numero5autunno2018 un dato È per sempre? · gradualmente, col principio della rana bollita. prima...

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NUMERO5 AUTUNNO2018 Le nostre vite tra memoria digitale, privacy e oblio UN DATO È PER SEMPRE?

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N U M E R O 5 A U T U N N O 2 0 1 8

Le nostre vite tra memoria digitale, privacy e oblioUN DATO È PER SEMPRE?

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Saper dimenticare è una fortuna più che un’arte. Le cose che si vorrebbero dimenticare sono quelle di cui meglio ci si ricorda. La memoria non solo ha l ’ inciviltà di non sopperire al bisogno, ma an-che l ’ impertinenza di capitare spesso a sproposi-to; quando quello che dà tristezza è l ’accuratezza, mentre quello che fa felice è la superficialità. A volte la soluzione al male è dimenticarlo, e dimen-ticare la soluzione.

Baltasar Gracián y Morales Oráculo manual y arte de prudencia

24 Il Graffio

EYU Europe Youth Utopiaperiodico online della Fondazione EYU

Diretto da Samuele Ravesi

Redazione:

Mattia Peradotto,coordinatore editoriale

Giulio Seminarasegretario di redazione

Alessandro FerrettiMonica TocchiNostagio Dellemuse

Web: Valentina Tortolini

Layout e Artwork: Art&Design srl

Illustrazione di copertina:Gabe Sapienza

Copia digitale disponibile su:www.fondazioneeyu.it

Contatti:Via della Vite 41, 00187 Romawww.fondazioneeyu.it

Foto: fotolia/shutterstock/depositphotos.Per i contributi fotografici di cui non è stato possibile reperire l’autore la redazione è disponibile a riconoscerne eventuali diritti.

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16Chi ha paura dei dati? Un nuovo contratto sociale digitale basato sulla fiduciadi Giulia Pastorella

Vivi e lascia viveredi Samuele Ravesi

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Vivi internet al meglio, un programma di educazione civica digitaledi Martina Colasante

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Diritto all’obliodi Paolo Bottazzini

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Scomparsodi Eugenio Nocciolini e Samuele Ravesi

YOUTHCULTURE

58 Pensiero stupendo

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26Big data: è il marketing, bellezza!di Andrea Incerpi

Il caso Cambridge Analiticadi Monica Tocchi

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Vanni Santoni e i suoi personaggidi Filippo Amedeo Crociani

L’angelo custode nelle Vite degli Altridi Giulio Seminara

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Corsi e ricorsi artisticidi Vera Volnova

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VIVI E LASCIA VIVEREFLUSSI SEMISERI DI UNA BATTAGLIA VINTA, PER ORA

di Samuele Ravesi

Live and let live

Mi sarei aspettato qualsiasi cosa, ma non quella risposta. La rab-bia era tanta. Digrignai i denti fino al limite, quel momento in cui avverti distintamente di esserti scheggiato gli incisivi, anche se poi controlli e, puntualmente, non è successo.

Sono passati anni luce da quando si iniziò a parlare del social network come (non) luogo per rintracciare vecchi amici, fiamme ormai spente ed eventuali parenti sparsi per il globo. Ho sempre pensato che se hai perso di vista qualcuno per decenni un motivo ci deve pur essere, e nel 99% dei casi, al netto di tragedie, cataclismi, guerre e deportazioni, era giusto che andasse così. Quel qualcuno, ecco, forse è meglio se non lo rivedi.

I agree, live and let live Continuavano, adesso erano più di uno. Si stavano organizzando. Avrei potuto affrontarli tutti, uno dopo l’altro, ne ero certo. Ancora.

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Così dunque, se ogni essere dotato di sensibilità, dal momento che ce l’ha, avverte il male della sottomissione ed insegue la libertà, se le bestie, che pure sono fatte per servire l’uomo, possono adattarsi a servire solo manifestando il desiderio contrario, quale evento sventurato ha potuto snaturare talmente l’uomo, ’unico nato davvero per vivere liberamente, da fargli perdere il ricordo del suo stato primitivo ed il desiderio di riacquistarlo?

Ètienne de La Boétie, Discorso sulla servitù volontaria

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Don DeLillo è uno dei più grandi scrittori viventi. Great Jones Street è un libro profondo: New York, Great Jones Street appunto, una rockstar all ’apice del successo si ritira all ’improvviso in un piccolo ap-partamento. Vuole sparire, spogliarsi “di fantasie e leggende”, liberarsi del mito che aleggia, sempre e comunque, sopra di lui. Un macigno incomben-te. Vuole smorzare, sottrarre, resuscitare l ’essenza. Tornare uomo. Riprendersi ciò che è suo. “Solitudine rivoluzionaria. Rivolgerci verso l ’interno, ognuno e tutti insieme”.

C’mon, live and let liveErano sempre di più. Si aggiunse di colpo anche un esercito di musi gialli, di un giallo mai visto, che proce-deva in ordine sparso, con le espressioni più disparate e i gadget più improbabili. Mi si avventavano contro. Cercai di sopportare l’urto. Ressi, a stento.

La modificazione comportamentale è progredita. Gradualmente, col principio della rana bollita. Prima il parente, poi l’amico, poi tanti amici, poi la pizza e il parrucchiere, la rugiada sulle foglie, il bosone di Hig-gs, l’installazione di Jeff Koons, la vivisezione del topo domestico. L’illusione di potere e l’ansia di dovere dire la tua su qualsiasi cosa. Ricompense e punizioni. En-gagement. Puoi avere tutto. Puoi dare tutto. Gratis. Play the game.

Yes, he’s right, live and let live, bro Bro??? Bro un cazzo! La rabbia saliva. Mi trattenevo a stento ormai. Rimasi fermo, senza reagire. Uno sfor-zo sovrumano. Non so, onestamente, dove trovai il coraggio e la tenacia.

Al poeta Simonide, che voleva insegnargli l’arte della mnemonica, Temistocle, eroe di Maratona, già ostracizzato da Atene, rispose che avrebbe preferi-to piuttosto apprendere l’arte di dimenticare. Certe cose non si possono dimenticare, anche se si vuole. Sono lì per sempre. Impilate e immagazzinate. Di-menticare non si può. Ma far dimenticare, almeno?

To each his own, live and let live, moron

Inghiottii amaro. Mi sfidavano. Non mi toglievano gli occhi di dosso. E le loro voci si facevano sempre più intense. Potevo vederli avvicinarsi, allontanarsi e poi avvicinarsi ancora, sempre più minacciosi. Pre-gustavano l’invasione.

Great Jones Street è un libro visionario: “Sovracca-rico sensoriale. la gente cerca di sfuggire al sovrac-carico sensoriale. La tecnologia. Ogni volta che la tecnologia supera un certo livello, la popolazione ritorna primitiva. Ma sappiamo tutti e due che la vera privacy è una condizione interiore. Trovarsi in un ambiente limitato ha grande importanza. Certo, certo. Ma non è che uno può salire su una mongol-fiera e aspettarsi di trovare la risposta a tutto. La volontà dev’essere all ’altezza dell’impresa”. Datato 1973. Veramente geniale. Ma non basta per i ciam-bellani della scuola del risentimento, i parrucconi di Stoccolma.

Sure, live and let live, mateMi conoscevano, non mi conoscevano. Alcuni indora-vano la pillola. Facevano gli amici. Ma erano ancora più subdoli. Avevano in mano delle mie foto. Le bran-divano come clave. Non so chi gliele avesse date. La cosa mi faceva veramente incazzare.

Ci sono nuove appendici fisiche e morali di cui non riusciamo più a fare a meno. Pretendiamo le vite, nostre e degli altri. Le pretendiamo al microscopio. Esibizionismo e voyerismo. Fragilità umane. Han-no creato il virus della gratuità e della trasparenza. Brutto ed esangue come un neon. Non hai niente da nascondere, non hai niente da nascondere, questo hanno sussurrato per anni. Non devi avere segreti, nessun pudore, nessuna riservatezza. Sono prodotti fuori moda. Il prodotto alla moda sei tu.

Live and let live, bastardEro quasi sul punto di agire, ma no, non dovevo. Sarei sprofondato in un gorgo senza fine. Era quello che volevano, in fondo. Era chiaro. Serviva una mossa con-trointuitiva.

Ducunt volentem fata, nolentem trahunt. Fata ducunt

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volentem, nolentem trahunt. DATA ducunt volentem, nolentem trahunt. Seneca, Lucilio e Cleante rigirati nella tomba, con stoicismo. Sono veramente i dati, e tutto ciò che gli gira intorno, che conducono chi vuole lasciarsi guidare e trascinano chi non vuole? Saranno veramente i dati il nostro destino ineluttabile? Un Fato da accettare, passivi e inermi?

LIVE AND LET LIVEEEEE Una variazione tattica, ma la strategia rimaneva la stes-sa. Ancora l’esercito dei musi gialli imbronciati a sup-porto, in modalità d’assalto. Ero pronto allo scontro.

Ancora Great Jones Street: “Secondo loro tu sei l ’esempio vivente di un ideale antico, quello degli uomini soli di fronte alla terra. Tu ti sei lasciato alle spalle la leggenda per inseguire la libertà individua-le. Secondo loro non esiste libertà senza privacy. Per loro l ’unico modo di distruggere il concetto di uomo massa è tornare al privato. La nascita dell’in-dividuo massificato ha distrutto ogni nostra libertà. Per riaverla, dobbiamo rivolgerci all ’interno. Isolarci mentalmente, spiritualmente e fisicamente, sempre più, fino alla fine dei secoli. Dobbiamo sostenere la nostra privacy con l’autodifesa aggressiva”.

Autodifesa aggressiva. Era questa la soluzione. Non erano concesse sbavature. Respirai forte. Feci un movimento secco e veloce. E poi subito un altro, e un altro ancora, altrettanto secco. Mi bastò un indi-

ce. Una frazione di secondo. Non ebbero neppure il tempo di prevederlo.

Chiusi la finestra, spensi il computer. E tutto si dis-solse. Ero salvo.

Mi avevano convinto, è vero. Ero sempre stato dif-fidente, ho anche testimoni. Ma fui debole. Vedo ancora la scrivania grigia e lisa, la branda comple-tamente disfatta dietro di me. Ricordo la rabbia inespressa, quella sera di aprile di molti anni fa. Eppure, non mi sembrava di aver chiesto tanto, né di aver provocato nessuno. Era una semplice do-manda, una pura e semplice domanda. Mi avevano convinto, è vero, ma non conoscevo nessuno. E se ti trovi in una cittadina del nord Europa, una delle tante in cui l ’ufficio comunale funziona - bastano tre minuti tre per registrarsi come neo-residente - ma l’efficienza non compensa la monotonia della vita e del paesaggio, può capitare di sentirsi un po’ sperduti. Una trappola perfetta, ordita nei minimi dettagli. Alle prime tentai di oppormi, renitente. Ma alla fine dovetti cedere a lusinghe e pressio-ni. Accettai di vendere la mia ombra. Non potevo fare altrimenti. Pena l’esclusione da pingpong-beer, biglietti scontati del treno, concerti e festa di fine anno. Una tassa troppo alta da pagare. Lo confes-so, per un periodo ci ho convissuto in pace, mi ero anche aperto, solo un po’, gli avevo mostrato foto d’infanzia, gli avevo raccontato cose; presto, forse, gli avrei confidato i miei sentimenti. Sarebbe basta-ta una risposta diversa, una risposta più morbida, per non rovinare tutto. Invece ci fu quel “vivi e lascia vivere”, una roba veramente insopportabile, piagni-steo elevato a principio. E quell’attacco imprevisto, concentrico. Quella serie affastellata e invadente di duplicazioni, repliche, variazioni sul tema, consen-si e faccine imbronciate. Fu la banalità feroce del branco a turbarmi e illuminarmi. Sentii d’un colpo il peso asfissiante di quella rete. So che avrei po-tuto scendere nell’arena, avrei potuto scegliere di allearmi invece di combattere, diventare anch’io un degno protagonista di quel gioco dove ci sono molti che perdono un sacco di tempo e pochi che guadagnano un sacco di soldi. Non rispondere era

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l’unica risposta corretta. Ne sono ancora convinto. È stato il primo e ultimo commento della mia vita. L’account esiste ancora, giace tuttora dormiente. Non ricordo nemmeno la password. Si tengano pure la mia ombra, morta. Non avranno la mia anima, almeno non per ora. “La Fortuna mi aveva sciolto di ogni intrico, all ’improvviso, mi aveva sceverato dalla vita comune, reso spettatore estraneo della briga in cui gli altri si dibattevano ancora”.

