam-bini obesi è destinato ad essere obesoin età adulta, ma la percentuale sale al70% per gli adolescenti obesi.

Rispetto al bambino normopeso, ilbambino obeso ha un rischio doppio didivenire un adulto obeso.

Eziologia

L’obesità essenziale ha un’eziologiamultifattoriale. Su di una predisposizio-ne genetica vanno ad agire fattori me-tabolici, nutrizionali, comportamentali edambientali.

Fattori genetici

Le ricerche hanno confermatol’estrema importanza della predisposi-zione genetica che è in grado di condi-zionare la deposizione del tessuto adi-poso. Gli studi clinici hanno dimostratoche il grado di ereditarietà è stimabileintorno al 30-50% tra BMI di genitori efigli (10). Il ruolo prevalente dei fattorigenetici rispetto a quelli ambientali èconfermato dagli studi effettuati subambini adottati che risultano avere unapiù elevata associazione con il peso deigenitori biologici rispetto a quelli adottivicon un grado di ereditarietà ≥ 30% (11) edagli studi sui gemelli (12,13).

Controllo dell’assunzione

del cibo

I più recenti studi effettuati sugli ani-mali hanno permesso di identificare eclonare nel tessuto adiposo del topo edell’uomo il gene ob (14), la cui mutazio-ne nel topo determina una sindrome cheinduce obesità, deposizione del grasso,iperglicemia, iperinsulinemia. A tutt’oggisono state identificate cinque diversemutazioni geniche a singolo gene in cin-que diversi cromosomi del topo chedanno origine ad un fenotipo obeso.

Obesità essenziale infantile

46

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 46

Il prodotto genico del gene ob, laleptina, se iniettata in animali magri odobesi produce riduzione del consumo dicibo e del peso corporeo, agendo a li-vello ipotalamico mediante inibizionedell’attività NPY-ergica. Il neuropeptideY rappresenta con la galanina ed i pep-tidi oppioidi uno dei più potenti stimola-tori dell’assunzione di cibo, capaci diindirizzare le scelte verso taluni nutrientiquali carboidrati e lipidi (peptidi oppioi-di), carboidrati (NPY), lipidi (galanina).

In caso la leptina non venga sinte-tizzata, al SNC non giunge l’informazio-ne dell’aumento del tessuto adiposo equindi non viene inviato il messaggio diridurre l’apporto di cibo. Per quanto ri-guarda la regolazione della leptina, il suolivello plasmatico risulta essere significa-tivamente correlato al BMI nell’animalee nell’uomo. Gli studi che vengono at-tualmente effettuati indicherebbero,inoltre, l’esistenza, a livello di numerosicromosomi, di geni o loci che interver-rebbero nel condizionare l’obesità.

Fattori ambientali

I fattori ambientali coinvolti nellosviluppo di obesità possono così esseresintetizzati:– regione geografica: sud > nord;

– densità di popolazione: città > cam-pagna;– livello socio-economico inversamenteproporzionale alla prevalenza di obesità (15);– stato nutrizionale nei primi mesi di vi-ta: il basso peso neonatale è correlatostatisticamente a sviluppo di obesità;– abitudini di vita e di alimentazione deifamiliari: genitori sedentari e che se-guono un’alimentazione con elevato ap-porto calorico più facilmente avranno fi-gli pigri e obesi; – scarsa disponibilità dei genitori a favo-rire una vita attiva e la pratica sportiva;– solitudine dei bambini che trascorronomolte ore in casa soli.

Il determinismo familiare e culturaledell’obesità è importante. Nell’ambito fa-miliare è stato descritto il comportamen-to eccessivamente da nutrice delle ma-dri, che rispondono a qualsiasi manife-stazione del loro bambino con un appor-to alimentare; ciò perturberebbe la sen-sazione di fame del bambino e qualsiasisuccessiva tensione o ansia scatenereb-be un bisogno di assorbire qualcosa.

Fattori metabolici

Le indagini effettuate su campionidi bambini obesi non sono riuscite a di-mostrare un diverso consumo calorico

E. R iva

47

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 47

per unità di massa magra nei bambininormopeso ed obesi.

Studi effettuati sul metabolismo ba-sale, che rappresenta la quota più rile-vante della spesa energetica quotidia-na, non hanno dimostrato, per unità dimassa magra, differenze significativetra la popolazione obesa e quella nor-mopeso in età pediatrica (16-18) neanchedopo calo ponderale (19). Dati interes-santi vengono segnalati da Roberts ecoll. in uno studio nel quale si dimostrache la spesa energetica è significativa-mente più bassa nei lattanti prima dellacomparsa del sovrappeso (20).

Fattori nutrizionali

Il ruolo sicuramente rilevante del-l’alimentazione nello sviluppo dell’obe-sità essenziale è documentato dalla giàcitata prevalenza di questa patologiasempre più elevata nei Paesi in cui siha maggiore disponibilità di alimenti edabitudini di vita sempre più sedentarie.

Nonostante questo, le indagini nu-trizionali non sono mai riuscite a dimo-strare nei soggetti obesi sia in età pe-diatrica sia in età adulta un apporto ca-lorico superiore ai normopeso.

Questi risultati possono essere in-terpretati in modo diverso: effettiva-

mente un soggetto obeso non necessi-ta di un eccessivo apporto di calorie ri-spetto al normopeso per mantenere neltempo l’eccesso ponderale. Maggioreinteresse avrebbero indagini che stu-diassero il comportamento alimentare edi vita di bambini nelle fasi che prece-dono la comparsa di obesità.

Altro possibile motivo del mancatoriscontro di differenze di intake tra obesie normopeso potrebbe essere legatoalle tecniche di rilevazione che non con-sentirebbero di individuare le “calorieocculte” che vengono assunte presumi-bilmente nel corso di spuntini e a cuiconsciamente o inconsciamente nonviene data rilevanza.

Le indagini nutrizionali rivelano chele abitudini alimentari in bambini obesi enormopeso sono sostanzialmente omo-genee e che in età evolutiva entrambi igruppi effettuano errori nutrizionali senzarilevanti differenze tra i due gruppi.

Caratteristiche dell’alimentazionedel bambino obeso (21):– eccessivo intake di calorie rispetto aiLARN;– il 60% dei bambini obesi non effettuala prima colazione;– i bambini obesi che effettuano la pri-ma colazione assumono in tale pasto unapporto calorico inferiore a quello deinormopeso;

Obesità essenziale infantile

48

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 48

– tendenza ad assumere alimenti prefe-ribilmente nel pomeriggio e alla sera espesso non in occasione dei pasti prin-cipali;– scarso apporto di: carboidrati a lentoassorbimento, proteine e lipidi di originevegetale, fibre, verdura e frutta;– elevato apporto di: zuccheri a rapidoassorbimento, proteine e lipidi di origineanimale.

Caratteristiche clinichedel bambino affetto da obesità essenziale

L’esame clinico di un bambino e diun adolescente in sovrappeso in genereconsente di porre diagnosi di obesitàessenziale o di sospettare una causaendocrina o polimalformativa.

Il bambino affetto da obesità es-senziale, infatti, ha caratteristiche moltoprecise:– l’obesità si instaura gradualmente,con incidenza massima tra 7 e 10 annio all’adolescenza;– la distribuzione del tessuto adiposo èuniforme a livello di viso, tronco, arti;– statura media o alta con curva di ac-crescimento regolare;– assenza di gozzo e di segni clinici diipotiroidismo;

– assenza di stigmate malformative;– pseudoipogenitalismo;– normale sviluppo psicomotorio e per-formance scolastica;– se indagata, la maturazione ossea ri-sulta accelerata e sovrapponibile all’etàstaturale;– spesso è presente valgismo delle gi-nocchia;– maturazione puberale tendenzialmen-te accelerata;– eventuale presenza di strie a livello dicosce, fianchi e glutei;– abitudini alimentari peculiari (vedi pa-ragrafi: Fattori nutrizionali e Comporta-menti alimentari);– abitudini di vita peculiari (vedi para-grafo: Abitudini di vita).

Comportamentialimentari e personalità del bambino edell’adolescente obeso

Due condotte alimentari sembranoassai specifiche dell’adolescente: l’iper-fagia ed il piluccare, spesso a connota-zione familiare (22).

L’iperfagia è caratterizzata da ab-bondante assunzione di calorie nel cor-so di 3-4 pasti quotidiani con una primacolazione sempre o assente o scarsa.

E. R iva

49

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 49

L’iperfagia è spesso familiare e l’assun-zione di cibo non corrisponde ad unasensazione di fame.

L’atto di piluccare si verifica fuoridai pasti soprattutto nel corso di tutta lagiornata, ma specie nel pomeriggio. Intali casi può essere incriminato un soloalimento che può essere reperito confacilità e che non necessita di prepara-zione (dolci, biscotti, cioccolata). L’abi-tudine a piluccare accompagna la vitadell’adolescente: attività scolastiche,lettura, televisione. La sedentarietà e lasolitudine sono sempre presenti in talecondotta alimentare.

Al di fuori da questi episodi non èpresente sensazione di fame, prima deipasti l’adolescente non ha fame perchéha già piluccato e quindi spesso anche isuoi familiari sono convinti che il bambi-no mangi poco perché nel corso dei pa-sti il bambino effettivamente ha un’as-sunzione calorica modesta.

Il piluccare fa seguito ad una sen-sazione imprecisa, indefinibile, spessocaratterizzata da malessere o anche daun bisogno o dal piacere di riempire labocca, di masticare, di deglutire, in de-finitiva di avere un’attività orale inces-sante. L’assunzione di cibo non portasenso di sazietà ma piuttosto un senti-mento di colpa o uno stato di fastidioulteriore.

Fame e sazietà nell’adolescente obe-so vengono mal discriminate. SecondoH. Bruch (23,24) l’adolescente normaledeve aver acquisito il sentimento delproprio corpo, la coscienza di essere unorganismo autonomo e indipendente, lacapacità di riconoscere i bisogni delproprio corpo e di ottenere una loro giu-sta soddisfazione. L’adolescente obesonon è giunto a questa autonomia.

Questa condizione presumibilmentederiva dal caos delle prime esperienzedi soddisfazione, in particolare orale,verificatesi quando la madre, invece dioffrire nutrimento in risposta a segnalispecifici che indicano bisogno di ali-mentarsi, ha reazioni continuamenteinadeguate (madre indifferente, ipersti-molante, persecutoria o totalmente per-missiva) che generano nel bambino unostato di perplessità, di confusione e diincapacità di discernere tra fame, sa-zietà o un altro malessere.

Questi bambini diverranno adole-scenti che saranno senza risorse difronte ai bisogni del corpo o che avran-no la sensazione che questi bisogni so-no controllati dall’esterno come se essinon fossero proprietari dei loro corpi edelle loro sensazioni. Tali adolescenti difronte a qualunque stato di tensione in-differenziata, sia che si tratti di fame,ma anche di noia, solitudine o di males-

Obesità essenziale infantile

50

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 50

sere fisico, avranno la tendenza ad as-sumere cibo.

Secondo la Bruch nell’obesità il di-sturbo principale è costituito dall’inattivitàe spesso ritroviamo uno stato d’animoquale la noia, a volte senza vera e pro-pria depressione. La solitudine completaquesto senso di noia, l’adolescente la-menta un sentimento di vuoto, di inutilità.

Comportamenti alimentari quali vo-racità e bulimia sono rari e non possonoessere considerati caratteristici del-l’obesità essenziale in età evolutiva equindi, se presenti, sono meritevoli diapprofondimento.

Abitudini di vita

Le indagini effettuate con l’obiettivodi confrontare le abitudini di vita delbambino in età scolare sono state in gra-do di dimostrare (21) che il 68% praticaattività sportiva almeno 2 volte alla setti-mana senza differenza tra obesi e nor-mopeso con una media di 3,2 ore di atti-vità sportiva per gli obesi e 3,6 per i nor-mopeso. Anche le ore trascorse in atti-vità sedentarie sono sovrapponibili: obesi11,6 ore/die, non obesi 11,1 ore/die.

Unica differenza significativa è statarilevata nel giudizio dei genitori sull’atti-vità motoria dei propri figli.

Un maggior numero di soggetti obe-si rispetto ai non obesi veniva identificatonella categoria dei pigri. Attualmente neltrattamento e nella prevenzione dell’obe-sità essenziale sempre maggiore valoreviene dato non solamente all’attivitàsportiva quanto ad una vita “attiva”.Molto efficace sembrerebbe dimostrarsiil promuovere un cambiamento quotidia-no di abitudini di vita su tutto l’arco dellagiornata contrariamente all’imposizionedi poche ore settimanali di sport.

Tecniche di misurazionedel tessuto adiposo

Per la descrizione della rilevazionedei parametri antropometrici e dellacomposizione corporea rimandiamo alcapitolo “Determinazioni antropometri-che nell’adulto e nel bambino” a pag.49 del Volume “Diagnostica Nutrizio-nale – Accertamento e valutazione dellostato nutrizionale” della stessa collana.

Approccio al bambinoobeso

Perché l’incontro tra pediatra ebambino obeso possa rappresentareuna importante fase di un programma

E. R iva

51

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 51

Obesità essenziale infantile

52

di intervento efficace è necessario chenell’ambito dell’anamnesi e dell’esameobiettivo vengano raccolte le maggioriinformazioni possibili sul bambino e sul-la sua famiglia.

Lo scopo è quello di cercare di ot-tenere la loro fiducia e disponibilità adintraprendere un programma che nonsolamente coinvolgerà le loro abitudininutrizionali ma anche le loro abitudini divita.

Anamnesi

In aggiunta ad un’anamnesi gene-rale completa e dettagliata dovrannoessere raccolte informazioni volte a ve-rificare il rischio familiare per malattiecronico-degenerative e obesità, fattoriambientali e familiari predisponentiall’obesità, eventuali sintomi che indiriz-zino verso un’obesità non essenziale,fattori nutrizionali e di vita.

Anamnesi familiare– peso dei genitori e dei fratelli;– familiarità per malattie cronico-dege-nerative in parenti di I e II grado cercan-do di specificare l’età in cui si sono ve-rificate eventuali patologie cardiovasco-lari acute;– tipo di attività lavorativa dei genitori e

di chi si occupa del bambino per valuta-re la loro disponibilità e il tempo chepuò essere dedicato alle necessità delbambino;– eventuale presenza di alterato rappor-to con il cibo nei familiari.

Anamnesi fisiologica– peso neonatale;– tipo di allattamento;– accrescimento staturo-ponderale;– sviluppo psicomotorio e performancescolastica;– comparsa dei primi segni puberali;– età del menarca e caratteri dei ciclimestruali.

Anamnesi patologica– pregresse patologie con particolare ri-ferimento all’assunzione di farmaci;– epoca di comparsa del sovrappeso eincremento ponderale/anno;– eventuali pregressi tentativi di riduzio-ne del sovrappeso.

Anamnesi alimentareLa rilevazione avrà diversa precisio-

ne in rapporto con gli strumenti tecnici adisposizione.

Molto utile sarebbe la valutazionedelle abitudini nutrizionali mediante que-stionario delle frequenze alimentari omediante diario di 3 o 7 giorni.

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 52

In tale modo è possibile conoscerecon precisione intake calorico e intakedi nutrienti. In mancanza di tali metodi divalutazione dei consumi alimentari, èopportuno vengano comunque acquisiteinformazioni relativamente a: – numero dei pasti;– con chi il paziente ha l’abitudine diassumere i pasti;– abitudine ad assumere la I colazione;– consumo settimanale dei principali ali-menti (cereali, carne, pesce, legumi, lat-te e latticini, uova, salumi, verdura, frut-ta, dolci, prodotti da forno, bibite);– occasioni in cui il paziente lamentamaggiore appetito;– eventuale presenza di episodi com-pulsivi o di vomito spontaneo o provo-cato;– eventuali limitazioni spontanee dell’in-take con mancata assunzione di interipasti;– motivazioni alla scelta di quelle speci-fiche abitudini nutrizionali: tradizione fa-miliare, gusto del bambino o dei familia-ri, praticità ...;– conoscenze nutrizionali della famiglia.

Abitudini di vita– ore settimanali di sport;– interessi; – ore di attività sedentaria (TV, compu-ter, musica, studio ...).

Ulteriori informazioni– rapporti con i familiari;– rapporti con i compagni; – motivazioni alla richiesta di consulenzamedica;– convinzioni in tema di obesità;– autovalutazione del sovrappeso; – aspettative del paziente e dei familiariin termini di perdita di peso;– disponibilità del paziente e dei familiaria modificare le abitudini alimentari e divita.

Esame obiettivo

Nell’ambito dell’esame obiettivo vaesclusa la possibilità, che si verifica po-co frequentemente, che l’eziologia del-l’obesità sia di origine endocrina o fac-cia parte di una sindrome polimalforma-tiva. Sintomi guida che devono fare so-spettare una obesità non essenziale so-no: statura < 50° percentile (eziologiaendocrina), ritardo mentale (non pre-sente nella sola sindrome di Alströmnella quale sono però presenti sordità edegenerazione della retina), stigmatemalformative ed ipogonadismo nellesindromi polimalformative.

L’esame obiettivo generale saràcompletato dalla rilevazione di:– altezza e, quando possibile, ricostru-

E. R iva

53

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 53

zione della curva di accrescimento;– peso e ricostruzione della curva di ac-crescimento ponderale mediante la va-lutazione longitudinale dei pesi prece-denti per valutare l’incremento di peso;– calcolo del peso ideale in rapportoall’altezza e del sovrappeso;– calcolo del BMI;– pliche cutanee (tricipitale, bicipitale,sottoscapolare, sovrailiaca);– circonferenze corporee (braccio, vita,fianchi, coscia);– stadio puberale;– dimensioni della ghiandola tiroidea;– ricerca di eventuali sintomi di ipotiroi-dismo;– pressione arteriosa;– presenza di eventuale ginecomastia; – eventuale presenza di strie cutanee;– alterazioni ortopediche.

Indagini ematochimichee strumentali

La diagnosi di obesità essenziale èesclusivamente clinica.

La scelta di sottoporre il bambinoad indagini deve essere affidata al pe-diatra.

Utili per stabilire se si siano già in-staurate complicanze legate al sovrap-peso e alla sua durata possono essere:

– screening dei lipidi;– test da carico orale con glucosio convalutazione di glicemia ed insulinemia; – funzionalità epatica;– in caso di riscontro di epatomegalia,approfondimento dei test di funzionalitàepatica ed ecografia epatica;– elettrocardiogramma;– in caso di riscontro di valori pressorielevati, controlli pressori seriati. In casodi mancata normalizzazione della PAdopo calo ponderale si consiglia ap-profondimento diagnostico.

