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ARCHEOLOGIA MEDIEVALECultura materiale. Insediamenti. Territorio.

Rivista fondata da Riccardo Francovich

Comitato di Direzione:GIAN PIETRO BROGIOLOSAURO GELICHI (responsabile)

Comitato Scientifico:GRAZIELLA BERTILANFREDO CASTELLETTIRINALDO COMBAPAOLO DELOGURICHARD HODGESANTONIO MALPICA CUELLOGHISLAINE NOYÉPAOLO PEDUTOCARLO VARALDOCHRIS WICKHAM

Redazione:ANDREA AUGENTIGIOVANNA BIANCHIENRICO GIANNICHEDDACRISTINA LA ROCCAMARCO MILANESEALESSANDRA MOLINARISERGIO NEPOTI (responsabile sezione scavi in Italia)LIDIA PAROLI (capo redazione)ALDO A. SETTIAMARCO VALENTIGUIDO VANNINI

Corrispondenti:PAUL ARTHURVOLKER BIERBRAUERHUGO BLAKEENRICA BOLDRINIMAURIZIO BUORAFEDERICO CANTINIGISELLA CANTINO WATAGHINENRICO CAVADANEIL CHRISTIEGIULIO CIAMPOLTRINIMAURO CORTELAZZOFRANCESCO CUTERILORENZO DAL RICOSIMO D’ANGELAFRANCO D’ANGELOFRANCESCO DOGLIONI

MARIA GRAZIA FIOREALESSANDRA FRONDONICATERINA GIOSTRAFEDERICO MARAZZIROBERTO MENEGHINIEGLE MICHELETTOMASSIMO MONTANARIGIOVANNI MURIALDOCLAUDIO NEGRELLIHANS NORTHDURFTERGABRIELLA PANTÒHELEN PATTERSONLUISELLA PEJRANIPHILIPPE PERGOLARENATO PERINETTIGIULIANO PINTOMARCELLO ROTILIDANIELA ROVINALUCIA SAGUÌMARIAROSARIA SALVATOREPIERGIORGIO SPANUANDREA R. STAFFADANIELA STIAFFINISTANISŁAW TABACZYŃSKIBRYAN WARD PERKINSDAVID WHITEHOUSE

Autorizzazione del Presidente del Tribunale di Firenze n. 2356 del 31 luglio 1974

Indirizzi Redazione:c/o Edizioni All’Insegna del Giglio s.a.s. via della Fangosa, 38; 50032 Borgo San Lorenzo (FI); tel. +39 055 8450216; fax +39 055 8453188 web site www.edigiglio.it e-mail [email protected]; [email protected]

Abbonamenti 2013«Archeologia Medievale»: € 48,00; «Archeologia Medievale» + «Archeologia dell’Architettura»: € 70,00; per gli invii in contrassegno o all’estero saranno addebitate le spese postali. Per l’acquisto della versione digitale o della versione cumulativa cartaceo + digitale consultare il sito www.edigiglio.it. I dati forniti dai sottoscrittori degli abbonamenti vengono utilizzati esclusivamente per l’invio della pubblicazione e non vengono ceduti a terzi per alcun motivo.

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ARCHEOLOGIA MEDIEVALECultura materiale. Insediamenti. Territorio.

XXXIX2012

All’Insegna del Giglio

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ISSN 0390-0592ISBN 978-88-7814-568-9

© 2012 All’Insegna del Giglio s.a.s.Stampato a Firenze nel dicembre 2012

Tipografia Il Bandino

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XXXIX, 2012, pp. 125-148

Maurizio Rossi*, Anna Gattiglia*

Archeologia medievale nel Castello sulla Rocca di Breno (Valcamonica, BS)

1. INTRODUZIONE

L’inizio delle ricerche di archeologia medievale nel Castello sulla Rocca di Breno (fig. 1) risale esattamente a un secolo fa, all’indomani dell’atto amministrativo con cui, il 16 febbraio 1912, la Reale Soprintendenza ai Monumenti della Lombardia notificava al Comune di Breno l’iscrizione dell’immobile tra i monumenti sottoposti a vincolo. I pionieristici interventi di restauro e scavo archeologico intrapresi poco dopo da Fortunato Canevali erano però destinati a interrompersi nel 1915, a seguito dell’ingresso dell’Italia nella prima guerra mondiale1. Tale arresto prefigurava quello che sarebbe stato per tutto il restante XX seco-lo l’andamento delle operazioni in questo sito, caratterizzato da un alternarsi di brevi periodi di intenso sviluppo e lunghe stasi, dovute alla sproporzione tra le esigenze del monumento (che si estende per circa 130×100 m², pari a 1,3 ha: fig. 2) e le risorse economiche e umane oggettivamente disponibili.

Specchio di tale sproporzione sono le ripetute operazioni di restauro parziale realizzate tra il 1935 e il 2001, spesso originate da emergenze per il crollo di murature esposte agli agenti naturali, in forzata assenza di una pianificazione a lungo termine volta a prevenire eventi di tale genere.

Unica esperienza programmata sono gli scavi archeologici diretti nel 1980-1987 da Francesco Fedele, i quali, pur non trascurando le fasi di occupazione di età storica, hanno tutta-via privilegiato quelle preistoriche. I significativi interventi di archeologia medievale, affidati a David D. Andrews nel 1980-1981, sono così rimasti sino a oggi in gran parte inediti o editi in forma sintetica o divulgativa2, in assenza di formali pubblicazioni scientifiche. Per questo motivo, il Museo Camuno di Breno3, trasferito nel 2009 nella nuova prestigiosa sede del Palazzo della Cultura in Via Garibaldi, ha di recente avviato l’acquisizione dell’intera documentazione di scavo del 1980-1987, con l’intento di costituire un archivio a corredo delle proprie collezioni.

A partire dal 2000, a seguito di una petizione popolare di 7000 firme, il Comune di Breno, in collaborazione con gli altri enti locali e con le competenti soprintendenze, ha avviato un programma pluriennale di restauro conservativo dell’intero immobile, a fini di valorizzazione culturale e turistica, ponendosi fra gli scopi principali la costituzione nei locali del Castello di una sede museale, prevista sotto forma di dichiarazione d’intenti sin dal 1912, ma mai realizzata.

Nell’ambito di tale programma, nuovi scavi archeologici si sono svolti nel 2002-2003, 2010 e 2012 sotto la direzione della

Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia (Dr. Andrea Breda). Tali interventi avevano lo scopo di esaurire il potenziale archeologico del sottosuolo dei fabbricati destinati a ospitare la sezione distaccata del Museo Camuno denominata CIDA (Centro Informazione Didattica Archeologica), con rela-tive infrastrutture (condutture per elettricità, gas, acqua potabile, fognatura, punto informazioni), nonché di preparare il terreno all’installazione di un nuovo impianto di illuminazione esterna del Castello aderente alle normative in vigore.

Nonostante che abbiano interessato solo una parte ridotta della Rocca, selezionata in base a necessità diverse da quelle puramente scientifiche, tali scavi hanno prodotto una mole considerevole e interessante di risultati, in termini sia di strut-ture, sia di materiali mobili. Lo studio di tali risultati è ancora incompleto, ma è parso opportuno, in considerazione dei ritardi accumulatisi dal 1980 nella pubblicazione di questo sito, for-nire alla comunità scientifica una prima sintesi delle principali evidenze, donde la stesura del presente scritto4.

2. TRACCE DI ALTOMEDIOEVO

Gli scavi recenti hanno riportato in luce in diversi settori materiali mobili di età romana o tardoantica e dell’inizio del-l’Altomedioevo. Si tratta di frammenti di recipienti ceramici a impasto tenero, depurato, rosa o arancio, talvolta sottile, di un mortaio invetriato in verde, con disegno ‘a tessuto’, di anfore

* Antropologia Alpina, Corso Tassoni 20, I-10143 Torino ([email protected], tel. 338-61.84.408). Testo consegnato in redazione il 30.01.2012, aggiornato il 04.10.2012.

1 MORANDINI, DE MICHELIS 2000; GIORGI 2001, pp. 25-26.2 ANDREWS 1981; FEDELE 1983; FEDELE, ANDREWS, MORRIS 1983, pp. 120,

124-126; FEDELE 1988, pp. 142-175.3 GIORGI 2000; 2004.

4 Gli autori tengono a ringraziare vivamente tutti coloro che hanno contri-buito alla ripresa di un programma di archeologia storica sulla Rocca di Breno e in particolare la Dr. Raffaella Poggiani Keller e il Dr. Andrea Breda della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Lombardia, per l’autorizzazione accordata allo studio dei materiali mobili e alla consultazione della documen-tazione dei vecchi scavi, la Dr. Anna Alice Leoni, collaboratrice della medesima Soprintendenza, i Sindaci di Breno, Edoardo Mensi (dal 1999 al 2009) e Dr. Sandro Farisoglio (dal 2009), gli Assessori alla cultura succedutisi al Comune di Breno, Dr. Giampiero Pezzucchi (dal 1999 al 2009) e Dr. Simona Ferrarini (dal 2009), i progettisti e direttori dei lavori, Ing. Giorgio De Michelis e Arch. Lucia Morandini, il Prof. Francesco Fedele dell’Università di Napoli, il Dr. David D. Andrews dell’Essex County Council di Chelmsford (Gran Bretagna), il direttore del Museo Camuno di Breno, Dr. Angelo Giorgi, per le ripetute indicazioni in campo documentario e bibliografico, i collaboratori che hanno partecipato agli scavi con mansioni tecnico-scientifiche, Dr. Cristina Sanna, Ing. Roberto Castaldi, Dr. Alice Chiaverina, Ing. Luigi Chiaverina, oltre ai numerosi volon-tari e studenti dell’Associazione Vivi Breno, artefici dell’iniziativa «Salviamo il Castello», senza i quali molti lavori non avrebbero potuto essere completati. Un ringraziamento del tutto particolare va al Professor Tiziano Mannoni, scomparso all’improvviso pochi giorni dopo la fine della campagna di scavo 2010, senza che gli autori del presente scritto avessero il tempo di discuterne con lui i risultati, conseguiti anche grazie alle sue pragmatiche e sempre generose e disinteressate indicazioni; l’ultima proficua discussione avuta al telefono con il Professor Mannoni da uno degli scriventi (A.G.) sulle evidenze emerse dallo scavo risale al 24 settembre 2010. Un sentito ringraziamento va infine alla Dr. Egle Micheletto, Soprintendente per i Beni Archeologici del Piemonte, e alla Dr. Laura Vaschetti, per le proficue discussioni sui reperti ceramici altomedioevali, nonché alla Redazione di Archeologia Medievale per le puntuali integrazioni suggerite alla stesura originaria del testo.

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 1 – Rocca di Breno da Sud-Ovest, sullo sfondo delle montagne della media Valcamonica.

tav. 1 – Cortile Sud, trincea U: 215:1 = embrice ad aletta romano. Cortile superiore, trincea 19: 1034:1 = embrice ad aletta altomedievale. Cortile grande, sondaggio 43, frammenti di olle in ceramica grezza (se-conda metà V-inizio VII secolo): 1330:2 = bordo con orlo estroflesso a sezione quadrangolare e sua ipotesi ricostruttiva; 1333:3 e 1333:4: bordi con orlo estroflesso a sezione ovale schiacciata; 1332:2+19+1334:8+14 e 1334:7 = fondo leggermente convesso con parete pettinata; 1332:8 e

1332:9 = fondi con impronta a stuoia e pareti pettinate.

invetriate in verde e giallo, di embrici ad alette sia romani sia altomedievali, anche se la compresenza di laterizi di epoche diverse può essere indizio di riuso medievale di materiali archi-tettonici e funerari precedenti5 (tav. 1).

L’epoca che pare meglio rappresentata è quella che va dal V al VII secolo (mentre mancano per ora reperti riferibili in modo univoco ai secoli VIII, IX e a gran parte del X). Vi si possono attribuire i resti di olle in ceramica grezza tornita caratterizzate da impasti ricchi di degrassante e da una cottura riducente imperfetta, che conferisce alle superfici colori passanti

da arancio/rosato a bruno/rossiccio a grigio/nerastro (tali resti, rinvenuti ai piedi della Torre Est, comprendono un bordo a sezione quadrangolare, due bordi a sezione ovale schiacciata, un fondo con lievissima convessità e parete pettinata, due fondi piani con impronta a stuoia raccordati a una parete con disegno a pettine di tipo anarchico); le pareti sono trattate a pettine o sommariamente lisciate, talvolta con effetto quasi «lustro» (tav. 1)6. Alla stessa epoca rimandano i resti di un bicchiere a calice

5 PROIETTI 1990, p. 556.

6 La datazione tra seconda metà del V e inizio del VII secolo è suggerita da diversi reperti di area lombardo-veneta: Milano (GUGLIELMETTI, LECCA BISHOP, RAGAZZI 1991, p. 219, tipo 18), Monte Barro presso Lecco (NOBILE 1991, pp. 65, 67; NOBILE DE AGOSTINI 1991, pp. 107-108), monastero Santa Giulia (MASSA, PORTULANO 1990, pp. 116-117, tav. III, n. 5; 1999, pp. 163, 168) e Via Alberto Mario (BROGIOLO, GELICHI 1986, pp. 294-295, tav. I, nn. 6 e 7) a Brescia, Oderzo nel Trevisano (CASTAGNA, SPAGNOL 1996, pp. 84-87, tav. II, nn. 20 e 22), Eraclea in provincia di Venezia (SPAGNOL 1996, pp. 69, 75); i confronti

Età Date Rocca di BrenoEtà romana I-III secolo

presenze sporadicheTardoantico IV-V secolo

AltomedioevoVI-VII secolo

area funeraria (sepolture in terra); fondazione della chiesa cimiteriale

con tombe in casse lapidee (?)VIII-X secolo carenza di dati certi

Medioevo

XI secoloseconda chiesa; fondazione delle prime case di alto livello tecnico-

economico (?)