Non saprò mai perché i giovani olandesi parteci-pino alle feste travestiti da orsi, supereroi e pirati, anche lontano da carnevale. Anche se un’idea me la sono fatta. E a conti fatti, quel ragazzo svizzero, quello che per primo ha innescato la miccia (prima volta nella storia in cui la Svizzera non è neutrale), devo solo ringraziarlo. L’imprevedibile eterogenesi dei fini.

Provo a procedere per sottrazione, a sfuggire all ’i-per-connessione, a scansarmi dal bombardamento dell’istante, a defilarmi dalla foga martellante del presentismo. A volte ci riesco, a volte no. Tutti sono costretti a cedere, per necessità o debolezza. Siamo fragili e corruttibili.

Tuttavia, mi impongo, a cadenze intermittenti, l ’in-felice piacere di entrare nella stanza buia di Pascal. Coltivo sempre il gusto per lo sparire, sono conten-to di non averlo perso. Per questo sogno continua-mente Great Jones Street, tutti dovrebbero averne in mente una, anche se non sono delle rockstar. Se non ne senti la necessità, o non hai ancora combat-tuto o hai già perso la battaglia. E se sei dei loro, spero che tu lo sia con consapevolezza, o almeno che ci guadagni molto.

La mia Great Jones Street è una barca in mezzo al mare. So che prima o poi su quella barca ci sarò, sballottato e sospinto dai flutti. La mia Great Jones Street. Il luogo della libertà assoluta dove poter finalmente stipare il mio tesoro. Perché sì, lo con-fesso, ho la speranza che quel giorno avrò ancora qualcosa da nascondere, un po’ di tempo, e qualco-sa da preservare, il pudore dei sentimenti.

Il mare a les Saintes - Maries de la mer”

Olio su tela 51x64cm

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DIRITTO ALL’OBLIO

di Paolo Bottazzini

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González ha commesso un’eva-sione o è un evasore? La diffe-renza tra un’azione illegale e una caratterizzazione esistenziale può coincidere con la sopravvi-venza del ricordo che attribuisce il fatto al suo autore. La virtù di redenzione sociale, che il diritto attribuiva all ’espiazione giudi-ziaria nell ’epoca dei media ana-logici, sembra essere annullata dall ’ostinazione della memoria digitale, dalla caparbietà del-la testimonianza dei documenti online e – soprattutto – dalla loro immediata reperibilità tra-mite Google.

L’epopea del ricorso di González contro il motore di ricerca dura cinque anni, e termina con la sentenza della Corte Europea di Giustizia del 13 maggio 2014: la

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Nessuno ricorderebbe Ma-rio Costeja González, se non avesse chiesto di essere dimenticato. Ca-piterà che molti reagi-

scano al suo nome con la stessa sorpresa di Don Abbondio alla citazione di Carneade: chi era costui? In apparenza Gonzál-ez avrebbe potuto raggiungere il suo scopo senza la fatica di coinvolgere i tribunali spagno-li, poi addirittura la Corte Euro-pea di Strasburgo, come invece è successo. Ma la sua aspirazio-ne era limitata ad un fine più di nicchia, circoscritto alla cerchia di pubblico che nel 2009 sotto-poneva al motore di Google la domanda «Mario Costeja Gon-zález». Un’audience ristretta ma preziosa, popolata di nuovi clien-ti che incrociavano come prima risposta il link ad un’inserzione del 19 gennaio 1998, pubblicata sul giornale locale di Barcello-na La Vanguardia su ordine del Ministero del Lavoro. La locan-dina, apparsa nell ’archivio web del quotidiano, annunciava l ’a-sta forzata di alcuni immobili di González per appianare il suo debito con la previdenza sociale.

decisione riconosce al cittadino spagnolo il diritto all ’oblio, ma implica alcune conseguenze la cui criticità non è ancora stata ben misurata. Ne discuto tre, che sembrano alludere a que-stioni di efficienza, ma che le-gittimano la forza di un potere sovrano capace di trasformarsi, in condizioni opportune, da sta-to di fatto in stato di diritto.

La prima riconosce a Google uno statuto differente da quel-lo della Vanguardia, come rap-presentante dei media tradizio-nali. La sentenza di Strasburgo infatti non impone la rimozione della pagina web del quotidia-no di Barcellona, che rimane dov’era prima (e che è tuttora consultabile all ’indirizzo http://h e m e r o te c a . l av a n g u a r d i a .com/preview/1998/01/19/pagi-na-23/33842001/pdf.html); esige solo la scomparsa del link dai risultati del motore di ricerca verso il documento online. Le risposte di Google appartengo-no ad un regime di verità diverso da quello cui possono accedere gli editori – etichetta sotto cui si possono sussumere giorna-li, riviste, libri, film, trasmissioni radiofoniche e televisive, corsi

universitari ed eventi culturali di

ogni genere. Se Don Abbondio

fosse ricorso contro Manzoni per

il pessimo ritratto che gli ha tri-

butato nelle pagine dei Promessi

Sposi, non avrebbe ottenuto né

la stessa giustizia in tribunale,

né lo stesso risultato effettivo

per il proprio onore. La portata

del motore di ricerca non è pa-

ragonabile a nulla di ciò che la

pubblicistica ha conosciuto in

passato. Google è in grado di

trasferire la consistenza della re-

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altà a quello che appare nell ’e-lenco dei risultati, rendendolo immediatamente accessibile: un potere precluso all ’editoria tradi-zionale, e certificato non solo di fatto, ma anche di diritto dal Tri-bunale Europeo. In passato solo la prova ontologica di Sant’An-selmo si era potuta arrogare una forza simile, e lo aveva fatto sa-lendo sulle spalle robuste di Dio, unico beneficiario della sua dia-lettica filosofica.

Per gli indù il mondo si reggeva sulla groppa di un elefante, per gli antichi greci sulla schiena di Atlante; per noi è sospeso sulla rete di link di Google. Ma la forza del motore di ricerca può conta-re su altre prove. La seconda im-plicazione riguarda la gestione delle conseguenze procedurali nell ’amministrazione della giusti-zia. La Corte Europea sapeva che l ’esempio di González avrebbe scatenato un’epidemia di richie-ste simili: dal 13 maggio 2014 al 27 febbraio 2018 (data dell ’ulti-mo censimento sul tema), i citta-dini europei hanno avanzato più di 650 mila richieste individuali, relative ad totale di quasi due milioni e mezzo di url. Bastereb-be molto meno per ingolfare tut-ti i tribunali del continente, im-pedendo la gestione di qualsiasi altro contenzioso. Di conseguen-

za il Tribunale di Strasburgo ha decretato che toccasse a Google prendersi carico delle domande di rimozione in arrivo. La sede di Dublino del motore di ricerca ha assunto cinquanta avvoca-ti che hanno esaminato più di 500 casi al giorno, rigettandone circa il 57% e tenendo il passo con il flusso delle richieste. Per questo conosciamo con preci-sione il numero delle procedure aperte, e sappiamo che oltre il

20% provengono dalla Francia, il 17,3% dalla Germania, quasi il 13% dal Regno Unito; che l ’Italia è a metà classifica con l ’8,1% delle domande, ma con un’attenzione dedicata ai giornali più alta della media europea. Solo Google for-nisce dati così esatti. La questio-ne sorprendente è che, pur sen-za motivare le decisioni, i criteri adottati a Dublino sono corretti: l ’1% dei respinti è ricorso ai tri-bunali ordinari, che però hanno giudicato in favore del motore di ricerca. Google è l ’imputato e anche il giudice di se stesso – e per di più è un arbitro imparziale.

Infine, la terza implicazione in-siste sulla geografia. La prima interpretazione della sentenza seguita da Google è consistita nell ’eliminazione del link all ’ar-ticolo della Vanguardia da Go-ogle.es, l ’estensione spagnola del motore di ricerca; Google.com, e tutte le altre estensioni nazionali (incluso il .it) hanno invece continuato a mostrare il risultato incriminato. In seguito l ’UE ha ottenuto un’applicazione più comprensiva dell ’ordinanza, imponendo che il link non fos-se rintracciabile per le query al motore di ricerca sopraggiun-

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Il Tribunale di Strasburgo ha decretato che toccasse a Google prendersi carico delle domande di rimozione in arrivo. Il motore di ricerca ha assunto cinquanta avvocati che hanno esaminato più di 500 casi al giorno, rigettandone circa il 57% e tenendo il passo con il flusso delle richieste.

genti dall ’Unione Europea. Ma il

risultato che punta alla pagina

della Vanguardia rimane visibile

per chiunque si rivolga a Google

al di fuori dei confini europei; e

lo è anche per chi lo interroghi

dai paesi comunitari, ricorrendo

a proxy o a browser per la na-

vigazione anonima. Già appare

controversa la legittimità della

convocazione di Google davanti

ad un tribunale europeo, visto

che tecnicamente il motore di

ricerca non si trova sul Vecchio

Continente, e che la sede socia-

le è in California; ma quando poi

si passa a domandare dove si

trovi un dato in Rete, ci si trova

avviluppati nell ’opacità del rap-

porto tra la struttura fisica dei

dispositivi in cui sono stoccati i

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contenuti, e l ’ubiquità del servi-

zio erogato. Macchine ridondate,

mirroring, proxy, possono rende-

re illeggibile la mappa degli at-

tori della comunicazione online,

sottraendola al controllo delle

autorità nazionali – sempre vin-

colate ai confini di un territorio.

Se si uniscono i puntini dissemi-nati dalla sentenza, bisogna ri-conoscere che a Google è stato legittimato uno statuto inquie-tante: il suo sapere è il garante dell ’esistenza di ciò che il suo

archivio conosce, il suo giudi-

zio è ineluttabile, il suo essere

è ovunque e in nessun luogo.

Ricorda qualcosa? Sant’Anselmo

forse non era così fuori strada,

ma l ’Unione Europea – e tutti

noi – lo siamo, e di molto, quan-

do riteniamo la sentenza sul

diritto all ’oblio un trionfo della

privacy e della libertà individua-

le. Il riconoscimento della forza,

e la sua conversione da fatto a

diritto, può restringere i confini

della nostra capacità di autode-

terminazione, in un futuro non

troppo lontano.

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Il motore di ricerca non si trova sul Vecchio Continente, la sede sociale è in California; ma quando poi si passa a domandare dove si trovi un dato in Rete, ci si trova avviluppati nell’opacità del rapporto tra la struttura fisica dei dispositivi in cui sono stoccati i contenuti, e l’ubiquità del servizio erogato.

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Siamo tutti d’accordo: l’at-tuale stato di regolamenta-zione del mondo dei dati – incluso quindi tutto quello che pertiene alla privacy –

non è soddisfacente. Anzi, se Hob-bes mi permette questo parallelo senza rivoltarsi nella tomba, lo stato di natura in cui ciascuno fa per sé e Facebook per tutti è un posto terribile per vivere. Senza leggi e regole la nostra vita digita-le è “spiacevole, grezza ed eccessi-vamente lunga”, per parafrasare il grande pensatore.

