note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da hpv · relativi al ciclo cellulare e...

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3 CAPITOLO Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV C. GENTILI 1 Questi 5 tipi, nel loro insieme, rappresentano l’85% degli HPV presenti nei carcinomi della cervice uterina. Poiché le classificazioni in genotipi sono in continua revisione, non sono possibili indicazioni definitive riguar - do la loro oncogenicità, soprattutto per quanto riguarda i genotipi a classificazione intermedia. HPV IN GRAVIDANZA Gli effetti della gravidanza sull’infezione da HPV non so- no ancora del tutto noti. Sebbene siano presenti fattori che dovrebbero favorire l’aumento di incidenza dell’infezione, quali il calo dell’immunità naturale e l’azione promotrice, dimostrata sperimentalmente, di estrogeni e progesterone nell’attivazione della Long Control Region (LCR) (Sethi 1997; Michel 1997), i dati che emergono dagli studi non sono uniformemente interpretabili. La prevalenza dell’HPV in gravidanza varia, a secon- da degli studi, dal 5.5% al 65%. Tale forte escursione è riconducibile a diversi fattori: area geografica, selezione del campione, metodi di rilevazione. Ad esempio, mentre in Spagna, secondo uno studio che coinvolge 828 donne (Castellsagué 2009), si riferisce di una bassa prevalenza di infezione (6.5%), in Uganda, secondo uno studio che coinvolge 987 primipare (Banura 2008), si registra un’alta prevalenza di infezione (60%). In Austria la media risulta del 24% su 147 donne controllate (Eppel 2000); in Messico, del 37% su 274 (Hernández-Girón 2005), in Giappone del 35% su 151 (Yamasaki 2011). Ancora in Giappone, in uno studio precedente condotto su 1183 donne (Takakuwa 2006), si parla di una prevalenza in decremento con l’età (22% in donne < 25 anni, 11% in donne > 25 anni), dati confermati da una rewiew di 28 studi osservazionali comprendente 13640 donne (Liu 2013). Relativamente al confronto tra gravide e non gravide, alcuni studi non segnalano differenze (Chan 2002; Nob- INTRODUZIONE Il Papilloma virus umano (HPV) colpisce entrambi i sessi ed è, in tutto il mondo, tra le cause più frequenti di ma- lattia sessualmente trasmessa. Poiché all’infezione genitale da HPV non corrisponde una malattia notificabile, prevalenza e incidenza ne sono sconosciute. Si stima, però, che oltre il 75% delle donne sessualmente attive sia stata positiva all’infezione da HPV almeno una volta nella vita. Studi epidemiologici condotti negli USA hanno evidenziato un’incidenza annuale di nuove infezioni di 6.2 milioni con una prevalenza di oltre 20 milioni; secondo un recente studio (Satterwhite 2013), il 26.8% delle donne statunitensi tra i 14 e i 59 anni risulta positiva all’HPV: vale a dire, 24.9 milioni di donne in tutto il Paese. In Europa, la prevalenza dell’infezione da HPV in donne sane (in assenza, cioè, di alterazioni citologiche a carico dell’apparato genitale) è pari al 14% e la percentuale di incidenza risulta pari al 7%, con 16 milioni di nuovi casi ogni anno, in una popolazione di 230 milioni di persone. La prevalenza dell’infezione diminuisce con l’aumen- tare dell’età registrando un picco massimo di circa il 30% nelle donne più giovani (<25 anni), del 15-20% (variabile a seconda delle aree geografiche) nelle donne tra i 30-50 anni e del 10% nelle ultracinquantenni (Smith 2008). Numerose ricerche sperimentali e studi epidemiologici mostrano che un’infezione da HPV persistente è causa ne- cessaria del cervico-carcinoma e delle sue lesioni precance- rose (Woodman 2001; Munoz 2002). I genotipi di HPV sono più di 120, di cui almeno 40 infettano la mucosa. I genotipi genitali sono definiti “ad alto rischio”, “a possibile alto ri- schio”, “a basso rischio” a seconda della loro oncogenicità. Tra i genotipi di HPV attualmente definiti ad alto ri- schio prevalente è il tipo 16, presente in più del 50% dei casi, seguito dal tipo 18 (10%-20%), mentre il restante 15%-20 % è rappresentato da altri tipi (tra cui, in partico- lare, i 31, 33 e 45).

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Page 1: Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV · relativi al ciclo cellulare e alla sua regolazione. La sequenza degli eventi che determinano la divisione cellulare

3

C A P I TO L O

Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPVC. GENTILI

1

Questi 5 tipi, nel loro insieme, rappresentano l’85% degli HPV presenti nei carcinomi della cervice uterina.

Poiché le classificazioni in genotipi sono in continua revisione, non sono possibili indicazioni definitive riguar-do la loro oncogenicità, soprattutto per quanto riguarda i genotipi a classificazione intermedia.

HPV IN GRAVIDANZA

Gli effetti della gravidanza sull’infezione da HPV non so-no ancora del tutto noti. Sebbene siano presenti fattori che dovrebbero favorire l’aumento di incidenza dell’infezione, quali il calo dell’immunità naturale e l’azione promotrice, dimostrata sperimentalmente, di estrogeni e progesterone nell’attivazione della Long Control Region (LCR) (Sethi 1997; Michel 1997), i dati che emergono dagli studi non sono uniformemente interpretabili.

La prevalenza dell’HPV in gravidanza varia, a secon-da degli studi, dal 5.5% al 65%. Tale forte escursione è riconducibile a diversi fattori: area geografica, selezione del campione, metodi di rilevazione.

Ad esempio, mentre in Spagna, secondo uno studio che coinvolge 828 donne (Castellsagué 2009), si riferisce di una bassa prevalenza di infezione (6.5%), in Uganda, secondo uno studio che coinvolge 987 primipare (Banura 2008), si registra un’alta prevalenza di infezione (60%). In Austria la media risulta del 24% su 147 donne controllate (Eppel 2000); in Messico, del 37% su 274 (Hernández-Girón 2005), in Giappone del 35% su 151 (Yamasaki 2011). Ancora in Giappone, in uno studio precedente condotto su 1183 donne (Takakuwa 2006), si parla di una prevalenza in decremento con l’età (22% in donne < 25 anni, 11% in donne > 25 anni), dati confermati da una rewiew di 28 studi osservazionali comprendente 13640 donne (Liu 2013).

Relativamente al confronto tra gravide e non gravide, alcuni studi non segnalano differenze (Chan 2002; Nob-

INTRODUZIONE

Il Papilloma virus umano (HPV) colpisce entrambi i sessi ed è, in tutto il mondo, tra le cause più frequenti di ma-lattia sessualmente trasmessa.

