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News 43/SA/2016 Lunedì, 24 Ottobre 2016 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.43 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff ) sono state 51 (6 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificato dall’Italia per cromo e migrazione di manganese da friggitrice, cesto di frutta, piano diffusione in acciaio proveniente dalla Cina; notificato dall’Olanda per aflatossine in pistacchi provenienti dalla Turchia; notificato dalla Grecia per certificato sanitario improprio per pistacchi provenienti dalla Turchia e per conta troppo alta di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia; notificato dalla Svezia per aflatossine in peperoncino tritato proveniente dall’India; notificato da Malta per certificato sanitario improprio per fichi secchi provenienti dalla Turchia; notificato dal Regno Unito per aflatossine in arachidi alla rinfusa provenienti dagli Stati Uniti. Allerta notificata dall’Italia per: mercurio in lombi di pesce spada congelati (Xiphias gladius) provenienti dal Portogallo. Allerta notificati: notificato dal Regno Unito per benzo(a)pirene and idrocarburi policiclici aromatici in pangash secca proveniente dalla Tailandia; notificato dalla Croazia per focolaio di origine alimentare sospetto (Salmonella enteritidis) di essere causato da uova di gallina provenienti dalla Polonia; notificato dal Belgio per Salmonella typhimurium monophasic in carne di tacchino refrigerata proveniente dalla Polonia; notificato dalla Svizzera per glicole monoetilenico in vino rosso proveniente dall’Italia; notificato

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News 43/SA/2016 Lunedì, 24 Ottobre 2016

Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi

Nella settimana n.43 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 51 (6 quelle inviate dal Ministero della salute italiano).

Tra i lotti respinti alla frontiera si segnalano: notificato dall’Italia per cromo e migrazione di manganese da friggitrice, cesto di frutta, piano diffusione in acciaio proveniente dalla Cina; notificato dall’Olanda per aflatossine in pistacchi provenienti dalla Turchia; notificato dalla Grecia per certificato sanitario improprio per pistacchi provenienti dalla Turchia e per conta troppo alta di solfiti in albicocche secche provenienti dalla Turchia; notificato dalla Svezia per aflatossine in peperoncino tritato proveniente dall’India; notificato da Malta per certificato sanitario improprio per fichi secchi provenienti dalla Turchia; notificato dal Regno Unito per aflatossine in arachidi alla rinfusa provenienti dagli Stati Uniti.

Allerta notificata dall’Italia per: mercurio in lombi di pesce spada congelati (Xiphias gladius) provenienti dal Portogallo.

Allerta notificati: notificato dal Regno Unito per benzo(a)pirene and idrocarburi policiclici aromatici in pangash secca proveniente dalla Tailandia; notificato dalla Croazia per focolaio di origine alimentare sospetto (Salmonella enteritidis) di essere causato da uova di gallina provenienti dalla Polonia; notificato dal Belgio per Salmonella typhimurium monophasic in carne di tacchino refrigerata proveniente dalla Polonia; notificato dalla Svizzera per glicole monoetilenico in vino rosso proveniente dall’Italia; notificato dalla Germania per ocratossina in succo d’uva proveniente dalla Turchia e per corpo estraneo (pezzo di metallo) in rotolo di carne per cani proveniente dalla Svizzera; notificato dalla Lituania per Salmonella Derby in carne di maiale msm congelata proveniente dalla Germania.

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Nella lista delle informative troviamo notificate: notificata dall’Italia per fichi secchi provenienti dalla Turchia infestati da larve of insetti e per Salmonella in proteine animali trasformate cat 3 provenienti dalla Polonia; dall’Italia per funghi misti congelati provenienti dall’ Italia infestati da larve di insetti; notificata dall’Olanda per dimetoato in mango proveniente dal Brasile; notificata dalla Romania per ocratossina A in uva passa proveniente dalla Turchia; notificata dalla Polonia per sostanza non autorizzata propargite in pesche provenienti dalla Grecia.

Fonte: rasff.eu

Frutta e verdura nell’UE: in Italia solo 11,9% consuma le cinque porzioni consigliate al giorno. Pubblicate le statistiche di Eurostat.