A questi accertamenti possono es-sere aggiunte valutazioni della composi-zione corporea (vedi sopra) e approfon-dimenti cardiologici.

In caso si sospetti che il pazientenon sia affetto da obesità essenzialedovranno essere effettuate le indaginispecifiche volte a stabilire la diagnosiprecisa.

Indirizzi terapeutici

Qualsiasi sia l’approccio terapeuticoprescelto vi è unanime consenso sullaopportunità che l’obesità essenzialevenga trattata in età pediatrica. I motivisono rappresentati dall’elevata preva-lenza di questa patologia che tende adaumentare con l’età, le difficoltà di trat-

Obesità essenziale infantile

54

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 54

E. R iva

55

tamento in età adulta e l’elevato rischiodi un bambino obeso di divenire unadulto obeso ed infine la certezza chel’obesità rappresenta un fattore di ri-schio per malattie degenerative ed inparticolare ipertensione e diabete.

Gli approcci che vengono attual-mente proposti sono la terapia compor-tamentale, la dieta chetogena a rispar-mio proteico e la dieta ipocalorica bilan-ciata.

Terapiacomportamentale

Le tecniche comportamentali parto-no dal presupposto che l’obesità dipen-da da un apprendimento scorretto chedeve essere modificato (25).

Obiettivi sono rappresentati dalla ri-mozione dei comportamenti giudicatinon adeguati e dall’apprendimento dialtri maggiormente adeguati. Elementoindispensabile per il buon successo èrappresentato dal rapporto che si riescea creare con il paziente.

Come per gli altri programmi tera-peutici è indispensabile il coinvolgimen-to del paziente e dei suoi familiari cheincidono in modo rilevante sull’anda-mento della terapia. Le modificazioni dicomportamento devono essere accetta-

te e condivise da tutti i componenti del-la famiglia.

Si focalizza la propria attenzione su:masticazione, velocità con cui vengonoassunti i pasti, luogo dove il bambinomangia, persone con le quali il bambinomangia, orario dei pasti. Generalmenteè preferibile porsi obiettivi intermedi checonsentano una modificazione gradualedelle abitudini e l’acquisizione del con-trollo dell’assunzione di alimenti iperca-lorici.

In questi programmi terapeuticivengono stabiliti dei premi (spesso an-che in denaro) che vengono promessiin caso di successo.

Questo intervento terapeutico ri-chiede una preparazione specifica daparte del terapeuta.

Diete chetogene a risparmio proteico

La dieta chetogena a risparmio pro-teico è conosciuta come Protein SparingModified Fast (PSMF). Ne esistonodue varianti: una dieta fortemente ipo-calorica (Very low Calorie Diets) chefornisce un intake calorico pari a 600-800 Kcal/die ed una dieta a risparmioproteico modificata (Protein SparingModified Fast) (26,27).

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 55

L’obiettivo che si prefiggono questediete è un rapido dimagramento nel piùbreve tempo possibile compatibilmentecon la sicurezza del paziente.

Il programma di perdita di peso siprefigge quindi di fornire:– rapido calo ponderale;– non rischi per la salute;– sazietà;– conservazione della massa magra;– buona compliance;– continuazione delle normali attività;– normale accrescimento;– prevenzione dell’incremento di peso.

Tale terapia normalmente viene pra-ticata per un breve periodo (poche set-timane) sotto controllo clinico e meta-bolico. Attualmente viene proposta lasua attuazione, specie nella forma mo-dificata, anche a domicilio, con controllisettimanali. La dieta chetogena a ri-sparmio proteico (PSMF) fornisce 600-800 Kcal/die mentre la dieta a rispar-mio proteico modificata fornisce: 850-950 Kcal/die con la seguente ripartizio-ne in nutrienti: 50% proteine, 40% lipi-di e 10% glucidi (Tabb. 1a e 1b).

Tale dieta si prefigge di fornire unabassissima quota di carboidrati e unaquota di proteine ad alto valore biologicopari a 1,5-2 g/kg peso ideale/die.Vengono consentiti: carne magra, polla-me, pesce, crostacei, vegetali a basso

contenuto di amido. La dieta modificataprevede anche l’introduzione di una cer-ta quantità giornaliera di frutta, fresca osotto forma di succo. Le diete vengonosupplementate quotidianamente concalcio (800 mg), cloruro di potassio (25mEq/die), vitamine ed oligoelementi,l’apporto di liquidi non calorici racco-mandato è pari a 1,5-2 litri/die.

L’elevato intake proteico ha lo sco-po di ridurre la negativizzazione del bi-lancio azotato. In condizioni normali il bi-lancio azotato è positivo: l’azoto intro-dotto con le proteine della dieta è mag-giore di quello eliminato con urine e feci.L’eccesso di apporto di proteine deveimpedire che la perdita di peso sia dovu-ta al catabolismo della massa magracon conseguente riduzione della massamuscolare.

Un’indicazione che viene propostaper questo schema terapeutico è l’obe-sità grave (sovrappeso > 70%) in bam-bini di età superiore a 9-10 anni.Questa terapia è sconsigliata in pazienticon aritmie, alterazioni dell’equilibrio idri-co, insufficienza epatica e renale.

A questo programma dietetico van-no aggiunti: esercizio fisico e modifica-zione dei comportamenti.

Il periodo durante il quale viene se-guita la dieta chetogena a risparmioproteico viene utilizzato per educare il

Obesità essenziale infantile

56

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 56

bambino e la famiglia dal punto di vistanutrizionale e programmare la dieta dimantenimento che dovrà ispirarsi alladieta ipocalorica bilanciata.

I sostenitori di questo approccio te-rapeutico sottolineano l’importanza psi-cologica di un calo ponderale rapido econsistente che incentiverebbe il pa-ziente e la famiglia a proseguire il pro-gramma terapeutico.

Dieta ipocaloricabilanciata

La dieta ipocalorica bilanciata (28) è

caratterizzata da apporto calorico nondrasticamente inferiore rispetto a quantoraccomandato per età e sesso (LARN)ed una scomposizione in nutrienti so-vrapponibile a quella della dieta ideale.

Presso la Clinica Pediatrica – Ospe-dale S. Paolo di Milano nell’approccio albambino obeso vengono fornite infor-mazioni nutrizionali, vengono suggeriticomportamenti che possano facilitarel’accettazione di una graduale modifica-zione delle abitudini di vita e forniti sche-mi alimentari ipocalorici bilanciati detta-gliati (vedi una giornata tipo nella Tabella2) con menu per alcune settimane, cor-redati da possibili sostituzioni.

E. R iva

57

I colazione spremuta d’arancia o tè non zuccherato o yogurt magro o succo di pomodoro

Pranzo e cena minestrone di verdura200 g di carne o pesce o 80-100 g di prosciuttoverdure crude o cotte (escluse patate)olio d’oliva 8-10 g

Spuntini succo di frutta o un frutto

Tabella 1b

Esempio di dieta a risparmio proteicomodificata (Catassi).

I colazione 2 uova alla coque 1/2 bicchiere di pomodoro

Pranzo 90 g di pollo arrostobroccoli o spinaci1 piatto di lattuga senza condimento

Cena 30 g di gamberetti con pomodoro e sedano

Spuntini verdura

Tabella 1a

Esempio di dietachetogena a risparmioproteico.

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 57

Obesità essenziale infantile

58

Colazione latte parzialmente scremato 200 mlo yogurt 125 gcorn flakes 35 g

Spuntino pane integrale 1/2 paninomela 150 g

Pranzo spaghetti alle verdure e mozzarellapasta di semola o integrale 50 gcarote + sedano + zucchinemozzarella 20 golio d’oliva extravergine 1 cucchiainoformaggio parmigiano 1 cucchiaio

palombo in umido 100 gpelati 40 golio d’oliva extravergine 1 cucchiaino

insalata 100 golio d’oliva extravergine 1 cucchiaino

pane integrale 1/2 paninofragole al limone 100 g

Merenda pane e pomodoro 1 fetta

Cena pasta e fagiolipasta 40 gfagioli freschi 35 g

spinaci 150 golio d’oliva extravergine 1 cucchiaino

pane integrale 1/2 paninoarancia 1

Apporto calorico 1414 Kcal

Proteine 61 g

Proteine animali 30,2 g

Proteine vegetali 30,8 g

Glucidi 213 g (60% della quota calorica totale)

Glucidi complessi 148 g

Glucidi semplici 55 g

Lipidi 41 g (27% della quota calorica totale)

Ferro 14 mg

Calcio 884 mg

Fibra solubile 4 g

Fibra insolubile 12 g

Tabella 2

Apporto calorico e scomposizione in nutrienti

Una giornata tipo di dieta ipocaloricabilanciata.

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 58

Tale scelta è determinata dagli sco-pi che riteniamo importante perseguire:– ottenere una riduzione del sovrappesograduale e duratura;– insegnare ad alimentarsi correttamente;– impostare nuove abitudini nutrizionali edi vita nel paziente e in tutta la famiglia;– prevenire errori nutrizionali negli altricomponenti della famiglia e quindi ef-fettuare un programma di terapia e diprevenzione al tempo stesso;– non trasmettere il messaggio che perdimagrire è necessario seguire una die-ta molto diversa da quella che conside-riamo ideale e adeguata per il manteni-mento dei benefici raggiunti.

A nostro giudizio con le diete che-togene a risparmio proteico vi è il ri-schio che il paziente, anche a distanzadi tempo, ogniqualvolta prenderà la de-cisione di calare di peso adotterà lostesso schema, senza controllo medico.Presumibilmente si potrà anche verifi-care la tendenza a seguire schemi iper-proteici ed ipocalorici per lunghi periodi.

L’obiettivo di educare il bambino ela sua famiglia ad una dieta ideale intermini quantitativi e qualitativi può es-sere raggiunto fornendo una dieta ipo-calorica bilanciata abbinata a potenzia-mento dell’attività fisica dopo aver forni-to informazioni nutrizionali ed aver solle-citato il coinvolgimento della famiglia al

programma. Rispetto alle abitudini delbambino le modificazioni più rilevantiche ci si prefigge sono:– concentrazione dell’assunzione deglialimenti in 4-5 pasti;– promozione e valorizzazione della pri-ma colazione;– riduzione dell’apporto di grassi e pro-teine di origine animale;– aumento dell’apporto di cereali specieintegrali;– limitazione degli zuccheri a rapido as-sorbimento;– aumento di intake di fibre alimentari(verdura, frutta, legumi).

Nel corso del primo incontro e poisuccessivamente vengono fornite informa-zioni nutrizionali qualitative e quantitative.

A bambini di età inferiore a 8 an-ni vengono forniti esempi di dieta idealedettagliati: prime colazioni, spuntini,pranzi e cene abbinati, con precisazionedelle porzioni medie specifiche per etàper gli alimenti principali.

A ragazzi di età superiore a 8 an-ni viene fornito uno schema dieteticodettagliato che fornisce un apporto ca-lorico pari al 70% dell’intake caloricoconsigliato dai LARN per età e sesso.

L’apporto proteico è pari a quantoraccomandato per età e/o altezza daiLARN con rapporto tra proteine animalie vegetali 1:1.

E. R iva

59

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 59

L’apporto lipidico copre una quotacalorica pari al 30% con apporto di co-lesterolo pari a 100 mg/1000 calorie.

I glucidi tendono a fornire il 60-65% delle calorie e sono costituiti dacarboidrati a lento assorbimento, i glu-cidi semplici (10% della quota glucidi-ca) vengono forniti dalla frutta.

Particolare attenzione è prestataall’assunzione adeguata di minerali e li-quidi. L’efficacia del trattamento vieneverificata con controlli clinici mensili.

Conclusioni

L’incremento notevole della prevalen-za dell’obesità in età evolutiva dimostrache quanto è stato fatto in questi anninon è stato efficace. Indipendentementedal tipo di approccio terapeutico che siastato scelto i risultati non possono esseredefiniti soddisfacenti. Non rimane che af-frontare con serietà un programma pre-ventivo che necessariamente, per essereefficace, dovrà essere esteso a tutta lapopolazione e dovrà essere protratto neltempo. Il riscontro di stili di vita in gradodi condizionare la comparsa di obesitànella maggiore parte della popolazioneimpone una campagna di informazione esensibilizzazione sui problemi nutrizionali esui vantaggi di una vita più attiva.

Bibliografia

1. Tanner JMUse and abuse of growth standards. In: Falkner F, Tanner JM, Eds. Human growth, acomprehensive treatise. 2nd Edition. Plenum Press, New York, 3:95-109, 1986.

2. Tanner JM, Whitehouse RHRevised standards for triceps and subscapularskinfold in British children. Arch Dis Child, 50:142-145, 1975.

3. Aristimuno GG, Foster TA, Voors AW, SrinivasanSR, Berenson GSInfluence of persistent obesity in children on cardio-vascular risk factors: Bogalusa Heart Study.Circulation, 69:895-904,1984.

4. Bray GAAdolescent overweight may be tempting fate.N Engl J Med, 327:1379-1380, 1992.

5. Giovannini M, Galluzzo C, Scaglioni S, Ortisi MT,Rottoli A, Longhi R, Riva E, Zuccotti G, Garofalo R,Bellù R, Consalez G, Agostoni CIndagine nutrizionale nel Comune di Milano: dati an-tropometrici, intake calorici e abitudini alimentari inetà scolare.Riv Ital Ped (I J P), 12:533-540, 1986.

6. Ceratti F, Garavaglia M, Piatti L et alScreening dell’obesità nella popolazione scolasticadella zona 20 di Milano ed intervento di educazionealimentare. Epidem Prev, 45:1-8, 1990.

7. Zoppi G, Bressan FObesità in pediatria: analisi di alcune definizioni edeterminazione dei loro limiti su standard italiani.Riv Ital Ped (I J P), 16:139-143, 1990.

8. Maffeis C, Schutz Y, Piccoli R, Gonfiantini E,Pinelli LPrevalence of obesity in children in north-east Italy.Int J Ob, 17:287-294, 1993.

9. Ponte G, Del Gaizo D, Grazioli C et alOsservatorio permanente dell’obesità in una popola-

Obesità essenziale infantile

60

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 60

zione scolastica.In: Atti del Convegno “Attualità in nutrizione infanti-le”, 123, Napoli 12-14/11/1992.

10. Bouchard C, Perusse L, Leblanc C, TremblayA, Theriault GInheritance of the amount and distribution of humanbody fat. Int J Ob, 12:205-215, 1988.

11. Sorensen TIA, Holst C, Stunkard AJ,SkovgaardCorrelation of body mass index of adult adopteesand their biological and adoptive relatives.Int J Ob, 16:227-236, 1992.

12. Stunkard AI, Foch TT, Hrubec ZA twin study of human obesity.JAMA, 256:52-54, 1986.

13. Stunkard AJ, Harr is JR, Pedersen NL,McClearn GEThe body-mass of twins who have been rearedapart. N Engl J Med, 322:1483-1487, 1990.

14. Zhang Y, Proenca R, Maffei M, Barone M,Lepold L, Friedman JMPositional cloning of the mouse obese gene and itshuman homologue. Nature, 372:425-432, 1994.

15. Sobal J, Stunkard AJSocioeconomic status and obesity: a review of theliterature. Psycholog Bull, 2:260-273, 1989.

16. Maffeis C, Micciolo R, Zoccante L, ZaffanelloM, Pinelli LBasal energy expenditure in obese and normal weightschool children. Acat Paediatr Scand, 80:1145-1149, 1991.

17. Elliot DL, Goldberg L, Kuehl K, Hanna CMetabolic evalutation of obese and nonobese siblings. J Pediatr, 114:957-962, 1989.

18. Bandini L, Schoeller DA, Dietz W

Energy expenditure in obese and nonobese adole-scents. Pediatr Res, 27:198-203, 1990.

19. Zwiauer KFM, Mueller T, Widhalm KResting metabolic rate in obese children before, du-ring and after weight loss. Int J Obes, 16:11-16, 1992.

20. Roberts SB, Savage JBA, Coward WA, ChewB, Lucas AEnergy expenditure and intake in infants born tolean and overweight mothers. New Eng J Med, 8:461-466, 1988.

21. Giovannini M, Scaglioni S, Ortisi MT, AgostoniC, Longhi R, Bellù R, Fiocchi A, Rottoli A, Riva E,Galluzzo CIndagine nutrizionale sulla popolazione scolastica diMilano. Rilievi anamnestici, biochimici e clinici sudue gruppi di bambini: obesi vs. non obesi. Riv Ital Ped (I J P), 14:365-371, 1988.

22. Marcelli D, Braconnier A“Disturbi delle condotte alimentari”.In: Psicopatologia dell’adolescente. Ed. Masson, 1994.

23. Bruch H“Obesity in Adolescence”. In: Caplan G, Lebovici S, Adolescence Psychosocialperspectives. Basic Books Inc, New York, 1969.

24. Bruch H“Eating disturbances in Adolescence”. In: American Hand Book of Psychiatry. Basic Books Inc, New York, Vol 2, 18:275-286,1964.

25. von Almen TK, Suskind RM“Terapia comportamentale”. In: Giorgi PL, Catassi C, Eds. Il bambino obeso. Il Pensiero Scientifico Editore, 1993.

26. Figueroa-Colon R, von Almen TK, Suskind RMClinical considerations in the treatment of childhoodobesity. In: Giorgi PL, Suskind RM, Catassi C, Eds. The

E. R iva

61

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 61

obese child. Pediatr Adolesc Med Basel, Karger, 2:181-196,1992.

27. Merrit RJ, Bistrian BR, Blackburn GL, Suskind RMConsequences of modified fasting in obese pedia-tric and adolescent patients. I Protein-sparing modi-

fied fast. J Pediatr, 96:13-19, 1980.

28. Gruppo di Studio della SIEDP sull’obesitàL’Obesità “essenziale” in età pediatrica: attualiorientamenti per la terapia. Riv Ital Ped (I J P), 18:487-494, 1992.

Obesità essenziale infantile

62

cap. 2 29-05-2002 11:14 Pagina 62

L’obesità è un disordine metabolicocaratterizzato da un eccessivo accumulodi grasso corporeo. In condizioni normaliil tessuto adiposo rappresenta il 25% delpeso corporeo nell’uomo e il 18-30%nella donna. L’indice di massa corporea(BMI = Body Mass Index), che si ottienedividendo il peso in chilogrammi per ilquadrato dell’altezza espressa in metri (1),è uno dei parametri più usati per valutareil peso corporeo.