Poiché all’infezione genitale da HPV non corrisponde una malattia notificabile, prevalenza e incidenza ne sono sconosciute. Si stima, però, che oltre il 75% delle donne sessualmente attive sia stata positiva all’infezione da HPV almeno una volta nella vita. Studi epidemiologici condotti negli USA hanno evidenziato un’incidenza annuale di nuove infezioni di 6.2 milioni con una prevalenza di oltre 20 milioni; secondo un recente studio (Satterwhite 2013), il 26.8% delle donne statunitensi tra i 14 e i 59 anni risulta positiva all’HPV: vale a dire, 24.9 milioni di donne in tutto il Paese. In Europa, la prevalenza dell’infezione da HPV in donne sane (in assenza, cioè, di alterazioni citologiche a carico dell’apparato genitale) è pari al 14% e la percentuale di incidenza risulta pari al 7%, con 16 milioni di nuovi casi ogni anno, in una popolazione di 230 milioni di persone.

La prevalenza dell’infezione diminuisce con l’aumen-tare dell’età registrando un picco massimo di circa il 30% nelle donne più giovani (<25 anni), del 15-20% (variabile a seconda delle aree geografiche) nelle donne tra i 30-50 anni e del 10% nelle ultracinquantenni (Smith 2008).

Numerose ricerche sperimentali e studi epidemiologici mostrano che un’infezione da HPV persistente è causa ne-cessaria del cervico-carcinoma e delle sue lesioni precance-rose (Woodman 2001; Munoz 2002). I genotipi di HPV sono più di 120, di cui almeno 40 infettano la mucosa. I genotipi genitali sono definiti “ad alto rischio”, “a possibile alto ri-schio”, “a basso rischio” a seconda della loro oncogenicità.

Tra i genotipi di HPV attualmente definiti ad alto ri-schio prevalente è il tipo 16, presente in più del 50% dei casi, seguito dal tipo 18 (10%-20%), mentre il restante 15%-20 % è rappresentato da altri tipi (tra cui, in partico-lare, i 31, 33 e 45).

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4 SEZIONE I - Infezioni HPV correlate

fasi sono intervallate da checkpoint, la cui funzione è ga-rantire che cellule con alterazioni genetiche non portino a termine la replicazione.

Durante la fase G1, le cellule accumulano materiale citoplasmatico per duplicare il DNA.

Prima di passare alla tappa successiva, il processo è sottoposto ad un primo checkpoint G1/S in cui sono valutati l’integrità del DNA, la presenza dei fattori di cre-scita, delle proteine e degli enzimi necessari per la dupli-cazione. Quando vengono rilevate anomalie, si attivano meccanismi di controllo che ritardano la progressione del ciclo. Le anomalie non gravi vengono riparate, mentre, in caso di danni gravi ed irreversibili, le cellule vengono avviate a morte attraverso il meccanismo dell’apoptosi. Nella fase successiva (S), si verificano la sintesi e la duplicazione del DNA, mentre nella fase G2 la cellula si prepara alla mitosi. In questa fase, i centrìoli che hanno completato la duplicazione si posizionano esternamente alla membrana nucleare. I microtubuli e i microfilamenti iniziano ad assemblarsi formando il fuso mitotico in vista del loro compito di ripartizione dei cromosomi. Si realizza inoltre la sintesi delle proteine necessarie per la duplicazione cellulare.

Prima di passare alla fase mitotica, si ha un 2° punto di controllo G2/M, che garantisce che sia avvenuta una re-plicazione genetica corretta prima della effettiva divisione cellulare. Anche in questo caso, se le alterazioni genetiche sono troppo gravi per essere corrette, la cellula va incon-tro a morte apoptotica o, in alternativa, entra in una fase non replicativa chiamata senescenza. Il superamento di questo secondo punto permette l’entrata nella fase M e, quindi, l’inizio del processo di divisione dell’intera cellula (Figura 1).

Il controllo genico nei due checkpoint e la spinta alla sintesi e alla duplicazione del DNA sono opera di due pro-teine, Rb e 53, che, come vedremo in seguito, svolgono un ruolo chiave nella progressione del ciclo cellulare.

La progressione del ciclo cellulare è guidata da pro-teine dette cicline. Come suggerito dal nome, le cicline sono sintetizzate e degradate in una precisa sequenza temporale.

Sono associate ad enzimi, chiamati chinasi ciclino-di-pendenti (CDKS), che formano complessi capaci di fosfo-rilare substrati proteici. Questi complessi attivati sono es-senziali per la transizione della cellula da una fase all’altra del ciclo attraverso i checkpoint. Sono state identificate 15 diverse cicline, indicate con una lettera dell’alfabeto, dalla A alla I. Le cicline di tipo D ed E regolano la transizione da G1 a S mediante la fosforilazione della proteina Rb. Le cicline A sono attive nella fase S; le cicline B regolano la transizione da G2 a M.

Ogni complesso CDK-ciclina media una sola fase del ciclo e provvede alla formazione del complesso CDK-ci-clina della fase successiva, da cui viene inattivato.

I complessi CDK-cicline sono a loro volta inibiti da piccole proteine (15, 16, 18, 21, 27, 57) chiamate CDKI (CDK-Dependent Kinase Inhibitor Proteins). Compito de-

beenhuis 2002; Takara 2011; Schmeink 2012); in altri, invece, si segnala una maggiore prevalenza di HPV in gravidanza (Morrison 1996; Five 1999; Hernández-Girón 2005; Aidin 2010; Liu 2013; Salcedo 2015). Alcuni stu-di, infine, registrano una diminuzione della prevalenza e un’accelerazione della clearance nel 3° trimestre di gravidanza e nel post partum, dati interpretabili con la riduzione dell’attività sessuale e con la normalizzazione del sistema immunitario che caratterizzano i due periodi (Nobbenhuis 2002; Yamasaki 2011; Zomda 2011).

STORIA NATURALE

Conformemente allo scopo del presente capitolo, si descri-veranno con parole semplici e in maniera dinamica e mul-tidisciplinare la storia naturale della malattia, i vari aspetti delle lesioni cervicali, i fattori di rischio e condizionanti la progressione dell’infezione verso il carcinoma cervicale.

I modelli proposti sono presentati in forma semplificata per agevolarne la comprensione al lettore non esperto di meccanismi genetici e di biologia molecolare.

La visione della cancerogenesi della cervice uterina è mutata in modo radicale negli ultimi 20 anni. La com-prensione degli effetti dell’infezione da HPV sui tessuti ha rivoluzionato i tradizionali e datati concetti fondati sulla correlazione tra istologia e comportamento clinico. Di conseguenza, i vecchi termini di displasia/carcinoma in situ, secondo un sistema basato su quattro gradi, o di neoplasia cervicale intraepiteliale, basato su tre gradi, si sono dovuti adeguare alle nuove evidenze biologiche che segnalano l’intero spettro della neoplasia cervicale ricon-ducibile all’HPV con, fondamentalmente, solo due condi-zioni che intercorrono tra normale, o reattiva, e cancro.

