o 2 - settembre 2013 forzata - ristretti · mi chiamo rocco e sono un ragazzo di 37 a ni e, tranne...

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S osta F or zata S p e r a n z a e o t t i m i s m o n o n s o n o l a s t e s s a c o s a . L a s p e r a n z a n o n è l a c o n - v i n z i o n e c h e u n a d e t e r - m i n a t a c o s a a n d r à b e n e m a l a c e r t e z z a c h e e s s a h a u n s e n s o i n d i p e n d e n - t e m e n t e d a c o m e a n d r à a f i n i r e Vaclav Havel Giornale della Casa Circondariale di Piacenza n O 2 - Settembre 2013 E ditoriale P o s t e I t a l i a n e S . p . A . - S p e d i z i o n e i n A . P . - D e c r e t o l e g g e 3 5 3 / 2 0 0 3 ( C o n v . L 2 7 / 0 2 / 2 0 0 4 n 4 6 ) A r t . 1 - C o m m a 2 e 3 - C N / P C E state strana, estate stanca. Una pausa dal carcere; il carcere nei pensieri e nelle riflessioni. Il carcere sulla spiaggia e nelle nuotate. Le storie, le per- sone, i visi e le mani imprigionate. I corpi imprigionati. E poi i numeri, tanti numeri. Del sovraffollamento, delle misure alternative, della recidiva. Non amo i numeri, li dimentico, non li maneggio bene. Mi rendo conto, però , del loro valore. La recidiva nelle persone che hanno scontato tutta la pena dentro le mura è molto alta, circa il 70% e comporta costi economici importanti per il Paese. Non c’è dubbio. La recidiva tra coloro che hanno scontato parte della pena in misura alternativa scende al 20% e poi c’è la recidiva ancor più bassa dei pochi fortunati che sono riusciti a entrare nel progetto Bollate, vetrina e glo- ria delle prigioni italiane. Ai numeri, però , sarebbe opportuno, per onestà dei fatti, aggiungere qualche piccola postilla e spiegare che, in ogni caso, le persone detenute che hanno possibilità di accedere alle misure alternative sono quelle che già hanno qualche risorsa, qualche talento da spendere sul mercato della vita: una casa, una famiglia, l’ipotesi di un lavoro. Il tema carcere è tema complesso. Il sistema sanzionatorio è complesso. Occorre forzare il pensiero, non bastano i 140 caratteri di un cinguettio. Non bastano i numeri, i costi, le sanzioni euro- pee. Non stiamo parlando di una catena di montaggio. Ci sono persone, corpi, storie, famiglie, mogli, mamme e bambini. Papà , fidanzate, fratelli. E poi ci sono le vittime, altri corpi, donne, uomini, paure, ferite, sfiducia e delusione. E infine ci siamo tutti noi cittadini che, da una parte o dall’altra del muro, cerchiamo giustizia e pace. Almeno spero. Ed ecco che nell’estate strana e stanca, nel pensiero un po’ lento e logoro sul carcere irrompe come una luce la riflessio- ne di Vaclav Havel, politico, intellettuale, artista di Praga. In un lampo ci libera dai numeri, dalle statistiche, dai calcoli trop- po asfittici, ci riporta all’articolo 27, un salto all’indietro, la rincorsa per un salto in avanti. Speranza e ottimismo non sono la stessa cosa. La speranza non è la convinzione che una determinata cosa andrà bene ma la cer- tezza che essa ha un senso indipendentemente da come andrà a finire. Il mandato rieducativo della pena – si badi bene, della pena tutta non solo del carcere – ha un senso sempre e comunque, indipendentemente da come andrà a finire. Ne siamo certi. Si tratta solo di lavorare di più , con più competenza e respon- sabilità . Informando ancora meglio i cittadini. L’obiettivo finale è per tutti una maggiore pace sociale, maggiore serenità . Meno paura. Più fiducia. Ne vale la pena. Carla Chiappini SPECIALE FESTIVAL DEL DIRITTO

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Page 1: O 2 - Settembre 2013 Forzata - Ristretti · Mi chiamo Rocco e sono un ragazzo di 37 a ni e, tranne per una piccola parentesi, ho vis-suto sempre tra Parma e la provincia di Piacenza

Sosta

Forzata

S p e r a n z a e o t t i m i s m on o n so n o l a s t e ssa co sa .L a sp e ra n za n o n è l a co n -v i n z i o n e ch e u n a d e t e r -m in a t a co sa a n d rà b e n em a la ce r t e zza ch e e ssah a u n se n so i n d ip e n d e n -t e m e n t e d a co m e a n d rà af i n i re

Vaclav Havel

Giornale della Casa Circondariale di Piacenza nO 2 - Settembre 2013

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Estate strana, estate stanca. Una pausa dal carcere; il carcere nei pensieri enelle riflessioni. Il carcere sulla spiaggia e nelle nuotate. Le storie, le per-sone, i visi e le mani imprigionate. I corpi imprigionati. E poi i numeri, tanti

numeri. Del sovraffollamento, delle misure alternative, della recidiva. Non amoi numeri, li dimentico, non li maneggio bene. Mi rendo conto, però , del lorovalore. La recidiva nelle persone che hanno scontato tutta la pena dentro lemura è molto alta, circa il 70% e comporta costi economici importanti per ilPaese. Non c’è dubbio. La recidiva tra coloro che hanno scontato parte dellapena in misura alternativa scende al 20% e poi c’è la recidiva ancor più bassadei pochi fortunati che sono riusciti a entrare nel progetto Bollate, vetrina e glo-ria delle prigioni italiane. Ai numeri, però , sarebbe opportuno, per onestà deifatti, aggiungere qualche piccola postilla e spiegare che, in ogni caso, le personedetenute che hanno possibilità di accedere alle misure alternative sono quelleche già hanno qualche risorsa, qualche talento da spendere sul mercato dellavita: una casa, una famiglia, l’ipotesi di un lavoro. Il tema carcere è tema complesso. Il sistema sanzionatorio è complesso.Occorre forzare il pensiero, non bastano i 140 caratteri di un cinguettio. Non bastano i numeri, i costi, le sanzioni euro-pee. Non stiamo parlando di una catena di montaggio. Ci sono persone, corpi, storie, famiglie, mogli, mamme e bambini.Papà , fidanzate, fratelli. E poi ci sono le vittime, altri corpi, donne, uomini, paure, ferite, sfiducia e delusione. E infine cisiamo tutti noi cittadini che, da una parte o dall’altra del muro, cerchiamo giustizia e pace. Almeno spero.