Secondo Bray (2), gli uomini di pesonormale presentano un BMI compresotra 20 e 25 e le donne tra 19 e 24.L’eccesso ponderale è presente quan-do il BMI è compreso tra 25 e 30 pergli uomini e fra 24 e 30 per le donne.Al di sopra di 30 si è in presenza diobesità.

Il Rivetti Heart Study, che ha presoin considerazione una popolazione resi-dente nell’Italia del nord di 2812 donnee 1256 uomini, ha rilevato che la pre-valenza di sovrappeso-obesità (BMI ≥25) aumenta con l’aumentare dell’età

in entrambi i sessi. La prevalenza di so-vrappeso-obesità, normalizzata perl’età, è del 32,2% nelle donne e del40,2% negli uomini (Fig. 1) (3). Datianaloghi sono stati riscontrati in altrepopolazioni di Paesi occidentali (4).

L’obesità è stata associata ad un au-mento della mortalità. Nel Build Study,che è stato condotto dal 1950 al 1972su 4 milioni di persone e che ha fornito idati su cui sono state elaborate le tabelledella Metropolitan Life InsuranceCompany, esiste un rapporto fra rischiodi mortalità e peso corporeo molto chiaronei soggetti di media età, meno evidentenei soggetti in età avanzata (Fig. 2) (5).

Secondo Andres (6) il BMI ottimalecorrispondente al più basso rischio dimortalità aumenta con l’età in entrambii sessi per cui è opportuno utilizzare cri-teri specifici per età.

L’aumento di morbilità e mortalitànei soggetti obesi è mediato dalla pre-senza di modificazioni e complicanzemultiple (Tab. 1).

63

LL e complicanze in corso di obesità

T. Lucchi, C. Vergani

Cattedra di Gerontologia e Geriatria Università degli Studi di Milano

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 63

Le complicanze in corso d i obesità

64

20-29 30-39 40-49 50-59 anni Normalizzataper età

.........................................

60

50

40

30

20

10

0

Per

cent

uale

Figura 1

Prevalenza disovrappeso-obesità (BMI > 25) per età e sesso in unapopolazione italiana.(The Rivetti Heart Study)

Peso/altezza2

20-29 anni

Intervallo di peso accettabile

50-59 anni

................. .................

18

16

14

12

10Mor

talit

à (ta

sso

per 1

000)

1,7

1,5

1,3

1,1

0,9

18 20 22 24 26 28 30 32 34 36

Figura 2

Tasso di mortalità in rapporto al BMI in uomini suddivisi in due fasce di età. (The Build Study)

Donne (n = 2812)

Uomini (n = 1256)

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 64

C. Vergani , T . Lucchi

65

Endocrino-metaboliche

– Insulino-resistenza, iperinsulinemia, iperglicemia– Ipertrigliceridemia, ipercolesterolemia, ipoalfalipoproteinemia ( VLDL, LDL, HDL)– Iperuricemia, gotta– Aumentata produzione di cortisolo con livelli normali di cortisolo ematico

e di cortisolo libero urinario, con risposta normale al test di soppressione con desametasone

– Menarca precoce, irregolarità mestruali, irsutismo– Diminuzione della gonadotropina corionica e aumento degli androgeni totali

e/o della loro frazione libera– Diminuzione dell’ormone della crescita basale e dopo stimolazione

Cardiovascolari

– Ipertensione arteriosa– Vene varicose– Eventi cerebrovascolari– Coronaropatia– Scompenso cardiaco congestizio

Polmonari

– Sindromi da ipoventilazione (es. sindrome di Pickwick)– Sindrome dell’apnea ostruttiva durante il sonno– Infezioni respiratorie croniche

Colecistiche

– Colelitiasi (calcoli di colesterolo)

Muscolo-scheletriche

– Artrosi – Problemi ortopedici cronici – Ridotta deambulazione

Renali

– Sindrome nefrosica (biopsia normale o aspecifica)

Oncologiche

– Carcinoma dell’endometrio, della mammella (in donne in post-menopausa), della prostata, del colon

Dermatologiche

– Acanthosis nigricans – Infezioni cutanee croniche

Psicosociali

– Depressione, perdita dell’autostima – Ridotta capacità lavorativa

Gravidiche– Aggravamento dell’ipertensione latente, diabete mellito– Aumento della mortalità materna

Chirurgiche (specialmente in anestesia generale)

– Aumento della morbilità e della mortalità perioperatoria

Tabella 1

Complicanze cliniche e metaboliche chepossono presentarsi nel soggetto obeso.

Blackman MR, Obesity. In:Barker L, Burton J, Zieve D(Eds.), Principles ofambulatory medicine. Williamsand Wilkins, Baltimore, p 1102-1119, 1995.

� �

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 65

Aspetti endocrino-metabolici

Il rapporto fra obesità, specie se ditipo centrale o viscerale (Tab. 2), e alte-razioni metaboliche non è completa-mente chiarito. Si ritiene che il primummovens sia l’instaurarsi di una insulino-resistenza con iperinsulinemia (7).

Esiste poi una associazione traobesità, aumentata resistenza perifericaall’insulina e diabete mellito di tipo II(NIDDM) (8). Negli USA l’85% dei pa-zienti affetti da NIDDM sono obesi.

La Figura 3 mostra il tasso di pre-valenza del diabete in soggetti di diver-sa età in rapporto al peso corporeo.Anche l’ipertrigliceridemia che si osser-va nel soggetto obeso è mediatadall’insulino-resistenza (9-12).

La patogenesi è probabilmente bi-fasica. L’aumentato apporto caloricodetermina un incremento della secre-zione dell’insulina con iperinsulinizzazio-ne per via portale del fegato; si verificain tal modo una aumentata sintesi epa-tica di trigliceridi. Inizialmente non com-pare ipertrigliceridemia, poiché i triglice-

Le complicanze in corso d i obesità

66

Percentuale di peso al di sopra del peso ideale

..........................

8

6

4

2

0

Per

cent

uale

10050

50-59

40-49

30-39

20-29

Età (anni)

Figura 3

Prevalenza del diabetemellito in rapporto alpeso corporeo insoggetti di diversa età.

Androide Ginoide

Superiore Inferiore

Centrale Periferica

Visceri Glutei, cosce

Rapporto vita/fianchi > 0,85 Rapporto vita/fianchi < 0,85

Tabella 2

Caratteristiche dei due tipi di obesità.

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 66

Nel soggetto obesol’aumentato apportocalorico non determinainizialmente unaipertrigliceridemia. L’iperinsulinemia comporta un aumentodella sintesi epatica dei trigliceridi, tuttavia i trigliceridi vengonorimossi dal circolo per attività della lipasilipoproteica (LPL) che è normale oaddirittura aumentata. Solo successivamente l’iperinsulinemia provoca una “down regulation” dei recettori insulinici cui conseguono ridotta tolleranza glucidica, ridotta attività della LPL, aumentodella lipolisi e ipertrigliceridemia.

ridi vengono rimossi dal circolo dalla li-poproteinlipasi (LPL). Successivamentesubentra una “down regulation” dei re-cettori dell’insulina con conseguente ri-dotta tolleranza glucidica (IGT) e ipertri-gliceridemia da ridotta attività della LPLe da aumento della lipolisi per mancatainibizione della lipasi tissutale ormono-sensibile. L’iperafflusso di acidi grassinon esterificati (Nefa) dal tessuto adi-poso al fegato incrementa ulteriormentela sintesi di trigliceridi (13) (Fig. 4).

In corso di obesità all’ipertrigliceri-demia si associa un calo del colesteroloHDL (ipoalfalipoproteinemia seconda-ria) (14,15), mentre il pool del colesterolodell’organismo si espande (16-18) conaumentata escrezione di colesterolonella bile e formazione di bile litogenaspecie nella donna (Fig. 5) (19,20).

Anche lo Studio Mult icentr icoItaliano della colelitiasi ha rilevato un’as-sociazione positiva fra BMI e prevalenzadella colelitiasi, molto più marcata nelladonna rispetto all’uomo (21).

Meno chiaro è il rapporto tra iperin-sulinemia e metabolismo purinico.

È stata osservata una diminuzionedell’urato sierico a seguito di provvedi-menti atti a ridurre i livelli circolanti di in-sulina. È stato anche osservato che inpresenza di resistenza periferica all’in-sulina e/o di iperinsulinemia secondariasi instaura una ridotta clearance renaledell’acido urico (22).

Secondo Holmes (23) l’eccessiva in-troduzione calorica di carboidrati saturasia la capacità epatica di metabolizza-zione dei substrati tramite la glicolisi siala capacità di storage degli stessi trami-

C. Vergani , T . Lucchi

67

Lipolisi

LPL

“down regulation”dei recettori

Iperinsulinemia

Intolleranzaglucidica

Figura 4

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 67

te la glicogenosintesi, per cui si rendo-no disponibili composti bicarboniosi chevengono deviati da una parte verso lasintesi dei Nefa, dall’altra verso lo shuntdei pentosofosfati con aumentata sinte-si purinica.

Apparatocardiocircolatorio

La comparsa di ipertensione arte-riosa in corso di obesità è stata attribui-ta a più meccanismi (24-26). L’iperinsuli-nemia stimola la proliferazione delle cel-lule muscolari lisce dei vasi, modifica ilflusso di cationi attraverso le membra-

ne, aumenta l’attività del sistema nervo-so simpatico. A ciò si associa una riten-zione renale di sodio, con espansionedel contenuto di sodio nell’organismo(27-34). Il complesso obesità, IGT o dia-bete mellito di tipo II, dislipidemia, iper-uricemia e ipertensione arteriosa confi-gura la cosiddetta sindrome plurimeta-bolica (Fig. 6). Questa sindrome è stataanche definita “sindrome X” da Reaven(35), “Familial dyslipidemic hypertension”da William (36) e “CHAOS” (acronimo dicoronaropatia, ipertensione, ateroscle-rosi, obesità e ictus) da epidemiologiaustraliani. Essa si associa in manierasignificativa con l’incidenza della malat-tia coronarica (37,38).

Le complicanze in corso d i obesità

68

Percentuale di peso al di sopra del peso ideale

Per

cent

uale

......................................

40

30

20

10

0

Età (anni)

50 100

> 55

45-54

35-44

25-34

< 25

0

Figura 5

Prevalenza dellacolelitiasi in rapporto alpeso corporeo in donnedi diversa età.

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 68

Anche il Framingham Study ha rile-vato una associazione fra obesità, con-siderata come fattore di rischio indipen-dente, e coronaropatia specie nelle don-ne (Fig. 7) (39). La Figura 8 indica il tra-gitto patogenetico attraverso cui l’obe-sità porta alla coronaropatia. L’eserciziofisico protegge dalla coronaropatia poi-ché migliora la perfusione coronarica eaumenta in circolo il colesterolo HDL(40). Un aumento del colesterolo HDL di5 mg/dl comporta una diminuzione dicirca il 25% del rischio coronarico (15,41).Il Framingham Study (Fig. 9) (42) e l’ipo-alfalipoproteinemia familiare (43) indicanoche il colesterolo HDL basso rappre-senta un fattore di rischio indipendente.

Nei soggetti con aumento dei trigli-ceridi e diminuzione delle HDL sonoinoltre presenti in circolo LDL più picco-le e più dense (tipo B) rispetto alle LDLnormali (tipo A). Le LDL di tipo B sonoparticolarmente aterogene e vengonoassociate ad un aumentato rischio di in-farto del miocardio (44). L’ipertrigliceride-mia interviene anche sul versante dellacascata coagulatoria poiché le piastrinecontenute in un siero iperlipemico sonoiperreattive nei confronti dei normaliagenti aggreganti.

Alti livelli di trigliceridi si associanoinoltre all’aumento di fattori della coagu-lazione (VII, VIII, IX) e ad una ridotta fi-brinolisi (45,46).

C. Vergani , T . Lucchi

69

Ipertensionearteriosa

Ipertrigli-ceridemia

Intolleranzaglicidica

Ipercoleste-rolemia

Iperuri-cemia

.........................................

30

25

20

15

10

5

0

Per

cent

uale

Figura 6

Prevalenzadell’ipertensionearteriosa e di alterazionimetaboliche in soggettiobesi affetti da sindromeplurimetabolica (2).

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 69

L’aumento plurifattoriale del rischiocoronarico nell’obeso ha indotto Kaplana definire il complesso obesità, IGT,ipertrigliceridemia, ipertensione arterio-sa il “quartetto della morte” (47).

L’approccio terapeutico non puònon tenere conto della compromissioneplurima dei metabolismi: alcuni farmaciipotensivi (diuretici, beta-bloccanti) de-

terminano un aumento dei lipidi plasma-tici, mentre alcuni farmaci ipolipidemiz-zanti (niacina) aggravano il diabete el’iperuricemia.

Per quanto riguarda il cuore e il cir-colo l’obesità comporta anche un’au-mentata incidenza di scompenso car-diaco, di morte improvvisa e di eventicerebrovascolari (39).

Le complicanze in corso d i obesità

70

Peso relativo (%)

Uomini Donne

< 110 > 130110-129

> 50

241

338

417

< 50

485519

589

135158

278

382 376

452

< 110 > 130110-129

< 110 > 130110-129

< 110 > 130110-129

< 50 > 50.... ................................600

500

400

300

200

100

0

Inci

denz

a (p

er 1

000)

Figura 7

Incidenza dicoronaropatia, con unfollow-up di 26 anni, inuomini e donne di etàinferiore e superiore a 50 anni in rapporto al peso relativo. (The Framingham Study)

OBESITÀ

pressione arteriosa

colesterolo plasmatico

colesterolo HDL

attività fisica

trigliceridi

CORONAROPATIA

Figura 8

Meccanismi patogeneticidella coronaropatia nelsoggetto obeso.

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 70

C. Vergani , T . Lucchi

71

.........................................

180

Inci

denz

a (p

er 1

000)

< 25 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 > 75

Inci

denz

a (p

er 1

000)

.........................................

180

< 25 25-34 35-44 45-54 55-64 65-74 > 75

20

40

60

80

100

120

140

160

HDL-C mg/dl

HDL-C mg/dl

20

40

60

80

100

120

140

160

Figura 9

Rapporto tra livelliplasmatici di colesteroloHDL e incidenza dicoronaropatia negliuomini (in alto) e nelledonne (in basso). (The Framingham Study)

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 71

Le complicanze in corso d i obesità

72

Obesità e tumore

Nell’obeso è stata anche osservatauna maggiore incidenza di tumori, spe-cie al colon-retto e alla prostata nell’uo-mo, alle vie bil iari, alla mammella,all’endometrio, alla cervice e all’ovaionella donna (48-53). Non sono noti i mec-canismi patogenetici che stanno allabase dell’associazione obesità-tumore.Per quanto riguarda il tumore dellamammella e dell’utero nella donna obe-sa una possibile spiegazione è stata ri-cercata in una aumentata conversionedell’androstenedione in estrone a livellodel tessuto adiposo (54-59).

Obesità e ormoni sessuali

Le alterazioni degli ormoni, speciedi quelli sessuali, sono frequenti in cor-so di obesità. Negli uomini con obesitàsevera (BMI > 35) si può riscontrareipogonadismo con livelli plasmatici di te-stosterone (totale e libero) e di gonado-tropina ipofisaria (FSH) bassi. La dimi-nuzione del testosterone è dovuta aduna aumentata aromatizzazione nel tes-suto adiposo dei precursori surrenalicicon aumento in circolo di estrogeni econ soppressione dell’FSH. Al calo deltestosterone contribuisce anche una ri-

dotta sintesi della globulina legante l’or-mone (SHBG) (60).

Nella donna obesa in post-meno-pausa l’aumentata trasformazione neltessuto adiposo dell’androstenedione inestrone è clinicamente rilevante poichémentre da una parte aumenta, come siè detto, il rischio di tumori estrogeno-dipendenti, dall’altra protegge nei con-fronti dell’osteoporosi (60,61). Nell’obe-sità di tipo centrale, a differenza diquanto si osserva in quella di tipo peri-ferico, si riscontrano anche livelli incre-mentati di androgeni e testosterone li-bero. Ciò comporta nella donna in etàfertile la comparsa di irregolarità me-struali e acanthosis nigricans da iperan-drogenismo (62-65) e, in corso di gravi-danza, il rischio di diabete, ipertensionearteriosa, gestosi (66). Nella donna obe-sa affetta da irsutismo, oligo-amenorreae con cicli anovulatori è necessarioescludere la presenza dell’ipercortisole-mia, dell’ipotiroidismo, della disfunzioneipotalamo-ipofisaria e della sindromedell’ovaio policistico (67,73).

Apparato respiratorio

L’obesità si associa anche ad alte-razioni dell’apparato respiratorio. Neisoggetti obesi sono stati osservati un

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 72

C. Vergani , T . Lucchi

73

.........................................

6

4

2

0

V (I

)

5 10 15 20

25

75

t (sec)

.........................................

6

4

2

0

V (I

)

5 10 15 20

25

75

t (sec)25 30

Soggetto sano

Soggetto obeso

Figura 10

Curva volume/tempodurante espirazioneforzata nel soggettosano e nell’obeso. Viene in particolareevidenziata la riduzionedel flusso espiratorioforzato medio (FEF 25-75) nell’obeso.

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 73

aumento del volume residuo (VR) e unariduzione della capacità funzionale resi-dua (CFR), del volume di riserva espira-torio (VRE) e della capacità polmonaretotale (CPT) (68). Esiste nell’uomo obe-so anche una riduzione del flusso espi-ratorio medio (FEF 25-75) durantel’espirazione forzata (Fig. 10).

Nei soggetti con obesità marcata èfrequente il riscontro di apnea ostruttivadurante il sonno caratterizzata da “rus-samento”, risvegli notturni, sonnolenzadiurna e desaturazione dell’ossiemoglo-bina (69,70). In tali soggetti sono statiinoltre riscontrati perdita di libido, dete-rioramento cognitivo, e aritmia cardiacada stimolazione adrenergica correlataall’ipossigenazione (69-71).

Altre patologie associate

Nei grandi obesi sono stati osserva-ti anche una sindrome nefrosica (72) eduna aumentata morbilità e mortalità in-traoperatoria e postoperatoria (73).

A questa patologia si affiancano di-sturbi di carattere ortopedico, specie a ca-rico delle articolazioni degli arti inferiori edella colonna vertebrale (60,73,74), dermato-logico, con intertrigine e micosi (60,73), evascolari, con comparsa di varici periferi-

che (60,73), disturbi che possono interferi-re significativamente con la funzionalitàdel soggetto comportando anche graviripercussioni di tipo psicologico e rela-zionale (75).