La prima condizione, di gran lunga la più comune, è rappresentata dalle lesioni squamose di basso grado (dette anche CIN 1), manifestazione morfologica dell’infezione da HPV cosiddetta produttiva. L’infezione e le lesioni da essa prodotte sono quasi sempre transienti e si risol-vono mediamente in un paio d’anni. Tutti i tipi di HPV necessitano, per riprodursi, di questa fase. La seconda, detta trasformante, molto meno comune ed espressione di un’azione oncogena del virus, produce un’espansione clo-nale di cellule rapidamente proliferanti che si manifestano morfologicamente come lesioni squamose di alto grado (dette anche CIN 3).

IL CICLO CELLULARE

Prima di addentrarci nel ciclo vitale del Papilloma virus, per meglio comprenderne l’azione sulle cellule infettate è opportuno mettere a fuoco alcuni meccanismi di base relativi al ciclo cellulare e alla sua regolazione.

La sequenza degli eventi che determinano la divisione cellulare consta di 4 fasi: G1 (gap1), S (sintesi), G2 (gap2), M (mitosi). Le cellule quiescenti si trovano in G0. Queste

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5CAPITOLO 1 - Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV

Fu così chiamata perché si scoprì che il retinoblastoma (un cancro della retina) si sviluppava quando entrambi gli alleli del gene RB1 (il gene che codifica la proteina Rb) erano inattivati da una mutazione. La proteina, presente nel nucleo cellulare come fosfoproteina, ha un ruolo fon-damentale nel controllo della divisione e del differenzia-mento cellulare. La pRb è fosforilata da numerose chinasi (come si descriverà in seguito); la sua funzione è bloccare la cellula in uno stadio del ciclo cellulare prevenendone divisioni errate o dannose. Durante la fase G0 /G1, durante la senescenza e la quiescenza, pRb è poco fosforilata. La pRb è infatti legata, rendendola inattiva, alla proteina E2F, fattore di trascrizione capace di promuovere la trascrizio-

gli inibitori è far rispettare i diversi livelli di controllo del ciclo cellulare modulando l’attività delle CDK-cicline. Il più importante è il p21 in quanto entra nella regolazione di quasi tutti i complessi CDK-ciclina (Figura 2).

Si esaminano ora alcune delle più importanti proteine coinvolte nella progressione del ciclo cellulare con riferi-mento a quelle interessate dall’azione dell’HPV.

PROTEINA DEL RETINOBLASTOMA (pRb)

La proteina del retinoblastoma (pRb o Rb) è una proteina soppressore tumorale alterata in numerosi tipi di cancro.

S

G2

G1

Duplicazione cromosomica

Controllo DNA danneggiatoCheckpoint G1/S

Divisone cellulare

G0

Controllo DNA danneggiatoCheckpoint G2/M

Duplicazione centrosoma e accumulo di materiale citoplasma�co per la duplicazione del DNA

Apoptosi

G0

Preparazione alla mitosi Proteine necessarie alla duplicazione

M Apoptosi

Fig. 1-1. Ciclo cellulare. Schema del ciclo cellulare con le 4 fasi e i due checkpoint. Esistono (non rap-presentati in figura) una 5° fase, detta citodieresi, chiamata anche divisione citoplasmatica, e un 3° checkpoint nella transizione metafase – anafase, che controlla la corretta disposizione dei cromosomi sul fuso mitotico.

SG2

G1

G 0G 0

CDK4/6

CICLINA D

PCDK1

CICLINA B

P

CDK2

CICLINA E

P

CDK2

CICLINA A

P

CDK1

CICLINA A

P

Fig. 1-2. Complessi CDK-ciclina. I complessi CDK 4/Ciclina D, CDK6/ Ciclina D regolano la transi-zione dalla fase G1 alla fase S. I complessi CDK2/Ciclina E e CDK2/Ciclina A sono attivi nella fase S. I complessi CDK1/Ciclina A e CDK1/Ciclina B regolano la transizione della fase G2/M e la profase. Due famiglie di inibitori INK4 bloccano la progres-sione del ciclo. La prima, p16, p15, p18, p19, agisce sui complessi CDK4 e CDK6; la seconda, p21, p27, p57, su tutte le CDK. Ogni nuovo complesso inatti-va quello precedente.

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6 SEZIONE I - Infezioni HPV correlate

Quando si verifica un danno al DNA, la p53 viene liberata dalla MDM2 ed esercita una triplice azione: 1. Attiva la riparazione del DNA danneggiato (se il DNA

è riparabile), inducendo la trascrizione di geni riparato-ri del DNA come GADD45 (Growth Arrest and DNA Damage Inducible Alpha);

2. Blocca il ciclo cellulare nei due checkpoint G1/S e G2/M, attivando la trascrizione di molti geni, incluso quello per la p21 che, come si è detto precedentemente, è uno dei principali inibitori dei complessi CDK-ciclina.

3. Induce l’apoptosi mediante l’espressione di geni pro-apoptotici della famiglia di Bcl-2 (come Bax, Puma, Noxa), se il danno è irreparabile (Figura 4).Recenti ricerche hanno individuato, attraverso la p14A

RF (un potente oncosopressore umano), un legame tra p53 e pRb, suggerendo la possibilità che le due vie si regolino a vicenda.

CARATTERISICHE DEL VIRUS E CICLO VITALE

Il genere Papilloma virus appartiene alla famiglia dei Papillomaviridae.

I Papilloma virus sono ampiamente diffusi in natura; in-fettano l’uomo e gli animali. Sono stati identificati Papilloma virus bovini, canini, del coniglio, dell’alce, del cervo, ecc.

I vari gruppi non vengono classificati in sierotipi in base alle caratteristiche antigeniche – dal momento che le proteine capsidiche di tali virus sono antigenicamente simili – , ma vengono suddivisi in genotipi in base alle omologie e alle differenze in determinate regioni del genoma virale. Secondo un recente criterio, un nuovo genotipo isolato è classificato come nuovo genotipo di Papilloma virus se non presenta un’omologia superiore al 90% nella sequenza della regione L1; un sottotipo è

ne di geni coinvolti nella progressione del ciclo cellulare. Finché l’E2F è inattivato, la cellula rimane in stallo in G1. Quando la pRb viene fosforilata per azione dei complessi CDK4-6/Ciclina D, la proteina E2F diviene attiva e per-mette il passaggio alla fase cellulare successiva attraverso l’attivazione della CDK2/Ciclina E. Il fattore di trascri-zione E2F favorisce anche la formazione dei complessi CDK1/Ciclina A, che agisce a livello della fase G2/M, e CDK1/Ciclina B, che agisce a livello della profase favo-rendo la degradazione dell’involucro nucleare e consente l’avvio della mitosi (Figura 3).

Come vedremo in seguito, una proteina dell’HPV chiamata E7, molto più affine all’Rb del fosforo fornito dai complessi CDK ciclina, si legherà in maniera stabile al pRb liberando E2F e promuovendo una progressione continua del ciclo.

PROTEINA 53 (p53)

La p53, detta guardiano del genoma, è un fattore di tra-scrizione, la cui espressione e attività sono indotte da vari agenti che provocano stress cellulare quali danno al DNA, ipossia e segnali di proliferazione anomali. Fa parte di un meccanismo naturale di protezione, una sorta di controllo di qualità che sorveglia continuamente il DNA.