XII-XIV secolo chiesa romanica; case e torri; abbattimento di alcune case

seconda metà XIV secolo

presa violenta della Torre Ovest; inizio della costruzione della cinta fortificata

continua nel settore Sud-Ovest

1337-1427età viscontea; costruzione del

Castello, che ingloba la Torre Ovest e alcune case

1428-1583età veneziana; progressivo

ampliamento del Castello, con caserme al posto delle ultime case

età moderna

1583-1912 stato di abbandono della Rocca, con sfruttamento agricolo dei cortili

età contemporanea1912-oggi monumento nazionale e sito

archeologico pluristratificato

tab. 1 – Cronologia schematica dell’occupazione di età storica sulla Rocca di Breno.

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NOTIZIE DALL’ITALIA

più precisi sono però con le olle di tipo C e D e con altri reperti ancora inediti dall’insediamento goto di Frascaro (Alessandria, 500-575), le cui capanne lignee erano prossime a un cimitero: MICHELETTO, VASCHETTI 2004, pp. 39, 43, 44 (fig. 8, nn. 7, 9), 45, 51-52. Un’olla nerastra simile era tra le braccia di uno dei due scheletri umani (sepoltura T1) rinvenuti a pochi metri di distanza dalla Torre Est accanto ai resti di una capanna, inizialmente ritenuti neolitici (FEDELE 1988, pp. 91-92, figg. 140-142) e successivamente rivelatisi altomedioevali (cfr. § 3).

7 ISINGS 1957, pp. 139-140; WHITEHOUSE 1997, pp. 103-105, 338. Analoghi reperti in area alpina dal monastero Santa Giulia a Brescia (UBOLDI 1998) e dall’area del Teatro Sociale a Trento (CAVADA, ENDRIZZI 1998, p. 313, tav. XIX, n. 2). Si noti che al VI/VII secolo, che pare corrispondere alla più intensa occupazione altomedievale della Rocca (cfr. § 3), si data uno dei ritrovamenti di calici Isings 111 numericamente più consistenti (oltre un centinaio: FOY 1994, pp. 213-216).

8 HANSELMANN 1991 (fine V-inizio VI secolo).

fig. 2 – Rocca di Breno, planimetria generale della sommità (scala 1:1500; elaborazione su originale G. De Michelis, L. Morandini).

in vetro verde con piede a disco con cordoncino forato (tav. 2), derivante da modelli romani (forma Isings 111)7, nonché alcuni lembi di intonaco lisciato, dipinto in rosso pompeiano e giallo su fondo di malta fine biancastra, che trovano confronto nell’insediamento di Monte Barro (Lecco)8.

Benché provenienti da strati rimaneggiati, questi reperti modificano l’opinione secondo la quale in tali epoche la Rocca non sarebbe stata occupata (cfr. tab. 1) e il vasellame sarebbe

stato interamente costituito da recipienti in pietra ollare, me-tallo o legno9, soddisfacendo anche, almeno in parte, le giuste perplessità sollevate a suo tempo sulla presunta completa assenza della ceramica grezza10: presunta assenza forse dovuta in realtà a una insufficiente discriminazione tra ceramiche preistoriche e ceramiche grezze di età storica11.

3. LA CHIESA CIMITERIALE RUPESTRE

La costruzione, fondata su di un saliente roccioso nel settore Nord-Ovest dell’attuale Cortile grande (394 m; fig. 2), è in gran parte rasa al suolo, con l’eccezione dei muri perimetrali Nord e Ovest, di cui si osservano ampi tratti inglobati nella cinta for-tificata tardomedievale (fig. 3). Diversi sono i punti di contatto con la cappella recentemente portata in luce in un altro castello

9 FEDELE, ANDREWS, MORRIS 1983, pp. 125-126; FEDELE 1988, pp. 136, 147.10 BROGIOLO, GELICHI 1986, p. 308: «lascia però perplessi la rarità di questa

classe ceramica in grossi scavi urbani come quelli di piazza Duomo <a Milano>… o la sua completa assenza nel territorio centroalpino, come sembrano testimo-niare gli scavi stratigrafici del castello di Breno (ex inf. Andrews)».

11 BROGIOLO, CAZORZI 1982, p. 217: «in alcuni Musei ancor oggi essa [la ceramica grezza] viene esposta come ceramica protostorica o romana».

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 3 – Chiesa rupestre, muri perimetrali di varie fasi romaniche e tardoromaniche inglobati nella cinta fortificata tardomedievale: 1 = facciata esterna con monofora, finestrella a croce e spiovente del tetto coronato da piode; 2 = facciata interna con malta rifluente e stilature irregolari (XIII secolo); 3 = veduta generale da Sud; 4 = abside Nord

in “opera quadrata” liscia con stilature accurate (XII secolo).

tav. 2 – Vano G: 553:12 = base di calice a disco in vetro tipo Isings 111 (V/VII secolo); 552:1, 530:22 = fondi piani di grandi recipienti in pietra ollare a solchi di tornitura mediamente fitti e non lisciati (XI/XII secolo). Vano S: 40:30, 30:37, 40:32a-b-d = frammenti di bordo e fondi di

recipienti in pietra ollare a tornitura lisciata esternamente (VIII-XIII secolo).

fig. 4 – Chiesa rupestre, planimetria con indicazione delle principali fasi costruttive (ridisegnata sulla base di ANDREWS 1981, pp. 4-6, 13; LEONI 2006, pp. 99-104, tav. 7) e della posizione delle tombe scavate nel 1981. 0 = saliente roccioso affiorante; 1 = prima chiesa monoab-sidata; 2 = seconda chiesa monoabsidata; 3 = aggiunta di un corpo a pianta rettangolare terrazzato, con tracce di pavimento soprastante a tombe in cassa lapidea, e prolungamento verso Ovest della navata, con pavimento sostenuto da una volta (vano non scavato nei livelli inferiori); 4 = aggiunta di un corpo a pianta trapezoidale (non scavato nei livelli inferiori) e della prima abside Nord (chiesa a due navate); 5 = rifaci-mento della facciata della navata Sud e dell’abside Nord; T = testimone. Cronologia: 1+2 = Altomedioevo-XI secolo; 3+4+5 = XI-XIII secolo.

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NOTIZIE DALL’ITALIA

della Valcamonica, a Cimbergo12, tra cui uno dei più evidenti è l’anteriorità dell’edificio religioso rispetto alle fortificazioni.

Nelle visite pastorali della seconda metà del XVI secolo l’edificio risulta intitolato a san Michele13, ma non è noto con precisione quanto indietro nel tempo la dedica risalga. L’incertezza è dovuta al fatto che i due documenti anteriori al XVI secolo in cui compare una chiesa brenese dedicata a san Michele menzionano tale titolo unitamente a quello di san Maurizio, per cui è difficile stabilire se si tratti di un unico edificio (la vecchia parrocchiale di san Maurizio, a cui il titolo di san Michele potrebbe essere stato unito per un certo tempo) o di due, uno dei quali sulla Rocca: infatti, mentre nel 1349 il compilatore di un elenco di benefici vacanti soggetti a tassazio-ne apostolica (Recepta fructum per il 1333-1334) scrive «ecclesia sanctorum Michaelis et Mauricii»14, riferendosi apparentemente a un solo edificio, nel 1220 papa Onorio III (1216-1227), in una Epistola15 che conferma il numero di quattro chierici «ecclesia-rum Sanctorum Michaelis et Mauricii de Breñ.», già stabilito dal vescovo Giovanni di Brescia e approvato da papa Innocenzo III (1198-1216), adotta il plurale e pare così indicare due diversi edifici, uno dei quali potrebbe forse essere quello oggi inglobato nel Castello. Retrodatare la dedica a prima del 1220 è per ora difficile, per lo meno su basi documentarie: l’ipotesi che essa sia già di età longobarda, proposta da Franca Avancini Pezzotti16, si fonda su elementi ragionevoli, ma non comprovati.

Dal punto di vista funzionale, l’ipotesi che l’edificio fosse una pieve, sostenuta in passato17, contrasta con la mancanza di documenti storici di conferma18 e con l’assenza di strutture riferibili a un fonte battesimale.

Dalla relazione preliminare degli scavi del 1980-198119 emerge un edificio cimiteriale con alle spalle una complessa storia edilizia (fig. 4). La successione muraria è stata accuratamente riesaminata di recente da Anna Alice Leoni, che, nonostante qualche diffe-renza, propone una ricostruzione sostanzialmente concordante con quella dello scavatore20. Il programma di archeologia storica sulla Rocca di Breno attualmente in corso in relazione al restauro conservativo del Castello prevede per i prossimi anni un riesame complessivo del monumento religioso. È chiaro che tale ope-razione non può prescindere dalla pubblicazione definitiva dei risultati di scavo del 1980-1981 e dal riesame dei materiali allora recuperati, soprattutto scheletrici e ceramici21. Si tenga presente a questo proposito che D.D. Andrews sottolineava nel suo testo come non fosse stato possibile riconoscere ceramiche, associate alla chiesa e alle tombe adiacenti, che risultassero databili a prima del XV secolo: alla luce degli studi successivi, è probabile che ciò dipendesse dalla minore conoscenza della cultura materiale medievale che si aveva in quegli anni rispetto a oggi.

Nell’attesa, si può per intanto ritenere che l’originario edificio altomedievale, in forma di piccola aula ad abside semicircolare

(circa 8×4 m), sia stato sostituito nell’XI secolo da una seconda aula absidata, poco più grande della prima (circa 10×5 m), con innesto absidale a profondi squadri angolari esterni22; è poi seguita una serie di ampliamenti e rifacimenti di età romanica e tardoromanica (XI-XIII secolo)23, con raddoppiamento della navata24. A quest’epoca dovrebbe appartenere una tomba orien-tata Nord-Ovest-Sud-Est (cranio a Nord-Ovest) venuta in luce a Est delle absidi (figg. 4 e 5, n. 159)25. L’inserimento della chiesa nella cinta fortificata dovrebbe essere avvenuto dopo il XIII secolo, epoca a cui si può attribuire il rifacimento della facciata (fig. 3, nn. 1-2), con muratura di conci in corsi orizzontali a malta rifluente, stilature irregolari e tetto di piode su cui si è in seguito impostata la merlatura26.

Resta da precisare la data dell’aula originaria. Per l’esiguità dei resti visibili, è difficile trovare confronti puntuali nella dif-fusa casistica di aule rettangolari monoabsidate preromaniche di area alpina datate dal VI/VII (chiesa St. Georg a Rhäzüns, Grigioni) al IX/X secolo (cappella Sant’Ambrogio a Camignolo, Ticino)27.

L’edificio non dovrebbe comunque essere posteriore alle quattro tombe in cassa lapidea parallele al suo lato Nord (figg. 4 e 5, nn. 144-145, 161, 162), con orientamento Ovest-Est (cranio a Ovest)28. Tombe formate da lastre, lastroni o blocchi disposti per lo più di coltello, sovente sigillate con malta, a pianta ret-tangolare, trapezoidale o antropoide, sono note in area alpina e prealpina dal V/VI al XII/XIII secolo. Nel caso in esame, pur non escludendosi una datazione tardomedioevale, alcuni indizi paiono confermare l’ipotesi di datazione altomedievale avanzata a suo tempo da D.D. Andrews in base a indicazioni di G.P. Brogiolo: a) il posizionamento delle tombe al di sotto del pavimento dell’edificio a pianta rettangolare della fase 3, edificio che non pare più tardo dell’XI secolo; b) l’effettiva esistenza di un’area funeraria dell’inizio dell’Altomedioevo una cinquantina

12 LEONI, BREDA 2011.13 TURCHINI, ARCHETTI, MAZZETTI 2004, pp. lvii, lxii, 297-298, 300, 306

(«Oratorium Sancti Michaelis in arce Breni»); GIORGI 2012, p. 36.14 GUERRINI 1922, pp. 90-93, 97-98.15 Archivio Segreto Vaticano, Reg. 10, f. 192v, Epistola 782; cfr. PRESSUTTI

1888, p. 412.16 AVANCINI PEZZOTTI 1978, pp. 114-115.17 FEDELE, ANDREWS, MORRIS 1983, pp. 124-125; FEDELE 1988, p. 146.18 Secondo GUERRINI 1922, pp. 8, 74-76, le cinque pievi della Valcamonica

erano Rogno, Cividate, Cemmo, Edolo e Dalegno (anche se, nella Recepta fruc-tum del 1349 per il 1333-1334, quest’ultima risulta chiesa e non pieve), mentre per Breno compare sempre solo il termine «ecclesia» (GUERRINI 1922, pp. 98-100).