Bibliografia

1. Forbes GBTechniques for estimating body composition.In: Human Body Composition. Springer-Verlag, New York, p 5-100, 1987.

2. Bray GA, Teague RJAn algorithm for the medical evaluation of obesepatients. In: Stunkard AJ (Ed.), Obesity. WB Sanders, Philadelphia, 1980.

3. Giudici GA, Barenghi L, Persico D, Gallus G,Milani S, Lavezzaro GC, Vergani CCardiovascular Risk Factors in 4073 WorkingPeople in Northern Italy (The Rivetti Heart Study,1987-1990). Cardiovascular Risk Factors, Vol 2, Suppl 1,December 1992.

4. Bray GAOverweight is risking fate. Definition, Classification,Prevalence and Risk. In: Wurtman AJ, Wurtman JJ (1st Ed.), HumanObesity. Annals of The New York Academy of Science,499:14-28, 1987.

5. Build Study 1979Society of Actuaries and Association of Life InsuranceMedical Directors of America, Chicago, 1980.

6. Andres RMortality and obesity: the rationale for age-specificheigt-weight tables. In: Hazzard WR, Bierman EL, Blass JP, EttingerWH Jr, Halter JB (Eds.), Principles of Geriatric

Le complicanze in corso d i obesità

74

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 74

C. Vergani , T . Lucchi

75

Medicine and Gerontology. McGraw-Hill, New York, 844, 1994.

7. Reaven GMRole of insuline resistance in human disease. Diabetes, 37:1595, 1988.

8. Kolterman OG, Insel J, Saekow M, Olefsky JMechanism of insulin resistance in human obesity:evidence for receptor and postreceptor defects. J Clin Invest, 65:1272, 1980.

9. Olefsky JM, Farquhar JW, Reaven GMReappraisal of the role of insulin in hypertriglyceridemia. Am J Med, 57:551, 1974.

10. Grundy SM, Mok HYI, Zech L, Steinberg D,Berman MTransport of very low density lipoprotein triglycerides invarying degrees of obesity and hypertriglyceridemia. J Clin Invest, 63:1274, 1979.

11. Olefsky J, Reaven GM, Farquhar JMEffects of weight reduction and obesity on lipid andcarbohydrate metabolism in normal and hyperlipo-proteinemic subjects. J Clin Invest, 53:64, 1974.

12. Equsa G, Beltz WF, Grundy SM, Howard BVInfluence of obesity on metabolism of apolipoproteinB in humans. J Clin Invest, 76:596, 1985.

13. Vergani CAterosclerosi. Una malattia da prevenire. Ed. Recordati, Documenti Scientifici, 1986.

14. Grundy SM, Barnett JPMetabolic and health complications of obesity. Dis Mon, 36:645, 1990.

15. Kreisberg RALow hight-density lipoprotein cholesterol: what doesit mean, what can we do about, and what should wedo about it?Am J Med, 94:1, 1993.

16. Shaffer EA, Small DMBiliary lipid secretion in cholesterol gallstone disease:

the effect of cholecystectomy and obesity. J Clin Invest, 59:828, 1977.

17. Miettinen TACholesterol production in obesity. Circulation, 44:842, 1971.

18. Nestel PJ, Schreibman PH, Ahrens EH JrCholesterol metabolism in human obesity. J Clin Invest, 52:2389, 1973.

19. Bennion LJ, Grundy SMEffects of obesity and caloric intake on biliary lipidmetabolism in man. J Clin Invest, 56:996, 1975.

20. Mabee TM, Meyer P, Den Besten L, Mason EEThe mechanism of increased gallstone formation inobese human subjects. Surgery, 79:460, 1976.

21. The Multicenter Italian Study on the Epide-miology of Cholelithiasis (MI.COL)Prevalence of gallstones disease in eighteen Italianpopulation samples. Hepatology, 12:1004, 1990.

22. Facchini F, Chen I, Hollenbeck CB, Reaven GMRelationship between resistance to insulin-mediatedglucose uptake, urinary uric acid clearance and pla-sma uric acid concentration. JAMA, 266:3008-3011, 1991.

23. Holmes EW, Kelly WN, Wyngarden JBControl of purine biosynthesis in normal and patho-logical states. Bull Rheum Dis, 26:848, 1975.

24. De Fronzo RA, Ferrannini EInsulin resistance: a multifaceded syndrome respon-sible for NIDDM, obesity, hypertension, dyslipide-mia, and atherosclerotic cardiovascular disease. Diabetes Care, 14:173, 1991.

25. Dustan HPMechanism of hypertension associated with obesity. Ann Intern Med, 98:860, 1983.

26. Frohlich ED

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 75

Mechanism contributing to high blood pressure. Ann Intern Med, 98:709, 1983.

27. Landsberg L, Krieger DRObesity, metabolism, and the Sympathetic NervousSystem. Am J Hypertens, 2:1255, 1989.

28. Rowe JW, Young JB, Minaker KL, Stevens AL,Pallotta J, Landsberg LEffect of insulin and glucose infusions on sympatheticnervous system activity in normal man. Diabetes, 30:219, 1981.

29. Liang C-S, Doherty JU, Faillace R, Maekawa K,Arnold S, Gravas H, Hood WB JrInsulin infusion in conscious dogs: Effects on syste-mic and coronary hemodynamics, regional bloodflow, and plasma catecholamines. J Clin Invest, 69:1321, 1982.

30. Weidmann P, De Courten M, Bohlen LInsulin resistance, hyperinsulinemia and hypertension. J Hypert, 11 (Suppl 5):527, 1993.

31. DeFronzo RA, Cooke CR, Andres R, FaloonaGR, Davis PJThe effect of insulin on renal handling of sodium,potassium, calcium and phosphate in man. J Clin Invest, 55:845, 1975.

32. DeFronzo RA, Goldberg M, Agus ZSThe effect of glucose and insulin on renal electrolytetransport. J Clin Invest, 58:83, 1976.

33. Skott P, Hother-Nielsen O, Bruun NE, Giese J,Nielsen MD, Beck-Nielsen H, Parving HHEffects of insulin on kidney function and sodium ex-cretion in healthy subjects. Diabetologia, 32:694, 1989.

34. Mujais SK, Tarazi RC, Dustan HP, Fouad FM,Bravo ELHypertension in obese patients: Hemodynamic andvolume studies. Hypertension, 4:84, 1982.

35. Reaven GMRole of insulin resistance in human disease.

Diabetes, 37:1495, 1988.

36. William RR, Hunt SC, Hopkins PN et alFamilial dyslipidaemic hypertension. JAMA, 259:3579, 1988.

37. Despres J-PThe insulin resistance-dyslipidemia syndrome: themost prevalent cause of coronary artery disease?Can Med Assoc J, 148:1339, 1993.

38. Raven GMInsulin resistance and compensatory hyperinsuline-mia: role in hypertension, dyslipidemia, and coronaryheart disease. Am Heart J, 121:1283, 1991.

39. Hubert HB, Feinleib M, McNamara PM, CastelliWPObesity as an independent risk factor for cardiova-scular disease: a 26-year follow-up of participant inthe Framingham Heart Study. Circulation, 67:968, 1983.

40. Golderg AP, Hagberg JMPhysical exercise in the elderly. In: Schneider EL, Rowe JW, Eds. Handbook of bio-logy of aging (3rd Ed.).Academic Press, p 407-428, 1990.

41. Assmann G, Gotto AM, Paoletti RThe hypertriglyceridemias. Am J Cardiol, 68:1, 1992.

42. Abbot RD, Wilson PW, Kannel WB, Castelli WPHigh density lipoprotein, total cholesterol screeningand myocardial infarction. The Framingham Study. Arteriosclerosis, 8:207, 1988.

43. Vergani C, Bettale GFamiliar hypo-alpha-lipoproteinemia. Clin Chim Acta, 114:45, 1981.

44. Austin MA, King MC, Vranizan KM, Krauss RMAtherogenic Lipoprotein Phenotype. A proposedgenetic market for coronary heart disease risk. Circulation, 82:495, 1990.

45. Juhan Vague I, Roul C, Alessi MC, Ardissone

Le complicanze in corso d i obesità

76

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 76

JP, Hein M, Vague PIncreased plasminogen activator inhibitor activity innon insulin dependent diabetic patients. Relationshipwith plasma insulin. Thromb Haem, 61:370, 1989.

46. McGil JB, Schneider DJ, Arfken CL, LucoreCL, Sobel BEFactors responsable for impaired fibrinolysis in obe-se subjects and NIDDM patients. Diabetes, 43:104, 1994.

47. Kaplan NNThe deadly quartet: upperbody obesity, glucose in-tolerance, hypertriglyceridemia and hypertension. Arch Int Med, 149:1514-1520, 1989.

48. Sitteri PK, MacDonald PCRole of extraglandular estrogen in human endocri-nology.In: Greep RO (Ed.), Handbook of Physiology. American Physiological Society, Washington, DC, p615, 1973.

49. Willett WC, Browne ML, Bain C, Lipnick RJ,Stampfer MJ, Rosner B, Colditz GA, HennekensCH et alRelative weight and risk of breast cancer amongpremenopausal women. Am J Epidemiol, 122:731, 1985.

50. London SJ, Colditz GA, Stampfer MJ, WillettWC, Rosner B, Speizer FEProspective study of relative weight, height, and riskof breast cancer. JAMA, 262:2853, 1989.

51. Wolff GLBody weight and cancer. Am J Clin Nutr, 45:168, 1987.

52. Snowdon DA, Phillips RL, Choi WDiet, obesity and risk of fatal prostate cancer. Am J Epidemiol, 120:244, 1984.

53. Willett WCImplication of total energy intake for epidemiologicalstudies of breast and large-bowel cancer. Am J Clin Nutr, 45:354, 1987.

54. Simopoulos APObesity and carcinogenesis: Historical perspective. Am J Clin Nutr, 45:271, 1987.

55. Nimrod A, Ryan KJAromatisations of androgens by human abdominaland breast fat tissue. J Clin Endocrinol Metab, 40:367, 1975.

56. Edman CD, MacDonald PCEffect of obesity on conversion of plasma androste-nedione to estrone in ovulatory and anovulatoryyoung women. Am J Obstet Gynecol, 130:456, 1978.

57. Loncope C, Pratt JH, Schneider SH, Fineberg SEAromatization of androgens by muscle and adiposetissue in vivo. J Clin Endocrinol Metab, 46:146, 1978.

58. Cleland WH, Mendelson CR, Simpson ERAromatase activity of membrane fractions of humanadipose tissue stromal cells and adipocytes. Endocrinology, 113:2155, 1983.

59. Schindler AE, Ebert A, Friedrich EConversion of androstenedione to estrone by hu-man tissue. J Clin Endocrinol Metab, 35:627, 1972.

60. Xavier Pi-Sunyer FObesity. In: Wyngarden JB, Smith LH Jr, Bennet JC (Eds.) ,Cecil Textbook of Medicine. WB Saunders Company (19th Ed.), p 1162-1170,1992.

61. Kreiger N, Kelsey JL, Holford TR, O’Connor TAn epidemiologic study of hip fracture in postmeno-pausal women. Am J Epidemiol, 116:141, 1982.

62. Hartz AJ, Rupley DC, Rimm AAThe association of girth measurements with diseasein 32.856 women. Am J Epidemiol, 119:71, 1984.

63. Bray GComplications of obesity.

C. Vergani , T . Lucchi

77

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 77

Ann Intern Med, 103:1052, 1985.

64. Glass AR, Dahms WT, Abraham G, AtkinsonsRL, Bray GA, Swerdoloff RSSecondary amenorrhea in obesity: Etiologic role ofweight-related androgen excess. Fertil Steril, 30:243, 1978.

65. Barbieri RL, Ryan KJHyperandrogenism, insulin resistance, and acantho-sis nigricans syndrome: A common endocrinopathywith distinct pathophysiologic features. Am J Obstet Gynecol, 147:90, 1983.

66. Gross T, Sokol RJ, King KCObesity in pregnancy: Risks and outcome. Obstet Gynecol, 56:446, 1980.

67. Barnes R, Rosenfield RLThe polycystic ovary syndrome: Pathogenesis andtreatment. Ann Intern Med, 110:386, 1989.

68. Rubinstein I, Zamel N, DuBarry L, Hffstein VAirflow limitation in morbidly obese, nonsmokingmen. Ann Intern Med, 112:828, 1990.

69. Kaplan J, Staats BAObstructive sleep apnea syndrome. Mayo Clin Proc, 66:1087, 1990.

70. Prowse K, Allen MBSleep apnoea. Br J Dis Chest, 82:329, 1989.

71. Eisenberg E, Zimlichman R, Lavie PPlasma norepinephrine levels in patients with sleepapnea syndrome. N England J Med, 322:932, 1990.

72. Weisinger JR, Kempson RL, Eldridge FL,Swenson RSThe nephrotic syndrome: A complication of massiveobesity. Ann Intern Med, 81:440, 1974.

73. Blackman MRObesity. In: Barker L, Burton J, Zieve D (Eds.), Principles ofambulatory medicine. Williams and Wilkins, Baltimore, p 1102-1119, 1995.

74. Felson DT, Anderson JJ, Naimark A, WalkerAM, Meenan RFObesity and knee osteoarthritis: The FramingtonStudy. Ann Intern Med, 109:18, 1988.

75. Stundkard AJObesity and the social environment: current status,future prospects. Ann NY Acad Sci, 300:298, 1977.

Le complicanze in corso d i obesità

78

#cap. 3 29-05-2002 11:16 Pagina 78

Componenti dello stiledi vita e obesità

Secondo l’Organizzazione Mondialedella Sanità (1) lo stile di vita è “un insie-me di modelli comportamentali stretta-mente tra loro correlati che dipendonodalle condizioni sociali ed economiche,dall’educazione, dall’età e da molti altrifattori”. Nonostante questa definizione iltermine “stile di vita” resta un’entitàpiuttosto vaga e può essere utilizzatoper inquadrare una grande varietà dicondizioni. Secondo Allard (2) l’attivitàdell’uomo può essere distinta in treaspetti e cioè la scelta razionale, lo stiledi vita e la moda. La scelta razionale èbasata su decisioni prese con coscien-za e dopo un’attenta valutazione dellecondizioni correlate mentre la moda èirrazionale e instabile. Lo stile di vita,peraltro, è inconscio ma molto stabile.Noi non siamo in grado di razionalizzareil nostro stile di vita ma questo tuttavianon è suscettibile di rapidi cambiamenti.

Il triangolo di Allard (Fig. 1) mostra inmodo pratico alcune caratteristiche delcomportamento dell’uomo ed è chiaroche questo può essere razionale, irra-zionale, instabile ovvero molto coscien-te. Si può dire dunque che lo stile di vi-ta sia un modo di vivere caratterizzatoda attività significative e regolari nonchéda scelte connesse alla vita quotidiana:lavoro, consumi, attività domestiche, vi-ta familiare, divertimenti. Spesso si par-la di stile di vita quando ci si vuole riferi-re ad atteggiamenti specifici della vita diogni giorno come: eccessivo attacca-mento alla casa e alla vita familiare, usoe abuso di alcol, etc. È importante no-tare, tuttavia, che lo stile di vita è lasomma di un insieme di comportamenti.In questo senso, ad esempio, la praticadi alcuni sport, quali il tennis, il golf, ilcalcio, non costituisce di per sé uno sti-le di vita ma soltanto un elemento, siapure essenziale, o una delle espressionidello stile di vita. Lo stesso tipo di sportpraticato può essere indicativo di stili di

79

OO besità e stile di vita

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagliabue

Centro Ricerche sulla Nutrizione Umana e la DieteticaUniversità degli Studi di Pavia

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 79

vita orientati in senso più aristocratico(es. il golf) o più proletario (es. il calcio)con differenti atteggiamenti anche sulpiano dell’abbigliamento, dell’alimenta-zione, della vita sociale. Quindi, perquanto riguarda in particolare i rapporticon l’alimentazione, lo stile di vita vienespesso condizionato dal mondo esternopiù che dagli alimenti considerati nelleloro varietà e qualità intrinseche. Leabitudini alimentari, pertanto, non di-pendono soltanto dall’età, dalla classesociale o dal sesso ma anche dal perio-do di tempo durante il quale il soggettoha svolto attività (per es. un tipo disport) in qualche modo considerate cor-relate al tipo di alimentazione. OgniPaese quindi ed ogni gruppo di popola-

zione all’interno di ciascun Paese ha ilproprio stile di vita. La difficoltà nascequando si voglia scomporre lo stile di vi-ta in componenti misurabili che possa-no spiegare, ricorrendo alla fisiologia, ledifferenze tra vari gruppi della popola-zione. In generale, infatti, si usa con-frontare gruppi di popolazione, contrad-distinti da determinate caratteristichecon gruppi di controllo, considerati “nor-mali”. In questo modo può accadere,tuttavia, che gruppi ritenuti, in passato,a rischio per la loro salute a causa dellostile di vita siano invece guardati oracome privilegiati. Un esempio tipico èdato dal comportamento alimentare ditipo vegetariano. Mentre, infatti, in pas-sato si riteneva che i vegetariani corres-

Obesità e st ile d i v ita

80

Figura 1

Triangolocomportamentale di Allard (2).

STILE DI VITA

MODASCELTA

Consc

io

Incon

scio

Stabilità

Instabilità

Razionalità Irrazionalità

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 80

sero dei rischi per la loro salute, sia perpossibili carenze vitaminiche che pereccessiva introduzione di nitrati, gli studipiù recenti portano a ritenere, tra l’altro,che essi presentino un rischio minoreper i tumori, sia globale che relativo.Non è un caso che le diete di tipo ve-getariano, confrontate con le dieteusuali, abbiano in genere un contenutoenergetico inferiore e quindi meno fa-vorente l’obesità. Fatta eccezione per lavitamina D, la niacina e la vitamina B12, ivegetariani presentano, per tutte le altrevitamine, un’introduzione maggiore ri-spetto ai controlli.