Nelle cellule normali la p53 è solitamente inattiva, le-gata alla proteina MDM2 (Murine Double Minute 2). La MDM2 inibisce la p53 e ne promuove, funzionando come una ligasi, l’ubiquitinazione e, quindi, la degradazione tramite proteasoma1.

S

G1

CDK4/6

CICLINA DP

CDK2

CICLINA EP

RB E2F

RB E2FP

Fig. 1-3. Proteina Rb. La proteina Rb viene fosforilata dalla CDK 4-6/CiclinaD. Il fattore trascrizionale E2F viene liberato e attiva la CDK2/ CiclinaE che medierà la fase di sintesi.

1La ubiquitina è una piccola molecola proteica che si lega, con un legame covalente, alla proteina che deve essere degradata. I complessi ubiquitinati vengono indirizzati e degradati nel protea-soma, una struttura citoplasmatica a forma cilindrica con attività proteasiche.

MDM2

p21

Riparazione DNA Arresto del ciclo Apoptosi

CDK cicline Geni apopto�ci(Bax,Puma,Noxa)

GADD45/PCNA

P53

Stress

Fig. 1-4. Proteina 53. Attivazione della p53 e triplice azione sulle fasi del ciclo cellulare.

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7CAPITOLO 1 - Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV

La LCR, anche definita Upstream Regolatory Region (URR) o No Coding Region (NCR), è un piccolo segmento del genoma virale compreso tra le due regioni ORF. La dimensione della LCR è molto variabile tra genomi dei diversi sottotipi di HPV: rappresenta in media il 5% del genoma virale ed è costituita da un numero di basi variabi-le da 400 a 1000. La LCR non codifica per delle proteine; comprende i siti di legame (fattori promotori2) necessari per la trascrizione dei geni di HPV e l’origine della repli-cazione (ORI3) che, a sua volta, si lega alle proteine E1 e E2 e recluta la polimerasi cellulare e le proteine accessorie che mediano la replicazione.

Tutte le LCR studiate contengono sequenze regolatorie dotate di specificità di tessuto o di tipo cellulare che, co-me vedremo in seguito, favoriscono il tropismo del virus verso determinate cellule bersaglio.

classificato come tale quando l’omologia è tra il 90% ed il 100%; si parla di varianti quando l’omologia si colloca tra il 98% ed il 100%.

Anche se i Papilloma virus umani ed animali hanno un’organizzazione genomica simile, sono altamente spe-cie-specifici; presentano uno specifico tropismo per le cellule epiteliali squamose e dimostrano una specificità nei riguardi sia della localizzazione anatomica degli epiteli che infettano sia del tipo di lesioni che producono nel sito di infezione.

Sono costituti da un capside che racchiude un genoma circolare a DNA a doppia catena.

STRUTTURA DEL CAPSIDE

Il capside è a forma icosaedrica. Questa struttura cri-stallografica deriva dall’unione regolare di più proteine, ognuna delle quali è chiamata monomero. I monomeri si riuniscono a formare unità strutturali, i protomeri, che, a loro volta, si assemblano in numero di cinque ai 12 vertici dell’isocaedro in unità strutturali più complesse, i capso-meri, formando così i pentoni nei virus di piccole e medie dimensioni; oppure si assemblano a gruppi di 6 su facce e spigoli, formando i cosiddetti esoni, nei virus a grandi dimensioni. L’associazione di pentoni ed esoni forma l’icosaedro, al cui interno si trova il materiale genetico.

Il virus del papilloma, composto da 72 capsomeri (60 esavalenti e 12 pentavalenti), misura 52-55 mm di diame-tro. È formato dal ripetersi di due sole proteine strutturali, la L1 e la L2: la proteina capsidica maggiore (L1) ha un peso molecolare di 55 kd e rappresenta l’80% delle pro-teine virali; la proteina capsidica minore (L2) ha un peso molecolare di 70 kd e rappresenta il restante 20% delle proteine virali. Le proteine capsidiche hanno proprietà antigeniche e consentono la tipizzazione virale.

ORGANIZZAZIONE DEL GENOMA VIRALE

Il genoma virale è costituito, lo ripetiamo, da un dop-pio filamento di DNA disposto a doppia elica, con una struttura circolare chiusa, lungo circa 7.9 kilobasi (7900 nucleotidi). L’informazione genica è contenuta in uno solo dei due filamenti. Il DNA del filamento codificante è organizzato in 10 frammenti di lettura chiamati Open Rea- ding Frames (ORF) (quadri di lettura aperta), ognu-no in grado di codificare uno specifico mRNA e proteina relativa e, quindi, aventi funzionalmente il significato di geni virali. Il genoma virale è distinto in tre regioni: una regione di controllo, la Long Control Region (LCR), non codificante, che regola la trascrizione e la replicazione del genoma virale; una regione precoce, Early, così chiamata perché prodotta nella parte precoce del ciclo virale, che codifica le proteine non strutturali necessarie per la repli-cazione virale; una regione tardiva, Late, prodotta nella parte tardiva del ciclo, che codifica le proteine strutturali necessarie per la formazione del capside (Figura 5).

E6

E7

E2

E4

E5

L1

L2

E1

Long control region (LCR) trasformazione

(p53-pRb)

trasformazione

replicazioneepisomicaproteina tardiva,

legame citocheratine

regolazionedella trascrizione ereplicazione DNA

proteinecapsidiche

P97

P670

ORI

Fig. 1-5. Organizzazione del genoma HPV. Il genoma dell’HPV ha una struttura circolare a doppio filamento del DNA. I geni virali sono trascritti in una sola direzione (in senso orario). Ci sono geni codificanti per proteine non strutturali (E1, E2, E4, E5, E6, E7) e per proteine strutturali (L1, L2), e una regione di controllo trascri-zionale definita di controllo lungo (LCR). La LCR contiene l’origine di replicazione del DNA (ORI) e funziona come regolatore per la trascrizione e replicazione del DNA. La trascrizione precoce inizia con il promotore 97 e quella tardiva con il promotore 670, attivato al momento della differenziazione dei cheratinociti.

2Promotore è una regione di DNA costituita da specifiche se-quenze, dette consenso, alla quale si lega la RNA polimerasi per iniziare la trascrizione di uno o più geni. La sequenza consenso rappresenta la migliore successione di basi riconosciuta dall’RNA polimerasi perché si leghi allo stampo e dia avvio alla trascrizione.

3L’origine di replicazione è una particolare sequenza di DNA dove inizia la replicazione. La struttura specifica dell’origine di replicazione può variare notevolmente tra le diverse specie, ma presenta alcune caratteristiche comuni, tra cui la ricca presenza di adenina e timina.

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8 SEZIONE I - Infezioni HPV correlate

ziarsi, a rientrare nel ciclo cellulare e a progredire nella fase S. Quest’azione viene svolta dalle proteine E6 e E7 che intervengono legando le proteine cellulari, p53 e pRb, che, normalmente, bloccano il ciclo cellulare in fase G1.

