non “se”, ma “come”

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35 FEBBRAIO 2012 © RIPRODUZIONE RISERVATA SPORTELLO IMPRESA NORMATIVA MISURE DI INVERDIMENTO Non “se”, ma “come” Tra le misure che più suscitano malcontento vi è il cosiddetto inverdimento o greening del primo pilastro, forse la parte più difficile di questa nuova Pac. ASSISTENZA TECNICA Essenziale per il successo Una cosa rimane fondamentale: affinché l’inverdimento si trasformi veramente in una possibilità di competitività sostenibile per l’Europa e non si riduca invece ad ulteriori costi e burocrazie è assolutamente necessario non lasciare sola l’agricoltura: sistemi di consulenza tecnica, maggiore le- game tra ricerca e campo, trasferimento della conoscenza devono diventare un ingrediente fondamentale per l’agricoltura di domani e acquisire un peso molto maggiore di quello che hanno fatto fino ad adesso. Già oggi si notano differenze enormi tra Stato membro e Stato membro. Bruxelles crea la cornice per favorire questo trasferimento di competenze e approfondimento di conoscenze, spetta poi ai singoli Stati membri implementare adeguatamente questo quadro. E se le aziende domani non saranno competitive non sarà piuttosto per manovre di governo miopi, incapacità di coordinazione tra le associazione nel difendere gli interessi comuni del settore e una burocrazia soffocante piuttosto che per manovre mirate a rendere più sostenibile la produzione? Misura di inverdimento (greening) Per il rispetto di alcune pratiche agricole a vantaggio del clima e dell’ambiente, oltre al pa- gamento di base, ciascun’azienda riceverà un pagamento per ettaro. A questo pagamen- to, che non sarà soggetto a livellamento, gli Stati membri dovranno obbligatoriamente ri- servare il 30% delle dotazioni nazionali. Le tre misure previste per poter accedere a questo pagamento sono: il mantenimento del pascolo permanente; la diversificazione delle colture (sulle superfici a seminativo un agricoltore deve coltivare almeno tre colture, nessuna delle quali può occupare più del 70% delle superfici, mentre la terza deve interessare almeno il 5% dei seminativi); il mantenimento di un’area di interesse ecologico pari su almeno il 7% dei terreni agri- coli (esclusi i prati permanenti): si tratta di margini dei campi, siepi, alberi, terreni lascia- ti a riposo, elementi caratteristici del paesaggio, biotopi, fasce tampone, superfici ogget- to di imboschimento. Le misure di inverdimento non si applicheranno alle produzioni biologiche e ai piccoli agricoltori. D ifficile per la particolare ostilità con cui è stata accolta da mol- te delle parti in causa. Il timore è che dando un così grosso peso a mi- sure ambientali nel primo pilastro si ri- schi di diminuire la forza competitiva delle aziende, aumentarne i costi e di- minuirne la capacità produttiva. Inoltre si critica la via scelta: un pacchetto di tre misure uguali per tutti gli Stati membri, senza possibilità di grande elasticità e di adeguamento alle diverse situazioni lo- cali. Insomma, una soluzione paneuro- pea invece di una soluzione “à la carte”; una soluzione uguale per tutti, invece che diversificata come diversificati so- no i paesi dell’Unione. Ma la politica è una e comune e le scelte fatte sono co- erenti non solo con una visione comu- ne di Europa, ma anche da una parte con la necessità di controllare l’appli- cazione delle misure stesse e dall’altra di semplificare il peso amministrativo della politica comune. C’è la possibilità di introdurre una ela- sticità nelle misure da applicare o una diminuzione della quota dedicata al greening? Su questo ultimo punto la Commissione non sembra disposta a transigere. E d’altro canto quella di dedicare ben il 30% dei pagamenti di- retti alla produzione di beni comuni - questi sarebbero gli effetti sul clima sui suoli e sulla biodiversità che tale misu- ra vuole raggiungere - potrebbe risulta- re sui tempi lunghi una scelta oculata. Perché? Tra meno di dieci anni si ridi- scuterà il budget da dedicare alla Pac ed è probabile che, se la tendenza rima- ne quella attuale, si metterà nuovamen- te in discussione la parte da dedicare al sostegno al reddito a favore della pro- duzione di beni comuni. In quest’otti- ca, allora, conviene all’agricoltura og- gi diminuire quel 30% che un domani con molta probabilità non verrà mes- so in discussione, a favore di una parte che già oggi diviene difficile da difen- dere? Probabilmente no! Uno schema troppo rigido? Le misure scelte sono per molti un er- rore