Anche per quanto riguarda i mine-rali le diete vegetariane sono più ricchein calcio, magnesio e fosforo pur aven-do il loro punto debole, come è noto,nel l ’apporto di ferro. Nei r iguardidell’obesità e della sua insorgenza lecomponenti dello “stile di vita” che rive-stono maggiore importanza sono l’eser-cizio fisico, il consumo di bevande alco-liche e superalcoliche, l’abitudine al fu-mo di sigaretta. Altre componenti im-portanti nell’insorgenza dell’obesità so-no i comportamenti alimentari a lorovolta strettamente correlati ad alcuniaspetti psicologici ed anche psicopato-logici. È noto come, nelle società ric-che, l’attività fisica sia in generale moltoridotta. La quota maggiore del dispen-

dio energetico nelle popolazioni bene-stanti è data dal metabolismo di base eda attività classificabili come leggèresotto il profilo fisico. È da ricordare, tut-tavia, che la stima dell’attività fisica disingoli soggetti, attraverso la compila-zione di diari relativi ad almeno tre giorninon consecutivi, presenta non pochedifficoltà, per lacune e mancanza diesattezza, più o meno simili a quelleche si riscontrano con i diari alimentari.Da un punto di vista pratico l’attività fi-sica costituisce la via più efficace perincrementare il dispendio energetico ed’altra parte è noto come l’inattivitàpossa contribuire significativamenteall’insorgenza dell’obesità. È noto altre-sì che gran parte degli individui adultinei Paesi caratterizzati da un elevato te-nore di vita manifesta un incremento dipeso corporeo di circa 7-12 kg tra l’etàdi 25 e 50 anni che si verifica nellamaggior parte dei casi gradualmentenel corso degli anni. In genere questograduale aumento di peso riflette laprogressiva e continua riduzione di atti-vità fisica e quindi del fabbisogno ener-getico senza che vi sia un aumento deiconsumi alimentari. Esistono, peraltro,osservazioni anche di vecchia data, chedimostrano come la inattività forzataporti all’obesità senza contemporaneoaumento dell’introduzione di cibo (3).

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

81

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 81

Attività fisica e obesità

È opinione comune che gli obesipratichino poca attività fisica rispetto aisoggetti normopeso ma i risultati dellaletteratura sono contrastanti. In passatoalcuni Autori (4-7) hanno osservato un ri-dotto livello di attività fisica nei soggettiobesi. Altri ricercatori (8-10) non hannoriscontrato differenze. Questo può di-pendere in parte dal fatto che gli studisull’argomento sono stati condotti conmetodologie diverse. Mettendo a con-fronto gli studi condotti con la tecnicadel pedometro rileviamo che la maggiorparte degli studi ha dimostrato una mi-nore attività negli obesi (4,7,11).

In particolare Chirico et al hanno ri-levato che donne e uomini obesi per-correvano un minor numero di miglia algiorno rispetto a donne e uomini nor-mopeso (2 e 3,7 miglia rispetto a 4,9 e6 migl ia). Al contrar io Maxfield eKonishi (9) non hanno riscontrato alcunadifferenza a riguardo in un campione disole donne. Il lavoro più recente con-dotto con il pedometro è quello di Tryondel 1992 (7) e conferma sostanzialmen-te i risultati di Chirico quantificando inol-tre la relazione tra sovrappeso e attività.

Più precisamente Tryon ha dimo-strato che un soggetto cammina 7,6 •10-4 miglia per ora meno per ogni

aumento percentuale unitario di sovrap-peso ovvero 2,7•10-3 miglia per ora inmeno per ogni aumento unitario di BMI.Secondo questi dati l’inattività potrebbeessere un fattore determinante nel man-tenimento del sovrappeso. In questo stu-dio e nei precedenti non è stato però mi-surato il costo energetico dell’attività fisi-ca ed il suo ruolo nel bilancio energeticoquotidiano. L’aumento del fabbisognoenergetico, passando dal riposo ad atti-vità fisiche sempre più impegnate è illu-strato in Tabella 1 (12).

Il dato che i soggetti obesi sianomeno attivi non equivale al fatto che es-si spendano meno energia poiché il co-sto dell’attività è più elevato nei soggettiobesi a causa dell’aumentato peso cor-poreo (10). La misura dell’energia spesacon l’attività fisica richiede metodologiespecifiche, come per esempio la deter-minazione del dispendio in camera calo-rimetrica o il bilancio metabolico o ilmetodo dell’acqua doppiamente marca-ta. Mediante quest’ultima metodologiaPrentice (13) non ha riscontrato differen-ze nella spesa energetica (espressa perkg di peso) dovuta ad attività fisica etermogenesi tra donne obese e normo-peso in condizioni di vita normali. Blair eBuskirsk (10) hanno rilevato un dispen-dio energetico quotidiano significativa-mente superiore in donne obese rispet-

Obesità e st ile d i v ita

82

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 82

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

83

Tabella 1

Aumento del fabbisognoenergetico, passando dalriposo ad attività fisichesempre più impegnate.

1,4 A sedere

1,7 In piedi

2,6 Camminare lentamente in piano

3,7 Camminare a 5 km/h in piano

Balli lenti 4,3

5,2 Golf

Ciclismo ricreativo 5,9Tennis da tavolo

8,5 Pallavolo

Nuoto ricreativo 9,1Corsa campestreTennis (doppio)

10,4 ricreativa

Balli svelti 11,3

11,7 Calcio

Sci ricreativo 12,0(fondo e velocità)

13,7 Pallamano

Pallacanestro 14,3

15,0 Pugilato

Maratona 20,0Sci competitivo(competizione)

21,5 (fondo e velocità)

Nuoto (competizione) 25,0Ciclismo

26,0 (competizione)

Tratta da: Proja M, Elementidi Nutrizione e Sport.L’Informatore Alimentare, 71, 1982.

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 83

to a donne normopeso proprio a causadel costo energetico più elevato di alcu-ne attività nelle donne obese. Questirisultati sono stati contraddetti da unsuccessivo lavoro di Ferraro (6). L’Autoreha determinato il costo energeticodell’attività fisica di 56 soggetti maschiobesi per differenza tra il loro dispendioenergetico basale delle 24 ore ottenutoin camera calorimetrica e l’intake calori-co durante il ricovero in condizioni di ri-gorosa stabilità ponderale.

La spesa energetica dovuta all’atti-vità fisica è risultata correlata negativa-mente con il peso e con la percentualedi grasso corporeo. L’Autore concludeche i soggetti più obesi sono meno attiviperlomeno nelle condizioni dello studio ecioè quando sono ricoverati. La spesaenergetica in condizioni di vita normali èstata invece studiata da Welle (14) in 12donne normopeso e 26 obese median-te il metodo dell’acqua doppiamentemarcata. Questo studio ha confermato irisultati di Prentice, vale a dire ha dimo-strato che le donne obese hanno unconsumo energetico giornaliero supe-riore rispetto al gruppo di normopeso.Circa la metà di questa differenza è do-vuta al maggior metabolismo basaledelle obese e l’altra metà all’aumentodel cosiddetto consumo “soprabasale”.Poiché la termogenesi non è aumentata

negli obesi o è addirittura ridotta (15,16)

l’aumento del consumo “soprabasale”deve dipendere da un aumento del-l’energia spesa per attività fisica. Ciònon significa che le donne obese sianopiù attive ma solamente che per unostesso livello di attività spendono piùenergia. I dati riportati finora non esclu-dono che l’inattività possa essere unfattore determinante l’insorgenza diobesità in adulti e bambini.

Rising nel 1994 (17) ha osservatoche il livello di attività fisica era inversa-mente correlato con la percentuale digrasso corporeo in un gruppo di IndianiPima, popolazione che presenta la piùelevata prevalenza di obesità e diabetea livello mondiale (18). Come già riporta-to a pagina 20, la prevalenza di obesitàin questa popolazione ha raggiunto pro-porzioni epidemiche parallelamente alpassaggio da uno stile di vita tradiziona-le, caratterizzato da una dieta a bassoapporto di grassi con elevato livello diattività fisica, ad uno di tipo occidentalesecondo il quale gli Indiani Pima hannoaumentato l’intake di grassi e ridottol’attività. Queste osservazioni ed i risul-tati dello studio di Rising suggerisconoche la riduzione dell’attività fisica possaessere un fattore determinante nell’in-sorgenza di obesità. Altri dati riguardoquesta ipotesi derivano da alcune cor-

Obesità e st ile d i v ita

84

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 84

relazioni emerse tra le variazioni delleabitudini di vita in America nelle ultimedecadi e l’aumento della prevalenza diobesità specie in bambini ed adole-scenti (19). In quest’ultimo studio sonostate valutate sia le abitudini alimentarisia lo stile di vita. Il numero di ore tra-scorse a guardare la televisione è statoidentificato come un marker di sedenta-rietà altamente correlato alla prevalenzadi obesità.

Il numero di ore settimanali dedica-to da bambini ed adolescenti a questaattività sarebbe passato da 18 ore allasettimana nel 1968 a 25 ore nel 1983con punte di 40 ore, senza tenere con-to del tempo trascorso al computer ogiocando con i videogames. Nello stes-so periodo la prevalenza di obesità èpassata dal 16% circa in maschi e fem-mine (1963-’70) al 18% nei maschi eal 25% nelle femmine negli anni 1976-’80. Tra soggetti adulti che riferivano 1ora al giorno di televisione o meno laprevalenza di obesità è risultata del4,5%; tra coloro che riferivano 3 o piùore la prevalenza aumentava al 19,2%(p < 0,0001).

Sono stati suggeriti diversi mecca-nismi alla base della relazione osservatatra aumento della prevalenza di obesitàe ore trascorse davanti alla televisione.Kleges et al (20) hanno osservato una

significativa riduzione del metabolismo ariposo associato a questa attività. Dietzet al (21) non hanno confermato l’osser-vazione di Kleges e suggeriscono, inve-ce, che l’influenza della televisione sulbilancio energetico sia dovuta alla sosti-tuzione da parte di questa attività se-dentaria al tempo dedicato ad attività dimaggior spesa energetica ed all’in-fluenza che la televisione ha sulle abitu-dini alimentari.

Noi abbiamo condotto un’indaginesull’uso del tempo di un gruppo di sog-getti obesi adulti (24 uomini e 36 don-ne) (22). I risultati ottenuti sono illustratiin Tabella 2.

I soggetti esaminati svolgono atti-vità lavorative di tipo prevalentementesedentario e dedicano all’attività fisica(es. jogging) un tempo estremamenteridotto (in media meno di 15 minuti algiorno) specie se esso viene confronta-to con la quantità di tempo speso in at-tività ricreative di tipo sedentario (es.leggere o guardare la televisione) cherisulta di circa 4 ore e mezzo al giornoper gli uomini e 3 ore e mezzo per ledonne.

Tale risultato appare ancora più in-teressante considerato che negli uominila percentuale di grasso corporeo totaleè risultata significativamente correlata altempo speso nelle attività ricreative di

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

85

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 85

tipo sedentario (r = +0,48, p = 0,024).Questi risultati sono in accordo con lamaggior parte dei lavori citati in prece-denza e confermano come l’inattività fi-sica sia spesso associata all’obesitàconclamata.

È indubbio inoltre che uno stile divita sedentario associato ad errate abi-tudini alimentari possa contribuire allosviluppo dell’obesità.

Esso, tuttavia, rappresenta un aspet-to sul quale è possibile intervenirenell’ambito di un programma di preven-zione dell’obesità.

Aspetti psicologici e psicopatologicidell’obesità

L’eziologia dell’obesità dipende danumerosi fattori fra cui oltre a quellogenetico e fisiologico ricordiamo anchel’importanza di fattori come quello psi-cologico e ambientale. Ancor oggi nonè ben chiara l’importanza del fattoreambientale, ovvero lo stile di vita, e diquello genetico e in che modo siano fraloro interattivi (23-25). Sono stati fatti nu-merosi studi che hanno dimostrato co-

Obesità e st ile d i v ita

86

Tabella 2

Tempo speso nelleattività giornaliere(espresso in minuti) da un gruppo di soggettiobesi **.

Maschi (n = 24) Femmine (n = 36)Media SD Media SD

Attività

Dormire 454.0 56.8 489.4 43.0*

Riposare a letto 21.5 19.3 28.3 28.6

Pulizie personali 47.0 15.0 48.5 19.2

Seduto tranquillo 256.2 83.9 198.8 76.8*

Seduto in attività 232.7 142.2 202.6 116.2

In piedi tranquillo 79.0 97.0 38.3 37.5

In piedi in attività 164.2 150.5 92.8 144.0

Attività casalinghe 12.8 19.1 180.7 90.5*

Cucinare 5.2 11.0 58.1 37.8*

Camminare 61.0 57.1 46.4 42.9

Camminare con “peso” 1.9 5.3 1.4 4.1

Andare in bicicletta 0.6 3.1 9.4 31.6

Andare in moto 0.4 2.0 0.7 4.2

Guidare la macchina 95.8 72.3 40.1 38.8*

Attività sportive 7.5 22.6 4.3 13.7

* Differenza significativa tramaschi e femmine (p < 0,05)** Tratta da: Marazzi C et al,Abitudini di vita e obesità. La Clinica Dietologica, 1995.

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 86

me i soggetti obesi abbiano un minorcontrollo sul loro appetito in quanto con-dizioni come la noia, la solitudine, l’an-sietà o la depressione portano ad un ec-cessivo consumo di alimenti come fontedi compensazione con conseguente in-take calorico superiore al dispendioenergetico (Fig. 2). Questi aspetti “psi-cologici” hanno sicuramente un ruoloben definito nel contribuire a determinarel’insorgenza dell’obesità, il problema èche nessuno di questi fattori specificipossa essere applicato a soggetti obesicome gruppo (26). Essendo l’obesità unproblema estremamente frequente neiPaesi sviluppati e di un certo “costo” sa-nitario, non ci si stupisce del numeroelevato di studi svolti, specialmente negliultimi anni, mirati a scoprirne la causa.Da un punto di vista psicologico si è cer-cato di valutare, nei soggetti obesi, l’in-fluenza di “patologie emozionali” comeansia e depressione, di comportamentialimentari, immagine corporea e anam-nesi familiare positiva alla depressione.Isnard-Mugnier et al (27) hanno dimostra-to una significatività elevata in un gruppodi giovani adolescenti di sesso femminileobese di questi aspetti “psicopatologici”che in effetti non solo tendevano ad ag-gravare la malattia ma anche ad interferi-re col trattamento. Inoltre, come descrit-to da Field, Wolf et al (28) le ragazze prea-

dolescenti ed adolescenti obese sonomolto più preoccupate del loro peso e del-la loro “immagine” rispetto a quelle normo-peso, con conseguente diminuzione del-l’autostima e spesso depressione (29).

Mills et al (30) hanno evidenziato unaumento dei disturbi psicopatologici le-gati all’obesità in quei soggetti che han-no sviluppato l’obesità durante l’infanzia;ciò supporta la teoria che l’obesità siacaratteristicamente associata a un nu-mero maggiore di conflitti psicologici in-terni. Quindi l’obesità instauratasi duran-te l’infanzia potrebbe servire come fatto-re predittivo di disturbi psicologici futuri inuna popolazione di obesi. Altrettanto nu-merosi sono gli studi che hanno dimo-strato invece che i soggetti obesi nonsono “psichiatricamente” diversi da quellinon-obesi, ma per la maggior parte sonotutti comunque d’accordo nel sostenereche aspetti psicopatologici diversi, comeper esempio i disordini della personalità,possano avere un’influenza importantesul controllo ponderale (31). Infine ricor-diamo anche (32) come molti individui chenon riescono a mantenere un peso idea-le siano spesso suscettibili a variazionigiornaliere, mensili o stagionali di umoreche portano a una eccessiva assunzionedi cibi ricchi di carboidrati e ad una as-soluta resistenza nell’intraprendere unaqualsiasi attività fisica.

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

87

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 87

Sono state descritte alcune sindro-mi i cui sintomi salienti sono rappresen-tati dalla coesistenza di fame ansiosa,specialmente di carboidrati, e depres-sione ciclica come il disturbo affettivosationale (SAD), la CCO (carbohydratecraving obesity) e la sindrome preme-struale (PMS). I pazienti che ne sonoaffetti presentano un bisogno compulsi-vo di ingerire carboidrati che riferiscononon dovuto a un senso di “fame” ma alfatto che dopo la loro assunzione sisentono meglio, meno stanchi e de-

pressi, più calmi (33-35). La concentrazio-ne di serotonina cerebrale sembra es-sere coinvolta in queste variazioni diumore e di appetito; studi recenti hannodimostrato come interventi farmacologi-ci che aumentano l’attività serotoniner-gica normalizzano l’intake alimentare eriducono le forme depressive (36). Soloda pochi decenni all’obesità iperfagica,considerata da sempre come semplicemancanza di volontà nel seguire unadieta, sono stati attribuiti disagi psicolo-gici profondi che la fanno rientrare nella

Obesità e st ile d i v ita

88

Figura 2

Fattori eziologicidell’obesità.

AUMENTATA INGESTIONE

DI CARBOIDRATI E GRASSI

(RELATIVO)

Ridotta termogenesi alimentare

Ridotto esercizio fisico

• Depressione • Noia• Solitudine • Ansietà

Consumo di alimenti come compensazione

Pressioni sociali

Ereditarietà

• Tendenza a ridurre l’attivitàfisica

• Tendenza al gusto per glialimenti (specialmente dolci egrassi)

• Ridotta produzione di enzimi

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 88

categoria dei disturbi alimentari psico-geni a cui appartengono già da tempol’anoressia nervosa e la bulimia. A parti-re dagli anni ’50 sono stati condotti nu-merosi studi per individuare delle “per-sonalità” caratteristiche comuni a questidisturbi sintomatologicamente diversi.Non è stato possibile stabilire se sin-dromi ansiose, depressive o nevrosi sia-no comuni a questi disturbi alimentaried è ancora fortemente in dubbio se lacomponente depressiva, spesso pre-sente, sia la causa del problema o più

verosimilmente la conseguenza. Negliultimi vent’anni si è venuto a delineare ilconcetto di “Disturbo Alimentare Psico-geno” (DAPs) in cui a grandi linee sonotracciate le caratteristiche, con diversigradi di variabilità, di questi soggetti af-fetti da disturbi del comportamento ali-mentare in cui ritroviamo soggetti adultiche hanno un forte bisogno di approva-zione da parte degli altri unito al timoredi disconferme con continue paure dideludere e di essere delusi (37).