19 ANDREWS 1981, pp. 4-6, su cui si basa anche FEDELE 1988, pp. 142-147.20 LEONI 2006, pp. 99-104, tav. 7.21 Recentemente contattato nel quadro di tale programma, D.D. Andrews si

è dichiarato intenzionato a mettere mano a tale compito a partire dal 2013.

22 Calzante, non solo per lo sviluppo planimetrico, ma anche per la sequenza edilizia, pare il confronto con la chiesa St. Jakob in Kastellatz a Termeno/Tramin, Bolzano, fine X-inizio XI secolo: NOTHDURFTER, MITTERMAIR 2003, pp. 351-352. Altri possibili confronti: FORNERIS 1978, pp. 165-166 (chiesa San Giacomo a Scarmagno, Torino), 188-189 (chiesa San Nicola di Grimaldengo a Vialfré, Torino); GAVAZZOLI TOMEA 1980, pp. 241-243 (chiesa San Graziano a Candoglia di Mergozzo, Verbania, terzo quarto XI secolo); BONNET, PERINETTI 1986, pp. 34, 44 (chiesa San Lorenzo ad Aosta, quarta fase, XI-XII secolo); PITTARELLO 1991, pp. 33, 38-41 (chiesa San Pietro ad Albugnano, Asti, prima fase, fine XI-XII secolo).

23 Possibili confronti: FORNERIS 1978, pp. 183-185 (chiesa Santa Croce nel castello di Sparone, Torino); MANNONI, BOATO 2009, tav. VII (fig. 9: chiesa San Vincenzo a Gravedona, Como, seconda metà XI secolo), tav. IX (fig. 14: chiesa Santi Faustino e Giovita sull’Isola Comacina, Como, XII secolo), tav. XI (fig. 17: chiesa San Bartolomeo, già Santi Fabiano e Sebastiano, a Villadossola, XII secolo), tav. XII (fig. 19: chiesa Santi Pietro e Paolo a Biasca, Ticino, XII secolo); BARBÒ et al. 2011, pp. 257-258 (figg. 15-16: chiese Sant’Alessandro in Canzanica, Bergamo, e San Faustino a Botticino Mattina, Brescia, XII secolo); GALLINA 2011, pp. 68-69, tav. II-III (chiese San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo e San Giacomo di Castenedolo a Rezzato, Brescia, fine XI-inizio XII secolo); 108-109 (effetti bicro-matici, metà XII secolo); 104 (fig. 59), 110 (canonica di Sale Marasino, Brescia, malta rifluente con stilature irregolari, XIII secolo); NOVENTA 2011, pp. 209-210 (fig. 32: chiesa San Michele a Tavernola Bergamasca, XII secolo). PANAZZA 1942, pp. 186-187 (nota 2), attribuisce al XII secolo le strutture visibili ai suoi tempi, coincidenti con la fase 5 e con parte della fase 4 di fig. 4.

24 Possibili confronti: BREDA 1991; 1995b (chiesa San Martino in Prada a Iseo, Brescia, IV fase, seconda metà XI-prima metà XII secolo); PITTARELLO 1991, pp. 140-145 (chiesa San Martino a Castelvero di Piovà Massaia, Asti, XI secolo); TONELLA REGIS et al. 1991, pp. 69-71 (chiesa San Giovanni al Monte a Quarona, Vercelli, XII secolo).

25 Cfr. PERINETTI 1990, p. 222; BREDA, LEONI 2011.26 Cfr. LEONI 2006, p. 103, tav. 7.27 SENNHAUSER 2003, p. 13 e passim; cfr. anche CIURLETTI 2001, pp. 168-171;

CIURLETTI et al. 2003, pp. 375, 380.28 Le fotografie di scavo delle tombe sono state gentilmente concesse da

David D. Andrews.

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 5 – Tombe circostanti la chiesa rupestre (scavi 1980-1981, foto concesse da D.D. Andrews): 161, 144-145 = in cassa lapidea orientata Ovest-Est; 162 = in cassa lapidea trapezoidale orientata Ovest-Est; 159 = in cassa lapidea orientata Nord-Ovest-Sud-Est.

di metri a Est della chiesa, con due sepolture in terra orientate Ovest-Est (cranio a Ovest), una delle quali, con copertura di piccoli blocchi in calcare, inizialmente ritenuta neolitica, è ora datata al 14C tra V e inizio del VII secolo29. E all’interno del-l’Altomedioevo, i confronti tipologici più convincenti paiono in effetti rimandare al VI/VII secolo30, il che concorderebbe anche con l’apparente assenza sulla Rocca di reperti riferibili in modo univoco ai secoli VIII, IX e a gran parte del X (§ 2).

Per il momento si lavora perciò sull’ipotesi che anche la prima chiesa monoabsidata risalga a tale epoca, con possibili rimandi a San Martino a Lonato (Brescia, fase I, VII/VIII secolo)31 e a San Giovanni al Dossello, a Offanengo (Cremona, VI/VII secolo)32.

4. LA SUCCESSIONE STORICA DEL VANO G

Il Vano G, comunicante con il Cortile Ovest e oggi adibito a sala polivalente (fig. 2), è uno dei due ambienti del Castello ad avere conservato una volta a botte (l’altro è il Vano S)33. Esso misura poco più di 10×5 m² di superficie calpestabile e si trova in una zona privilegiata dal punto di vista geo-topografico, sul mar-gine esposto a Sud dell’area più elevata della Rocca (397 m).

Prima della formazione del Castello, quest’area ospitava un nucleo di case d’abitazione di alto livello tecnico-economico, caratterizzate sovente da muri in “opera quadrata” liscia con giunti di malta ‘stilati’: se ne osservano resti discontinui nella

fascia inferiore dei muri del Castello tardomedievale (figg. 6 e 7). Allo stato attuale delle ricerche, risulta che due case fossero a Nord del Vano G (Case I e H), una a Nord-Ovest, nell’area in seguito occupata dalla Torre Ovest (Casa E), una a Est (Casa S; § 6.1); una quinta (Casa G) sopravvive in un corpo murario con finestra ad arco (G14) che è inglobato nella cinta fortificata a Sud del vano stesso (§ 4.2).

Murature di questo genere sono datate in Lombardia al XII secolo o alla seconda metà dell’XI34. Nei casi sinora esaminati nell’area del Cortile Ovest e del Cortile piccolo, le case risultano direttamente e interamente fondate su roccia in posto (fig. 6, nn. 2 e 4; fig. 10, n. 4; figg. 13-14, sezioni nn. 3, 5, 6 e 9; fig. 15): lo strato archeologico che precede la loro costruzione è un limo argilloso arancio-rossiccio che riempie i solchi e le tasche naturali della roccia e ingloba esclusivamente materiali preistorici rimaneggiati di varie epoche. Tanto la stratigrafia muraria (fig. 6, n. 1; fig. 7), quanto quella sedimentaria (fig. 8) indicano che le case non risalgono tutte agli stessi anni e si articolano anzi in non meno di due grandi fasi: la loro epoca di costruzione e funzionamento deve essersi protratta nel tempo, il che non stupisce se si considera l’impegno economico richiesto.

Gli scavi del 1980-1981 hanno rivelato che la fondazione delle prime di queste case è precedente alla Torre Ovest35; gli scavi del 2002-2003, 2010 e 2012 hanno mostrato che la loro

29 FEDELE 2012, p. 10: «418-616 d.C., con massima probabilità (collagene di dente) tra il 540 e il 590»; cfr. nota 6.

30 Cfr. BROGIOLO 1982; HUDSON, LA ROCCA 1982; BREDA 1983; 1984; 1990; 1995a; PERINETTI 1990, p. 222 (figg. 26-33); 1991, p. 92; ROSSI, GUGLIELMETTI, SCARPELLA 1995, p. 100; CROSETTO 1998, pp. 215, 224; BROGIOLO et al. 2002, pp. 60-61, 72; VALSECCHI 2011, p. 142 (fig. 4).

31 BROGIOLO et al. 2002, pp. 59-61, 72.32 CASIRANI 2003, p. 281 (fig. 9).33 La denominazione dei vani coperti del Castello di Breno mediante lettere

dell’alfabeto si attiene alla codifica introdotta da Francesco Fedele negli anni ’80 del secolo scorso.

34 I termini di confronto sono quasi tutti in edifici religiosi: PANAZZA 1942, pp. 66-67, 80-81, 87-88 (chiesa San Salvatore a Capo di Ponte), 103, 106-107 (chiesa San Pietro in Oliveto a Brescia), 110-111 (absidiola di Via delle Battaglie a Brescia), figg. 64, 89, 95; NOVENTA 2009, p. 41; GALLINA 2011, pp. 68-69, tav. II-III (chiese San Pietro in Lamosa a Provaglio d’Iseo e San Giacomo di Castenedolo a Rezzato), 73, fig. 23/B (Brescia), 100-109, 112; al di fuori del Bresciano: MANNONI, BOATO 2009, pp. 767, 770, 773, tav. II (schema 4.1), tav. VII (fig. 9: chiesa San Vincenzo a Gravedona, Como, seconda metà XI secolo), tav. IX (fig. 14: chiesa Santi Faustino e Giovita sull’Isola Comacina, Como, XII secolo), tav. XII (fig. 19: chiesa Santi Pietro e Paolo a Biasca, Ticino, XII secolo); BARBÒ et al. 2011, p. 253, tav. XXXII (chiesa Sant’Alessandro in Canzanica, Bergamo, fase III, prima metà XII secolo).

35 ANDREWS 1981, p. 8.

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NOTIZIE DALL’ITALIA

fig. 6 – Muri di case in “opera qua-drata” liscia con giunti di malta ‘stilati’ inglobati nella cinta fortificata tardomedievale: 1 = Casa H, spigolo interno Nord-Est; 2 = Casa H, spigolo esterno Nord-Est, fondato su roccia; 3 = Casa H, particolare del lato interno Nord; 4 = Casa I, spigolo esterno Sud-Est, a cui si appoggiano varie strutture successive, tra cui la testata Ovest del muro S11; a sinistra, ad-dentellati e morse superstiti del muro S3 (Casa S).

fig. 7 – Cortile Ovest, Cortile piccolo, Vano G e Vano S, planimetria con suddivisione in fasi principali dei muri in “opera quadrata” liscia con giunti di malta ‘stilati’ visibili in alzato e delle strutture evidenziate dagli scavi. Le fasi indicate si riferiscono alle basi dei muri. 1 = seconda metà XI-XII secolo (“opera quadrata” liscia); 2 = XII-XIII secolo (2 sottofasi); 3 = XIV-inizio XV secolo; 4 = XV secolo (2 sottofasi).

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 8 – Vano G, sezione stratigrafica principale: R = substrato roccioso; Rs = blocchi di roccia scollati dal substrato; 1 = tasche e solchi del sub-strato con materiali preistorici; 2 (con sottounità 2A e 2B) = pendio con residui edilizi della costruzione delle Case I o H (VIII-fine XI secolo); G9 e 3 (con sottounità 3A e 3B) = piano di calpestio all’epoca della costruzione della Casa G (muro G14) e colmata di residui edilizi derivanti da tale costruzione, con pareggiamento del pendio (fine XI-metà XII secolo); G5 = battuto rossiccio del cortile tra le Case G e I (prima metà XII secolo); 4 (con sottounità 4A, 4B e 4C) = residui edilizi derivanti dalla costruzione della Torre Ovest (XII secolo); G4 = battuto grigio del cortile tra la Casa G e la Torre Ovest (XII-seconda metà XIV secolo); G8 = buchetta di radici estirpate (fine XIV secolo); G7 = sottofondazione della soglia collegata alla costruzione della cinta fortificata (fine XIV/inizio XV secolo); 5 (con sottounità 5A, 5B, 5C, 5D, 5G e altre non intercettate da questa sezione) = apporti di materiali edilizi per la costruzione della volta a botte G16 (XV/inizio XVI secolo); G1 = pietrame orizzontalizzato

da calpestio (XVII-XX secolo); G2 e 6 = sondaggi archeologici irregolari (XX secolo).

fondazione precede anche le fortificazioni adiacenti, le quali si sovrappongono o si appoggiano non solo ai muri civili di prima e seconda fase (fig. 6, n. 1; fig. 7; fig. 10, n. 2), ma anche, in alcuni tratti, a corpi sedimentari, talora di notevole spessore, che si appoggiano a loro volta alle fondamenta delle case (fig. 14, sezioni 2 e 9). Talvolta, brevi segmenti di cortine sono stati costruiti per chiudere vicoli tra case adiacenti ma non tangenti (Cortile grande). I resti delle case sono quindi le testimonianze edilizie più arcaiche rinvenute nel settore Sud-Ovest della Rocca. Se si tiene conto che la tecnica muraria della torre rimanda al XII secolo, più che al XIII (§ 5), si è portati a ipotizzare che la prima fase di edilizia civile sia iniziata già nella seconda metà dell’XI secolo: in caso contrario, si dovrebbe ammettere una successione di fasi molto ravvicinate.