L’ORF E6 codifica per la proteina E6 costituita da 150 aminoacidi. Interagisce con numerose proteine cellulari interferendo con la loro funzione.

L’attività più studiata di E6 è la capacità di indurre la degradazione della p53.

Si è già ricordato che, quando il DNA è danneggiato, viene attivata la p53 che, attraverso l’azione di p21, arresta il ciclo cellulare nei due checkpoint impedendone il passaggio alle fasi successive e consentendo alla cellula di riparare gli eventuali danni a livello del DNA. Se il danno è grave, il ciclo non procede e si ha l’induzione dell’apoptosi.

Molti virus, tra i quali anche gli HPV, hanno evoluto un sistema di evasione dall’apoptosi che contribuisce alla progressione dell’infezione. Per bloccare l’attività pro-apop-totica della p53 e rendere possibile la progressione del ciclo cellulare, la E6 lega la p53 attraverso un enzima, l’ubiquitina ligasi, chiamato E6AP. La p53, così ubiquitinata, può essere degradata attraverso il sistema del proteasoma (Figura 6).

È recente evidenza che le proteine E6 dei tipi ad alto rischio possono attivare la trascrizione della telomerasi hTERT (human Telomaerase Reverse Transcriptase) attra-verso l’azione combinata di Myc e Sp1, con conseguente immortalizzazione dei cheratinociti primari4.

A valle della LCR si trova la regione codificante per le proteine precoci (circa 4.5 Kb): consiste di 8 ORF chiama-te E1, E2, E3, E4, E5, E6, E7 ed E8.

Le ORF E1 ed E2 codificano per proteine essenziali per la replicazione virale E1 ed E2.

La proteina E1 è una fosfoproteina costituta da un numero di aminoacidi che varia da 593 a 681, con peso tra 67,5 e 76 kd. La proteina riconosce regioni ricche di sequenze di consenso AT, situate all’origine della replica-zione, e possiede attività elicasica e ATPasica necessarie per la sintesi e per l’allungamento del DNA; è in grado di legare la DNA polimerasi della cellula ospite inducendo il reclutamento dei complessi di duplicazione cellulare. Ha un ruolo indispensabile nel mantenere il DNA in forma plasmidica; in assenza di E1, il genoma virale può essere espresso solo in forma integrata.

La proteina E2, la prima ad essere trascritta, è una pro-teina dimerica di 40-45 kd. È il più importante regolatore della trascrizione virale: modula la trascrizione di tutti gli altri geni; ad alte dosi inibisce la trascrizione dei geni E6 ed E7. La sua perdita rappresenta il primo passo verso la tra-sformazione neoplasica. Ha un ruolo ausiliario ma decisivo anche nella replicazione del DNA virale in quanto forma un complesso con proteine codificate da E1 e le dirige verso l’origine virale di replicazione, favorendo un legame di alta efficienza di tali proteine con l’origine replicativa del DNA.

La ORF E4 codifica per una proteina che sembra molto importante nella maturazione del virus. Sebbene sia in-clusa tra le proteine precoci, è espressa nelle fasi tardive dell’infezione: durante l’assemblaggio del virione. Sembra intaccare l’integrità del citoscheletro. Interagendo con i filamenti intermedi di cheratina, li rende meccanicamente instabili determinando il collasso cellulare e favorendo così il rilascio delle particelle virali. Il fenomeno fa assu-mere alla cellula un aspetto caratteristico chiamato coilo-citico per la forma cava (dal greco koîλoς). Non sembra possedere proprietà trasformanti.

La ORF E5 codifica per un’oncoproteina che interagi-sce con recettori cellulari di membrana (EGF o PDGF) in grado di stimolare la proliferazione delle cellule infettate da HPV. Ha attività trasformante in sistemi sperimentali. L’attività trasformante di E5 è dimostrata nel BPV(Bovine papilloma virus).

Le ORF E6 ed E7 codificano per oncoproteine importanti nella replicazione virale e, soprattutto, nell’immortalizzazio-ne e trasformazione delle cellule. Entrambe possono intera-gire con proteine regolatorie del ciclo cellulare, p53 e pRb rispettivamente, innescando in alcuni casi una proliferazione cellulare incontrollata e favorendo la carcinogenesi.

Nel ciclo infettivo virale il ruolo delle proteine E6 e E7 consiste nel fornire un ambiente cellulare adatto per la replicazione del DNA virale. La replicazione della proge-nie virale necessita dei prodotti di replicazione cellulare, disponibili solo nella fase S, ma, poiché tale replicazione avviene principalmente nelle cellule non più proliferanti degli strati intermedi e superficiali dell’epidermide, è necessario stimolare cellule, già programmate a differen-

S

G1

CDK4/6

CICLINA DP

CDK3

CICLINA E

P

RB E2F

RB E2FP

Inibitori delle CDK( p21)

P53 E6E6AP

Degradazione

Apoptosi

Fig. 1-6. Azione di E6 sulla p53. La proteina E6 lega e inattiva la p53, rendendo possibile la progressione del ciclo cellulare vedi Figura 4.

4Il Myc è un fattore di trascrizione che controlla l’espressione dei geni che favoriscono la crescita cellulare. All’interno dell’ampia gamma di attività che regola questa funzione, il Myc sovraregola l’espressione delle telomerasi. In assenza di attività telomerasica, i telomeri dei cromosomi delle cellule in attività proliferativa si accorciano progressivamente.

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9CAPITOLO 1 - Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV

Esistono differenze tra le oncoproteine E6/E7 appar-tenenti agli HPV-HR rispetto agli HPV-LR, differenze consistenti sostanzialmente in una più stretta affinità di legame con p53 e pRb, rispettivamente.

D’altronde, gli E6 e E7 di HPV-HR svolgono un ruolo importante anche nell’infezione virale produttiva e nel ciclo vitale dell’HPV, stimolando, come vedremo in segui-to, le cellule intermedie a rientrare nel ciclo riproduttivo permettendo al virus di cooptare il DNA della cellula ospite per la replicazione. La proteina E2 si è detto agire come un importante regolatore degli E6/E7 ORF. In molti epiteli infettati, infatti, risulta inibire la trascrizione di E6/E7 aiutando a mantenere una certa regolazione del ciclo cellulare. Nelle forme episomali, come si verifica nella maggior parte delle lesioni di basso grado, l’HPV mantie-ne una forma circolare. L’integrazione richiede la rottura della forma circolare del genoma virale con perdita di E2. In tal modo viene a mancare l’azione inibitoria di questa proteina sulle E6/E7, con conseguente proliferazione cel-lulare incontrollata.

Nelle lesioni di alto grado, in oltre il 75% dei casi di HPV 16 e in quasi tutti i casi di HPV 18, il virus si presen-ta integrato nel DNA della cellula ospite. Questa integra-zione sembra avvenire in modo causale senza coinvolgere particolari oncogeni.

A ciò si aggiungerebbero altri fattori propri delle pro-teine E6/E7 come, ad esempio l’induzione dell’instabilità cromosomica con sviluppo di aneuploidia e l’attivazione della trascrizione della telomerasi.