Poco più di un terzo degli europei sopra i 15 anni (34,4%) non mangia quotidianamente frutta e verdura, mentre solo una persona su sette (14,1%) consuma le cinque porzioni quotidiane, pari a circa 400 grammi, raccomandate dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e consigliate dalla campagna europea 5 al giorno. È quanto risulta da un rapporto di Eurostat, l’Ufficio di statistica dell’Unione europea, sulla base di rilevazioni effettuate nel 2014.

Le percentuali del consumo di frutta e verdura (escluse le patate e altri tuberi amidacei) variano notevolmente da Paese a Paese. A guidare la classifica di chi non ne mangia quotidianamente è la Romania (65,1%), seguita da Bulgaria (58,6%), Lettonia (48,5%), Slovacchia (46,6%), Repubblica Ceca (46,3%), Paesi Bassi (45,9%) e Germania (45,2%). Il Belgio è il paese  con il minor numero di persone (16,5%).

Al contrario la classifica di chi consuma almeno cinque porzioni al giorno vede n testa il Regno Unito (33,1%), seguito da Danimarca (25,9%) e Paesi Bassi (25%). In Italia, la percentuale di chi non consuma regolarmente frutta e verdura è del 23%, mentre il 65,2% oscilla da una a quattro e l’11,9% almeno cinque porzioni.

In alcuni Paesi, come il Regno Unito, il consumo di frutta e verdura  più elevato risulta fortemente correlato al maggior livello di istruzione, con differenze sino a

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quasi 16 punti percentuali tra i laureati e i soggetti senza titoli di studio. In Italia questa differenza è meno marcata (4,2%).Al contrario la classifica di chi consuma almeno cinque porzioni al giorno vede n testa il Regno Unito (33,1%), seguito da Danimarca (25,9%) e Paesi Bassi (25%). In Italia, la percentuale di chi non consuma regolarmente frutta e verdura è del 23%, mentre il 65,2% oscilla da una a quattro e l’11,9% almeno cinque porzioni.In alcuni Paesi, come il Regno Unito, il consumo di frutta e verdura più elevato risulta fortemente correlato al maggior livello di istruzione, con differenze sino a quasi 16 punti percentuali tra i laureati e i soggetti senza titoli di studio. In Italia questa differenza è meno marcata (4,2%). (Articolo di Beniamino Bonardi)

Fonte: www.ilfattoalimentare.it

Latte e formaggi, arriva l’etichetta di origine, l’avvocato Dario Dongo spiega le novità dei prodotti lattiero-caseari “Made in Italy”.

Dopo il via libera di Bruxelles, si appresta a entrare in vigore il decreto italiano sull’origine del latte, che avrà impatto non solo sulle confezioni di latte ma anche sui derivati. Ricapitoliamo il contenuto delle nuove norme e i tempi per l’aggiornamento delle informazioni sulle etichette, in linea con il regolamento (UE) n. 1169/11 (vedi ebook L’Etichetta) e le ulteriori previsioni in esame.

L’indicazione di origine viene prescritta per tutti i tipi di latte – “vaccino, bufalino, ovo-caprino, d’asina e di altra origine animale” (fresco, UHT e sterilizzato) – e sulle etichette dei prodotti lattiero-caseari “preimballati”. Balza subito agli occhi un’ingiustificata deroga a favore dei formaggi sfusi e preincartati(*) i quali, pur rappresentando una quota di mercato significativa, potranno occultare l’origine del latte, oltre a quella dello stabilimento di produzione.Le norme in ogni caso si applicano ai soli prodotti “Made in Italy” (1) e destinati alla vendita sul mercato italiano, non al latte o ai formaggi importati dall’estero (oltreché nello Spazio Economico Europeo e in Turchia) in conformità alle regole comuni che non prevedono questo obbligo. Sono esclusi anche gli alimenti biologici,  DOP, IGP e STG, poiché per questi gruppi esiste un regime di tracciabilità, informazione e certificazione (2).La lista dei prodotti    prodotti lattiero-caseari preimballati sottoposti all’obbligo dell’origine comprende: latte e creme di latte (concentrate e non, con o senza

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aggiunta di zucchero e/o edulcoranti); latticello, latte e crema coagulata, kefir e altri tipi di latte e creme fermentate o acidificate, sia concentrate che addizionate di zucchero o edulcoranti aromatizzate o con l’aggiunta di frutta o cacao; siero di latte, anche concentrato o addizionato di zucchero o altri edulcoranti; prodotti costituiti di componenti naturali del latte, anche addizionati di zucchero o altri edulcoranti, non nominati né compresi altrove; burro e altre materie grasse provenienti dal latte; creme lattiere spalmabili; formaggi, latticini e, ‘dulcis in fundo’, le famigerate cagliate oggetto di annose polemiche (3).