Per questo i dati e la privacy do-vrebbero essere inseriti come nuovo capitolo nel nostro già ben articolato contratto sociale – una

sorta di contratto sociale digitale. Per contratto sociale si intende un contratto tra governati e go-vernanti con doveri e diritti precisi per entrambi. I governati accetta-no di perdere una parte della loro libertà a favore dei governanti, in cambio di ordine sociale e prote-zione degli interessi individuali. Nel momento in cui il patto viene violato, il potere politico diventa illegittimo.

Come porre fine allo stato di na-tura dei dati per dare inizio allo stato di diritto? Già ci sono segni che questo passaggio si sta facen-do, più o meno consciamente, in molte parti del mondo. L’Europa in questo è sicuramente quella che, per tradizione e forma di governo, è la più avanzata. Ma in maniera paradossale anche in Cina o in al-tri stati in cui il contratto sociale prende forme molto diverse da quello democratico europeo, i dati cominciano ad essere inglobati nelle dinamiche contrattuali so-ciali.

Un contratto sociale sulla questio-ne di dati implica che i dati sono in

UN NUOVO CONTRATTO SOCIALE DIGITALE BASATO SULLA FIDUCIA

CHI HA PAURA DEI DATI?

di Giulia Pastorella

PRIVACY qualche maniera parte della pro-prietà privata dei cittadini e delle loro libertà. Su questo punto si sta creando consenso che i dati per-sonali in effetti, come il nome indi-ca, appartengano alle persone. Ma non è sempre stato cosi. Quando è nato internet i dati e il potere su di essi erano decentralizzati nelle mani dei nerds che hanno creato la rete. Poi il controllo è passato nelle mani delle grandi aziende del mondo digitale, e ora - ed è proprio per questo che la nozione di contratto sociale diventa rile-vante - i consumatori e i governi stanno entrando prepotentemen-te in gioco. I primi richiedono di avere più controllo sui propri dati, mentre i governi cercano di ripren-dere controllo sul cyberspazio che diventa un terreno per lotte geo-politiche di potere.

Un aspetto del contratto sociale è come il governo protegga la pro-prietà privata e le libertà indivi-duali - nel nostro caso rappresen-tati dai dati. Nel contratto sociale digitale questo aspetto si mostra nelle leggi di localizzazione dei

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dati adottate da più di 40 paesi nel mondo, giustificate da ragio-ni di privacy. I governi obbligano le aziende a immagazzinare i dati dei cittadini sul territorio, in modo da avere più controllo e più sicu-rezza. Si può dibattere se questa sia solo una scusa per banale protezionismo economico, ma comunque è fuori dubbio che la nozione di fiducia sia legata alla nozione di sicurezza.

Se nella vecchia versione “ana-logica” del contratto sociale lo stato assicura un certo livello di protezione e sicurezza per la pro-prietà privata e per le infrastrut-ture, così nel mondo dei dati i governi stanno intervenendo per proporre iniziative e leggi per pro-teggere dati utilizzati dai prodotti

del mondo ICT a casa, in azien-da e nella Pubblica Amministra-zione. Varie strategie nazionali di Cybersecurity e leggi su questo tema si stanno inoltre occupando di identificare univocamente i re-sponsabili di eventuali perdite dei dati e di problemi di sicurezza fisi-ca legata al malfunzionamento di oggetti connessi ad internet.

Tuttavia, continuando sul paral-lelo di contratto sociale analogi-co e digitale, i dati, a differenza di altre proprietà private im-mobili, sono mobili, e i flussi di dati sono di natura globale. Per questo è interessante osservare entità sovranazionali cercare di proporre la loro versione di con-tratto sociale digitale ad altre

regioni - come una volta si

cercava di far adottare modali-tà di governo democratiche ad altri paesi. L’Unione Europea per esempio cerca di esercitare il suo potere normativo nell’ambito di dati e regolamentazioni espor-tando il GDPR, che ora è copiato, mutatis mutandis, dall ’Australia al Giappone. Quei paesi che in-vece sono ancora convinti che il contratto sociale sia e debba restare tra i confini nazionali, ap-plicano la stessa logica ai dati. La Cina per esempio si fa forte del-la sua potenza nel mondo cyber per imporre una durissima legge sulla cybersecurity che obbliga la aziende a proteggere i dati in Cina secondo standards e speci-fiche tecnologie cinesi. E la Cina offre anche un esempio della maggiore obiezione al contratto sociale : il governo si prende pre-rogative eccessive con la scusa di dover evitare il ritorno allo stato di natura. Il sistema di Credito Sociale cinese, introdotto dal 2014 e ora in via di espansione,

è un sistema per classificare la reputazione dei propri citta-dini, alzando o abbassando il punteggio a seconda del comportamento civico. Il si-stema rinforza il potere sta-tale costringendo i cittadini ad una gogna social-media-tica costante e a limitazioni

delle loro libertà.

Infine, una parte del contrat-to sociale, soprattutto nella

versione di Rousseau, si riferisce alle responsabilità degli individui

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verso il resto della società. Una domanda pertinente quindi, se si includono i dati nel contratto sociale, è: quale responsabilità gli individui ma anche le aziende devono assumersi se i loro dati sono potenziale fonte di inno-vazione e miglioramento della vita degli altri? Se condividendo i miei dati - senza necessariamente compromettere la privacy degli stessi - io posso aiutare gli altri, ho un obbligo morale a farlo? C’è chi sostiene che la responsabilità sociale d’impresa sia in fondo una forma di contratto sociale. Ma come si può chiedere ad aziende che basano il loro profitto sui dati di cederli per il bene comune? La mia risposta parte dal principio che bisogna ricostruire la fiducia

negli scambi di dati tra cittadini, governi e aziende.

Un contratto sociale che include i dati come proprietà del cittadino e delle aziende che lo stato ha il diritto/dovere di regolare e difen-dere può essere solo praticabile se si fa in modo che la cessione dei dati sia come la cessione di altri tipi di libertà, di altri tipi di di-ritti e proprietà. Lo stato deve evi-tare che i cittadini abbiano l’im-pressione che i dati siano rubati o in qualche maniera subdola-mente sottratti, con delle regole di trasparenza per le aziende. Le aziende, a loro volta, devono as-sumersi la responsabilità di con-tribuire il più possibile alla società con i dati che possono mettere a disposizione.

Benchè contratti sociali diversi, uniti a culture diverse della pri-vacy, diano luogo a modelli di contratto sociale digitale mol-to diversi, l’Europa può ambire a trovare la quadra. Stabilire un contratto sociale per i dati non è questione di rinunciare alla pri-vacy, ma se è un vero contratto sociale quale lo conosciamo in occidente, il cittadino avrà la cer-tezza che la posizione finale in cui si troverà sarà preferibile a quella in cui era prima. Un contratto so-ciale digitale non è una rinuncia, ma uno scambio vantaggioso in cui la mia libertà e privacy digi-tale sono parzialmente cedute in cambio di protezione e vantaggi per la società, pur restando pro-tette da ingerenze illegittime.

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di Martina Colasante

PRIVACY

UN PROGRAMMA DI EDUCAZIONE CIVICA DIGITALE

VIVI INTERNETAL MEGLIO,VIVI INTERNETAL MEGLIO,

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Con la diffusione massiva di internet, una larga fetta delle dinamiche della nostra vita si sta naturalmente spostando sul digitale. Le nostre azioni

quotidiane si svolgono contempo-raneamente online e offline senza soluzione di continuità. Il mondo fi-sico e quello online si fondono così in un’unica dimensione esistenziale, nella quale attività ordinarie come programmare una lavatrice o fare la revisione dell’auto avvengono in modo automatizzato, ad esempio attraverso comandi vocali e l’elabo-razione di dati in cloud.

Anche le nostre vite sociali vivono intercambiabilmente online e offline così come la nostra esperienza di co-munità e cittadinanza. Internet faci-lita infatti grandi mobilitazioni attor-no a temi politici e sociali, fornendo potenzialmente a tutti gli strumenti per una partecipazione democratica sempre più profonda.

A fronte di questo enorme cam-biamento che travolge parimenti la sfera pubblica e privata dell’in-dividuo e che trasforma e amplifi-ca la rilevanza per la comunità dei comportamenti dei singoli, sorge l’esigenza di una riflessione sui di-ritti e sulle responsabilità dei citta-dini della sfera pubblica digitale. Al centro, ci sono anzitutto i più giova-ni, i principali utilizzatori di tecnolo-

gia e, letteralmente, nativi digitali.

Per bambini e ragazzi Internet è infatti luogo e fonte di intrattenimento, relazioni sociali, informazione ed edu-cazione e il modo in cui vivono online, i contenuti che fruiscono, le relazioni che costruiscono e il modo in cui trascorrono il loro tempo contribuiscono in modo deter-

minante a definire chi diventeranno da grandi. Genitori ed educatori, d’altro canto, faticano a comprendere le sfide che i ragazzi affrontano online ogni giorno: il modo in cui i più piccoli utilizzano la tecnologia è infatti molto diverso da quello degli adulti, così come la percezione di ciò che può essere considerato un comportamento accettabile.

Per questa ragione, da sempre più versanti viene sot-tolineata l’esigenza di offrire ai ragazzi strumenti per orientarsi nel caotico mondo di Internet e comportarsi in modo positivo, intelligente e gentile: per essere, cioè, dei bravi cittadini digitali. Una ricerca commissionata da Google condotta su oltre 2000 insegnanti in tutto il mondo rivela che, tra gli insegnanti italiani, il 15% ha di-chiarato di aver riscontrato problemi legati alla sicurezza e alla privacy online nella propria scuola e il 98% ritiene che la formazione su questi temi dovrebbe entrare a far parte del curriculum scolastico. Inoltre, l’87% sostiene che i genitori non farebbero abbastanza in materia di sicurezza online e l’85% di non disporre attualmente dei mezzi necessari per affrontare simili problematiche.

L’esigenza di offrire a ragazzi ed adulti strumenti per aiutarli a diventare cittadini digitali è stata raccolta a vario titolo dalle istituzioni, che, sia a livello nazionale che europeo, sono intervenute con iniziative e progetti didattici volti a sensibilizzare sui temi di un internet più sicuro. Nell’ambito del progetto “Safer Internet Day”, co-ordinato dalla Commissione Europea, sono stati istituiti

Il 15% degli insegnanti italiani ha dichiarato di aver riscontrato problemi legati alla sicurezza e alla privacy online nella propria scuola e il 98% ritiene che la formazione su questi temi dovrebbe entrare a far parte del curriculum scolastico.

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Safer Internet Center in ogni paese dell’Unione (in Italia, con il progetto Generazioni Connesse), che raccolgono le più importanti expertise locali per promuovere un uti-lizzo positivo della rete da parte dei più giovani. Nella scorsa legislatura, il Governo Renzi ha approvato nel 2015 il Piano Nazionale Scuola Digitale nell’ambito de la Buona Scuola, che prevede l’adozione di un curricu-lum di educazione digitale, con l’ambizione di integrare i contenuti tradizionali di educazione alla cittadinanza con un gli strumenti utili ad agire da bravi cittadini an-che nella dimensione online. Anche il nuovo Governo, pur sottolineando un cambio di paradigma in termini di politiche della scuola, ha rivendicato e fatto proprio il tema della cittadinanza digitale, con proposte di legge a firma Lega e Movimento 5 Stelle.

