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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO FACOLTÀ DI FARMACIA ISTITUTO DI ENDOCRINOLOGIA CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE ENDOCRINOLOGICHE E METABOLICHE Ciclo XVIII SISTEMI PEPTIDERGICI NELLA PROGRESSIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO UMANO: NEUROPEPTIDE Y E SOMATOSTATINA Tutor: Chiar.mo Prof. Paolo MAGNI Coordinatore: Chiar.mo Prof. Flavio PIVA Tesi di dottorato: dott. Massimiliano RUSCICA Matricola N. R04897 1

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANOFACOLTÀ DI FARMACIA

ISTITUTO DI ENDOCRINOLOGIA

CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE ENDOCRINOLOGICHE E METABOLICHE

Ciclo XVIII

SISTEMI PEPTIDERGICI NELLA PROGRESSIONE DEL CARCINOMA PROSTATICO UMANO: NEUROPEPTIDE Y E SOMATOSTATINA

Tutor: Chiar.mo Prof. Paolo MAGNI

Coordinatore: Chiar.mo Prof. Flavio PIVA

Tesi di dottorato:dott. Massimiliano RUSCICA

Matricola N. R04897

Anno Accademico: 2004/2005

1

INDICE

1 LA PROSTATA pag. 1

1.1 Sviluppo e differenziazione della ghiandola prostatica pag. 1

1.2 Anatomia della prostata pag. 2

1.3 La capsula prostatica pag. 4

1.4 Rapporti stroma epitelio: ruolo degli ormoni e dei fattori di crescita pag. 5

1.5 Influenze ormonali sulla crescita della prostata pag. 6

1.6 Controllo molecolare del ciclo cellulare pag. 8

1.7 Eziologia e fattori di predisposizione per il PCa pag. 8

1.8 Fattori di crescita e carcinoma prostatico pag. 14

1.9 Prostatic intraepithelial neoplasia (PIN) pag. 17

1.10 Progressione verso l’ormono-indipendenza pag. 19

1.11 h (human) ZAC: un nuovo fattore di trascrizione antiproliferativo pag. 20

1.12 Geni hZAC e mZAC pag. 21

2. NEUROPEPTIDE Y (NPY) pag. 23

2.1 NPY: sintesi e processing pag. 24

2.2 Distribuzione anatomica pag. 27

2.3 Recettori NPY pag. 28

2.4 La sottofamiglia Y1: Y1, Y4, y6 pag. 29

2.5 La sottofamiglia Y2: Y2 e Y7 pag. 31

2.6 La sottofamiglia Y5: Y5 pag. 31

2.7 Il recettore Y1 pag. 32

2.8 Il recettore Y2 pag. 34

2.9 Il recettore Y3 pag. 35

2.10 Il recettore Y4 pag. 36

2.11 Il recettore Y5 pag. 37

2.12 Il recettore y6 pag. 39

2

2.13 Vie di trasduzione del segnale pag. 40

2.14 NPY e suoi recettori in modelli transgenici e knockout pag. 43

2.15 Animali transgenici per NPY pag. 44

2.16 Animali knockout per NPY pag. 45

2.17 Topi knockout per il recettore Y1 pag. 46

2.18 Topi knockout per il recettore Y2 pag. 48

2.19 Topi knockout per il recettore Y4 pag. 48

2.20 Topi knockout per il recettore Y5 pag. 49

2.21 NPY: controllo dell’espressione genica e proteica pag. 49

2.22 Effetti sul comportamento alimentare e sul metabolismo pag. 53

2.23 Regolazione dei meccanismi neuroendocrini pag. 54

2.24 NPY: cancro della mammella e della prostata pag. 56

3 LA SOMATOSTATINA pag. 58

3.1 Aspetti molecolari pag. 58

3.2 Localizzazione anatomica e caratteristiche delle cellule che la

producono pag. 60

3.3 Attività biologiche pag. 64

3.4 Azioni a livello dei sistemi nervoso centrale e periferico pag. 64

3.5 Regolazioni delle funzioni ipotalamo-ipofisi pag. 66

3.6 Regolazione endocrina ed esocrina del pancreas pag. 68

3.7 Regolazione delle funzioni gastriche, intestinale ed epatiche pag. 69

3.8 Somatostatina e controllo dell’omeostasi nutrizionale pag. 70

3.9 Somatostatina: Modulazione delle funzioni renali, polmonari

e del sistema immunitario pag. 71

3.10 I recettori per la somatostatina pag. 73

3.11 Distribuzione pag. 77

3.12 Attivazione e meccanismi intracellulari pag. 79

3.13 Effetti mediati dal sistema adenilato ciclasi-protein chinasi A pag. 80

3

3.14 Effetti mediati dal sistema PLC/IP3 pag. 82

3.15 Effetti mediati da variazioni delle concentrazioni ioniche intracellulari pag. 82

3.16 Effetti mediati da modificazioni dell’attività fosfatasica pag. 83

3.17 Dimerizzazione dei recettori della somatostatina pag. 86

3.18 Analoghi della somatostatina pag. 87

3.19 Somatostatina e suoi analoghi: controllo della crescita cellulare pag. 89

3.20 Effetto antiproliferativo in cellule non trasformate pag. 92

3.21 Effetto antiproliferativo in linee cellulari neoplastiche pag. 93

3.22 Effetto antiproliferativo in linee cellulari neoplastiche di prostata umana pag. 95

4 SCOPO DEL LAVORO pag. 97

5 MATERIALI E METODI pag. 100

6 RISULTATI pag. 108

7 DISCUSSIONE pag. 113

8 TABELLE pag. 118

9 FIGURE pag. 119

10 BIBLIOGRAFIA

4

1. LA PROSTATA

Il termine prostata derivò originariamente dalla parola greca “prohstami” che significa “stare di fronte a”,

termine attribuito a Herophilus di Alessandria che usò il termine nel 335 A.C. per descrivere l’organo

collocato di fronte alla vescica. Descrizione anatomiche dettagliate non comparvero prima del