Le nuove etichette dovranno comunicare l’origine riferendo il Paese di mungitura e quello di condizionamento (o trasformazione) del latte. Se queste operazioni vengono realizzate in un unico territorio nazionale, si può impiegare la dicitura “origine del latte“, seguita dal nome del Paese. Viceversa, nel caso in cui la raccolta e la lavorazione siano realizzate in più Paesi, si potranno usare le espressioni “miscela di latte di Paesi UE” (o “non UE“) o “latte condizionato o trasformato in Paesi UE” (o “non UE“). Le notizie vanno riportate in etichetta con caratteri “indelebili in modo da essere visibili e facilmente leggibili. Le diciture  non devono essere “nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire“. In assenza di prescrizioni sul campo visivo, gli operatori sono liberi di scegliere su quale parte dell’etichetta posizionare le scritte.

L’entrata in vigore del decreto interministeriale è prevista 90 giorni dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, che seguirà alla sua approvazione da parte della Conferenza Stato-Regioni (convocata con urgenza per il 20.10.16). Poi ci sarà il vaglio delle competenti commissioni parlamentari. É stabilito un periodo transitorio per i prodotti “portati a stagionatura, immessi sul mercato o etichettati” prima dell’applicazione, i quali potranno venire commercializzati fino a esaurimento scorte e comunque non oltre i 180 giorni dalla vigenza del decreto. Le sanzioni dovrebbero essere quelle già previste nella legge 4/2011, sebbene la loro legittimità costituzionale meriti alcune ulteriori verifiche. (Articolo di Dario Dongo)

Note(1) Ai sensi del regolamento (UE) n. 1169/11 e del Codice doganale comune ivi richiamato, laddove un alimento sia stato realizzato in più Paesi, la sua origine é da intendersi nel luogo ove é avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale(2) Si cita a esempio l’unico formaggio italiano IGP, il canestrato di Moliterno, che deve venire prodotto a partire da latti ovino e caprino provenienti dalle aree precisamente circoscritte nel

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disciplinare registrato(3) Cfr. schema di decreto, Allegato 1(*) I prodotti “preicartati” sono gli alimenti porzionati e confezionati in un apposito involucro direttamente presso il punto vendita (per esempio formaggi e salumi acquistati al banco del supermercato dove l’incaricato taglia  la forma di formaggio e affetta il prosciutto). I  prodotti “preimballati” sono confezionati dall’azienda produttrice e distribuiti per la vendita nei negozi e nei supermercati.

Fonte: www.ilfattoalimentare.it

L’olio di palma fa male alla salute: contiene 4.000 volte più glicidolo (sostanza genotossica) dell’olio di oliva. I dati EFSA preoccupano. Il parere dell’esperta Chiara Manzi.

L’olio di palma fa male alla salute: al contrario di quanto sostenuto recentemente da Nicola Porro sul Giornale.it. Questo perché contiene il glicidolo esterificato, sostanza considerata cancerogena. Ne contiene quantità sei volte superiori all’olio di mais e 19 volte superiori rispetto alle miscele di oli vegetali per friggere: 4000 volte di più dell’olio di oliva. I dati dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sono preoccupanti: in Europa tutti i bambini consumano tale contaminante più della dose giornaliera tollerabile. L’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) si è pronunciata il 3 maggio 2016 sulla questione, pubblicando un dossier che conferma i possibili rischi sulla salute connessi ad alcune sostanze potenzialmente cancerogene che si formano durante la raffinazione degli oli vegetali, tra cui anche l’olio di palma. Stiamo parlando dei contaminanti da processo a base di glicerolo presenti nell’olio di palma, in altri oli vegetali, nelle margarine e in alcuni prodotti alimentari. Si tratta dei glicidil esteri degli acidi grassi (Ge), 3-monocloropropandiolo (3-mpcd), 2-monocloropropandiolo (2-mpcd) e relativi esteri degli acidi grassi. Secondo il parere dell’Efsa queste sostanze suscitano potenziali problemi di salute per il consumatore medio di tutte le fasce d’età giovane e per i forti consumatori di tutte le fasce d’età.