Le ORF E3 e E8 codificano per le rispettive proteine la cui funzione rimane sconosciuta.

La regione codificante per le proteine tardive (circa 2.5 kd) contiene due diverse ORF, dette L1 e L2, che codifi-cano per le proteine capsidiche.

L’ORF L1 codifica per la proteina capsidica virale maggiore che è altamente conservata nei diversi PV di diverse specie. È responsabile dell’attacco del virus alle cellule suscettibili e, inoltre, media la risposta umorale e cellulo-mediata all’infezione.

L’ORF L2 codifica per la proteina capsidica minore che è meno conservata nei diversi PV. La sua funzione non è chiara ma l’espressione della L2 insieme all’L1 sembrano aumentare l’efficienza di assemblaggio del capside. La trascrizione delle ORF L1 e di L2 avviene nel momento dell’assemblaggio dei virioni completi.

In breve

E1 ed E2 sono proteine multifunzionali indispensabili per la trascrizione e la replicazione virale. Entrambe contribuiscono a mantenere il genoma in forma episo-male.

La proteina E4 si lega alle citocheratine e, quindi, è probabilmente coinvolta nella distruzione del citoschele-tro cellulare della cellula ospite nella fase di assemblag-gio dei virioni.

L’ORF E7 codifica per l’oncoproteina E7, una piccola fosfoproteina nucleare idrosolubile costituita soltanto da 98 amminoacidi, scarsamente immunogenica.

L’E7 interagisce con numerose proteine cellulari: fatto-ri di trascrizione, proteine che rimodellano la cromatina, regolatori negativi del ciclo cellulare e componenti della risposta immunitaria innata.

Il ruolo principale della E7 consiste nella sua capacità di associarsi alle proteine appartenenti alla famiglia del retinoblastoma (Rb): pRb, p107 e p130.

Nelle cellule normali la forma ipofosforilata di pRb, come anche di p107 e p130, forma complessi con fattori della trascrizione della famiglia E2F. Questi complessi regolano negativamente la crescita cellulare reprimendo la trascrizione dei geni richiesti per l’av-vio della fase S.

La proteina E7, legandosi a pRb e alle proteine corre-late, impedisce il legame di pRb con E2F stimolando la trascrizione dei geni dipendenti dai fattori E2F e il pas-saggio alla fase S del ciclo cellulare (Figura 7).

Un altro importante aspetto della biologia di E7, in-dipendente dal legame con RB, è la sua capacità di de-stabilizzare i centrosomi causando aumento anomalo nel numero di cromosomi e aneuploidia.

RUOLO DELLE PROTEINE E2 E6 E7 NELL’ONCOGENESI

Numerose analisi mutazionali hanno evidenziato, come si è già ricordato, che la capacità delle due proteine E6 ed E7 di legarsi rispettivamente a pRb e a p53 costituisce uno dei più importanti meccanismi responsabili della trasfor-mazione ed immortalizzazione cellulari.

S

G1

G 0CDK4/6

CICLINA D

P

CDK2

CICLINA E

P

RB E 2F

RB-E7 E2F

E 7

Fig. 1-7. Azione di E7 su pRb. E7, molto più affine a Rb rispetto al fosforo fornito dai complessi CDK-ciclina, si lega in maniera stabile a pRb liberando E2F, promuovendo una progressione continua del ciclo.

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10 SEZIONE I - Infezioni HPV correlate

Le informazioni contenute negli mRNA trascritti pro-muovono nel citoplasma la sintesi di enzimi e di proteine necessarie per la replicazione del genoma virale, come la DNA polimerasi. Tali complessi, una volta formati, migra-no nel nucleo dove inizia la replicazione.

Le prime proteine ad essere espresse e replicate nello strato basale sono l’E1e l’E2 che si ritiene svolgano la funzione di mantenimento del virus nella forma episomale e di favorire la corretta segregazione dei genomi durante la divisione cellulare.

Successivamente, nello strato soprabasale vengono espresse le altre proteine precoci E3, E5, E6 e E7. In questa fase, il virus è mantenuto in un numero limitato di copie e si riproduce mediamente una volta per ciclo cellulare; inoltre, il DNA è equamente distribuito alle cellule figlie, assicurando la persistenza dell’infezione nelle cellule pro-genitrici dell’epitelio.

Nell’infezione latente, l’epitelio infettato non mostra anormalità morfologiche e il virus è evidenziabile solo attraverso test molecolari.

Il periodo di incubazione varia da pochi mesi ad oltre 2 anni. Può tuttavia rimanere in questa forma per molti anni o, addirittura, per tutta la vita senza mai produrre lesioni cliniche manifeste.

INFEZIONE PRODUTTIVA

Nel secondo tipo di infezione, detta proliferativa o pro-duttiva, il virus attivato amplifica la progenie passando da poche centinaia a migliaia di copie per cellula. Tale attivazione avviene nelle cellule dello strato interme-dio dell’epitelio. Tali cellule si trovano ad uno stadio di differenziamento avanzato in cui non avviene più la sintesi del DNA cellulare: il virus, per assicurarsi il macchinario cellulare per la replicazione, deve ri-programmare le cellule affinché rientrino in una fase replicativa. Questa funzione è esercitata dalle proteine E7 e E6 che intervengono legando le proteine cellulari pRb e p53 che, normalmente, bloccano il ciclo cellulare in fase G1.

La prima (pRb) stimola la cellula differenziata a rientrare nel ciclo cellulare e a progredire nella fase S; la seconda (p53) inibisce l’apoptosi che, normalmente, si verifica nelle cellule differenziate. In queste cellule, oltre l’amplificazione della progenie virale che raggiun-ge migliaia di copie, inizia anche l’espressione delle proteine tardive E4, L1, L2 con l’assemblaggio delle particelle virali che termina nello strato corneo con la formazione ed il rilascio dei virioni completi. Gli HPV non sono virus litici; di conseguenza, la progenie del virus viene diffusa nell’ambiente circostante come un carrier all’interno delle squame epiteliali. La proteina E4 degli HPV dissocia i filamenti intermedi di cherati-na, compromettendo la stabilità meccanica della cellula con conseguente collasso dell’impalcatura citoplasma-tica (Figura 8).

Le oncoproteine E5, E6 e E7 hanno un’attività tra-sformante.

La proteina E6 lega p53 impedendo l’attività apopto-tica e l’arresto del ciclo cellulare.

La proteina E7 lega pRb liberando fattori che attivano le CDK-cicline, sostanze che a loro volta attivano la pro-liferazione del ciclo cellulare.

Le proteine L1 e L2 costituiscono il capside virale. La proteina L1 media l’attacco del virus alle cellule.

IL CICLO VITALE DELL’HPV

L’HPV raggiunge le cellule dello strato basale dei vari epiteli attraverso una soluzione di continuo generata da un microtrauma. Nel caso della cervice uterina, la sede di elezione è l’epitelio metaplastico immaturo a livello della giunzione squamo-colonnare.

