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L’Editoriale In Puglia vieni rimborsato se vai in ufficio in bici. E all’estero se corri bevi birra gratis... Viaggio alla scoperta dei lavori “home made” scaccia recessione; che boom per la catena di ristoranti in cui si paga con i follower un universo di notizie SMO C il O www.il-cosmo.com Eventi Film, mostre ed eventi da non perdere! continua 2 di Michela Trada n°XXXXXVII 11/04/2019 Editore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Vercelli CRISI? L’ITALIA SI SCOPRE INNOVATIVA E LA BATTE COSÌ Troppo brutta per essere struprata… Essere donna nel 2019 vuol dire anche avere a che fare quotidianamente con situa- zioni aberranti e surreali; non bastano le continue violenze fisiche perpetrate tra le mura domestiche e non solo: forse, quelle psicologiche, fanno an- cora più male. Così, sfoglian- do la rassegna stampa gior- naliera, ti capita di imbatterti in notizie degno di “Lercio.it” pur corrispondendo, invece, alla triste realtà. Due giudici, nel 2017, hanno infatti avuto il coraggio di far assolvere due presunti stupra- tori (condannati in primo gra- do a tre e cinque anni di reclu- sione) poiché la vittima, una giovane ragazza, sarebbe stata troppo brutta per far una fine simile. Esatto, troppo brutta, “dalle sembianze mascoline” per la precisione: come a dire, almeno ne fosse valsa la pena di rischiare il carcere. Un fatto di questo genere sarebbe già in grado di far indignare il 90 per cento della popolazione terre- stre, figuriamoci poi se, in ag- giunta, si viene a scoprire che le responsabili della sentenza sono in realtà due donne. La coppia, inoltre, avrebbe pure infierito sulla vittima aggiungendo alla motivazio- ne del verdetto “Come si vede dalla foto nel fascicolo” e “an- che i ragazzi l’avevano salva- ta sul cellulare con il nome di Vikingo”. Per fortuna, ogni tanto, la giustizia italiana si redime e così, nei giorni scor- si, ecco la momentanea lieta novella: la Cassazione ha an- nullato il tutto poiché “Che la donna sia bella o brutta non è elemento rilevante per giudi- care uno stupro”. Ora tocche- rà alla Corte d’Appello di Pe- rugia pronunciarsi su questa vicenda, doppiamente incre- sciosa e aberrante. Sport I valori della diversità: i campioni avvicinano i giovani ai valori dello sport di Deborah Villarboito pag.21 \ Milano capitale del design tra mtre, arte e cultura di Federica Pirola pag.7 Sport Don Vinceo e le ali ai piedi: la corsa come esperiea religia di Deborah Villarboito pag.20 di Giorgio Simonelli pag.9 Rubrica Caso Cucchi: quando la realtà supera la fiction Dall’Inghilterra ecco la Magna Carta in mostra per gli 800 anni del Sant’Andrea vercellese Agtino Favari: “Vi spiego perchè la Terra è piatta” di Deborah Villarboito a pag. 6 Virgilio, il Personal trainer che aiuta gli altri Dopo aver sconfitto la fibri cistica di Sabrina Falanga pag.15 Hai voluto la bicicletta? Pedala. E avrai qualcosa in più nello stipendio. Ma se non vuoi uscire a cena con il por- tafogli, niente paura: sarà sufficiente lo smartphone per dimostrare che di chilometri nei hai percorsi, che di fol- lower ne hai quanti ne vuoi, che i like sulla tua pagina piovono letteralmente al cielo.

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Page 1: n°XXXXXVII 11/04/2019 ilC OSMOL’Editoriale In Puglia vieni rimborsato se vai in ufficio in bici. E all’estero se corri bevi birra gratis... Viaggio alla scoperta dei lavori “home

L’Editoriale

In Puglia vieni rimborsato se vai in ufficio in bici. E all’estero se corri bevi birra gratis...

Viaggio alla scoperta dei lavori “home made” scaccia recessione; che boom per la catena di ristoranti in cui si paga con i follower

un universo di notizieSMOCil O

www.il-cosmo.com

EventiFilm, mostre ed eventi danon perdere!

continua 2

di Michela Trada

n°XXXXXVII 11/04/2019

Editore: il Cosmo SRL via degli Oldoni 14, Vercelli. Direttore responsabile: Michela Trada

Testata giornalistica registrata presso il Tribunale di Vercelli

CRISI? L’ITALIA SI SCOPRE INNOVATIVA E LA BATTE COSÌ

Troppo brutta per essere struprata…Essere donna nel 2019 vuol dire anche avere a che fare quotidianamente con situa-zioni aberranti e surreali; non bastano le continue violenze fisiche perpetrate tra le mura domestiche e non solo: forse, quelle psicologiche, fanno an-cora più male. Così, sfoglian-do la rassegna stampa gior-naliera, ti capita di imbatterti in notizie degno di “Lercio.it” pur corrispondendo, invece, alla triste realtà.

Due giudici, nel 2017, hanno infatti avuto il coraggio di far assolvere due presunti stupra-tori (condannati in primo gra-do a tre e cinque anni di reclu-sione) poiché la vittima, una giovane ragazza, sarebbe stata troppo brutta per far una fine simile. Esatto, troppo brutta, “dalle sembianze mascoline” per la precisione: come a dire, almeno ne fosse valsa la pena di rischiare il carcere. Un fatto di questo genere sarebbe già in grado di far indignare il 90 per cento della popolazione terre-stre, figuriamoci poi se, in ag-giunta, si viene a scoprire che

le responsabili della sentenza sono in realtà due donne.

La coppia, inoltre, avrebbe pure infierito sulla vittima aggiungendo alla motivazio-ne del verdetto “Come si vede dalla foto nel fascicolo” e “an-che i ragazzi l’avevano salva-ta sul cellulare con il nome di Vikingo”. Per fortuna, ogni tanto, la giustizia italiana si redime e così, nei giorni scor-si, ecco la momentanea lieta novella: la Cassazione ha an-nullato il tutto poiché “Che la donna sia bella o brutta non è elemento rilevante per giudi-care uno stupro”. Ora tocche-rà alla Corte d’Appello di Pe-rugia pronunciarsi su questa vicenda, doppiamente incre-sciosa e aberrante.

SportI valori della diversità:i campioni avvicinano

i giovani ai valori dello sport

di Deborah Villarboito pag.21

\

Milano capitale del design tra mostre, arte e cultura

di Federica Pirola pag.7

SportDon Vincenzo e le ali ai

piedi: la corsa come esperienza religiosa

di Deborah Villarboito pag.20

di Giorgio Simonelli pag.9

RubricaCaso Cucchi:

quando la realtà supera la fiction

Dall’Inghilterra ecco la Magna Carta in mostra per gli 800 anni del Sant’Andrea vercellese

Agostino Favari:“Vi spiego perchè la Terra è piatta”

di Deborah Villarboito a pag. 6

Virgilio, il Personal trainer che aiuta gli altriDopo aver sconfitto la fibrosi cistica

di Sabrina Falanga pag.15

Hai voluto la bicicletta? Pedala. E avrai qualcosa in più nello stipendio. Ma se non vuoi uscire a cena con il por-tafogli, niente paura: sarà sufficiente lo smartphone per dimostrare che di chilometri nei hai percorsi, che di fol-lower ne hai quanti ne vuoi, che i like sulla tua pagina piovono letteralmente al cielo.

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Attualità

E se il lavoro proprio non riesci a trovarlo, la vita ti sorriderà lo stesso: sarà sufficiente un’i-dea, la classica scintilla, e improvvisamente ti si schiuderanno le idee dell’azienda che stavi cercando e che stava scandagliando il mercato a caccia di una risorsa come te.

È la nuova frontiera dell’innovazione, declina-ta in varie forme. Sono i pionieri, in Italia (ma non solo), di un nuovo modo di muoversi per attirare clienti o per dare occupazione. C’è il ristorante milanese che ti dà sushi, sashimi e uramaki a seconda dei follower che hai su In-

stagram. Se sono tanti, mangi gratis. Se non ne hai molti, te li fa avere ed entri nell’Olimpo dei social, di una vera e propria community. Thisi-snotasushibar utilizza proprio questa filosofia per attirare la clientela nei suoi sei punti ven-dita milanesi. Sulla scia di un esperimento che pure oltre confine prevede la distribuzione di pinte di birra gratis come premio per chi cam-mina o corre tanto.

Just Knock, invece, non propone il curricu-lum, ma l’idea, il progetto del candidato. Se l’a-zienda apprezza, allora seguirà il cv con dati

personali e quant’altro. E se dopo un po’ vuoi cambiare ruolo o reparto, sempre Just Knock proporrà il progetto anonimo al datore di la-voro. Piace? Bene, hai fatto bingo. La società è tutta al femminile, conta già 70 aziende clienti e quest’anno si internazionalizzerà.

C’è poi il Sud Italia, troppo spesso accusato di immobilismo. Questa volta, parte da qui la ri-voluzione della mobilità. Se il tragitto casa – lavoro lo fai in bicicletta invece che in auto, a Bari, la Regione Puglia aggiunge un tot a chi-lometro nel tuo stipendio (per quattro mesi). E la stessa cosa prevede la policy aziendale della Andriani spa, sempre in Puglia, e non solo in modo sperimentale, ma definitivo. Per moti-vare i dipendenti a lasciare la macchina a casa, nonostante l’Italia sia tuttora la seconda in Eu-ropa per numero di autovetture possedute. In Francia entro il 2022, per legge statale, sarà ob-bligatorio questo tipo di incentivo, in Belgio lo è già e si vedono i risultati. Noi ci stiamo muo-vendo. Del resto, Coppi e Bartali italici erano.

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Intervista

di Alessandro Pignatelli

Più idee, meno curricula vitae. Questa l’idea che ha portato alla nascita di ‘Just Knock’, piattaforma che mette in colle-gamento domanda e offerta di lavoro in modo nuovo. Protagoniste le socie, che nel 2015 hanno aperto ufficialmente la so-cietà, Marianna Poletti, Isabella Kuster e Sara Bozzini. Una società al femminile, in

cui ognuna ha il suo ruolo. Marianna è il Ceo, Isabella si occupa delle relazioni con i clienti, Sara della parte finanziaria.

Abbiamo parlato direttamente con Ma-rianna Poletti per sapere come funziona esattamente l’incontro tra chi cerca lavoro e chi offre un posto. “L’idea è nata dall’e-sperienza personale. Cercavamo un lavoro e ci siamo rese conto che il cv non spiegava le caratteristiche della persona, era aset-tico. Non c’erano all’interno le motivazio-ni, la passione che spingeva a cercare pro-

La Puglia si schiera al fianco di chi utilizza la bicicletta per andare al lavoro. Nel se-gno della mobilità sostenibile e rispettosa dell’ambiente. Un modo per eliminare il traffico e lo smog delle auto che la Regione ha deciso di ‘rimborsare’. Come? Pagando 0,20 euro a chilometro a chi si reca al la-voro sulla due ruote non motorizzata. Bari è l’unico capoluogo italiano che ha deciso per quattro mesi di sperimentazione.

Ma c’è anche una ditta, e ancora una volta parla pugliese, che ha deciso di incentivare il tragitto casa – lavoro dei suoi dipendenti pagandoli per andarci in bici. Si tratta del-la Andriani Spa: in questo caso non è una sperimentazione, e i dipendenti ciclisti troveranno nello stipendio uno 0,30 in più

per chilometro percorso in bici durante il mese. Salute, ambiente, incentivo: queste sono le tre parole chiave che le due realtà hanno deciso di utilizzare. Parliamo di una istituzionale e pubblica e di una privata. Ma l’Italia resta molto indietro da questo punto di vista rispetto agli altri Paesi, dove pure le piste ciclabili sono meglio struttu-rate che nella maggior parte dello Stivale.

In Francia, entro il 2022, il Governo ha già deciso di rendere obbligatorio il rimborso di 0,25 euro a chilometro per coloro che andranno al lavoro in bicicletta. Non im-porta se in una piccola cittadina o a Parigi. Il Belgio paga già 0,23 euro a chilometri per il lavoratore – ciclista. In Lussembur-go si incentiva l’uso della bicicletta con 300

euro di contributo.

Il ministero dei Trasporti francese ha deci-so di rendere obbligatorio l’incentivo dopo aver comunicato i dati di uno studio: i costi del sistema saranno compensati dai rispar-mi nel settore sanitario, derivanti dai be-nefici del ciclismo sulla salute. Il bilancio dello Stato non verrà insomma toccato, il cuore dei francesi sì. E in positivo. In Bel-gio, dove come già detto esiste già il con-tributo da parte dello Stato, in tre anni co-loro che usano la bici per andare al lavoro sono cresciuti del 30 per cento. L’incentivo viene visto come un premio alla fatica fatta (ma poi è davvero più faticosa la bicicletta dell’auto in coda?).

Noi italiani, al momento, continuiamo a privilegiare l’auto – siamo il secondo Pa-ese europeo per numero di macchine dai dati Eurostat. I ciclisti delle città sono una minoranza anche a causa di infrastruttu-re non adeguate. Bari e la Puglia possono essere un laboratorio per invogliare altre realtà istituzionali (non ci spingiamo fino allo Stato che al momento pare così pieno di problemi finanziari da non avere la forza di pagare chi va al lavoro in bici) o private a provarci.

Vai al lavoro in bici? Eccoti i soldi

di Alessandro Pignatelli

Just Knock: più idee, meno curricula vitaeprio quel posto di lavoro”. Il nome, ‘Just Knock’, sta proprio a significare questo: “Siamo una porta che si apre a chi bussa, spesso inutilmente solo con il curriculum, alle aziende che stanno cercando determi-nati profili”.

Nel settembre del 2015 si inizia ufficial-mente: “Noi chiediamo ai candidati di in-viarci l’idea, ovvero cosa farebbe nel ruolo che l’azienda ha in quel momento scoper-to, come risolverebbe un dato problema. A questo punto, mandiamo l’idea, il proget-to al datore di lavoro, in forma anonima, e se interessa, in un secondo momento il cv con i dati del candidato. In questo modo, l’azienda si concentra esclusivamente sulle cose importanti, tralasciando età ed espe-rienze precedenti”.

Oggi Just Knock conta una settantina di aziende clienti, ci sono le multinazionali come Adidas, Coca Cola e Carrefour, ma anche le imprese piccole e medie. “Noi utilizziamo i social per attrarre i candidati spiegando loro che cosa sta cercando l’a-zienda, ma in questo modo facciamo an-che una piccola pubblicità a quelle imprese che altrimenti non avrebbero la possibilità di essere sui social e farsi conoscere”.

Sono spesso proprio le aziende a cercare Just Knock, che a quasi quattro anni dal-la nascita è già un importante punto di ri-ferimento nazionale. Con prospettive di

internazionalizzazione. “Uno dei progetti per questo 2019 è proprio varcare i confi-ni, le Alpi. Sicuramente ci espanderemo in Spagna e in Svizzera”. Una decina le per-sone che lavorano all’interno della società, 29 anni l’età media dei candidati: “I pri-mi tempi le aziende ci cercavano soprat-tutto per profili junior, adesso ci chiedono persone che abbiano anche 10 – 15 anni di esperienza, dunque almeno fino ai 45 anni”.

Non manca una punta di polemica parte di Marianna Poletti su come l’Italia istituzio-nale aiuti le start up messe in piedi dai gio-vani: “Manca un aiuto alle aziende appena nate. E anche informazioni sulle opportu-nità che possono esistere per i più giovani, ma non solo. L’Italia non è un Paese inco-raggiante da questo punto di vista”.