Ed ecco che nell’estate strana e stanca, nel pensiero un po’ lento e logoro sul carcere irrompe come una luce la riflessio-ne di Vaclav Havel, politico, intellettuale, artista di Praga. In un lampo ci libera dai numeri, dalle statistiche, dai calcoli trop-po asfittici, ci riporta all’articolo 27, un salto all’indietro, la rincorsa per un salto in avanti. Speranza e ottimismo non sono la stessa cosa. La speranza non è la convinzione che una determinata cosa andrà bene ma la cer-tezza che essa ha un senso indipendentemente da come andrà a finire.Il mandato rieducativo della pena – si badi bene, della pena tutta non solo del carcere – ha un senso sempre e comunque,indipendentemente da come andrà a finire. Ne siamo certi. Si tratta solo di lavorare di più , con più competenza e respon-sabilità . Informando ancora meglio i cittadini. L’obiettivo finale è per tutti una maggiore pace sociale, maggiore serenità .Meno paura. Più fiducia. Ne vale la pena.

Carla ChiappiniSPEC

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Questo è il problema dei giornali, nonil bilancio in rosso, la pubblicità...Ma l’incapacità a raccontare il

dolore. Si va nei luoghi in cui l’uomo sof-fre, ma non si comunica nulla, ci si perdedietro ad altre cose. Comunicare … vuole dire condividere.Andare lì e condividere. E poter trasmette-re quanto siano terribilmente vive le coseche vediamo. Il reportage, che è stata laparte essenziale e costitutiva della storiadel giornalismo, oggi vive una nuovanecessità. Bisogna essere all’interno delfatto, rischiando, senza avere un modo perscampare a ciò che accade. Poi, c’è tutto ildisperato tentativo della scrittura di resti-tuire in minima parte gli uomini che vedo,di dare a te che non sei lì, almeno perun’infinitesima parte, il senso di esserci, divedere.

Domenico Quirico

Chi sia Domenico Quirico ormailo sappiamo proprio tutti, oalmeno dovremmo saperlo. In realtà questa frase

l’avevamo scelta tempoaddietro, prima che lapassione per la cono-scenza e la condivisionelo consegnassero a unapericolosa e umilianteprigionia in terra siria-na. Avevamo scelto que-sto modo di intendere ilgiornalismo e il mestie-re dell’informazioneperché in realtà nonconosciamo altri modialtrettanto onesti di farequesto lavoro. Oddio sappiamo moltobene di essere formicheoperaie, di muoverci suterreni ristretti, in con-testi limitati e limitantima, in tutta onestà, lo spirito èquello. Stessa passione, identicaaspirazione. Al servizio delladignità delle persone di cui scri-viamo e di quelle, poche o tante,che ci leggeranno.

In questa cornice ideale deside-riamo inserire il reportage chesegue, interamente realizzatodai redattori detenuti che insie-me a noi lavorano alla costruzio-ne di “Sosta Forzata”. Si tratta diuna raccolta di interviste a quel-le persone che, in carcere, perse-guono un isolamento quasimonastico, scegliendo, per vari motivi, di nonpartecipare ad alcun momento di socialità. Siapure soltanto l’ora d’aria. Non abbiamo volutochiamarli invisibili per una forma di saturazionenei confronti del linguaggio sociale che, di certeparole, ha abusato oltre ogni limite. Rendendoleinsopportabili.

Le interviste sono state trascritte dai redattori,secondo le modalità a loro più consone. Quasi

tutte in forma di dialogo. Ma c’è anche chi si ècimentato nel racconto biografico. Quanto a noi,oltre all’impegno evidente, abbiamo apprezzatoin particolar modo l’astensione da giudizi e com-menti. Tanto a quelli c’è sempre qualcuno che cipensa!

Carla Chiappini

ROCCOMi chiamo Rocco e sono un ragazzo di 37anni e, tranne per una piccola parentesi, ho vis-suto sempre tra Parma e la provincia di Piacenza.La mia ultima carcerazione, cioè quella attuale, èdi 23 mesi con scadenza pena a settembre 2013.La mia storia, purtroppo, la definirei un incuboperché da quello che ricordo già da bambino, allescuole elementari, avevo una situazione familiareburrascosa; i miei non andavano d’accordo e sisfogavano su di me riempiendomi di botte perqualsiasi cosa. E tutto questo le tenevo dentro dime, diventando scorbutico e molto aggressivotanto che a un certo punto intervennero le assi-stenti sociali e decisero di rinchiudermi in un col-legio a Cremona per fare le scuole medie.

Naturalmente tutto questo contro la mia volontà,tanto è vero che, invece di migliorare, peggioravosempre di più muovendo i primi passi verso iprimi reati di vandalismo e piccoli furti.

E poi finalmente finirono anche questi treanni tormentati di collegio e me ne tornai acasa coi miei. Speravo che qualcosa fosse cam-biato, mi trovai un lavoro molto pesante da mura-tore ma ero contento; il mio titolare mi conside-

rava e a me la cosa faceva molto piacere. Per laprima volta non mi sentivo inutile ma anche que-sto non è servito a nulla. A casa sempre i solitiproblemi; per me erano sempre botte. Addiritturaquando prendevo lo stipendio non vedevo unsoldo, se lo teneva tutto mia madre! Ancora ogginon capisco come una mamma possa avere untale comportamento con il proprio figlio. Tuttoquesto per me era come veleno mortale che sfo-gavo quando uscivo con comportamenti ingiusti-ficabili di non controllo. Iniziai a fare uso di alcole stupefacenti.Non sono più regolare sul posto di lavoro, scappodi casa un paio di volte e poi ritorno. Per comple-tare l’opera, oltre al fare uso, comincio anche aspacciare per avere due soldi in tasca.