tecnico. Secondo altri invece esse sono “una soluzione accettabile in mol- te situazioni agricole europee”. Non deve spaventare il 7% di oasi ecologi- che nelle aziende. Molte di esse infatti già hanno una parte del 3, 4 o 5% della propria superficie che non viene colti- vata. Si tratterebbe di integrarla a qual- cosa di più per arrivare al 7%. Si cer- cherà inoltre di integrare in questo 7% anche quelle aree che fino ad oggi non erano eleggibili per i pagamenti diretti. Presentata in questo modo, questa mi- sura potrebbe non risultare cosi onero- sa per le aziende, né procurerebbe un “drastico calo nella produzione” come molti accusano. A questo si aggiunge che la presenza sul territorio di siepi e cespugli di confine, di alberature a bor- do campo, di biotopi e aree boschive giova alla protezione del suolo, al man- tenimento di oasi per la biodiversità, al- la cattura di carbonio e non da ultimo al mantenimento del paesaggio. Infine questa misura potrebbe finalmente fa- vorire l’affermazione di tecniche col- turali alternative, come l’agroforeste- ria, che già hanno dimostrato la loro validità produttiva, che hanno sicura- mente un impatto ambientale positivo, ma che non si sono riuscite ad afferma- re per questioni di pregiudizio, abitu- dine o altro. Anche la diversificazione colturale trova una sua ragion d’essere laddove si pensa a terreni in monocul- tura ormai da anni. Che qui la produ- zione diminuisca e l’apporto di input aumenti è un segno evidente della ne- cessità di un cambiamento. Sia chiaro, le misure scelte sono un compromesso tra realizzabilità e sem- plicità dei controlli e come ogni com- promesso hanno dei limiti. Certo, un minimo di elasticità in modo da poter adeguare le misure proposte alla situa- zione regionale sarebbe opportuna ed è su questo che le discussioni oggi do- vrebbero vertere, non sul fatto di appli- care o meno le misure di greening (che dovrebbe essere fuori discussione) né tanto meno sul tentativo di ridurre il 7% ad un ridicolo 3%. Rischieremmo di avere di nuovo un effetto “cross com- pliance” che è costato controlli e buro- crazia, ma di effetti ne ha portati pochi. f di Maria Luisa Doldi LE PROSPETTIVE CAMBIARE PER RIMANERE COMPETITIVI Cambiare fa sempre paura e porta con sé delle incognite. Ma è meglio farlo oggi, laddove vi sono fondi pubblici a disposizione, che non essere obbligati a farlo in un futuro, dove chissà se di fondi pubblici ve ne sa- ranno ancora così tanti. Che cambiare sia necessario è fuori discussio- ne! Innanzitutto perché l’agricoltura non è solo vittima dei problemi am- bientali che ci troviamo a dover affrontare. Ne è anche autrice e, come ogni altro settore economico, ha l’obbligo di intervenire per invertire le tendenze. In secondo luogo cambiare – se fatto bene - significa anche diminuire i costi. Dal 2004 ad oggi i prezzi medi mondiali dei prodot- ti agricoli sono aumentati del 60%, quelli dei fertilizzanti e pesticidi del 180%, mentre i prezzi medi dell’energia sono aumentati di oltre il 200%. È nell’interesse di tutti, agricoltori in prima istanza, diminuire i costi, di- minuendo gli input. E questo è possibile anche attraverso una gestione dell’azienda che comporti la pianificazione di elementi di sostenibilità ambientale. Vi è poi il desolato panorama della situazione ambientale delle campagne: il 45% dei suoli soffre di processi erosivi e di impove- rimento; la biodiversità diminuisce; gli obiettivi che ci si era posti per il 2010 per una salvaguardia della biodiversità non sono stati raggiunti e per questo ne sono stati definiti di nuovi per il 2020. La situazione oggi è che con i blandi criteri di cross compliance e lasciando l’ambiente a mi- sure quasi volontarie, non siamo riusciti a rispondere alle sfide che l’a- gricoltura deve sostenere: la produttività è calata, l’ambiente ne risente e abbiamo situazioni in cui si coltiva contro ogni buon senso e con gran- de miopia. Il cambiamento deve diventare obbligatorio. Sui tempi bre- vi l’adattamento alle misure di inverdimento potrebbe comportare costi per le aziende, che devono ripianificare il proprio piano produttivo, e in parte, riposizionarsi sul mercato. Ma sui tempi lunghi questo sarà l’uni- co modo per rimanere competitivi e continuare a poter produrre. Perché competitività significa anche mantenere la capacità di poter continua- re a produrre anche sui tempi lunghi (sicurezza alimentare) e tale aspet- to verrà meno se non si introduce oggi un cambiamento sostenibile nel nostro sistema di produzione!