L’altro grande progetto di Just Knock si chiama Job Protection e ha già riscosso no-tevole successo. “Chi vuole cambiare ruolo all’interno della stessa azienda, ci invia la sua idea, sempre anonima, che noi portia-mo all’esame del datore di lavoro. Se pia-ce, allora si procede; altrimenti, tutto re-sta come prima. Secondo noi è un modo di fare meritocratico, come sempre dovrebbe essere nel mondo dell’occupazione”.

di Alessandro PignatelliSe porti il tuo smartphone, puoi usci-re anche senza portafogli. È la filosofia che ispira il nuovo pub The Runaway di New Balance (brand di scarpe spor-tive), sponsor della Virgin Money Lon-don Marathon tra l’altro. Qui si paga la birra con i chilometri percorsi (e rigoro-samente segnalati dallo smartphone). Sweatcoin la chiama ‘moneta del sudo-re’. Ed è un modo innovativo perché, in pratica, ti fa perdere calorie prima ancora di immagazzinarle con la pinta di birra e i prodotti presenti nello sto-re. Non solo: come accade in Italia con Thisisnotasushibar, vengono attivati nella mente dei clienti dei meccanismi che vedono come ‘un premio’ al sudore o alla popolarità ciò che poi si può bere e mangiare gratis. Il che, spiegano psi-cologi e terapisti, aumenta il piacere di quello che poi si metterà in bocca, pri-ma di metterlo materialmente.

Il cliente, in pratica, viene invogliato a camminare oppure a condividere con-tenuti. C’è uno studio a questo propo-sito, fatto da Swift Prepaid nel 2018, che spiega meglio la situazione di co-loro che oggi rappresentano la fetta

principale di consumatori in un pub: i giovani. Sono stati intervistati 202 americani, tra i 18 e i 29 anni (la gene-razione Z di cui si parla sempre di più). Vengono a conoscenza dei nuovi brand con il passaparola degli amici o dei fa-miliari (77%), tramite i social media (60%). Swift Prepaid segnala come la maggior parte degli intervistati utiliz-zerà più facilmente una marca, ma la segnalerà anche ad amici e familiari, se in cambio riceverà un premio. L’83 per cento sostiene di essere maggiormente fidelizzato al marchio che più riesce a sorprenderlo.

C’è poi lo smartphone, diventato oggi insostituibile (eppure, credeteci, c’e-ra una volta in cui non ci si connette-va a internet 24 ore su 24, anzi in cui neanche esistevano i telefonini), mez-zo attraverso il quale i giovani almeno una volta al mese fanno i loro acquisti (71%). Un 11% - lo zoccolo durissimo – addirittura una volta al giorno. Oramai, siamo al punto in cui metodi di paga-mento come Paypal sono già antiqua-riato rispetto a carte prepagate, fisiche o virtuali, preferite due volte tanto.

C’è chi preconizza un futuro in cui i sistemi di pagamento saranno questi, non più il contante o il bancomat o la carta di credito. Tramite queste inizia-tive ci si fa conoscere, si emerge rispetto alla concorrenza proponendo qualcosa di nuovo. Di sicuro, qualcosa si ottiene: le aziende fanno parlare di loro. E non è poco in un mercato saturo di brand come quello di oggi.

di Alessandro Pignatelli

All’estero bevi birra gratis se hai corso tanto (e il tuo smartphone lo segnala)

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Esiste una catena di ristoranti, tutta italiana, che ti permette di pagare con i follower. Sì, avete capito bene. Nien-te moneta contante, ma grazie ai ‘se-guaci’ che hai sui social mangi gratis. Sono quelli di ‘Thisisnotasushibar’, ri-storanti milanesi (ce ne sono sei) dei fratelli Matteo e Tommaso Pittarello. Funziona così: tu mostri il tuo profilo e, se hai un certo numero di follower su Instagram, ottieni uramaki e sashi-mi a volontà.

L’idea piace, se è vero che all’inizio si applicava solo in un ristorante e poi è stato esteso a tutti quelli della catena. Naturalmente, siccome la pubblicità resta anche oggi il meglio e l’anima nel settore commerciale, oltre che mo-strare i follower, per mangiare gratui-tamente si deve postare una foto in cui si tagga la pagina, utilizzando hashtag e geolocalizzazione. Ma non sarà certo uno sforzo nel mondo iper connesso di oggi, in cui già si fotografano pie-tanze e primi piatti a uso e consumo di chi ci legge (e molto probabilmente ci invidia) sui social network.

Attenzione, però, perché Thisisno-tasushibar ha messo in piedi anche un altro progetto, sempre legato ai social. Non va a caccia solo degli in-fluencer (quelli che hanno tra i mille

Siamo nel 2019 e un vasto movimento crede che la terra sia piatta. Uno direbbe che si può credere in quello che si vuo-le. Da Gesù Cristo al Coniglio pasqua-le, visto che siamo in periodo. La cosa si complica però quando si vuol confutare la scienza attraverso il suo stesso meto-do scientifico. Essere davvero terrapiat-tisti non è solo concepire la Terra come piatta o lo sbarco sulla Luna un avveni-mento finto e prettamente mediatico. Le teorie analizzate sono moltissime, varie e coinvolgono anche la nostra quotidia-nità. Non è facile stimare quante perso-ne nel nostro Paese siano convinte che la Terra non sia un globo. Poi c’è anche chi, ovviamente, ci guadagna.

L’assunto principale quindi è cha la Terra è piatta come un disco e non bel-la piena come una sfera. L’inganno ser-virebbe per farci sentire insignificanti e renderci schiavi. In realtà saremmo tut-ti controllati e gestiti da un sistema, una sorta di Matrix in cui sono artificiosa-mente inserite anche le piante e gli altri animali. Saremmo stati creati altrove e messi sulla Terra, e l’immenso complot-to inizierebbe dalla forma del nostro pianeta ma si manifesterebbe in mol-tissime altre occasioni. Di conseguenza anche i Poli cambiano se la terra ha una faccia sola. Il Polo Nord non è periferia, ma il centro del mondo e di conseguen-za il Polo Sud non sarebbe un punto, ma una linea di confine che circonda e delimita tutte le terre conosciute. Intor-no alla Terra circolare, secondo le “di-mostrate(?)” teorie, si troverebbe una catena montuosa alta 400 chilometri e lunga 72mila, color smeraldo e popola-ta da guardiani che difendono i confini terrestri da oltre 2mila anni, nutrendosi dei frutti della terra. Oltre quei confini, ci sono molte altre terre ancora inesplo-rate.

Uno dei “must” è prendersela con la Nasa. La menzogna sull’esplorazione spaziale è chiaramente totale: gli allu-naggi della Nasa sarebbero un falso, e tutte le altre presunte sonde lanciate nello Spazio solo una favoletta. L’esplo-razione spaziale, secondo i terrapiatti-sti, servirebbe unicamente per sostene-re la teoria della Terra sferica, e anche gli astronauti sarebbero degli attori ben pagati per simulare missioni in orbita e divulgare scemenze. Comunque poi ci sono le testimonianze, non umane che potrebbero non essere attendibili, ma quelle tecnologiche, praticamente in-confutabili. Le immagini, “che ci dicono essere”, raccolte dallo Spazio sarebbero in realtà grafiche realizzate al computer create ad hoc per convincerci che davve-ro viviamo su un pianeta sferico. Come ulteriore elemento di persuasione, dico-no i terrapiattisti, nei negozi si trovano mappamondi che riproducono la falsa

e i cinquemila follower), cioè di colo-ro che hanno un sacco di follower, ma li crea. Come fa? Pubblicizza il profilo dei micro-influencer, ovvero di coloro che hanno meno di mille seguaci, che a loro volta innescano reazioni in gra-do di coinvolgere altre persone. Un’i-niziativa unica in Italia anche questa seconda, secondo il motto: “Se hai fol-lower, ti diamo il sushi. Ma se non ne hai abbastanza, i follower te li diamo noi”.

In questo modo, si è creata una vera e propria community, ossia utenti ge-neratori di post, like e hashtag. E la moda è stata estesa, come detto, a tut-ti e sei i punti vendita presenti nella città meneghina. In appena tre mesi, il fatturato è aumentato del 13,4%, lo scontrino medio degli ordini online di 5 euro. Una strategia che oseremmo definire aggressiva, che dà i suoi frutti eccome. Il passaparola è efficacissimo se parliamo di social. Se poi aggiun-giamo la parola ‘gratis’, al tutto, pote-te stare sicuri che ci sarà la coda. Del resto, oggi gli utenti della generazio-ne Z (quelli nati dopo il 1980 e oltre il 2000) utilizzano quasi esclusivamen-te lo smartphone per collegarsi a in-ternet, dunque hanno la possibilità di trovare in diretta il miglior ristoran-te, le sue iniziative, di postare le foto

forma di cui ci vogliono convincere. Lo stesso varrebbe per i libri di scuola e gli atlanti: strumenti creati dal sistema per non farci conoscere la verità.

La vera storia dell’umanità ci sarebbe stata nascosta, perché chi controlla il passato di fatto controlla il futuro. I me-galiti non erano grandi come dimostra-zione di imponenza, ma perché in un passato indefinito la Terra era abitata da giganti. Anche la Basilica di San Pietro in Vaticano e il Duomo di Milano, che hanno porte di ingresso enormi, sareb-bero per chi crede nella Terra piatta, co-struzioni dei giganti per i giganti. Tutta la storia nella sua versione accademica quindi rappresenterebbe solo una gran-de bugia. Ce n’è anche per i dinosauri legato a questo punto. Le ossa rinvenu-te grazie agli scavi sono reali, ma non apparterrebbero a loro, bensì a quei gi-ganti che abitavano sulla Terra prima di noi. Inoltre, viene anche confutata la te-oria evoluzionistica, con buona pace di Darwin.

Buona pace anche ai cartografi dell’era della Terra sferica. L’Oceania è solo un continente fantasma frutto di un com-plotto. Per vedere l’Australia, quella vera, basterebbe salire sulla cima di un monte in Norvegia, e la si potrebbe scor-gere all’orizzonte. Riguardo alla pre-sunta possibilità di circum-volare il glo-bo andando sempre dritto in aereo, la spiegazione arriva dall’effetto Pac-Man: proprio come nel videogioco, quando si esce da una parte della mappa si rien-trebbe dall’altra. La rete secondo i ter-rapiattisti è l’unico mezzo affidabile di informazione. Questa affermazine già fa venire il crepacuore. Semplice: non è schiava della massoneria e del sistema. Quelli che vengono spacciati per gran-di scienziati, invece, non avrebbero in-ventato o scoperto alcunché. Le formule matematiche sarebbero complicate pro-prio per fare in modo che le persone non

in tempo reale. E così via. Gli amici, a loro volta, si faranno invogliare da ciò che leggono.

Detta così, pare un’idea semplice. E vi starete chiedendo: ma perché non è venuta in mente a me? Beh, siete sempre in tempo. In Italia ci sono altri esempi di ristoranti che hanno seguito la strategia di Thisisnotasushibar, ma che magari riescono solo sporadica-mente, non quotidianamente, a offrire da mangiare gratis in cambio di like e follower. Voi potreste essere i prossi-mi.

capiscano e si fidino del sistema, non avendo la forza e le capacità per contro-battere. Tutte le teorie di Einstein, con buona pace anche sua, ovviamente, sa-rebbero sbagliate.

Una bella carrellata anche sui complot-ti. Gli attentati dell’11 settembre non ci sarebbero mai stati, i terremoti sareb-bero prodotti artificialmente, gli alieni si troverebbero tra noi, le scie chimiche sarebbero un modo per lobotomizzarci e andrebbero combattute “con dispo-sitivi orgonici che spiralizzano l’etere”. Anche i vaccini rappresenterebbero solo un modo per farci del male, perché in generale non si può tentare di “sosti-tuire l’anima con la scienza”. Chiaro no?

Ma quindi, come ce li spieghiamo gli altri pianeti? La Luna sarebbere un cerchio piatto appeso nel cielo, infatti nessuno di noi ha mai visto la sua altra faccia. Le eclissi si potrebbero spiegare con un gioco di luci e ombre senza tirare in bal-lo orbite circolari o pianeti sferici, ma non si potrebbe escludere che una parte degli effetti di oscuramento sia dovuta a qualche post-produzione dell’imma-gine del cielo. Marte invece non esiste-rebbe affatto, e il nome Nasa non sareb-be altro che un richiamo a Satana, come suggerirebbe anche il colore rosso del logo che indica la lingua del serpente. Chi gestisce il complotto ama giocare con le lettere, dicono i terrapiattisti, e Satana diventa Nasa, ma anche Ansa: ecco come si smaschera il complotto dell’informazione. Tutta una complessa ma semplice questione di ologrammi e anagrammi, insomma, oltre che di buon senso in terapia intensiva.

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Attualità AttualitàThisisnotasushibar: mangi gratis se hai tanti follower Terrapiattismo: talmente assurdo da essere plausibile?

di Alessandro Pignatelli

di Deborah Villarboito

La Terra è piatta. L’Australia non esiste (perché proprio l’Australia, poi?). Altro che stazione spaziale, Samantha Cristo-foretti ha girato video e scattato foto su un set cinematografico dentro un gara-ge di Cologno Monzese. Per non parlare, ovviamente, della Nasa: non esiste una sola foto che non sia stata ritoccata, gra-zie al potente Photoshop Alien Edition. Una piccola perla è quella dell’effetto Pacman, secondo cui chi dovesse arri-vare ai margini della Terra sparirebbe per poi riapparire dalla parte opposta. Insomma, le teorie sulla Terra piatta sono già divertenti così. Ma il web non poteva perdersi un trend così ghiotto. Ecco allora che sul tema sono fioriti de-cine di meme e fotomontaggi. La stessa Astrosamantha, a domanda diretta, ha risposto in modo inaspettato: «La Terra è tetraedrica. Una scomoda verità che la potentissima lobby internazionale della terra piatta vorrebbe tenerci nascosta».C’è poi una domanda, semplice quan-to curiosa, da porsi. Se gli altri pianeti sono sferici, perché la Terra dovrebbe essere piatta? Un modellino esilarante ci mostra l’aspetto dell’universo secon-do questa teoria. Sul gruppo Facebook “Pastorizia never dies”, si ricorda l’in-

tramontabile “Truman show”: un Jim Carrey che arriva ai margini del set di-venta un «guardiano della Terra piatta mentre inizia il turno delle 12». Para-frasando le campagne contro l’eccessi-va magrezza, che stigmatizzano i corpi scheletrici a favore di fisici più “morbi-di”, qualcuno sostiene la sfericità della Terra: “Real Earth has curves”. Qualcun altro tenta di fornire una spiegazione in chiave “creazionista” alla Terra piatta, con un Dio distratto e indaffarato che la schiaccia inavvertitamente. Irresi-stibile, per qualche mago della grafica, la tentazione di rifare il look del tg1: la sigla iniziale del telegiornale di RaiUno mostra ora un pianeta piatto. Addirittu-ra la grafica di SuperMario sembra dare ragione ai terrapiattisti… Per adeguar-si alle nuove teorie, anche la Coppa del Mondo ha cambiato fisionomia: il clas-sico globo si è improvvisamente appiat-tito per essere più aderente alla realtà. Baluardo della scienza sono invece Hol-ly e Benji. I giovani calciatori giappo-nesi, star dell’anime anni Ottanta, mo-strano infatti senza ombra di dubbio la sfericità della Terra, grazie al loro cam-po di gioco notoriamente in pendenza. Anche la scomparsa dei dinosauri va

rivista in chiave terrapiattista: l’aste-roide, dunque, non avrebbe ucciso gli animali, ma colpendo la superficie piatta del pianeta li avrebbe scagliati nello spazio. Sul fronte terrasferista, invece, portano a sostegno delle loro tesi i gatti: «Se la Terra fosse piatta, i gatti avrebbero già tirato giù tutto dai bordi».

di Fabiana Bianchi

Come sopravvivere alla Terra piatta sul web

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Il Terrapiattismo è un argomento che sta destando particolare interesse ul-timamente. C’è chi si approccia con intento di scherno e chi cerca i capire. Chi guarda con scetticismo e chi invece segue questa via in maniera convinta. Ma chi sono davvero i terrapiattisti?