Raggiunta la maggiore età, scoppia l’ennesi-ma lite in casa con mia madre. Perdo del tuttoil controllo, la colpisco con un pugno, lei cade aterra. Un gesto bruttissimo ma in quel momentosentivo come una liberazione.E me ne andai definitivamente da casa. Per mesi hovissuto sballottato a destra e sinistra da amici varicadendo sempre più nella tossicodipendenza e nel-l’alcolismo.

Nel 1996 conosco per la prima volta il car-cere ed è un continuo entrare e uscire fino al1999 per svariati reati: spaccio, furto, diserzione.Finalmente, finito questo calvario, riesco dal2000 al 2003, pur conducendo una vita sregolata,a conoscere una ragazza per me molto importan-te con cui convivo a casa dei suoi genitori.Nonostante avessi avuto questa immensa fortuna– era infatti una famiglia benestante che mi man-

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La vita trova spesso il modo di vincerci, con mezzi di volta involta appropriati alla nostra debolezzail vino, la droga, l’ambizione, la paura, il successo.

Claudio Magris in“Microcosmi”

Gli appartatiReportage dalle sezioni “comuni”

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teneva in tutto – non riuscivo a trovare un mioequilibrio perché, oltre a tutto quello che già mifacevo, mi ero messo pure nel giro della cocaina equesto mio comportamento portava dei malumoriin casa coi genitori di lei. Dal 2002 al 2003 deci-diamo quindi di andare a convivere da soli in unprimo momento a Pontenure e successivamente aTravo. Intanto continuavo imperterrito a bere edrogarmi fino a portare questa ragazza all’esaspe-razione. Nell’agosto del 2003 decide di lasciarmidefinitivamente.

Qui inizia un periodo di sei mesi circa dove acca-de il fatto che segnerà per sempre la mia vita giàtanto brutta. Inizio a frequentare una ragazza del

paese anche lei nel mondo della droga che, pur-troppo, mi infetta con il virus Hiv. Quando, facen-do le analisi, scopro questa cosa, perdo completa-mente quel poco controllo che avevo sulla miavita; decido di spostarmi da Travo che è un picco-lo paese al centro di Parma a casa di una ragazzaperbene. E cosa riesco a fare? Trascino anche leinel mondo della droga.Ero allo sbando. Purtroppo la notizia del contagiomi aveva tolto anche quel niente che ancora avevo.

CARCERE: la mia cella come un guscioLa vita che conduco in carcere si può para-gonare a un nulla; non riesco a spiegarmi il per-

ché ma è come se avessi un blocco per qualsiasicosa. Non vado al campo, non riesco ad andare insaletta, mi sono iscritto a scuola ma sono duratoun’ora. Persino alle ore d’aria – dove la maggiorparte dei detenuti gradisce andare per scambiaredue parole e fare due passi – io non partecipo per-ché mi deprimo ancora di più. Tutto questo permolti è assurdo ma purtroppo è così quindi l’uni-ca cosa che mi rimane è la mia cella che diventaper me come il guscio per la tartaruga, come fosseuno scudo, con la mia radio, la tv e le foto con cuitento di abbellirla cercando di far passare queldannato tempo. Giorno dopo giorno. E quandoarrivo all’apice, ricorro a quella maledetta terapiasenza senso che ti stordisce e ti addormenta.

Negli ultimi tre mesi sembra che sia cambia-to qualcosa in me, una spiegazione precisa nonriesco ancora a darmela. Sicuramente una cosamolto piacevole è stato il riavvicinamento conmia sorella che adoro; appena può viene a farmi icolloqui e mi dimostra interesse e affetto – cosache non ha mai fatto in nessuno dei periodi pre-cedenti. Altra cosa positiva è il nuovo compagnodi cella con cui mi trovo molto bene perché non èla solita convivenza carceraria ma c’è veramenteun bel feeling; parliamo di tutto e io mi sento amio agio riuscendo ad aprirmi su argomenti cheprima per me erano tabù. Lui è molto calmo epositivo in tutte le cose e cerca di valorizzarmicome persona; si interessa se prendo i farmaci inmodo corretto, ho iniziato ad andare qualchevolta all’aria, facciamo ginnastica tutti i giorniinsieme, frequentiamo il corso di giornalismo.

Magari possono sembrare cose banali ma,nel mio caso, mi aiutano molto perché mai nessu-no in carcere si era interessato a me in modo sin-cero e spontaneo. Tutto questo mi dà una carica positiva e ogni gior-no che passa mi accorgo che forse anche io possofare e dare qualcosa. Ho iniziato anche a scalare la terapia e mi piace-rebbe uscire dal carcere pulito, senza più aver biso-gno di farmaci oltre a quelli necessari per la miamalattia.

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la cella come un guscio del carcere di Piacenza

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Anche mia sorella, venendo a tro-varmi in carcere, si è accorta del miocambiamento e abbiamo deciso cheil 9 settembre, giorno della mia scar-cerazione, vado a vivere da lei perprovare a ricominciare insieme unanuova vita, consapevole che partoper questo viaggio con una monta-gna sulle spalle. Ma vorrei dimostrare agli altri masoprattutto a me stesso chi è il veroRocco.

Storia raccolta nel carcere diPiacenza da Dorian e Fausto

ALANIN CARCERE NO LAVORO, NO ATTIVITÀ PER MIA SCELTA

Quanti anni haiHo 39 anni e sono nato a Cesena

Da quanto tempo sei in carcere?Sono finito in carcere il 27 Agosto2011 con una condanna definitiva didue anni e due mesi; ciò perché sonoscappato a un posto di blocco e resi-stenza ad un pubblico ufficiale.