All’interno del Vano G, la roccia di fondo (R) ha la confor-mazione di una serie di gradini irregolari discendenti da Nord a Sud: prima degli scavi, nell’angolo Nord-Ovest del vano il substrato emergeva dal suolo per oltre 2 m di altezza, mentre nelle aree restanti era sepolto sotto corpi sedimentari a via a via più potenti.

Per questo motivo la roccia è venuta progressivamente in luce in parallelo con la rimozione dei corpi sedimentari, eviden-ziando scollamenti (Rs), tasche e solchi di alterazione naturale, ove erano intrappolati materiali preistorici molto frammentari

in giacitura secondaria (fig. 8: strato 1). Ciò indica che, prima dell’inizio delle attività edilizie di età storica, in questo settore sommitale della Rocca vi erano ampie estensioni di roccia nuda o ricoperta tutt’al più da un velo di sedimenti antichi.

Nella parte centrale del vano il banco calcareo presenta una profonda depressione, nella quale si è formata una stratificazione medievale potente oltre 2 m (fig. 9)36, collegabile con le maggiori fasi edilizie dell’area circostante. Per motivi di sicurezza lo scavo non ha tuttavia potuto spingersi dappertutto fino alla roccia di fondo, né giungere a contatto con la più antica struttura muraria del settore (muro G14; § 4.2).

La discussione e l’interpretazione delle evidenze fanno parti-colare riferimento alla principale sezione stratigrafica Nord-Sud (figg. 7 e 8), tuttora accessibile per eventuali verifiche, in quanto il pavimento della sala polivalente realizzatovi al di sopra dopo la fine dei lavori archeologici è composto da pannelli rimovi-bili. Esse tengono però conto anche di altre sezioni rilevate nel medesimo vano.

Su di un piano più generale, la ricostruzione storica qui pro-posta si sforza di collegare, nel modo più puntuale possibile, le singole unità stratigrafiche evidenziate dallo scavo con le grandi fasi edilizie succedutesi sulla Rocca.

36 Cfr. FEDELE, ROSSI, GATTIGLIA 2003, pp. 7-16.

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NOTIZIE DALL’ITALIA

cm, insinuantesi anche in alcuni interstizi incarsiti della roccia di fondo, è interpretabile come livello di frequentazione. La presenza di scaglie edilizie e malta con impronte nel corpo dello strato (unità 2A), caratterizzato anch’esso da una matrice carboniosa, indica che uno o più edifici in muratura dovevano già esistere a breve distanza e che residui edilizi connessi con tale costruzione erano scaricati o dilavati verso il basso in un settore della Rocca non ancora edificato: l’edificio in questione poteva essere tanto la Casa I, quanto uno degli altri edifici anteriori alla Torre Ovest individuati nel 1980-1981 nel Cortile Ovest37. Il rapporto di non contemporaneità tra la fondazione di tale edificio e la fondazione della Casa G conferma la complessità cronologica delle fasi edilizie sulla Rocca.

Nella sezione spicca un grande blocco calcareo (circa 45×35 cm), che è del tutto staccato dal substrato roccioso, ma mostra spigoli e crestine di abito naturale e difficilmente può essere ritenuto un materiale edilizio, mentre è più probabile che si tratti di roccia di fondo scollata (Rs).

Unici reperti cronologicamente diagnostici in questo strato sono 11 frammenti di recipienti in pietra ollare, databili ge-nericamente dall’VIII al XIII secolo, ma, tenendo conto che gli strati sopragiacenti paiono rimandare all’XI-XII secolo (§ 4.2-4.3), è forse possibile restringere la datazione dall’VIII alla fine dell’XI secolo.

4.2 DALLA FINE DELL’XI ALLA METÀ DEL XII SECOLOLo strato 2 è sigillato da G9, un piano di calpestio o di dila-

vamento grigio, costituito da uno strato di malta friabile spesso 3-4 cm e blocchetti di calcare isolati. Su G9 poggia 3 (“malta e pietrame edilizio minuto a lenti carboniose”), uno strato composito ed eterogeneo spesso al massimo una cinquantina di centimetri, la cui unità sedimentaria principale, con matrice quasi interamente costituita da malta disgregata biancastra e scheletro a vacui, inizia la serie di strati suborizzontali che perdurerà sino alla sommità del deposito. Se ne deduce che, a differenza da 2, 3 si è messo in posto quando ormai a Sud esisteva una struttura contro cui i materiali che lo componevano potessero arrestarsi; tale struttura è identificabile con G14 (fig. 7; fig. 10, n. 2), un muro in opera quadrata liscia della Casa G, oggi inglobato nella cinta fortificata del Castello, caratterizzato da una finestra ad arco a tutto sesto (formato da due soli grossi conci e da una chiave di volta) e databile su basi tipologiche al XII o alla seconda metà dell’XI secolo38.

All’interno dello strato si distinguono alcune unità sedimen-tarie minori, consistenti in tasche sabbiose (3A) meno ricche di malta e inglobanti frammenti di roccia di fondo, al contatto con il substrato (dove questo si presenta in blocchi parzialmente scollati), e in estese lenti limose carboniose (3B), inglobanti pietrisco calcareo, spesse sino quasi a una ventina di centimetri, nella parte superiore dello strato.

Lo strato 3 può essere interpretato come una colmata di residui edilizi (malta di spoglio sino a 20 cm, forte componente di scaglie, rari blocchi sino a 18-20 cm, lastra lavorata di circa 26×15 cm in giacitura discordante) e materiali terrosi, destinata a regolarizzare il terreno circostante l’appena eretta Casa G e a fungere da preparazione al sopragiacente battuto G5. In tale caso, G9 sarebbe stato il piano di calpestio dei muratori impe-gnati nella costruzione della Casa G.

L’impressione di pareggiamento intenzionale di un terreno in pendenza è confermata dal battuto rosso G5, che sigilla 3. La

37 ANDREWS 1981, pp. 7-10, 12.38 Cfr. nota 34.

fig. 9 – Vano G, sezione stratigrafica principale, particolare del qua-drato E4-Ovest.

Il primo aspetto che emerge dallo studio della sequenza stratigrafica è la possibilità di suddividerla in due complessi: uno inferiore, privo di ceramiche e comprendente strutture e materiali non posteriori al XII/XIII secolo, e uno superiore, com-prendente strutture e materiali non anteriori al XIII/XIV secolo. Il confine tra i due è materializzato dal battuto grigio G4.

Il complesso inferiore consta di tre strati di età pienamente medievale, privi di intrusioni tardomedievali o posteriori, chiaramente separati e sovrapposti, potenti nel complesso più di 1,4 m, ognuno dei quali costituisce il substrato di un piano di calpestio che materializza una discontinuità sedimentaria. Per queste sue caratteristiche, tale complesso costituisce un fenomeno più unico che raro nell’intero Castello.

4.1 DALL’VIII ALLA FINE DELL’XI SECOLOIl primo strato partendo dal basso (2 = “limo sabbioso car-

bonioso a pietrame”), composito ed eterogeneo, spesso almeno una settantina di centimetri, si differenzia dagli strati sopra-giacenti perché è fortemente inclinato verso Sud (circa 20%). La sua formazione è perciò avvenuta all’aperto e in assenza di una struttura muraria che potesse arrestare la discesa di terra e pietre lungo il pendio. Se ne deduce che esso è antecedente alla costruzione del primo edificio eretto a Sud del vano, ossia della Casa G (fig. 7).

L’estesa lente di terra carboniosa alla sommità dello strato (unità 2B), inglobante poco pietrisco minuto, spessa da 3 a 20

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 10 – Vano G. 1 = muro G13, costruito, probabilmente nell’ultimo ventennio del XV secolo, tra i pilastri G12 e G6 per rinforzare dal basso la volta a botte G16; 2 = muro G14 della Casa G (fine XI-metà XII secolo), schiacciato tra strutture di età successive: i pilastri G6 e G10, la soglia G7 e, in secondo piano, la cinta fortificata sono di fine XIV/inizio XV secolo; l’imposta della volta a botte G16, che nasconde l’arco a tutto sesto della finestra romanica, è del XV secolo; 3 = sottofondazioni del pilastro G6 e della soglia G7, poggianti sul battuto grigio G4 (XII-seconda metà

XIV secolo); 4 = spigolo esterno Nord-Ovest della Casa S (seconda metà XII secolo) inglobato nel muro Est del Vano G.

sua matrice è un limo sabbioso rossiccio (apparentemente simile all’unità sedimentaria 4B del sopragiacente strato 4), inglobante ghiaia angolare media (≤ 1 cm circa), prevalentemente calcarea, grumi di malta di spoglio (sino a 6 cm), sfatta o in frammenti tenerissimi, e fini tritumi laterizi arancio-rossicci, raramente in placchette o in blocchetti centimetrici teneri.

Spesso localmente sino a 6 cm, G5 poggia in diversi punti sulla roccia di fondo e appare troppo scabro e ondulato per essere interpretato come un pavimento o un battuto interno (anche alla luce del confronto con i pavimenti accertati negli adiacenti Vani P, N e M, quest’ultimo tuttora visibile: fig. 2); non presenta nemmeno buche per pali o piccole strutture in pietra che possano indicare la presenza di spazi aperti ma coperti e/o delimitati, quali tettoie o recinti39. L’ipotesi più probabile è quella di un cortile compreso tra la Casa G e la Casa I o uno degli altri edifici anteriori alla Torre Ovest emersi dagli scavi del 1980-198140.

Tra i materiali cronologicamente indicativi inglobati in 3 si segnalano 7 frammenti di recipienti in pietra ollare, databili anche in questo caso dall’VIII al XIII secolo, e un frammento del già ricordato bicchiere a calice in vetro Isings 111, databile dal IV al VII/VIII secolo (tav. 2). La presenza di quest’ultimo concorda con l’ipotesi che 3 sia una colmata, in cui possono trovarsi materiali rimaneggiati, ereditati da precedenti fasi di

frequentazione41. Non molto indicativa, in questo contesto, è la pur interessante associazione di castagne e gusci di noce carbonizzati42: entrambi i frutti sono presenti in Italia setten-trionale a partire dall’Età romana o tardoantica43 e godono di considerazione legislativa sin dall’editto di Rotari (643)44.

La datazione dello strato 3 dipende comunque da quella della Casa G, la cui costruzione, come si è accennato, risale al XII o alla seconda metà dell’XI secolo.

Alla scala del sondaggio, l’insieme degli strati 2, 3 e dei battuti G9 e G5 è rappresentativo delle prime fasi dell’edilizia civile sulla Rocca.

39 Per le buche e buchette G8 si veda § 4.4.40 Cfr. nota 37.

41 Un secondo frammento proviene dal vicino Vano S, da uno strato (2: cfr. § 6.1) che anche là si appoggia alle fondazioni di una casa che risale probabil-mente al XII secolo (Casa S).

42 Questi ultimi rivenuti anche nello sottogiacente strato 2.43 SCHNEIDER, TOBOLSKI 1985; NISBET 2000, p. 15; cfr. per la castagna:

Aquileia (Udine), Età romana (CASTELLETTI 1972); Peveragno (Cuneo), III/VI secolo (CASTELLETTI, MOTELLA DE CARLO 1998, pp. 97, 99-100, 104-106); Via Alberto Mario a Brescia, V-inizio VI secolo (CASTELLETTI, MASPERO 1988); Monte Barro, fine V-metà VI secolo (CASTELLETTI, CASTIGLIONI 1991, pp. 169, 183, 199-201); per le noci: ancora Peveragno (CASTELLETTI, MOTELLA DE CARLO 1998, pp. 97, 104-106) e Monte Barro (CASTELLETTI, CASTIGLIONI 1991, p. 202). Un sentito ringraziamento a Renato Nisbet (Università di Venezia) per le preziose indicazioni a questo proposito.

44 BLUHME 1869, p. 58, cap. 301: «Si quis castenea [!], nuce, pero aut melum inciderit, conponat solido uno»; cfr. PATRONE NADA 1992, pp. 150, 154-156.

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NOTIZIE DALL’ITALIA

4.3 IL XII SECOLOIn questa sequenza stratigrafica, lo strato 4 (“limo sabbioso

grigio a malta di spoglio di cattiva qualità e pietrame edilizio di scarto”), spesso al massimo una trentina di centimetri, si diffe-renzia dagli altri per la relativa omogeneità dei componenti. Al pari del battuto G4 che lo sigilla, esso si presenta mediamente compattato, verosimilmente per calpestio prolungato.

I minuscoli tritumi di laterizi arancio-rossicci, presenti alla base dello strato (unità 4A), derivano probabilmente da usura e deterioramento del sottogiacente battuto G5.

L’argilla arancione in piccole lenti o in grumi, spessi da 1 a 10 cm, presente nella parte superiore dello strato (unità 4B), in attesa di analisi specifiche che ne chiariscano i rapporti genetici con il battuto G5 e con l’unità 5D del sopragiacente strato 5, la si può pensare formata da materiale naturale proveniente da depositi antichi a contatto con la roccia di fondo o nei suoi anfratti, utilizzato nel Medioevo come materia prima per la formazione di pavimenti e battuti e giunto mediante paleggio nella posizione in cui è stato ritrovato.