Agostino Favari è un’istituzione in que-sto movimento che sta prendendo pie-de in Italia. Si definisce «un ricercato-re indipendente, poiché non esiste una gerarchia dei ricercatori indipendenti riguardo al tema terra piatta». Coloro che si approcciano al Terrapiattismo, ci spiega Favari sono «Cittadini curiosi. L’applicazione del metodo scientifico è il punto fondamentale. Non esiste un credo, ma il non credere, dal momen-to che i terrapianisti non accettano ciò che racconta la Nasa».

Un percorso di avvicinamento lungo e studiato quello di Agostino Fava-ri: «Mi sono avvicinato alla tesi terra piatta molto tempo fa, ma pian piano e da lontano, valutando diversi altri ar-gomenti comunemente trattati da co-loro che tendono a chiarire i cosiddetti complotti». Molti ancora credono alle “favole della Nasa”, ma senza capire la libertà di pensiero all’interno del mo-vimento terrapiattista stesso: «Nessun terrapianista dipende da me, né io da nessuno di loro. Chi schernisce la tesi terra piatta di solito non ha approfon-dito il tema, quindi non c’è da avere nessuna reazione negativa – continua - Io non dico che gli astronauti non ab-biano visto la terra dal presunto spazio, dico che per la dimostrazione scientifi-ca il Ministero della Difesa deve lascia-re libero accesso ai cieli ed all’Antarti-de per i viaggi esplorativi».

Una propensione verso la rierca allora quella dei Terrapiattisti che, tra l’altro, sono in aumento: «Già è in atto la dif-fusione ed i numeri sono già alti. Più di 33’000 gli iscritti al canale di Dino Ti-nelli (uno dei maggiori studiosi e soste-nitori del Terrapiattismo) e 10 milioni sono le visualizzazioni dei suoi video in 3 anni. Lo dimostra anche il tentativo dei media di arginare il fenomeno con

lo scherno e la messa alla berlina».

Inoltre, molti sono anche gli incontri organizzati per approfondire il tema: «Il 12 maggio succede un evento come tanti nel mondo, una conferenza dove si mostreranno documenti per avva-lorare la tesi terra piatta» conclude Agostino Favari, che sarà anche uno dei relatori. Durante il convegno “Ter-ra piatta: tutta la verità” che si terrà il prossimo mese a Palermo, il nostro intervistato si occuperà della parte più pragmatica. Oltre all’“iperproteinosi” e relative “malattie”, saranno effettuate

delle dimostrazioni pratiche sull’ “as-senza della curvatura terrestre” e sulla “differenza di pressione tra atmosfera e spazio siderale”.

Tra gli altri relatori Albino Galuppini con l’“astronomia zetetica”, un’analisi della Tartaria “il dimenticato impero dei giganti” e “Conquista della Luna: 50 anni di inganni”, legato al non raggiungimento della Luna da parte dell’uomo. Calogero Greco si occuperà della “free Energy” e di Viktor Schua-berger, come di “laocrazia” e proverà a spiegare l’“orbita del Sole sulla Terra piatta”. Morena Morlini, infine, dedi-cherà le sue trattazioni ad “egocentri-smo della stella polare”, “pianeti reali o protezioni?” e infine lancerà un monito definitivo: “La verità non è per tutti: ri-flessione sul rifiuto dell’informazione”.

Intervista Agostino Favari: “Il Terrapiattismo è ricerca, siamo cittadini curiosi”

di Deborah Villarboito

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L’aria è frizzante in questi giorni a Mi-lano. Per la città ci sono più turisti stra-nieri del solito, caratterizzati da vesti-ti di particolare (o discutibile) gusto. Non ci sono dubbi: è iniziato il Fuo-riSalone 2019. La tanto attesa Design Week coinvolge la città meneghina per una settimana, dall’8 al 14 Aprile, regalandole una serie di eventi aperti al pubblico. Il design dunque esce dai suoi spazi comuni e diventa accessibile a tutti, spesso interagendo con edifici storici della città.Ma passiamo ai fatti: ora vi illustre-rò che cosa, nel mondo del mobile, ha catturato la mia attenzione... La mia prima tappa è stata Artemest, start up italiana di artigianato, che in collaborazione con TED Milano, ha presentato Living Objects, e ha arreda-to una meravigliosa villa anni ‘30 . Ciò che mi ha colpito di più è stato il fatto che ci fossero dei performer che danza-vano nelle sale del palazzo, dando così vita agli oggetti. Teatro e design uniti in una cornice di luce e colori.

Scendendo poi nel piano di sotto, ho scovato una sala giochi di grande im-patto: un piccolo museo del diverti-mento.

Dopo questo incontro con il mondo dell’arte, ho preso il tram per Brera, la punta di diamante del FuoriSalone. Infatti, mentre passeggiavo per quelle

vie, ero catturata da una moltitudine di posti che conservavano pezzi di design o laboratori da scoprire.Per esempio, ECAL Lausanne ha espo-sto una serie di strumenti “musicali” che potevano essere suonati da tutti, schiacciando un pulsante. Così, ero circondata dal suono di una batteria, di un mazzo di chiavi, di campanelli e tanto altro. Di certo, il design week coinvolge tutti i sensi. Con la musica ancora nelle orecchie, sono poi entrata in un paio di negozi, tanto per il gusto di guardare che cosa custodivano. La magia del FuoriSalone è anche la spensieratezza di dover solo osservare per rimanere stupiti.

Dopo il labirinto di lampadari, mobili di artigianato e stoviglie di ogni tipo, sono giunta a quella che è stata la mia

tappa preferita: Palazzo Cusani. Nel noto palazzo, Mark Ange ha presenta-to la mostra “An extraordinary world ” dove si può godere di un’ esperienza multiforme nel mondo utopico dell’ar-tista, fatto di scenari simili ai sogni in-fantili. All’ingresso infatti, c’è un im-maginario bar, interamente coperto di foglie, e un’opera monumentale creata dall’artista.

È però all’interno dell’edificio che av-viene il vero dialogo fra nuovo e antico. Appena entrata, vedo un letto circon-dato da enormi piante bianche, come sospese, in una sala dal gusto tutto set-tecentesco. Questi alberi si ripresenta-no nella stanza seguente, che si trasfor-ma in una piccola foresta utopica che non può che affascinare chi la osserva. Tutte le altre sale sono così collegate dallo stile di Ange e ospitano poltrone dalle lunghe braccia, “tavoli astrali” e un tributo a Bansky.

Il percorso (ahimè) si conclude con un’ultima stanza, che accoglie una statua dalle forme classiche, ma in-teramente composta da materiale di scarto: vecchie tastiere di computer, telecomandi, grucce e coperchi. Una Venere di Milo moderna, potremmo dire, che contrasta ancora di più con il luogo dorato nel quale è inserita. Forse è metafora di quanto l’uomo stia inqui-nando la bellezza che ha attorno?Insomma, mi ha stupito molto questo percorso, perchè proponeva un incon-tro di mondi opposti, ma anche com-plementari.

Incantata dalle meraviglie che custo-diva il palazzo, ho continuato per via Brera fino alla Basilica di San Marco. Il panorama era costituito da sdraio, piscine e fiori artificiali, mentre sul-lo sfondo si stagliava la facciata della chiesa. Ancora una volta il nuovo si so-vrapponeva al vecchio.

Proprio li vicino, c’era anche un even-to vintage per il quale erano esposti dei manichini leggeri di un particolare materiale ( a me sconosciuto). Cominciavo a sentirmi un po’ stanca, ma volevo stupirmi ancora! Così, mi sono diretta verso la Mediateca Santa Teresa per visitare “A Life Extraordi-nary” organizzata da Mooi. Tinte color pastello invadevano lo spazio e como-de poltrone invitavano a sedersi come se si fosse a casa propria. C’erano anche delle lampade a forma di faccia che illuminavano l’ambiente e i tappeti ricordavano delle suffici nu-vole al tramonto. In un’altra sala, si po-tevano ammirare dei rivestimenti mu-rali con diverse fantasie: a tinta unita oppure con animali in una giungla.

Nel piano inferiore dell’edificio era sta-to allestito anche “Mooi Tokyo Blue”: un tuffo nel blu, tra poltrone e tappeti di jeans, il tutto accompagnato da una dolce musichetta.

A quel punto io ero un po’ interdet-ta dalla ventata di arte che la Design Week mi aveva dato e da come il nuo-vo potesse integrarsi benissimo con il l’antico e instaurare un dialogo.Il mondo di Brera è da sempre affasci-nante, ma con questo evento ancora di più. Altrettanto suggestivi saranno an-che la zona Tortona, Porta Venezia o alla Triennale. Consapevole di avere ancora tanto da guardare, ho ripreso il mio tram, pen-sando a cosa potrò vedere nei prossimi giorni .

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AttualitàFuoriSalone 2019: un dialogo fra vecchio e nuovo

di Federica Pirola

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Rubrica

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Attualità

La deposizione-confessione del briga-diere Tedesco nel corso del processo per la morte di Stefano Cucchi ha dato una svolta decisiva a un caso che dieci anni di bugie, depistaggi, omertà, minacce avevano cercato di insabbiare. Veder-la e ascoltarla in un telegiornale fa dav-vero impressione. Benché non del tutto inattesa nella sostanza, colpisce per la precisione, la meticolosità dei particola-ri, l’inconfutabilità dei dati, al punto da sembrare una scena uscita da una fic-tion, scritta dagli sceneggiatori di PER-RY MASON o di qualche altro legal ame-ricano. Adesso speriamo che non ci sia qualcuno che torni a parlare di processo mediatico, perché appunto sembra una fiction mentre purtroppo è tutto vero e tutto si svolge in un’aula di tribunale. Ma in questa rubrica non ci occupiamo di delitti e dei loro sviluppi giudiziari nei tribunali ma della loro presenza nei me-dia, della loro rappresentazione. E, da questo punto di vista, ci sono alcune cose che mi lasciano piuttosto perplesso in questi giorni immediatamente successivi alla svolta decisiva del processo, alcune stranezze, dei conti che non tornano. Ci sono alcuni politici che hanno occupato alte cariche istituzionali che dovrebbero spiegarci da dove traevano le informazio-ni in base alle quali rilasciavano dichia-razioni piene di certezze che ora rivelano tutta la loro falsità. Come faceva un certo ministro della difesa a sapere che i carbi-nieri erano innocenti? Aveva consultato un oroscopo? Come poteva essere certo un parlamentare, noto per le sue batta-

glie in difesa della famiglia tradizionale, che Cucchi era morto per colpa dei suoi amici drogati? E se, alla fine della storia, gli “amici drogati” di Stefano gli inten-tassero una causa per calunnia, non sa-rebbe male. Poi c’è quell’altro, ora mini-stro dell’interno, che ha sempre ripetuto che lui sta dalle parte delle forze dell’or-dine. Sempre? Di tutte? Anche di quelle che commettono crimini? Ma smascherare le stupidaggini (è un eu-femismo) dei politici è troppo facile. E’ il mondo dell’informazione, della stampa, della tv che dovrebbe rendere conto del suo comportamento, delle sue scelte. E’ troppo facile leggere la triste, tragica vi-cenda come una battaglia tra la politica, le istituzioni marce, da una parte, e l’in-formazione libera e coraggiosa, dall’altra. No! C’è stata - e anche in questi giorni c’è - informazione e informazione, tv e tv. Ci sono stati reti, programmi, conduttori, giornalisti che non hanno mai creduto alle versioni ufficiali, che hanno seguito le battaglie della famiglia Cucchi per sco-prire la verità, per mettere in dubbio le incongruenze. Vogliamo fare dei nomi? Rai 3, La 7, Santoro, Floris, Fazio. Sì! Fa-bio Fazio, sempre accusato di remissivi-tà, di compiacenza nei confronti del po-tere, ospitava nei suoi programmi Ilaria Cucchi e le sue ragioni, quando ben pochi la ritenevano attendibile. E ci sono stati programmi sedicenti di approfondimen-to che non si sono mai posti il problema, che non hanno neppure sfiorato il caso, tutti presi dalle loro preoccupazioni per i furti degli zingari o per l’invasione degli

immigrati. Ancora questa settimana non tutte le testate hanno scelto la stessa li-nea. C’è stato chi come il TG 7 e il suo ot-timo direttore Mentana hanno aperto il loro giornale con le notizie sulla clamo-rosa svolta del processo, dando al fatto il rilievo dovuto, sottolineato dalla pre-senza in studio di Ilaria Cucchi e dalle immagini e dall’audio della testimonian-za di Tedesco. E c’è stato chi ha messo la notizia più defilata, in quarta o quin-ta posizione, definendola una notizia di cronaca, trattando il caso come un pro-cesso come tanti e non uno degli abissi in cui è sprofondato lo stato di diritto. Lo ha fatto per ignavia, per opportunismo politico, per mancanza di quel senso di responsabilità civile che dovrebbe gui-dare il lavoro del giornalismo. Cerchia-mo di non dimenticare questa differen-ze, di non fare di ogni erba un fascio, di non lasciare che, col passare del tempo, tutto scolorisca e si confonda e le poche scelte rigorose e coraggiose nascondano e cancellino le molte dettate dall’indiffe-renza, dal cinismo e dalla volgare fidu-cia nella scarsa memoria dei cittadini di “quel dolce paese, dove chi sbaglia non paga le spese, dove chi grida più forte ha ragione, tanto c’è il sole e c’è il mare blu”. La definizione non è mia, è del grande Sergio Endrigo.