Rinascimento. Mentre l’esistenza della prostata è riconosciuta da più di 2300 anni, descrizioni accurate

della struttura interna della ghiandola, della fisiologia e della patologia si sono avute solo in tempi

relativamente recenti. Nell’ultimo decennio vi è stato molto interesse nei confronti delle patologie

connesse alla prostata: iperplasia benigna della prostata (BPH) e carcinoma della prostata (PCa). Questo

è parzialmente il risultato dei cambiamenti demografici che hanno portato ad un aumento della

popolazione maschile che raggiunge un’età dopo la quale è particolarmente sensibile a queste patologie.

Inoltre è dovuto, in parte, all’introduzione in queste aree patologiche di nuovi metodi di diagnosi e

trattamento. Infine, l’anatomia della zona e soprattutto la conoscenza della capsula e dei fasci adiacenti

è fondamentale per la comprensione della patologia prostatica (1).

1.1 Sviluppo e differenziazione della ghiandola prostatica

Lo sviluppo del tratto riproduttivo maschile inizia durante lo stadio bipotenziale. In questo stadio gli

embrioni maschili e femminili sono indistinguibili anatomicamente poiché hanno un paio di gonadi

indifferenziate, due set di dotti (Wolffiano e Mǘlleriano) e il seno urogenitale che deriva dalla suddivisione

della cloaca endodermale dal setto uro-rettale. Nei maschi, la differenziazione gonadica in testicoli

determina la produzione di testosterone e di Mǘllerian inhibiting substance (MIS). Gli androgeni testicolari

fetali, quindi, mantengono i dotti Wolffiani (2), ne stimolano la differenziazione in epididimi, dotti deferenti

e vescicole seminifere (Jost 1965); inducono lo sviluppo della prostata dal seno urogenitale, prevengono

la morte cellulare programmata dei tubuli mesonefrici attaccati alla parte finale dei dotti Wolffiani, che

susseguentemente differenziano nei dotti efferenti. In assenza di testosterone o di recettori funzionali

degli androgeni (AR), i dotti Wolffiani e i tubuli mesonefrici degenerano (3). Al contrario i dotti Mǘlleriani

regrediscono in risposta al MIS (4).

Nei maschi il seno uro-genitale differenzia nell’uretra maschile, nella prostata, nelle ghiandole peri-uretrali

e bulbo-uretrale. Gli androgeni prodotti dai testicoli fetali stimolano lo sviluppo dell’epitelio dei seni

5

urogenitali dalla parte caudale al collo della vescica, per formare la prostata e quindi più caudalmente per

formare le ghiandole bulbouretrali. Il seno urogenitale femminile formerà anche la prostata se è stimolato

da androgeni durante i periodi critici dello sviluppo (5). Lo sviluppo prostatico non avviene o è fortemente

compromesso in assenza di androgeni, in assenza del recettore degli androgeni (AR) funzionale, o

quando l’azione degli androgeni è bloccata dalla somministrazione di antiandrogeni (4).

1.2 Anatomia della prostata

La descrizione dell’anatomia e dello sviluppo della prostata umana fatto da Lowsley nel 1912 diede inizio

ad un lungo dibattito sulla nomenclatura usata per descrivere l’organo (6). Il lavoro di Lowsley era basato

su studi della ghiandola fetale. Egli descriveva un lobo dorsale o posteriore, un lobo mediano e due lobi

laterali, e in aggiunta un lobo ventrale, che atrofizzava dopo la nascita. Nella prostata umana adulta

questi lobi sono uniti e non possono essere separati o delineati da dissezione. Questa difficoltà di

delineare la suddivisione in lobuli nella prostata umana ha dato luogo a numerose differenti visioni sulla

sua suddivisione anatomica (7). La nomenclatura ora più comunemente usata per descrivere la prostata

umana è quella di McNeal (8). Egli divide la prostata in aree separate anatomicamente e distinte

istologicamente: lo stroma fibromuscolare non ghiandolare che circonda l’organo, e tre regioni ghiandolari

definite zone periferiche, di transizione e centrale. Queste zone contengono sistemi duttali complessi, ma

distinti istologicamente (9).

La zona periferica è la più ampia della ghiandola prostatica. I dotti della zona periferica si svuotano

nell’uretra lateralmente ai recessi postero-laterali della parete uretrale. I dotti e gli acini sono rivestiti

internamente da semplice epitelio colonnare. Questa area è il principale sito di prostatiti e PCa, sebbene

non del BPH (10).