Quanto a Google, siamo impegnati da molti anni sui temi delle competenze digitali e collaboriamo con le Istituzio-ni per aiutare tutti, e in particolare i più piccoli, a navi-gare in modo consapevole e sicuro, mantenendo il più possibile il controllo sulle proprie informazioni condivise online. Crediamo infatti che i cittadini e i lavoratori digi-tali del futuro debbano acquisire competenze non solo riguardo al funzionamento di internet e al suo linguag-gio, ma anche su come comportarsi, cosa condividere, come interagire con gli altri e come proteggersi dai rischi.

Con questa convinzione abbiamo disegnato il proget-to “Vivi Internet, al meglio”, affiancandoci a compagni

di viaggio con cui abbiamo costrui-to nel corso degli anni un rapporto di stima, fiducia e condivisione di obiettivi comuni: il MIUR, nell’ambito del progetto Generazioni Connes-se - Safer Internet Center, Telefono Azzurro ed Altroconsumo. Il pro-gramma comprende risorse dispo-nibili gratuitamente per adolescenti, insegnanti e genitori, per mettere a loro disposizione gli strumenti per imparare ad usare il web in maniera responsabile e, soprattutto nel caso degli adulti, dare il buon esempio. 5 principi di base: 1) Condividi usando il buon senso; 2) Impara a distinguere il vero dal falso; 3) Custodisci le tue informazioni personali; 4) Diffondi la gentilezza; 5) Nel dubbio, parla-ne - vengono proposti per mezzo di pillole video formative realizzate dagli YouTuber per i ragazzi, 20 con-sigli strutturati e un test di valutazio-ne, realizzati da Altroconsumo per i genitori e 2 ore di contenuti online e un roadshow che coinvolgerà gli insegnanti delle scuole secondarie di tutta Italia, in collaborazione con Telefono Azzurro. Per avvicinare i più giovani al mondo dell’educazio-ne civica digitale, inoltre, abbiamo chiesto a 5 creators di calarsi per un giorno nella vita di altrettanti adole-scenti, affrontando al loro posto i di-lemmi quotidiani in tema di privacy e sicurezza online.

Con l’aiuto di Telefono Azzurro, infine, il progetto vivrà anche nelle scuole, dove un team di esperti offrirà for-mazione gratuita in workshop della durata di 2-4 ore, con l’obiettivo di raggiungere almeno 30mila docenti entro il 2020. Si partirà dalla Lombardia, per arrivare poi in Sicilia e, pian piano, in tutte le altre regioni italiane.

1) Condividi usando il buon senso

2) Impara a distinguere il vero dal falso

3) Custodisci le tue informazioni personali

4) Diffondi la gentilezza 5) Nel dubbio, parlane

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Siamo consapevoli che sensibilizzare i ragazzi su temi complessi e talvolta difficili da elaborare per chi sta compiendo un percorso di ricerca del sè sia un obiettivo ambizioso. Sappiamo anche però che per raggiungerlo è necessario che mondo pubbli-co e privato lavorino insieme per fare in modo che

tutti i ragazzi abbiano accesso a queste nozioni così semplici ma altrettanto importanti per la loro vita e quella degli altri, indipendentemente dal quartiere in cui vivono, dalla scuola che frequentano, dalle di-sponibilità economiche e culturali della famiglia da cui provengono.

Se è riservatoverrà lasciato nella fotocopiatrice.

Arthur Bloch

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Insegne lampeggianti ai lati del Corso. Brand al pari delle miglio-ri locandine cult. Le code all’in-gresso sono la regola nei grigi weekend di febbraio, figurarsi

la settimana precedente il Nata-le. Dopo un’attesa febbrile entri e scopri di essere in uno stand dall’at-mosfera quasi familiare, già vista. Ti guardi intorno a fatica, mettendo a fuoco la lente del cliente che per-de la propria razionalità a mano a mano che il tempo passa. In mezzo ai corridoi colorati improvvisamente individui lei: la giacca perfetta per il look casual che solitamente ti con-

traddistingue. Quella tanto deside-rata da quando lo spot televisivo ha infestato la tv nazionale. Il passo si affretta, lo sguardo si ingolosisce, le spalle sono già pronte ad indos-sarla, la mano solleva la gruccia e l’occhio inizia ad esaminarne i det-tagli. Non è però il tuo occhio. È uno sguardo freddo ed invisibile. Non a tutti. Soltanto al cliente. È lo sguar-do del consumismo e di chi ne tie-ne le redini. Ovvero i data-scientists delle grandi multinazionali.

Nati come esperti statistici abili nel calcolo delle previsioni e delle analisi

È IL MARKETING, BELLEZZA!

di Andrea Incerpi

BIG DATA

BIG DATA:

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di dati molto numerosi, queste figu-re sono oggi cruciali per la maggior parte delle più famose aziende del mondo. La loro importanza è stata consacrata dall’esplosione degli or-mai noti big data. Il nome nasconde un tipico esempio di false friend in-glese. Non si tratta infatti di databa-se costituiti solamente da una mole impressionante di dati, nell’ordine dei miliardi, ma di dati destrutturati fatti di elementi multimediali quali testi, foto, video, registrazioni audio che necessitano di complesse e approfondite analisi, proprio per la loro natura disomogenea. Vengono raccolti dai grandi team di customer relationship management (CRM) fin da quando lo sguardo del cliente si posa sull’oggetto in negozio, lo os-serva, riflette sull’acquisto per poi procedere magari aspettando i saldi di fine stagione o il primo weekend disponibile. Il tempo di giacenza in negozio, il numero di oggetti venduti, la localizzazione dei clienti fidelizzati fino alle reazioni all’acquisto condivi-se con stati euforici su Facebook o esibendosi come incallito follower su Instagram, magari inserendo il giusto sottofondo musicale, sono tutti elementi che vengono registra-ti, classificati e soprattutto analizzati per assecondare e guidare le nostre scelte di acquisto, i “nostri” gusti.

Questo approccio analitico detta-gliato e orientato alle preferenze del consumatore ha fatto la fortuna delle multinazionali più agguerrite, da Zara ad Apple, potendo far leva su informazioni, un tempo intime, disperse dai clienti in maniera più o meno conscia sulle piattaforme

reali dei negozi o su quelle di rete. Se è vero che la conoscenza è diret-tamente proporzionale al potere in senso assoluto, i detentori di questi dati hanno la possibilità di sfruttare informazioni un tempo inarrivabili al fine di determinare mode, gusti ma anche spostando flussi di denaro e risorse in settori specifici. Senza contare i dati raccolti dai comuni

istituti finanziari in ottemperanza alle nuove normative di profilazione dei clienti, utili certamente a tute-lare risparmi e patrimoni privati, ma in grado di rivelare dettagli sensibili e cruciali dei singoli consumatori. Certamente cadere nella squallida retorica complottista tipica di que-sti tempi politicamente aridi è cosa

assai facile. Tuttavia, il cuore della questione non è dubitare o insor-gere contro questo fenomeno di dispersione e raccolta di informa-zioni, peraltro inarrestabile. Ma ca-pire piuttosto cosa le istituzioni stia-no facendo, e in parte abbiano già fatto, per la tutela di un patrimonio che sta diventando sempre più rile-vante grazie all’avanzamento della frontiera tecnologica. La tutela dei dati personali, affrontata nel recen-te General Data Protection Regula-tion (GDPR), è oggetto di dibattito a livello nazionale ed europeo con un testo di riferimento che guarda con particolare attenzione ai dati cosid-detti personali, quali origine etnica, opinioni politiche e religiose, e ai dati sensibili, ovvero quelli genetici o, più in generale, legati alla salute.

Resta ancora da trovare una sintesi per tutto ciò che riguarda dati più direttamente inerenti la sfera eco-nomica, vera sfida per il futuro. Con quale misura è possibile lasciare che aziende globali sfruttino una simile ricchezza statistica senza un vero “prezzo” da sostenere se non il costante monitoraggio incluso nel-la loro attività? È sufficiente cliccare su un banalissimo tasto “acconsen-to” dopo pagine di Times New Ro-man 5 per lasciare che tutto ciò che ci riguarda sia tracciato e trattato? Per il momento accontentiamoci della risposta che qualsiasi Custo-mer Manager potrebbe confidare: è il marketing, bellezza!

Non si tratta infatti di database costituiti solamente da una mole impressionante di dati, nell’ordine dei miliardi, ma di dati destrutturati fatti di elementi multimediali quali testi, foto, video, registrazioni audio che necessitano di complesse e approfondite analisi, proprio per la loro natura disomogenea.

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di Monica Tocchi

BIG DATA

In tema di trattamento dei da-ti personali c’è una vicenda di particolare rilievo internazio-nale che ha fatto molto discu-tere negli ultimi mesi dimo-

strando chiaramente come i no-stri dati, forniti più o meno con-sapevolmente ai social network, e in questo caso a Facebook, non siano adeguatamente tutelati. È il caso internazionale di Cambridge Analytica, una società britannica specializzata nell’analisi dei da-ti, nella pubblicità e nella consu-lenza politica. Fondata nel 2013 da Steve Bannon e Robert Mer-cer, come filiale di un’altra società denominata Strategic Commu-nication Laboratories (SCL), l ’a-zienda ha sede principale a Lon-

dra e uffici distaccati a New York City, Washington D.C., San Paolo e Kota Damansara, Petaling Ja-ya, ed è stata coinvolta in ben 44 campagne elettorali politiche statunitensi, lavorando a soste-gno delle campagne 2016 di Tru-mp, Ted Cruz e Ben Carson, tutti candidati repubblicani. Il ruolo di Cambridge Analytica nelle cam-pagne elettorali, prime tra tutte Stati Uniti e Brexit, è attualmen-te al centro di indagini penali in corso con l’accusa di aver otte-nuto e utilizzato impropriamente i dati di circa 87 milioni di utenti statunitensi da Facebook senza autorizzazione per targetizzare e ottimizzare al massimo la porta-ta della propaganda politica del-la campagna Trump in occasione delle ultime elezioni statunitensi.

Il primo dei protagonisti di questa vicenda è Robert “Bob” Mercer, classe 1946, noto miliardario cali-forniano, ex co-CEO di Renaissan-ce Technologies è il fondatore e il principale finanziatore di Cam-bridge Analytica, nonché uno

dei principali sostenitori di Tru-mp nel 2016. Dal giungo 2014, ai vertici della società in qualità di vicepresidente c’era anche Steve Bannon, guru della alt-right sta-tunitense, futuro stratega della Casa Bianca e, per parte del 2017, membro del Consiglio Nazionale per la Sicurezza. Alexander James Ashburner Nix, già direttore di SCL e CEO di Cambridge Analyti-ca è stata la persona che ha con-vinto Mercer e Bannon a creare l ’azienda e a metterla a disposi-zione di alcune delle campagne politiche più importanti degli ul-timi anni. Travolto dallo scandalo, soprattutto per un video rilancia-to da Channel 4 News, Nix è stato sospeso con effetto immediato il 20 marzo 2018.

Christopher Wylie è forse il pro-tagonista più coraggioso di que-sta vicenda, il whistleblower del-lo “scandalo del secolo”, come lo avrebbe definito il garante eu-ropeo per la Privacy, Giovanni Buttarelli. L’informatico trenten-ne avrebbe rivelato al Guardian

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IL CASO CAMBRIDGE ANALYTICA

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come Cambridge Analyti-ca usasse già dai primi mesi del 2014 le informazioni private delle persone senza autorizzazione per fabbricare un sistema capace di profilare singoli elettori statuni-tensi, al fine di influenzarli con an-nunci politici personalizzati. Nel suo lavoro di raccolta dati Chri-stopher Wylie viene affiancato da Alexandr Kogan, un matematico russo-americano nato in Molda-via, professore di psicologia all ’u-niversità inglese di Cambridge e capo della società Global Scien-ce Research (GSR). Alexandr è l ’i-deatore e sviluppatore della app

“thisisyourdigitallife”, un’app ap-parentemente insignificante sot-toforma di quiz. Se per gli utenti che la scaricavano rappresentava un test come un altro per creare il proprio identikit digitale, nella re-altà era uno strumento per ricer-che psicologiche che consentiva di indovinare alcuni aspetti della personalità degli utenti.