di Giorgio Simonelli

Caso Cucchi: quando la realtà supera la fiction

Schermaglie a cura di Giorgio Simonelli

“Nel nome di Dio, il clemente, il mi-sericordioso. Oggi rispondiamo alla chiamata della nostra gente, nella no-stra capitale. Faremo tremare la ter-ra sotto ai piedi ai tiranni che hanno consegnato la Libia alla corruzione.”Sono queste le parole con cui, nel-la giornata di venerdì, il maresciallo Khalifa Haftar ha lanciato la sua of-fensiva contro la capitale. La basma-la, con cui si aprono tutte le sure del Corano ad eccezione della IX e che indica la precisa volontà di Haftar di agire secondo il volere di Dio, e poi l’attacco contro “i tiranni” alla gui-da del Governo di Accordo Naziona-

le, uno su tutti il premier al-Sarraj. L’azione militare arriva ad una setti-mana dalla conferenza di Gadames, prevista dal 14 al 16 di Aprile e ap-puntamento-chiave nella roadmap delle Nazioni Unite. Roadmap che, è opportuno ricordarlo, mira ad arri-vare entro un anno a nuove elezioni parlamentari e ad una nuova Costi-tuzione al fine di garantire la stabilità in un Paese in cui da ormai otto anni si combatte una guerra civile senza esclusione di colpi. Ancora una volta i protagonisti del-lo scontro sono tre. Khalifa Haftar, il militare sostenuto tra gli altri da Russia e Francia, che nelle scorse settimane ha lanciato un’offensiva nel sud del Paese strappando alcu-ni giacimenti strategici alle forze del Governo di Accordo Nazionale; Fa-yez al-Sarraj, premier riconosciuto dalle Nazioni Unite che gode tra gli altri dell’appoggio di Italia, Qatar e Turchia e infine la complessa galas-sia di milizie che negli anni si sono rivelate una rete di sicurezza fonda-mentale per i due contendenti. Nelle ultime settimane era stato Haf-tar a far parlare nuovamente di sé: l’offensiva militare nel sud del Pae-se, presentata come “operazione di controterrorismo”, è stata in realtà la mossa che gli ha permesso di con-quistare – seppur per un breve perio-do, alcuni giacimenti petroliferi stra-

tegici, mentre alcune sue fotografie a Riad in compagnia di re Salman bin Abd al-Aziz Al Saud hanno fatto il giro del mondo. Se inizialmente l’attacco contro Tri-poli sembrava inserirsi pienamente nella strategia muscolare del mare-sciallo in vista dei negoziati alla con-ferenza di Gadames i recenti sviluppi portano a pensare che Haftar abbia intenzione di prendere la capitale. Con quali tempi e modi, tuttavia, è ancora da stabilire: è probabile che il maresciallo voglia entrare in cit-tà da salvatore, evitando il bagno di sangue e contando sulla legittima-zione da parte di alcune milizie fede-li ad al-Sarraj. Il premier, dal canto suo, non è rimasto a guardare e nella giornata di domenica ha lanciato la controffensiva “Vulcano di rabbia” con cui ha dato ordine di bombarda-re le postazioni dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico di Haftar. Le milizie del Governo di Accordo Nazionale, le stesse che gestiscono la sedicente Guardia costiera libica e i centri di detenzione per migran-ti presenti lungo la costa, avrebbero

iniziato ad armare gruppi di sudanesi ed eritrei con cui vorrebbero ingros-sare le fila dell’esercito di al-Sarraj offrendogli in cambio la scarcerazio-ne. Le stime dell’OMS, per il momento,

parlano di 47 morti e 81 feriti negli scontri vicino Tripoli. In città, intan-to, è stato riaperto per i voli notturni l’aeroporto internazionale di Mitiga, precedentemente bombardato dalle forze di Haftar. La comunità internazionale ha rea-gito dichiarando una ferma opposi-zione agli scontri, mentre le Nazioni Unite hanno cercato di imporre un cessate il fuoco di almeno due ore, ignorato da ambedue le parti. Il portavoce del Governo di Acco-do Nazionale, intanto, riferisce di una telefonata tra al-Sarraj e Conte in cui il premier di Tripoli ha rin-graziato l’Italia per il supporto, rin-novato la sua intenzione ad opporsi all’avanzata di Haftar e detto che “i criminali di guerra saranno portati alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja per essere condannati”. In-dipendentemente dalle intenzioni è ormai chiaro che la posizione di po-tere di al-Sarraj, che pure non è mai stata salda, sia sempre più in bilico. Solo gli sviluppi nei prossimi giorni potranno chiarire quale sarà il futu-ro del Paese, dalla cui stabilizzazione dipende molto anche il ruolo dell’I-talia nella sponda sud del Mediterra-neo.

Libia: il maresciallo Khalifa Haftar attacca Tripoli, sfumano le possibilità di una soluzione politica

di Martina Cera

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Attualità

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Cronaca

Politica

Si è molto parlato di famiglia nelle ultime settimane, con manifestazioni polarizza-te su fronti contrapposti. Su entrambe le sponde però mancava una figura impor-tante: la famiglia migrante, separata dai confini o ricongiunta in Italia.Per gli uni, la famiglia da salvaguardare ha precise connotazioni etniche: è la famiglia di stirpe italiana, minacciata da più parti. L’insediamento di famiglie immigrate e la loro fecondità non sarebbero una risor-sa, ma un pericolo. Per alcuni, le famiglie immigrate farebbero addirittura parte di un fantomatico complotto volto alla sosti-tuzione etnica della popolazione italiana con immigrati africani, mediorientali o asiatici.Per gli altri il problema è dare riconosci-mento a svariate forme di famiglia, oltre che ai diritti e ai desideri individuali. Ma stranamente tra le forme familiari e i di-ritti da tutelare le famiglie immigrate non compaiono. Anzi, a livello internaziona-le da tempo i diritti delle donne vengono inalberati contro i diritti degli immigrati. Si prestano egregiamente infatti alla co-struzione di inedite coalizioni trasversali. “Loro”, gli immigrati, sarebbero portato-ri di visioni maschiliste e retrograde, che proprio in famiglia si esprimono nei modi peggiori, mentre “noi”, democratici e mo-derni, saremmo gli alfieri dell’emancipa-zione femminile e di una civiltà superiore. Femminicidi, molestie e disuguaglianze non sarebbero altro che piccoli incidenti di percorso.Queste amnesie sono tanto più sorpren-denti se si pensa che l’immigrazione, in

Italia come in Europa e negli altri paesi avanzati, assume sempre più caratteri fa-miliari. Nel nostro paese tra i titolari di un permesso di soggiorno temporaneo (1.325.000) il 39,3% l’ha ottenuto per ra-gioni familiari, contro il 35,2% per lavoro e il 18% per asilo. Tra i titolari di permessi per lungo soggiornanti (2.390.000) e gli immigrati comunitari (circa 1,5 milioni) la componente familiare è ancora più im-portante. Anche negli ultimi anni i per-messi per famiglia hanno sopravanzato i permessi per asilo. Nel 2017, il 44,3% dei nuovi permessi sono stati concessi per ragioni familiari, il 38,3% per asilo. Do-vremmo aggiornare il celebre aforisma di Max Frisch, osservando: “Volevamo delle braccia, sono arrivate delle famiglie”.Di famiglie immigrate si parla invece qua-si soltanto in occasione di sciagurati epi-sodi di cronaca nera, come le circoncisioni casalinghe dall’esito tragico, o di tragedie della povertà. Oppure a livello locale se ne paventa l’assalto alle esangui risorse delle politiche sociali, in termini di misu-re per l’assistenza o per l’edilizia sociale, tanto che fioriscono i provvedimenti per limitare l’accesso delle famiglie immigra-te ai benefici del welfare.Andrebbe invece ricordato che il passag-gio dall’immigrazione di persone sole all’immigrazione familiare è un’evoluzio-ne che favorisce l’integrazione, la sicurez-za e la mescolanza, oltre che il benessere degli individui. Le famiglie con figli, anche mediante la scuola, sono stimolate ad ac-crescere le relazioni con le famiglie italia-ne, con le istituzioni pubbliche, con il vici-

nato. Mancano delle pensioni e dell’aiuto dei nonni, ma cercano di aiutarsi fra loro mediante i legami orizzontali, tra sorelle, cognate, cugine. A volte si autoorganizza-no per l’accudimento dei bambini piccoli, come in varie comunità filippine, soppe-rendo alla difficoltà di accesso ai servizi pubblici. Sempre più spesso stabiliscono legami di parentela sostitutiva con vicini italiani, soprattutto anziane nonne rima-ste sole. Queste in tanti palazzoni di peri-feria si prendono cura dei bambini degli immigrati al ritorno da scuola, mentre i genitori sono ancora al lavoro. Le nonne italiane adottano silenziosamente miglia-ia di nipoti delle più varie provenienze. Le periferie non sono solo luoghi di disa-gi contrapposti e di conflitti striscianti, ma anche il teatro in cui tra le difficoltà si costruisce ogni giorno una società nuo-va. Proprio le famiglie immigrate ne sono protagoniste.

Dimenticarsi della famiglia migrante

di Maurizio Ambrosini

E’ stato il Teatro San Babila di Milano la pre-stigiosa cornice dell’evento di PENSARE oltre Movimento Culturale tenutosi lo scorso lunedì 8 aprile. L’associazione non profit nel 2018 ha dato vita al Progetto Maestri d’Arte per l’Infan-zia, nuovo modello educativo per l’Infanzia che risponde alla Mission di PENSARE oltre: “una scuola ripensata fatta di arte, sport, valida di-dattica, relazione con la natura per un nuovo Rinascimento per l’infanzia”. Il Teatro San Babila sta ospitando da ottobre quasi sessanta bambini tra i 4 e 5 anni che stan-no vivendo con Maestri d’arte per l’infanzia due volte alla settimana un’esperienza unica di apprendimento imperniato sui molti linguag-gi d’arte, permettendo loro di vivere l’Arte da protagonisti in un vero teatro, creando diretta-mente con gli artisti.

La serata condotta dall’attore Luca Forlani ha offerto con riuscito equilibrio momenti artistici e istituzionali.Emozionante e incisivo l’intervento di Elisa-betta Armiato, già Prima Ballerina Étoile del Teatro alla Scala, Direttore Artistico di Maestri d’arte per l’infanzia e Presidente di PENSARE oltre.

“Sono stata una bambina incontenibilmente vi-vace, e questa mia peculiarità che oggi sarebbe “etichettata” come problema da curare, è stata la chiave del mio successo, mi ha permesso di danzare alla Scala e nei Teatri del mondo. Quan-do ho dato il mio addio alla danza nel 2007 ho deciso che mi sarei dedicata in prima persona

a dare ai bambini di oggi le stesse opportunità che ho avuto io”, ha raccontato Armiato.

Ospiti d’onore della serata due Maestri d’Arte di eccellenza: Fabio Armiliato e Raul Cremona. Armiliato, icona della lirica italiana nel mondo, si è esibito con un medley tratto dal suo spetta-colo Recitalcantango che unisce opera e tango. Ha interpretato brani scritti da Gardel e Piaz-zolla i due più grandi autori di canzoni di tango al mondo. Alla fine dell’esibizione ha ricordato il soprano Daniela Dessí, sua compagna nella vita e sul palcoscenico scomparsa tre anni fa.

Nel 2017 ha dato vita alla Fondazione Daniela Dessí e nel 2018 al Premio Daniela Dessì per l’Infanzia in partnership con PENSARE oltre. Fabio Armiliato ha raccolto l’eredità dell’indi-menticabile soprano Daniela Dessì, primo te-stimonial dell’associazione che durante la sua vita ha dedicato tante energie alla formazione all’arte sin dall’infanzia.

Ospiti della serata anche molti artisti che stan-no prendendo parte a Maestri d’arte per l’in-fanzia: i soprano Consuelo Gilardoni e Alma Manera, il flautista Stefano Canzi.

Gli artisti si sono esibiti con brani tratti da opere famose come la Bohéme di Puccini o la Carmen di Bizet, raccontando lo spirito del progetto che sta dando la possibilità ai bambini di conoscere e farsi affascinare da arte di altissima caratura.

Uno dei Maestri d’Arte del progetto Raul Cre-

mona attore, prestigiatore ed eclettica presen-za nel panorama artistico italiano ha chiuso la serata con un momento magico, divertente e coinvolgente come nel suo stile.

La serata è stata anche l’occasione per con-ferire degli encomi a soci e sponsor che negli anni si sono distinti per il grande sostegno a PENSARE oltre e alle attività dell’associazio-ne.

Un evento d’arte fatto di musica e parole per sostenere un progetto capace di valorizzare il talento e l’unicità di ogni bambino.

di Fabiana Bianchi

Maestri d’arte per l’infanzia protagonisti al Teatro San Babila

I fatti della settimanaOmicidi e violenze: tanti casi ancora aperti

Banche e crescita economica: il Governo al lavoro sui numeri

Giovedì 4 aprile ha fatto discutere la scarcera-zione del terzo indagato per il caso della Cir-cumvesuviana. I fatti risalgono al 5 marzo: tre giovani di 18 e 19 anni furono accusati di stupro ai danni di una ragazza di 24 anni. La violen-za sarebbe stata consumata nell’ascensore della struttura. Il racconto della 24enne è avvallato dalla perizia medica, che ha riscontrato segni compatibili con uno stupro. Per i giudici del tri-bunale del Riesame, invece, «non è raggiunta, allo stato degli atti, la soglia della gravità in or-dine al dissenso alla consumazione dei rappor-ti».Venerdì 5 aprile è arrivata una buona notizia: Sergio Zanotti, imprenditore scomparso tre anni fa, è stato ritrovato e può tornare a casa. L’uomo era stato rapito in Turchia e portato in Siria. A tenerlo prigioniero sarebbero stati dei miliziani di Al Qaeda. L’imprenditore era in buone condizioni: ha spiegato di essere stato trattato abbastanza bene. Sabato 6 aprile una studentessa di 20 anni, ori-ginaria degli Stati Uniti, ha denunciato una vio-lenza sessuale. Lo stupro sarebbe avvenuto in un locale del centro di Firenze, da parte di uno sconosciuto: l’uomo, ha raccontato la giovane, l’avrebbe convinta a seguirlo, per poi chiuderla in uno stanzino e abusare di lei. Sull’accaduto

Giovedì 4 aprile il Consiglio dei Ministri ha appro-vato il cosiddetto “decreto crescita”. Con il provve-dimento sono stati inseriti sgravi e incentivi fiscali, norme per tutelare il “made in Italy” e disposizioni per il rilancio degli investimenti privati. «Le misu-re contenute in questo provvedimento, che abbia-mo fortemente voluto, contribuiranno alla ripresa del Paese – è il commento del premier Giuseppe Conte - favorendo una crescita più robusta gra-zie al sostegno alle imprese, al lavoro e alle attività produttive».Venerdì 5 aprile si è parlato di risparmiatori ita-liani truffati dalla banche. «Vogliamo pagare tutti, quindi bisogna fare in modo che possano essere pagati nel più breve tempo possibile – ha dichia-rato il ministro dell’Economia Giovanni Tria - ov-viamente bisogna pagarli secondo le regole, perché altrimenti non è possibile». Il ministro, all’Euro-gruppo di Bucarest, ha inoltre spiegato ai microfo-ni dei giornalisti che non ci sono contrasti in seno al Governo, ma solo la ricerca di un sistema condi-viso per procedere. Sabato 6 occhi puntati sui due vicepremier. Lui-gi Di Maio, infatti, ha dichiarato di essere preoc-cupato per «questa deriva di ultradestra a livello europeo con forze politiche che faranno parte del gruppo con cui si alleerà la Lega, che addirittura, in alcuni casi, negano l’Olocausto». Il vicepremier ha specificato: «Stiamo parlando di gruppi parla-mentari che sono usciti dal Parlamento quando si commemorava la strage dell’Olocausto e quello che hanno fatto nei campi di concentramento, quindi quando vedo queste cose mi preoccupo».Domenica 7 c’è stata invece la Libia al centro dei pensieri dei politici italiani. Lo Stato nordafrica-

sta ora indagando la Squadra Mobile della Po-lizia, che sta analizzando tra le altre cose le im-magini delle telecamere di videosorveglianza.Domenica 7 è emerso un caso davvero insoli-to nella zona di Treviso: trentasei persone sono state contagiate dalla tubercolosi. A trasmettere la malattia è stata una maestra, che aveva però contratto il micobatterio quasi trent’anni fa. Da allora era stato silente, per poi rivelarsi solo il mese scorso. Riconoscendo la patologia, erano stati quindi avviati tutti i controlli, riscontrando 36 persone positive al contagio e dieci effettiva-mente malate. Particolarmente e insolitamente alto il tasso di contagio nella sua classe: 21 bam-bini su 22, a fronte di una media di contagio pari invece al 50%.Lunedì 8 si sono riaccesi i riflettori sul caso del-la morte di Stefano Cucchi, risalente al 2009. Il carabiniere Francesco Tedesco ha reso una te-stimonianza sul pestaggio subito da Cucchi in caserma, dopo essere stato arrestato. Il milita-re ha parlato di violenti schiaffi, spinte e calci sul corpo e al viso, proseguiti anche quando il 31enne era ormai a terra.Martedì 9 si è consumato un efferato omicidio davanti a una scuola elementare di Napoli. Un uomo di 57 anni è stato ucciso, mentre il figlio di 32 è rimasto ferito. Il delitto, che appare di

stampo camorristico, è avvenuto in mattinata: due uomini in moto hanno affiancato padre e figlio mentre camminavano e hanno sparato. Nei pressi c’erano diversi bambini, fra cui anche il figlio del 32enne, di soli quattro anni.