Il gruppo di esperti scientifici dell’Efsa ha esaminato le informazioni sulla tossicità del glicidolo per valutare il rischio dai Ge, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l’ingestione. Quest’ultimo è noto per avere potenziali effetti cancerogeni e genotossici, cioè la capacità di danneggiare le informazioni genetiche all’interno delle cellule, un fenomeno all’origine di mutazioni che possono degenerare in cancro. L’Efsa ha poi messo in relazione il rischio per la salute alle quantità di contaminanti consumate quotidianamente,

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concentrando soprattutto l’attenzione sui più giovani. Non bisogna dimenticare che l’olio di palma, oggi, è ampiamente utilizzato dall’industria alimentare. Si trova infatti nel pane, nelle merendine, nei biscotti, ma non solo: anche in creme di vario tipo sia salate che dolci, negli omogeneizzati e altri prodotti per bambini, nonché in diversi cibi pronti sia secchi che congelati.

L’olio di palma contiene quantità di:3-MCPD 6-7 volte superiori rispetto rispetto all’olio di mais, alle miscele di olio per friggere e almeno 70 volte rispetto all’olio di oliva (1)2 MCPD 10 volte superiori rispetto alle miscele di olio per friggere, 7 volte superiori rispetto all’olio di mais e almeno 18 volte rispetto all’olio di oliva (2)Glicidolo 4.000 volte maggiori dell’olio di oliva. Contiene quantità 6 volte

superiori all’olio di mais e 19 volte superiori rispetto alle miscele di oli vegetali per friggere (3)

Tabella 1. Gruppo di alimenti utilizzati per la sperimentazione e relative concentrazioni di contaminanti presenti. FONTE: Efsa Scientific Opinion Adopted: 3 March 2016doi: 10.2903/j.efsa.2016.4426

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Il monocloropropandiolo (2-MCPD) e relativi esteri degli acidi grassi sono da considerare nefrotossici. Gli studi disponibili in vitro sono limitati, mentre uno studio di due anni su topi ha dimostrato induzione di tumori su più organi, ma i dati sono ancora insufficienti per definirlo cancerogeno perché non si conoscono i meccanismi alla base della tossicità renale e della distruzione di muscoli striati. Il 3-monocloropropandiolo (3-MCPD) e i relativi esteri degli acidi grassi, sono stati classificati come possibili cancerogeni. Nonostante alcuni test di genotossicità in vitro siano risultati positivi, non ci sono ancora prove sicure che sia genotossico in vivo. Rene, sistema nervoso e testicoli sembrano essere i principali organi bersaglio.

Dal punto di vista della dose, per quanto riguarda i GE, l’EFSA ha utilizzato come riferimento gli studi fatti sul glicidolo su animali, ipotizzando una conversione completa degli esteri in glicidolo dopo l’ingestione in quanto mancano dati in vivo per i suoi esteri. Dato che il glicidolo è stato considerato una sostanza genotossica non è possibile stabilire una dose giornaliera tollerabile, ma un margine di esposizione, ottenendo 0,4 microgrammi per kg di peso corporeo al giorno. Quindi per una persona che pesa 70 kg: 28,5 mcg/die. In 10 g di olio di palma sono contenuti 39 mcg di glicidolo. Per il 2-MCPD i dati tossicologici sono ancora insufficienti, quindi non sono state fissate soglie di sicurezza. Servono nuovi studi.Per il 3-MCPD e i suoi esteri degli acidi grassi: la dose giornaliera tollerabile (TDI o DGT) è 0,8 mcg/Kg-PC/die.