La zona di transizione rappresenta i rami delle due coppie di dotti maggiormente sulla linea laterale

distale (i dotti immediatamente prossimali alla vescica e più vicini allo sfintere pre-prostatico). Questi dotti

si svuotano nell’uretra alla base del verumontanum. I dotti della zona di transizione sono al confine dello

sfintere prostatico. Essi fuoriescono dal confine dello sfintere e danno luogo ad una massa ghiandolare,

che generalmente si unisce all’uretra prossimale. Il PCa si sviluppa raramente all’interno della zona di

transizione che invece è notoriamente luogo di sviluppo del BPH (11).

I dotti della zona centrale seguono il corso dei dotti eiaculatori e si svuotano nell’uretra prossimamente al

verumontanum. Questi dotti e acini sono più larghi e di contorno irregolare. Gli acini sono poliedrici in

6

sezione crociata. Lo stroma muscolare è molto più compatto che non nella zona periferica. La zona

centrale è virtualmente, ma non completamente, esente da patologie. Il lobo craniale della prostata dei

primati è coinvolta principalmente nella coagulazione del seme e si trova vicino alla vescicola seminale.

Sembra essere analogo alla zona centrale umana, e McNeal ha proposto che esso abbia la stessa storia

embrionale (11). Si è dimostrato che le secrezioni della ghiandola coagulante del ratto, che occupa una

posizione analoga al lobo craniale, sono in grado di sostituire quelle del lobo craniale nell’induzione della

coagulazione del fluido della vescicola seminale nella scimmia rhesus. Il lobo caudale della prostata dei

primati assomiglia alla zona periferica umana sia anatomicamente che biochimicamente (12).

1.3 La capsula prostatica

Una confusione di lunga durata ha circondato non solo la struttura del parenchima prostatico, ma anche

l’esistenza di una “capsula” prostatica. Storicamente, il termine “capsula” ha avuto due differenti

significati. Il primo termine “capsula chirurgica”, nelle ghiandole che sono state alterate dalla BPH, è stato

usato per descrivere la zona periferica residua sottoposta a compressione dall’espansione della zona di

transizione. In questa situazione la zona periferica diventa atrofica ed è formata principalmente da

elementi stromali. Il secondo, più pertinente allo studio del PCa, è il dubbio se il parenchima prostatico è

o non è delimitato da tessuto fibroconnettivo simile alla capsula della milza. La prostata si sviluppa

attraverso una forma di morfogenesi ramificata nella quale le evaginazioni di questi seni urogenitali

invadono un letto di mesoderma splancnico. Lo stroma si organizza intorno alle gemme epiteliali quando

queste penetrano attraverso le cellule mesenchimali indifferenziate. Queste ultime, dalla sedicesima

settimana di gestazione, acquisiscono il fenotipo differenziato del muscolo liscio. E’ questa

differenziazione stroma epitelio che determina gli ultimi confini della prostata. Le cellule mesenchimali

entro questo confine restano fibroblastiche e stabiliscono la zona di perdita di tessuto connettivo

attraverso cui i vasi sanguigni di supporto e i nervi arrivano alla ghiandola. La capsula della prostata è

quindi più simile alla avventizia delle principali arterie che alla capsula fibroconnettiva la quale incapsula il

fegato e la milza (9). Come ci si potrebbe aspettare l’ampia penetrazione delle cellule del PCa attraverso

questa fragile capsula sembra correlarsi con un rischio di un susseguente sviluppo di malattia

metastatica. Curiosamente, una penetrazione capsulare microscopica fornisce scarse informazioni (1).

1.4 Rapporti stroma-epitelio: ruolo degli ormoni e dei fattori di crescita

7

La crescita normale di alcuni tessuti ormono-dipendenti e in cui si sviluppano processi neoplastici

(mammella, prostata, endometrio) dipende dalle particolare relazioni tra l’epitelio e il mesenchima.

Se le cellule mesenchimali e quelli epiteliali vengono messe in coltura separatamente, le prime

continuano a crescere, ma non formano strutture organo-tipiche, mentre le seconde non sopravvivono.

Se poi l’epitelio e il mesenchima sono successivamente ricombinati, il processo morfologico procede

regolarmente. Per quanto riguarda la prostata, è stato dimostrato che qualsiasi epitelio embrionale, a

contatto con mesenchima del seno uro-genitale, si trasforma in epitelio prostatico in presenza di

diidrotestosterone; se invece l’epitelio del seno uro-genitale viene messo a contatto con mesenchima di

diversa provenienza il tessuto ghiandolare prostatico non si sviluppa. Le interazioni epitelio-mesenchima

sono reciproche: così come il mesenchima induce la differenziazione epiteliale, l’epitelio induce a sua

volta la differenziazione mesenchimale (in particolare, nel caso degli organi uro-genitali, la

differenziazione della muscolatura liscia). Lo sviluppo di tali tessuti è peraltro strettamente dipendente

dalla presenza dell’ormone specifico per quel tessuto (androgeni per la prostata, estrogeni per la

mammella e l’endometrio). Un ruolo importante è svolto anche dai fattori di crescita (growth factors) che

mediano i processi della crescita, della differenziazione e della morte cellulare programmata o apoptosi

(13).

1.5 Influenze ormonali sulla crescita della prostata

Sebbene la prostata normale esista strutturalmente circa dalla dodicesima settimana di vita intrauterina,

rimane elementare nell’infanzia e si sviluppa solo dopo la pubertà sotto l’influenza di aumentati livelli di

androgeni circolanti.