no, infatti, da alcuni giorni è in enorme tensione: l’esercito controllato da Khalifa Haftar ha attaccato Tripoli, sede del governo guidato da Fayez al Ser-raj. Il premier Conte si è detto preoccupato per l’e-voluzione delle vicende libiche: «Stiamo cercando di rappresentare soprattutto al generale Haftar e agli altri interlocutori la necessità di evitare con-flitti armati – ha fatto sapere - non possiamo per-metterci una guerra civile».Lunedì 8 è stato raggiunto l’accordo per quanto ri-guarda i rimborsi ai risparmiatori che hanno subito gli effetti dei crac bancari. Chi dispone di meno di 35mila euro lordi di reddito imponibile o 100mila euro di beni immobiliari potrà avere un rimborso diretto. Si tratta, secondo i calcoli del Mef, di circa il 90% dei risparmiatori coinvolti. Gli altri potran-no accedere a una forma semplificata di arbitrato.Martedì 9 il Consiglio dei Ministri ha approvato

il “documento di economia e finanza”. La nota del Governo parla di «nessuna tassa nuova e nessuna manovra correttiva», mentre sono «confermati i programmi di governo». La crescita per il 2019 è stata fissata allo 0,2%: la previsione di crescita ten-denziale è allo 0,1% per l’anno in corso, ma il dl crescita e lo sblocca-cantieri dovrebbero apportare una crescita dello 0,1%, arrivando così allo 0,2%. Per gli anni successivi è invece atteso un aumento fino allo 0,8%.

di Fabiana Bianchi

di Fabiana Bianchi

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La polvere sui libri a cura di Fabiana Bianchi

Flatlandia di Edwin Abbott

Come sarebbe vivere in un mondo… piatto? Non solo su una terra piatta, magari senza Australia, ma in un vero e proprio universo a sole due di-mensioni. Lo racconta il Quadrato protagonista di “Flatlandia: racconto fantastico a più dimensio-ni”. Rispettabile poligono a quattro lati (rigorosa-mente uguali, poiché un’irregolarità sarebbe una macchia indelebile sull’onore della sua famiglia), il Quadrato si muove nel suo rassicurante mon-do bidimensionale. È popolato da Isosceli, ossia la classe sociale più bassa, costituita dai lavoratori e dai soldati, caratterizzati da un lato più corto e dall’acuminatissima punta (tanto più acuminata, per la precisione, quanto l’Isoscele è rozzo e igno-rante); da Equilateri, ossia dalla piccola borghesia; da distinti professionisti Quadrati, proprio come lui, di mestiere avvocato o di analoga importanza; da Pentagoni, che sono spesso medici o ricoprono altri incarichi di responsabilità; da Esagoni come i suoi nipoti, giovani promesse della matematica destinati a distinguersi tra gli intellettuali. Il nume-ro di lati, insomma, e l’ampiezza degli angoli, sono direttamente proporzionali al prestigio sociale di chi li vanta. Tanto che al vertice della società ci sono i Circoli, ossia la casta sacerdotale, costituita da poligoni con moltissimi lati (di solito, in segno di riverenza, ne vengono riconosciuti 10mila). La mobilità sociale è cosa complessa a Flatlandia: se,

da una parte, con il progredire delle generazioni ogni famiglia può avere una discendenza con più lati e dunque di rango sempre più elevato, dall’altra un complesso sistema tiene sotto controllo la po-polazione di Isosceli. Che, peraltro, nel momento in cui si evolvono intellettualmente, perdono sem-pre più la loro punta, diventando pertanto meno pericolosi. Una categoria particolare è costituita dalle donne. Le donne, a Flatlandia, sono infatti semplici linee. Da una parte hanno occhi e bocca, dall’altra un’unica, estremamente pericolosa, pun-ta. Proprio per questa loro pericolosità, sono tenu-te tendenzialmente segregate nelle case e nell’igno-ranza, costrette a muoversi sinuosamente affinché gli uomini possano vederle bene ed essere consa-pevoli dei rischi.La parte forse più curiosa dell’opera è però la se-conda, in cui il Quadrato viene portato a conoscere gli altri universi. Si imbatte dapprima in un mondo a una sola dimensione, in cui tutto si svolge lungo una retta. I suoi abitanti possono vedere solamente ai loro lati, ma non si sentono particolarmente li-mitati, essendo la sola realtà che conoscono. In se-guito, grazie a una sfera, il Quadrato potrà visitare l’universo tridimensionale, scoprendo così i corpi solidi. In un mondo adimensionale, infine, scopre la monotona ma felice esistenza inconsapevole di un punto, che costituisce da solo il suo intero uni-

verso.È facile capire come Flatlandia, a differenza del mondo che descrive, offra diversi livelli di lettura. Scritto nel 1884, il racconto è considerato una cri-tica della società vittoriana, così rigidamente clas-sista. Ma incontra grande interesse anche da par-te degli studiosi di matematica e fisica, che spesso lo giudicano un modo divertente per affrontare il tema delle varie dimensioni. Ancora, è stato inter-pretato come una critica del riduzionismo posi-tivista e delle correnti materialiste. In Flatlandia, ognuno è convinto che il suo mondo sia l’unico possibile, ignorando cosa possa esserci più in là. La stessa saggia sfera, all’ipotesi sollevata dal Qua-drato che esistano universi con più di tre dimen-sioni, inizialmente inorridisce. Con un approccio incredibilmente moderno, Abbott critica la miopia di chi pretende di conoscere l’esistente con la sua sola esperienza, rifiutando di credere a tutto ciò che non vede personalmente. Una riflessione sem-preverde che, quasi 150 anni dopo, rende ancora godibile e attuale la lettura di questo racconto.

di Fabiana Bianchi

di Fabiana Bianchi

L’attività fisicaMuoversi, si sa, fa bene al fisico e all’umore. C’è però da dire che, malgrado questa consapevolez-za, non è sempre facile convincersi a ritagliare del tempo libero per l’attività fisica, sottraendolo ma-gari a una riposante pennichella sul divano. Oc-corre quindi puntare sull’organizzazione anche per potere includere questo importante aspetto nella vita quotidiana.Innanzitutto, come tutto il resto, l’attività fisica non deve diventare un’ossessione e di conseguen-za fonte di frustrazioni. A meno che si sia atleti professionisti o comunque di livello molto alto (che dunque non avranno certo bisogno di con-sigli su come trovare del tempo da dedicare allo sport), è inutile porsi obiettivi stellari, come avere in due mesi il fisico di Kayla Itsines o gareggia-re nelle prossime Olimpiadi. È invece opportuno “camminare” per gradi, seguendo le indicazioni di un professionista, che sappia illustrarci come e a che ritmi procedere.Quello che invece possiamo fare noi è incorag-giare noi stessi e organizzarci i tempi da dedica-re all’attività fisica. Qualcuno trova molto utili meme e contenuti motivazionali, sul genere «no pain no gain». Per chi scrive, semplicemente non funzionano. Non sono una motivazione sufficien-te. Qualcuno dedica addirittura intere bacheche di Pinterest a corpi statuari a cui aspirare. Questo, sempre per parere personale, può essere addirit-tura controproducente. Ognuno di noi, infatti (e potremmo dire fortunatamente, perché diversità è ricchezza), ha un fisico diverso, ciascuno con le sue particolarità. È lecito quindi, mettendo sem-pre la salute in primo piano, volere perdere qual-

che chilogrammo o mettere su un po’ di muscoli, ma è inutile cercare di “copiare” qualcosa a cui po-tremmo non arrivare mai, semplicemente perché possediamo un corpo di tipo diverso. Cosa possiamo fare, allora? Una tecnica motiva-zionale molto semplice consiste nell’appuntarsi le sensazioni positive che si provano dopo l’attività fisica. La stanchezza “sana”, la sensazione di ap-pagamento dovuta al rilascio di endorfine, il son-no che arriva più in fretta e si rivela più profondo e riposante sono solo alcuni esempi. Nel momen-to in cui non troviamo proprio la voglia di alzarci dal divano e uscire per praticarla, rileggere il tutto può aiutarci a immedesimarsi in quelle sensazioni e avvertire il desiderio di provarle di nuovo.Inoltre, possiamo usare la fidata agenda (o bul-let journal) per segnare la frequenza e i progres-si dell’attività fisica. Nei bullet journal, le si può dedicare un tracker, in cui segnare ogni giorno la durata e il tipo di attività. Su qualsiasi agenda, invece, possiamo prendere piccoli appunti veloci sui progressi. Qualche esempio banale: «Oggi tra-guardo 50 piegamenti»; «Oggi servizio fenome-nale» o, per gli artisti marziali, «Oggi soddisfatto del kata». Anche segnare i punti ancora critici può essere utile: «C’è da lavorare ancora sul rovescio» oppure «Difficoltà nella tecnica mawashi geri».Un trucchetto utile per stimolare il cervello ad as-sociare l’attività fisica al benessere e alla soddisfa-zione è quello di concludere, quando possibile, gli allenamenti con un esercizio che ci piace molto o ci riesce particolarmente bene.Infine, l’organizzazione vera e propria. Per chi ha tempi più strutturati, per esempio allenamenti

fissi in determinati giorni della settimana, è più semplice rispettarli. Il segreto è imporsi di non saltarli se non per motivi seri, come malessere o esigenze lavorative. L’autoindulgenza, purtroppo, è la via lastricata per l’inferno: se si inizia a saltare un allenamento per semplice mancanza di voglia, è la fine. Seguiranno sicuramente altre scuse. Un sistema utile per distinguere tra l’effettiva stan-chezza e la pigrizia consiste nell’imporsi di vestirsi comunque per l’allenamento. Se anche con i ve-stiti indosso non troviamo proprio la forza, allora possiamo valutare di concederci un po’ di riposo.Se invece si svolge attività fisica autonoma come corsa o palestra, è opportuno fissarsi da soli giorni e orari in anticipo (sempre adeguandosi ai consigli dei professionisti sulla frequenza) e non aspettare “il momento libero” adatto, che tanto non arriverà mai.

Dal Caos al Cosmo a cura di Fabiana Bianchi

Chi è più razzista, chi è convinto che al Nord - pardon, in Alta Italia – tutti, ma proprio tutti definiscano la zona a sud del Po Terro-nia, o chi pensa che al giorno d’oggi si faccia troppo uso dell’accento romano in televi-sione? Prendo spunto da un post di un’ami-ca giornalista che si sofferma proprio su quest’ultimo argomento. Ossia, che in una famosa tv a pagamento, i giornalisti usino ormai largamente ‘la ggente’, il ‘rigordo’, ec-cetera eccetera. Il modo romano di parlare, ecco, che però non dovrebbe venire esporta-to in tv dove, così si presume, facciano corsi di dizione.

Nei commenti sotto a questo post in molti le danno ragione. C’è chi dice che una volta questa tendenza borderline era della Rai, ma che ora la televisione pubblica sarebbe guari-ta un po’ dal contagio romano. Io non espri-mo giudizi su cosa sia più razzista, ammes-so che poi esprimere una propria opinione personale lo sia (sì, forse sì, nel momento in cui la rendi social e non solo nella tua testa). Il razzismo è anche al contrario, però, non dimentichiamocelo. Cioè, noi dell’Alta Italia (mi ci metto ancora anche io) spesso siamo tormentati da chi ci dice che da noi c’è solo la nebbia, che è tutto piatto, che la montagna più alta che abbiamo è la discarica. Insom-ma, Nord, Centro e Sud non si amano pro-prio. Per certi versi, per tanti a dire il vero, l’Italia è ancora divisa. Non abbiamo più il Regno d’Italia, lo Stato Pontificio e i Borbo-ni, ma è come se il retaggio culturale ci fosse

ancora. Ben radicato.

Ed è qui che nasce e trova terreno fertile il razzismo. Loro dicono che noi siamo brutti e cattivi? Noi andiamo giù ancora più pesan-ti nei loro confronti. Non c’è alcuna voglia di mediare, neanche qui al Centro che, per po-sizione geografica, avrebbe questo ingrato compito. Il ‘buon’ Giuseppe Garibaldi – do-vesse mai tornare in vita – rimarrebbe scon-certato da come non solo non si siano fatti gli italiani, ma neanche l’Italia. Che viaggia a velocità diverse, tanto che sempre più regio-ni chiedono maggiore autonomia.

A me viene una riflessione a questo propo-sito: forse un’Italia federale – sul modello degli Stati Uniti – andrebbe di più d’accor-do. Ossia: tu ti autofinanzi e usi i tuoi sol-di per le tue opere. Io faccio altrettanto per me. Forse si continuerebbe a parlar male del vicino, ma almeno non ci sarebbe la rabbia perché le mie tasse vengono usate per fare un ponte che dista mille chilometri da casa mia. No, non è una ricetta per combattere il razzismo questa. E no, l’Italia non possia-mo paragonarla agli States. Però, magari, ognuno si coccolerebbe le proprie bellezze (e bruttezze) e lascerebbe stare l’altro. Ognu-no saprebbe con precisione che le bellezze e le bruttezze dipendono da se stessi, da come sono stati amministrati i soldi. Poi, è chiaro, non è che un’Italia federale potrebbe rendere la Pianura Padana montuosa. E neanche far parlare i giornalisti senza accenti di sorta.

Benvenuti al Centro

Bufale cosmiche

Sognando un’Italia federale

di Alessandro Pignatelli

Nel vasto Cosmo, soprattutto quello di internet, non tutto è come sembra. «Esi-ste più di un genere di libertà: la libertà di e la libertà da» ci racconta l’arcigna zia Lydia nel “Racconto dell’ancella”. Se, da un lato, sul web esiste la “libertà di” scri-vere, esprimersi e raccontarsi con pochi limiti, dall’altro l’utente medio non gode della “libertà dalla” mistificazione, dalle fake news e dalla pura e semplice bufa-la. Se anche il più prestigioso dei prodotti

editoriali può incappare occasionalmente nell’errore (il famoso studio, poi risultato falsificato, sulla correlazione tra vaccini e autismo apparve inizialmente su “Lan-cet”, per intendersi), in linea di massima il lettore può contare su diverse forme di controllo. Su internet, invece, queste ga-ranzie diventano molto più labili. Solo negli ultimi tempi i social network stanno intraprendendo delle azioni per tutelare i loro iscritti dalle notizie false, riconoscen-done finalmente i pericoli. Ma la maggior parte del lavoro lo devono ancora fare gli stessi utenti: spetta a loro informarsi per distinguere la realtà dalle bufale, spesso confezionate davvero ad arte. Con que-sta nuova rubrica, il Cosmo vuole aiutare i suoi lettori a evitare non la rete, bensì le reti tesi da chi li vorrebbe disinformati e/o indignati ad hoc. Perché l’unica bufa-la buona è quella che sta nel piatto. Par-leremo inoltre, sullo stesso filone, di leg-gende metropolitane, antiche credenze e teorie del complotto, anche pre-internet-

tiane. Storie che talvolta non sono prive di un certo fascino.A proposito, da cosa deriva l’espressione “bufala”? A darci una risposta è una fon-te più che attendibile: l’Accademia della Crusca. «Il significato figurato di bufala avrebbe avuto origine in ambito gastro-nomico, non con riferimento alla mozza-rella di bufala, ma alla carne – spiegano - alcuni ristoratori romani disonesti, in-fatti, avevano il malcostume di spacciare la carne di bufala invece della più pregiata carne di vitella; di qui il termine avrebbe assunto il valore di ‘fregatura’ e quindi di ‘notizia falsa’ e di ‘produzione artistica/cinematografica scadente’».

di Fabiana Bianchi

Premiata Fattoria della Bufala

Ma probabilmente ci si sfogherebbe di meno contro l’altro. Dichiarandolo colpevole, con processo sommario, di essere brutto, sporco, piatto ed evasore.