Ma come si formano queste sostanze? Si tratta di contaminanti di processo che si formano durante la raffinazione di oli e grassi vegetali quando, durante la deodorazione, si raggiungono temperature superiori ai 200°C. Non sono quindi presenti negli oli non raffinati. Non ci sono indicazioni specifiche in merito e il meccanismo preciso della loro formazione non è stato ancora chiarito. L’unica cosa nota è che la formazione di glicidolo non dipende da quella degli acidi grassi MCPD, i GE (esteri del glicidolo) si formano a partire dai DAG (diacilglicerolo) con il riscaldamento degli oli vegetali oltre i 200°C. Quando si raggiungono temperature alte il DAG (diacylglycerol) si trasforma in GE (esteri del glicidolo): quindi tanto più alto è il contenuto di DAG tanto più alta sarà la formazione di GE. Nell’olio di palma il DAG è molto più presente rispetto ad altri oli. I livelli di GE negli oli e grassi di palma si sono dimezzati tra il 2010 e il 2015, grazie a misure adottate volontariamente dai produttori. Ciò ha determinato una diminuzione importante dell’esposizione dei consumatori a dette sostanze. In Italia però

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l’import di olio di palma negli ultimi 5 anni è quadruplicato (dati ISTAT). Contrariamente a quanto è successo per il GE, in questo caso, la quantità dei contaminanti MCDP nell’olio di palma e negli altri grassi vegetali è rimasta identica negli ultimi 5 anni.

I livelli di questi contaminanti sono particolarmente alti nell’olio di palma, ma alti livelli si possono trovare nelle patatine, sulla superficie dei prodotti di pasticceria e nei biscotti. Inoltre su margarine e nei sughi. Il 3-MCPD è stato identificato per la prima volta nella produzione di proteine idrolizzate utilizzate come esaltatori di sapidità e nella salsa di soia. Per quanto riguarda l’olio di palma – o i prodotti – “biologici”, dobbiamo considerare che il termine biologico si riferisce solo al metodo di coltivazione, ma non vuol dire che l’olio di palma, anche se biologico, non subisca la raffinazione. Pertanto considerato che l’olio di palma biologico viene raffinato, saranno ugualmente presenti i contaminanti di processo.

Tabella 2. Concentrazioni di contaminanti riscontrate in alcuni alimenti. FONTE: Efsa Scientific Opinion Adopted: 3 March 2016doi: 10.2903/j.efsa.2016.4426

Per i bambini al di sotto dei tre anni, gli alimenti più a rischio sono i latti formulati per l’infanzia. L’esposizione ai GE dei neonati che consumino esclusivamente alimenti per lattanti costituisce motivo di particolare preoccupazione, in quanto è fino a dieci volte il livello considerato a basso rischio per la salute pubblica.

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Tabella 3. Livelli di esposizione media ai contaminanti. FONTE EFSA SCIENTIFIC OPINION ADOPTED: 3 March 2016doi: 10.2903/j.efsa.2016.4426

Le industrie, su indicazione dell’Efsa, stanno cercando di studiare nuovi processi di lavorazione per ridurre la formazione di questi contaminanti. A oggi il problema non è stato ancora risolto, ma sono disponibili metodi analitici, validati per un ampia gamma di alimenti, in grado di valutare le concentrazioni di 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), e 2-monocloropropandiolo (2-MCPD). Considerando che l’olio di palma è ricco di grassi saturi più dello strutto e quanto il burro, e che l’organizzazione mondiale della sanità OMS ci indica che un consumo di grassi saturi contenuto è preventivo nei confronti delle malattie cardiovascolari, sarebbe auspicabile che le industrie alimentari lavorassero alla riformulazione dei prodotti (biscotti, merendine, snack, creme spalmabili, ecc) non limitandosi a limitare la formazione di questi contaminanti, ma anche abbassando la quota di grassi totali, di grassi saturi, di zucchero e di sale nei prodotti, aumentando in essi, nel contempo, fibre e vitamine. Il consumatore non dovrebbe limitarsi a scegliere prodotti senza olio di palma: è meglio completare l’opera scegliendo – a parità di prodotto – quello che ha più fibra e meno zucchero, più vitamine e meno grassi, dando un occhio anche al sale, spesso abbondante anche nei dolci.(Articolo di Chiara Manzi - Presidente Associazione per la Sicurezza Nutrizionale in Cucina) Si ringrazia per il contributo all’articolo per tutti gli aspetti chimici Vincenzo Brandolini Ordinario di Chimica degli Alimenti. Dipartimento di Scienze Chimiche e Farmaceutiche. Università di Ferrara. (1) 3 -monocloropropandiolo (3-MCPD considerato possibile cancerogeno) e i suoi esteri degli acidi grassi

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(2)  2-monocloropropandiolo (2-MCPD considerato nefrotossico) e i suoi esteri degli acidi grassi(3)  GE (glicidolo esterificato) considerato cancerogeno

Fonte: www.ilfattoalimentare.it

Soda tax: studio Usa scopre ingenti finanziamenti di Coca-Cola, Pepsi per ostacolare la legge sulle bevande zuccherate chiesta dall’Oms.