Per quanto riguarda il pietrame calcareo accumulato in giacitura irregolare nei solchi di testata della roccia di fondo insieme con malta in grumi e placchette (unità 4C), l’abito subparallelepipedo, le tracce di sbozzatura e le dimensioni medio-piccole suggeriscono che si tratti di residui inutilizzati di materiale edilizio approntato per la costruzione di un’opera muraria poco distante; la coincidenza topografica e la evidente somiglianza con l’unità 5B del sopragiacente strato 5 farebbero anzi supporre un unico accumulo di pietrame di scarto, pro-gressivamente interrato dai residui delle attività edilizie svoltesi in questo settore della Rocca, accumulo di cui 4C avrebbe costituito la base e 5B la sommità, rimasta per un certo tempo affiorante da G4.

I reperti inglobati nello strato comprendono 3 frammenti di recipienti in pietra ollare analoghi a quelli degli strati sottogia-centi (VIII-XIII secolo), ma anche due frammenti del fondo, con attacco di parete, di un recipiente di grandi dimensioni (diametro ricostruito 30 cm) a solchi di tornitura mediamente fitti e non lisciati (tav. 2, n. 552:1), databile all’XI/XII secolo sulla base di confronti tipologici con l’area di Milano45, nonché un proiettile per macchina da lancio in diorite, compatibile per peso (870 g) con quelli usati prima del XIII secolo46.

È quindi probabile che la formazione di 4 risalga al XII secolo. In questo caso, l’opera muraria per la cui costruzione era stato approntato 4C sarebbe forse da identificare con la Torre Ovest, la cui fondazione può appunto risalire a tale secolo (§ 5).

4.4 DAL XII ALLA SECONDA METÀ DEL XIV SECOLOLo strato 4 era sigillato dal battuto grigio G4 (fig. 10, n. 3),

continuo e regolare, esteso sulla maggior parte delle superfici esposte, localmente poggiante sulla roccia di fondo, con confine superiore netto e ben percepibile al taglio.

Al pari di G5, G4 non presentava buche per pali o altre strut-ture indicanti la presenza di coperture o recinzioni. Se si tiene conto che nel sopragiacente strato 5 erano praticamente assenti i materiali anteriori al XIII/XIV secolo, si ha la percezione di uno spazio calpestato, ma tenuto a lungo sgombro da alcunché di permanente: ciò risponderebbe alle esigenze tattiche di una torre effettivamente funzionante come struttura difensiva auto-noma (oltre che abitativa), le quali richiedevano che le vicinanze

immediate fossero mantenute in condizioni tali da permettere la massima visibilità dall’alto47.

I recenti scavi nella Torre Ovest indicano che essa è stata in funzione come struttura difensiva autonoma sino a un certo momento della seconda metà del XIV secolo, per poi rima-nere inattiva, in parziale rovina, per qualche lustro (§ 5.2). Conseguenza di tale epoca di abbandono è forse una serie di buche e buchette (G8) di varie forme e dimensioni, che per la loro irregolarità paiono riferibili a radici di alberelli o arbusti successivamente estirpati: difficili da delimitare con precisione, talora coalescenti, partivano da G4, giungendo quasi a contatto con il substrato roccioso dopo avere attraversato 4, G5 e 3; la principale era stretta, lunga oltre 1 m, profonda quasi una trentina di centimetri.

4.5 DALLA SECONDA METÀ DEL XIV AL XVI SECOLOCome già si è accennato, da G4 inizia il complesso stratigra-

fico superiore (fig. 8).Su G4, lungo il perimetro interno Sud del vano (fig. 7),

sono fondate alcune strutture murarie (soglia G7, pilastri G6 e G12), raccordate da uno zoccolo di sottofondazione e accomu-nate dalla tecnica edilizia approssimativa (fig. 10, n. 3); la loro messa in opera non ha comportato il rimaneggiamento degli strati sottostanti; un terzo pilastro (G10), allineato e coevo con gli altri due e con la soglia, è fondato a una quota più elevata, verosimilmente per la presenza di un saliente roccioso, benché le condizioni di scavo non consentissero di osservarlo chiaramen-te. Oltrepassando G7 verso Sud, si accede oggi a una nicchia creatasi in seguito all’otturazione della finestra ad arco del muro G14 (Casa G) da parte della cinta fortificata del Castello (fig. 10, n. 2). Dati l’allineamento con tale cinta e la debolezza delle sottofondazioni, è probabile che i pilastri, le cui sommità non sono visibili perché nascoste dalla volta a botte G16 (fig. 10, n. 1) e da altre opere murarie soprastanti, non sorreggessero né la copertura di un piano superiore, né una copertura precedente all’attuale, ma costituissero il supporto della travatura primaria di un pavimento ligneo, oppure la base o il rinforzo di un’opera difensiva accessoria, non necessariamente in muratura, operante in sinergia con l’alto muro della cinta fortificata.

L’erezione di queste strutture è posteriore al XII secolo, epoca probabile del sottogiacente strato 4, e anteriore al 1518, data che segna l’inizio della progressiva perdita di funzioni militari della Rocca48. Per tentare di restringere la datazione occorre considerare che i risultati dello scavo nella Torre Ovest (§ 5.2) suggeriscono che, in questo settore della Rocca, la formazione della prima cinta fortificata continua, inglobante strutture abitative e difensive precedenti, abbia avuto luogo verso la fine del XIV secolo o, al più tardi, all’inizio del XV: in quanto col-legati alla cinta, i pilastri e la soglia G7 apparterrebbero perciò a tale epoca.

Lo strato che copriva le sottofondazioni dei pilastri e della soglia (strato 5 = “terra, pietrame calcareo angolare o subangolare e macerie”), spesso al massimo una sessantina di centimetri, era costituito da una serie di apporti successivi, compositi ed etero-

45 Tipo XIV della classificazione di BOLLA 1987, pp. 147-148, 154-155, 168 (tav. XIV, nn. 71-72).

46 SETTIA 1993, pp. 311-313.

47 MANNONI 2005; MANNONI, SICIOS 2007.48 PUTELLI 1915, p. 531: «l’intero Senato veneto in una sua seduta 25 settem-

bre 1518 decideva […] di togliere affatto i sei [uomini] che in tempo pacifico stavano nella ròcca di Breno, “per esser tuta ruinada”»; p. 614: «la Repubblica pressata da tanti impegni d’armamenti in luoghi più aperti e strategici […] fino dal 21 marzo 1583 aveva dato come in investitura al Comune di Breno, per un’annua pensione, il patrio Castello»; p. 615: «Il 16 aprile 1598 […] facevasi in Breno l’incanto del terreno entro le mura castellane […] il terreno fu assegnato al Comune brenese […] per 620 lire veneziane ed il 6 giugno stesso stendevasi l’istrumento di compra formale».

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

genei, poco compattati, sovente a lenti interdigitate, con vacui e abbondanti malte in forma di blocchi, lenti o granuli disgregati. Più che a una singola colmata, tali apporti paiono riferibili a una fase edilizia articolata in varie operazioni di cantiere, talora più volte ripetute, nelle quali sono stati impiegati differenti materiali (pietrame, ghiaia, sabbia, argilla, malta, chioderia e altra ferramenta…), ognuno dei quali, accumulato a terra in attesa dell’utilizzo, ha lasciato residui prevalentemente lenticolari (unità 5G, 5F, 5C, 5E, 5D). Così 5G identifica le aree dove si preparava la malta, 5F quelle dove si accendevano fuochi, 5C quelle dove le ferramenta si ossidavano in attesa di essere uti-lizzate o riciclate, 5E quelle degli inerti destinati a entrare nella composizione del calcestruzzo; per 5D vale quanto osservato a proposito dell’unità 4B del sottogiacente strato 4 (§ 4.3).

L’unità sedimentaria principale (5A) inglobava materiali molto frammentari, databili dal XIII/XIV al XX secolo, con rarissime intrusioni di età precedenti (3 frammenti ceramici e una lamella di selce preistorici, 4 frammenti di pietra ollare dell’VIII-XIII secolo). Il XIII/XIV secolo è rappresentato da un affilatoio in arenaria grigia, un frammento di bicchiere cilindrico in vetro a pastiglie, un ferro da cavallo, una cuspide di freccia; il XIII-XV da 50 frammenti di pietra ollare di tipi tardi, prevalen-temente ‘millerighe’49; il XIV da 11 maioliche, 3 graffite arcaiche, 1 chiave; il XIV-XV da 126 graffite, 1 fermalacci in bronzo, 2 manici di pentola o secchiello, 10 cuspidi e 2 gorbie di frecce in acciaio; il XV da 1 graffita, 5 ingobbiate, 71 frammenti di vetri; il XV-XVI da 28 ingobbiate, 21 invetriate, 1 maiolica, 3 dadi da gioco in avorio; il XVI da 3 graffite monocrome, 2 ingobbiate, 1 invetriata; i secoli successivi da 30 invetriate, 2 slip wares, 4 taches noires, 31 terraglie bianche, 1 biscotto, 2 vasi da fiori, 21 vetri, oggetti in plastica, isolanti in porcellana, tappi di bottiglia in sughero o metallo.

La presenza di questi ultimi materiali potrebbe fare pensare che 5 risalga a epoca subattuale, ma è probabile che tali oggetti siano stati veicolati in profondità dalle buche G2 (§ 4.6) e che la formazione dello strato si concluda sostanzialmente nel XVI secolo, epoca dopo la quale i reperti nei sedimenti sono poco numerosi. L’assenza di arresti della sedimentazione o piani di calpestio intermedi interni allo strato e l’interdigitazione delle unità che lo compongono indicano che i varii apporti si sono verificati in momenti poco distanziati nel tempo e sono perciò legati a un’unica costruzione.

Quale costruzione? Accanto a parecchi materiali del XIV secolo, 5 ne ingloba molti anche del XV-XVI. La formazione dello strato appare perciò legata a una costruzione successiva ai pilastri G6, G10, G12 e alla soglia G7 (fig. 7; fig. 10, nn. 1, 2 e 3), costruzione da attribuire al XV secolo o all’inizio del XVI. La volta a botte attuale (G16) è impostata almeno in parte su tre segmenti murari (G11, G13, G17), uno dei quali sicuramente poggiante su 550: essa parrebbe perciò a prima vista la struttura muraria più recente dell’intera sequenza, posteriore al XVI secolo. Tuttavia, G16 esercita la propria spinta anche contro i pilastri del XIV secolo (G6, G10 e G12) e, con la malta che nasconde diversi rapporti stratigrafici, non si può escludere che G11, G13 e G17 siano stati eretti per rinforzare dal basso una volta preesistente che mostrasse segni di cedimento. È perciò possibile che la costruzione del XV secolo collegata alla forma-zione dello strato 5 sia proprio la volta originaria del Vano G, oggi non più visibile. I segmenti murari G11, G13 e G17 e la forma attuale della volta G16 potrebbero invece essere l’esito

di una delle riparazioni di ambienti del Castello menzionate in documenti dell’ultimo ventennio del XV secolo, quando i vani coperti fungevano in parte da caserme51. A questo proposito, lo scavo non ha incontrato alcun pavimento, ma, escludendo che i soldati vivessero tutto l’anno sulla nuda terra, si può ipotizzare che vi fosse un pavimento in legno che sia stato asportato dopo che la Rocca ebbe perso la sua funzione militare. In tal caso, alcuni lembi discontinui di pietrame suborizzontale (G1: fig. 8), individuati alla sommità di 5, sono forse il risultato del calpestio del suolo avvenuto dopo lo smantellamento del pavimento ligneo del XV-XVI secolo.

4.6 DAL XVII AL XX SECOLODopo il 1583, i rari reperti dei secoli XVII-XIX, soprattutto

ceramici, tradiscono una frequentazione episodica, anche se ri-corrente, legata alle attività agricole che si svolgevano nel Cortile Ovest e sull’estradosso della volta del vano stesso. Questa fase è documentata da una planimetria e da una descrizione redatte nel XIX secolo a fini di estimo52.

Alcune buche (G2), ricolmate con il medesimo materiale estrattone (6 = “terra, pietrame e macerie rimaneggiate”), devono risalire a epoca subattuale, poiché, come già osservato, hanno veicolato in basso ceramiche recenti e spazzatura riferibile alla frequentazione turistica della Rocca. Una è molto simile per posizione (centrale), ampiezza (una settantina di centimetri) e profondità (una quarantina di centimetri) a quella rinvenuta nella Torre Ovest (§ 5.2) e interpretata come esito di un son-daggio archeologico amatoriale. Un’altra, a pareti subverticali, potrebbe identificarsi con una piccola trincea archeologica iniziata nel 1981 e subito interrotta53.

4.7 CONCLUSIONEIn sintesi, mentre il complesso stratigrafico superiore è in

relazione con la costruzione e il funzionamento della cinta fortificata continua (seconda metà XIV-inizio XVI secolo), il complesso inferiore è riferibile all’epoca in cui la Rocca, molto prima che il Castello esistesse, era occupata da un nucleo abi-tato di case civili e torri isolate (seconda metà XI-seconda metà XIV secolo).

5. LE TORRI

Manca per ora una lettura stratigrafica complessiva delle varie murature difensive sulla Rocca, anche se diverse osservazioni sono state fatte in corrispondenza degli scavi archeologici.

