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NEWS DEL GAUDENS N.9 DEL 14 GENNAIO 2014 www.gaudens.altervista.org Sommario Attualità: Società partecipate. La mancata pubblicazione della relazione sulla conformità alle regole Ue fa decadere gli affidamenti. L’integrazione dell’impegno originario in alcuni casi è possibile. Relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio dell’ente, qualora fatti successivi all’originario impegno di spesa determinino un aumento della spesa prevista inizialmente in termini non rilevanti ma ‘‘fisiologici’’, l’ente locale può non ricorrere alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ma potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa per garantire la copertura finanziaria della parcella professionale qualora, verificata la congruità dell’impegno originario, siano già disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel rispetto delle procedure contabili. Legge stabilità: norme che interessano i Piccoli Comuni ( Nota Anci) CONSIGLIERI COMUNALI: Incompatibilità degli amministratori comunali ai sensi dell'art. 63, D.Lgs. n. 267/2000 . Ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 2, D.Lgs. n. 267/2000, non può ricoprire la carica di amministratore comunale colui che come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti nell'interesse del Comune. Nel termine 'servizi' è ricompreso qualsiasi rapporto intercorrente con l'ente locale che, a causa della sua durata e della costanza delle prestazioni effettuate, sia in grado di determinare conflitto di interessi. Il risarcimento del danno nel caso di attività discrezionale: dalla chance al sindacato pieno sul rapporto(commento a CGA, Sez. Giurisdizionale - sentenza 12 dicembre 2013, n. 929 ) – Gazzetta Ufficiale : Ripubblicazione Legge Stabilità ATTUALITA’ l Ministero chiarisce FAQ_Mini_IMU -le modalità di compilazione del F24 per quanto attiene i codici tributo (quelli

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NEWS DEL GAUDENS N.9 DEL 14 GENNAIO 2014

www.gaudens.altervista.org

Sommario Attualità: Società partecipate. La mancata pubblicazione della relazione sulla conformità alle regole Ue fa decadere gli affidamenti. L’integrazione dell’impegno originario in alcuni casi è possibile. Relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio dell’ente, qualora fatti successivi all’originario impegno di spesa determinino un aumento della spesa prevista inizialmente in termini non rilevanti ma ‘‘fisiologici’’, l’ente locale può non ricorrere alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ma potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa per garantire la copertura finanziaria della parcella professionale qualora, verificata la congruità dell’impegno originario, siano già disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel rispetto delle procedure contabili. Legge stabilità: norme che interessano i Piccoli Comuni ( Nota Anci) CONSIGLIERI COMUNALI: Incompatibilità degli amministratori comunali ai sensi dell'art. 63, D.Lgs. n. 267/2000.  Ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 2, D.Lgs. n. 267/2000, non può ricoprire la carica di amministratore comunale colui che come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti nell'interesse del Comune. Nel termine 'servizi' è ricompreso qualsiasi rapporto intercorrente con l'ente locale che, a causa della sua durata e della costanza delle prestazioni effettuate, sia in grado di determinare conflitto di interessi. Il risarcimento del danno nel caso di attività discrezionale: dalla chance al sindacato pieno sul rapporto(commento a CGA, Sez. Giurisdizionale - sentenza 12 dicembre 2013, n. 929) – Gazzetta Ufficiale : Ripubblicazione Legge Stabilità

ATTUALITA’

l Ministero chiarisce  –FAQ_Mini_IMU -le modalità di compilazione del F24 per quanto attiene i codici tributo (quelli già esistenti) ed i campi da compilare (es. numero degli immobili e rateizzazione). Va compilato anche il campo della detrazione (inserendo l’importo effettivo approvato dal Comune), anche se ininfluente ai fini del calcolo. Per quanto riguarda il limite minimo, si confermano i 12 euro, ma attenzione: dovrà essere riferito all’ammontare dell’imposta complessivamente dovuta con riferimento agli immobili situati nello stesso comune, come previsto dalle linee guida del regolamento IMU. Sul limite minimo della riscossione coattiva, il MEF assume una posizione diversa rispetto alla nota ANCI ER (si veda news pubblicata ieri), chiarendo che l’importo di 16,53 euro è ormai superato e NON esiste un limite minimo per la riscossione coattiva per i tributi locali, fatto salvo il limite di 12 euro per i versamenti spontanei. Il MEF chiarisce, quindi, le modalità di calcolo per gli immobili appartenenti al personale delle forze armate. Infine, il MEF chiarisce che il versamento per i terreni agricoli non posseduti e condotti da coltivatori diretti, per i quali non è stata versata la prima rata, il relativo versamento non può considerarsi “mini IMU” perché si tratta dell’ordinario versamento a saldo. Il MEF chiarisce che, in caso di insufficiente versamento della seconda rata (e implicitamente, non della mini IMU), la differenza può essere versata senza sanzioni ed interessi al 30 giugno 2014.Società partecipate. La mancata pubblicazione della relazione sulla conformità alle regole Ue fa decadere gli affidamenti.“Prorogati i termini per le relazioni che devono attestare la conformità dei modelli di affidamento dei servizi pubblici locali all'ordinamento comunitario, ma solo per i servizi a rete.Il decreto milleproroghe interviene rispetto alla norma che obbliga tutti gli enti che hanno affidato servizi con rilevanza economica a verificare se la forma di gestione (gara, società mista o in house)

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corrisponde ai requisiti imposti dall'Unione europea, ma la norma introdotta riguarda solo i servizi strutturati su area vasta, escludendo quelli affidati da singoli Comuni.L'articolo 34, comma 21 della legge 221/2012 prevedeva che entro il 31 dicembre 2013 gli enti affidanti servizi pubblici locali con rilevanza economica pubblicassero sul proprio sito internet una relazione illustrativa della conformità delle gestioni esistenti ai moduli delineati dall'ordinamento comunitario: ad esempio, un'amministrazione che avesse affidato direttamente anni or sono il servizio di gestione della sosta a pagamento a una società in house era tenuta a dimostrare la sussistenza del controllo analogo sull'organismo e della prevalenza dell'attività della società stessa nei confronti dell'ente.Il mancato adempimento determina la cessazione dell'affidamento alla data del 31 dicembre 2013.Per i servizi con struttura su area vasta secondo il sistema a rete (ad esempio gestione dei rifiuti, trasporto pubblico locale, servizio idrico) la disposizione doveva essere letta in combinazione con quanto previsto dalla legge 148/2011, articolo 3-bis, commi 1 e 1-bis, che rimettono agli enti di governo degli ambiti o dei bacini territoriali ottimali tutte le competenze su affidamento e di organizzazione dei servizi, compresa la relazione illustrativa. L'articolo 13 del Dl 150/2013 non modifica la scadenza (31 dicembre 2013) indicata nell'articolo 32, comma 21 della legge 221/2012 per pubblicare la relazione sulla conformità degli affidamenti esistenti ai requisiti comunitari, ma stabilisce che, per garantire la continuità del servizio, laddove l'ente di governo dell'ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già avviato le procedure di affidamento, il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operanti fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014. Inoltre, la nuova disposizione del milleproroghe prevede (articolo 13, comma 2) che la mancata istituzione o designazione dell'ente di governo dell'ambito territoriale ottimale o la mancata deliberazione dell'affidamento entro il termine del 30 giugno 2014 comportino l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto per il completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014.Il mancato rispetto di questi nuovi termini comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014.Tuttavia, proprio il riferimento ai servizi da sviluppare in ambiti o bacini territoriali ottimali rende ladisposizione del Dl 150/2013 e la relativa proroga applicabile solo ai servizi pubblici locali a rete.Non rientrano invece in questa classificazione molti servizi pubblici locali a rilevanza economica la cui realizzazione è riferita a contesti più limitati (i territori dei singoli comuni), come ad esempio la gestione dei servizi cimiteriali, della sosta a pagamento, degli impianti sportivi con effettiva redditività. Per tali servizi, quindi, l'articolo 13 del Dl 150/2013 non prevede una proroga esplicita rispetto al termine (già scaduto) del 31 dicembre 2013, con la conseguenza che la mancata pubblicazione della relazione illustrativa per essi della conformità dei modelli gestionali ai requisiti comunitari comporta la cessazione delle gestioni in essere a quella data.

Servizi differenziati|Servizi non a rete

Si tratta di servizi riferiti al solo contesto dell'ente locale affidante: per esempio la gestione sosta a pagamento del Comune oppure i servizi cimiteriali. - L'ente affidante è il Comune o Provincia.

Obbligo di verifica della conformità dell'affidamento ai requisiti comunitari, con pubblicazione della

relazione illustrativa sul sito: 31 dicembre 2013. Esclusioni: non si applica la norma al servizio gas, al servizio distribuzione energia, alla

gestione farmacie.

Servizi a rete- Servizi sviluppati in un ambito territoriale ottimale o in un bacino territoriale omogeneo, comunque in un contesto di area vasta (es. ambito provinciale). - Regola di riferimento: articolo 3-bis commi 1 e 1-bis legge 148/2011. - Obbligo di verifica della conformità dell'affidamento ai requisiti comunitari, con pubblicazione della relazione illustrativa sul sito: prorogato al 31 dicembre 2014 dall'articolo 13 del Dl 15/2013.

Fonte: Il Sole 24 Ore n. 12 del 13.01.14

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Gli enti locali hanno tempo fino al 30 aprile 2014 per cedere a terzi le proprie quote societarie non strettamente necessarie al perseguimento dei fini istituzionali.“Il comma 569 della legge di stabilità 2014 proroga (o meglio, riposiziona) il termine inizialmente previsto dalla legge 244/07 per la dismissione di partecipazioni, anche di minoranza, in società aventi per oggetto attività di produzione di beni o servizi non necessari alle finalità pubbliche.In base alla Finanziaria 2008, l'assunzione di nuove partecipazioni o il mantenimento di quelle esistenti doveva essere autorizzato dall'organo competente (consiglio comunale o provinciale) con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei requisiti di legge. Questa delibera doveva essere trasmessa alla competente sezione regionale della Corte dei Conti.Pur non essendo esplicitamente previsto, gli enti sembrerebbero dunque tenuti ad adottare nei prossimi mesi determinazioni aggiornate in merito alle proprie società.È sempre consentita la partecipazione in organismi che producono servizi di interesse generale e cheforniscono servizi di committenza a favore di enti senza scopo di lucro e di amministrazione aggiudicatrici.Il comma 569 integra le cause di recesso ex lege a favore degli enti locali, producendo una sorta diasimmetria contrattuale tra socio pubblico e privato.Secondo le nuove disposizioni, infatti, le partecipazioni non alienate mediante procedura ad evidenzapubblica entro il mese di aprile 2014 cessano di diritto; da questa data non si producono più gli effetti del contratto societario (una sorta di recesso legale), né si impone più il rispetto degli obblighi previsti dai commi 551 e seguenti dell'articolo 1 della legge 147/13.Entro i dodici mesi successivi alla cessazione, le società sono inoltre tenute a liquidare in denaro il valore delle quote del socio pubblico cessato, sulla base dei criteri di calcolo stabiliti dall'articolo 2437-ter del Codice civile, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali, nonché dell'eventuale valore di mercato dei titoli. L'applicazione della norma in questione potrebbe determinare importanti conseguenze finanziarie edeconomiche sulle società, soprattutto in termini di fabbisogno finanziario conseguente alla probabile crisi di liquidità per garantire il pagamento in denaro delle quote ai soci pubblici recedenti, con evidenti ripercussioni, oltre che sugli assetti di proprietà, anche a livello occupazionale e sulla vita stessa della società.”.

Area Piccoli Comuni - ANCI

La Legge di Stabilità 2014 contiene diverse norme di interesse per i Piccoli Comuni.