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“Vi è almeno una realtà che coglia-mo completamente dal di dentro, per intuizione e non con la sempli-ce analisi. Essa è la nostra stessa persona, nel suo scorrere attraver-so il tempo, il nostro Io che dura”.

Scrive così il filosofo francese Hen-ri Bergson (1859-1941) nella sua Introduzione alla metafisica, per iniziare a spiegare un dilemma che attanaglia l’uomo da sempre: che cos’è il tempo? Il tempo per Bergson è bifronte; ha due facce: una prima faccia è quella dell’orologio. Quello dell’o-rologio è il tempo della scienza: quantitativo, tutto uguale, spa-zializzato. Ogni istante nel tempo della scienza è uguale al preceden-te e al successivo: è una collana di perle, composta da elementi ugua-li fra loro a formare un tutt’uno in-divisibile. C’è, però, un tempo soggettivo, un tempo dell’anima: è il tempo del nostro Io, un eterno fluire, una continua durata. Questo è un tem-po qualitativo, in cui ogni istante è diverso dall’altro: Bergson lo pa-ragona a una valanga e a un gomi-tolo, in quanto è un continuum, è stratificazione di esperienze e ri-cordi. Il tempo soggettivo è ciò che racconta Marcel Proust nel suo Alla ricerca del tempo perduto: è la

madeleine che, con il suo profumo e il suo sapore, porta il protagoni-sta indietro nel tempo, a riscoprire la sua infanzia. Bergson ha uno stile piuttosto evocativo: ogni tesi che sostiene è affiancata da esempi particolar-mente efficaci. Un esempio per far capire meglio la dicotomia del tem-po è quello delle zollette di zucche-ro. Prendete una zolletta di zucchero e immergetela nell’acqua. Ora: se vi affidate al tempo della scienza, calcolerete quanti secondi ci im-piega a sciogliersi completamente, in modo analitico e rigoroso. Se vi affidate al tempo soggettivo, inve-ce, misurerete le condizioni psico-logiche della vostra anima: quan-to, ad esempio, sarete impazienti che la zolletta si sciolga. Non c’è coscienza senza memoria: la memoria e il recupero delle stra-tificazioni del passato sono prero-gative del tempo soggettivo, che dobbiamo tornare a esercitare. Dobbiamo riscoprire noi stessi, af-fidandoci al tempo dell’anima, al tempo come durata, perché solo così costruiremo un rapporto sim-patico (empatico) con il nostro Io. Il presente e il futuro sono resi pos-sibili dal passato; dalla memoria del passato stesso. Il tempo della scienza, quello oggettivo, non tor-

na indietro: è pura istantaneità. Dobbiamo auscultarci, spiritual-mente, e sentire la nostra anima che palpita, in un eterno fluire… in quell’eterna valanga che si chiama vita.

Perché vivere consiste nell’invec-chiare. Si tratta di un avvolgimento continuo, come quello di un filo sul gomitolo, cosicché il nostro pas-sato ci segue, si ingrandisce con-tinuamente del presente che rac-coglie sul suo cammino: coscienza significa memoria.

di Elisabetta Testa

Quelle zollette di zucchero e l’orologio: Bergson alla ricerca del tempo dell’anima

Prendila con filosofia a cura di Elisabetta Testa

«C’è stato un momento in cui tutto an-dava perdendosi. La mia vita sembrava sgretolarsi pian piano, come un puzzle a cui ogni giorno veniva tolto un pezzo. Non riuscivo più a fare la cosa che mi ha sempre tenuto su: contare su me stes-so».Oggi Virgilio racconta quella parte della sua vita al passato, ma, come solo chi è forte sa fare, lui quel passato non solo non lo rinnega ma in un certo senso “lo ringrazia” perché gli hanno permesso di essere quello che è oggi. E di fare quello che fa.Oggi Virgilio Coluzzi, 30 anni, è Perso-nal Trainer e solleva 150 kg di bilancie-re: qualcosa di straordinario per una persona che, fino a un anno e mezzo fa, pesava 30 kg e non riusciva più ad al-zare una bottiglia d’acqua. La causa è la fibrosi cistica, che lo aveva portato a una condizione di “insufficienza respiratoria terminale”.Terminale: una parola che sembra non lasciare scampo, che rappresenta tutte le più grandi paure umane. Una parola a cui Virgilio è stato capace di togliere il senso ed è stato lui, invece, a dare una fine a un destino che non accettava, ri-baltando tutti i paradossi esistenziali: e ha dato vita a un nuovo destino, dise-gnato con i colori dei suoi desideri, del-le sue passioni. Con la stessa sfumatura che rappresenta l’amore che ha per la vita e che, oggi, con dolcezza diffonde al mondo intero.I suoi polmoni, nel 2017, erano al capo-

linea: arrivava da un collasso e sembra-va non ci fosse scampo per un giovane ragazzo che chiedeva solo di credere che non solo non ci fosse un lieto fine ma che, da qualche parte, c’era un lieto ini-zio a cui poteva aspirare.Lui non l’ha sperato: Virgilio l’ha fatto.Nella notte del 3 dicembre del 2017 su-bisce un doppio trapianto polmonare (dopo un attesa in lista di sei anni): un intervento che già basterebbe per rende-re difficile la vita di chiunque. Non solo: perché dopo l’intervento, subentrano problemi neurologici che per mesi interi non gli permettono neanche di cammi-nare.Sembra utopia credere che un ragazzo, malato di fibrosi fino a questi limiti, pos-sa realizzare il suo sogno di diventare at-leta: ma nulla è impossibile per chi ha il coraggio di crederci, di non andare mai contro cuore e di seguirlo nonostante tutto.E così, allenamento dopo allenamento, diventa Personal Trainer, inseguendo il suo desiderio e la sua passione per lo sport. Non poteva andare in palestra, per la bombola dell’ossigeno, allora si allenava a casa. Nel frattempo studiava. Libri su libri, che lo formassero.«Per chi ha sempre contato su stesso, consapevole di non aver bisogno di nes-suno, mai, né a livello fisico né sul pia-no emotivo, è devastante scoprire di non avere più le forze di vivere. In quel mo-mento Federica, la mia compagna, è sta-

di Sabrina Falanga

Mai contro cuore«La malattia mi aveva tolto tutto: oggi qualcuno può aver bisogno di me»

a cura di Sabrina Falanga

ta la mia salvezza – racconta Virgilio a Il Cosmo -: in un periodo di totale buio, lei mi ha preso la mano. Non mi ha mai la-sciato da solo ad affrontare le difficoltà, mi ha sempre spronato e aiutato. Forse è per questo che oggi faccio quello che faccio: so cosa significa quando si ha bi-sogno di qualcuno che ci aiuti a riuscire dove non riusciamo, a raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati. Non mi è bastato, infatti, diventare uno sporti-vo: ho avvertito il desiderio di aiutare anche gli altri».Oggi Virgilio fa questo. È Personal Trai-ner e ha sviluppato la sua attività anche online; attraverso i Social e il Digital of-fre consulenze e sostegno alle persone che si affidano a lui per obiettivi sportivi.Lui, i suoi obiettivi, li vince ogni gior-no. E ce n’è uno, più importante di altri: «Sposerò Federica, a luglio. Le ho chie-sto la mano durante la notte dell’inter-vento, mentre aspettavamo che arrivasse l’elicottero con gli organi. Probabilmen-te senza di lei non sarei quel che sono: è attraverso di lei che ho capito quanto sia fondamentale il sostegno di chi crede in te, contro tutto. Anche contro un desti-no che sembra essersi rivoltato contro di te. E, invece, si trasforma in una nuova vita».

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“Ma io sono un bambino. come faccio a essere un supereroe se sono un uma-no?” A dirlo fuori dal cinema è un bim-bo con i capelli neri, pantaloni stretti alle caviglie, la maglia di Superman; l’età precisa non ce l’ha detta, ma avrà più o meno dieci anni. Alle sue spalle il poster di “Shazam!” ultimo film della scuderia DC uscito nelle sale italiane lo scorso 7 aprile. Un accostamento pa-radossale, quello tra una visione reali-stica della realtà, poco assoggettata al mondo appena visto, e la componente anagrafica dell’enunciatore, che in quel mondo fatto di eroi e super cattivi do-vrebbe lasciarsi immergere, facendo-si cullare dalla forza del sogno e della fantasia. Indagando più approfondi-tamente, ciò che risulta da una nostra piccola indagine è che sono veramente pochi i proseliti rimasti di quella schie-ra di sognatori che tra i tre e i quindici anni desidererebbero ancora ottenere dei superpoteri. “Troppe responsabi-lità” risponde uno, “non servono i su-perpoteri per essere buoni” contesta l’altro. Il radicamento nel mondo reale di questi giovani colpisce più dei colpi elettrici lanciati da Shazam. É una pre-sa di posizione seria e poco intaccata da quella fantasia che influenzava la vi-sione di coloro che piccoli adolescenti lo sono stati fino a qualche anno fa. Co-stantemente posti davanti a uno scher-mo, ai giovani di oggi la realtà si pone in tutta la sua durezza. Iperstimolati e costantemente aggiornati sul mondo che li circonda, tra Facebook e Insta-gram, le serie tv Netflix e le chat con gli amici, poco spazio è loro riservato al gioco, all’interazione reale tra persone. Perennemente bombardati da news e

feed, questi piccoli futuri cittadini ca-piscono già da subito che per essere buono e fare la cosa giusta non serve la super forza, o la super velocità, ma distinguere il bene dal male; insomma fare materialmente la differenza e la-sciare un segno con le proprie azioni. Lo hanno capito bene Greta Thunberg e la sua lotta alla salvaguardia ambien-tale; Rami e gli altri piccoli studenti che hanno coraggiosamente affrontato l’autista del proprio scuolabus sven-tando un attacco a Milano; il quindi-cenne di Torre Maura che con pacatez-za e maturità ha tenuto testa ad alcuni manifestanti di Casa Pound. Per i gio-vani di oggi l’età spesso e volentieri è solo un numero: sono bambini e bam-bine che imparano a crescere in fretta, a farsi un’idea del mondo che li attor-nia soddisfacendo la propria sete di cu-riosità grazie allo schermo di un tele-fono, o una ricerca su internet. Certo, a desiderare di diventare magicamente grande mentre è intento a soffiare sul-le sue otto candeline è stato anche chi si è ritrovato a nascere negli anni Ot-tanta, o Novanta, eppure tale deside-rio era spesso e volentieri soddisfatto dall’indossare un costume speciale, o tenere tra le mani un gioco dai poteri magici capace di tramutarti metafori-camente in un supereroe. A carnevale le bambine sembravano uscite da una produzione in serie di bambole di Sai-lor Moon, mentre i bambini si schiera-vano già tra team Marvel (Spiderman, X-Men, Hulk) e DC (Superman, Bat-man). Ai cartoni animati in televisione si sostituiscono pian piano i cinecomic al cinema, con il risultato che l’ammi-razione e il desiderio di emulazione si

accresce sempre più negli occhi di que-sti piccoli spettatori, fino a raggiunge-re vette elevate e impossibili da soddi-sfare. Ma gli anni passano e l’avvento di internet mescola le carte in tavola, modificando nettamente il nostro ap-proccio al mondo diegetico portato sul-lo schermo. La sospensione di realtà è un processo che nei giovani degli anni Duemila trova difficoltà a compiersi, riscontrando un’inedita forza di rea-zione che lo frena, allenta, annienta. I ragazzi e le ragazze poste davanti allo schermo sanno distinguere il mondo reale da quello fittizio e cinematografi-co. La loro è un pragmatismo che sor-prende, soprattutto se posta a confron-to alla poeticità caratterizzante i giochi e le prospettive di visione di noi spet-tatori un po’ più grandi. I bambini di oggi sono dunque ben identificabili nel Billy Batson prima della sua trasforma-zione in Shazam, mentre il pubblico un po’ più grande in quella del suo amico e fratellastro Freddy, appassionato di fumetti e collezionista di ogni memo-rabilia immaginabile e possibile. Che sia chiaro, come dimostrano anche i risultati al botteghino, la passione ver-so questo mondo super-eroistico non dà ancora segni di cedimento e regres-sione; grandi o piccoli che siano, gli spettatori amano assistere a battaglie epiche incorniciate da effetti digitali e fotografie sature e colorate. Lo stesso revival del mito di “Shazam!” lo dimo-stra. Eppure se da una parte i grandi, disillusi da un mondo che vorrebbero cambiare e che in cui non riescono a rispecchiarsi, bramano quei poteri e la possibilità di cambiare forma, aspetto, e forza soltanto urlando una frase, o un nome, i giovani nativi digitali (che a un futuro migliore e ai sogni ancora ci credono, solo in forme diverse dal-le nostre) preferiscono lasciare formu-le magiche e vista laser entro i confini del cinematografico. Un ribaltamento generazionale in cui i grandi aspirano a visioni infantili, e i piccoli ragiona-no con fare maturo e atteggiamenti da grandi. Dopotutto loro “sono umani, come fanno a essere dei supereroi?; la differenza si fa nel mondo reale”.

di Elisa Torsiello

Pensieri in 16:9WE ARE NOT SUPERMANI giovani e il loro approccio pragmatico al mondo dei cinecomic

a cura di Elisa Torsiello

C’è un abisso di differenza tra il vo-ler trovare il famoso pelo nell’uovo e il sottolineare ciò che è evidente, al limite del palese. E non si tratta più di interpretazione, se agli occhi del-la maggior parte delle persone passa un determinato messaggio: si tratta di buon senso. Non è la critica a decreta-re il successo, o meno, di un opera: è il pubblico. Questo sempre e da sempre. E il pubblico, questa volta, ha detto no all’unisono. Specialmente perché non parliamo di un museo di nicchia, ma della meneghina Piazza Duomo. E non si sta discutendo su un quadro che rac-conta l’esperienza mistica di un artista, ma di un’opera che vuol porre l’accento su un argomento sociale. E che quindi del sociale deve tener conto.È del designer Gaetano Pesce la pol-trona alta otto metri che da giorni ca-peggia nella piazza più conosciuta di Milano (anzi: d’Italia), chiamata “La Maestà Sofferente”. L’obiettivo è, o meglio, sarebbe quello di sensibilizza-re sul tema della violenza delle donne. Da video sondaggi, interviste e blog viene criticata. E non si ha da ridire solo sull’estetica dell’installazione (de gustibus non disputandum est, soprat-tutto in campo artistico), quanto sul messaggio che passa.In effetti.Innanzitutto quel corpo è solo un cor-po. Non ha testa, non ha mani: non ha tutti quei dettagli che rendono “uma-no” il soggetto. E, mi ripeto, non è que-stione di estetica quanto di significato.