Il testosterone (T) è un ormone sintetizzato dalle cellule del Leydig del testicolo sotto l’influenza del

luteinizing hormone (LH). La secrezione di questo ultimo decapeptide è regolata a sua volta dal

luteinizing hormone-releasing hormone (LH-RH) di origine ipotalamica. E’ a questo livello che il

testosterone ha un effetto di feedback negativo che permette ai livelli di testosterone circolante di essere

mantenuti entro i limiti normali (10-35 μg/L). Una variazione diurna nei livelli di testosterone (entro questo

range) è consueta, con picchi di concentrazione plasmatica registrati la mattina presto. Il 95% del

testosterone circolante è legato ad una certa quantità di proteine plasmatiche e di queste quella

predominante è la sex-hormone binding globulin (SHBG). Tutto ciò permette solo ad una piccola parte di

androgeno libero di entrare per diffusione nelle cellule. Un’ulteriore, ma più piccola fonte di androgeni è la

8

corteccia surrenalica. Sotto l’influenza dell’ adrenocorticotropic hormone (ACTH), l’androstenedione viene

rilasciato dalle ghiandole surrenaliche. Quando la funzione testicolare è intatta, questa attività

androgenica suppletiva è di poco impatto, ma dopo castrazione chimica o fisica il loro effetto androgenico

può risultare fondamentale per la sopravvivenza di alcuni cloni delle cellule androgeno dipendenti del

PCa a danno del paziente (14).

Studi recenti sono andati oltre il concetto di PCa inteso come una patologia testosteron-centric come

descritto da Huggins. Poiché è chiaro che i livelli di mortalità e incidenza aumentavano dopo orchiectomia

o terapia di ablazione estrogenica furono presi in considerazione altre vie ormonali. Ad esempio

l’identificazione del follicle-stimulating hormone (FSH) e del suo recettore in cellule di cancro alla prostata

e la capacità di stimolare la proliferazione cellulare in vitro hanno suggerito un meccanismo regolatorio

autocrino/paracrino della crescita (15). Una volta nella prostata, sia il testosterone che gli androgeni

surrenalici vengono rapidamente metabolizzati attraverso l’enzima 5α-reduttasi (un enzima che si trova

principalmente nella membrana nucleare), a diidrotestosterone (DHT). Il DHT è un androgeno più potente

da tre a cinque volte rispetto al testosterone stesso e ha una affinità per il recettore degli androgeni 10

volte superiore al testosterone (16). La sua azione androgenica si compie nel nucleo attraverso una

associazione fisica con i recettori degli androgeni che si trovano principalmente nella membrana

nucleare. Il legame del DHT al recettore degli androgeni libera le heat-shock protein (hsp90) e smaschera

il DNA binding domain del recettore permettendogli di dimerizzare e legarsi alle sequenze specifiche

regolatorie, chiamate hormone response element (HRE). Questo legame avviene a monte dei siti di inizio

della trascrizione dei diversi geni androgeno sensibili e quindi stimola la trascrizione del DNA. L’mRNA

così prodotto codifica per un numero di proteine, compresi diversi fattori di crescita importanti, quali

l’epidermal growth factor (EGF) e il platelet-derived growth factor (PdGF) che modulano e promuovono la

crescita delle cellule prostatiche. Lo sviluppo o il mantenimento della prostata normale dipendono da una

delicata omeostasi fra morte cellulare e sostituzione cellulare. Gli androgeni sono necessari a questa

omeostasi poiché la castrazione sia farmacologica che chirurgica dà un rapido inizio ad un fenomeno di

apoptosi epiteliale o morte cellulare programmata, così come la deplezione stromale. A conferma di ciò,

infatti, il contenuto di DNA delle cellule prostatiche androgeno-deprivate si riduce del 10% in 10 giorni

(17). Le cellule staminali sopravvivono, comunque, poiché una conseguente sostituzione degli androgeni

circolanti sembra essere in grado di far ritornare alla normalità sia la funzione che l’architettura prostatica

concentrandosi sui processi di proliferazione cellulare (18).

9

1.6 Controllo molecolare del ciclo cellulare

La crescita della prostata normale e lo sviluppo dipendono da un particolare pattern di divisione cellulare,

con alcuni tipi cellulari che si dividono molto più spesso che altri e tutte le divisioni avvengono in modo

appropriato e tempestivo.

Le cellule prostatiche epiteliali si dividono regolarmente per mantenere l’integrità strutturale della

ghiandola delle superfici epiteliali dei dotti. La divisione epiteliale maggiormente attiva avviene

all’estremità distale delle ghiandole prostatiche: quelle nella porzione intermedia sono mantenute in uno

stato differenziato, mentre quelle nei dotti prossimali, più vicini all’uretra, subiscono morte cellulare

programmata. Questo processo attivo di apoptosi che controbilancia la nuova formazione di cellule

avviene anche dopo deprivazione androgenica. Due geni che sembrano essere cruciali nell’apoptosi

sono i geni bax e bcl2. La caratteristica morfologica principale dell’apoptosi è la condensazione della

cromatina causata dalla formazione di frammenti di 180-200 paia di basi di DNA, come risultato

dell’attivazione delle endonucleasi (19). Inibitori della fosfatasi sembrano sinergizzare con il tumour

necrosis factor (TNF) nell’attivare la frammentazione del DNA, in questo sistema di morte cellulare

programmata (20). E’ questo sistema che entra in gioco quando il supporto degli androgeni viene a

mancare alla prostata.