L’articolo unico della Legge di Stabilità prevede misure importanti per l’attività gestionale e finanziaria dei piccoli Comuni, come di seguito elencate:

Comma 343: questa norma esonera i Comuni fino a 5.000 abitanti dall'obbligo dell'utilizzo della Centrale Unica di Committenza per acquisizioni di lavori, servizi e forniture effettuati in economia mediante amministrazione diretta, inferiori ad un valore di 40.000 euro;

Comma 530: indica una più adeguata graduazione dei termini per le gestioni associate obbligatorie dei Comuni fino a 5.000 abitanti, prevedendo uno step intermedio al 30 giugno 2014 per quanto riguarda l’attivazione di ulteriori tre funzioni fondamentali e disponendo che il completamento della gestione associata di tutte le funzioni previste debba avvenire comunque entro il 31 dicembre 2014 termine (prorogato quindi di 12 mesi rispetto al termine precedente);

Commi 534, 535 e 542: il comma 534 prevede la neutralizzazione ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese sostenute dal Comune capofila di convenzione, relativamente a quegli enti che scelgano la convenzione per l’esercizio associato obbligatorio delle funzioni comunali; il comma 535 attribuisce agli enti locali, per il 2014, la possibilità di escludere i pagamenti effettuati in conto capitale dal patto di stabilità interno per un importo complessivo di 1.000 milioni di euro, ripartiti tra i Comuni (850 milioni) e le Province (150 milioni). E’ prevista l’esclusione dal patto di stabilità interno di ulteriori 500 milioni di euro finalizzati al pagamento dei debiti maturati al 31 dicembre 2012; il comma 542 destina 450 milioni di euro sul patto regionale verticale incentivato (a cui si aggiungono gli 850 milioni di allentamento del patto destinati a tutti i Comuni, nonché i 500 milioni  stanziati ancora per i pagamenti) per spazi finanziari di

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allentamento del patto ai Comuni tra i 1.001 e i 5.000 abitanti.

Rimane ferma l’esclusione dal patto di stabilità interno dei Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti e delle Unioni di Comuni;

Comma 730: incentivi finanziari al processo di riordino e di semplificazione degli enti territoriali, riservando alle Unioni di Comuni (per ciascuno dei prossimi tre anni dal 2014 al 2016) 30 milioni di euro, ed una ulteriore quota di pari importo per i Comuni istituiti a seguito di fusione;

Tabella E: dispone un rifinanziamento di 50 milioni di euro per il 2014 del Programma 6.000 Campanili, istituito dall’art. 18, comma 9, del D.L. n. 69/2013.

Il DDL “Delrio”, AS 1212, recante “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni” , approvato in prima lettura dalla Camera dei Deputati il 21 dicembre 2013, attualmente assegnato alla Commissione Affari Costituzionali del Senato in sede referente il 3 gennaio 2014, ha introdotto disposizioni di interesse dei Piccoli Comuni, in particolare, sui processi di gestione associata obbligatoria;Art. 1, comma 4: mantenimento della Convenzione (come particolarmente sostenuto dall’ANCI) come forma associativa alternativa o complementare all'Unione di Comuni;

Art. 1, comma 5: neutralizzazione ai fini del rispetto del patto di stabilità interno delle spese sostenute dal Comune capofila di convenzione, relativamente a quegli enti che scelgano la convenzione per l’esercizio associato obbligatorio delle funzioni comunali;

Art. 1, comma 6: si prevede una unica e semplificata tipologia di Unione di Comuni, quella definita ai sensi dell'art. 32 del Tuel e s.m.i;

Art. 1, comma 7: indica una più adeguata graduazione dei termini per le gestioni associate obbligatorie dei Comuni fino a 5.000 abitanti, prevedendo uno step intermedio al 30 giugno 2014 per quanto riguarda l’attivazione di ulteriori tre funzioni fondamentali e disponendo che il completamento della gestione associata di tutte le funzioni previste debba avvenire comunque entro il 31 dicembre 2014 termine (prorogato quindi di 12 mesi rispetto al termine precedente);

Art. 21, comma 5: per i Comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti sono previsti, oltre il Sindaco, 10 Consiglieri comunali ed un numero massimo di 2 Assessori; ripristinate quindi le Giunte nei Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti. Inoltre, per i Comuni con popolazione superiore a 3.000 e fino a 10.000 abitanti sono previsti, oltre il Sindaco, 12 Consiglieri comunali ed il numero massimo degli Assessori è pari a 4.

NCARICHI PROFESSIONALI: Debiti fuori bilancio - Fattispecie - L’integrazione dell’impegno originario in alcuni casi è possibile. Relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio dell’ente, qualora fatti successivi all’originario impegno di spesa determinino un aumento della spesa prevista inizialmente in termini non rilevanti ma ‘‘fisiologici’’, l’ente locale può non ricorrere alla procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio ma potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa per garantire la copertura finanziaria della parcella professionale qualora, verificata la congruità dell’impegno originario, siano già disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel rispetto delle procedure contabili.

(1) Si tratta di questione controversa che ha trovato soluzioni opposte nella giurisprudenza contabile.Hanno stabilito che è sempre necessaria la procedura di riconoscimento del debito fuori bilancio: sez. reg. contr. Veneto, n. 7 del 2008; sez. reg. contr. Sardegna, n. 2 del 2007.Hanno ritenuto, invece, che sia possibile integrare l’originario impegno, qualora circostanze sopravvenute, quali ad es. la durata del contenzioso rendano insufficiente l’impegno originario: Sez. reg. contr. Campania, n. 9 del 2007; Sez. reg. contr. Lombardia 05.02.2009, n. 19; 12.10.2011, n. 511; 11.07.2012, n. 322; 23.10.2012, n. 441).Per una ricostruzione della questione in relazione alla complessiva disciplina dei debiti fuori bilancio: G. Astegiano, I debiti fuori bilancio, in G. Astegiano (a cura di),

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Ordinamento e gestione contabile-finanziaria degli Enti locali, Ipsoa, 2012, 810 e segg. (Corte dei Conti, Sez. controllo Liguria, parere 17.06.2013 n. 55 - commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 8-9/2013).

Il Sindaco del Comune di Ronco Scrivia chiede alla Sezione di controllo un parere in merito alla corretta liquidazione di compensi a favore di professionisti in conseguenza del conferimento di incarichi legali, formulando due distinti quesiti.In riferimento al primo il Sindaco chiede di sapere se le parcelle di liquidazione dell’attività professionale del legale incaricato dall’Ente (attività stragiudiziale e giudiziale) commissionata negli anni 2002, 2003 e 2005 possano essere liquidate secondo le previgenti tariffe professionali anche se le relative parcelle di liquidazione sono state emesse nell’anno 2012 a seguito della conclusione dei contenziosi.Con il secondo quesito il Sindaco chiede di sapere se per la liquidazione di compensi relativi a prestazioni professionali legali, connesse alla difesa in giudizio dell’Ente eccedenti gli impegni contabili assunti, si debba ricorrere alla procedura di cui all’art.194 del TUEL ossia al previo riconoscimento di legittimità del debito fuori bilancio ai sensi del comma 1, lettera e) o se invece sia sufficiente, disponendo dell’intera somma richiesta, adottare una determina dirigenziale di integrazione della spesa e successivamente di liquidazione anche considerando l’imprevedibile lunga durata dei contenziosi in oggetto. Ciò anche alla luce dei diversi orientamenti osservati dalle Sezioni regionali della Corte dei conti....La fattispecie all’esame di questo Collegio concerne la liquidazione di compensi relativi a prestazioni professionali di natura legale eccedenti gli impegni contabili assunti e più precisamente quale sia la corretta procedura di liquidazione della spesa in esame. Sul punto si sono creati due contrapposti indirizzi giurisprudenziali. Secondo il primo orientamento, sostenuto principalmente dalla Sezione di controllo lombarda, in situazioni come quella all’esame di questo Collegio non necessariamente occorre ricorrere alla procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio di cui all’art. 194, comma 1, lett. e) del TUEL, in quanto “si ritiene che l’impegno di spesa per prestazioni professionali a tutela dell’ente può dirsi assunto correttamente quando in presenza di un eventuale maggior onere (emergente dall’imprevedibile lunga durata della causa), l’ente al fine di garantire la copertura finanziaria procede ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa. In altri termini, fatti successivi, non prevedibili al momento dell’originario impegno di spesa quali il protrarsi della durata del processo, costituiscono una legittima causa giuridica per la spesa da sostenere e consentono, quindi, di assumere il relativo impegno in bilancio. In questa ipotesi, anzi, il ricorso all’istituto del riconoscimento del debito fuori bilancio contrasterebbe con i principi di contabilità pubblica. Ne consegue che qualora l’importo legittimamente impegnato si riveli insufficiente, la differenza non realizza automaticamente una fattispecie di debito fuori bilancio, da legittimare ai sensi dell’art. 194, co. 1, lett. e TUEL" (Sez. reg. contr. Lombardia delibere n. 19/2009, n. 322/2012, n. 441/2012).Secondo un diverso orientamento, sostenuto, tra le altre, dalle Sezioni Veneto, Puglia, Sardegna, anche in situazioni come quella in esame è necessario ricorrere alla procedura di cui all’art. 194 del TUEL. La liquidazione di una spesa può, infatti, avvenire ai sensi dell’art. 184, primo comma del T.U.E.L. nei limiti dell’impegno definitivo assunto: “ogni qualvolta si verifichi questo scostamento tra impegno contabile assunto a tempo debito e somma definitiva da pagare ad operazione conclusa, si incorre in un’ipotesi di debito fuori bilancio che introduce un elemento di imprevedibilità potenzialmente idoneo a creare uno squilibrio nelle previsioni di spesa del bilancio” (Sez. reg. contr. Veneto, delibera n. 7/2008). Pertanto “nel caso che l’importo impegnato si riveli insufficiente, la differenza tra quanto impegnato e quanto richiesto dalla controparte contrattuale –a parte ogni considerazione sulla valutazione della congruità della parcella, sulla effettiva realizzazione delle attività fatturate e sulla corretta applicazione degli scaglioni tariffari– costituisce debito fuori bilancio e come tale deve essere riconosciuto dal Consiglio comunale, ai sensi dell’art. 194 TUEL. Precisamente si tratta di riconoscimento ai sensi della lettera e) del comma 1: acquisizione di beni e servizi, in violazione degli obblighi di cui ai commi 1, 2 e 3 dell’articolo 191, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza” (Sez. reg. contr. Sardegna delibera n. 2/2007).Entrambi gli orientamenti evidenziati hanno però una base comune: ferma restando la necessità del rispetto delle regole per il conferimento dell’incarico (determina a contrarre, stipula del contratto, ecc.), in osservanza del principi di prudenza, buona amministrazione, sana gestione finanziaria l’Ente, nel caso di conferimento di incarico legale, ha il dovere di

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acquisire dall’avvocato un preventivo di massima che si avvicini il più possibile alla spesa che sarà definitivamente sostenuta, ciò al fine di quantificare correttamente l’impegno di spesa necessario e predisporre adeguata copertura finanziaria. Ciò pur in presenza di variabili, connaturali al tipo di incarico in esame, che possono determinare incertezza sulla quantificazione dell’impegno finanziario al momento dell’ordinazione della prestazione ai sensi dell’art. 191 TUEL (lunghezza del giudizio, esito dello stesso, ecc.). In tal modo si realizza una corretta imputazione di bilancio, se pur non precisa nel suo ammontare definitivo, e si salvaguarda la sana e prudente gestione finanziaria. Inoltre si consente all’Ente, ad all’organo Consiliare, di valutare correttamente l’utilità ed il vantaggio della prestazione professionale.Diversamente qualora la previsione iniziale ed il relativo impegno siano non veritieri in quanto la spesa preventivata si discosta in modo sensibile dalla spesa effettivamente sostenuta (senza che ricorrano magari situazioni eccezionali ed imprevedibili), si crea un vulnus alla sana e prudente gestione finanziaria in quanto, di fatto, la spesa per l’incarico legale si sottrae alle ordinarie procedure di spesa determinando (o potendo determinare) squilibri finanziari. In tale circostanza è doveroso, rectius, obbligatorio ricorrere alla procedura di riconoscimento di debito fuori bilancio al fine di ricondurre la spesa in esame all’interno della gestione di bilancio individuando le risorse necessarie alla copertura finanziaria, valutando l’utilità della prestazione (lo scostamento significativo tra impegno iniziale e spesa definitiva può anche essere sintomatico di un non corretto ricorso all’incarico legale). In tal senso sembrano concordare, implicitamente, entrambi gli orientamenti giurisprudenziali sopra ricordati.Diverso appare il caso in cui l’impegno iniziale non si discosti significativamente dalla spesa definitiva. Come detto la tipologia di incarico si presta ad una determinazione della spesa non puntuale. Ciò non toglie che una quantificazione dell’esborso finanziario impegnato il più vicino possibile al compenso realmente fatturato dal professionista consenta di rispettare la sana e prudente gestione finanziaria, ricorrendo ad adeguata copertura finanziaria della spesa senza che la fattispecie in esame si sottragga, di fatto, alla gestione di bilancio. Nel caso di specie viene meno l’utilità della procedura di cui all’art. 194 del TUEL in quanto non si è in presenza di un’acquisizione di servizio in assenza di impegno contabile (cosa di cui si potrebbe dubitare, come già detto, qualora vi fosse uno scostamento significativo tra impegno iniziale e compenso definitivo), l’utilità della prestazione è stata già valutata al momento del conferimento dell’incarico se affidato nel rispetto delle procedure di legge (determina a contrarre, stipula del contratto, ecc.) ed, infine, ricorre la copertura finanziaria in quanto sono già disponibili le risorse destinate al pagamento del compenso professionale.Pertanto ritiene questo Collegio che, relativamente ad incarichi legali di difesa in giudizio dell’Ente, qualora fatti successivi all’originario impegno di spesa determinino un aumento della spesa prevista inizialmente in termini non rilevanti ma “fisiologici”, l’Ente potrà procedere ad adeguare lo stanziamento iniziale integrando l’originario impegno di spesa per garantire la copertura finanziaria della parcella professionale qualora, verificata la congruità dell’impegno originario, siano già disponibili le risorse finanziarie a tal fine necessarie, e l’acquisizione del servizio sia stata effettuata nel rispetto delle procedure contabili.