Mi racconti la tua storia?La mia vita è legata in modo particolare allesostanze stupefacenti, ho iniziato all’età di 15anni con droghe leggere, per passare in brevetempo all’uso di eroina, cocaina ecstasy. Iniziaisniffando, per poi arrivare a farmela in vena per-ché lo sballo era più forte e a me tutto questo pia-ceva. Poi sono partito per il servizio militare,destinazione vicino al confine Svizzero, ma que-sto non è servito a ristabilire un po’ d’ordine nellamia vita. Quando uscivo la sera bevevo un saccodi superalcoolici, scappavo la notte dalla casermae rientravo al mattino prima della conta ed eroubriaco marcio. Quando avevo una licenza pertornare a casa non perdevo occasione per drogar-mi per recuperare il tempo perso. Finita la levamilitare sono tornato alla mia vita droga + droga,fino alla totale dipendenza all’eroina e dallo sbal-lo in generale. Tutto questo calvario l’ho fattodurare fino ai miei 27 anni; decidodi rivolgermi al Sert competente perfarmi aiutare perché iniziava adessere anche un problema di salute,inizio un programma assumendo ladose quotidiana di 80 mg. di meta-done, senza risultati positivi, conti-nuavo a bucarmi era più forte di mee non riuscivo a fermarmi.

Come e dove trovavi i soldi perla droga?Fortunatamente lavoravo in unaditta dove fabbricavamo mobili enonostante il mio problema con ladroga sono sempre riuscito a mante-nere il posto di lavoro, naturalmentelo stipendio lo spendevo tutto insostanze stupefacenti, probabilmen-te questo mi ha concesso la fortunanella disgrazia di commettere piccolireati naturalmente di spaccio e que-sto ha contribuito a non farmi troppianni di carcere, anche perché questaè la mia unica carcerazione.

Come trascorri le tue giornate incarcere?Purtroppo io lo vivo in modo depri-mente, più di quanto lo sia già, stosempre r inchiuso nella mia cella,qualche mese fa ho provato a scen-

dere all’aria, ma mi diventa difficile socializzarecon gli altri detenuti, e ascoltare sempre le solitecose che si ripetono all’infinito:Non ho neanche chiesto di poter lavorare perchélo ritengo un vero e proprio sfruttamento, se fac-ciamo il rapporto lavoro-paga; e considero ancheinutili le varie attività rieducative, che il carceremette a disposizione … Una cosa che ho notato èche spesso è volentieri chi ha un comportamentodiciamo fuori dalla norma ottiene più ascolto esuscita interesse, quindi in automatico vieneanche più seguito dai vari staff carcerari. Pensatequindi con che logica possono funzionare le coseper noi detenuti.

Chi ti è stato vicino in questo periodo, e cosapensi di fare finita la carcerazione?Purtroppo durante questo periodo ho avuto con-tatti con i miei genitori solo per corrispondenza

perché sono anziani e non guidano. Con i mieifratelli non c’è molto rapporto allora per il quietovivere lascio correre, fortunatamente ho compa-gni di sventura che spesso e volentieri cercano diconfortarmi e tirarmi su di morale, molto impor-tante per chi non fa i colloqui. Tra otto mesi fini-sco la pena, non vedo l’ora purtroppo i miei pen-sieri per il futuro non sono dei più positivi, appe-na uscirò cercherò di procurarmi un po’ di droga,prenderò il primo treno per andare a salutare miopadre che mi manca un casino. Mi troverò unlavoro per potermi mantenere sia nella vita checome drogato, si perché nonostante tutto quelloche ho passato purtroppo oggi mi sento ancoratossicodipendente, ma la cosa assurda è chevoglio continuare ad esserlo.

Storia raccolta nel carcere di Piacenza daSaimon

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Gli appartati la cella come

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MIRKOLE MIE GIORNATE CHIUSOIN CELLA

Ciao, quanti anni hai, da dovevieni?Ho 46 anni e sono nato aFiorenzuola però sono cresciuto aNoceto, Parma

Da quanto tempo sei in carce-re?Sono in carcere da un anno e 4mesi

Raccontami chi seiAdesso sono un senza fissa dimo-ra...I miei genitori si sono separatiquando io avevo quattro anni,così mi mandarono dai nonnimaterni. Da qui sono cominciati imiei problemi che io chiamo esi-stenziali.Mi sentivo inferiore agli altri ragazzini della miaetà; dai 10 ai 13 anni ho finito le scuole mediecon la sufficienza; consigliato di una prof. dilasciar perdere la scuola e trovarmi un lavoro. Lostudio non faceva per me...a detta sua. A 14 annicominciai a lavorare, conobbi un mio collega dilavoro 19 anni che già faceva uso di eroina, in piùprendeva delle pastiglie Roipnol che servivanoper non stare male così mi diceva, se sto male tumi devi dare due sberle. E io cosi facevo ognivolta che lo vedevo collassare. Ho iniziato a berebirra e a prendere queste pastiglie di Roipnol.L‘effetto era quello di andare a rubare per diverti-mento. A 16 anni mi sono fatto il primo buco dieroina, questo mi diede un senso di felicità, orami sentivo come gli altri, non vivevo più i com-plessi d’inferiorità rispetto al prossimo e da quelgiorno non ho più smesso . A 18 anni la primacarcerazione a Parma per un etto di Hashish; micondannarono a due anni e 6 mesi con la condi-zionale, così due mesi dopo ero già in giro ma imiei nonni mi hanno buttato fuori di casa. Da quiho cominciato a dormire dove capitava, treni caseabbandonate roulotte. Mi rivolsi al Sert diFidenza, loro da quel momento iniziarono ad aiu-tarmi, si può dire che ho passato dieci anni dauna comunità all’altra, la più lunga è stata SanPatrignano; quattro anni e 8 mesi, più 6 mesi diSorveglianza Speciale 2 mesi di obblighi di firma.Mi avevano fatto un cumulo pene per i vari reaticommessi.