1.7 Eziologia e fattori di predisposizione per il PCa:

A parte un 9% degli uomini con PCa ereditario, il fattore che più è decisivo per lo sviluppo di questa

malattia è l’età. Il PCa è raramente diagnosticato in uomini al di sotto dei 50 anni, ma è comune in modo

crescente con l’avanzare dell’età. Le caratteristiche etniche sono anche abbastanza degli importanti

fattori di predisposizione; ad esempio, i neri del Nord America hanno all’incirca 2 volte il rischio della

malattia rispetto ai bianchi (21).

a) Ormoni

Gli androgeni circolanti sono un prerequisito essenziale per la crescita della prostata normale, per lo

sviluppo del BPH e del PCa. Il ruolo specifico degli androgeni per quanto riguarda la carcinogenesi

all’interno della prostata non è totalmente chiaro, ma sembrano agire promuovendo la crescita cellulare e

la loro divisione. Sebbene la quantità di testosterone circolante sia variabile da un individuo all’altro, non

sembra esserci una correlazione diretta tra il livello sierico di testosterone e il rischio di sviluppo del PCa

10

(22). I livelli serici di testosterone declinano gradualmente con l’aumentare dell’età mentre l’incidenza del

cancro alla prostata aumenta stabilmente.

Questa anomalia apparente potrebbe essere spiegata attraverso il lungo periodo di ritardo tra il

cambiamento neoplastico precoce iniziale e la comparsa del PCa clinicamente evidente, così come

attraverso cambiamenti nei livelli dei recettori per gli androgeni. Il testosterone viene metabolizzata nella

prostata in DHT attraverso l’enzima 5 alpha-reduttasi. Ad oggi è risaputo che il DHT piuttosto che il

testosterone è l’androgeno intracellulare che maggiormente promuove la crescita prostatica (23). Il ruolo

del DHT nella promozione del PCa è ancora poco chiaro, comunque esso sembra non avvenire in uomini

ermafroditi in cui la 5 alpha-reduttasi è assente. La cirrosi epatica può portare ad una diminuzione del

testosterone circolante così come ad un aumento di estrogeni circolanti; entrambi questi cambiamenti

potrebbero essere motivo, in questa condizione, di un ridotto rischio di PCa (24). Il ruolo specifico degli

androgeni nell’induzione e promozione o progressione del PCa non è completamente compreso.

Comunque, una volta stabilita la trasformazione maligna hanno quasi certamente un ruolo nella

stimolazione della divisione e invasione delle cellule maligne

b) Dieta

L’alta incidenza di PCa negli USA sembra essere correlata con un aumento nel consumo di grassi. Aree

degli Stati Uniti in cui il consumo di prodotti caseari e carni rosse è maggiore, anche l’incidenza di PCa è

più alta (25). Lo studio di follow-up della “US Health Professionals” (26) ha valutato oltre 4700 uomini con

i seguenti criteri: dieta e rischio di sviluppo del cancro. Durante il corso di questo studio a 300 uomini è

stato diagnosticato il cancro alla prostata. Il consumo di cibo grasso era direttamente correlato al rischio

di cancro alla prostata ed il rischio era direttamente correlato ai grassi saturi. E’ stato dimostrato inoltre

che il consumo di carne rossa aveva la più alta correlazione con il rischio del cancro (27). L’effetto di una

dieta grassa nei differenti gruppi etnici è stata anche riportata da Whittemor così come dalla World Health

Organization. Ad esempio risultò che l’associazione tra grassi saturi e cancro era maggiore negli asiatici

Americani (28).

Ci sono diversi modi potenziali di azione dei grassi nella patologia del cancro alla prostata. In alcuni tipi di

ratti predisposti geneticamente, alcuni grassi riducono il tempo di induzione del testosterone nello

sviluppare il cancro alla prostata (29). Un altro possibile meccanismo in cui alti livelli di consumo di

grasso aumentano il rischio di cancro alla prostata è la riduzione dell’assorbimento di vitamina A. Un

aumento del livello circolante di beta-carotene, che dipende dalla quantità di assorbimento della vitamina

11

A, sembra essere protettivo contro lo sviluppo di alcuni tumori (30). I livelli di testosterone circolanti

diminuiscono sino al 30% in uomini che seguono una dieta vegetariana a basso contenuto di grassi e

potrebbero quindi ridurre l’induzione del cancro alla prostata (31). In Giappone, dove la dieta è

tradizionalmente povera di grassi, l’incidenza di cancro alla prostata ha iniziato ad aumentare in

associazione ad un aumento del fenomeno dell’occidentalizzazione. Un trend simile sta avvenendo

anche in Cina (32). La dieta tradizionale in Giappone e altri paesi Asiatici è composta da quantità di

verdure gialle e verdi. In questa dieta, alti livelli di vitamina A potrebbero proteggere contro l’induzione al

cancro alla prostata. Fito-estrogeni quali la genisteina e daidaina che si trovano in verdure quali la soia

possono alterare il milieu ormonale e opporsi agli effetti del testosterone sulla prostata. Inoltre questi

hanno attività antiossidante e agiscono come fagociti di radicali liberi. Altri meccanismi possibili di attività

anticarcinogenica comprendono l’inibizione dell’angiogenesi e della protein-tirosin chinasi specifica dei

recettori del fattore di crescita. La variazione sostanziale a livello mondiale del cancro alla prostata

sembra dipendere da fattori genetici, ma differenze a livello di dieta possono essere la causa di variazioni

nell’incidenza di studi di migrazione. Sembra verosimile che la dieta occidentale che è più ricca di grassi

animali e più povera di verdure comporti un più alto rischio di cancro alla prostata.