CONSIGLIERI COMUNALI: Incompatibilità degli amministratori comunali ai sensi dell'art. 63, D.Lgs. n. 267/2000. 

Ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 2, D.Lgs. n. 267/2000, non può ricoprire la carica di amministratore comunale colui che come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti, somministrazioni o appalti nell'interesse del Comune. Nel termine 'servizi' è ricompreso qualsiasi rapporto intercorrente con l'ente locale che, a causa della sua durata e della costanza delle prestazioni effettuate, sia in grado di determinare conflitto di interessi.

Il Comune riferisce di aver ricevuto, in qualità di Ente gestore del Servizio sociale dei Comuni di un determinato Ambito distrettuale, un contributo dalla Regione Friuli Venezia Giulia per il finanziamento dello 'Sportello promozione e supporto all'istituto dell'Amministrazione di sostegno ' (di seguito, Sportello) di cui all'art. 3, L.R. n. 19/2010. [1] L'Ente gestore chiede, al riguardo, se per lo svolgimento di detta attività di sportello possa stipulare una convenzione con una Associazione [2]

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specificando che il Presidente di questa è consigliere comunale dell'Ente e assessore provinciale e che un consigliere della medesima Associazione è, a sua volta, consigliere comunale dell'Ente. L'Ente rende noto, altresì, che nella convenzione verrebbe previsto, secondo lo schema tipo, il riconoscimento all'Associazione di un corrispettivo che specifica essere di importo coincidente con il finanziamento regionale.

Con la L.R. n. 19/2010 citata dianzi, il legislatore regionale ha dettato norme per la promozione, la valorizzazione e l'organizzazione dell'amministratore di sostegno, quale strumento di aiuto e tutela dei soggetti legittimati ad avvalersene (art. 1). In particolare, l'articolato della legge regionale prevede che la Regione promuove e sostiene l'istituzione e la gestione, tramite i Servizi sociali dei Comuni, di uno o più Sportelli e che l'Ente gestore del Servizio sociale dei Comuni, mediante apposite convenzioni o protocolli d'intesa, può affidare la gestione dello Sportello ai soggetti del privato sociale -organismi dotati di personalità giuridica ovvero associazioni- interessati alla protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia ed iscritti nell'apposito Registro regionale (artt. 3 e 5). Nel caso di specie, l'Ente istante prospetta l'ipotesi dell'affidamento dell'attività dello Sportello ad un'associazione, mediante convenzione, facoltà espressamente riconosciuta dal legislatore regionale all'Ente gestore del Servizio sociale dei Comuni. La fattispecie in esame impone, tuttavia, di valutare il fatto che due consiglieri comunali dell'Ente sono, rispettivamente, l'uno Presidente e l'altro consigliere dell'Associazione, sotto il profilo della configurabilità di cause di incompatibilità. Al riguardo, vengono in considerazione le previsioni di cui all'art. 63, D.Lgs. n. 267/2000, in particolare, comma 1, n. 1) e 2), le quali, si rileva sin da subito, devono essere lette in chiave di stretta interpretazione, rifuggendo da qualsiasi applicazione analogica delle stesse, atteso che le cause ostative all'espletamento del mandato elettivo incidono direttamente sul diritto di elettorato passivo, alla luce della riserva di legge in materia posta dall'art. 51 della Costituzione. L'art. 63, comma 1, n. 1), seconda parte, D.Lgs. n. 267/2000 [3], prevede l'incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e la carica di amministratore di ente che riceva da parte del comune, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il 10% delle entrate dell'ente (sovvenzionato). Muovendo dall'espressione testuale della norma richiamata, che fa espresso riferimento a enti che ricevono sovvenzioni dal comune, si formulano alcune considerazioni focalizzando i contenuti della L.R. n. 19/2010 già, in parte, ricordati. La L.R. n. 19/2010, prevede che: la Regione promuove e sostiene l'istituzione e la gestione degli Sportelli tramite i Servizi sociali dei Comuni (art. 3); l'Ente gestore del Servizio sociale dei Comuni può affidare, mediante convenzioni, la gestione dello sportello ai soggetti del privato sociale, organismi dotati di personalità giuridica e associazioni (art. 3); la Regione, in sede di prima attuazione della legge, può prevedere interventi di sostegno alle associazioni già operanti sul territorio per la promozione della figura dell'amministratore di sostegno (art. 5). La lettura coordinata delle previsioni richiamate evidenzia che l'Ente soggetto attivo delle sovvenzioni, per l'istituto dell'amministratore di sostegno, è la Regione, e che destinatari diretti delle sovvenzioni della Regione sono i comuni/Enti gestori e, specificamente in sede di prima attuazione della L.R. n. 19/2010, anche le Associazioni. Nel caso in esame, l'Ente istante (Ente gestore del Servizio sociale dei Comuni) prospetta di optare per la gestione dello Sportello mediante affidamento dell'attività ad un'Associazione (iscritta nel Registro regionale dei soggetti del privato sociale) e di far coincidere l'importo del corrispettivo con il beneficio ricevuto dalla Regione. Una tale fattispecie non sembra, invero, ricalcare la situazione foriera di incompatibilità descritta dall'art. 63, comma 1, n. 1, per la natura della prestazione economica erogata dal Comune/Ente gestore all'Associazione, a titolo di corrispettivo e non di sovvenzione. Altro è, infatti, la natura del corrispettivo, quale remunerazione di una prestazione [4], altro è la natura della sovvenzione che, secondo la dottrina e la giurisprudenza, deve consistere in un'erogazione continuativa a titolo gratuito, volta a consentire all'ente sovvenzionato di raggiungere, con l'integrazione del proprio bilancio, le finalità in vista delle quali è stato costituito [5]. Considerato che, nel caso di specie, la convenzione che il Comune istante ipotizza di stipulare con l'Associazione darebbe luogo alla nascita di rapporti contrattuali tra i due enti, occorre accertare l'eventuale insorgenza di una causa di incompatibilità ai sensi dell'art. 63, comma 1, n. 2), D.Lgs. n. 267/2000, secondo cui è incompatibile con la carica di amministratore comunale 'colui che, come titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento, ha parte, direttamente o indirettamente, in servizi, esazioni di diritti,

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somministrazioni appalti nell'interesse del Comune'. La norma è finalizzata ad evitare che la medesima persona fisica rivesta contestualmente la carica di amministratore comunale e la qualità di titolare, amministratore, dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di un soggetto che si trovi in rapporti giuridici economicamente rilevanti con l'ente locale, caratterizzati da una prestazione da effettuare all'ente o nel suo interesse.

Per la sussistenza della causa di incompatibilità, devono concorrere, quindi, due condizioni: una soggettiva, relativa al ruolo ricoperto dall'amministratore comunale, e una oggettiva, relativa al rapporto esistente tra l'ente locale interessato e il soggetto che 'ha parte in servizi, esazioni, diritti, somministrazioni o appalti, nell'interesse di quest'ultimo'. Nel termine 'servizi', è ricompreso qualsiasi rapporto intercorrente con l'ente locale che, a causa della sua durata e della costanza delle prestazioni effettuate, sia in grado di determinare conflitto di interessi. Il contenuto dei servizi è una prestazione di fare, senza elaborazione della materia, diretta a produrre una utilità, sia essa ad esecuzione prolungata, continuativa o periodica [6], tra cui, pertanto, non rientrerebbero le prestazioni meramente occasionali. Avuto riguardo a questa accezione lata dei 'servizi', sembra che la stessa possa interessare anche quelli che verrebbero resi dall'Associazione nell'ambito della Convenzione che il Comune avesse a stipulare con questa per la gestione dello Sportello, con la conseguenza che verrebbe a generarsi una situazione di incompatibilità tra la carica di consigliere comunale e quelle di Presidente e consigliere dell'Associazione, non consentita dall'art. 63, comma 1, n. 2, D.Lgs. n. 267/2000, qualora queste due ultime cariche siano connotate da poteri di amministrazione dell'Associazione, in base allo Statuto di questa.

---------------[1] L.R. 16.11.2010, n. 19, recante: 'Interventi per la promozione e la diffusione dell'amministratore di sostegno a tutela dei soggetti deboli'.

[2] Sulla base delle disposizioni contenute nel Regolamento attuativo della L.R. n. 19/2010, D.PReg. n. 190/2011, recante: 'Regolamento di attuazione della legge regionale 16.11.2010, n. 19 (Interventi per la promozione e la diffusione dell'amministratore di sostegno a tutela dei soggetti deboli)'. [3] D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, recante: 'Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali'. [4] Lo schema tipo di Convenzione previsto dal DPReg. n. 190/2011, prevede, all'art. 6, tra gli impegni dell'Ente gestore, quello di riconoscere, per lo svolgimento dell'attività, l'importo che verrà quantificato. [5] Cfr. nota di questo Servizio prot. n. 11683/2013. [6] Cfr. Enrico Maggiora, Ineleggibilità, incompatibilità, incandidabilità nell'ente locale, 2000, pag. 146 e segg. (24.12.2013 - link a www.regione.fvg.it).

APPALTI SERVIZI: Responsabilità degli amministratori locali per gli affidamenti senza procedure pubbliche. E' configurabile la responsabilità amministrativo-contabile per gli amministratori degli enti locali che violino le norme in materia di procedure ad evidenza pubblica, cagionando un ‘‘danno alla concorrenza’’. 

---------------Il caso

Nell’ipotesi in esame, il sindaco di un comune campano, a seguito di ripetuti episodi di teppismo registrati sul territorio, ha deciso -di propria iniziativa e senza curarsi di apprestare la relativa copertura finanziaria- di incaricare una cooperativa del luogo, per lo svolgimento di un servizio di vigilanza notturna, con il fine di contenere nuove manifestazioni di violenza.La ditta -individuata senza ricorrere a procedure ad evidenza pubblica- ha, peraltro, reso un servizio non soddisfacente, col che l’Amministrazione si è vista costretta ad interrompere bruscamente il rapporto ormai avviato.Il comune, preso atto della sostanziale inutilità del servizio, si è rifiutato di adempiere alla richiesta di pagamento del quantum di prestazione resa fino all’interruzione. Sennonché, in seguito a una nuova diffida della cooperativa, e l’instaurazione di un processo ordinario volto al recupero del credito, il consiglio comunale si è deciso a comporre la lite per mezzo di una transazione, riconoscendo con delibera il debito fuori bilancio corrispondente alla sola sorta

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capitale del debito contratto nei confronti della creditrice per lo svolgimento dell’incarico. Dalla dinamica riportata è disceso un procedimento per danno erariale a carico del sindaco, dei consiglieri e del Segretario e responsabile economico e finanziario del comune, tenuto innanzi alla Corte dei conti, sez. Campania, pronunciatasi con sentenza 31.01.2013, n. 141. L’addebito formulato nei loro confronti dalla Procura Generale è stato duplice: da un lato, quello di aver affidato il servizio di vigilanza senza le consuete forme pubblicistiche a tutela della concorrenza; dall’altro, quello di aver affidato l’incarico senza la necessaria copertura finanziaria e, dunque, in violazione degli artt. 191 e 194 del D.Lgs. n. 267/2000.Da qui, la richiesta di condanna dei convenuti al pagamento, in favore del comune stesso, della somma di euro 2.473,20, oltre rivalutazione monetaria, interessi legali e spese di giustizia. Secondo la ricostruzione dell’accusa, detta somma -pari al 10% dell’importo pagato dal comune a seguito dell’accordo transattivo- rappresentava l’effettivo risparmio di spesa conseguibile laddove fosse stata attivata una valida procedura concorrenziale.Con riferimento alle singole posizioni, al sindaco si è rimproverato di aver agito in prima persona comportandosi come un privato contraente, in spregio alla normativa in tema di contratti passivi della pubblica amministrazione che dettano una precisa cadenza procedimentale; ai consiglieri comunali, invece, è stata eccepita l’illegittimità della condotta consistita nell’aver deliberato il completo riconoscimento del debito fuori bilancio, ritenendo che la prestazione resa dalla cooperativa fosse utile nella sua interezza per l’ente, ancorché non fosse stata individuata in forma scritta e nemmeno adeguatamente pubblicizzata; da ultimo, il segretario comunale e` stato raggiunto dall’addebito di aver espresso parere positivo alla delibera consiliare.