Partendo dai dati di 270.000 uten-ti acquisiti con la scusa di essere

utilizzati per finalità scientifiche ed accademiche, l ’app su FB sa-rebbe arrivata a captare infine le informazioni personali di ben ol-tre 87 milioni di utenti Facebook (informazioni che comprendeva-no like, post condivisi e in alcu-ni casi perfino i messaggi privati) grazie anche alla raccolta di in-formazioni sugli amici degli uten-ti che avevano deciso di scaricare la app.

Se Facebook ha dichiarato che l’app gli era stata presentata co-me uno strumento di ricerca per fini accademici e che sarebbe sta-to Kogan a mentire e a violare le politiche aziendali attraverso la trasmissione dei dati a Cambridge Analytica, Kogan dal canto suo ha invece affermato che i termini e le condizioni della sua app con-sentivano espressamente “l ’uso commerciale”. Non sappiamo do-

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È stata coinvolta in ben 44 campagne elettorali politiche statunitensi, lavorando a sostegno delle campagne 2016 di Trump, Ted Cruz e Ben Carson, tutti candidati repubblicani.

ve stia la verità, l ’unica certez-za è che i dati rilevati dal Dr. Ko-gan sono stati passati a Strate-gic Communication Laboratories (SCL), che possiede Cambridge Analytica (CA). È proprio a que-sto punto del trasferimento di dati dal Dr. Kogan ad altri terzi come CA che il Dr. Kogan avreb-be violato i termini di servizio di Facebook, che proibiscono il tra-sferimento o la vendita di dati “a qualsiasi rete pubblicitaria, data broker o altri servizi pubblicitari o di monetizzazione”.

Dalle indagini emerge che Face-book sarebbe stata a conoscen-za dell’utilizzo illegittimo dei dati dei suoi utenti dal 2015 e avreb-be richiesto la cancellazione di questi un anno dopo ma, come scrive il New York Times, copie di questi dati sarebbero ancora di-sponibili e fuori dal controllo di

Menlo Park. Tuttavia, Facebook non si è premurata di rilascia-re alcuna dichiarazione pubblica in merito all ’incidente né ha in-formato gli utenti i cui dati era-no stati condivisi con CA e non avrebbe nemmeno riportato l ’in-cidente alla Federal Trade Com-mission, l ’agenzia statunitense che supervisiona i problemi re-lativi alla privacy. CA è solo la punta dell’iceberg di un insieme di casi internazionali di violazioni dei dati degli utenti, ma possia-mo con certezza affermare che

Cambridge Analytica rappresenti a tutti gli effetti il più grave abu-so dei dati dei consumatori che si sia mai visto. Né i 300.000 utenti di Facebook che hanno scaricato l ’app né gli 87 milioni comples-sivamente coinvolti potevano prevedere che i loro dati perso-nali sarebbero stati utilizzati per scopi politici e in particolare per supportare le campagne conser-vatrici dei candidati americani.

Quella di Cambridge Analytica è una storia complessa che parla di psicometria e microtargeting ma anche di dati rubati, sistematico sfruttamento delle identità, gra-vi violazioni della privacy, trucchi e manipolazioni, pratiche frau-dolente e di scopi non dichiarati. Una storia il cui racconto è stato reso possibile grazie all ’inchiesta giornalistica del The Guardian, a cui si è sommata quella del New York Times.

Dopo che le inchieste delle due famose testate hanno attirato l ’attenzione dei giornali interna-zionali, in un servizio televisivo

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Né i 300.000 utenti di Facebook che hanno scaricato l’app né gli 87 milioni complessivamente coinvolti potevano prevedere che i loro dati personali sarebbero stati utilizzati per scopi politici.

trasmesso dall’emittente britan-nica Channel 4 News, viene ri-preso l’allora CEO di CA Alexan-der Nix ammettere di aver usa-to trappole e metodi illegali per aver influenzato alcune elezioni straniere. Da quel servizio emer-ge come Cambridge Analytica abbia svolto un supporto che è andato ben oltre la raccolta di informazioni chiave legate a da-ti personali. Oltre al microtarge-ting utilizzato per far leva sulle paure o sulle speranze delle per-sone sono state utilizzate infor-mazioni sugli avversari politici attraverso sporchi stratagemmi, società e identità false. Mano a mano che le indagini sono an-date avanti la vicenda è sembra-ta arricchirsi di nuovi elementi, a questi si è aggiunto il caso del-la possibile influenza russa nelle elezioni americane.

Risulta che pochi mesi prima dell’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca, il responsabi-le della sicurezza informatica di Facebook fosse venuto a cono-

scenza che hacker russi stava-no cercando sul social persone collegate alla campagna elet-torale, per insinuarsi nei loro ac-count; anche in questa parallela vicenda, dopo un anno dalle ele-zioni statunitensi, Facebook non aveva ancora ammesso pubbli-camente di essere a conoscen-za delle interferenze russe nelle elezioni, e solo dopo le crescenti pressioni fu di fatto costretta a

consegnare al Congresso ame-ricano i documenti che provava-no il ruolo delle interferenze rus-se nelle elezioni, arrivando infi-ne a confessare che 126 milioni di persone avevano visualizzato contenuti creati da hacker russi. Che Cambridge Analytica c’en-trasse qualcosa anche con le in-terferenze russe poteva essere un’ipotesi da non scartare. In una testimonianza di fronte alla com-missione giudiziaria del Senato degli Stati Uniti il whistleblower Christopher Wylie ha dichiara-to di poter credere che i servizi segreti russi avessero accesso ai dati raccolti dalla società di con-sulenza. Ipotesi successivamente confermata da alcuni parlamen-tari inglesi grazie al lavoro svol-to dall’Ufficio del Commissario per le Informazioni del Regno Unito (ICO). Nonostante Kogan

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Che Cambridge Analytica c’entrassequalcosa anchecon le interferenzerusse poteva essereun’ipotesi da non scartare.

Dopo crescenti pressioni fu costretta a consegnare al Congresso americano i documenti che provavano il ruolo delle interferenze russe nelle elezioni, arrivando infine a confessare che 126 milioni di persone avevano visualizzato contenuti creati da hacker russi.

abbia smentito le accuse a suo carico su un ipotetico coinvol-gimento nella cessione dei da-ti alla Russia, non ha comunque mai escluso che qualche hacker russo potesse averglieli sottratti. L’accesso anche indiretto da par-te dei russi ai dati di Cambridge Analytica non poteva che esse-re finalizzato alla pubblicazione di annunci pubblicitari in America durante le elezioni presidenziali. Considerato che lo stesso ex ca-po della sicurezza aziendale di Facebook, Alex Stamos, ha con-fermato che i vertici del social fossero a conoscenza di come la propaganda russa stesse mani-polando il dibattito sulle elezioni americane, resta da capire per-ché Facebook non abbia reagito, investigando e rivelando l’inge-renza elettorale russa. L’evidente ritardo con cui il social network

più famoso al mondo avrebbe ammesso le proprie responsabili-tà sugli abusi condotti tramite la sua piattaforma fa presagire un celato tentativo di voler insab-biare la questione.

Quel che è certo è che le rassi-curazioni di Mark Zukerberg ai suoi utenti di fronte al Congres-so americano non sono bastate per mettere a tacere le legittime indiscrezioni di giornalisti ed opi-nione pubblica circa l ’evidenza della sua condotta controversa.

Di fronte a un tale scenario non resta che capire se Facebook ab-bia involontariamente commesso degli errori e non sia stato capa-

ce di prevedere e garantire un’a-deguata tutela dei dati dei suoi utenti impedendo che questi ve-nissero utilizzati per scopi non di-chiarati, o se dietro all ’apparen-te ed ostentata trasparenza si sia celata fino ad oggi una precisa volontà di non perfezionare l ’er-rata gestione dei dati personali.

Travolta dallo scandalo, la piat-taforma, che serve oltre due mi-liardi di iscritti in tutto il mondo, ha così dovuto affrontare un con-trollo pubblico senza precedenti, mentre le azioni di Facebook so-no crollate di quasi il 18% nei 10 giorni successivi alla notizia del 17 marzo e si è scatenata in re-

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te una campagna di boicottaggio con l’hashtag “#DeleteFacebook” capitanata dal co-fondatore di WhatsApp Brian Acton. Nel ten-tativo di ricucire lo strappo con i propri utenti, Facebook nel frat-tempo ha iniziato a lavorare per rendere più semplice agli stessi la modifica degli strumenti atti a tutelare la loro privacy annun-ciando una serie di novità sulla protezione dei dati, in linea con il nuovo Regolamento generale dell’Unione europea (GDPR), en-trato in vigore il 25 maggio, inclu-si gli aggiornamenti delle Condi-zioni d’uso e della Normativa sui dati. Da allora a tutti gli iscritti, indipendentemente dal Paese in cui vivono, viene chiesto di rive-dere le informazioni su come Fa-cebook usa i dati, e di compiere scelte in merito alla loro privacy sul social.

Lo scandalo Cambridge Analyti-ca è un campanello d’allarme che dovremmo ascoltare per aprire una riflessione su co-me utilizziamo i dati personali

nell ’età moderna: siamo davve-ro consapevoli a quanti e qua-li dati le piattaforme sulle quali ogni giorno navighiamo abbia-no accesso? Siamo consapevo-li che alle piattaforme e ai po-chi detentori mondiali di tutti i nostri dati più che interessare la nostra vita privata interessi la profilazione di massa per formu-lare previsioni e sviluppare una comunicazione commerciale e politica intrusiva e tarata sul-le preferenze e le opinioni che noi singoli utenti offriamo al-le piattaforme, decidendo cosa dobbiamo leggere, cosa dobbia-mo pensare, e quali informazioni dobbiamo ricevere?

La crescente pervasività degli algoritmi da parte dei colossi in-formatici attraverso i nostri dati personali rischia di scompagina-re i processi democratici e met-tere a repentaglio la nostra li-bertà di scelta. Il rischio vero per tutti noi che ci affidiamo al web come fonte principale per acce-dere a qualsiasi tipo di informa-

zione, è quello di vedere impo-verire il nostro bagaglio di idee e di interessi: è evidente che gli algoritmi ci forniscono un’infor-mazione filtrata e veicolata mo-strandoci solo i contenuti che vogliamo vedere.

Vogliamo davvero che la nostra libertà di scelta diventi mono-polio di un calcolo computazio-nale?

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La piattaforma, che serve oltre due miliardi di iscritti in tutto il mondo, ha così dovuto affrontare un controllo pubblico senza precedenti, mentre le azioni di Facebook sono crollate di quasi il 18%.

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YOUTHCULTURECinemaTeatroArteFilosofiaSerie TVMusicaLetteratura

abc

▼ SCOMPARSO

▼ CORSI E RICORSI ARTISTICI UN PERCORSO TRA ANONIMATO, INDIVIDUALITÀ E FAMA.

▼ VITE DEGLI ALTRI

▼ VANNI SANTONI E I SUOI PERSONAGGI UNA RECENSIONE PRECARIA

▼ SOLITUDINE

SCOMPARSOteatro

di Eugenio Nocciolini e Samuele Ravesi, illustrazioni di Fabrizio Bambi

Tra superstizione e fede.

Tra lecito e illecito.

Tra scogliere e spiagge.

Sovrastata dall’Etna e coccolata dal mare meravigliosamente pulito e incredibilmente freddo.

Incastrata.

Come una perla nell’ostrica.

Incastonata.

Come un diamante.

Eccola davanti a me: Catania.