c) Vitamine

Supplementi dietetici di vitamina E e selenio potrebbero possibilmente offrire protezione contro lo

sviluppo di cancro alla prostata. Uno studio ha riportato che più alti livelli di selenio nelle unghie dei piedi

di uomini furono associati a più bassi rischi di incremento di cancro alla prostata (33) e il rischio di PCa

era ridotto di 1/3 in uomini che assumevano 200 mcg di selenio al giorno. E’ stato suggerito quindi, un

rapporto fra i livelli di alpha-tocoferolo e il beta-carotene assunti con la dieta. La supplementazione a

lungo termine di alpha-tocoferolo è stata dimostrata ridurre l’incidenza di cancro alla prostata in soggetti

fumatori; al contrario il beta-carotene sembra aumentarne l’incidenza (34). Sebbene vi siano

considerevoli dati in letteratura, uno studio finlandese su soggetti fumatori ha mostrato un livello più alto

di cancro alla prostata in un gruppo a cui veniva somministrato beta-carotene. Ciò supporta le precedente

osservazioni di un aumentato rischio di cancro alla prostata in uomini che assumono questa sostanza.

Una scoperta interessante di questo studio è stata una associazione negativa tra cancro alla prostata e

assunzione di vitamina E (35). Fra quei soggetti che ricevevano alpha-tocoferolo vi è stata una

significativa diminuzione percentuale di cancro alla prostata. Va tenuto comunque in considerazione che

12

lo studio non fu fatto specificatamente per dimostrare cambiamenti nell’incidenza del cancro alla prostata

e quindi le scoperte vanno considerate come preliminari.

Schwartz e Hulka hanno notato un aumento dell’incidenza del PCa con l’aumento della distanza

dall’equatore, infatti la patologia è più comune negli stati più a Nord degli USA e dell’Europa rispetto a

quelli a SUD. Su questa base, la deficienza di vitamina D è una potenziale causa contribuente. E’ stato

dimostrato che la vitamina D ha un effetto antiproliferativo e differenziante sulle linee cellulari di PCa negli

essere umani sebbene studi epidemiologici abbiano mostrato dati conflittuali. Questa osservazione ha

portato alla possibilità che la vitamina D (1,25 diidrocolecalciferolo) potrebbe in qualche modo essere una

protezione contro la protezione da questa patologia (36).

d) Fattori ambientali

Nel corso degli ultimi decenni l’attenzione è stata sempre più focalizzata su un possibile ruolo

dell’inquinamento ambientale nella promozione di numerose patologie neoplastiche. Una esposizione a

sostanze chimiche usate largamente nell’industria è dimostrata contribuire allo sviluppo di particolari

tumori maligni. Il cancro alla prostata si sviluppa con minore probabilità in uomini che vivono in un

ambiente rurale rispetto a quelli che vivono in città, i quali sono a più alto rischio di morte per queste

patologie (32). I fattori responsabili potrebbero essere l’inquinamento ambientale da agenti chimici, così

come l’esposizione a sostanze nel luogo di lavoro. I lavoratori esposti a sostanze chimiche in industrie

della gomma, tessili, chimiche, farmaceutiche, di fertilizzanti, e che sfruttano energia atomica hanno un

aumentato rischio di sviluppo di cancro alla prostata. Le precise sostanze chimiche che inducono tale

patologia non sono conosciute, sebbene la scoperta di aumentati livelli di cadmio in pazienti col PCa

suggerì che ciò poteva essere una dei possibili fattori di induzione. Ci sono anche prove che

suggeriscono che l’esposizione al trizio, 51Cr, 59Fe, 60Co e 65Zn potrebbero aumentare il rischio di cancro

alla prostata (37).

e) Fumo

Sebbene il tabacco è stato implicato come un fattore eziologico nei tumori maligni del polmone e della

vescica e di molte altre neoplasie, tale associazione non è stata ancora trovata nel cancro alla prostata

(38).

f) Virus

Agenti infettivi, particolarmente i virus, sono conosciuti per essere la causa di carcinogenesi in alcune

forme di tumore maligno ai genitali, così come il cancro alla cervice. I virus sono certamente una

13

potenziale promotore ambientale per il PCa, ma ciò è difficile da provare poiché molti virus sono ubiquitari

e altri sono impossibili da isolare dalle cellule tumorali. Un possibile candidato per l’eziologia del PCa è il

virus dell’ herpes simplex di tipo 2. Anticorpi per questo virus sono stati trovati nel siero del 71% di

soggetti con cancro alla prostata, ma in solo il 66% di soggetti controllo con ipertrofia prostatica benigna

(39). Come ulteriore supporto sono stati anche identificati frammenti di RNA virale in cellule di cancro alla

prostata (40). E’ anche interessante notare che le mogli di uomini a cui è stato diagnosticato il cancro alla

prostata avevano un’incidenza maggiore di sviluppare il cancro alla cervice uterina (41). Il ruolo

eziologico degli RNA virus è rappresentato dalla presenza dell’oncogene H-ras p21 in cellule tumorali di

cancro alla prostata, anche se ciò sembra essere associato a tumori alla prostata non ben differenziati

(42).