La soluzione

La Corte dei conti, nel pronunciarsi sulla questione, ha ritenuto di dover condannare solamente il sindaco, assolvendo, di contro, tutti gli altri convenuti. Scrutando i vari tasselli della responsabilità amministrativo-contabile, i giudici campani hanno rinvenuto la responsabilità del (solo) primo cittadino, muovendo tanto dall’eziologia delle singole violazioni attribuite ai convenuti, quanto dall’elemento soggettivo soppesato secondo precise scansioni temporali della vicenda. In effetti, l’atteggiamento dei consiglieri e del segretario comunale, pur giudicato dalla stessa Corte ‘‘discutibile e grossolano’’, non è stato tale da assurgere al livello della ‘‘grave colposità’’, sol che si consideri, come acutamente sottolineato nella pronuncia, l’intento ultimo che aveva indotto all’approvazione del debito fuori bilancio: quello, cioè, di comporre una lite provocata dall’iniziativa (tutta arbitraria) del sindaco, incurante dei basilari principi (non solo) di buona amministrazione, come tale ritenuta causativa del danno per il 90% del suo ammontare.

Problemi e prospettive

Diverse le questioni affrontate dalla Corte dei conti con la sentenza in esame. In disparte rimangono le questioni meno spinose, tra le quali si colloca l’individuazione, nel momento del ‘‘pagamento della ditta privata’’, del dies a quo della prescrizione per l’azione di responsabilità amministrativo-contabile, come anche l’indagine in ordine alla violazione della normativa volta all’imposizione degli impegni contabili registrati a fronte di ogni spesa degli enti locali, fatto salvo, ovviamente, il disposto di cui all’art. 194, rimasto comunque inapplicato nel caso di specie. Merita particolare attenzione, invece, il passo motivazionale in ordine al delicato profilo del danno erariale sub specie di ‘‘danno alla concorrenza’’. Se è vero, infatti, che l’acquisizione dei beni e dei servizi da parte degli enti locali è legata a filo doppio con le norme di contabilità che individuano in modo analitico la procedura finanziaria da osservare allorché l’ente decida di procurarsi all’esterno una utilità della quale non dispone, giova ancor prima tenere in debita considerazione il peso specifico che il mancato ricorso alle procedure ad evidenza pubblica può assumere nella genesi del danno erariale.Il principio della concorrenza, come acutamente osservato dalla Corte, ‘‘deve presiedere le scelte dell’Amministrazione aventi ad oggetto qualsiasi commessa pubblica  di lavori, forniture e servizi’’. La lesione dei parametri di imparzialità e buona amministrazione che si ricavano dal principio evocato sono tali da provocare un danno patrimoniale che concorre rectius si abbina, fin da subito, a quello scaturente dalla mera violazione dei canoni giuscontabilistici dovuto ad impegni assunti senza la copertura finanziaria.Ed invero, già in passato (Sez. giur. Lombardia, sentenza n. 447/2006) la giurisprudenza contabile ha sostenuto che la

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normativa in tema di evidenza pubblica, seppur nata al fine di favorire l’economicità dell’azione amministrativa, riducendo gli sprechi della Amministrazione e, quindi, i danni all’erario pubblico, ‘‘ha finito con il diventare modus agendi tipico della pubblica amministrazione, in quanto modalità procedimentale idonea a garantire il perseguimento non solo dei fini di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa, ma altresì quelli di legalità, trasparenza e responsabilità’’. La stessa quantificazione del danno è incentrata, nel caso di specie, sul valore differenziale ricavato dal raffronto della procedura ad evidenza pubblica e l’affidamento diretto, privo dei canoni della concorsualità. Non a caso, è ricorrente nella pronuncia il riferimento al ‘‘risparmio di spesa che si sarebbe conseguito attivando una valida procedura concorsuale’’; risparmio che, nello specifico, in disaccordo rispetto alla prospettazione accusatoria, è stato quantificato nel 5% dell’esborso sostenuto dall’Amministrazione, posto che si trattava di un appalto di fornitura di servizi.La pronuncia, che ben può essere estesa a tutte le Amministrazione soggette all’applicazione del Codice dei contratti pubblici, offre una prospettiva di analisi che, per certi versi, contribuisce ad arretrare la soglia di responsabilità degli amministratori pubblici, specialmente per quelli, quali il sindaco di un comune, che godono di maggiori poteri di iniziativa. Si tratta di capire, tuttavia, entro quali limiti le violazioni della normativa a tutela degli operatori economici possa essere estesa ai consiglieri e al segretario comunale: stando alla sentenza in epigrafe, dette figure parrebbero sollevati da ogni addebito nei limiti in cui abbiano manifestato, perlomeno in principio, un atteggiamento negativo in ordine alle stesse violazioni; e tuttavia non può escludersi un orientamento più rigorista della giurisprudenza, teso a sanzionare ogni forma di sostegno, anche indiretto, di scelte volte ad escludere i principi di imparzialità e trasparenza dell’agere pubblico (Corte dei Conti, Sez. giurisd. Campania, sentenza 31.01.2013 n. 141 - commento tratto da Azienditalia, Enti Locali, n. 5/2013).

ANGELO NICOTRA Il risarcimento del danno nel caso di attività discrezionale: dalla chance al sindacato pieno sul rapporto(commento a CGA, Sez. Giurisdizionale - sentenza 12 dicembre 2013, n. 929)

Il caso.

La sentenza in commento affronta un complesso caso relativo all'appalto del servizio di pulizia del materiale rotabile e degli impianti industriali bandito da Trenitalia s.p.a. e aggiudicato all'impresa La Partenope s.r.l. per i lotti nn. 14 e 28, comprendenti, rispettivamente, i territori regionali della Sicilia e della Toscana.  In relazione a quest'ultimo lotto, la stazione appaltante aveva proceduto a risolvere l'accordo-quadro per mancato inizio dell'attività e la decisione di risoluzione era stata impugnata innanzi al giudice ordinario sostenendosi da parte dell'aggiudicataria che l'inadempimento sarebbe comunque stato giustificabile, in quanto frutto di incongruenze negli atti di gara e di un'agitazione sindacale del personale dell'impresa. Ancorché il contratto relativo alla regione Sicilia non fosse stato ancora stipulato, Trenitalia s.p.a., alla luce della condotta de La Partenope nell'esecuzione dell'appalto in Toscana, provvedeva a revocare l'aggiudicazione definitiva per il lotto Sicilia, sulla scorta dell'art. 38, c. 1, lett. f), d.lgs. 13 aprile 2006, n. 163. Come ricostruito dal giudice di secondo grado nella sentenza in commento, la revoca in autotutela, proprio in quanto l'appalto non aveva ancora trovato esecuzione, non può essere riferita alla prima causa di esclusione prevista nella citata lett. f), art. 38, ovvero “che, secondo motivata valutazione della stazione appaltante, hanno commesso grave negligenza o malafede nell'esecuzione delle prestazioni affidate dalla stazione appaltante che bandisce la gara”. Al contrario, si deve ritenere che essa si fondi sul fatto che l'impresa aggiudicataria, in relazione al lotto Toscana, avrebbe commesso un errore grave nell'esercizio dell'attività professionale, ovvero che trovi giustificazione nella seconda ipotesi di esclusione prevista dall'art. 38, lett. f) cit.

L'appello che si svolge innanzi al Consiglio palermitano ha ad oggetto una controversa esclusivamente risarcitoria, in quanto, nel mentre dello svolgimento del processo, la stazione appaltante aveva deciso di indire una nuova gara europea per l'assegnazione del servizio manutentivo in un unico lotto per tutto il territorio nazionale: la nuova procedura si era integralmente svolta concludendosi con l'aggiudicazione in favore di impresa diversa dall'appellante in data 8 maggio 2012, ma la ricorrente non aveva ritenuto di impugnare il provvedimento terminativo della nuova

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gara. Ciò, se da un lato esclude l'interesse all'impugnazione per l'annullamento, in quanto comunque l'impugnate non potrebbe riottenere l'aggiudicazione dell'appalto originariamente vinto, non esclude l'interesse al risarcimento del danno in caso di illegittimità dell'atto di revoca: il Collegio fa quindi applicazione dell'art. 34, c. 3, c.p.a.

Il percorso logico che la sentenza segue per riconoscere il risarcimento del danno all'appellante può essere riassunto in poche battute. Il provvedimento gravato, in quanto esercizio di autotutela, è frutto di discrezionalità mista, in quanto tale, per quel che attiene alle valutazioni di merito esclusivamente riservate all'amministrazione, insindacabile in sede giurisdizionale. Il presupposto su cui avrebbe dovuto esercitarsi la discrezionalità è il grave errore dell'appaltatore, che effettivamente esiste e ha rappresentato la causa della risoluzione del rapporto relativo al lotto Toscana, indipendentemente dall'addebitabilità di quella condotta, oggetto di un diverso giudizio innanzi al G.O.. Esistendo il presupposto materiale della valutazione discrezionale, assunto che il concreto esercizio di quest'ultima non è sindacabile, non può argomentarsi un eccesso di potere nella forma del travisamento dei fatti, come invece ha argomentato l'appellante. D'altro canto, sussiste  l'illegittimità dell'atto gravato in quanto la stazione appaltante non ha provveduto a comunicare l'avvio del procedimento di revoca, come invece impone la giurisprudenza unanime, attesa l'autonomia del procedimento di secondo grado. Né il vizio riscontrato può essere ritenuto non invalidante alla luce dell'art. 21octies, l. 7 agosto 1990, n. 241, atteso che l'amministrazione non ha indicato in giudizio le ragioni che avrebbero imposto la revoca anche ove il privato avesse partecipato al procedimento. Vista la natura discrezionale dell'atto, ove La Partenope fosse stata avvisata del procedimento non è certo avrebbe mantenuto l'aggiudicazione, quindi non si può sciogliere in termini positivi la prognosi sulla sicura spettanza del bene della vita che è richiesta affinché possa esserci il pieno risarcimento. L'eventuale partecipazione, quindi, avrebbe potuto dare solo una mera chance di mantenere l'utilità agognata; chance, che, in mancanza di specifiche allegazioni probatorie delle parti, viene stimata in via equitativa pari al 50%. Non può quindi farsi riferimento alla liquidazione forfettaria del 10% dell'importo a base d'asta, come si farebbe usualmente in caso di mancata aggiudicazione. Conseguentemente, il risarcimento deve essere limitato al 50 % dell'utile, al netto del ribasso di gara, ovvero il 50 % dell'1,90 % dell'importo a base d'asta, come indicato negli atti di gara.

Il risarcimento degli interessi legittimi oppositivi.

Come noto, a seguito della sentenza della Corte di Cassazione, SS.UU., 22 luglio 1999, n. 500, è stata finalmente ammessa in linea teorica la risarcibilità dell'interesse legittimo, anche pretensivo. Più correttamente, la pronuncia ha riconosciuto, a base dell'interesse, la tensione verso un bene della vita [1]; quindi, l'illegittimità del provvedimento, in via immediata, lede la pretesa del singolo ad un'azione pubblica legittima, in cui si sostanzia l'interesse legittimo e che viene soddisfatta con il mero annullamento; in via mediata, frustra, in maniera più o meno definitiva, il raggiungimento dell'utilità finale, che risulta protetto da norme diverse da quelle che disciplinano l'attività amministrativa (id est norme di relazione) [2]. La tecnica di ristoro di quest'ultimo pregiudizio è il risarcimento del danno, per ottenere il quale, nel caso di interessi pretensivi, il giudice deve valutare secondo una prognosi postuma ex ante il sicuro ottenimento del bene denegato, ove la P.A. avesse correttamente agito. Al contrario, secondo la Cassazione, per quel che attiene gli interessi oppositivi, assunto che l'utilità, illegittimamente sottratta dall'amministrazione, era già nel patrimonio del danneggiato non è necessario un giudizio prognostico, ma la mera verifica dell'illegittimità e del nesso causale con il danno. Quindi, nell'applicare il modulo dell'art. 2043 c.c., secondo la sentenza del 1999, ciò che muta nelle due diverse ipotesi è la ricostruzione del nesso causale [3]: nel caso di interessi oppositivi, è sufficiente l'ordinario giudizio condizionalistico secondo il modello dell'art. 40 c.p., temperato dal criterio del “più probabile che non” [4]; nel caso di interessi pretensivi, oltre il giudizio condizionalistico, è necessario un successivo giudizio ipotetico, come, in sede penale, avverrebbe per l'attribuzione dei reati omissivi. Infine, in entrambe le ipotesi, indagata nelle forme appena descritte la cd. causalità materiale, è altresì necessario indagare la causalità giuridica al fine di individuare, secondo il criterio della regolarità causale, quali danni siano conseguenza immediata e diretta dell'illecito e, quindi, risarcibili, e quali, invece, avrebbero potuto evitarsi con una diligente condotta del danneggiato, quindi irrisarcibili (cfr. artt. 1223 e1227, c. 2, c.c.) [5].