La statua mostra la donna solo nelle sue forme più intime, dal seno ai geni-tali: come se la violenza su una donna fosse un semplice atto sessuale, non qualcosa che devasta anche il sangue e il cervello. Per sempre.Sangue e cervello, appunto. Perché la violenza su una donna agisce in diver-si modi, attraverso patologici metodi (mai sentito parlare di violenza eco-nomica? E di uomini che le donne le picchiano ma non le stuprano?), non esiste solo la violenza sessuale. Eppu-re, anche in questo caso, viene tutto ridotto alla sessualità della donna in maniera palese ed esplicita – e anche un po’ volgare. Anzi, ancora una vol-ta la sessualità della donna viene stru-mentalizzata proprio quando doveva essere difesa.Non è un caso (ma questo è stato espli-citato, c’è da dirlo) che l’installazione sia spuntata durante la Milano Design Week: quello che fa storcere il naso è che il Salone del Mobile è, da sempre, uno dei momenti dell’anno in cui più si parla di bellezza, armonia, studio delle forme, dei colori, arte che si fa cultura, design che si fa quotidiano. Tutto que-sto, cos’ha a che vedere?

di Sabrina Falanga

La Maestà Sofferente: la sofferenza è guardarla

Uomen a cura di Sabrina Falanga

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Sport

punti appaiono tranquille ma tagliate fuori dai giochi, anche se i blucerchiati mantengono un lumicino di speranza per riagganciare il treno importante. La zona calda del fondo classifica regala ad ogni turno sorprese ed emozioni for-ti. Sassuolo e Cagliari dall’alto dei loro 36 pun-ti sembrano avere la salvezza in pugno, man-cano pochi spiccioli per la certezza, Genoa e Parma a 34, devono ancora mettere un po’ di fieno in cascina per uscire dalla zona bollente, poi dall’Udinese in giù cominciano i tremori. I friulani sono appaiati a 32 con la Spal, il Bolo-gna a 30, l’Empoli a 28 e il sorprendente Fro-sinone, improvvisamente svegliatosi con 2 vit-torie consecutive, insegue il miraggio salvezza con 23 punti. Da questo lotto usciranno le al-tre due retrocedenti, dando per scontato che il Chievo, a 11 punti, attende solo la matematica per salutare la Serie A dopo ben 11 anni di con-tinuità nel massimo torneo. Il prossimo turno vedrà giocarsi la partita scudetto tra Spal e Ju-ventus sabato prossimo alle ore 18, spiccano sul calendario anche Milan-Lazio e il derby della Lanterna, Sampdoria-Genoa, importanti per diverse situazioni di classifica Roma-Udi-nese, Atalanta-Empoli, Frosinone-Inter, men-tre il Torino si gioca le residue chance europee ospitando il Cagliari, completano la giornata Chievo-Napoli, Fiorentina-Bologna e il derby emiliano Sassuolo-Parma.

Buon campionato a tutti!

Alex Sandro a Napoli, ebbene sì ancora lui, non poteva avere un senso logico, perché un calcia-tore che stacca di testa, mentre ricade, non può certamente tenere le braccia adese al corpo. Per non parlare poi di altri svarioni clamorosi come lo scandaloso rigore fischiato contro l’Inter a Firenze nel recupero di gara, con D’Ambrosio che, prima subisce un fallo non rilevato, e poi si vede accordare contro un penalty per un tocco di petto. Si esattamente, un tocco di petto. Questo episodio avrebbe dovuto rappresentare la fati-dica goccia atta a far traboccare il vaso, invece no. Si è perseverato nelle interpretazioni e nelle discrezionalità dei singoli arbitri, coadiuvati dai “varisti” in sala controllo. Il vero problema, or-mai appare chiaro, è uno ed uno solo: servono urgentemente paletti fermi, ininterpretabili, nel protocollo internazionale, per togliere ogni dub-bio, facilitando il compito di chi deve prendere le

decisioni, altrimenti si perde credibilità, come sta inevitabilmente accadendo. Con l’avvento del Var si pensava ad un’eliminazione presso-chè definitiva della discrezionalità arbitrale, applicando i punti come da protocollo, invece questa stagione sta regalando caos e “letture” diverse per falli o interventi. E tutto ciò non è praticabile. Il Var, fatta salva una piccola soglia d’errore per la componente umana, deve essere uguale per tutti, e per arrivare a ciò serve un re-golamento-protocollo chiaro, senza possibilità di interpretazioni cervellotiche, supportato da un’applicazione fedele alle normative sul prato verde. Il tifoso si attende solo questo, e ha tut-te le ragioni nel pretendere chiarezza, una volta per tutte.

La trentunesima giornata ha regalato emozio-ni e una quasi certezza: la Juventus è ad un solo passo da un nuovo scudetto. Basterà ai bianconeri di Allegri il pareggio, sabato pros-simo a Ferrara contro la Spal, per inanellare un filotto formidabile: l’ottavo tricolore con-secutivo. Un record stellare, strepitoso, sen-sazionale, conseguito macinando numeri da primato per tutta la stagione, ad oggi la Juve in 31 giornate di campionato ha collezionato 27 vittorie, 3 pareggi e una sconfitta, numeri straordinari che non lasciano spazio alle in-terpretazioni e alle comiche parafrasi di chi mal sopporta i trionfi juventini di questi anni. Il Napoli, staccato di 20 punti, rafforza il se-condo posto, mantenendo 7 lunghezze di van-taggio sull’Inter, terza a 57 punti, mentre per la quarta piazza valevole un posto Champions per la prossima stagione, si è scatenata una vera e propria bagarre. Ben 5 club nel risicato fazzoletto di 3 punti. Il Milan è stato affiancato dall’Atalanta di Gasperini al quarto posto con 52 punti, poco sotto la risalente Roma con 51, mentre la Lazio, con una partita in meno da recuperare con l’Udinese, e il Torino a 49, so-gnano ancora l’impresa storica. Lapalissiano affermare che, da questo lotto nutrito, usci-ranno le squadre che conquisteranno un posto Champions e due pass per l’Europa League, Insomma, se in testa è già tutto deciso, la zona europea promette faville, tensioni e scintille da qui alle prossime 7 gare finali del torneo. Sam-pdoria e Fiorentina, rispettivamente a 45 e 39

Il Var? Così non va! Non va proprio, verrebbe da aggiungere. Il problema del mezzo tecnolo-gico nel calcio sta a monte. Lo scorso anno, vero debutto del Video Assistant Referee in Italia, la sensazione era stata positiva, con le statistiche di fine anno a confermare la sensazione, e con dati inoppugnabili, ben 8 errori su 10 sanati, insom-ma un bel miglioramento e una forma equa per tutte le contendenti del nostro massimo campio-nato. Vero che le polemiche non erano mancate, ma chi pensava che con il Var sparissero acidità e asperità dialettiche, non considerava che an-che il mezzo tecnologico è gestito da umani, e quindi fallibili. Dall’inizio di questa stagione in corso, però, il Var ha da subito prestato il fianco a molteplici critiche, facendo avvampare accalo-rate polemiche, veicolate da interpretazioni di-scordi e una discrezionalità pericolosa, talvolta confusa, da parte degli arbitri e del controllo in sala Var. Il turno scorso di campionato ha certi-ficato tutto ciò, con gli episodi contestati di Alex Sandro in Juventus-Milan e il rigore avventato fischiato, pro Lazio, per l’intervento di Locatel-li del Sassuolo. Ma questa stagione, sino a qui, ha purtroppo distillato perle amare che lascia-no sconcertati gli osservatori di calcio e i tifo-si. Molte volte le decisioni arbitrali, in sinergia con il mezzo meccanico, sono apparse offuscate, nebbiose, soprattutto nel non tenere contro del-le dinamiche e dei movimenti di un calciatore, del posizionamento delle braccia, che sono ba-silari per l’equilibrio in una scivolata o in uno stacco aereo, Un problema non di poco conto, perché chi detta certe definizioni pare non aver mai giocato a calcio o calcato un terreno di gioco, con osservazione meticolosa di quelle che sono le leggi della fisica. Il rigore fischiato contro ad

di Franco Leonetti

di Franco Leonetti

La Juventus ad un passo dall’8° scudetto consecutivo

Var, così proprio non va!

Il ruggito di Leonetti a cura di Franco Leonetti

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Sport

frasettimanali (25 settembre, 30 ottobre e 22 aprile 2020) con quattro soste per gli impegni delle nazionali puntati su 8 settembre, 13 ottobre, 17 novembre e 29 marzo. Da decidere restano ancora le date delle coppe tricolori: per la Super-coppa italiana sono state lasciate aperte le finestre del 17 agosto, del 23 dicembre e del 4 gennaio, ma va ancora decisa la location, il contratto con l’Arabia Saudi-ta prevede altre due edizioni nei prossi-mi quattro anni, mentre la Coppa Italia partirà il 4 agosto, con la finale fissata per il 13 maggio, data questa che potreb-be mutare in base all’andamento del-le italiane nelle coppe europee. Intanto proseguono trattative e negoziati per

quanto riguarda il nuovo piano indu-striale della Lega di Serie A, l’attenzione sarà data in particolar modo all’estero, dove saranno aperti diversi uffici, an-che in Cina, dopo l’alleanza per la nuova Via della seta. In questo modo la Lega cercherà il miglior modo per rendere il calcio nostrano ancor più appetibile dai mercati esteri, esportando il prodotto e rastrellando introiti dai tanti zeri trami-te la vendita dei diritti televisivi e nuove sponsorizzazioni.

Non è ancora terminato questo campio-nato, ma la Serie A annuncia già il calen-dario per la prossima stagione, 2019-20. Si partirà il 24 agosto, e dopo due anni viene eliminato il Boxing Day, ovvero le partite giocate a ridosso di Natale e Ca-podanno; con tutta probabilità i preven-tivati incassi sono risultati inferiori alle aspettative attese. Le ultime gare della stagione di Serie A si terranno il 24 mag-gio, a tre settimane dal via degli Europei, dove gli azzurri cercano di qualificarsi con il loro nocchiero Roberto Mancini. Sono queste le date che caratterizzeran-no la prossima stagione del campionato italiano, ancora una volta alla caccia del-la Juventus, campione in carica e presto nuova Campione d’Italia per l’ottava volta consecutiva. Nel consiglio di Lega degli scorsi giorni, presieduto da Gae-tano Micciché, sono state decise le date del prossimo campionato, con un ritor-no al passato senza gare durante le festi-vità natalizie: la pausa invernale, quin-di, tornerà ad essere quella classica, dal 23 dicembre al 4 gennaio. Scelta dettata dal voler inseguire il modello britanni-co, ma evidentemente assai deludente sotto l’aspetto di presenze allo stadio e audience nell’esperimento dello scorso dicembre, quando si i club italiani sce-sero sul campo per ben tre volte, il 22, 26 e il 29. Tre saranno invece i turni in- di Franco Leonetti

Le date della nuova Serie A

Top• A Udine, nonostante la delicatissima sfida per non retrocedere, si vedono gesti tecnici di grande pregio, ottimi i due gol empolesi di Caputo e Krunic, fantastiche le reti udinesi di De Paul e Mandragora, per quelli che una volta si chiamavano eurogol• Moise Kean (Juventus) non si ferma più, 5 gol in 5 gare con i bianconeri, astro emergente e presente scintillante, con doti fisiche e tecniche di alto pregio. Una rete ogni 60 minuti giocati!• Il Frosinone sconfigge la Fiorentina nella città toscana e continua a sperare nel miracolo, il gol di Ciofani vale oro• Musso (Udinese) salva la vittoria dei suoi con una parata d’istinto, di piede, a dir poco fantascientifica, potrebbe risultare come il più bel salvataggio della stagione ad opera di un portiere• Pavoletti (Cagliari) raggiunge quota 11 gol segnati e trascina i sardi verso la salvezza, ottimi riflessi sulla realizzazione di sponda contro la Spal

Flop• Il Var continua a far inferocire i tifosi, gli episodi scatenanti ormai non si contano più, sotto la lente d’ingrandimento i due momenti con-trapposti del mani di A. Sandro (Juventus) a Torino e Locatelli (Sassuolo) a Roma. Servono paletti fermi e inequivocabili nell’applicazione del protocollo, così non va bene per nulla!!• Pessima la conduzione di Juve-Milan da parte dell’arbitro Fabbri, azzecca poche decisioni in campo e riesce a rendere insoddisfatti tutti: perlomeno rivedibile.• Napoli al piccolo trotto e difesa messa alla frusta da un Genoa in inferiorità numerica per oltre un’ora di gara, Ancelotti alza il sopracciglio in segno d’insoddisfazione• Per il Chievo manca solo l’aritmetica, poi sarà discesa in serie B, i veronesi sono in A dal 2008• Il Torino, a Parma, spreca un paio di ghiotte palle gol e ottiene solo un punto in un periodo della stagione dove serve solo vincere per nu-trire ambizioni d’Europa.

di Franco Leonetti

Top e Flop…Luci e ombre del Campionato a cura di Franco Leonetti

La rubrica per focalizzare e imprimere nella memoria i momenti più belli e quelli più ombrosi che il campionato di calcio regala ai tifosi ad ogni turno, Una sorta di promemoria in pillole, per rivivere, in un flash, la giornata appena trascorsa.

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Sport

stava chiamando un altro gruppo spor-tivo, quello della vita sacerdotale. È rie-mersa la vocazione, la stessa che avevo sentito da bambino e che avevo messo da parte per diverse paure. All’inizio pensa-vo non fosse la mia chiamata, poi il Si-gnore, durante proprio gli allenamenti si faceva risentire. Andavo in chiesa a pre-gare dopo le sessioni – spiega - Sono en-trato in seminario e ho smesso di correre per obbedienza. Sono stato fermo per 17 anni. Un giorno, facendo la benedizione alle famiglie, ho conosciuto un ragazzo che correva le maratone e abbiamo deciso di allenarci insieme. Così ho ricominciato il mio percorso d’atleta».

“Se dovessi fare un brindisi, lo farei pri-ma per la coscienza, poi per il Papa” è una frase che il Don mi cita per dirmi una cosa importante: «Ho capito che in coscienza non sbagliavo. Anche nei campi di atleti-ca mi sono ritrovato a confessare e dare consigli spirituali. Domenica ho corso con Stefano La Rosa, atleta dei Carabi-nieri, uno dei migliori maratoneti italiani, ci siamo riscaldati insieme e poco prima della gara mi ha chiesto la benedizione».

La corsa non è solo un atto fisico per Don Vincenzo, è pura esperienza religiosa: «Io venivo dal mezzo fondo, quindi gli 800, 1500 e 3000, gare diverse rispetto al fon-do. Le maratone invece sono venute in un secondo momento, da grande. Per me era un sogno finire una maratona, che ho rea-lizzato con un tempo importante, per uno che era alla prima e da tanto non corre-va. Se non mi fossi fermato in giovinezza, avrei potuto competere anche con i più grandi campioni di spessore – racconta ma senza rammarico - Ma penso che il fatto di aver rinunciato all’atletica sia sta-to qualcosa di grande che viene da Dio. Ho accettato e ora questo sogno è diven-tato realtà. Papa Francesco ha voluto una squadra che sia testimonianza di valori e che lavori nel sociale. Io ne faccio parte».