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Una breve riflessione sulla misura di inverdimento della prossima riforma PAC

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f e b b r a i o 2 01 2

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Sportello impreSa normativa

misure di inverdimento

Non “se”, ma “come”Tra le misure che più suscitano malcontento vi è il cosiddetto inverdimento o greening del primo pilastro, forse la parte più difficile di questa nuova Pac.

AssistenzA tecnicA

essenziale per il successoUna cosa rimane fondamentale: affinché l’inverdimento si trasformi veramente in una possibilità di competitività sostenibile per l’Europa e non si riduca invece ad ulteriori costi e burocrazie è assolutamente necessario non lasciare sola l’agricoltura: sistemi di consulenza tecnica, maggiore le-game tra ricerca e campo, trasferimento della conoscenza devono diventare un ingrediente fondamentale per l’agricoltura di domani e acquisire un peso molto maggiore di quello che hanno fatto fino ad adesso. Già oggi si notano differenze enormi tra Stato membro e Stato membro. Bruxelles crea la cornice per favorire questo trasferimento di competenze e approfondimento di conoscenze, spetta poi ai singoli Stati membri implementare adeguatamente questo quadro. E se le aziende domani non saranno competitive non sarà piuttosto per manovre di governo miopi, incapacità di coordinazione tra le associazione nel difendere gli interessi comuni del settore e una burocrazia soffocante piuttosto che per manovre mirate a rendere più sostenibile la produzione?

Misura di inverdimento (greening) Per il rispetto di alcune pratiche agricole a vantaggio del clima e dell’ambiente, oltre al pa-gamento di base, ciascun’azienda riceverà un pagamento per ettaro. A questo pagamen-to, che non sarà soggetto a livellamento, gli Stati membri dovranno obbligatoriamente ri-servare il 30% delle dotazioni nazionali. Le tre misure previste per poter accedere a questo pagamento sono:

� il mantenimento del pascolo permanente; � la diversificazione delle colture (sulle superfici a seminativo un agricoltore deve coltivare almeno tre colture, nessuna delle quali può occupare più del 70% delle superfici, mentre la terza deve interessare almeno il 5% dei seminativi); � il mantenimento di un’area di interesse ecologico pari su almeno il 7% dei terreni agri-coli (esclusi i prati permanenti): si tratta di margini dei campi, siepi, alberi, terreni lascia-ti a riposo, elementi caratteristici del paesaggio, biotopi, fasce tampone, superfici ogget-to di imboschimento.

Le misure di inverdimento non si applicheranno alle produzioni biologiche e ai piccoli agricoltori.

Difficile per la particolare ostilità con cui è stata accolta da mol-te delle parti in causa. Il timore

è che dando un così grosso peso a mi-sure ambientali nel primo pilastro si ri-schi di diminuire la forza competitiva delle aziende, aumentarne i costi e di-minuirne la capacità produttiva. Inoltre si critica la via scelta: un pacchetto di tre misure uguali per tutti gli Stati membri, senza possibilità di grande elasticità e di adeguamento alle diverse situazioni lo-cali. Insomma, una soluzione paneuro-pea invece di una soluzione “à la carte”; una soluzione uguale per tutti, invece che diversificata come diversificati so-no i paesi dell’Unione. Ma la politica è una e comune e le scelte fatte sono co-erenti non solo con una visione comu-ne di Europa, ma anche da una parte con la necessità di controllare l’appli-cazione delle misure stesse e dall’altra di semplificare il peso amministrativo della politica comune. C’è la possibilità di introdurre una ela-sticità nelle misure da applicare o una diminuzione della quota dedicata al greening? Su questo ultimo punto la Commissione non sembra disposta a transigere. E d’altro canto quella di dedicare ben il 30% dei pagamenti di-retti alla produzione di beni comuni - questi sarebbero gli effetti sul clima sui suoli e sulla biodiversità che tale misu-ra vuole raggiungere - potrebbe risulta-re sui tempi lunghi una scelta oculata. Perché? Tra meno di dieci anni si ridi-scuterà il budget da dedicare alla Pac ed è probabile che, se la tendenza rima-ne quella attuale, si metterà nuovamen-te in discussione la parte da dedicare al sostegno al reddito a favore della pro-

duzione di beni comuni. In quest’otti-ca, allora, conviene all’agricoltura og-gi diminuire quel 30% che un domani con molta probabilità non verrà mes-so in discussione, a favore di una parte che già oggi diviene difficile da difen-dere? Probabilmente no!