La diversa ricostruzione della struttura del nesso causale a seconda della natura dell'interesse

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leso è stata oggetto di forti critiche da parte della dottrina già all'indomani della storica pronuncia [6].

Infatti, si è stigmatizzato lo strano “sdoppiamento” della figura dell'interesse legittimo [7], cui la pronuncia non sembrava riconoscere reale sostanza di autonoma posizione giuridica sostanziale ma vedeva ancora come pretesa alla legalità dell'azione amministrativa, occasionalmente e strumentalmente protetta. Solo la recente decisione del Consiglio di Stato, A.P., 23 marzo 2011, n. 3, ha riconosciuto  che il risarcimento danni non va collegato alla lesione di un diverso interesse al bene della vita, ma alla vulnerazione dell'interesse legittimo in quanto tale, ricostruito come interesse ad un bene della vita, attribuente facoltà e poteri di azione e di partecipazione nell'attività dell'amministrazione [8].

D'altro canto, seguendo l'impostazione della Cass. n. 500/99, è stato messo fin da subito in evidenza un rischio di iper-protezione per gli interessi oppositivi, i quali, se lesi da provvedimenti illegittimi solo sotto il profilo formale, potrebbero essere stati comunque legittimamente compressi dall'amministrazione talché, in qualsiasi momento quest'ultima potrebbe confermare le proprie statuizioni. In casi siffatti, a seguito dell'annullamento dell'atto, non può argomentarsi la stabile riattribuzione del bene della vita illegittimamente sottratto, conseguentemente non potrebbe riconoscersi il risarcimento del danno [9].

Per “correggersi” quest'ultima stortura, si è proposto che non sia sufficiente la verifica dell'illegittimità dell'atto, come sembra adombrare la Cassazione, ma si debba distinguere tra vizi formali e vizi sostanziali. Secondo questa prospettazione, solo nel caso di vizi del secondo tipo si potrebbe dare il risarcimento del danno. Questa tesi, a seguito della l. 11 febbraio 2005, n. 15, trova un chiaro appiglio nel nuovo art. 21octies, l. n. 241/90, ove si consente, secondo la maggioritaria ricostruzione di dottrina e di giurisprudenza, l'indagine sulla fondatezza del rapporto amministrativo, permettendo di non annullare, ove il provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, ancorché formalmente illegittimo [10].

Anche in relazione a questa ricostruzione non sono mancate critiche. Infatti, è pacifico che l'indagine in merito al rapporto è consentita al giudice solo nei limiti in cui non residuino margini di discrezionalità in capo all'amministrazione e, ciò, oggi è testimoniato dall'art. 31, c. 3, c.p.a., che reca specifici limiti all'azione avverso il silenzio e, attraverso l'art. 34, c. 1, lett. c), ultimo periodo, anche all'azione di condanna al rilascio di un provvedimento specifico. Se ne deduce che, in caso di provvedimenti discrezionali puri o misti (per la parte relativa all'esercizio della discrezionalità amministrativa), il giudice non potrebbe indagare la fondatezza del rapporto, quindi non potrebbe discernere se, annullato il provvedimento affetto da illegittimità formale, l'amministrazione potrebbe adottare un diverso atto dal medesimo contenuto sostanziale. Analoga situazione si verificherebbe in relazione alle ipotesi di discrezionalità tecnica o mista (per la parte relativa alle valutazioni tecniche) ove residuassero in capo all'amministrazione adempimenti istruttori che debbano essere compiuti esclusivamente da quest'ultima (art. 31 c.p.a.). In casi siffatti, in cui, per tutelare la riserva di amministrazione, il giudice non potrebbe indagare la spettanza del bene della vita, non sarebbe corretto ammettere il risarcimento integrale delle pretese del privato, il quale ad esito del riesercizio del potere, dopo l'annullamento per vizio formale, potrebbe sia mantenere il proprio diritto sia perderlo, in entrambi i casi, in maniera legittima [11].

Qui si collocano due diversi filone dottrinari e giurisprudenziali.

Il primo, più remoto, ritiene che, nei casi di discrezionalità amministrativa, il risarcimento sia precluso al giudice amministrativo, che potrà acconsentirlo solo se e nei limiti in cui l'amministrazione, nel riesercizio dei propri poteri, riconosca, in maniera stabile, l'utilità illegittimamente sottratta al privato [12]. In questi termini, quindi, il danneggiato sarebbe necessariamente costretto ad adire il giudice due volte, dissociando la tutela demolitoria da quella risarcitoria. D'altro canto, l'amministrazione sarebbe messa nelle condizioni di poter riesercitare il proprio potere speciosamente al fine di impedire il sorgere della propria responsabilità, venendo inesorabilmente spinta a confermare sempre i propri provvedimenti illegittimi solo formalmente. Infine, ove anche si riconoscesse il risarcimento del danno, questo sarebbe inevitabilmente più esoso per le casse pubbliche, in quanto dovrebbe ristorare anche il ritardo nell'ottenimento del bene della vita, cui si avrebbe avuto diritto fin dal primo provvedimento, poi annullato. Se, poi, il bene della

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vita non fosse più perseguibile o non interessasse più al privato conseguirlo, l'Amministrazione sarebbe comunque costretta a procedere per esitare un provvedimento esclusivamente “virtuale”, inutile o ineseguibile.

La giurisprudenza più recente e la dottrina [13], al contrario, hanno ritenuto di poter importare la tecnica del risarcimento della chance, cercando di formulare un giudizio prognostico sulla possibilità che l'utilità illegittimamente sottratta venga o meno a stabilizzarsi in capo al privato. La sentenza in commento può essere riconosciuta come una delle prime che vi aderisce con riguardo al ristoro degli interessi oppositivi, nei fatti introducendo il concetto di “chance oppositiva”.

Difficoltà nella prova del danno e il risarcimento della chance.

Fino ad ora, la chance è stata tecnica risarcitoria che, in ambito amministrativistico e, in particolare, con riguardo alle gare di appalto, ha trovato applicazione solo in relazione agli interessi pretensivi nelle ipotesi in cui il giudice non sia nelle condizione di potere procedere con certezza a riconoscere la spettanza dell'aggiudicazione finale. Così, in ipotesi, annullata l'illegittima esclusione dalla procedura, non potendosi ripetere nel processo le valutazioni proprie del seggio di gara, l'orientamento giurisprudenziale maggioritario è solito risarcire la possibilità in sé di partecipare, di poter concorrere; possibilità, che era già nel patrimonio del partecipante e che l'illegittima esclusione gli ha sottratto [14].

Più in generale, considerando anche gli approdi cui sono giunte la dottrina e la giurisprudenza in ambito civilistico, per chance si deve intendere la situazione teleologicamente orientata verso il conseguimento di un'utilità o di un vantaggio e caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza [15]. Se però sul concetto non esistono reali incertezze, maggiori divisioni si riscontrano sulla ricostruzione dell'istituto e sulla sua concreta applicazione [16]. In special modo, per un primo filone, la chance non sarebbe risarcibile, atteso che, in ogni caso, il codice richiede che siano ristorabili solo i pregiudizi che rappresentano conseguenza certa, immediata e diretta dell'azione illecita, sia per quel che attiene il danno emergente che il lucro cessante (v. art 1223 c.c.). Questa tesi, che negli anni '70 accomunava la dottrina più tradizionalista, oggi non trova più alcun concreto spazio [17].

Un secondo filone ritiene, invece, che la chance sia risarcibile come forma di lucro cessante, dal quale si differenzierebbe solo per l'incertezza della sua concretizzazione. Sotto questo riguardo, quindi, attraverso questa tecnica risarcitoria si darebbe ristoro a futuri introiti non certi ma il cui collegamento causale con l'illecito può avvenire solo in termini probabilistici, semplificandosi la prova sul nesso eziologico. In ogni caso, si dovrebbe accertare un sufficiente grado di probabilità di verificazione dell'evento favorevole, di solito individuato nella soglia del 50% + 1 delle possibilità. Secondo una terza ricostruzione, invece, la chance avrebbe una propria consistenza ontologica, sarebbe, quindi, un'utilità autonoma, già presente nel patrimonio del danneggiato e la cui perdita è da ascrivere nell'alveo del danno emergente. Seguendo questa impostazione, non v'è alcuna deviazione dalle regole causali ordinarie ma muta il secondo termine del nesso condizionalistico che è individuato, non nell'utilità massima finale (di incerta realizzazione), ma nella possibilità di conseguire quest'ultima, certamente presente nel patrimonio prima dell'evento lesivo, e di cui è necessario accertare la perdita proprio in esito a quest'ultimo. L'approccio ontologico alla chance non richiede la verifica di una consistente probabilità di avveramento dell'evento favorevole ma consente il ristoro anche di minime possibilità di riuscita [18].

I due filoni da ultimo indicati hanno conseguenze pratiche notevolmente diverse: quello “eziologico” attribuisce l'interezza del risarcimento danni per il lucro cessante sperato ove si verifichi che, in caso di condotta alternativa lecita, vi sarebbe stata una notevole probabilità di conseguirlo, comunque superiore al 50% + 1; quello “ontologico” riduce il risarcimento nella misura pari alle effettive possibilità di ottenere il bene agognato, qualsiasi sia detta possibilità (così, per es. attribuendo anche solo il 5% dell'utilità sperata).

Le due posizione non sono però inconciliabili e trovano bene una loro sintesi se si prova a coniugarle con gli imprescindibili riferimenti normativi. Oggi dottrina e giurisprudenza  riconoscono alla chance una valenza ontologica autonoma, in quanto la posizione eziologica sembra essere difficilmente compatibile con il requisito della certezza del danno richiesto dall'art. 1223 c.c. che non

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ammette valutazioni del nesso causale in termini solo probabilistici. D'altro canto, esigenze di contenimento dei giudizi risarcitori, spingono la giurisprudenza a concedere ristoro solo a quelle probabilità di vincita che siano consistenti, superiori al 50%, ammettendosi comunque una valutazione equitativa, in caso di difetto di prova [19]. In ogni caso, è innegabile che l'introduzione della tecnica risarcitoria della chance è essenzialmente dovuta alla necessità di colmare difficoltà probatorie sul certo raggiungimento dell'utilità sperata [20].

La medesima esigenza, tuttavia, viene soddisfatta da altra parte della giurisprudenza attraverso il ricorso a diversi modelli di responsabilità, diversi da quello aquiliano. Nella specie, facendo riferimento alla responsabilità da contatto sociale qualificato si consente che, in presenza di un'illegittimità esclusivamente procedimentale, venga riconosciuto l'interezza del risarcimento del danno per il cd. interesse negativo. Ciò in quanto, in questo modello, ciò che trova ristoro, non è la perdita di un'utilità già acquisita o di certa futura acquisizione, di cui è necessario fornire la prova, ma l'affidamento riposto nella correttezza della procedura, talché è sufficiente accertare l'illegittimità [21]. D'altro canto, il caso sottoposto all'attenzione del Consiglio di Giustizia amministrativa avrebbe potuto trovare risoluzione anche tramite l'applicazione del paradigma della responsabilità precontrattuale che è stata riconosciuta dalla giurisprudenza in caso di illegittimo annullamento in autotutela dell'aggiudicazione definitiva [22].

Ragioni della potenziale sindacabilità della discrezionalità amministrativa nei giudizi esclusivamente risarcitori.

Ad esito di questa breve ricostruzione dell'attuale panorama giurisprudenziale, si comprende facilmente che la sentenza in commento, nel riconoscere il risarcimento danni per la perdita di chance a fronte di un potere discrezionale, si iscrive nel filone più avanzato, che cerca di coniugare il principio dell'intangibilità delle scelte di merito con l'esigenza di tutela piena del privato.