Tutto ciò è importante perché si ri-flette sulla relazione fra il medico e ilpaziente e serve affinché il dietologo at-tui un intervento personalizzato cercan-do di ottenere un reale coinvolgimentodel paziente che invece, nella maggiorparte dei casi, si pone come spettatorepassivo di un “miracolo”, delegando aldietologo la gestione del proprio proble-ma. Il diario alimentare e una accurataanamnesi ponderale possono esserestrumenti utili per soffermarsi col pa-ziente sugli “errori” del passato, i prece-denti tentativi e/o fallimenti, il compor-tamento alimentare e i fenomeni “emo-tivi” ad esso associati. In questo modosi può tentare di educare il paziente,che prende coscienza dei propri “mec-canismi”, ad una alimentazione correttacambiando le proprie abitudini alimenta-ri senza peraltro percepirle come una

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

89

OBESITÀAUMENTATA

SINTESI DEI GRASSI

Adattamentometabolico

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 89

imposizione esterna. Ricordiamo inoltrecome l’obesità sia socialmente discrimi-nante, per cui numerosi problemi di tipo“psicologico o psicopatologico” possonoinsorgere in gruppi di popolazione distato socio-economico più elevato, chesubiscono maggiormente la pressionedel modello di “immagine” sociale. Cisono forti pregiudizi nei confronti dellepersone obese, indipendentemente dal-la loro età, sesso, razza o stato econo-mico (38). Molte persone vivono una vitadi diete con continue riduzioni e aumen-ti successivi di peso (sindrome dello“yo-yo”) e conseguenti minacce al pro-prio equilibrio psicofisico. La maggiorparte delle persone è ancora legata alleseguenti “credenze popolari” e cioè chei soggetti obesi siano ingordi in quantomangiano più di quello che dovrebbero,pigri perché se veramente volesseropotrebbero perdere peso, nevrotici per-ché sicuramente hanno una fissazioneorale forse causata da un arresto dellosviluppo durante l’infanzia, infelici per-ché “sicuramente” mangiano in quantosono depressi. Tuttavia studi comparati-vi sulle alterazioni del comportamentoalimentare non hanno dimostrato alcu-na evidenza dell’esistenza di questi ste-reotipi in gruppi di popolazioni obese(39). Dati questi pregiudizi possiamo fa-cilmente capire come sfortunatamente

sia sempre più frequente nella popola-zione un atteggiamento ossessivo neiconfronti del peso corporeo che in molticasi può sfociare in veri e propri aspettipsicopatologici come la Bulimia e/ol’Anoressia Nervosa. In questi due di-sturbi del comportamento alimentare,riconosciuti come sindromi autonomeormai da parecchio tempo, i pazientisono preoccupati in eccesso della loroimmagine corporea e del peso con unasensazione esagerata di essere sovrap-peso (40). Anche se presentano caratte-ristiche fra di loro diverse capita spessoche un paziente anoressico diventi buli-mico e/o viceversa o che continui adoscillare fra un aspetto “psicopatologi-co” e l’altro. Oltre ad una adeguata psi-coterapia associata o meno, a secondadei casi, a terapia farmacologica, è ne-cessario fornire una corretta educazio-ne nutrizionale.

È solo con un approccio pluridisci-plinare che si può cercare di sconfigge-re queste patologie che sembrano in-staurarsi molto frequentemente in sog-getti con precedenti alterazioni del pesoche vanno da un modesto aumento auna conclamata obesità. Inoltre è statodimostrato che scorrette abitudini ali-mentari, sia da un punto di vista qualita-tivo che quantitativo e una insufficienteinformazione alimentare nel nucleo fa-

Obesità e st ile d i v ita

90

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 90

miliare, precedono molto spesso l’insor-genza di queste patologie. Ancora unavolta queste patologie possono essereovviate da una adeguata educazionealimentare che promuova una maggior

acquisizione di conoscenze con com-portamenti più razionali sul piano ali-mentare e con un conseguente miglio-ramento delle condizioni di benesseredella popolazione (Tab. 3).

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

91

Tabella 3

Finalità dell’educazionealimentare*.

Fini dell’educazione Minori eccessi Miglioramento delle condizionialimentare e/o sprechi di benessere della popolazione

Vantaggi economici e sanitaridi una maggiore conoscenza

Educazionealimentare a) gli effettivi bisogni

b) un loro razionale soddisfacimento c) interscambiabilità

Consumatore soggetto attivo

Meno sprechi e meno scelte incongrue

Orientamentodei consumi

Speranza di evitare futuri sacrifici economici

Maggiori conoscenze

Comportamenti più razionali

Orientamento dei consumi

* Tratto da: “Disordini del comportamentoalimentare”, a cura diMuller EE e Brambilla F,Pythagora Press, Roma-Milano, 1990.

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 91

Bibliografia

1. World Health Organization. Regional Office for Europe Research Policies forHealth for All.WHO, Copenhagen, 1988.

2. Allard ECitato da: Roos JP, Life-Style Studies in Sociology:from typologies to fields and Trajectories.In: Somogyi JC , Koskinen EM, Nutr i t ionalAdaptation to New Life-Styles (Ed.).Bibliotheca Nutritio et Dieta n° 45, Karger, 1990.

3. Greene JAClinical Study of the etiology of obesity.Ann Intern Med, 12:1797-1803, 1939.

4. Chirico AM, Stunkard AJPhysical activity and human obesity.New Engl J Med, 263:935-940, 1960.

5. Bullen BA, Reed RB, Mayer JPhysical activity of obese and non-obese adolescentgirls, appraised by motion picture sampling.Am J Clin Nutr, 14:211-223, 1964.

6. Ferraro R, Boyce VL, Swinburn B, De GregorioM , Ravussin EEnergy cost of physical activity on a metabolic wardin relationship to obesity.Am J Clin Nutr, 53:1368-1371, 1991.

7. Tryon WW, Goldberg JL, Morrison DFActivity decreases as percentage overweight increase.Int J Obes, 16:591-595, 1992.

8. Mc Carthy MCDietary and activity patterns of obese women inTrinidad.J Amer Diet Ass, 48:33-37, 1966.

9. Maxfield E, Konishi FPatterns of food intake and physical activity in obe-sity.J Am Diet Assoc, 49:406-408, 1966.

10. Blair D, Buskirk ERHabitual daily energy expenditure and activity levelsof lean and adult-onset and child-onset obese

women.Am J Clin Nutr, 45:540-550, 1987.

11. Dorris RJ, Stunkard AJPhysical activity: performance and attitudes of agroup of obese women.Am J Med Sci, 233:622-628, 1957.

12. Proja MElementi di Nutrizione e Sport.L’Informatore Alimentare, 11, 1982.

13. Prentice AM, Black AE, Murgatroyd PR,Goldberg GR, Coward WAMetabolism or appetite: questions of energy balancewith particular reference to obesity.Hum Nutr Diet, 2:95-104, 1989.

14. Welle S, Forbes GB, Statt M, Barnard RR,Amatruda JMEnergy expenditure under free-living conditions innormal-weight and overweight women.Am J Clin Nutr, 55:14-21, 1992.

15. Segal KR, Gutin BThermic effect of food and exercise in lean andobese women.Metabolism, 32:581-589, 1983.

16. Schutz Y, Bessard T, Jequier EDiet-induced thermogenesis measured over a wholeday in obese and nonobese women. Am J Clin Nutr, 40:542-552, 1984.

17. Rising R, Harper IT, Fontvielle AM, Ferraro RT,Spraul M and Ravussin EDeterminants of total daily energy expenditure: va-riability in physical activity.Am J Clin Nutr, 59:800-804, 1994.

18. Knowler W, Pettitt DJ, Saad MF et alObesity in the Pima Indians: its magnitude and rela-tionship with diabetes. Am J Clin Nutr, 53 (Suppl):1543S-1551S, 1991.

19. Gortmaker SL, Dietz WH, Cheung LWYInactivity, diet and the fattening of America. J Am Diet Assoc, 90:1247-1252, 1990.

20. Klesges RC, Shelton ML, Klesges LM

Obesità e st ile d i v ita

92

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 92

The effects of television on metabolic rate: potentialimplications for childhood obesity. Pediatrics, 9l:281-286, 1993.

21. Dietz WH, Bandini LG, Morelli JA et al Effect of sedentary activities on resting metabolicrate. Am J Clin Nutr, 59:556-559, 1994.

22. Marazzi C, Tagliabue A, Trentani C, Lanzola EAbitudini di vita e obesità.La Clinica Dietologica, 22:27-34, 1995.

23. Bouchard C, Pérusse LGenetics of Obesity.Ann Rev Nutr, 13, 1993.

24. Stunkard AJ et al An adoption study of Obesity.N Engl J Med, 314, 1986.

25. Brown P, Konner MAn anthropological perspective on obesity.In: Wurtman RJ, Wurtman JJ, Human obesity. Ann NY Ac Sci, Vol 449, 1987.

26. Foreman L The fat fallacy.Health, 15(9), 1983.

27. Isnard-Mugnier P et al A controlled study of food behavior and emotionalmanifestation in a population of obese female ado-lescents.Arch Fr Pediatr, 50(6), 1993.

28. Field AE, Wolf AM et al The relationship of caloric intake to frequency ofdieting among preadolescent and adolescent girls.J Am Acad Child Adolesc Psychiatry, 32(6), 1993.

29. Sheslow D et al The relationship between self-esteem and depres-sion in obese children.Ann NY Acad Sci, 699, 1993.

30. Mills JK, Andrianopoulos GDThe relationship between childhood onset obesityand psychopathology in adulthood.J Psycol, 127(5), 1993.

31. Berman WH, Berman ER et al The effect of psychiatric disorders on weight loss inobesity clinic patients.Behav Med, 18(4), 1993.

32. Wurtman JJDepression and weight gain: the serotonin connec-tion.J Affect Disord, 29(2-3), 1993.

33. O’Rourke D, Wurtman JJ, Wurtman RJSerotonin implicated in the etiology of seasonal af-fective disorder with carbohydrate craving.In: Pirke KM, Vandereycken W, Ploog D (Eds.),Psychobiology of bulimia.American Psychiatric Association, Washington DC,1987.

34. Wurtman JJ et alCarbohydrate craving in obese people: Suppressionby treatments affecting serotoninergic transmission.Int J Eat Disord, 1, 1981.

35. Wurtman RJ, Wurtman JJCarboidrati e depressione.Le Scienze, 247, 1989.

36. Blundell JEProblems and processes Underlying the Control ofFood Selection and Nutrient Intake.In: Wurtman RJ, Wurtman JJ, Nutrition and theBrain.Raven Press, New York, 1983.

37. Rezzonico G, Strepparava MGEvoluzione e caratteristiche psicologiche dei disturbialimentari psicogeni.Att i del Congresso ANSISA, Milano, 22-23Febbraio 1992.

38. Wadden TA, Stunkard AJSocial and Psychological consequences of obesity.Ann Inter Med, 103(6), 1985.

39. Kannel WB, Gordon TPhysiological and medical concomitans of obesity:the Framingham study. In: Bray GA Ed., Obesity in America.DHEW Pub No (NIH) 79-359, Washington, DC,1979, US Government Printing Office.

H. Cena, E. Lanzola, A. Tagl iabue

93

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 93

40. Macchi E, Cassano GAspetti psicopatologici dei disordini del comportar-nento alimentare.

In: Disordini del comportamento alimentare, a curadi Muller E, Brambilla F, Pythagora Press Roma-Milano, 1990.

Obesità e st ile d i v ita

94

cap. 4 29-05-2002 11:00 Pagina 94

Introduzione

Numerose ipotesi sono state pro-poste per spiegare lo sviluppo e la per-sistenza dell’obesità nell’uomo. Traqueste l’ipotesi genetica, quella dei di-fetti metabolici, quella dell’alterato me-tabolismo e moltiplicazione degli adipo-citi, quella psicologica e della mancanzadi volontà, quella depressiva, quella chesi basa su un’insufficiente attività fisica,o, recentemente, quella che mette incausa cicli ripetuti di diete. Si possonofornire evidenze che supportano o ne-gano ognuna di tali ipotesi; quello cheemerge è comunque il fatto che l’obe-sità ha un’origine multifattoriale e chefinora non sono stati ancora chiariti, inmodo definitivo, i meccanismi molecola-ri e fisiopatologici che sono alla basedell’insorgenza e del mantenimento del-la patologia. Così, nel trattamento deipazienti in sovrappeso, si è fatto ricorsoad altrettanti numerosi approcci tera-peutici: interventi psicologici che per-

mettano una modificazione comporta-mentale, incremento dell’attività fisica,le diete ed i farmaci dei più vari tipi, finoalla chirurgia.

In questa diversità di approcci è ve-ramente difficile orientarsi. Non ci aiutaneanche l’analisi dei risultati degli studi difollow-up a lungo termine, che mostranocome il calo ponderale ottenuto con te-rapie che hanno qualche credito nellacomunità scientifica internazionale siamantenuto solo in una percentuale mini-ma dei pazienti a un anno dalla terapia.

Per tale motivo è oggi in atto unaprofonda revisione critica delle finalitàdel trattamento dell’obesità. In primoluogo un notevole sforzo di analisi è de-dicato anche a quello che per anni èstato il cardine, se non addirittura l’uni-co strumento terapeutico, cioè la dietaipocalorica. Fino al lavoro pionieristicodi Brownell e collaboratori (6), che nel1986 sottolinearono l’importanza delfenomeno, scarsa attenzione era statadata all’effetto di cicli ripetuti di perdita

95

PP rovvedimenti terapeutici

M.O. Carruba, E. Nisoli

Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia MedicaPadiglione LITA, Polo Vialba – Ospedale “L. Sacco”, MilanoUniversità degli Studi di Milano

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 95

e successivo r iguadagno di peso.Inoltre, l’organismo si adatta facilmentealla restrizione calorica, diventando me-tabolicamente più efficiente, cioè spen-dendo meno energia. Su queste basi sista consolidando l’ipotesi che le dietenon corrette e i cali ponderali eccessi-vamente rapidi possono essere nocivi ecausa di grossi rischi per la salute o,addirittura, rappresentare una dellecause che possono aggravare il sovrap-peso. Si arriverebbe così al “paradossodella dieta”, cioè della dieta come cau-sa dell’obesità.

Parafrasando questa definizione,potremmo parlare anche di un “parados-so della terapia farmacologica”. Non vi èdubbio, infatti, come ricordato più sopra,che gli studi di follow-up dimostrano gliscarsi risultati a lungo termine di una te-rapia farmacologica fine a se stessa cheutilizza il farmaco come unico strumen-to. Alla sospensione del farmaco si ri-guadagna il peso perduto e ciò può in-nescare la sindrome della fluttuazionedel peso, che aggrava ulteriormente lostato di obesità. Da considerazioni diquesto tipo risulta anche il nuovo ruoloche la terapia farmacologica sta assu-mendo nel trattamento dell’obesità e delsovrappeso. Il farmaco ideale, dunque,è quello che, pur essendo in grado di in-durre perdita di peso senza causare ef-

fetti collaterali a livello del sistema car-diovascolare o di altri apparati, è soprat-tutto capace di opporsi agli adattamentimetabolici che conseguono a una dietaconcomitante, rendendo quest’ultimapiù accettabile e quindi più efficace eduratura. Terapia farmacologica cronicaassociata ad un’attenta educazione ali-mentare, dunque.

Terapiacomportamentale

L’approccio comportamentale allaterapia dell’obesità muove dall’ipotesiche l’eccesso ponderale sia l’epifeno-meno di problemi prevalentemente psi-chici che portano ad un incontrollato in-troito di cibo.

La terapia comportamentale perciòsi propone di fare sì che l’obeso acquisi-sca una serie di “abilità” che gli permet-tano di controllare adeguatamente i mo-di ed i tempi della sua alimentazione e diconseguenza gli permettano di adottarestabilmente uno “stile alimentare” diver-so che gli induca calo ponderale.

La corretta gestione del comporta-mento alimentare si ottiene per fasisuccessive. Il primo momento della te-rapia consiste nell’indurre il paziente arendersi consapevole dei meccanismi

Provvedimenti terapeutic i

96

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 96

psicologici e ambientali responsabilidell’errato comportamento alimentare edi rimuovere sia idee irrazionali sullacausa della sua obesità, sia anormaleattesa di risultati terapeutici. La terapiacomportamentale si propone dunque difar prendere coscienza al paziente deglisvantaggi del suo comportamento neiconfronti del cibo, del suo modo di per-cepire l’obesità, della definizione deitempi e modi del trattamento, del porsicome obiettivo primo non tanto il caloponderale quanto la correzione delleanormali abitudini alimentari.

Successivamente al momento co-gnitivo si affronta il problema dell’auto-controllo, cioè l’aspetto comportamen-tale propriamente detto. L’interventocomportamentale in pratica si attua intre fasi: l’automonitoraggio, l’analisi delcomportamento e dei fattori che lo de-terminano, la modificazione progressivadel comportamento stesso.

L’automonitoraggio consiste nel-l’accurata compilazione di un diario ali-mentare di una o più giornate (qualità equantità di cibo consumato, l’ora delgiorno e la situazione in cui il cibo è sta-to consumato). Ciò permette di identifi-care le situazioni “condizionanti”, siaesogene, quali l’assistere a programmitelevisivi, l’essere in compagnia, il fre-quentare il ristorante o impegni sociali,

che endogene, quali l’ansia, la tensio-ne, l’euforia, la depressione, la noia, lasolitudine e conseguentemente permet-te di consapevolizzare il paziente.

È quindi possibile personalizzare ilsuccessivo programma di intervento diadeguamento comportamentale, elimi-nando gradualmente gli errori dieteticied attuando anche un’educazione ali-mentare. Pertanto non solo si modifi-cheranno le quantità di calorie introdot-te, ma si correggeranno anche le mo-dalità errate di alimentarsi, consigliandodi mangiare lentamente, di non asso-ciare altre attività mentre si mangia, dinon tenere sul tavolo piatti da portata,ma solo la porzione di cibo programma-ta, di ordinare al ristorante il cibo previ-sto senza leggere il menù, di non elimi-nare completamente la colazione o altripasti, di frazionare nella giornata le ca-lorie permesse, ecc.

Approcci dietetici

Diete ipocaloriche

La terapia dietetica ben condotta efinalizzata all’acquisizione di un compor-tamento alimentare corretto costituiscel’intervento terapeutico fondamentalenell’obesità.