Uno schema troppo rigido?Le misure scelte sono per molti un er-rore tecnico. Secondo altri invece esse sono “una soluzione accettabile in mol-te situazioni agricole europee”. Non deve spaventare il 7% di oasi ecologi-che nelle aziende. Molte di esse infatti già hanno una parte del 3, 4 o 5% della propria superficie che non viene colti-vata. Si tratterebbe di integrarla a qual-cosa di più per arrivare al 7%. Si cer-cherà inoltre di integrare in questo 7% anche quelle aree che fino ad oggi non erano eleggibili per i pagamenti diretti. Presentata in questo modo, questa mi-

sura potrebbe non risultare cosi onero-sa per le aziende, né procurerebbe un “drastico calo nella produzione” come molti accusano. A questo si aggiunge che la presenza sul territorio di siepi e cespugli di confine, di alberature a bor-do campo, di biotopi e aree boschive giova alla protezione del suolo, al man-

tenimento di oasi per la biodiversità, al-la cattura di carbonio e non da ultimo al mantenimento del paesaggio. Infine questa misura potrebbe finalmente fa-vorire l’affermazione di tecniche col-turali alternative, come l’agroforeste-ria, che già hanno dimostrato la loro validità produttiva, che hanno sicura-

mente un impatto ambientale positivo, ma che non si sono riuscite ad afferma-re per questioni di pregiudizio, abitu-dine o altro. Anche la diversificazione colturale trova una sua ragion d’essere laddove si pensa a terreni in monocul-tura ormai da anni. Che qui la produ-zione diminuisca e l’apporto di input aumenti è un segno evidente della ne-cessità di un cambiamento. Sia chiaro, le misure scelte sono un compromesso tra realizzabilità e sem-plicità dei controlli e come ogni com-promesso hanno dei limiti. Certo, un minimo di elasticità in modo da poter adeguare le misure proposte alla situa-zione regionale sarebbe opportuna ed è su questo che le discussioni oggi do-vrebbero vertere, non sul fatto di appli-care o meno le misure di greening (che dovrebbe essere fuori discussione) né tanto meno sul tentativo di ridurre il 7% ad un ridicolo 3%. Rischieremmo di avere di nuovo un effetto “cross com-pliance” che è costato controlli e buro-crazia, ma di effetti ne ha portati pochi.

f di Maria Luisa Doldi

LE ProSPEttIvE �CAMBiAre Per riMAnere CoMPetitivi

Cambiare fa sempre paura e porta con sé delle incognite. Ma è meglio farlo oggi, laddove vi sono fondi pubblici a disposizione, che non essere obbligati a farlo in un futuro, dove chissà se di fondi pubblici ve ne sa-ranno ancora così tanti. Che cambiare sia necessario è fuori discussio-ne! Innanzitutto perché l’agricoltura non è solo vittima dei problemi am-bientali che ci troviamo a dover affrontare. Ne è anche autrice e, come ogni altro settore economico, ha l’obbligo di intervenire per invertire le tendenze. In secondo luogo cambiare – se fatto bene - significa anche diminuire i costi. Dal 2004 ad oggi i prezzi medi mondiali dei prodot-ti agricoli sono aumentati del 60%, quelli dei fertilizzanti e pesticidi del 180%, mentre i prezzi medi dell’energia sono aumentati di oltre il 200%. È nell’interesse di tutti, agricoltori in prima istanza, diminuire i costi, di-minuendo gli input. E questo è possibile anche attraverso una gestione dell’azienda che comporti la pianificazione di elementi di sostenibilità ambientale. vi è poi il desolato panorama della situazione ambientale delle campagne: il 45% dei suoli soffre di processi erosivi e di impove-

rimento; la biodiversità diminuisce; gli obiettivi che ci si era posti per il 2010 per una salvaguardia della biodiversità non sono stati raggiunti e per questo ne sono stati definiti di nuovi per il 2020. La situazione oggi è che con i blandi criteri di cross compliance e lasciando l’ambiente a mi-sure quasi volontarie, non siamo riusciti a rispondere alle sfide che l’a-gricoltura deve sostenere: la produttività è calata, l’ambiente ne risente e abbiamo situazioni in cui si coltiva contro ogni buon senso e con gran-de miopia. Il cambiamento deve diventare obbligatorio. Sui tempi bre-vi l’adattamento alle misure di inverdimento potrebbe comportare costi per le aziende, che devono ripianificare il proprio piano produttivo, e in parte, riposizionarsi sul mercato. Ma sui tempi lunghi questo sarà l’uni-co modo per rimanere competitivi e continuare a poter produrre. Perché competitività significa anche mantenere la capacità di poter continua-re a produrre anche sui tempi lunghi (sicurezza alimentare) e tale aspet-to verrà meno se non si introduce oggi un cambiamento sostenibile nel nostro sistema di produzione!

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