A 34 anni, uscito dalla comunità andai a vivere aRoveleto di Cadeo, un lavoro di operatore ecolo-gico, ma dopo 8 mesi ho ricominciato a drogarmi.Decisi di tornare a S. Patrignano da uomo libero;altri quattro anni poi un anno di reinserimentocon una coop. Trovai un lavoro alla Caterpillarvicino S. Marino, avevo 47 anni e decisi di tra-sferirmi a Cattolica insieme ad un amico calabre-se, eravamo vicino al posto di lavoro. In questoperiodo bevevo solamente, ma il mio amico eracocainomane e così non solo iniziai ad usare lacocaina ma addirittura a farmela in vena. Unanno e mezzo e finisco in cassa integrazione, daqui iniziai a fare debiti con uno spacciatore.Scappai e tornai a Fiorenzuola a casa di un’altroamico mi trovai l’ennesimo lavoro ma dopo dueanni mi sono licenziato, ero nuovamente dentrole storie era Agosto 2011, andavo periodicamenteal Sert e prendevo farmaci per l’astinenza; nelfrattempo rubavo e dormivo in giro. A maggio2012 rapinai un bar e mi presero.

Come passi le tue giornate qui dentro?Le mie giornate le passo sempre in cella.

Perché?Principalmente e caratterialmente sono moltosolitario, perciò me ne sto sempre per i fatti mieiin cella. Se vado in saletta o all’aria comincio apensare troppo alla libertà, e ci sto da cani; sonomolto istintivo e così evito gli altri detenuti pernon trovarmi in qualche discussione sbagliata.Uscivo solo se mi facevano lavorare.

Hai avuto problemi con qualcuno?L’anno scorso quando ero nella sezione E hannoportato un ragazzo, si chiamava Francesco. Io erogià in cella con un’altra persona, così ci hannomesso la terza branda; il brigadiere ci assicuròche era solo per una notte dato che Francescoaveva problemi con tutta la sezione. Nessuno ciavvertì che costui inalava il gas infatti non avevafornello o altro tutto sequestrato; il mattino dopoio ero in infermeria, l’altro detenuto dall’avvoca-to. Francesco rimase solo in cella, tornammo,aveva fatto il caffè, lo chiamò l’Ispettore, tornòcontento perché lo trasferivano di sez. Gli reseroil suo fornello così mentre io e l’altro prendevamoil pranzo dal carrello lui andò in bagno non preseda mangiare, uscì dal bagno che già barcollava.C’era odore di gas, lui prendeva la terapia, cer-cammo di soccorrerlo chiamammo l’agente, arri-varono gli infermieri, a noi ci misero in saletta edopo qualche minuto dalle altre celle cominciò atrapelare che era morto.Venni poi chiamato dall’ispettore e dalProcuratore della Repubblica raccontai quelloche vi sto raccontando, ma la Radio disse che nelcarcere di Piacenza un ragazzo si era impicca-to...cominciarono dalle altre celle urla rivolte ame dicevano che io avevo detto questa cazzata. Ilmattino successivo mi dovettero cambiare sezio-ne e passai in B.

Cosa fai tutto il giorno in cella?Passo il tempo facendo le pulizie, se sono solospengo la tv mi da fastidio ma se il compagno c’èla tengo accesa per doveri di “convivenza” , facciocolazione prendo la terapia si avvicina l’ora dipranzo, dopo mi rilasso sul letto cercando di nonpensare a niente, faccio progetti per il dopo; mivado a fare la doccia e torno in cella e guardo sein tv c’è qualcosa che mi piaccia sport o docu-mentari, mentre la sera mi metto d’accordo con ilcompagno o film o partita, dopo terapia e dormo.

Cosa vorresti fare quando uscirai?Per quando uscirò non ho più nessuno sono incontatto con il Sert di Fidenza e non so cosahanno pensato per me, all’inizio andrò a dormirein qualche dormitorio; il lavoro non lo sopportopiù molto né mentalmente né fisicamente; otto

ore non so se le reggo, nemmeno la comunità misembra una soluzione, spero in una borsa lavoro,due stanze per dormire un sussidio dal comune,adesso per riuscire a passare la giornata devoprendere antidepressivi, i troppi fallimenti sifanno sentire.

Cosa ti piace leggere?Non leggo molto, l’ultimo libro che ho letto avevo10 anni Zanna Bianca e leggevo Topolino.

Fai colloquio?No, al momento con nessuno un anno fa è venu-to mio fratello dopo non l’ho più visto.

I tuoi dove sono adesso?Loro sono di Piacenza, ma sono divorziati, hodue sorelle e un fratello ma non ho mai avuto unrapporto chiaro e sincero con loro anche perchéio sono cresciuto con i nonni.

Hai lavorato qui in carcere?Si, una volta come lavorante.

Cosa chiederesti alla Direttrice La socialità con le celle aperte, dare una mano aidetenuti che non hanno possibilità almeno per idetersivi per piatti e vestiti indumenti 5 sigaretteal giorno, la Caritas 10 euro al mese li potrebbedare, per lo zucchero il gas il caffè.

Intervista raccolta nel carcere di Piacenzada Carlos Barona

ALFREDOL’ORA D’ARIA? ANCHE NO!

Dimmi chi sei?Sono Alfredo e ho 48 anni portati bene, sonoItaliano e vivo a Forlì.

Da quanto tempo sei in carcere?Da cinque anni, prima due anni poi in comunitàper un anno e da due anni sono qui a Piacenza.

Mi racconti la tua vita?Penso di averla vissuta abbastanza, la cosa nega-tiva è stato maturare troppo in fretta e così hocommesso errori che non mi aspettavo, comun-que l’ho affrontata come potevo

Come passi la giornata in carcere?Me la passo nel migliore dei modi qui dentro ocomunque faccio quello che mi piace, so cucina-re mi sono diplomato all’Alberghiera.