M.O. Carruba, E. N isol i

97

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 97

Le basi razionali per una correttaprescrizione poggiano sulle seguenticonsiderazioni:a) entità della restrizione calorica:dovrà essere calcolata in funzione deldispendio energetico (massa musco-lare, attività fisica) e della rapidità concui si vuole indurre calo ponderale. Classificando in lieve, media e intensal’attività fisica individuale abituale, sipuò aumentare di circa il 5-10% il fab-bisogno calorico estrapolato dalla spesaenergetica a riposo e adeguare a questiriferimenti l’entità della restrizione calo-rica;b) adeguatezza nutrizionale: la re-strizione calorica non dovrà essere taleda squilibrare gli apporti nutrizionali.Una dieta pur equilibrata da 800-900calorie espone al rischio di malnutrizio-ne, se protratta per più di 6 mesi. Iprincipi nutrizionali potenzialmente ca-renti rispetto alle dosi raccomandate inuna dieta da 800 calorie sono il ferro, ilcalcio, gli acidi grassi essenziali, le vita-mine liposolubili e verosimilmente gli oli-goelementi. Sono particolarmente espo-ste a carenza nutrizionale le donne inetà fertile (deficit di ferro) e le donnedopo la menopausa (deficit di calcio). Insituazioni di malnutrizione potenziale èindicata un’integrazione farmacologicaadeguata;

c) “compliance” del paziente: la pre-scrizione dietetica deve essere persona-lizzata o personalizzabile (al pazientevanno lasciate scelte di alimenti nell’am-bito delle differenti categorie di alimenti)per ottimizzare l’osservanza della pre-scrizione. Diete fortemente ipocaloriche(per es. 800-900 calorie) potranno es-sere efficaci a breve termine, ma ver-ranno anche precocemente disattese. Ilpaziente va rassicurato che la scrupolo-sa osservanza della dieta ha sicuro ef-fetto di calo ponderale, ma va ancheinformato che l’entità del calo ponderalevaria da individuo a individuo. Va infineribadito che la restrizione dell’apportocalorico deve essere comunque adotta-ta come abitudine alimentare, anche inassenza di calo ponderale. Il mancatoulteriore incremento di peso può già es-sere un risultato positivo;d) coesistenza di anomalie metaboli-che: in una certa percentuale di obesi, econ particolare frequenza nelle obesitàviscerali, al sovrappeso si associano unao più complicanze metaboliche. Di con-seguenza la prescrizione dietetica vaadeguata al tipo di anomalia metabolica(per es. una dieta ipoglucidica in caso diassociazione con diabete manifesto ocon ipertrigliceridemia, una dieta a bassocontenuto di grassi saturi e colesterolo inpresenza di iperlipemia tipo IIA);

Provvedimenti terapeutic i

98

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 98

e) efficacia della dieta: nellamaggior parte delle obesità gravi (Indicedi Massa Corporea maggiore di 30) iltrattamento dietetico a medio e lungotermine è destinato al fallimento. Studia lungo termine sembrano dimostrareche a 5 anni di distanza da una riduzio-ne del sovrappeso ottenuta con dietaipocalorica solo il 14% dei pazienti hamantenuto la riduzione ponderale.

Digiuno

In passato nelle gravi obesità venivapraticata in corso di ricovero ospedalierola “dieta idrica”, vale a dire il digiuno as-soluto, che però comportava notevoli ri-schi, quali la morte improvvisa per dege-nerazione del miocardio, la grave malnu-trizione calorico-proteica con depressionedella competenza immunitaria, i disturbidel ritmo cardiaco per distonie, l’insuffi-cienza renale acuta per tubulopatia daprecipitazione di cristalli di acido urico neltubulo. Inoltre la perdita di peso corporeoin corso di digiuno è dovuta per circa il30% a perdita di massa magra con nettadiminuzione della forza dei muscoli sche-letrici, compresi quelli del mantice respi-ratorio. Questa pratica terapeutica deveessere quindi abbandonata se non in casiparticolari ed in pazienti ospedalizzati.

Diete a bassissimo contenuto

calorico, o digiuno modificato,

o diete a risparmio proteico

Il razionale di queste diete è la re-strizione calorica massima (270-600Kcal/die), garantendo un apporto pro-teico medio di circa 35 g/die, sufficien-te a bilanciare il catabolismo delle pro-teine endogene. Un’integrazione protei-ca di 40-60 g al giorno è sufficiente perpareggiare il bilancio azotato.

Tutti i lavori pubblicati sugli effettidelle diete con risparmio proteico (“pro-tein sparing modified fast”) sono con-cordi nel riportare un’efficacia sul con-trollo ponderale poco dissimile dal di-giuno assoluto. Tale tipo di dieta è statautilizzata molto liberamente, spesso an-che incongruamente ed in alcuni casi siè dimostrata non esente da rischi.

Dal 1974 iniziano studi sistematicisulle diete fortemente ipocaloriche conproteine integrate da carboidrati. Le ba-si razionali di questi studi sono datedall’effetto di risparmio proteico ottenu-to con l’addizione di carboidrati a paritàdi calorie somministrate, dal migliorcontrollo della chetosi, dal risparmio diaminoacidi neoglucogenetici e dal ri-sparmio di sali – in particolare di potas-sio – per la presenza di piccole quantitàdi carboidrati (25-35 g, pari a 100-140

M.O. Carruba, E. N isol i

99

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 99

calorie) nella dieta. Sono state cosìmesse a punto sia diete con alimentinaturali, sia diete artificiali.

I vantaggi di queste ultime sonorappresentati da una più facile integra-zione con oligoelementi, sali minerali,vitamine, acidi grassi e aminoacidi es-senziali, da una migliore standardizza-zione della terapia, utile soprattutto perla valutazione dell’efficacia del tratta-mento e per una migliore compliancedei pazienti.

Il rapido calo ponderale che si os-serva nei primi giorni di digiuno dei pa-zienti obesi è quasi esclusivamente do-vuto alla deplezione in glicogeno (circa1 kg) e all’acqua di solvatazione (circa2 kg), e all’aumentata eliminazione re-nale di sodio e potassio, con conse-guente aumento della diuresi osmotica.Analogamente il rapido recupero pon-derale che si osserva al la r ipresadell’alimentazione dopo digiuno è in lar-ga parte dovuto a ritenzione sodioidrica.I carboidrati infatti hanno un effetto diritenzione idroelettrolitica.

Le diete fortemente ipocaloriche,opportunamente integrate con proteine,carboidrati, minerali e vitamine non pre-sentano alcun rischio per trattamentinon superiori alle 6 settimane. Dai datipresenti in letteratura si può schemati-camente dedurre che:

1. le diete fortemente ipocaloriche(270-500 calorie) sono indicate nei pa-zienti con obesità grave, allorché sianecessaria una rapida correzione delsovrappeso (diabete insulino-resistente,ipertensione arteriosa, ipoventilazionealveolare, cardiopatia congestizia, artro-patie delle articolazioni sottoposte a ca-rico, ernie e laparoceli, interventi chirur-gici);2. le diete fortemente ipocaloriche de-vono contenere da 30 a 50 grammi diproteine con aminoacidi essenziali, cioèin quantità sufficiente a pareggiare il bi-lancio azotato, da 20 a 40 g di carboi-drati, tali da evitare la chetoacidosi,l’iperuricemia, la deplezione di glicoge-no muscolare, la perdita di elettroliti, da7 a 10 g di lipidi per l’apporto di vitami-ne liposolubili e di acidi grassi essenzia-li; deve essere integrata con opportunequantità di vitamine, metalli in traccia esali minerali. Per una pratica applicazio-ne sono molto utili le diete disponibilicommercialmente che rispondano ai re-quisiti sopra esposti;3. il trattamento con diete fortementeipocaloriche può essere eseguito consicurezza per 4-6 settimane anche am-bulatoriamente e a domicilio, se è assi-curato il costante controllo medico.

A queste condizioni le diete forte-mente ipocaloriche sono efficaci e sicure.

Provvedimenti terapeutic i

100

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 100

Ruolo della chirurgia

Il ricorso alla terapia chirurgica per iltrattamento dell’obesità severa continuaa rappresentare da molti anni argomen-to di dibattito ed a suscitare ancora og-gi non poche perplessità. Negli ultimiquarant’anni si è assistito al continuorinnovarsi di proposte chirurgiche più omeno radicali, con vari presupposti fi-siopatologici e diverse varianti tecniche.Il dilemma che ancora persiste riguardala scelta dell’intervento chirurgico, po-tendo questa riguardare metodiche re-settive più radicali, con elevato rischiodi morbilità successiva, ma sicura effi-cacia, o manovre più conservative conminime o accettabili conseguenze, madubbio risultato sull’evento desiderato(calo ponderale). In definitiva se l’opzio-ne chirurgica per la cura dell’obesitàsevera deve essere impostata sullascorta di una ragionevole valutazione dirapporto rischio-beneficio non si puòaffermare con certezza che possediamoancora validi strumenti di analisi sia insenso epidemiologico che clinico (5).

Il bypass digiuno-ileale

La creazione di un malassorbimen-to globale indotto mediante resezione di

un ampio tratto di intestino tenue conanastomosi tra la prima ansa intestinalee l’ileo terminale è stato ritenuto, a par-tire dalla metà degli anni Cinquanta,l’unica alternativa terapeutica praticabileper la cura dell’obesità grave. Nelle duevarianti tecniche più note, l’anastomosidigiuno-ileale termino-laterale di Paquée termino-terminale di Scott (27), un trat-to di non più di 35 cm di digiuno e circa5-10 cm di ileo rimangono funzional-mente attivi con conseguente esclusio-ne di circa il 90% di intestino.

Ciò che sul piano clinico ci si deveattendere dopo interventi che compor-tano resezioni di lunghi tratti dell’intesti-no e quindi dopo bypass digiuno-ileale,è il susseguirsi di tre fasi, non semprefacilmente distinguibili.

In una fase precoce, che immedia-tamente segue l’atto operatorio, l’even-to predominante è costituito da unagrave diarrea che è presente nella tota-lità dei pazienti e gioca un ruolo clinicoe prognostico molto rilevante.

Nella fase intermedia predomina ilmalassorbimento ed è pertanto in que-sto periodo che il bypass digiuno-ilealeraggiunge il massimo effetto con impor-tante calo ponderale, ma determina an-che i deficit nutrizionali più gravi.

La terza ed ultima fase si caratteriz-za per un definitivo assestamento del

M.O. Carruba, E. N isol i

101

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 101

peso corporeo nonostante il persisteredi diarrea e steatorrea anche se menopronunciate. Si è molto discusso se ciòfosse da porre in relazione ad una ri-sposta adattativa del tratto intestinaleresiduo, funzionalmente attivo, che siesplicherebbe con dilatazione ed allun-gamento delle anse, ed incremento inaltezza dei villi.

I controlli a lungo termine dei pa-zienti sottoposti ad intervento di bypassdigiuno-ileale hanno messo in luce unaserie di complicanze tardive, quali un’in-sufficienza epatica, alcune nefropatie,artriti, malattie cutanee e neuropatiecon un’incidenza globale del 20-25%.

Da queste considerazioni si devededurre che le importanti sequele checon frequenza tutt’altro che trascurabilesi associano all’intervento di bypass di-giuno-ileale rendono il rapporto rischio-beneficio di questa soluzione chirurgicaassai sfavorevole.

In una percentuale che si avvicina al20% si rende necessaria la riconversio-ne precoce dell’intervento e in un nonmeglio quantificabile, ma in ogni casocongruo, numero di pazienti, vi è unaconsiderevole morbidità.

Per questa serie di motivazioni, da-gli iniziali entusiasmi si è progressiva-mente giunti all’abbandono di questametodica chirurgica.

La diversione biliopancreatica

La tecnica prevede:– presenza di una gastroresezione conabboccamento del moncone gastrico aldigiuno;– abboccamento termino-terminale diun tratto del digiuno residuo di circa200 cm ad un tratto di ileo di circa 50cm;– esclusione del transito alimentare del-le rimanenti porzioni di duodeno, digiu-no ed ileo con abboccamento termino-laterale in prossimità della valvola ileo-cecale. Questo tratto viene ad esserepertanto attraversato dalle secrezioni bi-liare e pancreatica.

Sotto l’aspetto fisiopatologico vi so-no alcune variazioni sostanziali rispettoal bypass digiuno-ileale:

– l’aggiunta di un meccanismo di ridottacapacità gastrica, con il tentativo sia dicondizionare l’introito alimentare, sia diprovocare un rapido svuotamento dellostomaco e conseguente “effetto dum-ping” attraverso un sistema (gastrore-sezione) che determina una ridotta ca-pacità gastrica;– l’assenza di processi digestivi mediatidai sali biliari e enzimi pancreatici neltratto percorso dagli alimenti;– la mancanza di una vera e propria an-sa cieca.

Provvedimenti terapeutic i

102

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 102

Gli entusiasmanti risultati riportatidagli Autori nella pressoché totalità deicasi, con una diminuzione di peso cheraggiunge e supera l’80% del datopreoperatorio, sono su questa base fa-cilmente intuibili. A ciò va aggiunto unafrequenza di complicazioni postoperato-rie immediate sostanzialmente sovrap-ponibile al classico bypass digiuno-ilea-le, ma una incidenza di inconvenientispecifici tardivi nettamente più contenu-ta (29). Non è tanto l’efficacia dell’inter-vento ad essere messa in discussionequanto, se mai, la difficoltà intrinsecadella tecnica chirurgica e la mancanzadi casistiche di confronto. Non pochidubbi suscita inoltre la possibilità dicomplicanze metaboliche ed ossee alungo termine così come sul piano ga-stroenterologico le lesioni gastricheequiparabili a quelle di tutti i pazienti ga-stroresecati (ulcere e/o stenosi dellostoma, gastrite, maggiore incidenza dineoplasia) (32).Per tutte queste ragioni,vi è ancora molto scetticismo nell’anno-verare quest’intervento tra quelli propo-nibili per la terapia dell’obesità severa.Infatti, l’eccellente risultato sulla perditadi peso non può che essere associatoad un elevato pedaggio metabolico ri-proponendo le perplessità che il bypassdigiuno-ileale ha reso manifeste anchedopo molti anni.

Il bypass gastrico

Nel 1966 Mason, sulla scorta dellenozioni cliniche a quell’epoca ben noteche dopo interventi di gastroresezione egastroenteroanastomosi per patologiapeptica gastroduodenale, vi fosse uncalo ponderale non seguito da un suc-cessivo recupero, prospettò anche perla cura dell’obesità una metodica chi-rurgica che contemplasse una ga-stroenteroanastomosi (23). Questa veni-va peraltro associata ad un sistema direstrizione gastrica per limitare drastica-mente l’introito alimentare.

In alternativa dunque al bypass di-giuno-ileale si poteva usufruire di unametodica chirurgica meno invasiva, conbassa incidenza di severe complicanzeprecoci e tardive.

Gli aspetti tecnici dell’intervento sisono modificati negli anni successivi edattualmente la soluzione più seguitaprevede la creazione di una piccola ta-sca gastrica di circa 15-30 ml, separatadalla restante porzione di stomaco me-diante una triplice linea di struttura perevitare rotture e deiscenze.

Sotto il profilo eminentemente pra-tico l’intervento necessita di una speci-fica esperienza chirurgica ed è associa-to a complicanze immediate abbastanzacontenute.

M.O. Carruba, E. N isol i

103

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 103

Provvedimenti terapeutic i

104

Tra queste, particolare rilievo assu-mono le deiscenze della sutura con pe-ritonite (1,2%), il cedimento del mecca-nismo di restrizione gastrico (1,8%) e lasovrainfezione delle ferite chirurgiche dipiù o meno severo significato clinico(4,4%) (30). Più aleatorio appare il giudi-zio sul perdurare dell’effetto nel tempoin quanto tutti gli studi hanno in comu-ne una considerevole perdita di pazientinel corso del follow-up. Basandosi sullacasistica con la più elevata percentualedi soggetti periodicamente controllati fi-no a 5 anni (90%) (33), si desume chedopo un iniziale e più cospicuo caloponderale, si ha una fase di stabilizza-zione che perdura circa 1 anno seguitada un successivo periodo di modestaperdita di efficacia terapeutica. In termi-ni numerici la maggior parte di pazienticonserva nell’arco del periodo di osser-vazione una perdita di peso media dicirca il 60% rispetto al peso preopera-torio. I meccanismi fisiopatologici chestanno alla base dei risultati ottenuti so-no assai semplici e precipuamente indi-viduabili da un lato nella marcata ridu-zione della capacità gastrica, dall’altronell’accelerato svuotamento di cibi nonadeguatamente preparati in digiuno,con effetto tipo dumping.

La valutazione degli insuccessi te-rapeutici risulta decisiva dal momento

che questa metodica chirurgica apparenel complesso priva di gravi ed irrever-sibili complicanze tardive. Purtroppoquesto dato non è facilmente deducibiledal momento che solo alcuni Autori fis-sano preliminarmente un canone di de-finizione di insuccesso, peraltro nonsempre identico.

La restrizione gastrica

A questa classe appartengono tuttauna serie di interventi che si prefiggonodi limitare l’eccessivo introito alimentareattraverso un meccanismo di sensibileriduzione della capacità gastrica (14). Sulpiano tecnico, con varie modalità, siviene a determinare la ripartizione dellostomaco in una tasca prossimale di pic-cole dimensioni ed in una distale piùampia, comunicanti tra di loro attraver-so un piccolo stoma situato lungo lapiccola o grande curvatura a secondadelle varianti.

L’entusiasmo iniziale è stato tuttaviarapidamente ridimensionato dai delu-denti risultati terapeutici.

Pur ribadendo che le complicanzetardive di questi interventi sono o discarsa rilevanza clinica, come il deficitdi vitamina B12, di ferro e le stesse ul-cere peptiche, o facilmente ovviabili per

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 104

via endoscopica, come l’ostruzione ci-bale o la stenosi dello stoma, non sipuò affermare che essi abbiano risoltoin via definitiva l’approccio chirurgicoall’obesità grave.

Ruolo dei farmaci

Agenti anoressizzanti

adrenergici

Tra i primi farmaci ad essere utiliz-zati ci furono sostanze capaci di stimo-lare il sistema dopaminergico centrale.Si cominciò con l’amfetamina, la primasostanza che si dimostrò in grado di da-re un effetto anoressizzante.

La somministrazione di tale farma-co presentava però notevoli problemiconnessi con l’insorgenza di fenomenidi abuso e dipendenza. Esso fu pertan-to ben presto abbandonato, in favore dinuove molecole scaturite da una ricercafarmacologica mirata ad ottenere unanoressizzante privo degli effetti collate-rali tipici dell’amfetamina, come la fen-termina, la fendimetrazina, il dietilpro-prione e altre sostanze, come il mazin-dolo, che presentano in misura ridotta irischi di abuso, pur avendo un’efficaciaanoressizzante analoga a quella del-l’amfetamina.

Una concordanza di opinioni sulla si-curezza di tali farmaci non è mai stataraggiunta, per cui il loro utilizzo devesempre essere accompagnato da un’ap-profondita analisi della situazione clinicae della sua evoluzione durante l’eventua-le terapia che comunque non potrà es-sere protratta per periodi di tempo supe-riori a qualche settimana a causa dei fe-nomeni di tolleranza e dipendenza.