Gli aromi per le stradine a doppio senso, anche se il senso di circolazione sarebbe uno solo, ti prendono tutto il naso.

Arancini.

Carne di cavallo.

Sangue.

Cipollata.

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teatro

Carne d’asina.

Sangue.

La vera granita.

Le sedie appoggiate fuori dai bar.

Gli “’mpare, dopo, facciamo dopo….

A ridosso del gigante, sotto il grande drago sputa fuoco.

Via Etnea.

Secondo piano. Appartamento liberty.

Apre la porta. I cardini, ben oliati, girano. Il solito meccanismo.

Apri e chiudi. Chiudi e apri.

Carta di Francia damascata alle pareti.

Chiudi e apri.

Rubinetti d’ottone.

Gran viavai di gente.

Tendine ricamate e centrini sul tavolo di marmo.

Questo i suoi occhi hanno visto.

Mobili massicci. Casa rispettabile.

Qui dove lui è nato.

Qui dove il 26 Marzo 1938 Ettore non è più tornato.

Bellavia: Ettore Majorana nato il 5 Agosto 1906. Via Etnea. Figlio di ingegner Fabio Massimo e di casalinga Dorina Corso. Quarto di cinque figli: Rosina, Salvatore, Luciano e Maria. Che vuol dire 5 calcoli? Ha per caso avuto cinque calcoli renali questo Cristo?

Saponara: No, no, intendevo che già alla tenera età di cinque anni era in grado di risolvere calcoli complicatissimi. Infatti, guardi la freccia…

Bellavia: Si interessa alla Fisica. Viene mandato a Roma per frequentare il collegio dei gesuiti “Massimiliano Massimo”. Nel ’21 tutta la famiglia si trasferisce a Roma, ho capito bene?

Saponara: Esatto! E nel ’23, come legge, si diploma all’istituto “Torquato Tasso” dove era arrivato al terzo anno.

Bellavia: Insomma, ha sempre avuto il meglio. Allora perché?

Saponara: Senta capitano: “Al mondo ci sono varie categorie di scienziati. Gente di secondo e terzo rango, che fan del loro meglio ma non vanno molto lontano. C’è anche gente di primo rango, che arriva a scoperte di grande importanza, fondamentali per lo sviluppo della scienza. Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene, Ettore Majorana era uno di quelli. Majorana aveva quel che nessun altro al mondo ha; sfortunatamente gli mancava quel che invece è comune trovare negli altri uomini, il semplice buon senso.” Firmato Enrico Fermi, suo professore universitario.

Bellavia: E un uomo così geniale e straordinario, dalla sera alla mattina, senza apparente motivo alcuno, se ne sparisce. Diventa un perfetto fantasma. In un battito di ciglia, Majorana è scomparso. Che fine può aver fatto?

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❯ ❯ IPOTESI IAtto volontario.

Consapevole.

Contro natura.

“Destinato all’Inferno, là dove pianto e stridore di denti.”

Atto di liberazione.

Gesto eroico.

Protesta.

“Libertà va cercando, ch’è si cara, come sa chi per lei vita rifiuta.”

Atto di pietà.

Gesto di responsabilità.

Comprensione.

“All’odio e all’ignoranza preferirono la morte.”

Il suicidio.

Com’è successo?

La camera è ancora in ordine.

Non una macchia.

Un vestito fuori posto.

La valigia chiusa.

Sul tavolo.

Non manca nulla.

Solo l’abito.

Quello buono?

Sembra che lo aspetti ancora.

Ma aspetta chi?

Perché nessuno se n’è accorto che poteva succedere?

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teatro

Il suo pacchetto di sigarette ormai è vuoto.

Accartocciato sulla sedia di legno.

Macedonia.

La marca, sì.

Oro e Rosso.

Le sue sigarette.

I segnali c’erano.

Perché nessuno ha fatto nulla?

E lui?

Lui, sì

Dove ha trovato la forza?

Morto.

Dove ha trovato la forza?

Scomparso.

Saponara: “Caro Antonio, ho deciso di togliermi la vita. L’ho deciso perché non sento un’autentica necessità di stare al mondo e credo che il mondo farà benissimo a meno di me. Sono molto stanco. Tu che mi conosci, puoi comprendere che la mia delusione non è quella di una ragazza ibseniana. Il problema è molto più arduo e profondo. Voglio ringraziarti per la cura che ti sei preso per me e per l ’affetto sincero che mi hai dimostrato. Ti chiedo scusa per l ’ inevitabile disturbo che il mio gesto ti arrecherà. Addio.”

Bellavia: Ti chiedo scusa per l’inevitabile disturbo che il mio gesto ti arrecherà. Addio?

Saponara: Così è scritto.

Bellavia: Bene. Dunque, con ordine, Majorana imbuca questa lettera. Si reca all’Università di Palermo per chiedere dell’amico Emilio Segrè…

Saponara: Emilio Segrè, suo compagno di corso alla facoltà di ingegneria. Dopo poco passerà a Fisica e sarà proprio lui il fautore dell’incontro fra Majorana e Fermi e del suo successivo passaggio al corso dell’amico.

Bellavia: Precisamente, ma Segrè non c’è. La sera del 25 Marzo parte da Palermo per Napoli e qui, sul traghetto, incontra il matematico Vittorio Strazzeri, col quale divide la cabina di seconda classe e si intrattiene in accese e brillanti conversazioni.

Saponara: Io intanto vado a registrare le lettere.

Bellavia: Fai, fai! Fai pure. Al mattino del 26, testimoni giurano di averlo visto passeggiare sul ponte della nave e il mattino, si sa, è l’ora più dolce e adatta ai suicidi. Tutto sembrerebbe tornare. Poco prima di sbarcare al porto, si getta in mare. Sì! Ma perché il mare non ha riportato il suo corpo? E perché suicidarsi quando, dopo aver rifiutato Cambridge, Yale, aveva finalmente accettato una cattedra all’Università di Napoli?

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Saponara: Scusi, capitano….

Bellavia: Saponara! Non vedi che sto pensando?

Saponara: Nel controllare, ho trovato un’altra interessante lettera, scritta dal Majorana pochi minuti dopo quelle letta in precedenza.

Bellavia: Avanti! Che dice?

Saponara: “Annullo notizia che ti ho dato. Scriverò ancora. Ettore.” Che vuol dire? Che non si è suicidato?

Bellavia: Annullo notizia che ti ho dato…?

❯ ❯ IPOTESI IIGuarda.

Cerca.

Compra.

Vende.

Il porto di Napoli.

Sullo sfondo.

E lì davanti le bancherelle.

Gente che arriva.

Gente che parte.

Imprenditori.

Pescivendoli.

Preti.

La giornata è abbastanza calda.

La confusione è totalmente invadente.

Come la voce dei pescivendoli.

Per pulizia pesce si accettano mazzette.

Dei venditori.

Agliule, puppi, sicci.

Degli uomini di affari.

Guarda.

Cerca.

Compra.

Vende.

Mattina.

Il giorno inizia così qui.

Tra tanfo, aromi e strilli…

Un caos ordinato di persone.

40

teatro

Bambini che ridono.

Vecchine che borbottano.

Guarda.

Cerca.

E lui...

Compra.

Vende.

Un omino anonimo.

Un professore….?

Valigetta in mano.

Abito elegante, ma mal ridotto.

Cammina nel caos.

Fuori tempo.

Come se non c’entrasse niente con quell’ambiente.

Come se lui, in realtà, non fosse lì.

Un cartonato.

Intorno le urla.

Guarda.

Cerca.

Compra.

Vende.

Lui muto.

Capo chino.

Lo sguardo a terra.

E non vede…

Non vede…

Non vede quell’uomo.

Pantaloni bassi.

Camicia mezza dentro, mezza fuori.

Coppola calata sugli occhi.

Maniche arrotolate.

Mani in tasca.

Il rumore delle navi.

Poco dietro.

Profumi assordanti.

Grida inebrianti.

Intorno a loro.

Lui muto.

Capo chino.

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Quello sguardo fisso sulla valigetta.

Perché non l’ha visto?

Perché non ha alzato la testa prima?

Nessuno se ne accorge.

Nessuno presta attenzione.

Nessuno vede nessuno.

C’è solo….

Guarda.

Cerca.

Compra.

Vende.

Sta arrivando.

Rapito.

Sta arrivando.

Scomparso.

Bellavia: Rapito, questo è il fatto. Pensaci, Majorana, poi, sapeva un sacco di cose. Robe grosse. 1938… Chissà cosa avrebbe saputo o potuto fare in un momento così delicato. Capisci a cosa mi riferisco…

Saponara: La bomba!

Bellavia: La bomba atomica.

Saponara: Che si tratti della mafia?

Bellavia: Saponara, qui la mafia non c’entra nulla! C’è altro dietro.

Saponara: La bomba atomica. Solo il nome mette paura.

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teatro

Bellavia: Saponara, perché si rapisce qualcuno?

Saponara: Per farlo parlare?

Bellavia: Per farlo parlare gli bruci una sigaretta sulla mano o qualcosa del genere, perché prendi una persona?

Saponara: Perché ti serve per qualcosa?

Bellavia: Oppure per impedirgli di fare qualcosa?

Saponara: Giusta osservazione, capitano. Prove?

Bellavia: Non ne abbiamo. A parte il fatto che Majorana è scomparso.

❯ ❯ IPOTESI IIILa valigia è pronta.

Ordinata.

Calzini a lato.

Pantaloni sotto.

Camicie sopra.

Il rischio è grande.

La posta in gioco è enorme.

Sapeva che poteva succedere.

Lo intuiva. Lui intuisce sempre tutto.

Il caos.

La confusione.

Il disordine.

Non lo sopporta.

L’ordine.

Nella valigia è totale.

Le mutande arrotolate con gli asciugamani da bidet.

Bianco.

Non c’è altra scelta. Lui solo ha capito.

La stanza è vuota.

Silenziosa.

Muta.

Come se non capisse la sua scelta.

Che fai?

Perché?

Resta!

Spegne la luce.

Chiude la porta.

Lui sa.

Lui intuisce.

Nessun altro.

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Lui.

Solo lui, già.

Scende in strada.

Ci pensava da giorni, ma non trovava la forza.

Lo voleva fortemente, ma cambiava idea.

Eppure.

Forse.

Ma se.

No. Nessuno scampo. Nessuna via.

Il rischio è grande, lo sa.

Lo ripete. Poco da ragionare.

La posta in gioco è alta, verissimo.

E lui non ci sa fare con le responsabilità.

Quel peso opprimente.

Soffocante.

Insopportabile.

Sapeva che poteva succedere.

Per i più è sempre stato inesistente.

Inconsistente.

Un’ombra.

Su per giù.

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teatro

E tale resterà, anche questo 26 Marzo 1938.

Un cappotto anonimo.

Scarpe comuni.

Un volto insignificante.

Uno come tanti.

Uno come molti

Uno come è sempre stato.

Scivolerà tra le persone che corrono.

Spingono.

Pensano ad altro.

Sarà puntualmente inutile, come avrebbe potuto non essere.

Per le sue immense doti.

Calzini a lato.

Pantaloni sotto.

Camicie sopra.

Ordinato.

Se ne sta andando.

Fuggito.

Se ne sta andando.

Scomparso.

Saponara: Fuggito dove?

Bellavia: Ma è chiaro. Nel monastero dei Cappuccini a Chiaravalle, Catanzaro.

Saponara: Lei mi sta dicendo che questo vive con i preti? Perché? Perché si sarebbe nascosto lì?

Bellavia: Ricordati che stiamo parlando di un soggetto che, lo stesso Fermi, definiva alla stregua di geni del calibro di Newton, Galileo. Ricordi la lettera?

Saponara: Appunto! E uno così, secondo lei, si va a rinchiudere in un monastero?