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SostaForzataSostaForzata

un guscio

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SostaForzata

Come passi la giornata in carcere?Me la passo nel migliore dei modi quidentro o comunque faccio quello che mipiace, so cucinare mi sono diplomatoall’Alberghiera.

Perché stai sempre in cella e non esciall’ora d’aria?Ci sarebbero tante risposte alla tuadomanda, penso che ognuno deve affron-tare la propria vita come vuole; tante per-sone mi chiedono di scendere con loroall’aria, però tutte le volte invento dellescuse banali, e non ho rimpianti.

Puoi dirmi una ragione?Una brutta situazione è quella di fareavanti e indietro in cinquanta metri dilunghezza sentire parlare solo di processidetenzioni ecc. ecc., quando uscirò la miavita vorrei fosse altro e spero una vitapiena di belle cose.

Perché non frequenti i corsi chefanno qui?In questo carcere a questa domandadovrebbero rispondere gli educatori; hofatto la domandina per partecipare alcorso di giornalismo...ma ancora aspettorisposta. Cosa devo pensare che il mioposto è rimanere in cella.

Cosa ti piace leggere?Se devo dire la verità leggo solo ilVangelo del giorno, al mattino.

Cosa ti preoccupa affrontare unavolte uscito?Francamente non penso di avere proble-mi, il mio lavoro lo trovo sempre, questacarcerazione non comporta problemi infuturo.

C’è qualche persona con cui hai lega-to maggiormente?Posso dire che sono una persona affabile;vado molto d’accordo con il mio compa-

gno di cella, ed è la cosa principale quidentro.

Chi viene a fare i colloqui?Da due anni che sono qui e mai nessunoè venuto; a gennaio è venuta a mancareanche mia madre, e così sono rimastosolo. Per fortuna, se così si può dire, houna piccola pensione d’invalidità che mipermette di tirare avanti.

Quando vedi gli altri andare al collo-quio come ti senti?Provate voi a vedere gli altri andare al col-loquio e a trovare te non verrà nessuno.

Ti mancano i tuoi familiari?Ti posso solo dire che rimpiango miamadre. Avevo solo lei nella mia vita, orache se ne andata sono rimasto solo, leiera stata una ragazza madre, eravamomolto uniti.

Che cosa pensi per il tuo futuro?Guardando la TV leggendo i giornalidovrei pensare al peggio, ma come tidicevo nel mio settore c’è sempre richie-sta perciò ora non mi pongo il problema.Sicuramente un programma di reinseri-mento fatto con gli educatori sarebbed’aiuto.Ringrazio il detenuto per avermiconcesso questa intervista.

Intervista raccolta nel carcere diPiacenza da Khalid El Sahal

GIUSEPPEALLA LARGA DA TUTTI PER NON AVERE PROBLEMI

Buongiorno e grazie per la tua dispo-nibilità, Raccontami chi sei e dadove vieni?Mi chiamo Giuseppe ho 20 anni sononato a Cefalù provincia di Palermo e daquando ho sette anni vivo qui aPiacenza..

Da quanto sei in carcere?A 18 anni mi hanno arrestato ho fattoquattro giorni, poi ho scontato la penaagli arresti domiciliari, con 6 mesi dilavori socialmente utili, ora da cinquemesi mi trovo in carcere. Praticamente daquando ho compiuto 18 anni sono sem-pre stato detenuto.

TRE ANNI DI LIBERTÀOrmai sono tre anni da quando sono uscito l’ultima volta dal carcere e devo dire che mi stupisco dime stesso, di come riesco a tenere botta nel non drogarmi nuovamente. Devo dire tre anni intensiper quello che mi è successo, vicissitudini della vita, del mio modo di essere stato in passato. Tuttoti torna e tutto si paga; per il male che mi sono fatto e ho procurato ad altri sto ancora pagando. Ma,pur passando un brutto periodo, non ho peggiorato la mia situazione. Certo è una magra consola-zione perché sono in un periodo di apatia totale. Due sono le cose che faccio e cerco di farle bene;ho Mafalda – il mio cane - da curare e il mio lavoro. La salute mi fa dannare, stomaco e schiena sonoi crucci dell’età e per via della vita spavalda fatta in gioventù.Dopo anni e anni di dentro-fuori penso che ho imparato la lezione; dal momento che non faccio piùuso di sostanze, viene a mancare l’esigenza del denaro, del tanto denaro anche perché ora per meè dura saper vivere con una tot somma mensile questo dopo due anni che lavoro... ma imparerò?

Cari amici che ancora siete lì dentro spero per il meno tempo possibile, non state a letto soliin cella cercate di fare qualcosa, sia fisicamente che mentalmente, se rimanete inerti poi quandouscirete farete fatica a riprendere il ritmo della vita che mai si ferma. Io sono rimasto parecchioindietro e per i primi tre mesi ho avuto parecchie difficoltà. Adesso che rischio il posto di lavoro sonoin apprensione, allarmato abbastanza; il periodo non è dei più rosei perciò mi devo dar da fare, nonè facile alla mia età e nel mio stato fisico che non è dei migliori.Posso dire che ho ripreso a vivere normalmente; da quando mi sono dato una regolata sono passa-ti sei anni con un incidente di percorso durato tre mesi. Il 10 Gennaio 2013 ho dovuto riprenderein mano il mio futuro nuovamente e questa volta in fretta, senza Comunità o Sert, e poi c’è Mafaldache mi ha cambiato la vita. Devo prendermi cura di lei.