Le due torri e la maggior parte delle cortine di cui sia stato possibile osservare le fondazioni sono costruite, al pari dei muri delle case (§ 4), direttamente su roccia, avvalendosi dell’anda-mento rettilineo di dorsi e gradini delle bancate calcaree più rilevate.

49 BOLLA 1987, pp. 147-148.50 I rapporti stratigrafici degli altri due non hanno potuto essere studiati

per motivi di sicurezza.

51 PUTELLI 1915, pp. 428-431: «Il Podestà di Brescia pure interviene ed il 10 giugno [1499] arrivano a Venezia sue lettere avvisanti essersi egli recato a Breno e visto che […] quella forteza li bisogna assai riparationi et monition […] I Rettori bresciani ancora informano aver mandato a Breno l’ingegnere Giacomo da Gavardo per riparare il Castello»; SIGNAROLI 2012: «Il 12 marzo 1492 il capitano di Brescia Vinciguerra Dandolo […] scriveva […] esser roinata una caxa ne la qual habitava X compagni in quella roca, la qual bisogna conzar».

52 Maurizio Ronchi, Planimetria Del Castello Comunale di Breno, che si vuole affittare per una Locazione di diciotto anni, del 17 agosto 1847; Descrizione dello stato attuale dei diversi appezzamenti che costituiscono la proprietà del Castello di spettanza del Comune di Breno, che si vuole assoggettare ad un nuovo contratto d’affittanza per una locazione di nove anni, del 10 marzo 1866 (Archivio Storico Comunale di Breno, Beni comunali 1868-1880, Busta 2, fascicolo 2; segnalazione documentaria di Angelo Giorgi).

53 ANDREWS 1981, p. 7.

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NOTIZIE DALL’ITALIA

I siti delle torri si trovano alle due estremità della bancata di roccia più elevata, che funge da spartiacque tra i versanti Nord e Sud della Rocca, nonché da base del lungo asse murario Ovest-Est che costituisce la spina dorsale delle fortificazioni (fig. 2). Alla caratteristica di essere tra i più elevati della Rocca, tali siti assommano la prerogativa di una posizione che, prima dei terrazzamenti susseguenti alla costruzione delle cortine, era an-che strapiombante (su tre lati la Torre Est, su due la Torre Ovest).

Quando si è indagato il sottosuolo ai piedi delle cortine (Cortile inferiore a Ovest della Torre-porta, Cortile superiore a Est della Torre Ovest, Cortile grande lungo il muro Nord, Cortile grande e Cortile Est al contatto tra la Torre Est e il muro che vi si addossa da Sud), non si sono individuate strutture di-fensive precedenti a quelle visibili al livello del suolo. Tra il 2002 e il 2012 sono stati portati in luce complessivamente circa 132 m² di roccia in posto e mai vi si sono osservate buche artificiali riferibili a palizzate in legno. Allo stato attuale, nonostante che le si sia ricercate, non vi sono perciò evidenze di fortificazioni anteriori alle torri e ciò trova conferma nell’assenza, negli strati riferibili alla costruzione, al funzionamento e anche, in parte, al decadimento delle case, di reperti di genere militare, quali i 33 dardi in acciaio o i 13 proiettili lapidei rinvenuti in strati riferibili al funzionamento del Castello (XIV-XV secolo).

Pare quindi che le torri siano i primi edifici spiccatamente di-fensivi sorti sulla Rocca e che i muri del Castello si siano irradiati nelle varie direzioni proprio partendo dai siti che le ospitano. Per la Torre Ovest, in particolare, il segmento di cinta che le si appoggia da Sud ostruisce la porta di accesso, per cui il funziona-mento della cortina è qui manifestamente posteriore alla fine del funzionamento della torre come struttura abitativa (fig. 11, n. 3).

Le facciate esterne a ‘bugnato rustico’ (fig. 11, nn. 2-3) trovano riscontro in diversi edifici del XII secolo, in ambito tanto regio-nale, quanto extraregionale: notevoli le analogie con le absidi della chiesa San Salvatore a Capo di Ponte (Valcamonica)54, con la torre Alghisi a Lovere (Bergamo)55, con la torre di Riva di Solto Collina (Bergamo)56, ma anche con quella di Borzone (Genova), attribuita da Aurora Cagnana57 a “magistri Antelami” attivi nella Repubblica di Genova all’epoca dell’arcivescovo Ugo della Volta (1163-1188): quest’ultimo edificio condivide con la Torre Ovest di Breno anche dimensioni alla base, spessore dei muri di base e presenza di uno zoccolo di fondazione esterno58. Ciò che tende a sconsigliare una datazione più tarda è l’assenza del trattamento concoide del bugnato e degli effetti bicromatici, che nel Bresciano e nel Bergamasco sono ritenuti tipici della seconda metà del XII e del XIII secolo59. Notevoli sono anche le differenze, nella realizzazione del bugnato, di stipiti, archi e feritoie, rispetto a una torre particolarmente ben datata su base documentaria come quella di Pisogne (Brescia), del 1299-131060. La situazione politico-militare della Valcamonica negli anni che precedono e accompagnano le discese in Italia di Federico Barbarossa (1154-1166)61 lascia d’altronde ipotizzare che alla

metà del XII secolo una posizione come la Rocca di Breno non fosse priva di difese.

5.1 TORRE ESTLa Torre Est (396 m), alta oggi 22 m e prospiciente l’alta

Valcamonica (fig. 1), occupa una superficie di circa 6,0×5,9 m², con un vano interno che supera però di poco 4 m² (circa 2,2×2,0 m²), in virtù dello spessore dei muri perimetrali che raggiunge 2 m (fig. 11, n. 6).

Due sondaggi esterni, lungo i lati Ovest e Sud (sondaggi 43 e 44), hanno messo in luce le fondazioni dell’edificio (fig. 11, n. 4), incontrando il substrato calcareo alla profondità media di una quarantina di centimetri (minimo 17 cm, massimo 52 cm). I conci del corso di base, adagiati su di un letto di malta steso direttamente sulla roccia, si adattano alla conformazione irregolare di questa, caratterizzata dall’alternarsi di solchi di erosione irregolari, dorsi convessi e superfici inclinate, e hanno dimensioni minori dei conci immediatamente soprastanti, costituenti il primo corso fuori terra, i quali misurano circa un metro in larghezza e poco meno in altezza62. Anche se a prima vista non si può escludere che si tratti di semplici gelifratti derivanti dal deterioramento delle pareti esterne, è probabile che la concentrazione di clasti calcarei spigolosi decimetrici, nel terreno che copre le fondazioni della costruzione, sia indice di conci rifiniti sul posto.

Non si sono invece effettuati sondaggi recenti all’interno dell’edificio, il cui potenziale archeologico si è probabilmente in gran parte esaurito con i lavori del 1914-1915, dai quali derivano alcuni dei materiali ceramici esposti al Museo Camuno63. Ai medesimi anni risale l’esteso restauro conservativo della parte alta della torre64: il limite superiore dei muri originari è marcato dalla riduzione di dimensioni dei conci e dal venir meno del ‘listello’ o ‘nastrino’, ossia della decorazione verticale ottenuta appiattendo i margini delle bugne dei conci angolari65 (fig. 11, n. 1).

5.2 TORRE OVESTLa Torre Ovest, alta oggi 15 m e prospiciente la bassa

Valcamonica (fig. 1), occupa una superficie di circa 6,0×6,2 m², con un vano interno di oltre 12 m² (circa 3,5×3,6 m²) e uno spessore dei muri perimetrali che oltrepassa di poco 1,2 m. L’edificio appare oggi ribassato di diversi metri rispetto all’epoca di funzionamento (fig. 11, n. 6), ma è possibile che in origine, essendo fondato a una quota lievemente più elevata della Torre Est (397 m), svettasse in modo ancora più evidente di quella.

Prima degli scavi, il riempimento interno raggiungeva una quota superiore di oltre 2,1 m rispetto al piano di calpestio attuale dell’adiacente Cortile Ovest (fig. 12).

Il tetto del deposito presentava una superficie stabile, incli-nata (6%) da Est a Ovest, con una corona irregolare di bassi tali lungo le pareti (più consistenti negli spigoli), formatisi per il maggiore accumulo perimetrale di malta disgregata proveniente dallo svuotamento dei giunti murari soprastanti. Al centro della metà Sud del vano si osservava una lieve depressione a pianta polilobata, caratterizzata da una maggiore concentrazione di pietrame minuto calcareo affiorante rispetto al resto della superficie.

Lo scavo ha incontrato uno strato di materiali edilizi a giacitura caotica (macerie; strato definito “pietrame caotico a

54 PANAZZA 1942, pp. 80-81, 87-88, fig. 64 (prima metà XII secolo).55 DOTTI 2011, pp. 184-188 (fase A, fine XII-inizio XIII secolo); analogia

avvalorata sul piano storico dalla parentela tra la famiglia degli Anzelieri (detti Celeri), presenti a Lovere, e quella dei Federici, presenti tanto a Lovere quanto a Breno con proprie maestranze (DOTTI 2011, pp. 181, 194-195).

56 DOTTI 2011, pp. 190 (fig. 4), 192.57 Comunicazione verbale dell’ottobre 2011.58 CHIERICI, CITI 1979, pp. 407-421; CAGNANA 2008, pp. 49-52; MANNONI,

BOATO 2009, tav. 11 (fig. 18); cfr. SETTIA 1993, pp. 253-254.59 GALLINA 2011, pp. 103 (figg. 56-57), 108-110; MATTEONI 2011, pp. 171, 176.60 BIANCHI, MACARIO 2008, pp. 56, 58-61, 64.61 PUTELLI 1915, pp. 12, 15, 25-26, 39, 55-56; cfr. BIANCHI 2011, p. 35;

VALSECCHI 2011, p. 143 (nota 19).

62 Cfr. GALLINA 2011, pp. 99 (fig. 49): edificio del XII secolo in Piazza San Giorgio a Cellatica (Brescia); 106.

63 GIORGI 2000, p. 46; 2004, pp. 286-289, 422-423 (nota 814).64 MORANDINI, DE MICHELIS 2000; GIORGI 2001, p. 25.65 Cfr. GALLINA 2011, pp. 101 (figg. 51-52), 106; MATTEONI 2011, p. 172.

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 11 – Torri con facciate a “bugnato rusti-co” (XII secolo): 1 e 2 = Torre Est: le frecce orizzontali indicano le estremità superiori dei “listelli” superstiti; 3 = Torre Ovest: al di sotto della soglia della porta d’ingresso, otturata e resa inservibile dalla cinta fortificata di età viscontea, si vede uno degli incavi delle travi di sostegno della scala di accesso; 4 = Torre Est: sondaggio 44, particolare delle fondazioni su roccia; 5 = Torre Ovest: particolare della feri-toia otturata (contorno bianco), fiancheggiata da incavi per l’inserimento di pali antiscalata; 6 = schema degli elevati attuali e planimetrie delle basi delle due torri.

fig. 12 – Torre Ovest, veduta interna dall’alto dopo la rimozione delle macerie; il livello a cui esse giungevano è indicato approssimativa-mente dai listelli lignei della quadrettatura (1 m di lato): F14 = muro Ovest originario (XII secolo); LSC = superficie del “limo sabbioso carbonioso” formatosi durante il funziona-mento della torre come struttura abitativa e difensiva autonoma (XII-seconda metà XIV secolo); F17 e F42 = riparazione del muro F14 e porta di accesso otturata, resa inservibile dalla costruzione della cinta fortificata del Castello (fine XIV/inizio XV secolo).

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NOTIZIE DALL’ITALIA

malta disgregata”), a scheletro molto abbondante (circa 50%), formato da scaglie e conci frammentari in calcare, con rari spezzoni di ardesie (piode), talora in piccole concentrazioni, e matrice di malta biancastra disgregata, a granulometria compresa tra la sabbia e il ghiaietto, con un orizzonte di sporadiche lenti di sabbia granoclassata grigiastra localizzato tra 0,4 e 0,5 m di profondità.

Procedendo verso il basso, a partire da circa 1,4 m di pro-fondità, la matrice è divenuta più sabbiosa, di colore tendente al grigio chiaro, e sono venuti in luce, accanto a scaglie e conci frammentari analoghi ai precedenti, conci in calcare di maggiori dimensioni, pressoché interi e di buona qualità. Lo strato ha tuttavia mantenuto sino alla base le proprie caratteristiche prin-cipali, con matrice costituita in maggioranza da malta e scheletro a giacitura caotica molto abbondante (sempre nell’ordine del 50% del totale). La potenza massima delle macerie asportate è risultata di 2,3 m, con un volume di 28 m³.

Lo strato inglobava: proiettili in pietra per macchina da lancio e per fionda; ceramiche e vetri databili tra la fine del XIV e la prima metà del XV secolo (con 86% di graffite); laterizi molto frantumati; intonaci dipinti; oggetti in acciaio, interi o fram-mentari, di vario genere, comprendenti strumenti bellici (dardi per balestra) ed elementi per infissi o mobilio, ma soprattutto per carpenteria, a cui aderivano talora esigui resti lignei riferibili alla travatura; un frammento di spugna ferrosa; tre monete, battute rispettivamente a Milano (argento), Bologna e Pisa tra la metà del XIV secolo e i primi anni del XV, nessuna delle quali riferibile all’epoca veneziana (che inizia nel 1427); bronzi (tra cui 1 anello, 2 ditali, 2 fermalacci, 4 fibbie); rari resti carboniosi; dadi in avorio (di cui uno con i soli numeri pari e un altro con i soli numeri dispari); 1 ago forato; circa 8000 resti ossei molto frammentari di macrofaune alimentari.