Corre e lo fa bene Don Puccio. Trae la sua forza da un tipo di “doping” legale, che

non fa male, la Fede: «Le lunghe distanze sono molto impegnative. Si lavora mol-to con la mente, che è fondamentale per gestire queste grandi energie da spende-re in 42 km. Ci vuole una concentrazione costante fino alla fine. Domenica ho pen-sato diverse volte di fermarmi, però il Si-gnore mi stava vicino e con qualche pre-ghiera alla Madonna, ho deciso di portare a termine la gara. Quando sono arrivato alla fine dei 42 km ho baciato per terra perchè anche Milano merita di essere ba-ciata come tutte le città in cui sono stato a gareggiare. Le lunghe distanze sono per me un modo per stare a contatto con Dio e dimenticare i pensieri che tutti noi sem-pre abbiamo. È un modo per fare ascesi con l’Onnipotente stesso».

Al temine di questa intervista viene da dire proprio che sport ed esperienza di Fede si possano collegare insieme: «Nello sport, se uno vuole raggiungere grandi obiettivi, come nel percorso di Fede, richiede tanti sacrifici e un’ascesi. Se uno vuole prepa-rare bene una 42 km deve cercare di cor-rere anche quando c’è la pioggia, il vento, quando non ha voglia di correre. Se uno vuole preparare bene una maratona deve andare incontro a tanti sacrifici. Così pure nel percorso spirituale, in cui sei davvero a contatto con Dio e in cui devi rinuncia-re a te stesso e alle tentazioni – conclu-de Don Vincenzo - Sport e Fede sono un cammino che richiede sacrificio. Come gli sportivi hanno delle tabelle di allenamen-to, con km e ripetute, anche per lo spirito ci sono: la preghiera, l’ascolto della parola di Dio e i Sacramenti. Come nello sport, ci si deve allontanare dalle cattive abitudini che possono nuocere alla vita spirituale».

Un “cappellano” particolare tra gli schie-ramenti di maratoneti. Prima dello spa-ro della partenza, Don Vincenzo Puccio ascolta gli atleti, li confessa e consiglia, li benedice. Poi, si posiziona accanto a loro e attende il via maestoso di una del-le competizioni di corsa più affascinanti. Don Vincenzo è un sacerdote maratoneta. Ha le ali ai piedi e la vocazione alla Fede fin da bambino. Ora fa parte della socie-tà della Santa Sede, l’Athletica Vaticana. Domenica ha partecipato alla Maratona di Milano, chiudendo in 2:35.58. Quarto atleta assoluto nella categoria e 26° atle-ta totale, 24° tra gli uomini, realizzando il miglior tempo italiano nella sua catego-ria, M45.

Si deve andare indietro, nell’infanzia, per capire questa passione mista a talento per la corsa e per le anime. «Il mio percorso sportivo è iniziato alle scuole medie. La corsa mi piaceva già anche in quel perio-do, ma giocavo a calcio. Grazie alla scuola, però, che mi ha introdotto a queste gare, corse campestri e Giochi della Gioventù, ho scoperto la corsa. Un mio professore mi propose di partecipare ad una com-petizione pochi giorni prima, ma non ero allenato. Arrivai terzo. Da lì ho iniziato a correre. Partendo dai 2000 metri – rac-conta Don Puccio - Partecipando a dei Re-gionali, ho conosciuto il mio attuale alle-natore, Tommaso Tigali. All’età di 15 anni ho avuto un infortunio alla schiena e ho dovuto smettere. Ho ricominciato tardi, a 18 anni con il militare. Dopo pochi mesi ho fatto subito diversi risultati impor-tanti, tra i quali la vittoria ai Campionati Italiani Militari dell’Esercito, ottenendo la qualificazione per i Campionati Italia-ni Interforze, dove i migliori del Paese si scontravano. Ho vinto il titolo anche lì».

Nella vita, però, non si può mai sapere quale strada percorreremo. Nonostante la potenzialità legata all’ingresso in un Gruppo Sportivo, in quel momento Vin-cenzo Puccio fece un’altra scelta: «Dove-vo entrare in un gruppo sportivo militare, ma il Signore mi ha fatto capire che mi

di Deborah Villarboito

Don Vincenzo e le ali ai piedi: la corsa come esperienza religiosa

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Sport

le testimonianze di atleti straordinari che la vita ha messo alla prova più di altri, valori come la forza di volontà e la determinazione». Una certa sensibilità e destata verso il discorso legato alle disabilità: «La vita - spiega Tapia - non regala nulla a nessuno. Le sorprese sono dietro l’angolo e bisogna essere pronti ad affrontarle, ad agire. Per raggiungere un obiettivo bisogna sacrificar-si, impegnarsi, mettersi in gioco». Nel video che racconta la sua storia, dall’incidente del 2011 in cui ha perso la vista dopo essere stato colpito alla testa da un grosso ramo alle vittorie sportive, si leggono queste parole dell’atleta di origine cuba-na: «Prima vedevo ed ero cieco, ora sono cieco e ci vedo. Diventare cieco è stata la mia rinascita».

Federica Maspero, invece, di mestiere fa l’onco-loga. Nel 2002, il giorno del suo 24esimo comple-anno, è stata colpita da una meningite fulminan-te e ha subito l’amputazione delle gambe e delle dita delle mani tranne i pollici. «Se vuoi realizza-re i tuoi sogni - racconta l’atleta - devi crederci al cento per cento, prima con la testa che con il fisi-

esserne più orgoglioso. Come detto, il 2018 è stato costellato di infortuni per l’ex Stoke, al punto da fargli pensare che i suoi giorni nelle arti marziali fossero ormai agli sgoccioli.

Si era strappato un tendine e rotto un dito del piede, il che ha significato stare parecchi mesi ingessato e quindi perdere un sacco di alle-namenti e proprio quando si è ripreso e stava completando il suo quinto dan, si è strappato un tendine nel tallone e due giorni prima dei Mondiali a Taipei un flessore dell’anca. Ha gareggiato ugualmente, ma è arrivato nono e ha davvero iniziato a pensare che questa po-tesse essere la fine. Ma la volontà di dimostra-re a se stesso e al mondo che non era ancora tempo per la pensione gli ha dato la forza di riprendersi.

È stato davvero a un passo dal mollare tutto e se avesse vinto i Mondiali a Taipei, proba-bilmente lo avrebbe fatto, ma non poteva fi-nire in questo modo, con un nono posto, così ha riprogrammato allenamenti e tornei, ha preso un fitness coach e fatto delle lezioni di Pilates e iniziato il suo recupero. È stato un lavoro duro e faticoso, ma alla fine è tornato al meglio e questa è senz’altro la suo miglior

co. Solo così potrai raggiungerai i tuoi obiettivi». Il progetto, di forte impatto emotivo, quindi, è volto a sensibilizzare i ragazzi delle scuole supe-riori per renderli consapevoli su come lo sport possa essere “portatore sano” di valori educativi e al contempo strumento rilevante di crescita e di attenzione al rispetto delle regole e al vincere come collettivo. L’esperienza e il contatto con i campioni dello sport Paralimpico, esempio illu-minante di come la diversità possa trasformarsi da limite a potenzialità, consente agli studenti di comprendere, cosa serve veramente per vincere e avere successo: il talento da solo non sempre è sufficiente per raggiungere quelle vittorie, che vanno oltre una medaglia o un trofeo, sono vere e proprie rinascite.

performance da quando ho vinto l’argento nel 2017 e adesso che è campione europeo, cer-cherà di vincere l’oro il prossimo anno. Una storia infinita di sport insomma.

“Campioni di vita”, un’iniziativa nazionale pro-mossa da Eni insieme ad AP Communication pensata per avvicinare i giovani allo sport e alle tematiche sociali. Ragazzi a confronto con gli atleti su sport e diversità. Due le parole chiave che caratterizzano questa serie di incontri, sport e diversità, per evidenziare come la competizio-ne possa trasformarsi in un valore educativo. Un messaggio rivolto soprattutto alle nuove gene-razioni che punta al rispetto delle regole e delle diversità, all’integrazione, all’aggregazione, alla fiducia, alla passione, al gioco di squadra.

Oney Tapia, argento alla Paralimpiade di di Rio 2016 nel lancio del disco, Federica Maspero, ar-gento Mondiale sui 400 metri categoria ampu-tazione, Andrea Lucchetta, uno dei pallavolisti della Generazione di Fenomeni e Adriano Pa-natta, uno dei più grandi tennisti italiani di sem-pre, incontrano studenti delle scuole superiori con cui si confrontano e dialogano. «L’obiettivo - sottolinea Panatta - non è fare una lezione di vita ai ragazzi, ma trasmettere loro, attraverso

La storia di Mike Pejic è particolare. Una vita in difesa da terzino sinistro nello Stoke City e nella Nazionale inglese, finita poi nell’arte marziale coreana, il taekwondo. Nel 2018, aveva pensato di chiudere del tutto con l’atti-vità sportiva se avesse vinto l’oro ai Mondia-li di Taipei. Arrivò nono a causa di una serie di infortuni e non poteva andare in pensione con un piazzamento del genere, perché sen-tiva di avere ancora qualcosa da dimostrare. Così il 69enne campione di arti marziali con un passato nel calcio ha rimandato l’addio e si è messo sotto con gli allenamenti per pre-pararsi agli Europei di Antalya (Turchia) che si sono svolti la scorsa settimana.

E alla fine i risultati gli hanno dato ragione: Pejic si è infatti aggiudicato il titolo Over 65 nella categoria individuale per la Gran Bre-tagna, battendo il favoritissimo turco Galip Ziya Yalcinkaya, lo spagnolo Francisco Rela‘o Ruiz e il tedesco Peter Johanns nei Poomse, le forme. È stato un lungo viaggio da quando ha iniziato a gareggiare per la Gran Bretagna nel 2012 e da allora ha vinto cinque campionati nazionali ed è arrivato secondo ai Mondiali, ma questo è probabilmente il successo più importante che abbia ottenuto e non poteva

di Deborah Villarboito

di Deborah Villarboito

Campioni di vita - I valori della diversità: i campioni avvicinano i giovani ai valori dello sport

Mike Pejic: dal calcio ai...calci del taekwondo

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Sport

atletica: lancio del peso, giavellotto e disco. L’altra passione è il Padel. At-leta del Cannottieri Aniene è tra i pri-mi in Italia a praticarlo in carrozzina. Una passione per la racchetta che già aveva Gianluca, poiché prima di stare male praticava tennis. «Ho conosciuto il basket in carrozzina e lì ho incomin-ciato a vedere qualcosa di diverso. Pri-ma di tutto mi sono approcciato con uno sport di squadra, quindi è qualco-sa che fai insieme agli altri con disa-bilità diverse l’uno dall’altro o anche normodotati. A quel punto lo sport mi ha aiutato perchè non pensavo più a quello che avevo perso, ma soprattut-to a quello che avevo e potevo svilup-pare sempre meglio con lo sport».

La “Santa Lucia” è nata per dare la possibilità di rimettersi in gioco nello sport e nella vita. «Ci sforziamo quo-tidianamente di cercare persone per aiutarle. Oltre al lato agonistico con il campionato, il nostro obiettivo è man-dare un messaggio diverso. Spesso an-diamo negli ospedali e nelle scuole a dare delle dimostrazioni delle nostre esperienze, per sensibilizzare questo discorso – continua Gianluca - Il mio inizio nel basket è stato proprio per-chè uno dei pilastri del “Santa Lucia”, con il presidente e il capitano, mi han-no chiamato chiedendomi di provare. Mi sono messo in gioco. Ho iniziato l’attività con loro, a confrontarmi con i compagni di squadra e lì non sono cresciuto solo sportivamente, ma an-che nella mia forza d’animo e disabi-lità».

Gli inizi però posso essere sempre traumatici: «L’impatto iniziale è quel-lo per cui ti senti una persona, non dico finita, ma quasi un peso per la famiglia e la vita quotidiana. Finchè sono stato ricoverato, tutto poteva andare bene

perchè era tutto a dimensione di car-rozzina. Una volta arrivato a casa, non è stato più così. Ti confronti con la vita quotidiana. Abito a Roma, non pote-vo uscire di casa perchè la mia via non aveva i marciapiedi adeguati, quindi dovevo stare per forza sulla strada, dove c’era anche una salita – racconta - Lì c’è stata una grande difficoltà, per cui sono stato un po’ in depressione. Un po’ lo sport, ma soprattutto la fa-miglia, la mia compagna meravigliosa e mia figlia di 15 anni, con genitori e fratelli, mi hanno aiutato un po’ a su-perare questa difficoltà iniziale. Quoti-dianamente però non è facile vivere la propria disabilità nel mondo di oggi. Nulla ti aiuta».

Determinazione e volontà di stare bene riprendendosi la propria vita hanno contribuito a migliorare la situazione: «Una situazione improvvisa così non è facile accettarla subito, per te e per le persone che ti stanno accanto. Que-ste ultime ti danno la forza di andare avanti, ma sicuramente anche loro psi-cologicamente sono provate – conclu-de -Pensano che puoi avere difficoltà anche nel dover affrontare la vita quo-tidiana. Ma nella vita e nello sport, l’u-nione fa la forza. Sicuramente insieme in questo siamo cresciuti. Non è stato facile, non è stata accettata subito, ma piano piano, grazie alla famiglia e allo sport abbiamo imparato a conviverci e a viverla nel quotidiano».

Spesso nella vita siamo costretti a ri-cominciare da capo. Presto o tardi veniamo colpiti forte, tanto che dob-biamo imparare di nuovo a vivere la quotidianità. Quarantasette anni da compiere, Gianluca Palazzi è un esem-pio di resilienza. A 44 anni il suo mon-do, come quello della sua famiglia, si è stravolto, ma ha trovato presto la sua nuova strada: lo sport. «Tutto è inizia-to perchè tre anni fa sono rimasto in carrozzina, per un intervento sbaglia-to alla colonna vertebrale. La mia vita è cambiata all’improvviso. Sono sta-to ricoverato per parecchi mesi in un centro di riabilitazione e quando sono uscito il mio quotidiano era pensare a quello che avevo perso, cioè le gambe. Un pensiero fisso che mi tormentava in ogni momento» ci racconta. Il pri-mo intervento l’ha subito nel 2012, se-guito da altri, ma intanto è peggiorato, rimanendo in carrozzina dal maggio 2016. Aveva una vita normalissima, lavorava nella Direzione Sanità e Igie-ne del Vaticano. Ora da due anni è in pensione e si è dedicato molto allo sport perchè, per lui, è fondamentale, poiché ti rende attivo, ti dona qualcosa in più rispetto a ciò che ti è stato tolto.

«Il mio sport principale è il basket in carrozzina con il “Santa Lucia”, nato per aiutare proprio le persone che si trovano davanti alla disabilità all’im-provviso. C’è la squadra in Serie A, una delle prime in Italia, che ha vinto tutto tra scudetti, Coppa Italia, Coppa Cam-pioni. Poi c’è anche quella di Serie B in cui i ragazzi iniziano e man mano che crescono si ritrovano in A». Da gen-naio, inoltre, è il primo atleta paralim-pico della neonata Athletica Vaticana, la prima associazione sportiva del Va-ticano, in cui si trasmette non solo il messaggio di Fede, ma anche quello dell’integrazione. Con questa pratica

di Deborah Villarboito

La nuova vita di Gianluca: “Sport e famiglia sono la mia forza”