Finalmente ho imparato a dire dei no; nessuno vale il mio stare male con le conseguenze chesono molte. In questi tre anni avevo ritrovato anche la donna che avevo perso per la mia dipenden-za, vi giuro ero al settimo cielo, ero felice, mi domandavo spesso se me lo meritavo. Infatti, dopoquasi due anni di amore ritrovato, ho scoperto che anche lei adesso è dipendente da più droghe. Hoprovato a tirarla fuori ma stavo finendo dentro io e questa volta non mi sembrava il caso, o no? Daotto mesi sto male, vorrei che squillasse il cellulare, ma a quanto pare deve farsi male da sola, sapen-do che soffriamo in tre persone. Io non ci posso fare niente anche se sono la causa di tutto ciò. Anchequesto fa parte della realtà e da persona adulta la devo affrontare.

Ugo

Gli appartati la cella come un guscio

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SostaForzata

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Cosa ti ha portato in carcere?A quindici anni ho iniziato a fare uso di sostan-ze stupefacenti, eroina e cocaina; dapprima l’hopresa come un divertimento, poi con il passaredel tempo è diventato un bisogno. Sono arrivatoal punto di rubare l’auto di mia sorella e conquesta ho fatto uno scippo, ed ho continuatofino ad arrivare a 13 scippi. Con due amiciabbiamo rapinato una tabaccheria; dopo duesettimane che mi cercavano sono venuti a pren-dermi alle 4.30 del mattino a casa.

La tua famiglia come l ’ha presa?Non l’hanno presa bene , ma però mi sono rima-sti sempre vicino.

Dopo questa condanna che avevi già scon-tato, perché ti hanno arrestato di nuovo?Nel frattempo che ero fuori dal carcere a sconta-re la pena agli arresti domiciliari con i lavorisocialmente utili, per potermi drogare mi sonomesso a spacciare, dopo una settimana cheavevo finito di scontare tutto mi hanno arresta-to.

Il carcere ti sta aiutando per il tuo proble-ma di dipendenza dalle droghe?In realtà qui dalla droga non mi hanno allonta-nato: hanno solo sostituito il tipo di sostanza. Inpiù vedo una psicologa due o tre volte al mese.Non mi sono d’aiuto, l’unico modo è quello didirmi che devo smettere.

Come passi le giornate qui?Passo le mie giornate in cella.

Come mai un ragazzo così giovane tendead isolarsi?

Qui dentro non riesco a relazionarmi con le altrepersone, forse non mi piacciono e non penso chemi siano utili per il futuro, poi sostanzialmentenon voglio altri problemi e cerco di starci allalarga. Ho venti anni; gli altri qui sono tutti moltopiù grandi di me, e stare con loro mi mette a dis-agio.

Fai i colloqui?

Si con mio padre una volta ogni due settimane.Stare qui mi ha fatto capire che gli amici nelmomento del bisogno spariscono e si dimostra-no per quello che sono.

Cosa ti aspetti dal futuro?

Prima di tutto penso di smettere con le droghe.Io e mio padre abbiamo deciso di comuneaccordo che una volta fuori me ne andrò inGermania dai miei zii a lavorare nel loro risto-rante, così potrò ricominciare da zero in un’al-tro paese visto che qui in Italia non c’è futuroper me.

Non ti spaventa questa scelta a 20anni?L’unica possibilità concreta che ho, anche per-ché qui in Italia sono un delinquente e tossicodi vent’ anni. Poco importa se ho pagato il miodebito con la giustizia; le persone che frequentoqui sono tutti degli sballati e questo mi fa pen-sare che rimanendo a Piacenza tornerei a fare lasolita vita.Grazie Giuseppe e in bocca al lupo!

Intervista raccolta nel carcere di Piacenzada Sereno Novelli

MA COME PARLI?Ma come parla, questo? Chi sono i camosci? E che cosa succede quando arri-va la squadretta? E che cosa significa veramente: il mio compagno di cella èun bravo ragazzo. Quasi tutti i dialoghi in carcere sono condizionati dallaconoscenza del gergo, anzi dei gerghi perché alle parole del carcere si aggiun-gono i modi di dire dei tossici e quelli degli zingari.La prima cosa che si impara è che tutto è legato alla domandina, vale a diread un modulo cartaceo da compilare per poter sperare di ottenere qualsiasicosa: da una scatola di biscotti a un colloquio con un familiare. I miei primi incontri con parole di cui occorreva scoprire il significato sonostati molto affascinanti, mi sembrava davvero di essere in un altro mondo enon solo per i cancelli e per il rumore. Poco alla volta mi sono abituato e glislang mi sono diventati comprensibili.Anche negli scritti che compaiono su questo giornale ci sono molti modi didire.Rocco dice che uscirà pulito perché è riuscito a scalare. Significa che si è dis-intossicato diminuendo progressivamente il metadone. Mirko racconta di averfatto il lavorante soltanto per un mese, ha lavorato poco e guadagnato pocoalle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria facendo le pulizie (lo sco-pino) o aiutando il cuoco in cucina (il cuciniere).Poi ci sono le parole criptate come la famiglia cristiana cioè i giornali porno-grafici e i termini più strani come la svizzera per indicare le scale, un luogoneutro dove è possibile parlare e fare trattative.Ma i due soprannomi che ricorrono più spesso, a volte senza nessuna caricaoffensiva, indicano gli abitanti del carcere: i camosci sono i detenuti mentre igirachiavi sono gli agenti di polizia penitenziaria.