Non si è riscontrata alcuna differenza di contenuto tra la parte superficiale dello strato, l’orizzonte a lenti sabbiose grigie e la parte sottostante: il ‘fossile guida’ comune a tutti i livelli è la ceramica graffita; l’unica intrusione posteriore è costituita da tre frammenti di slip ware del XVII secolo, di cui due com-bacianti, recuperati nella parte superiore dello strato, in due quadrati adiacenti.

In corrispondenza della depressione a pianta polilobata è stata riconosciuta una buca, di profondità piuttosto irregolare (una quarantina di centimetri al massimo). Il suo riempimento non differiva dal resto, se non per l’assenza di materiali archeologici di dimensioni ultracentimetriche. Questa circostanza suggerisce che si tratti dell’esito di un embrionale sondaggio archeologico amatoriale, con prelievo dei reperti di maggiori dimensioni e successiva ricolmatura dello scavo, utilizzando a tale scopo i medesimi materiali precedentemente rimossi.

Il segmento Sud del muro Ovest della torre (F14) presenta un ampio rifacimento (F17), con assottigliamento e andamento incurvato della muratura (fig. 12): si tratta con ogni evidenza di un tratto di muro ricostruito con scarsa cura, dopo un consi-stente crollo o sfondamento verificatosi a cavallo tra il piano di accesso e quello sottostante (privo di porte verso l’esterno). Lo scavo ha fatto comparire il limite inferiore del rifacimento F17, al di sotto del quale ricompare, in buono stato di conservazione, il muro Ovest originario (F14).

Nel segmento Sud del muro Est, la rimozione dello strato di macerie ha riportato in luce il vano interno di una finestrella strombata o feritoia, oggi non più comunicante con l’esterno. L’esistenza dell’apertura, otturata da epoca imprecisata per lo spessore di un solo concio disposto di coltello, è poco percepibile dall’esterno, anche se in certo senso tradita da quattro incavi ciechi praticati in due grandi conci delimitanti la feritoia sul

lato esterno, destinati verosimilmente all’inserimento di pali antiscalata66 (fig. 11, n. 5).

Al di sotto delle macerie, a una quota mediamente inferiore di una cinquantina di centimetri rispetto all’attuale piano di calpestio esterno, è infine comparso un secondo strato, che, pur non ancora scavato, pare indisturbato e corposo (volume probabile una diecina di metri cubi).

In superficie, tale strato è caratterizzato da un limo sabbioso carbonioso di colore grigio scuro (fig. 12), lievemente untuoso, calpestato, resistente alla cazzuola, poco coerente per la presenza di intonaci disgregati ma comunque schiacciabile tra le dita, da un andamento ondulato con lieve inclinazione generale da Nord-Est a Sud-Ovest (concordante con lo strato sopragiacente) e dalla presenza al suo tetto di frammenti ceramici di grandi dimensioni, databili alla seconda metà del XIV secolo, da ritenersi in giacitura primaria in quanto largamente combacianti e concentrati in aree ristrette: si è accertata in via preliminare la possibilità di ricostruire quasi integralmente una brocca in maiolica e, tra le graffite, un catino apodo, un grande piatto, tre brocche, tre scodelle carenate e due scodelle emisferiche (tav. 3).

Sulla base di queste evidenze provvisorie, si può proporre la seguente ricostruzione. La torre, eretta nel XII secolo (forse non dopo il 1154-1166 per motivi storici), ha funzionato a lungo come installazione difensiva autonoma (disgiunta da altre strutture architettoniche) e, al tempo stesso, come abitazione signorile. Lo indicano lo strato archeologico con carboni e rifiuti dome-stici venuto in luce alla base dello strato di macerie e la grande quantità di malta disgregata, derivante sí dallo svuotamento dei giunti murari, ma anche dalla caduta della spessa intonacatura integrale delle pareti (di cui restano oggi ampi lembi in corso di restauro), riferibile a vani abitativi. Nella seconda metà del XIV secolo, epoca densa anche in Valcamonica di scontri fra guelfi e ghibellini67, la struttura deve avere subìto un pesante e ben riuscito assalto militare, con apertura di una breccia nel muro Ovest68. L’effettivo coinvolgimento della torre in uno o più eventi bellici è comprovato dai proiettili rinvenuti al suo interno e nelle immediate vicinanze: particolarmente suggestiva una calotta di proiettile per macchina da lancio, distaccatasi dalla massa principale dell’oggetto a seguito dell’urto contro il bersaglio e successivamente rivestitasi di una crosta di malta nel corso della successiva riparazione dell’edificio.

Dopo la presa, la torre è stata decapitata, gettando all’interno parte del demolito, non senza avere preventivamente proceduto allo spoglio della maggior parte delle piode del tetto69, delle travature e dei pavimenti lignei, tutte strutture di cui lo scavo ha incontrato scarsi resti frammentari.

Il breve intervallo cronologico tra le ceramiche frammiste alle macerie e quelle al tetto dello strato sottostante pare indicare che la struttura sia rimasta neutralizzata per qualche lustro, per poi essere frettolosamente restaurata, con rifacimento poco accurato del muro sfondato dall’evento bellico precedente e parziale ri-costruzione della sommità, senza tuttavia riguadagnare l’altezza originaria (il rapporto base/altezza attuale è circa 1:2,5, a fronte di un rapporto 1:3,7 riscontrabile nella Torre Est). I materiali lapidei per i restauri sono stati prelevati dai livelli superiori delle

66 Cfr. MARINO 2008. Il sito www.icastelli.org mostra una fotografia di dettaglio di un foro per l’inserimento di un palo antiscalata nel castello di Velia (Salerno).

67 PUTELLI 1915, pp. 215-228.68 Sulle possibili modalità di sfondamento cfr. MANNONI, SICIOS 2007.69 Simili a quelle ancora in opera in un lembo di spiovente della facciata

esterna della chiesa (fase tardoromanica del XIII secolo), inglobato nella cinta fortificata. Sul lemma pioda cfr. STELLA 2009, pp. 505-508.

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70 Tale segmento murario trova confronto nelle mura urbane di Iseo (Brescia), dell’inizio del XIV secolo (VALSECCHI 2011, p. 149, fig. 11): conci di pietra di dimensioni medie, corsi orizzontali, riempimento ‘a sacco’, spessore non superiore a 0,8-0,9 m, altezza circa 5 m.

tav. 3 – Torre Ovest, ceramiche della fine dell’uso abitativo dell’edificio (seconda metà XIV secolo): invetriata 2063:1 = scodellina monocroma gialla finemente puntinata in verde; graffite arcaiche 2002:7, 2002:6 = scodelle emisferiche con piede a disco; 2002:5 = scodella con carenatura mediana e piede ad anello umbonato; 2002:2 = piatto con piede ad anello; 2002:1 = catino apodo a profilo troncoconico; 2012:2, 2002:3, 2012:1

= brocche a corpo ovoide con ansa a nastro; maiolica 2012:3 = brocca a corpo ovoide con ansa a nastro.

macerie derivanti dalla distruzione precedente, con impiego selettivo dei conci di maggiori dimensioni e in migliore stato di conservazione: ciò spiega l’assenza di materiali di questo genere nella parte superiore del deposito accanto agli scarti costituiti dalle schegge e dai conci più frammentari. All’evento ricostruttivo sono da riferire le lenti sabbiose osservate nei livelli superiori delle macerie, interpretabili come residui di mucchi di sabbia edilizia.

L’otturazione della porta d’accesso inferiore (F42) da parte del muro di cinta del Castello visconteo70 (fig. 11, n. 3) e la grande rarità di resti carboniosi tra le macerie indicano che in questa

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NOTIZIE DALL’ITALIA

fase la torre aveva perso la funzione abitativa e l’autonomia difensiva di un tempo, per essere integrata nelle fortificazioni della nascente piazzaforte militare.

La riparazione della torre e la formazione della cinta fortificata in questo settore sommitale della Rocca devono avere avuto luogo verso la fine del XIV secolo e comunque prima del 1438, anno in cui Pietro Visconti e alleati hanno sottoposto il Castello a un lungo assedio71 che gli occupanti veneziani non possono avere affrontato con una torre menomata o con una cinta incompleta.

6. LO SCAVO-MUSEO DEL VANO S

A differenza dal Vano G, il secondo ambiente coperto da una volta a botte, denominato Vano S e comunicante con il Cortile piccolo (396 m, superficie calpestabile di 12,5×6,5 m²; fig. 2), ha rivelato una sequenza stratigrafica che non si sviluppa tanto in verticale, quanto in orizzontale, permettendo di osservare ampi settori di una serie di strutture medievali fondate sul substrato roccioso (fig. 13)72. Tale sequenza ha interferito con depositi inglobanti abbondanti materiali preistorici (fig. 14: strato 1).

Scopo iniziale dell’operazione era la documentazione delle testimonianze archeologiche presenti nel sottosuolo di un vano che nel passato recente era stato adibito a locale di ristoro, in vista della sua riqualificazione come locale di accoglienza, nell’ambito della prevista struttura museale della Rocca. Poiché si prevedeva che tale sistemazione comportasse la posa di un pavimento, era necessario che le indagini archeologiche fossero esaustive e accertassero che tale pavimento non andasse a celare testimonianze insostituibili o delle quali fosse necessario salvaguardare l’accessibilità in posto.

Sin dai primi giorni, lo scavo ha evidenziato, più ancora della rilevanza scientifica della stratificazione, il carattere scenografico e potenzialmente didattico delle strutture sepolte, inducendo a modificare la destinazione prevista inizialmente. È cioè parso chiaro che il Vano S offriva la possibilità di conservare in posto una sequenza di strati e strutture che, una volta adeguatamente attrezzata e illustrata, avrebbe potuto fungere di per sé da museo della storia della Rocca (fig. 15).

La tattica di scavo è stata di conseguenza modificata e adat-tata al nuovo scopo: la conservazione delle strutture nella loro interezza è stata privilegiata a discapito dell’esaurimento del de-posito, arrestando lo scavo al primo comparire di una qualunque struttura, quand’anche relativamente recente, e rinunciando a raggiungere eventuali strati sottostanti.

In diversi settori è stato comunque possibile giungere sino alla roccia, svuotandone anche solchi, tasche e interstizi. Il potenziale archeologico del vano può perciò ritenersi pressoché esaurito da un punto di vista scientifico, poiché è poco probabile che i corpi sedimentari lasciati in posto, sotto forma di testimoni o al di sotto di strutture più recenti, inglobino materiali mobili di particolare rilevanza di per sé stessi. Ben altra rilevanza hanno tali corpi sedi-mentari nell’esposizione museale, tanto più che questa è finalizzata alla didattica e alla divulgazione. Essi potrebbero comunque essere esauriti in futuro senza difficoltà, dato che non sono stati ricoperti da pavimenti, ma sono rimasti del tutto accessibili, come parte integrante della sezione CIDA del Museo Camuno.

6.1 LA SEQUENZA STRATIGRAFICA IN MOSTRALa sequenza edilizia inizia qui con i resti del basamento di

un grande muro a L (S3) costituito da conci in calcare legati da malta resistente. La struttura era parte di un edificio a pianta

rettangolare, che occupava una superficie maggiore di 11×5 m², estendendosi al di fuori dell’attuale perimetro del vano in direzione Ovest e Sud (figg. 7 e 13).

All’atto della fondazione, la sommità della Rocca era nuda o ricoperta da un velo di sedimenti (fig. 14: strato 1) che si in-sinuavano nei più profondi interstizi della roccia e che solo nel settore Nord-Est dello scavo, in corrispondenza di un gradino di roccia più alto degli altri, raggiungevano un consistente spessore (> 1,3 m). Non si può escludere che, per fondare l’edificio, la roccia in posto sia stata sgomberata da una parte del terreno che la ricopriva; le condizioni di rinvenimento degli oggetti preisto-rici, che anche negli interstizi si presentavano non strutturati, appartenenti a varie epoche e dunque ripetutamente rimaneg-giati, indicano comunque che il sedime prescelto era un’area di dilavamento e rideposizione già prima della fondazione.

I caratteri tecnici del muro S3 – conci grandi e ben squadrati, spesso letto di malta di buona qualità (S14) alla base, spessore complessivo – suggeriscono che l’edificio fosse una delle case d’abitazione di alto livello tecnico-economico che avevano inizia-to a essere costruite sulla Rocca a partire dal XII o dalla seconda metà dell’XI secolo (Casa S). Il manufatto è nell’insieme molto simile al basamento di muro raso al suolo rivelato nel 1980-1981 dagli scavi in prossimità dello spigolo Sud-Est della Torre Ovest (Casa E), precedente alla torre stessa73 e perciò risalente al più tardi al XII secolo. Il limite Ovest della Casa S doveva coincidere con il muro Est dell’odierno Vano G: sul lato esterno di que-st’ultimo si osservano infatti ancora oggi addentellati e morse situati esattamente sul prolungamento Ovest del muro S3 (fig. 6, n. 4), mentre all’interno si vede lo spigolo Nord-Ovest di un edificio in “opera quadrata” rustica che era appunto la Casa S (fig. 10, n. 4). Al di là delle differenze dovute alle caratteristiche litotecniche dei materiali impiegati, la muratura della Casa S ricorda quelle nei vani interni della canonica della pieve di Pisogne, datate alla seconda metà del XII secolo74.