Tuttavia, appare che sia giunto il momento di chiedersi quali siano le ragioni sistematiche che possono giustificare la permanenza del “totem giuridico” dell'intangibilità delle scelte discrezionali. Come noto, a partire dalla nota sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601 [23], la giurisprudenza si è attestata su una posizione più garantista per il cittadino e ha definitivamente scisso la figura della discrezionalità amministrativa da quella della discrezionalità tecnica. La prima frutto di canoni non giuridici di opportunità e prudente amministrazione, si condensa nella scelta tra più comportamenti giuridicamente leciti sulla scorta della comparazione fra l'interesse pubblico principale e quelli secondari o quelli dei privati. Essa, non corrispondendo all'applicazione di canoni legali, è insindacabile da parte del giudice amministrativo che ne può conoscere solo dall'esterno, attraverso la figura dell'eccesso di potere. La discrezionalità tecnica, al contrario, si sostanzia di quelle valutazioni che l'amministrazione può compiere sulla scorta dei canoni di scienze non esatte e che, in quanto tali, possono essere sottoposte a sindacato da parte del giudice, attraverso il consulente tecnico[24]. Il sindacato consentito, se non è più limitato al vizio di eccesso di potere (come avveniva quando la discrezionalità tecnica era acriticamente ricondotta nell'ambito del merito [25]), non può consistere in un giudizio intrinseco di tipo forte, ovvero sostitutivo della valutazione dell'amministrazione con quella del giudice, dovendosi limitare ad un giudizio intrinseco di tipo debole, ovvero che verifichi le scelte compiute alla luce delle migliori acquisizioni del sapere scientifico, delimitando il campo delle scelte, tutte tecnicamente valide ed alternative [26].

Riassunto in queste poche battute il quadro, ormai consolidato, dei poteri consentiti al G.A., se si volesse rintracciare il fondamento dell'insindacabilità della discrezionalità amministrativa in letteratura, possono essere ricostruiti essenzialmente quattro filoni [27].

E' fuori di dubbio che le sue origini sono nella tutela della divisione dei poteri, ma questa giustificazione storica suona abbastanza inattuale, se si pone mente al fatto che la nostra Costituzione non recepisce la teoria della divisione dei poteri nella rigida formulazione di Montesquieu e Kant; oggi, infatti, la dottrina preferisce discorrere di teoria formal-sostanziale della divisione dei poteri [28].

La seconda tesi, di matrice schiettamente liberale, sulla scorta di una visione panprivatistica assimilava la discrezionalità dell'amministrazione alla discrezionalità del privato. Quindi, la libertà riconosciuta alla P.A. per la migliore cura dell'interesse pubblico aveva la medesima sostanza di

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quella riconosciuta al cittadino per la cura dei propri interessi e, conseguentemente, così come si escludeva un sindacato giudiziario sull'equilibrio contrattuale e sulla causa, parimenti la tesi in questione finiva per respingere il sindacato sul merito amministrativo. Evidentemente si tratta di una visione anch'essa ormai del tutto inattuale: da un lato, in quanto essa nega l'autonomia e la specialità del diritto pubblico e delle categorie che lo governano; dall'altro, in quanto, anche sotto il profilo privatistico, la giurisprudenza più recente rifiuta la tesi dell'incensurabilità delle scelte compiute dai privati, ritenute ormai scrutinabili alla luce dei principi generali di buona fede e di correttezza [29].

La terza tesi (Giannini) da una giustificazione più empirica al principio dell'insindacabilità del merito: i canoni di opportunità e buona amministrazione sono regole extralegali, quindi inapplicabili da parte di un giudice come quello amministrativo cui è permesso solo un giudizio di legittimità [30]. La tesi, se reca un argomento di fondo vero, non può essere ritenuta esaustiva: da un lato, la nuova formulazione dell'art. 1, l. n. 241/90, potrebbe fornire una base legale ad un sindacato più approfondito; dall'altro, le regole di buona amministrazione, di economicità, ecc. sono oggi ampiamente codificate, potendo essere considerate saperi scientifici e, quindi, potenziale parametro di giudizio, come avviene per la discrezionalità tecnica.

Una quarta linea di pensiero, che si potrebbe definire teleologica, giustifica l'insindacabilità come volta essenzialmente a preservare il riesercizio del potere amministrativo. In altri termini, il merito sarebbe un limite non tanto alla cognizione dell'attività già compiuta dalla P.A., ma all'effetto conformativo del giudicato.

L'impostazione aveva, nel vigore del R.D. n. 1054/24, un chiaro (anche se generico) punto di riferimento nell'art. 45; oggi, può trovare base nel combinato disposto degl'artt. 31, c. 3; 34, c. 1, lett. c); 34, c. 2, c.p.a.. Le tre disposizioni chiariscono che i limiti al sindacato del giudice sono fondamentalmente rivolti pro futurum: quindi, tanto nel giudizio sul silenzio, quanto in quello di esatto adempimento, il giudice può conoscere solo dei vizi dell'atto che corrispondono ad attività vincolate o rispetto alle quali non residuino ulteriori margini di discrezionalità o non siano necessari adempimenti istruttori che debbano essere compiuti dall'amministrazione, in quanto, altresì, finirebbe per orientare poteri amministrativi non ancora esercitati. Atteso che oggi solo nell'ambito del giudizio demolitorio può essere formulata la domanda di esatto adempimento, questi limiti si deve ritenere valgano anche per la cognizione in sede di annullamento, in quanto, altresì, l'effetto conformativo del giudicato potrebbe vincolare le future scelte di merito dell'Amministrazione. Seguendo questa impostazione, alla luce della nuova codificazione, la possibilità di sindacato intrinseco debole sulla discrezionalità tecnica non apparirebbe affatto eccezionale rispetto a quanto si fa con riguardo alla discrezionalità amministrativa, in quanto il dettato normativo impedisce al giudice di sostituirsi, tanto negli adempimenti istruttori di necessaria competenza dell'amministrazione, quanto nelle scelte frutto di discrezionalità amministrativa. In ultima analisi, sia per la discrezionalità tecnica che per quella amministrativa, il limite dell'insindacabilità potrebbe essere tradotto con la formula dell'impossibilità di un sindacato sostitutivo.

Sulla scorta di queste considerazioni, è legittimo chiedersi se, in un'ottica di tutela piena del cittadino, non possa essere superato anche lo schermo del merito in tutte quelle ipotesi in cui non vi sia riesercizio del potere, ma si tratti (come nel caso di specie) di una controversia esclusivamente risarcitoria, in cui, quindi, sia sotto giudizio un'azione amministrativa ormai conclusa e che ha dispiegato pienamente tutti i suoi effetti lesivi. In casi siffatti, sebbene sia lodevole il tentativo compiuto dalla decisione in commento di spingere al massimo consentito la tutela del privato attraverso la tecnica della chance, forse sarebbe opportuno abbattere direttamente il totem, ritenendo che, sul rapporto amministrativo, il giudice non incontri più limiti, potendo anche ricostruire, ora per allora, come avrebbe potuto essere correttamente usata la discrezionalità amministrativa e, quindi, se il cittadino avrebbe avuto pienamente diritto ad ottenere o mantenere l'utilità agognata [31].

Diversi possono essere gli argomenti a sostegno di una posizione innovativa come quella ora abbozzata.

Innanzitutto, i limiti di cui all'art. 31, c. 3, c.p.a. non sembrano validi anche per l'azione risarcitoria pura, atteso che, da un lato, l'art. 34, c. 1, lett. c), li riferisce solo all'azione di condanna all'adozione di un provvedimento specifico, d'altro canto, l'art. 30 c.p.a. non fa rinvio all'art. 31.

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Parallelamente, l'art. 124 c.p.a. chiarisce, che, ove non sia possibile la tutela in forma specifica attraverso la dichiarazione di inefficacia del contratto e l'ottenimento dell'aggiudicazione, il giudice «dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato» e, senza dubbio, è astrattamente dimostrabile il non corretto esercizio della discrezionalità, ovvero che, facendo applicazione di certi riconosciuti criteri di buona amministrazione, la scelta opportuna sarebbe stata una sola, diversa da quella operata dall'amministrazione e idonea ad attribuire il bene della vita. D'altro canto, se, sulla scorta dello stesso art. 124, si riconosce (come fa una parte della giurisprudenza) al giudice il potere di compiere le valutazioni tecnico discrezionali riservate al seggio di gara al fine di assegnare la tutela in forma specifica, ovvero di attribuire l'appalto al ricorrente vincitore, lo stesso potere di sindacato deve essere riconosciuto al giudice al fine di somministrare la tutela per equivalente.

Inoltre, atteso che, attraverso l'art. 21octies, l. n. 241/90, è possibile l'indagine del rapporto amministrativo, è facile dedurre che l'illegittimità dell'atto che il giudice può accertare a soli fini risarcitori, ex art. 34, c. 3, c.p.a., è l'illegittimità sostanziale, la cui piena cognizione non può prescindere dalla valutazione del merito (in mancanza di diversi limiti positivi).

Né si potrebbe replicare che, così facendo si finirebbe per ammettere un'illimitata e trasversale giurisdizione di merito, atteso che quest'ultima postula strutturalmente che la sentenza limiti o addirittura sostituisca il provvedimento dell'amministrazione (vd. art. 34, c. 1. lett. d) c.p.a.), laddove in una controversia risarcitoria pura, al più, il giudice potrebbe attribuire per equivalente l'utilità sperata, come parte del risarcimento.

Sul piano sistematico, a sostegno della tesi qui avanzata potrebbe essere svolta un'ulteriore considerazione attinente all'ampiezza dei poteri risarcitori riconosciuti al G.A e al G.O.. Non è questa la sede per ripercorrere la complessa questione relativa alla natura della posizione giuridica fatta valere con il risarcimento [32], tuttavia se si escludesse la possibilità di sindacato del GA sulle scelte discrezionali dell'amministrazione si creerebbe un'ingiustificabile disparità rispetto alla tutela risarcitoria che può riconoscere il G.O., cui è data la possibilità di giudicare del corretto esercizio delle scelte discrezionali dei privati (o della P.A. agente jure privatorum) che godano di una potestà, attraverso i canoni della buona fede e della correttezza. La disparità in questione potrebbe essere costituzionalmente giustificabile ove volta a preservare, nell'ottica della divisione delle funzioni, il futuro nuovo esercizio del potere amministrativo, ma, in relazione a decisioni ormai compiute che hanno prodotto tutte le proprie conseguenze, l'insindacabilità dell'azione amministrativa a fini risarcitori assume la forma di un vetusto privilegio. In altri termini, la discrasia in questione si traduce in una difettosa applicazione del principio di integralità del risarcimento da parte del giudice amministrativo [33].

Sempre sul piano sistematico, per contrastare la tesi che qui si propugna, si potrebbe obiettare che, in realtà, non esistono giudizi solo risarcitori, in quanto rimarrebbe sempre in capo all'amministrazione il potere di autotutela, il quale, si potrebbe argomentare, potrebbe addirittura divenire dovuto al fine di eliminare la lesione, ove il giudice la accerti, per impedire il prodursi di maggiori oneri finanziari [34]. Tuttavia, se, nel caso sottoposto all'attenzione del C.G.A., l'amministrazione revocasse la nuova gara vinta da un soggetto diverso dall'appellante, si esporrebbe all'obbligo di indennizzare il nuovo aggiudicatario e, in ogni caso, non eliminerebbe la lesione comunque prodottasi in capo all'appellante per il passato. L'autotutela, quindi, in questo, come in casi consimili di controversie esclusivamente risarcitorie, non sarebbe una strada conveniente e, ben che meno, dovuta.

Sul piano processuale, non sembra poter rappresentare una valida obiezione alla tesi che qui si avanza l'idea per cui il giudice amministrativo non avrebbe gli strumenti per poter svolgere nel processo le considerazioni complesse proprie delle valutazioni discrezionali. Gli strumenti che permettono l'indagine del rapporto sono già tutti nell'armamentario del giudice a partire dalla l. n. 205/00: la consulenza tecnica, l'integrabilità della motivazione in giudizio, i motivi aggiunti. Quanto all'integrabilità della motivazione, se è vero che la giurisprudenza assolutamente maggioritaria ne esclude l'ammissibilità (per es. in tema di riedizione virtuale della gara d'appalto [35]), la dottrina la ammette da tempo [36]. Attraverso questi mezzi, quindi, possono agilmente essere immessi e valutati nel processo tutti gli elementi probatori che potrebbero essere utili al G.A. per giudicare la

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correttezza sostanziale delle scelte compiute dall'amministrazione.

Proprio sotto il profilo probatorio, ai fini della concreta applicazione della tesi propugnata da chi scrive, giova molto l'elaborazione dottrinaria in merito all'applicazione dell'art. 21octies, c. 2, secondo periodo, l. n. 241/90. In particolare, quanto al riparto dell'onere della prova sulla concreta ininfluenza dell'apporto procedimentale del privato, ove anche questi fosse stato messo nelle condizioni di partecipare, si rinvengono due orientamenti.