Bellavia: Una mente del genere guarda in avanti. Vede il futuro. Conosce ciò che accadrà prima, molto tempo prima, di un comune essere umano. Comprende situazioni e misteri che non siamo in grado di concepire o di afferrare. Cose mostruose. Cose inumane. Cose di cui prima non esisteva nemmeno l’ombra di un’idea.

Saponara: Che aspettiamo dunque? Andiamo a fare una “gita” in questo monastero.

Bellavia: Non serve perché ho saputo da persone a lui vicine che era gravemente malato, ormai da anni. Come minimo, sarà già deceduto nella pace e nella quiete del luogo. Nulla di più. Nulla di meno.

Saponara: Nulla di più? Nulla di meno?

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Majorana: Mattia Pascal vive a Miragno, un immaginario paese della Liguria. Il padre, intraprendente mercante, ha lasciato alla famiglia una discreta eredità, che presto va in fumo per i disonesti maneggi dell ’amministratore, Batta Malagna. Mattia per vendicarsi compromette la nipote Romilda. Costretto a sposarla, si trova a convivere con la suocera Marianna Pescatori, che lo disprezza. La vita familiare è un inferno, umiliante il modesto impiego nella Biblioteca Boccamazza. Mattia decide allora di fuggire per tentare una vita diversa. A Montecarlo vince alla roulette un’enorme somma di denaro e per caso legge su un giornale della sua presunta morte. Ha finalmente la possibilità di cambiare vita, col nome di Adriano Meis. Ho sempre amato e apprezzato Pirandello e tutte le sue opere, ma in particolar modo “Il fu Mattia Pascal”. L’idea era troppo allettante per non seguirla. Una finta morte. Una nuova identità. Ci pensate? Nessuno che ti conosce. Nessuno che ti giudica. Nessuno che pretende niente da te. L’oblio. Lontano da tutto. Lontano da tutti. Da tutti quelli che mi cercano. L’oblio. Da tutti quelli che non sanno che io, defunto Ettore Majorana, ora sono una persona dimenticata, dunque libera. Ora sono una persona che sta bene. Ora sono una persona che non ha responsabilità. Ora sono una persona. Non sono più il genio Ettore Majorana, ora. Non sono più il fisico Ettore Majorana, ora. Non sono più il pupillo di Enrico Fermi, ora. Ma solo un nome, come tanti altri. La normalità. La formula che ricerco da anni. Finalmente l ’ho trovata. Addio, Catania! Addio, Sicilia! Addio, Ettore Majorana!

Bellavia: Ovviamente anche quest’ultima è solo una mia ipotesi. L’ennesimo frutto dei miei pensieri. Non ditela a Saponara, per carità! La verità è che io non so minimamente se sia davvero andata così, forse non lo sapremo mai. Però, mi chiedo, se anche avesse voluto cambiare vita, chi sono io per far scattare una caccia all ’uomo mondiale? Se ha scelto autonomamente di mollare ogni cosa, è un male? Non è anche questo un suo diritto? Boh… Certo, sapete cosa non capisco. Sì, insomma, non capisco perché abbia mollato. Perché? Mi fanno impazzire i perché. Mi fanno impazzire le cose che non comprendo. Divento matto. Come la Settimana Enigmistica. Riuscissi una beneamata volta a finire uno schema. Nemmeno mezzo. E spesso le poche definizioni che conosco mi fanno ricordare cose che detesto. Ma credo che oggi, dato l ’insuccesso del caso Majorana, avrò più fortuna nel gioco. Magari provando con uno schema semplice. Allora, 1 orizzontale: participio passato di scomparire.

L’arte è un riflesso dell’uomo nei secoli. Vive e cambia assieme a noi, cristalliz-za nel tempo la nostra immagine e non permette di far cadere nell’oblio ciò e come eravamo. Nell’antica Grecia, da

dove trae origine l’arte occidentale, il tempo

veniva concepito come un movimento ciclico,

tutto si ripete senza smettere mai, come in un

cerchio dove non c’è né inizio né fine. Come

durante l’anno la natura passa dall’estate all’autunno e dall’inverno alla primavera, così anche l’arte ha avuto secoli d’oro come seco-li di ferro, i periodi “bui” dell’età medievale e quelli fiorenti del Rinascimento.

Leonardo, Michelangelo, Raffaello: erano nomi paradigmatici, modelli eterni della real-tà, i geni del ‘500; mentre l’arte a cui si ispira-vano, l’arte degli antichi, agli arbori della sua

di Vera Volnova

arte

Un percorso tra anonimato, individualità e fama

CORSI E RICORSI ARTISTICI

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storia, era completamente anonima. I maestri dei tempi lontani non ci hanno tramandato i loro nomi perché l’arte era collettiva, l’opera non era merito di un individuo ma frutto del-la città e della cultura nella quale si formava l’artigiano.

Abbiamo detto che tutto si ripete, così al gior-no d’oggi viviamo un’altra stagione di arte anonima.

La città è diventata la più grande galleria d’ar-te, la pittura di strada che adorna le mura e il lastricato. Prendiamo come esempio la città di Firenze, culla del Rinascimento:

David, che si fa un selfie con la maglietta “I LOVE FLORENCE”, la Venere di Botticelli (o sempre il David) che si mette la maschera in attesa di un forte acquazzone di novembre.

Gli scorci della città dipinti sugli sportelli dei contatori del gas.

Arte che si mostra ai nostri occhi, senza dover pagare il biglietto d’ingresso; arte che cattura la nostra attenzione perché è creata dai no-stri contemporanei e per questo “ci somiglia”. Opere che valorizzano il nostro patrimonio o che criticano la società attraverso il sarcasmo.

È arte che non ha bisogno di essere conte-stualizzata a differenza di molti capolavori antichi i quali, per essere intesi a pieno, van-no decodificati poiché ci raccontano il passa-to e non il presente. Ma chi sono gli artefici di queste nuove opere? I nomi spesso rimango-no nell’ombra.

Tuttavia, non è la prima volta. Nel corso del-la storia ci sono state altre fasi in cui l’uomo ha deciso di rimanere all’ombra di qualcosa di più grande di lui. L’arte medievale, ad esem-pio, non ci ha lasciato molti nomi, perché l’ar-tista non attribuiva a sé il merito dell’opera

arte

bensì a Dio, nelle cui mani l’artefice si sentiva strumento: strumento, non creatore.

Prendiamo, come esempio, la Chiesa di San Miniato che domina il panorama di Firenze; e, in particolare, la facciata romanica, con la ca-ratteristica bicromia creata dall’alternanza del marmo bianco di Carrara e del verde di Prato, che a sua volta forma il disegno geometrico che percorre l’intera facciata.

Nel registro superiore possiamo ammirare un mosaico del tredicesimo secolo: Cristo bene-dicente tra la Vergine e San Miniato. Una bel-lezza ammirata da milioni e milioni di persone senza sapere chi sia il creatore. Ma, in fondo, ha davvero tutta questa importanza? Cosa cambierebbe se sapessimo che il disegno è

di Tizio o di Caio? Diventerebbe improvvisa-mente più bella? “Cosa c’è in un nome? Ciò che chiamiamo rosa anche con un altro nome conserva il suo profumo” scriveva Shakespea-re. In certe epoche l’uomo ha bisogno di no-minare, classificare, come se senza nome le cose non esistessero di per sé, e non riesce a lasciare anonimo quello che tale voleva esse-re. La facciata di San Miniato è il frutto di un lavoro collettivo che si fece per accrescere la gloria di Dio e non quella individuale. Come il Santo Miniato dona la sua corona a Dio, così gli artisti gli donano il loro merito lasciando volontariamente nell’oblio i loro nomi.

Come è accaduto che dall’arte anonima si sia arrivati ai nomi eterni? Se è vero che le cose

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diventano più chiare quando vengono messe a contrasto, la facciata della chiesa di Santa Maria Novella a Firenze ne è l’esempio per-fetto. La chiesa, chiamata da Michelangelo “la mia bella sposa”, ha la facciata costruita in due epoche diverse. A occhio nudo, da un punto di vista estetico, non si direbbe che c’è tanta differenza tra i due livelli, tuttavia vi è una profonda differenza nel messaggio che ci tramandano attraverso i secoli. Ci parlano, infatti, delle differenze con cui l’uomo conce-piva sé stesso nel mondo.

Il primo livello - ovvero i sei avelli a sesto acuto - è di epoca medievale, costruito con i soldi lasciati da Turino di Baldese, ci dicono le fonti. La parte superiore, che armonizza in modo mirabile le parti gotiche preesistenti e le nuove rinascimentali, costruita tra 1458 e 1470 da Leon Battista Alberti, sfoggia, inciso a caratteri cubitali nel fregio sotto il timpa-no, IOHANES-ORICELLARIUS, il nome del ric-co mercante e umanista fiorentino che donò i fondi per la realizzazione.

Ciò che oggi apparirebbe impensabile a quei tempi era una prassi: il nome di un mortale

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arte

sulla casa di Dio o il volto di un vivente den-tro una rappresentazione sacra come nell’A-dorazione dei Magi, dove Botticelli ritrae sé e tutta la famiglia dei Medici.

Da Dio come centro dell’universo nel ‘300 si passa alla visione antropocentrica del ‘400. Umanesimo significa riscoperta dell’uomo come forza attiva e trasformatrice. L’uomo di-venta l’artefice della propria sorte e plasma il mondo intorno a sé, si pone consapevolmen-te al centro. Si mette in discussione la scola-stica medievale. Al posto della contemplazio-ne statica delle verità eterne arriva la ricerca e la messa in discussione dei vecchi paradig-mi. Galileo, Leonardo sono i frutti di questo cambiamento epocale. Dall’arte collettiva all’arte individuale. Dai maestri senza nome ai nomi memorabili.

“Tutte le cose dritte mentono, borbottò sprezzante il nano. Ogni verità è ri-curva”. Una curva che si avvolge attorno a un punto centra-le, creando i cerchi

temporali che, come in una spirale, possono avvicinarsi così tanto che nello stesso arco temporale possiamo avere eventi di epoche diverse.

Così, al giorno d’oggi, coesistono artisti come Damien Hirst, che rappresenta l ’apice, spesso spinto al parossi-smo, dell’individualismo e dell’importanza del nome, e l ’artista di strada

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Banksy, un anonimo contemporaneo la cui vera identità rimane tuttora sconosciuta. Anche se, a dirla tutta, soprattutto dopo l’operazione dell’o-pera tagliuzzata da Sotheby’s, il dubbio che sia un anonimato più “commerciale” che non filosofico-e-sistenziale a volte sorge. In ogni caso, è un anoni-mo la cui fama sta per superare ogni altro artista moderno. L’arte ha sempre una vita propria, attra-

verso quale rende visibile ciò che non sempre lo è, indipendentemente da chi la crea.

George Bernard Shaw, premio Nobel per la letteratura, disse: Si usa-

no gli specchi per guar-darsi il viso e si usa-

no le opere d’arte per guardare la propria anima.

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Riscoprire Le vite degli altri (2006), capola-voro di Florian Henckel von Donnersmar-ck premiato con l’Oscar come miglior film straniero, non è solo un esercizio cinefilo o un approfondimento storico sulla Berli-

no divisa dal muro, ma una chiave di lettura per l’oggi. A patto di voler capire che questa pelli-cola non è soltanto una grande storia di spio-naggio nell’ ex Repubblica Democratica Tede-sca, ma un’avvincente fiaba universale sull’amo-re, il coraggio delle scelte e la privacy. D’altron-de la sua stessa trama, fatta di soprusi e corag-gio, è antica quanto il potere e ha attraversato secoli, bandiere e divise diverse.