Gli anoressizzanti

serotoninergici

Per tutte queste considerazioni, at-tualmente i farmaci più attivamente ediffusamente studiati come antiobesitàsono gli agonisti serotoninergici, comela fenfluramina e la dexfenfluramina.Queste sostanze presentano effetti di-versi da quelli dei farmaci dopaminergici,come l’amfetamina, sia perché stimola-no il senso di sazietà più che diminuire ilsenso di fame (3) sia perché non dannoluogo a effetti collaterali di stimolazionedel SNC, dimostrando al più un effettolievemente sedativo. Questo diversoprofilo farmacologico è dovuto al diversomeccanismo d’azione di tali farmaci che,a dosi efficaci, non hanno effetti stimo-lanti sul sistema dopaminergico (8).La fenfluramina è un composto race-

M.O. Carruba, E. N isol i

105

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 105

mo, cioè costituito da una miscela inparti uguali di due isomeri otticamenteattivi. Ciascun isomero, a sua volta, dàluogo nell’organismo a un metabolitaanch’esso otticamente attivo, la destro-norfenfluramina e la levonorfenflurami-na. Se si analizza il profilo farmacologi-co di ciascun isomero, ne risulta che gliisomeri destrogiri dexfenfluramina enordexfenfluramina sono molto più po-tenti e specifici non solo nell’indurre laliberazione di serotonina e nell’inibire laricaptazione (Tab. 1), ma anche nel de-terminare gli effetti comportamentali sulconsumo di cibo (Tab. 2). Negli ultimianni è stato purificato l’isomero destro-giro della fenfluramina, la dexfenflura-mina, che presenta effetti più selettivi e

duraturi di quelli della fenfluramina ra-cemica. A livello centrale la dexfenflura-mina incrementa il rilascio di serotoninaed inibisce la sua ricaptazione (4). L’azio-ne della dexfenfluramina determina uneffetto anoressizzante che può essereantagonizzato da farmaci antagonistiserotoninergici. La dexfenfluramina è ingrado di indurre, oltre all’effetto anores-sizzante, una serie di altri effetti farma-cologici strategici utili per una terapiamirata a ridurre il peso corporeo. Infatti,tale farmaco possiede un peculiare ef-fetto sul bilancio dei macronutrienti in-geriti in quanto, come già menzionatoprecedentemente, riduce nel ratto pre-ferenzialmente l’assunzione di carboi-drati e soprattutto di lipidi, rispettando

Provvedimenti terapeutic i

106

Farmaci DE35 (mg/kg)

d-norfenfluramina 1,20

d-fenfluramina 2,24

dl-fenfluramina 3,31

l-norfenfluramina 4,50

l-fenfluramina 5,00

DE35 rappresentano le dosi che causano una riduzione del 35% nel consumo totale di cibo

Tabella 2

Paragone delle DE35

nell’indurre anoressiadei diversi isomeriotticamente attivi della fenfluramina e del suo metabolitanorfenfluramina.

Dose 5-HT MHPG-SO4 DOPACmg/kg (ng/g ± SE)

Controlli – 0,35 ± 0,01 167 ± 11 509 ± 34

d-fenfluramina 5 0,12 ± 0,01* 160 ± 5 484 ± 51

l-fenfluramina 5 0,19 ± 0,01* 222 ± 23* 650± 47*

* Significatività rispetto ai controlli p < 0,05

Tabella 1

Effetto della d- e l-fenfluramina sui livellicerebrali di serotonina(5-HT), di MHPG-SO4, e sui livelli striatali di DOPAC nel ratto.

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 106

M.O. Carruba, E. N isol i

107

l’apporto delle proteine (19). In studi con-dotti sull’uomo in condizioni sperimen-tali di libera scelta dei cibi, la dexfenflu-ramina si è dimostrata in grado di sop-primere in maniera significativa l’assun-zione di grassi in pazienti obesi (17).Questo risultato è supportato anche daaltri studi sperimentali in cui il farmacodiminuiva maggiormente il consumo dicibi ad alto contenuto di grassi chequello di cibi ricchi in proteine e in car-boidrati (2,16). Questo effetto potrebbeessere mediato da azioni periferiche ocentrali sul metabolismo.

Inoltre, numerose ricerche hannodimostrato che la dexfenfluramina au-menta la funzione termogenetica deltessuto adiposo bruno e quindi l’effettotermico degli alimenti. In particolare es-sa incrementa significativamente la ter-mogenesi indotta dalla dieta dopo unpasto ricco in carboidrati (21).

Perifericamente, inoltre, sono statidimostrati un incremento del consumodi glucosio da parte del muscolo eun’inibizione della sintesi di trigliceridida parte del tessuto adiposo legatiall’attivazione di recettori serotoninergici(13,25,31). Tenuto conto del fatto che isoggetti sottoposti a dieta a basso con-tenuto calorico vanno incontro a un di-minuito metabol ismo energetico,l’aspetto affascinante di tali risultati è,

quindi, che la dexfenfluramina può con-tribuire a mantenere la perdita di pesoinibendo la soppressione del metaboli-smo che normalmente accompagnauna riduzione del peso corporeo (28).

I risultati di studi clinici a breve ter-mine con la dexfenfluramina si possonocondensare dicendo che il farmaco, indosaggio da 15 a 30 mg due volte algiorno per via orale, si è dimostrato ingrado di indurre una riduzione di pesostatisticamente significativa in studicontrollati con placebo della durata di12 settimane (11,12).

Va anche ricordato che la dexfen-fluramina si è dimostrata efficace nel-l’indurre un calo ponderale anche in pa-zienti resistenti alla dieta. Il motivo diquesta conservata efficacia è rintraccia-bile in un recente lavoro di Lichtman ecollaboratori (22), dal quale emerge chela resistenza non è dovuta tanto a adat-tamenti metabolici, a un’inconscia sot-tostima dell’introito calorico e a una so-vrastima dell’esercizio fisico. Il farmacoin questo caso diventa un aiuto real-mente efficace per il paziente.

Solo in tempi relativamente recentisi è iniziato a prendere in considerazio-ne la possibilità di un trattamento farma-cologico dell’obesità prolungato neltempo. In effetti, non è difficile pensareche la maggior parte dei pazienti obesi

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 107

che trae giovamento dall’uso di un far-maco anoressizzante richiederà un trat-tamento prolungato, avvicinando in talmodo l’approccio terapeutico all’obesitàa quello di altre importanti patologie cro-niche, quali l’ipertensione e il diabete.

L’efficacia e la sicurezza della dex-fenfluramina negli studi a breve termineè stata così sostanzialmente conferma-ta dall’International Study on Obesity,studio multicentrico e controllato conplacebo della durata di un anno su oltre800 pazienti obesi (15). Infine, recentistudi epidemiologici hanno dimostratocome l’incidenza di ipertensione polmo-nare, descritta in alcuni pazienti obesiaffetti da rilevanti patologie cardiova-scolari e trattati con farmaci anoressiz-zanti, non modifichi la positiva valutazio-ne del bilancio rischio-beneficio per ladexfenfluramina.

Agonisti dei recettori

β-adrenergici atipici

Da qualche anno si è cominciato astudiare i meccanismi periferici chesembrano coinvolti nella regolazionedell’accumulo e della dispersione dienergia. Come in altri primati anchenell’uomo i siti più importanti che rego-lano la dispersione di calore sono i tes-

suti adiposi ascellari e cervicali profondioltre che perirenale. I tessuti adiposisuperficiali o sottocutanei umani mo-strano, in tutte le età, caratteristicheistologiche tipiche del grasso bianco,mentre tutti i depositi adiposi internicontengono durante l’infanzia adipocitibruni multioculari tipici (tessuto adiposobruno o BAT). Nell’adulto questi depo-siti interni contengono cellule sparse oisolotti di BAT adiacenti ai vasi sangui-gni. Inoltre, gli adipociti viscerali bianchitendono a trasformarsi in adipociti bruninegli individui affetti da feocromocitoma(18), un tumore surrenalico che secerneabbondanti quantità di noradrenalina.

Il metabolismo del BAT negli ani-mali da esperimento è controllato prin-cipalmente dalla noradrenalina, che, in-teragendo con specifici recettori, stimo-la una cascata di reazioni che conduco-no all’attivazione del metabolismo lipidi-co e alla produzione di calore. Nel BATdel ratto sono presenti sia i β1 che i β2-adrenocettori (7,20). Tuttavia, studi farma-cologici con nuovi agonisti termogeneti-ci β-adrenergici hanno suggerito l’esi-stenza di un recettore β-adrenergicoatipico, che regola la lipolisi e la produ-zione di calore (1,26). Inoltre, recente-mente, sono stati isolati i geni che codi-ficano per un recettore β-adrenergicoatipico sia nel ratto (24) sia nell’uomo (10),

Provvedimenti terapeutic i

108

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 108

distinti sia dai β1 che dai β2-adrenocet-tori. Notevole interesse si è quindi con-centrato recentemente su una serie dinuove sostanze farmacologiche conspecifiche proprietà agoniste a livello diquesti recettori β-adrenergici atipici. Inparticolare il BRL 37344, l’ICI D7114 eil Ro 40-2148, come agonisti β-adre-nergici atipici, si sono dimostrati efficacinel diminuire la crescita di peso in indi-vidui obesi senza alterare in manieramarcata e significativa parametri cardio-circolatori, come la frequenza del battitocardiaco, la pressione arteriosa e lapervietà delle vie aeree. La loro non as-soluta specificità ne ha per ora preclusol’uso su ampia scala.

I risultati preliminari di alcuni trial cli-nici controllati e in doppio cieco controplacebo, utilizzando alcuni agonisti β-atipici, come il BRL 26830A (9), hannoperò dimostrato scarsi effetti sul caloponderale. Tale effetto benefico è peròaccompagnato da effetti collaterali, co-me il tremore, associati alla componen-te β2-adrenergica. Pertanto, sia la ricer-ca di base che clinica, sono impegnatenella messa a punto di farmaci β-adre-nergici più selettivi per i recettori β-adrenergici atipici localizzati nei tessutiche modulano la produzione e la disper-sione di energia nell’uomo e che po-trebbero rivelarsi estremamente utili

nella terapia dell’obesità, o almeno, dialcuni tipi di questa.

Conclusioni

Dalla disamina delle varie procedu-re chirurgiche, con particolare riguardoai risultati a loro attribuibili ed alle impli-cazioni a breve e lungo termine in variamisura ad esse correlate, si possonotrarre alcune considerazioni. Purtropposi deve ribadire che, pur se gli sforzicompiuti sono notevoli, non si può an-cora definire con precisione il successoterapeutico a lungo termine per granparte delle procedure proposte. Affiorain ogni caso il dubbio che la terapia chi-rurgica dell’obesità sia una soluzioneantifisiologica ad un problema di cuinon si conoscono i subdoli meccanismidi innesco. Il campo del controllo neu-roendocrino del centro dell’appetito èregolato da meccanismi biochimici an-cora troppo sofisticati per essere definiticon gli attuali metodi di indagine. Con lachirurgia si cerca solo di impedire ad unsoggetto di cibarsi o al contrario siesclude l’assimilazione dell’eccesso ca-lorico introdotto. Appare del tutto lecitopensare che questa non può e non de-ve essere la soluzione definitiva al graveproblema dell’obesità severa.

M.O. Carruba, E. N isol i

109

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 109

Bibliografia

1. Arch JRS, Ainsworth AT, Cawthorne MA, PiercyV, Sennit MV, Thody VE, Wilson C, Wilson SAtypical β-adrenoceptor on brown adipocytes astarget for antiobesity drugs. Nature, 309:163-165, 1984.

2. Blundell JESerotonin and appetite. Neuropharmacology, 23:537-1551, 1984.

3. Blundell JE, Lawton CLDietary fat and appetite: possible role for dexfenfluramine. In: Ditschunheit H, Van Itallie T (Eds.), Proceedingof the Satellite Symposium to the 5th EuropeanCongress on Obesity “The role of dexfenfluramine inthe regulation of energy balance”, 1995.

4. Borsini F, Bendotti C, Alleoti A, Samanin R,Garattini Sd-fenfluramine and d-norfenfluramine reduce foodintake by acting on different serotonin mechanismsin the rat brain. Pharmacol Res Comm, 14:671-678, 1982.

5. Brolin RE, Cenler HA, Gorman RC, Cody RPThe dilemma of outcome assessment after opera-tions for morbid obesity. Surgery, 105:337-346, 1989.

6. Brownell KD, Greenwood MRC, Stellar E,Shroger EEThe effects of repeated cycles of weight loss andregain in rats. Physiol and Behav, 38:459-464, 1986.

7. Bukowiecki L, Follea N, Paradis A, Collet AStereospecific stimulation of brown adipocyte respi-ration by catecholamine via β1-adrenoceptors. Am J Physio, 238:E552-E558, 1980.

8. Carruba MO, Memo M, Missale C, Pizzi M,Spano PF, Mantegazza PPeripheral and central mechanisms of action of se-rotoninergic anorectic drugs. Appetite, 7:105-113, 1986.

9. Connacher AA, Jung RT, Mitchell PEG

Weight loss in obese subjects on a restricted dietgiven BRL 26830A, a new atypical beta-adreno-ceptor agonist. BMJ, 296:1217-1220, 1988.

10. Emorine LJ, Marullo S, Briend-Sutren M-M,Patey G, Tate K, Delavier-Klutchko C, Strosberg ADMolecular characterization of the human β3-adrener-gic receptor. Science, 245:1118-1121, 1989.

11. Finer N, Craddock D, Lavielle R, Keen HDexfenfluramine in the treatment of refractory obe-sity. Current Therapeutic Res, 38:847-854, 1985.

12. Finer N, Craddock D, Lavielle R, Keen HProlonged weight loss with dexfenfluramine treat-ment in obese patients. Diabete Metab, 13:598-602, 1987.

13. Geelen MJHEffects of fenfluramine on Hepatic intermediary me-tabolism. Biochem Pharmacol, 32:3321-3324, 1983.

14. Grace DMGastric restriction procedures for treating severeobesity. Am J Clin Nutr, 55:556s-559s, 1992.

15. Guy-Grand B, Apfelbaum M, Crepaldi G, GriesA, Levebvre P et alInternational trial of long-term dexfenfluramine inobesity. Lancet, 2:1142-1145, 1989.

16. Hill AJ, Blundell JEModel System for investigating the actions of ano-rectic drugs: effect of d-fenfluramine on food in-take, nutrient selection, preferences, meal patterns,hunger and satiety in healthy human subjects. In: Ferrari E, Brambilla F (Eds.), “Disorders of ea-ting behaviour: a psychoneuroendocrine approach”.Pergamon Press, Oxford, 377-389, 1986.

17. Lafreniere F, Lambert J, Rasio E, Ferri OEffects of dexfenfluramine treatment on body weightand postprandial thermogenesis in obese subjects.

Provvedimenti terapeutic i

110

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 110

A double-blind placebo-controlled study. Int J Obes, 17:25-30, 1993.

18. Lean MEJ, James WPT, Jennings G, Trayhurn PBrown adipose tissue in humans. Int J Obes, 10:219-227, 1986.

19. Leibowitz SF, Weiss GF, Shor-Posner GHypothalamic serotonin: pharmacological, biochemi-cal, and behavioural analyses of its feeding-sup-pressive action. Clin Neuropharmacol, 11 (Suppl. 1):S51-S71, 1988.

20. Levin B, Sullivan ACβ1-receptor is the predominant beta-adrenoceptoron rat brown adipose tissue. J Pharmacol Exp Ther, 236:681-688, 1986.

21. Levitsky DA, Schustezr JA, Stallone D, Strupp BJModulation of the thermic effect of food by fenflura-mine. Int J Obes, 10:169-173, 1986.

22. Lichtman SW, Pisarska K, Raynes Berman E et alDiscrepancy between self-reported and actual calo-ric intake and exercise in obese subjects. N Engl J Med, 327:1893-1898, 1992.

23. Mason EE, Ito CGastric bypass. Ann Surg, 170:329-336, 1969.

24. Muzzin P, Revelli J-P, Kuhne F, Gocayne JD,McCombie WR, Venter JC, Giacobino J-P, Fraser CMAn adipose tissue specific β-adrenergic receptor. J Bio Chem, 266:24053-24058, 1991.

25. Nicolaidis S, Even PMetabolic action of leptogenic (anorexigenic) agentson feeding and body weight. In: Carruba MO, Blundell JE (Eds.), “Pharmacologyof Eating Disorders: Theoretical and Clinical deve-lopments”. Raven Press, New York, 117-131,1986.

26. Nisoli E, Tonello C, Rossi F, Carruba MOI recettori beta-adrenergici atipici del tessuto adipo-so bruno come possibile bersaglio per un interventofarmacologico nella terapia dell’obesità. In: Bosello O, Enzi G, Melchionda N (Eds.), Obesità’92. Fisiopatologia clinica e terapia. Edizioni LuigiPozzi, Roma, 1993.

27. O’Leary JPOverview: Jejunoileal bypass in the treatment ofmorbid obesity. Am J Clin Nutr, 33:389-394, 1980.

28. Scalfi L, D’Arrigo E, Caradente V, Coltorti A,Contaldo FThe acute effect of dexfenfluramine on resting me-tabolic rate and postprandial thermogenesis in obe-se subjects: a double-blind placebo-controlledstudy. Int J Obes, 17:91-96, 1993.

29. Scopinaro N, Gianetta E, Friedman D et alBiliopancreatic diversion. In: Oomura Y et al (Eds.), Progress in obesity re-search. J Libbey and C Ltd, 611-621, 1990.

30. Surgeman HJ, Kellum JM, Engle KM et alGastric bypass for treating severe obesity. Am J Clin Nutr, 55:560s-566s, 1992.

31. Turner PPeripheral mechanism of action on fenfluramine. Current Med Res and Opinion, 6 (Suppl. 1):101-105, 1979.

32. Viste A, Biornestad E, Opheim P et alRisk of carcinoma following gastric operations forbenign disease. Lancet, i:929-931, 1986.

33. Yale CEGastric surgery for morbid obesity. Complicationsand long-term weight control. Arch Surg, 124:941-946, 1989.

M.O. Carruba, E. N isol i

111

cap. 5 29-05-2002 11:00 Pagina 111

I S T I T U T O D A N O N E

#copertina+retro+costa 29-05-2002 10:51 Pagina 2