Brunello Buonocore

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Quanto incide la storia di una perso-na sulle sue scelte future, sulle stra-de che imboccherà, sugli incontri

che farà? Quanto è possibile emancipar-si da un passato faticoso, difficile, a voltepersino terribile? Ce lo chiediamo dicontinuo senza trovare risposte soddi-sfacenti. E il carcere quanto sostiene, quantopromuove questa emancipazione? C’è voluto l’approccio maschile o profes-sionale - non so di Juri Aparo per scrol-larci da un sentimento forte di compas-sione. E poi un nuovo passo in avanticon una riflessione di Sereno l’altro gior-no in redazione: - Se comincio a pensareche sarò per sempre condizionato dal miopassato, devo accettare che per me non cisarà futuro perché il mio passato è terribile. Invecevoglio credere che posso lasciarlo alle mie spalle, cheposso costruire qualcosa di diverso, di nuovo. Voglionutrire la speranza.–

In questo dialogo interiore oscillante tra comprensio-ne umana e sfida pedagogica si inseriscono i due con-tributi sulla consapevolezza che abbiamo cercatonelle pagine del sito del Gruppo della Trasgressioneper proporli ai nostri lettori. In questo dialogo - cheallarghiamo a tutti i cittadini interessati - si collocaanche il concerto proposto dall’associazione “Oltre ilmuro” al Festival del Diritto 2013. Le canzoni di DeAndré come bussola di un cammino di ricerca cheprevede qualche lettura ma si rafforza con la presen-za e la voce di alcune persone detenute nelle carcerimilanesi che partecipano al Gruppo e condivideran-no con il pubblico le proprie riflessioni sulle incer-tezze della democrazia.Ho cominciato a frequentare il Gruppo dellaTrasgressione qualche mese fa, quasi per gioco,spinto da una pressante insistenza da parte di unamia amica. Non avrei mai pensato che un similegruppo potesse interessarmi, perché il mio orgogliomi ha sempre portato a considerarmi preciso, senzabisogno di miglioramenti. Partecipando a questiincontri sotto la veste d’esaminatore e con grande spi-rito critico, ho potuto constatare che stimolare la

mente è un ottimo allenamento; fa si che sempre piùsi acquisti consapevolezza che la vita vissuta fino aquesto momento sia, come minimo, da mettere in dis-cussione.Sono passati molti anni da quando ho commes-so il mio primo reato e molti purtroppo di carcere,ma sola ora comincio a essere consapevole che tuttoquello che ho fatto di negativo è stato subìto da altrepersone. Questo perché ho sempre visto chi si frap-poneva tra me e il facile guadagno come un sempliceostacolo da scansare o, peggio ancora, da rimuovere.Le uniche persone che ho sempre considerato cometali erano, oltre a me, che ero il fulcro attorno al qualetutto doveva girare, i miei famigliari e la mia strettacerchia di amicizie.Prendere coscienza di non essere soli al mondo,mi costringe a rivedere tutti i miei piani, anche se ren-dersi conto di aver perseverato per così tanto temponell’errore, è scioccante. Ora che questa consapevo-lezza ha iniziato a farsi strada nella mia mente, miauguro che il tanto allenamento che viene fatto ognivolta al gruppo dia i suoi frutti, consentendomi divivere serenamente una vita nella quale il rispetto pergli altri sia diventato un presupposto fondamentale.

Diego Mombelli 2009L’ultima volta che ci siamo visti, il dottor Aparoci ha girato una domanda fatta da una persona

che ha assistito al concerto: “Ma comefanno questi uomini a sopportare il peso diciò che hanno fatto?”Personalmente sono conscio che dovrò convi-vere fino alla fine dei miei giorni con il mio pas-sato; esso fa parte del mio bagaglio e pertantodovrò sopportarne il peso. Oltretutto sarebbetroppo comodo disfarsi delle cose delle qualinon ci si sente fieri come ci si libera di un ogget-to; quando si arriva ad uccidere non si torna piùindietro, non c’è possibilità di riparare!Spesso mi sono chiesto perché sono dovu-to cadere così in basso per raggiungere unminimo di consapevolezza. La risposta, lavo-rando con gli psicologi, l’ho trovata in quellache ho definito “infanzia negata”, alla qualeperò non permetto di diventare un alibi per giu-stificare le mie aberrazioni. Non c’è periodo di

galera che possa lenire ciò che sento nel cuore: la veraespiazione avviene dentro di me.Il passato non si può dimenticare ma si puòaccettare. Poiché non si può ritornare indietro, mipreparo nell’eventualità che un giorno possa mettereal servizio dei giovani la mia esperienza criminale edetentiva, per dare ad alcuni almeno qualcosa di queltanto che ho tolto ad altri. Inoltre, credo che se il miocontributo potrà portare giovamento ad almeno unragazzo, questo potrà permettermi di trovare un po’ dipace e di dare un senso, per dirla alla Fabrizio DeAndré, alla mia”storia sbagliata“.

Alessandro Crisafulli 2010

CARCERE:

settembre 2013- Sped. in abb. post. 5% - art. 2 comma 20/b legge662/96 - Filiale di Piacenza Aut. Trib. di Piacenza numero 636 indata 22/11/2006.

Direttore Responsabile: CARLA CHIAPPINIDirezione: Via Capra, 14 -29100 Piacenza

tel. 0523.306120 - e-mail: [email protected] REDAZIONE: Carla, Brunello, Carlos, Lopez, Hassan, Javal,

Kalid, Dorian, Fausto, Sereno, Saimir, Ugo.Pubblicato grazie al progetto “Tra noi e voi” finanziato

dalla Fondazione di Piacenza e Vigevano

Sosta ForzataPERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE DI VOLONTARIATO “OLTRE IL MURO”

A PIACENZA TORNA LA TRASGRESSIONE BAND CONLE CANZONI DI FABRIZIO DE ANDRÈVENERDÌ 27 SETTEMBRE ORE 21.30 AUDITORIUM SANT’ILARIO“ Viaggio nelle pieghe nascoste della democrazia in compagnia delle canzoni diFabrizio De André”

TRASGRESSIONE BAND Coordinatore del progetto e voce: ANGELO APAROCoordinatore degli arrangiamenti e chitarra: ALESSANDRO RADICIBasso: CLAUDIO MESSINEO

Chitarra: IPPOLITO DONATIPercussioni: PAOLO DONATIVoce: SILVIA CASANOVASPETTACOLO a cura dell’Associazione di Volontariato “Oltre il muro – ONLUS”

SostaForzata

CONSAPEVOLEZZA OLTRE LA PROPRIA STORIA

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