Negli ultimi anni un vero e proprio fiume – è il caso di dirlo – di denaro si è riversato dai grandi produttori di bibite zuccherate, le soda, a centri di ricerca, associazioni scientifiche, mezzi di comunicazione e in generale a chiunque potesse avere voce in capitolo, al fine di tenere nascosti gli indiscutibili legami tra i loro prodotti e il peggioramento planetario delle condizioni di salute dovuto a obesità e sovrappeso. Il denaro è stato però speso inutilmente, se è vero che alla fine ci si è dovuti arrendere all’evidenza delle prove contenute negli studi e all’aumento esponenziale di esseri umani di tutte le età con troppi chili addosso. Per di più anche la stessa OMS si è schierata in maniera netta e decisa contro qualunque bevanda (o alimento in genere) che contenga zuccheri aggiunti e, nei giorni scorsi, ha auspicato l’introduzione di una tassa specifica pari ad almeno il 20%, la tanto discussa soda tax.

La proposta sembra studiata a tavolino l’uscita dello studio della School of Public Health dell’Università di Boston sull’American Journal of Preventive Medicine per sostenere il pronunciamento dell’OMS, e anche se probabilmente non lo è, sarà più difficile per le lobby delle soda, cercare argomenti convincenti contro una futura tassa.

Lo studio è infatti il più completo atto d’accusa ai produttori di bevande zuccherate mai messo nero su bianco e comprovato da decine di fonti più che attendibili, perché prende in esame non solo la letteratura, ma anche moltissime altre figure quali associazioni mediche, umanitarie e di consumatori. C’è poi il versante dei media per la grande diffusione, centri di ricerca e così via. I ricercatori hanno così identificato, negli ultimi cinque anni, oltre cento casi più che sospetti di “donazioni” e i comportamenti conseguenti di coloro che ne hanno usufruito. Ecco alcuni esempi a dir poco clamorosi, ricordati dal New York Times.

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Save the Children, l’associazione che si occupa di infanzia, aveva sempre sostenuto la soda tax, ma nel 2010 ha cambiato idea. Poco prima aveva ricevuto 5 milioni di dollari dalla Pepsi e chiesto alla Coca Cola altro denaro per sostenere le sue campagne. Ufficialmente è stata una scelta precisa: si è deciso di concentrare le iniziative sull’educazione dei bambini, una decisione “non collegata in alcun modo al denaro ricevuto”.A New York, l’Academy of Nutrition and Dietetics nel 2012 si era rifiutata di sostenere la proposta di divieto delle bevande extra large, con la motivazione che gli studi esistenti sarebbero stati chiari. Nello stesso anno, l’Academy ha accettato 525 mila dollari dalla Coca Cola, e l’anno seguente altri 350 mila dal colosso di Atlanta. Al momento non usufruisce di sponsorizzazione da aziende di bevande dolci. Un po’ tardi, verrebbe da dire.La NAACP (National Association for the Advancement of Colored People), potente associazione che rappresenta gli afroamericani, e la sua omologa per gli ispanici (Hispanic Federation) si sono pubblicamente dichiarate contrarie a iniziative volte a limitare il consumo delle soda, nonostante il dilagare dell’obesità proprio tra afroamericani e ispanici. Tra il 2010 e il 2015 la Coca Cola ha dato un milione di dollari alla NAACP e tra il 2012 e il 2015 più di 600 mila dollari all’Hispanic Federation.Tra il 2012 e il 2014 l’American Diabetes Association ha ricevuto finanziamenti dalle aziende di settore pari a 140 mila dollari, così come, tra il 2010 e il 2015, l’American Heart Association, che ne ha ricevuti 400 mila solo dalla Coca-Cola, mentre i National Institutes of Health (niente di meno), tra il 2010 e il 2014, hanno accettato donazioni per circa due milioni di dollari, anch’essi dalla Coca-Cola. L’associazione dei cardiologi ha dichiarato di essere da tempo impegnata in ogni sforzo per combattere l’obesità, ma di ritenere che sia indispensabile coinvolgere attivamente i produttori di soda in questi sforzi. Se poi il coinvolgimento è ben remunerato, ancora meglio, evidentemente.L’American Beverage Association ha assunto un atteggiamento pilatesco, sottolineando il proprio ruolo nel tentativo di capire meglio la complessa questione dell’obesità, anche se per anni ha negato con ogni mezzo la responsabilità delle soda nel fenomeno. Dal canto suo, la Pepsi ha preferito mettere in rilievo gli altri suoi prodotti, ricordando che le soda sono solo un quarto di ciò che esce dai suoi stabilimenti.