Dopo avere funzionato per un certo tempo, la Casa S è stata abbattuta e i materiali di spoglio sono stati asportati e reimpie-gati in un’altra costruzione che non è per ora stato possibile identificare. Inizialmente, i ruderi si ergevano sulla roccia più di oggi: lo scavo ha infatti accertato che il loro stato attuale è il risultato di parziali spianamenti successivi.

Solo dopo l’abbattimento è iniziata sulla roccia la forma-zione di uno strato di “limo debolmente sabbioso, compatto, grigio-rossiccio, a lenti ghiaiose, sabbiose e carboniose” (strato 2), comprendenti anche grumi di malta e aventi potenza decimetrica o infradecimetrica e ampiezza inframetrica, con scheletro costituito da pietrame minuto spigoloso (da ghiaie a frammenti ultradecimetrici): lo strato si appoggiava infatti a S3 su entrambi i lati, sovrapponendosi anche al letto di malta S14; il suo tetto presentava quasi dappertutto un andamento ondulato, corrugato, come solcato da ruscellamento, in assenza di piani di calpestio; vi erano inglobati materiali rimaneggiati di epoca preistorica, altomedievale e medievale, tra cui diversi frammenti di recipienti di pietra ollare a tornitura lisciata esternamente, databili su basi tipologiche dall’VIII al XIII secolo (tav. 2).

A Sud di S3, 2 inglobava una vasca da calce, materializzata da una placca di materiale indurito di spessore infradecimetrico (S15), a pianta subrettangolare e con margini rialzati, alloggiata in una leggera depressione a conca dello strato, e un cordone di lenti sabbiose (S16), di potenza irregolare (da meno di 1 a 6 cm), originate da attività edilizie connesse con S15. Lo strato è perciò

71 PUTELLI 1915, pp. 343-349; GIORGI 2001, pp. 13-14.72 Cfr. FEDELE, ROSSI, GATTIGLIA 2003, pp. 28-37.

73 ANDREWS 1981, pp. 7-8; FEDELE 1988, p. 150 (fig. 232).74 BIANCHI, MACARIO 2008, pp. 86 (figg. 4-5), 87.

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NOTIZIE SCAVI E LAVORI SUL CAMPO

fig. 15 – Vano S, veduta generale da Ovest, con il basamento del muro Nord della Casa S (XII secolo) pog-giante su roccia e altre strutture.

76 Cfr., prescindendo dalla funzione, BIANCHI, VALENTI 2009, p. 645, tav. V; MAURINA 2010, pp. 68, 70.

77 Cfr. nota 51.

75 Documenti citati alla nota 52: «[Pezzo] XII°: Sotterraneo, ossia Involto fuori d’uso con ingresso dal N°: XI. = pavimento naturale di terra = soffitto a volto; il tutto in istato di assoluto abbandono e nullameno di completa solidità; superiormente il detto volto è coperto da cottica erbosa di qualche prodotto della Superficie di Tavole 2. 7. 1[.] Dal detto terreno a prato ai lati di mattina e {sera} <notte> si elevano due muraglie isolate che presentano un’altezza massima di 5,50 m affette da notevoli vani intermedji. Esistono esternamente sull’angolo a mattina gli avanzi di una cisterna, la quale all’interno è in parte ingombrata da materiali del crollato volto»; PEROGALLI 1969, p. 56: «locale sotterraneo, coperto a botte».

il risultato di una deposizione protrattasi nel tempo, intervallata da attività edilizie. La sua formazione copre probabilmente parte dei secoli XIII e XIV.

Poco dopo l’inizio della deposizione di 2 sono stati eretti un filare di lastre posate di coltello (S5), lungo l’attuale muro Est del vano, e, sotto l’odierno muro Nord, un muretto (S12), il cui cavo di fondazione (S13) ha troncato 2 sino al contatto con il substrato roccioso. È possibile che tali strutture contribuissero a convogliare l’acqua piovana verso un’area del Cortile piccolo dove ancora oggi si trova una cisterna (fig. 7), sfruttando l’incli-nazione della roccia: a suggerire tale interpretazione vi è anche un condotto (S27) che attraversa la base del muro S3.

In seguito è iniziata l’erezione degli attuali muri perimetrali. La successione muraria indica che il vano a volta, come esso ap-pare nel corso del XIX-XX secolo75 e sino a oggi, non è un’opera unitaria, bensì il frutto di diversi interventi edilizi successivi, che per motivi tipologici possono essere attribuiti all’epoca di funzionamento del Castello visconteo e veneziano (fine XIV-primo ventennio del XVI secolo: cfr. § 4.5).

È sorto dapprima l’alto muro, originariamente privo di aper-ture, che costituisce oggi il limite Est del vano (S24), il quale doveva fare parte del primo nucleo della cinta fortificata di età viscontea (fine XIV-inizio XV secolo); nella sua sottofondazione (S18), poggiante in parte su 2, sono reimpiegate di piatto alcune lastre provenienti dal parziale abbattimento di S5.

In base alla stratigrafia, risalgono a questa fase la vasca da calce S15, con ciò che vi si collega (lenti sabbiose S16, lembo di malta S20), la rimozione dal rudere di S3 di alcuni conci ancora

affioranti dal terreno (S19, S22), rimasti in tal modo imballati in 2, e, forse, un lembo superstite di battuto rosso (S2), con matrice costituita da un limo sabbioso, lievemente untuoso e tingente al tatto, almeno in parte di natura artificiale (tritume di laterizi?).

Successivi, verosimilmente del XV secolo, sono i due muri perimetrali Nord e Sud (S11 e S25), che non si immorsano nel muro Est (S24) e sui quali si imposta la volta a botte (S28). Il primo è fondato sul muretto S12 e il suo cavo di fondazione (S10) taglia lo strato 2 e il cavo di fondazione S13; le sottofondazioni del secondo poggiano in parte su 2. In connessione con la costruzione dei due muri, una profonda depressione ovale della roccia è stata svuotata dal terreno che conteneva e adibita a vasca da calce, come indica il materiale plastico solidificato che la fodera (S1). Quando la calce era ancora fresca, alcune piccole travi squadrate, facenti parte di un impianto temporaneo (impalcatura? miscelatore?76), vi hanno lasciato impronte tuttora ben riconoscibili (S4).

Un sondaggio effettuato all’esterno del vano sul prolunga-mento di S11 (sondaggio 12; fig. 6, n. 4; fig. 7) ne ha riportato in luce la testata Ovest, che giungeva ad appoggiarsi allo spigolo Sud-Est della Casa I (databile al XII o alla seconda metà dell’XI secolo: § 4). Prima della costruzione del muro perimetrale Ovest (S26), che conclude la formazione dell’attuale Vano S, è perciò esistito un vano più esteso in lunghezza verso Ovest (“Vano S lungo”), che giungeva a inglobare lo spazio aperto oggi frapposto tra i Vani G e S. È quindi probabile che l’erezione di S26 sia avvenuta a una certa distanza di tempo da quella di S11 e S25, all’epoca delle già ricordate riparazioni di ambienti menzionate da documenti del tardo XV secolo77.

7. CONSIDERAZIONI GENERALI

Nelle forme con cui si presenta oggi, l’insieme di immobili denominato Castello di Breno è l’esito di una complessa storia edilizia lunga quasi mille anni (dal VI/VII al XVI secolo).

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NOTIZIE DALL’ITALIA

tav. 4 – Cortile grande, sondaggio 27, materiali rimaneggiati dallo strato superficiale (“limo sabbioso grigio”): 1301:59 = lamina bronzea con fori per l’applicazione, databile fra VIII e metà XI secolo per confronto con reperti analoghi (554:5) dallo strato inferiore (2) del Vano G; 1301:8 = lamina bronzea frangiata, età indeterminabile; 1300:174, 1300:191 = borchietta e gancetto in bronzo (XV secolo); 1300:39 = orecchino in filo di bronzo ritorto con perla vitrea (XV secolo); 1300:13 = ac-cettina in pietra verde (età preistorica), incrostatasi di malta durante

una delle fasi edilizie.

fig. 16 – Cortile grande, sondaggio 27, esempio di distribuzione dei reperti mobili nel “limo sabbioso grigio” che costituisce lo strato superficiale, proiezione sulla sezione Nord dei quadrati R20+S20: ◆ = preistorici; ■ = romani; = medievali; • = moderni e contemporanei; ■ = incertae sedis.

può affermare che essa svolge tale doppio ruolo sino alla seconda metà del XIV secolo. Alcune case sono abbattute per fare posto alle torri, altre continuano a esistere accanto a esse.

A partire dalla metà del XIV secolo, le torri vengono integrate in un sistema di cinte continue tipiche di una fortezza militare, subendo ampie trasformazioni e perdendo l’autonomia difensiva. Le case sopravvissute alla costruzione delle torri sono abbattute o inglobate nelle strutture militari. Vi è poi un progressivo amplia-mento verso il basso dell’area fortificata, che rimane in funzione sino alla metà del XVI secolo e comunque non oltre il 1583.

La stratificazione archeologica si rivela dappertutto piuttosto complessa, rispecchiando i ripetuti e ampi rimaneggiamenti di terra, pietrame e macerie e le attività di cavatura e spoglio che hanno accompagnato la costruzione e le ristrutturazioni degli edifici succedutisi nei secoli. Le strutture medievali hanno inoltre interferito pesantemente con i resti di occupazione precedenti, sporadici per le Età romana e protostorica, ma molto consistenti per la preistoria, creando corpi sedimentari compositi di non facile lettura (fig. 16; tav. 4).

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L’edificio più antico, oggi all’interno del perimetro del Castello ma in origine a sé stante, è la chiesa cimiteriale rupestre, la cui prima fondazione risale all’Altomedioevo e forse ai primi secoli di tale epoca. Il versante Nord della Rocca è comunque in parte occupato da un’area funeraria sin dal VI secolo (datazione 14C della tomba T1).

A partire dal XII o, forse, dalla seconda metà dell’XI secolo, sul margine Sud della Rocca, a una trentina di metri dalla chiesa, inizia a formarsi un nucleo di case d’abitazione in muratura di alto livello tecnico-economico, costruite a breve distanza l’una dall’altra, ma non addossate, separate da vicoli e cortili. Questo agglomerato va a occupare l’area più elevata della Rocca (quota massima 399,33 m).

Nel XII secolo, forse non dopo la metà, accanto alle case sorgono due torri isolate, distanti 67 m l’una dall’altra, con un doppio ruolo abitativo e difensivo. Nel caso della Torre Ovest, si

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SummaryMedieval Archaeology in the Castle of the Rocca di Breno

(Valcamonica, Brescia). As part of the recent conservation work performed on the Castello di

Breno (Brescia) a series of extensive excavations were conducted in the buildings now occupied by the Museo Camuno and other infrastructures. In Building G, a 2 meter deep stratigraphic formation, in the bottom layers is related to the era in which the Rocca, before the construction of the Castle, was occupied by houses having a high technical and economic level and isolated towers (from the second half of the 11th century to the second half of the 14th century) and, in the upper layers, is related to the construction and functioning of the military stronghold (from the

end of the 14th century to the beginning of the 16th century). A similar sequence was found in Building S, where the spectacular appearance and the horizontal extension of the structures convinced the authorities that it should be used for purposes of education and display. Concerning the West Tower, which was first used as a defensive structure and autono-mous residence (from about the middle (?) of the 12th century to the second half of the 14th century), at the moment we have information only about the most recent phases in which the building, after a siege in which a breach was made in one of the walls, followed by a brief period of abandonment at the end of the 14th century, only served military purposes and was incorporated into the walls of the Castle.

RiassuntoI recenti restauri conservativi del Castello di Breno (Brescia) hanno

comportato scavi esaustivi nei fabbricati destinati a ospitare la sezione archeologica del Museo Camuno e altre infrastrutture. Nel Vano G una sequenza stratigrafica di 2 m di spessore documenta, nei livelli inferiori, l’epoca in cui la Rocca, prima della formazione del Castello, era occupata da case di alto livello tecnico-economico e torri isolate (seconda metà XI-seconda metà XIV secolo) e, nei livelli superiori, la costruzione e il funzionamento della piazzaforte militare (fine XIV-inizio XVI secolo). Una sequenza analoga è apparsa nel Vano S, dove l’aspetto scenografico e l’estensione orizzontale delle strutture hanno indotto a destinare lo scavo a fini espositivi e didattici. Della Torre Ovest, funzionante all’inizio come struttura difensiva e abitativa au-tonoma (metà (?) XII-seconda metà XIV secolo), sono per ora note le fasi più recenti, in cui l’edificio, dopo un assalto con apertura di una breccia e un momentaneo abbandono (fine XIV secolo), aveva funzioni solo militari, integrato nella cinta del Castello.