Secondo il primo, il rigido tenore letterale della disposizione imporrebbe di concludere che sia l'amministrazione a dover provare che qualsiasi elemento probatorio che il cittadino avrebbe mai potuto riversare nel procedimento sarebbe stato comunque ragionevolmente inutile e che, quindi, il contenuto del provvedimento impugnato nel concreto non avrebbe potuto essere diverso.

Altra parte della dottrina evidenzia che l'onere imposto all'amministrazione di dimostrare che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso, affinché non si riduca ad una probatio diabolica, è necessario che sia accompagnato, in attuazione del principio di vicinanza della prova, da un corrispettivo onere in capo al privato di indicare gli elementi istruttori che avrebbe prodotto nel caso in cui fosse stato messo nelle condizioni di prendere parte al procedimento. Quindi, dovrebbe essere in concreto in relazione a questi elementi allegati dal ricorrente che si modellerebbe l'onere probatorio dell'amministrazione e, d'altro canto, la ripetizione virtuale del procedimento nel giudizio [37].

Seguendo questa seconda posizione, per il vero più ragionevole a parere di chi scrive, è legittimo chiedersi cosa accadrebbe se il privato non allegasse gli elementi che avrebbe prodotto nel procedimento ove fosse stato messo nelle condizioni di parteciparvi. Il mancato rispetto dell'onere di allegazione in capo al privato interdirrebbe al giudice di conoscere il rapporto e, quindi, alla P.A. di poter impedire l'annullamento dell'atto formalmente illegittimo. In altri termini, la scorrettezza del privato potrebbe paralizzare l'applicazione della legge e costringere l'amministrazione a ripetere il procedimento, ancorché la soluzione conclusiva non potrebbe essere diversa: ciò è inaccettabile. Correttamente, quindi, una certa giurisprudenza ha sostenuto che, in difetto dell'adempimento dell'onere di allegazione da parte del ricorrente, il ricorso per l'annullamento dell'atto, non preceduto da comunicazione di avvio del procedimento, non potrebbe essere accolto. Ciò, sul piano risarcitorio, vista l'impossibilità di accertare la fondatezza della pretesa sostanziale e la correttezza del provvedimento nel merito, imporrebbe il rigetto della domanda di ristoro patrimoniale, sia se formulata in via autonoma che congiunta a quella di annullamento.

Al contrario, ove gli oneri probatori fossero correttamente adempiuti da entrambe le parti, ma, comunque, fossero insufficienti per poter definire con certezze se il privato avrebbe ottenuto o mantenuto l'utilità sperata ovvero, in altri termini, se il provvedimento sia o meno corretto nel merito, l'annullamento, vista l'illegittimità formale, non potrebbe essere evitato, ma il risarcimento potrebbe avvenire solo nella forma della chance, salvo che non venga fatta valere solo la responsabilità da contatto sociale qualificato. Quindi, si deve concludere che, sostenere la possibilità di sindacare la discrezionalità amministrativa nell'ambito dei giudizi risarcitori puri, non implica il definitivo abbandono del paradigma della chance, ma, semplicemente, il suo naturale confinamento negli stessi spazi in cui è impiegato da parte del G.O., ovvero quando, in via prognostica, non venga raggiunta la piena prova sulla spettanza del bene precluso o sottratto dal comportamento illegittimo.

Una conclusione alternativa per il caso concreto.

Sulla scorta di queste premesse teoriche, si può individuare quale sarebbe stata la conclusione cui sarebbe giunto, nel caso concreto, il Giudicante, ove avesse fatto propria la tesi qui propugnata. La società ricorrente ha richiesto la condanna della stazione appaltante al risarcimento del danno per la mancata stipula del contratto, indicato, a titolo di lucro cessante, nella misura del 10% della propria offerta e, a titolo di danno curriculare, fra l’1% e il 5% dell’importo globale da aggiudicare. Non essendo certo né che l’aggiudicazione sarebbe stata revocata né che la stessa sarebbe stata mantenuta, ove ci fosse stata la dovuta comunicazione di avvio del procedimento, si è dato ingresso alla tecnica del risarcimento della chance; ma, non essendo stati prodotti elementi in giudizio per permettere al Giudicante di valutare la correttezza sostanziale del provvedimento impugnato, questi è stato costretto a quantificare in via equitativa le chance di mantenere l'aggiudicazione nella misura

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del 50%. Al contrario, sulla scorta delle coordinate teoriche prima enunciate, il mancato adempimento dell'onere probatorio in relazione al contributo procedimentale, che la ricorrente avrebbe offerto nel caso in cui fosse stata posta di partecipare, avrebbe potuto essere sanzionato da parte del Consiglio con il rigetto integrale della domanda risarcitoria, nonostante l'accertata illegittimità formale del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione.

D'altro canto, anche i precedenti giurisprudenziali in tema di risarcimento della chance sono molto rigorosi e impongono, in applicazione del principio dispositivo, che il creditore che voglia ottenere i danni derivanti dalla perdita di chance ha l'onere di provare, pur se solo in modo presuntivo o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita. [38] Quindi, anche non ammettendosi la possibilità di un sindacato sostitutivo sulla discrezionalità amministrativa nei giudizi risarcitori puri (come si  ipotizza in questo commento), il mancato adempimento dell'onere probatorio in questione ben avrebbe legittimato il Giudice nel caso qui analizzato a rigettare la domanda risarcitoria. Non può non sottolinearsi che un'eventuale eccessiva dilatazione dell'uso della valutazione equitativa della perdita di chance, pur a fronte di carenze probatorie di parte, potrebbe nei fatti trasformare il risarcimento del danno in un equitativo indennizzo per l'omessa comunicazione di avvio del procedimento, il che finirebbe per sanzionare l'illegittimità procedimentale indipendentemente da un concreto pregiudizio, fuoriuscendo dal paradigma della responsabilità extracontrattuale.

 

[1]    Si legge nella storica pronuncia delle Sezioni Unite: «quali siano gli interessi meritevoli di tutela non è possibile stabilirlo a priori: caratteristica del fatto illecito delineato dall'art. 2043 c.c. inteso come norma primaria di protezione è la sua atipicità. Compito del giudice, chiamato ad attuare la tutela dell'art. 2043, è quindi quello di procedere ad una selezione degli interessi giuridicamente rilevanti»; «potrà pervenirsi a risarcimento soltanto se l'attività illegittima della pubblica amministrazione abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto, effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua dell'ordinamento. In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo è condizione necessaria ma non sufficiente, per accedere alla tutela risarcitoria, poiché occorre altresì che risulti leso per effetto dell'attività illegittima e colpevole della P.A. l'interesse al bene della vita». Vd. G. Abbamonte- R Laschena, Giustizia amministrativa, in G. Santaniello (diretto da), Trattato di Diritto amministrativo, XX, Padova, 2001, 112.

[2]    E. Casetta, Responsabilità della Pubblica Amministrazione, Digesto delle discipline pubblicistiche, XIII, Torino, 1997, 219.

[3]    Secondo F. G. Scoca, Risarcibilità e interessi legittimi, Diritto Pubblico, 2000, 37, «la Cassazione finisce per far dipendere il danno da aspettative o diritti futuri, mentre il risarcimento prescinde da giudizi prognostici, poiché esso si fonda su fatti già avvenuti»; in realtà, coglie nel segno il pensiero dei giudici della Suprema Corte, F. Trimarchi Banfi, L'ingiustizia del danno da lesione di interessi legittimi, Diritto processuale amministrativo, 2001, 633, per il quale «il giudizio prognostico cui si riferisce la Cassazione è giudizio che attiene, non ad un evento futuro, ma al nesso di causalità tra il vizio che inficia il provvedimento ed il contenuto del provvedimento stesso». Cons. Stato, sez. V, 18 novembre 2002, n. 6393.

[4]    Cass., SS.UU., 11 gennaio 2008, n. 581.

[5]    R. Giovagnoli, Il risarcimento del danno da provvedimento illegittimo, Milano, 2010, 98.

[6]    Tuttavia, Cass., sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157, in questa Rivista, 2003, 985, in riferimento ad un caso (assai simile a quello in commento) relativo ad un atto di autotutela su un interesse oppositivo, ha fatto propria una diversa ricostruzione della responsabilità da provvedimento illegittimo, ovvero in termini di responsabilità contrattuale da contatto sociale qualificato, su cui dopo. Cass., sez. I, 13 ottobre 2011, n. 21170; Cass., sez. III, 23 febbraio 2010, n. 4326; Cass., sez.

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lav, 30 gennaio 2009, n. 2529; Cass., sez. I, 08 febbraio 2007, n. 2771;  Cass., Sez. III, 10 febbraio 2005, n. 2705 confermano ancora il modello della Cass. n. 500/99.

[7]    S. Giacchetti, La risarcibilità degli interessi legittimi è in coltivazione, Consiglio di Stato, 1999, 1601, parla di «un'inutile proliferazione di interessi protetti»: l'interesse legittimo, l'interesse al bene della vita e l'oggettivo affidamento ad un positivo esito del procedimento secondo l' id quid plerumque accidit. Anche, R. Giovagnoli, Il risarcimento, cit., 30-31.

[8]    Si legge nella sentenza dell'A.P. n. 3 del 2011: «l’interesse legittimo non rileva come situazione meramente processuale, ossia quale titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, né si risolve in un mero interesse alla legittimità dell’azione amministrativa in sé intesa, ma si rivela posizione schiettamente sostanziale, correlata, in modo intimo e inscindibile, ad un interesse materiale del titolare ad un bene della vita, la cui lesione (in termini di sacrificio o di insoddisfazione a seconda che si tratti di interesse oppositivo o pretensivo) può concretizzare un pregiudizio. L'interesse legittimo va, quindi, inteso come la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall’esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell'interesse al bene». Vd. F. Cortese, Dal danno da provvedimento illegittimo al risarcimento degli interessi legittimi? La nuova responsabilità della P.A. al vaglio del giudice amministrativo, Diritto processuale amministrativo, 2012, 968.

[9]    F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2011, 511 ss.; M. Corradino, Diritto Amministrativo, Padova, 2009, 1010 ss.; R. Garofoli, Responsabilità della Pubblica Amministrazione, in M. A. Sandulli, R. De Nictolis, R. Garofoli (diretto da), Trattato sui Contratti Pubblici, Milano, 2008, 4086; Id., Manuale di diritto amministrativo, Roma, 2011, 1465-1469; R. Giovagnoli, Il risarcimento, cit., 143 ss..; A. Liberati, La Responsabilità della Pubblica Amministrazione ed il risarcimento del danno, Padova, 2009, 675 ss.. Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261

[10]  Vd. F. Caringella, Corso, cit., 386; A. Liberati, La Responsabilità, cit, 713. Ex multis, CGA Sicilia, 28 aprile, 2008, n. 363.

[11]  F. G. Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, cit., 21; talchè, anche sulla scorta del principio di insindacabilità della discrezionalità, A. Romano, Sono risarcibili ma perchè devono essere interessi legittimi?, Foro italiano, 1999, III, 3222 ss., concludeva affermando che la svolta della Cassazione fosse una mera statuizione di principio, in concreto non praticabile da parte del giudice.

[12]  Di recente, Cons. Stato, sez. IV, 14 febbraio 2012, n. 733; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 2011, n. 1796; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2006, n. 4231; Cons. Stato, sez. VI, 15 aprile 2003, n. 1945; T.A.R. Veneto - Venezia, sez. I, 29 gennaio 2010, n. 197.

[13]  R. Caranta, Margini di apprezzamento e responsabilità della pubblica amministrazione, in G. Falcon (a cura di), La tutela dell'interesse al provvedimento, Trento, 2001, 311; F. Di Nardi, Il risarcimento del danno provocato dalla mancata aggiudicazione dell'appalto dovuta all'illegittimità dell'azione amministrativa. La reintegrazione in forma specifica e la liquidazione per equivalente comprensiva del pregiudizio per la perdita di chance e del danno da mancata aggiudicazione dei lavori, Rivista trimestrale degli appalti, 2004, 694; E. e P. Santoro, Il risarcimento della perdita di chance e delle occasioni perdute negli appalti pubblici, Rivista Trimestrale appalti, 2007, 803; Pelino Santoro, La Responsabilità civile, penale ed amministrativa nei contratti pubblici, Milano, 2009, 492 ss.. Con riguardo agli interessi pretensivi, Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 2008, n. 3340; Cons. Stato., sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 553, in questa Rivista, 2002, 700.