Berlino est, 1984. Un efficiente e inflessibile agente della Stasi viene incaricato di spiare la vita di un noto drammaturgo per scoprire sue azioni compromettenti o avverse al regi-me socialista. L’ordine è impartito da un lo-sco ministro della cultura invaghito della mo-glie dello scrittore e smanioso di avere piaz-

za libera. Canovaccio diffuso nella ex Repub-blica Democratica Tedesca, dove ogni giorno circa 200.000 collaboratori della Stasi spiava-no e riferivano, spesso nascosti tra gli amici e in famiglia.

L’ANGELO CUSTODE nelle VITE DEGLI ALTRI.

cinema

Un miracolo nel regime senza privacy

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di Giulio Seminara

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Il guizzo geniale del regista è stato non focalizzar-si sulla nota e meritoria resistenza, il fascinoso scrit-tore che inizia a usare la penna contro gli oppresso-ri, oppure sulla versione di lei, tra abusi, paura e sen-so di colpa.

L’autore, qui al suo primo lungometraggio, ha preferi-to raccontare un movimento più lento e meno spet-tacolare: lo sguardo dapprima incuriosito, poi sedot-to e infine sconcertato del suo spione. E la clamoro-sa discesa in campo di quest’ultimo a favore delle vi-te degli altri, che a furia di intercettare e sorvegliare aveva imparato a conoscere e amare.

Il film è un manifesto sulle scelte più sorprenden-ti e difficili, che non sono soltanto quelle dell’eroe, possibilmente borghese, bello e colto e proprio per questo fin dall’inizio artefice del proprio destino. Sta-volta il lancio nel vuoto è compiuto da un comune agente di sicurezza dedito a interrogatori spietati, ma che avrebbe potuto essere un carrozziere, un gela-taio o un ragioniere. Un uomo solo e apparente-mente anonimo, totalmente privo di dubbi, guizzi e grandi passioni, eppure capace di cambiare e fare la differenza.

La sua improvvisa rivoluzione è la cancellazione della banalità del ma-

le, il riscatto del freddo esecutore che si limita a ese-guire gli ordini infami nel disastro. Decisiva la cultura, perché a scuoterlo, oltre la passione della coppia in pericolo, sono la musica classica e le buone letture “rapite” dall’appartamento spiato.

Questo film dice a noi del tutto sui social e dello scandalo big data che un tempo, non troppo lonta-no, la privacy era un diritto non scontato che face-va rima con aria e libertà. E ci invita a stare attenti perché oggi dietro agli algoritmi e ai nostri desideri, bisogni e segreti sparsi ovunque con la rete, difficil-mente ci sta un angelo custode disposto a rischiare tutto per noi.

P. S. Poiché nessun grande film è solo un film, pure il compianto attore Ulrich Muhe, strepitoso nei pan-ni dello spione pentito, dopo la riunificazione del-la Germania scoprì di essere stato spiato per anni da quattro suoi colleghi di teatro e perfino dall’allo-ra moglie, inconsapevole collaboratrice della Stasi.

Le vite degli altri non sono mai solo degli altri.

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letteratura

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❯ ❯ ERYSTELLEQuesto prodigioso concentrato di fragilità lo puoi vedere solo all’alba.

Solo quando il sole inizia a cacciare le ombre, ma non è così forte da far paura, Erystelle esce di casa: butta la spazzatura, compra il giornale per la madre, alle volte si concede un tè al bar ancora deserto. Poi, prima che nell’aria si senta l’odore delle auto e quello della gente, rientra e torna a letto.

Vanni Santoni, per chi non se ne fosse an-cora accorto, è diventato negli ultimi anni

una della figure più importanti della sce-na letteraria nazionale: scrittore quantomai prolifico (siamo ad otto romanzi pubbli-cati in dieci anni, volendo parlare soltan-to di quelli usciti dalla sua propria mano, più svariati racconti ed opere scritte a più mani) ma niente affatto isolato nella torre d’avorio dell ’artista, anzi sempre disposto a prestare il suo multiforme ingegno ad ini-ziative che rendano la letteratura un fatto sociale (come ad esempio la coordinazione del progetto SIC - Scrittura Industriale Col-lettiva - in cui Santoni ha tenuto le redini di un romanzo scritto da centoquindici autori).

Se negli ultimi anni si è dedicato principal-mente alla riscoperta di sottoculture ingiu-stamente neglette o demonizzate - i free party e la cultura rave in Muro di casse, i giocatori di ruolo in La stanza profonda - con opere che sono un ibrido tra romanzo, saggio e memoir, la sua attività letteraria affonda le radici in un blog, aperto nel 2004, con il nome di Personaggi Precari.

La testata, redatta dallo stesso Santoni, re-citava così: “Mai come in quest’epoca di cre-atività spente e stereotipi c’è stato bisogno di personaggi disposti alla flessibilità. (…)

VANNI SANTONIe I SUOI PERSONAGGI

Una recensione precaria.

Disposti ad apparire indifferentemente in commedie, racconti, cortometraggi, e lungometraggi, giochi di ruolo, serial tv, atti teatrali tradizionali e sperimentali, cartoni animati, romanzi, fumetti, trasmissioni radio e telefilm.

a cura di Filippo Amedeo Crociani

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I personaggi offerti da Personaggi precari sono disposti ad apparire indifferentemen-te in commedie, racconti, cortometraggi, e lungometraggi, giochi di ruolo, serial tv, atti teatrali tradizionali e sperimentali, car-toni animati, romanzi, fumetti, trasmissioni radio e telefilm. I personaggi offerti da Per-sonaggi precari sono disposti ad accettare ruoli sia primari che marginali, a tempo de-terminato o indeterminato, e autorizzano il datore di lavoro a disporre delle proprie prestazioni in modo assolutamente arbitra-rio, arrivando anche a umiliarli o ucciderli se la vicenda dovesse richiederlo (…)”.

La tensione che anima il progetto è subi-to evidente nella sarcastica critica sociale che mette in parallelo il precariato lavora-tivo, inteso come nuova inevitabile forma di lavoro priva di certezze e prospettive, e l ’attività letteraria; neanche i personaggi di finzione creati dall ’autore possono dirsi al sicuro, al riparo da un mondo che li vuole sempre più flessibili, sempre più disposti a ricoprire qualsiasi mansione pur di lavora-re (anticipando drammaticamente quella che è una problematica cocente del nostro tempo presente).

Che cosa conteneva dunque questo blog, diventato poi un libro, una prima volta nel 2007, poi una seconda nel 2013 ed infine una terza (definitiva) nel 2017? Conteneva una serie interminabile di personaggi (cir-ca ottocento nell ’edizione definitiva, ma l ’autore ha dichiarato che la selezione si è svolta tra oltre settemila descrizioni accu-mulate nel corso degli anni) ritratti in un frammento della loro esistenza, in cui la forma epigrammatica (con tanto di fulmen in clausula) che pesca consapevolmente da Marziale o dalla Antologia di Spoon River si mescola con un certo cinismo post-mo-derno, con riprese letterali dai classici - al-

letteratura

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cune descrizioni sarebbero meglio definibili come epigrafi, tanta è la loro concisione - con la destrutturazione totale della forma descrittiva, affidata soltanto ad uno scam-bio di messaggi in chat, o ad un frammento di conversazione

HANNELORE: Si è tatuata i numeri sul polso subito dopo la guerra e da settant’anni non fa che raccontare di quanto fosse terribile Ravensbrück, con dovizia di particolari (avendoci fatto la kapò per tre anni, si ricorda tutto molto bene).

TOMMASO: Ha visto con i suoi occhi la Sibilla, a Cuma, penzolare in una gabbia; quando le ha urlato “Sibilla, cosa vuoi?” lei gli ha risposto che vuole morire.

FRANCESCO: Cenotaph88: oh Cenotaph88: 6 on? X3ngar: y Cenotaph88: cm va? X3ngar: li occhi sereni / e le stellanti ciglia / la bella bocca, angelica, di perle / piena, e di rose, e di dolci parole / che fanno altrui tremar di meraviglia Cenotaph88: . . . Cenotaph88: stase c 6? X3ngar: y Cenotaph88: k a dopo X3ngar: kk

Una forma narrativa parcellizzata, proprio come parcellizzata è la vita dei nostri per-sonaggi, spesso alla deriva nel mare della vita, che mescola linguaggio alto e basso, forme dialettali, lingue straniere e lingue inventate, cultura “alta” e riferimenti ai gio-chi di ruolo, ai fumetti, ai film, alle sotto-culture giovanili, da cui trasuda la variegata cultura dell ’autore, mai irrigidita o chiusa in compartimenti stagni, ma sempre aperta e disposta a far dialogare tutti gli stimoli da cui è percorsa. E così si mescolano per-sonaggi della campagna toscana, (che è il punto di vista da cui Santoni ha costruito il suo romanzo generazionale, Gli interessi in comune, uscito per Feltrinelli nel 2008), arrampicatori sociali, esistenze distrutte, malattie mentali, sociopatie, ma anche sprazzi di luce e serenità (pochi, invero) che ci fanno commuovere per la grandissima capacità di osservazione dell ’autore, che è

Disposti ad accettare ruoli sia primari che marginali, a tempo determinato o indeterminato, e autorizzano il datore di lavoro a disporre delle proprie prestazioni in modo assolutamente arbitrario, arrivando anche a umiliarli o ucciderli se la vicenda dovesse richiederlo.

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in grado di penetrare in sole due righe in recessi profondissimi dell ’anima.

FERRUCCIO: Capelli brizzolati, buona posizione accademica e politica – sincera vocazione europeista – la ragazza che amava ha fatto un figlio – il suo, di figlio, è ancora un coglione tutto gel e tivvù – sarebbe bello essere uno di quelli – uno di quelli che ad una certa età si appassionano ai vini, alla campagna.

ARMANDO: - Ber bolide..! È la tu’ fia? - Disgraziato, è la mi figliola! - Oh, oh, stia bono con quer remo!

CLAUDIO: Un obiettivo: passare e un contratto a tempo indeterminato entro la fine dell’anno. Un timore: che suo fratello torni dalla Germania e chieda la sua parte di casa. Un sogno: la pena di morte su scala industriale.

ARIANNA: La mappa della Terra di Mezzo come sfondo del desktop seda e rassicura.

DINO: Sta a caccia, Dino. Una domenica di gennaio, i boschi dell’Umbria meridionale, tagliati dalla ferrovia. Come ogni volta vede passare il treno: “Sai cosa? A questo giro gli sparo davvero”, pensa, e fa fuoco.

TOSCA: Se sei bellissima, sarà sufficiente

essere anche bizzarra – bastano due accessori e un guardaroba un po’ sopra le righe, eh – per essere considerata una persona eccezionale.

FELICITA: Felicita Colombo, sessantun anni. Donna robusta e piuttosto elegante che fonda la sua serenità su una costante, minuziosa falsificazione del proprio passato.

ALFONSO: Venticinque anni! Venticinque anni, e la morte, l’ inevitabile fine di ogni cosa, gli si presenta davanti in tutta la sua forza. Meglio neanche farlo, un bilancio, pensa Alfonso, salendo in treno come ogni giorno.

Solitudine

La solitudine è come la pioggia.Si alza dal mare verso sera;dalle pianure lontane, distanti,sale verso il cielo a cui da sempre appartiene.E proprio dal cielo ricade sulla città.Piove quaggiù nelle ore crepuscolari,allorché tutti i vicoli si volgono verso il mattinoe i corpi, che nulla hanno trovato,delusi e affranti si lasciano l’un l’altro;e persone che si odiano a vicendasono costrette a dormire insieme in un letto unico:è allora che la solitudine scorre insieme ai fiumi.

Rainer Maria Rilke, “Einsamkeit”, da Das Buch der Bilder Berlin/ Leipzig Stuttgart 1906

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