Il tropismo di tali virus per i vari tipi di cheratinociti non sembra dovuto a recettori cellulari specifici; più pro-babilmente, dipende dall’interazione tra alcuni recettori di membrana, come l’integrina, ed elementi della regione regolatoria (LCR) del genoma virale. Una volta penetrato all’interno della cellula, con un probabile meccanismo di endocitosi, il genoma virale, dopo aver perso il capside, raggiunge il nucleo e viene mantenuto in forma episomale in un numero limitato di copie. I virus a DNA, nella loro replicazione nucleare, usano quasi tutto il materiale en-zimatico e proteico cellulare per la trascrizione, come la RNA polimerasi, che serve per la sintesi degli mRNA, e le proteine attivatorie e coattivatorie (fattori che facilitano la trascrizione). In questa condizione, il virus può perma-nere in fase latente oppure andare incontro a replicazione attiva, detta proliferativa, portando alla sintesi di virus infettivi.

INFEZIONE LATENTE

Nella forma latente, il virus esprime solo le proteine pre-coci. Il DNA virale può essere assimilato ad un plasmide5.

È formato da un DNA circolare a doppio filamento che si replica autonomamente dalla replicazione della cellula ospite; possiede una sequenza, chiamata ORI (origine), che funziona come origine della replicazione del DNA virale.

Come primo atto, il virus deve trascrivere il proprio DNA per procurarsi, attraverso l’RNA messaggero, le pro-teine e gli enzimi necessari per replicarsi. La trascrizione, effettuata utilizzando le RNA polimerasi DNA dipendenti, avviene nel nucleo della cellula ospite.

5I plasmidi sono piccoli filamenti circolari di DNA a doppia elica, presenti nelle cellule di gran parte dei batteri e di alcuni microrganismi più complessi (quali i lieviti); sono distinguibili dal cromosoma batterico per le dimensioni.

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11CAPITOLO 1 - Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV

Gli aspetti morfologici descritti sono espressione di una medesima lesione che, se riferita alle singole cellule, viene chiamata LSIL; se riferita all’intero tessuto, CIN 1.

Non è stato ancora identificato il segnale che permette di passare da una fase latente ad una fase produttiva.

L’intervallo di tempo tra l’inizio dell’infezione produt-tiva e il rilascio delle particelle virali è variabile ma non inferiore a 4-8 settimane (per l’HPV16 è di 3-4 mesi).

In molte donne, l’immunità contro l’HPV si sviluppa dopo un periodo di mesi o anni (mediamente 2), dopo-diché l’infezione produttiva cessa e i test dell’HPV si negativizzano.

MODIFICAZIONI MORFOLOGICHE NELLA FORMA PRODUTTIVA

La fase proliferativa è caratterizzata, da un lato, da cam-biamenti morfologici della cellula legati ad aumentata ed accelerata replicazione cellulare, come binucleazione e poliploidia; dall’altro, dall’azione destrutturante della pro-teina E4 sul citoscheletro, come la coilocitosi (Figura 9).

Le alterazioni tissutali si manifesteranno, oltre che con le alterazioni citologiche legate all’effetto citopatico, anche con una maturazione anomala, dovuta all’azione rivitaliz-zante del virus sulle cellule degli strati epiteliali intermedi, e con iper-paracheratosi in superficie (Figura 10).

Fig. 1-8. Ciclo vitale dell’HPV. Il virus mantiene la forma episomale; dopo un periodo di latenza, amplifi-ca il suo genoma negli strati inter-medi; negli strati più superficiali as-sembla la proteina per la formazione del capside.

Fig. 1-9. LSIL. A, Cellule superficiali con coilocitosi e binucleazioni. B, Atipia tetraploide ( freccia).

A B

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12 SEZIONE I - Infezioni HPV correlate

mento da parte dei meccanismi di difesa immunitaria. Le proteine virali, infatti, rimangono segregate nelle cellule in via di differenziazione fino alla loro esfoliazione. Inoltre, i meccanismi di difesa dell’ospite, che avvengono prevalen-temente per immunità cellulo-mediata, oltre ad essere lenti nel riconoscere la presenza virale, sono deboli e poco dura-turi così che un’infezione pregressa potrebbe non garantire l’immunità nei confronti di una successiva infezione.

INFEZIONE TRASFORMANTE ED ONCOGENESI

L’integrazione del virus nel DNA cellulare è, tra gli eventi che portano alla trasformazione maligna, senz’altro il più importante. Come è già stato ricordato, nella maggior parte delle lesioni di basso grado l’HPV si presenta in forma epi-somale come un anello circolare chiuso. L’E2 ORF è fisica-mente intatta; inibisce la trascrizione di E6 e E7 regolando la loro espressione e, quindi, la proliferazione cellulare.

Perché il virus si integri, è indispensabile l’apertura della molecola circolare del DNA che avviene, in maniera casuale, con regolarità, tra la terminazione 3’ (distale) ORF1 e la terminazione 5’ (prossimale) ORF2. Tutto il materiale genico compreso tra ORF E1-2 e L1 viene perso durante l’integrazione.

In definitiva, del DNA virale viene integrata solo la frazione corrispondente agli ORF E6-E7 e alla LCR. In questa situazione, viene però a mancare l’azione di controllo di tipo repressivo sugli ORF E6-E7 (operata dalla E2) che vengono lasciati liberi di sovraesprimersi in maniera autonoma ed incontrollata. La rimozione del pool intracellulare degli oncosoppressori pRb e p53 com-porta l’accumulo di mutazioni e alterazioni genomiche quali aneuploidia, frammentazione cromatidica, anorma-lità mitotiche con attivazione della telomerasi e graduale progressione neoplastica (Figura 11).

Non è ancora chiaro, tuttavia, se e in quale proporzione l’HPV si mantiene ancora in un numero basso di copie in forma episomale nelle cellule dello strato basale.

L’eliminazione dell’infezione avviene in un tempo così lungo perché il virus rende difficile il proprio riconosci-

Fig. 1-10. CIN 1. A sinistra, epitelio normale. A destra, epitelio con CIN 1: affollamento cellulare limitato agli strati intermedi, espres-sione del rientro cellulare nel ciclo produttivo, coilocitosi e parache-ratosi in superficie.

Infezione latente nelle cellule basaliProbabile integrazione genomicadel DNA virale

A�vazione virale

Proliferazione delle cellule basalimutate ,a�piche ed aneuplodi,non maturan�, immortali

Espressione ORF precoci E6-E7

CIN 2/3

DNA cellulare mutato

Fig. 1-11. Oncogenesi. Il virus integra nel DNA cellulare solo gli oncosop-pressori E6-E7, con proliferazione in-controllata delle cellule basali.