La Coca-Cola infine, che solo pochi mesi fa aveva pagato per uno studio a sfavore dell’esistenza di un nesso tra le soda e l’obesità, ha deciso di aprire gli

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archivi, lasciando così venir fuori l’enorme conflitto di interessi che lei stessa ha alimentato. Solo nel periodo in esame, e cioè tra il 2010 e il 2015, le sue “donazioni” sono state di 120 milioni di dollari, con una media di sei milioni all’anno – dal 2011 in poi – solo per le azioni di lobbying contro le eventuali iniziative di legge. La Pepsi, per lo stesso scopo e nello stesso periodo, ne ha spesi tre all’anno e l’American Beverage Association (ABA) uno. Nel 2009, però, c’è stata una fiammata, poiché il governo aveva proposto una legge federale: nell’insieme, i tre protagonisti (Coca, Pepsi e ABA) hanno speso ben 38 milioni di dollari solo in azioni di lobbying.E poi c’è un caso, quello di Filadelfia, che illustra bene quanto sia stato inutile questo sforzo. Nel 2010 il sindaco ha provato a introdurre una tassa, ma la proposta è stata respinta dal Consiglio Comunale e, subito dopo il voto, le aziende delle soda hanno fatto una “donazione” di dieci milioni di dollari al locale ospedale pediatrico. Quest’anno la città ha approvato la legge. E le aziende hanno cercato, senza riuscirvi, di trascinare il comune in tribunale.

Probabilmente questa vicenda riflette il cambiamento di clima certificato dall’OMS, che ha appena pubblicato un rapporto nel quale ha invitato tutti gli stati a introdurre una soda tax non inferiore al 20%, cui corrisponde un calo dei consumi di pari entità. L’organizzazione ricorda che nessuno avrebbe bisogno di introdurre alcun tipo di zucchero aggiunto rispetto a quelli già presenti negli alimenti e che il valore massimo consigliato è il 10% delle calorie assunte, da portare possibilmente al 5%.La soda tax sarebbe da includere in un’azione globale insieme ad altre misure quali la tassa sugli alimenti salati e grassi, il sostegno alla vendita di vegetali freschi e alla diffusione dell’attività fisica e altri provvedimenti di cui si discute in tutto il mondo. (Articolo di Agnese Codignola)

Fonte: www.ilfattoalimentare.it

Marmellate, conserve e composte.

Quando nelle nostre case mettiamo a cuocere la frutta alla quale aggiungiamo dello zucchero e magari anche della pectina per favorire l’addensamento noi tutti siamo convinti di apprestarci a fare una marmellata, però nella maggior parte dei casi sbagliamo denominazione e non lo sappiamo. A livello domestico possiamo tranquillamente evitare di scrivere sul barattolo l’esatta definizione della