1.8 Fattori di crescita e carcinoma prostatico

L’EGF e il TGFα sono polipeptidi tra loro correlati che si legano allo stesso recettore cellulare; il primo è in

genere secreto sia dalle cellule normali che da quelle tumorali, mentre il secondo viene prevalentemente

prodotto dalle cellule tumorali (43). Il TGFα è sintetizzato e secreto nel mezzo di cultura sia in linee

cellulari androgeno-dipendenti (LNCaP) (44) che androgeno-indipendenti (PC3, DU145) (45). Nelle

cellule androgeno-indipendenti, il trattamento con DHT stimola la proliferazione cellulare senza un

contemporaneo aumento di EGF, ma con un aumento dell’espressione del TGFα e del recettore

dell’EGF; in tal modo innescano una stimolazione continua di tipo autocrino delle cellule LNCaP. E’ stato

altresì dimostrato che il TGFα da solo stimola la crescita cellulare, ma che TGFα e DHT, insieme

inducono una stimolazione significativamente più grande. Inoltre, bloccano il recettore dell’EGF, si arresta

sia la crescita indotta dal DHT che quella indotta dal TGFα e questo dato suggerisce che l’effetto del DHT

è modulato dal sistema autocrino TGFα-recettore dell’EGF. A tali evidenze sperimentali fanno riscontro i

risultati di studi immunoistochimici effettuati in campioni tissutali ottenuti da tumori primitivi di pazienti

sottoposti a prostatectomia radicale e in campioni provenienti da metastasi di pazienti sottoposti a terapia

endocrina. Nei tumori prostatici primitivi, il recettore dell’EGF era localizzato nelle cellule epiteliali e il

TGFα nelle cellule stremali, mentre la coespressione del TGFα e del recettore dell’EGF è stata osservata

in quali l’80% dei campioni prelevati da metastasi che avevano perduto la responsività ormonale. Questi

risultati suggeriscono che nei tumori primitivi predomina un modello di stimolazione paracrina mentre, nel

momento in cui il tumore perde la dipendenza ormonale, predomina un meccanismo autocrino.

14

La famiglia del fattore di crescita di fibroblasti (FGF) è costituita da almeno 7 diversi fattori; l’FGF acido

(aFGF) e l’FGF basico (bFGF) sono costituiti da 155 aminoacidi e hanno in comune un’omologia di

sequenza degli aminoacidi di circa il 55%. Uno di questi fattori, l’EGF7 è un fattore di crescita dei

cheratociti e per tale motivo denominato KGF; nella prostata è largamente espresso nei fibroblasti

stromali e agisce specificatamente sulle cellule di origine epiteliale come mediatore paracrino. I fattori di

crescita che appartengono a questa famiglia possono essere coinvolti nella proliferazione cellulare del

carcinoma prostatico. Nel carcinoma prostatico umano il bFGF è presente ma a bassi livelli; tale fattore

può stimolare la sintesi di DNA in linee cellulari androgeno-dipendenti (LNCaP) e alcune linee androgeno-

indipendenti (DU145) ma non in altre (PC3). Nonostante tale frammentarie evidenze, il ruolo del KGF nel

carcinoma prostatico resta tuttora non chiaro.

Un altro fattore prodotto dallo stroma prostatico è l’Insulin Growth Factor I (IGF-I) che si lega a un

recettore localizzato, invece, nello strato basale dell’epitelio prostatico, dove si trova anche il recettore

dell’EGF (tale sub-compartimento epiteliale è responsabile della proliferazione cellulare, mentre il sub-

compartimento secretorio - dove sono localizzati prevalentemente i recettori androgenici – produce una

varietà di secrezioni proteiche come la fosfatasi acida e l’antigene prostatico). Nel nostro laboratorio

abbiamo dimostrato che nel tessuto prostatico ipertrofico di pazienti ce erano stati trattati con analoghi del

GnRH si verifica un aumento dei recettori dell’IGF-I (e dell’EGF); inoltre – dopo privazione androgenica –

tali recettori sono presenti anche nelle cellule dell’epitelio secretorio dove, al contrario, si riduce la

concentrazione dei recettori androgenici e dei prodotti secretori (fosfatasi acida prostatica, PSA).

Per quanto riguarda il carcinoma prostatico, è stato dimostrato che linee di carcinoma prostatico umano

metastatico (PC-3 e DU145) esprimono in grande quantità il recettore dell’IGF-I e che gli androgeni

perdono la capacità di modularne l’espressione. L’IGF-I è stato identificato nel medium condizionato delle

cellule DU145 e questo dato ha fatto supporre che l’IGF-I, a differenza del TGF- α e del bFGF, continui

ad agire, nel carcinoma prostatico avanzato, come un fattore di crescita paracrino.