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13CAPITOLO 1 - Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV

trasformate forma un ibrido non maligno nonostante mo-stri una sovraespressione di E6-E7 ORF. Ancora in vitro, culture di cellule epiteliali esprimenti E6-E7 ORF non sono maligne ai primi passaggi ma lo diventano nei successivi. In vivo si registra un intervallo medio di 10 anni tra un’i-niziale infezione da HPV e lo sviluppo del cancro; inoltre, solo un piccolo numero di pazienti esposte a HPV ad alto rischio sviluppa successivamente il cancro. Tutto ciò indica la probabile presenza di altri fattori o di eventi addizionali che inducono l’instabilità genomica con sviluppo dell’aneu-ploidia e, di conseguenza, del cancro cervicale.

In breve

Il virus, in seguito ad un microtrauma, raggiunge e pe-netra le cellule basali dell’ospite; una volta liberatosi del capside, entra nel nucleo dove inizia a trascrivere il suo RNA messaggero con impiego di enzimi sia virali che cellulari. Il messaggio viene tradotto dai ribosomi dell’ospite che producono proteine virali, strutturali e non strutturali.

La replicazione degli acidi nucleici inizia appena sono disponibili le DNA polimerasi; avviene negli strati

Pertanto, la trasformazione maligna andrebbe consi-derata come un’aberrazione del ciclo virale piuttosto che essere attribuita a caratteristiche inerenti al tipo di HPV.

L’infezione trasformata può accompagnarsi ad un’infe-zione sia produttiva che persistente.

MODIFICAZIONI MORFOLOGICHENELLA FORMA INTERGATA

Le alterazioni citologiche sono legate alla mancata differen-ziazione e maturazione cellulare (monomorfismo ed alterato rapporto N/C) e alle atipie di tipo aneuploide, consistenti in irregolarità del contorno nucleare e della distribuzione della cromatina (discromia e dismetria) (Figura 12).

Istologicamente, l’epitelio, oltre a presentare le atipie citologiche proprie dell’instabilità genomica, si mostrerà non maturante, monomorfo, di tipo basaloide, con elevato rapporto nucleo-citoplasmatico, con mitosi atipiche in tutti gli strati (Figura 13).

I quadri descritti corrispondono rispettivamente in citologia a HSIL e in istologia a CIN 3.

Nel caso in cui le infezioni trasformate siano ac-compagnate da infezioni produttive o persistenti, si avrà l’espressione morfologica di entrambe le componenti che, in istologia, potremo identificare con CIN 2 (Figura 14).

Questo modello di patogenesi cervicale basata sull’i-nattivazione di E2, secondaria all’integrazione con con-seguente sovraespressione di E6 e di E7 ORF, non spiega del tutto lo sviluppo del carcinoma.

Infatti, sono stati descritti casi di carcinoma in cui l’HPV non era integrato; parimenti, la fusione in vitro di cellule epiteliali con trasformazioni HPV con cellule non

Fig. 1-12. CIN 3. Atipie aneuploidi, consistenti in alterazioni nucle-ari discromiche e dismetriche ed alterato rapporto N/C, espressione dell’avvenuta integrazione.

Fig. 1-13. CIN3. A sinistra, epitelio normale. A destra, epitelio con CIN 3. Le cellule trasformate occupano tutto l’epitelio senza segni di maturazione.

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14 SEZIONE I - Infezioni HPV correlate

autolimitante e che si risolve spontaneamente; le lesioni prodotte da questa entità, corrispondenti istologicamente ad un CIN 1, possono essere definite come Low-grade CIN.

L’altra, rappresenta un vero processo neoplasico con-finato all’epitelio, ma con capacità di progredire, se non trattato, verso il cervico-carcinoma. Queste lesioni, isto-logicamente corrispondenti ad un CIN 2-3, possono de-finirsi High-grade CIN. Sono quasi sempre associate ad HPV-HR, mostrano una sovraespressione di E6-E7, sono monoclonali e presentano alterazioni cromosomiche.

Mentre in citologia la classificazione in 2 gradi, intro-dotta con il sistema Bethesda, è stata accettata, in istologia molti patologi continuano ad usare la classificazione in tre gradi: CIN 1, riferito a un’infezione produttiva, CIN 2 e 3 riferite alle lesioni neoplastiche.

Nella Tabella 1 si riportano le varie classificazione cito-istologiche.

La classificazione in due gradi non sempre, però, riflet-te il potenziale biologico di una lesione.

Infatti, lesioni di basso grado, associate ad HPV ad alto rischio, sono invariabilmente monoclonali e mostrano quadri di neoplasia e non di infezione produttiva; vice-versa, lesioni classificate di alto grado in base al quadro istologico hanno caratteristiche biologiche di lesioni di basso grado.

sovrabasali ed intermedi dell’epitelio; successivamente, negli strati superficiali vengono sintetizzati e assemblati gli acidi nucleici e le proteine del capside.

Da ultimo, il virione maturo viene rilasciato assieme alle cellule che esfoliano dalla superficie epiteliale. In se-guito all’integrazione nel DNA della cellula ospite, il virus perde la capacità di riproduzione autonoma ed esercita un’azione mutante che avvia la cellula stessa verso una trasformazione neoplastica.

CLASSIFICAZIONI MORFOLOGICHE SUDUE GRADI DI LESIONE

Le conoscenze maturate negli ultimi decenni riguardo la storia naturale dell’infezione da HPV rendono superata la classificazione CIN basata sul concetto di progressione della malattia, rendendosi necessaria una terminologia che meglio rifletta la biologia delle lesioni.

Pertanto, invece di classificare le lesioni cervicali preneoplastiche su un continuum di lesioni (CIN 1, CIN 2, CIN 3) che riflettono un singolo evento biologico a differenti stadi di sviluppo, si dovrebbero rappresentare le lesioni HPV associate come 2 distinte entità biologiche.

Una, rappresenta un’infezione produttiva che può es-sere causata sia dai tipi di HPV LR che da quelli HR,

Fig. 1-14. CIN2. Sono presenti entrambi gli aspetti dell’infezione virale: la trasfor-mante, con cellule neoplastiche con atipie aneuploidi occupanti l’epitelio per oltre la metà, e la produttiva, con atipie tetraploi-di, maturazione cellulare nel 3° superiore e paracheratosi. Foto gentilmente conces-sa da T. Wright. Department of Pathology Columbia University New York.

Tab. 1-1. Comparazione delle terminologie usate in citologia ed istologia.

Displasia/CIS 1954 CIN 1968 Bethesda System 1988 CIN modificata 1991

Displasia lieve CIN 1 LSIL LGCIN(CIN 1)Displasia moderata CIN 2 HSIL HGCIN(CIN 2/3)Displasia grave CIN 3Ca in situ Ca invasivo Ca invasivo Ca invasivo Ca invasivo

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15CAPITOLO 1 - Note epidemiologiche e storia naturale dell’infezione da HPV

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Ciò è particolarmente vero nel caso di lesioni con caratteristiche citologiche di CIN 2 che, nella metà dei casi, sono autolimitanti e nelle quali si è osservata una regressione spontanea in tempi brevi.

Sarà pertanto sempre più necessario, al fine di carat-terizzare le potenzialità evolutive delle lesioni, ricorrere a metodiche di immunocitochimica e biologia molecolare.

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