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“marmellata” che stiamo preparando, ma quando la compriamo corriamo il rischio di perderci e di non capire bene cosa contiene la “confezione” di frutta conservata è reale.Questo dipende dal fatto che la produzione e l’etichettatura delle “marmellate” è regolamentata dalla Direttiva CEE 79/693  recepita dopo “soli” tre anni nel nostro Paese con il DPR 8.6.82. (cui si rimanda) (link allegato).Cerchiamo di descrivere nel modo più chiaro possibile quanto riportato dal DPR in materia di marmellate, confetture, gelatine e la crema di marroni.Contrariamente a quanto possiamo pensare il termine “marmellate” è molto limitativo e si può adoperare soltanto per gli alimenti fatti con agrumi e zucchero.Anche la definizione della crema di marroni è piuttosto esclusiva perché può essere applicata soltanto ai prodotti fatti con le castagne e lo zucchero.Le gelatine si ottengono dalla miscela di uno o più succhi di frutta e zucchero e lavorati fino ad ottenere una consistenza gelatinosa.Quando sono presenti uno o più tipi di altri frutti dobbiamo parlare di confetture e su questo punto il DPR diviene quanto mai preciso stabilendo le percentuali dei vari componenti con la loro esatta denominazione. In pratica quando pensiamo di acquistare una comune marmellata in realtà stiamo comprando una confettura.Nell’ambito delle confetture possiamo imbatterci nelle “composte” che, anche se non citate nel DPR 8.6.82, convenzionalmente sono dei prodotti a basso livello di zucchero aggiunto; in questi casi può capitare di trovare dei prodotti con la dizione “senza zucchero” o, più correttamente, “senza zucchero aggiunto”. Questo significa che è presente soltanto lo zucchero della frutta (fruttosio principalmente) che comunque ha lo stesso valore calorico dello zucchero comune (saccarosio).Nei vari preparati è possibile aggiungere degli additivi alimentari; tra questi può essere anche utilizzata l’anidride solforosa. La sua eventuale presenza deve essere indicata nella etichetta in quanto si tratta di un allergene che potrebbe creare problemi alle persone sensibili.Ritornando brevemente al DPR che è indirizzato soprattutto ai produttori, è interessante notare la descrizione dei frutti con nomi forse sconosciuti alla maggioranza di noi tutti e la cui comprensione richiede una ricerca sui motori di internet. Ad esempio si cita l’”acagiu” che è poi l’”anacardo”; o anche la “granidiglia”, ovvero il frutto della passione. E’ pure possibile apprendere che i “cinorrodi” sono le bacche delle rose.In conclusione quando acquistiamo una marmellata di ciliegie o di frutta mista, in effetti stiamo comprando una “confettura” e lo possiamo sapere soltanto

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leggendo l’etichetta! (Dal blog di Agostino Macrì)

Fonte: www.sicurezzalimentare.it

Controlli ufficiali, il Consiglio europeo adotta l’accordo.

Dopo un primo voto del Parlamento europeo a giugno, il Consiglio agricolo in Lussemburgo ha formalmente adottato la bozza sui Controlli Ufficiali, che dovrebbe portare un po' di novità a livello europeo. Il testo è stato approvato a larga maggioranza, con l’astensione austriaca, dopo consultazioni e cambiamenti nel corso degli ultimi anni. Una novità subito apprezzata è quella che il testo diminuisce la dipendenza dei controlli dalle casse pubbliche, con libertà da parte degli Stati membri di decidere. Allo stesso modo, le multe sono decise a livello degli Stati membri, pur dovendo essere sufficientemente dissuasive. Le autorità pubbliche potranno inoltre rendere disponibili all’esterno le informazioni dei controlli, qualora venga dato diritto di replica e commento agli operatori del settore. Entro il prossimo gennaio ci si attende un voto finale del Parlamento europeo, ma vi è un ampio numero di atti delegati e di implementazione.Punti caldi. Resistenza microbicaSi riconosce che “malattie zoonotiche, incluse quelle causate da microoranismi che hanno acquisito resistenza agli antibiotic, possono avere un notevole impatto di salute pubblica e di sicurezza alimentare, nonchè di salute animale. Per assicurare elevati standard di salute pubblica ed animale in Europea, sono stabilite norme in tal senso. La conformità a queste norme dovrebbe essere soggetta ai controlli ufficiali, includendo le regole per controllare la resistenza agli antibiotici".Benessere animale anticamera sicurezza alimentareCon un passaggio rilevante inoltre, si riconosce che il benessere animale, già dovuto per motivi etici (art. 13 de Trattato dell’Unione), porta benefici di qualità e sicurezza alimentare degli alimenti di origine animale.Indipendenza e terzietà dei controlloriLo staff deputato ai controlli dovrà avere caratteristiche di terzietà e assenza di conflitti di interesse rispetto ai controllati.Analisi ripetibili a tutela delle impreseViene inoltre confermato il presupposto, già contenuto nel reg. 882/2004, della possibilità per gli operatori di condurre analisi di controprova rispetto ai reperti

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ufficiali, al fine di escludere le risultanze emerse in prima battuta.Il testo: http://data.consilium.europa.eu/doc/document/ST-12175-2016-ADD-1/en/pdf

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