[14]  In linea generalissima, un primo orientamento giurisprudenziale esclude la possibilità di ripetizione virtuale della gara in sede di giudizio, affermando che il risarcimento potrebbe essere riconosciuto solo se e quando, ripetuta la competizione da parte della stazione appaltante, questa finisse per premiare l'impresa che era stata prima esclusa: così, Cons. Stato, sez. V, 22 dicembre 2005, n. 7337; Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4435; Cons. Stato, sez. VI, 19 luglio 2002, n. 4007; T.A.R. Lombardia - Brescia, sez. I, 19 aprile 2007, n. 409; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. III,

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17 marzo 2006, n. 594; T.A.R. Friuli-V. Giulia, 28 ottobre 2002, n. 824 che ammettono la possibilità di un giudizio sostitutivo della valutazione tecnica solo quando non sia possibile la riedizione della gara. Un secondo indirizzo, ammette la ripetizione virtuale a fini risarcitori se non implica valutazioni tecnico discrezionali proprie del seggio di gara: così, Cons. Stato, sez. V, 11 novembre 2004, n. 7346; Cons. Stato, sez. VI, 03 maggio 2002, n. 2334; T.A.R. Sicilia - Palermo, sez. II, 30 settembre 2010, n. 11233; T.A.R. Veneto - Venezia, sez. I, 05 febbraio 2007, n. 261; mentre altro filone ammette la rinnovazione anche dei giudizi tecnico discrezionali: Cons. Stato, sez. VI, 04 novembre 2002, n. 6000; T.A.R. Lombardia - Milano, sez. III, 11 dicembre 2000, n. 7702; T.A.R. Trentino Alto Adige, 07 dicembre 2000, n. 335. Un terzo orientamento, ammette il risarcimento, anche quando non è possibile la ripetizione della gara in forma reale, solo attraverso la tecnica della chance: così, Cons. Stato, Sez. VI, 11 gennaio 2010, n. 14, in questa Rivista, 2010, 363; Cons. Stato, n. 553/2001, in questa Rivista, 2002, 700; T.A.R. Liguria - Genova, sez. II, 13 marzo 2007, n. 483; TAR Toscana, sez. II, 13 aprile 2000, n. 660. In ogni caso, il ristoro per equivalente della chance dovrebbe essere escluso quando sia dovuta la ripetizione della gara, che può soddisfare in forma specifica la possibilità di vittoria: così, Cons. Stato, sez. V, 3 agosto 2004, n. 5440.

[15]  Cass. sez. II, 08 aprile 2013, n. 8508.

[16]  G. Facci, Chance, Enciclopedia Giuridica Treccani, XI, Roma, 2009, 3. Cass., sez. III, 16 ottobre 2007, n. 21619; Cass., sez. III, 4 marzo 2004, n. 4400.

[17]  F. D. Busnelli, Perdita di chance e risarcimento del danno, Foro it., 1965, IV, 50 ss. Le prime sentenze che hanno ammesso la risarcibilità della chance in relazione ad esclusioni da concorsi sono Cass., sez. lav., 19 novembre 1983, n. 6906 e 19 dicembre 1985, n. 6506.

[18]  F. Galgano, I fatti illeciti, Padova, 2008, 184; A. Liberati, La Responsabilità, cit., 599 ss;. Cons. Stato, sez. VI, 15 giugno 2009, n. 3829; Cass., sez. III, 18 settembre 2008, n. 23846; Cass., sez. III, 25 maggio 2007, n. 12243; Cass., sez. III, 21 luglio 2003, n. 11322; Cass., n. 6906/1983.

[19]  Cass., sez. III, 10 dicembre 2012, n. 22376; Cons. Stato, sez. V, 18 aprile 2012, n. 2256; Cons. Stato, n.3340/2008; Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2006, n. 5323, in Giornale di diritto amministrativo, 2007, 174; Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2005, n. 478 Cons. Stato. sez. VI, 7 febbraio 2002, n. 686.

[20]  G. Visintini, Trattato breve sulla responsabilità civile, Padova, 1996, 553; C. Castronovo, Del non risarcibile aquiliano: danno meramente patrimoniale, c.d. perdita di chance, danni punitivi, danno cd. esistenziale, Europa e diritto privato, 2008, 322.

[21]  F. Caringella, Corso, cit., 445ss.; R. Garofoli, Manuale, cit., 1481-1487; R. Giovagnoli, Il risarcimento, cit., 33-47; A. Liberati, La Responsabilità, cit., 709. TAR Puglia – Bari, sez. I, 17 maggio 2001, n. 1761, in questa Rivista, 2001, 1226.

[22]  Vd. F. Caringella, Corso, cit., 449; R. Garofoli, Manuale, cit., 1498 ss.. Tra tante, Cons. Stato, Sez. IV, 07 febbraio 2012, n. 662; TAR Abruzzo – Pescara, 6 luglio 2001, n. 609.

[23]  In Diritto processuale amministrativo, 2000, 182. Orientamento confermato da ultimo da Cass., SS.UU., 21 giugno 2010, n. 14893.

[24]  F. Caringella, Corso, cit., 1424 ss.; Liberati, Atti ed Organizzazione della Pubblica Amministrazione, Padova, 2007, 391 ss..

[25]  M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, 73; C. Mortati, Discrezionalità, Nuovissimo digesto italiano, V,  Torino, 1960, 1098; A. Sandulli, Manuale di Diritto amministrativo, Napoli, 1989, 595, più garantisti verso le prerogative della P.A., sovrapponevano integralmente discrezionalità e merito insindacabile.

[26]  F. Caringella, Corso, cit., 1460 ss.; R. Giovagnoli, Il risarcimento, cit., 151 ss.. Cons. Stato, n. 7346/2004; T.A.R. Campania, sez. VIII, 31 marzo 2011, n. 1888; T.A.R. Lazio, sez. Ibis, 15 gennaio 2009, n. 196. Per vero, non manca un'ulteriore posizione dottrinaria che ammette la possibilità di un sindacato sostitutivo nell'ambito dei giudizi risarcitori puri, invece escluso categoricamente sia da

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dottrina che da giurisprudenza in sede di giudizio costitutivo: così, R. Garofoli, Responsabilità, cit., 409.

[27]  Vd. G. Barone, Discrezionalità - diritto amministrativo, Enciclopedia Giuridica Treccani, XI, Roma, 1988-2010; O. Ciliberti, Note in tema di sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità amministrativa e tecnica della pubblica amministrativa, Tribunali Amministrativi Regionali, 2003, 117 ss.; C. Marzuoli, Discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario: profili generali, Diritto pubblico, 1998, 127; A. Pubusa, Merito e Discrezionalità amministrativa, in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Torino, 1987-2000.

[28]  A. Cerri, Poteri (divisione dei), Enciclopedia Giuridica Treccani, Roma, 1988-2010, 4.

[29]  F. Caringella – L. Buffoni, Manuale di diritto civile, Roma, 2013, 1042.

[30]  M. Pastorelli, La discrezionalità amministrativa nel pensiero giovanile di Massimo Severo Giannini, Quaderni Fiorentini, 2008, 406.

[31]  Di una prospettiva come quella suggerita nel testo, si trova traccia, ancorché con riguardo agli interessi pretensivi, in F. Caringella, Corso, cit., 532 e 1451; ma lo stesso Autore finisce per scartarla apertis verbis, alla luce di una dettagliata indagine delle disposizioni del nuovo codice, a pg. 1457, ove si conclude che «l'ampliamento, ratione materiae o in via generale, di mezzi di tutela e poteri giudiziali ha di fatto compresso i limiti esterni dell'ambito di riservato dominio dell'amministrazione. Il codice tiene espressamente fermo il generale divieto di invadere gli spazi riservati al potere amministrativo: ove, tuttavia, non residuino sacche di potere discrezionale, in quanto già completamente esercitato o poiché si versa in un'ipotesi di attività vincolata, il codice dota il giudice di poteri forti, dal sapore vagamente sostitutivo». Parimenti, il Cons. Stato, A.P. n. 3/2011, sembra escludere la possibilità di sindacare la discrezionalità amministrativa: «Di qui, la trasformazione del giudizio amministrativo, ove non vi si frapponga l’ostacolo dato dalla non sostituibilità di attività discrezionali riservate alla pubblica amministrazione, da giudizio amministrativo sull’atto, teso a vagliarne la legittimità alla stregua dei vizi denunciati in sede di ricorso e con salvezza del riesercizio del potere amministrativo, a giudizio sul rapporto regolato dal medesimo atto, volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata». Tuttavia,  la stessa pronuncia afferma anche che: «In questo quadro normativo, sensibile all’esigenza di una piena protezione dell’interesse legittimo come posizione sostanziale correlata ad un bene della vita, risulta coerente che la domanda risarcitoria, ove si limiti alla richiesta di ristoro patrimoniale senza mirare alla cancellazione degli effetti prodotti del provvedimento, sia proponibile in via autonoma rispetto all’azione impugnatoria e non si atteggi più a semplice corollario di detto ultimo rimedio secondo una logica gerarchica che il codice del processo ha con chiarezza superato». Allora, se la tutela risarcitoria non deve più essere ritenuta subalterna a quella demolitoria e se solo verso quest'ultima opera il limite della discrezionalità amministrativa, appare logico chiedersi, come si sta facendo in questa sede, se nei giudizi risarcitori puri non vada ormai ammesso un pieno scrutinio del rapporto, anche nel merito.

[32]  In estrema sintesi, per Cass. n. 500/99, il risarcimento è un diritto soggettivo nascente dall'applicazione dell'art. 2043 c.c., visto come norma primaria; per Corte Cost. 6 luglio 2004, n. 204, il risarcimento è una mera tecnica di tutela, imposta dal principio di effettività.

[33]  A. Liberati, La responsabilità, cit., 695.

[34]  Vd. art. 1, c. 136, l. 30 dicembre 2006, n. 311 (legge finanziaria per il 2005); R. Garofoli, Manuale, cit., 1153.

[35]  Cons. Stato, sez. V, 20 agosto 2013, n. 4194; Cons. Stato, sez. VI, 30 giugno 2011, n. 3882. La gara d'appalto involge giudizi tecnici e non valutazioni discrezionali pure, di cui ci si occupa prevalentemente in questo scritto. Tuttavia le elaborazioni formulate dalla giurisprudenza su questo tema potrebbero essere facilmente riferite alla discrezionalità amministrativa se solo si ponga mente al fatto, prima sottolineato nel testo, che i criteri di opportunità e buona amministrazione potrebbero, in fondo, essere considerati quali canoni di saperi scientifici, talchè, anche grazie all'art. 1, l. n.

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241/90, potrebbero integrare parametri per il giudizio di legittimità, come nel caso di discrezionalità tecnica.

[36]  F. Caringella, Corso, cit., 526 e 1966; R. Garofoli, Manuale, cit., 914.

[37]  F. Caringella, Corso, cit., 2208; R. Garofoli, Manuale, cit., 1095. Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3786.

[38] Cass., SS.UU., 23 settembre 2013, n. 21678; Cass, sez. lav., 2 febbraio 2009, n. 2581; Cass., sez. lav., 23 gennaio 2009, n.1715; Cass., SS.UU. 26 gennaio 2009, n. 1850; Cass., sez. III, sentenza 17 aprile 2008 n. 10111; Cass., SS.UU., 27 marzo 2008, n. 7943; Cass., sez. II, 18 marzo 2003, n. 3999; Cons. Stato, sez II, 4 settembre 2013, n. 4408; Cons. Stato, sez. III, 31 agosto 2011, n. 4892; Cons. Stato, sez. III, 31 maggio 2011, n. 3278; Cons. Stato, sez. V, 15 settembre 2010, n. 6797;  Cons Stato, n. 3340/2008; Cons. Stato n. 5174/07; Cons. Stato, sez. IV, 10 agosto 2004, n. 5500. E' bene però chiarire che, fermo l'onere probatorio in capo al danneggiato, la quantificazione probabilistica della chance e, quindi, la liquidazione del danno è essenzialmente il frutto di una valutazione equitativa: così, G. Facci, Chance, cit; M. Franzoni, La chance nella casistica recente, La responsabilità civile, 2005, 451; Cass., sez. I, 08 novembre 2011, n. 23240; Cass., sez. lav., 05 marzo 2012, n. 3415; Cons. Stato, sez. V, 02 maggio 2013, n. 2399; Cons. Stato, sez. IV, 27 novembre 2010, n. 8253.

Sintesi Gazzetta Ufficiale n. 9 di Lunedì, 13 Gennaio 2014

Finanza

L. 27 dicembre 2013, n. 147Ripubblicazione del testo della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante: «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014).», corredato delle relative note. (Legge pubblicata nel Supplemento ordinario n. 87 alla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2013). (14A00107). (Suppl. Ordinario n. 4) Visualizza l'atto