Contro tale ipotesi ci sono altri dati sperimentali ottenuti con le stesse linee cellulari trattate con analoghi

peptidici dell’IGF-I, con funzioni di antagonisti recettoriali, in cui è stato osservato un rallentamento della

crescita. Alcuni dati più recenti sembrano aver dato una spiegazione a questo fatto con la dimostrazione

che le linee cellulari di carcinoma prostatico metastatizzato producono IGF-II; tale fattore agisce sul

recettore dell’IGF-I e pertanto, anche in questo caso, sarebbe attivo un meccanismo autocrino

IGF-II/recettore IGF-I.

15

Una serie di dati sembra, infine, indicare l’esistenza di interazioni tra alcuni fattori di crescita (EGF/TGF-

α, IGF-I, KGF) e i meccanismi a cascata di trasduzione del segnale androgenico. La famiglia del TGFβ è

costituita da 5 isoforme di TGFβ e molti peptidi correlati (attivine, inibine). Sono stati descritti 3 tipi di

recettori, tipo I, II e III; essi legano il TGFβ1, il TGFβ 2 e il TGFβ 3 ma non la forma latente del TFGβ Il

controllo dell’espressione e dell’attività del TGFβ è complesso e comprende la regolazione della

trascrizione/traduzione del TGFβ, l’attivazione della forma latente nella forma matura e il sequestro del

TGFβ attivato da parte della matrice extracellulare e delle proteine leganti. Il suo ruolo è bi-funzionale e il

prevalere degli effetti stimolatori o inibitori è strettamente dipendente dal tipo cellulare e dalla

concentrazione del TGFβ stesso. La maggior parte delle cellule stromali, infatti, viene stimolata dal TGFβ

in senso mitogenico, mentre la maggior parte delle cellule di origine epiteliale viene inibita. Inoltre, il

TGFβ regola la sintesi e il turnover della matrice extracellulare, stimola gli inibitori della proteasi e inibisce

l’attivazione del plasminogeno tissutale. Ad alte concentrazioni, infine, il TGFβ stimola l’angiogenesi,

l’invasione e la diffusione metastatica e sopprime la risposta immune.

Nella prostata umana, il TGFβ può agire come fattore di crescita positivo o negativo e influenzato

dall’azione androgenica. Nel tessuto prostatico normale prevalgono gli effetti negativi e, nelle cellule

epiteliali in coltura, il TGF- β è il principale antagonista dei fattori di crescita mitogenici e svolge un ruolo

di primaria importanza nel fenomeno della morte cellulare programmata (apoptosi). L’espressione del

TGF- β è sotto il controllo negativo degli androgeni; nel ratto, dopo castrazione si osserva insieme

all’involuzione della prostata, un’aumentata espressione del TGF- β e del suo recettore. Se,

successivamente si somministra un androgeno, i livelli ritornano alla norma entro 4 giorni. Non si dispone

comunque ad oggi di dati che correlino l’espressione del TGF- β con lo stadio, il grado e i marker della

proliferazione cellulare. Il TGF- β potrebbe avere un ruolo nella formazione delle metastasi osteoblastiche

del carcinoma prostatico dal momento che tale fattore inibisce il riassorbimento osseo e stimola la

neoformazione ossea. Un fattore correlato con la famiglia del TGF- β, la proteina DVR-6 che induce la

formazione ossea nell’embriogenesi, è espressa in notevole quantità nel carcinoma prostatico nel ratto,

ma, al momento non sono noti dati di questo genere nell’uomo (13)

1.9 Prostatic intraepithelial neoplasia (PIN)

La precoce identificazione e la cura del cancro sono spesso dipese dall’abilità di riconoscere il

cambiamento pre-maligno. La definitiva identificazione dei precursori del carcinoma della prostata è

16

rimasta indietro rispetto ad altri organi equivalenti, così come quello della cervice uterina. Questo è

dovuto in parte alle difficoltà tecniche nel condurre biopsie ripetute sullo stesso esatto punto della

prostata, ad esempio quando paragonato a una ripetizione del PAP test o della colposcopia cervicale.

Anche con biopsia guidata transrettale ad ultrasuoni (TRUS-guidata) è impossibile essere sicuri che una

re-biopsia sia presa da un campo microscopico identico. Per questo motivo l’interpretazione delle

mutazioni all’interno della prostata da stadi displastici a maligni è deficiente a causa della mancanza di

dati riguardo la progressione di lesioni specifiche nel tempo.

Progressi riguardanti l’identificazione di precursori furono fatti a metà degli anni ’80 quando McNeal e

Bostwick (20) riportarono l’esistenza di una lesione che definirono “displasia intraduttale”. Essa fu

proposta quale precursore del tumore maligno sulla base di una atipia citologica, mostrando un

pleiomorfismo e una prominenza nucleare simile a quella vista nel cancro alla prostata (tab 2.1). In

seguito ad una conferenza nel 1989, il termine PIN fu adottato come il più appropriato per questa lesione

(tab 2.2) allineandolo alle altre lesioni maligne di altri organi quali la neoplasia intraepiteliale cervicale

(CIN). I cancri della zona di transizione non sono generalmente associati al PIN, ma nei tumori della zona

periferica il PIN è frequentemente trovato adiacente ai carcinoma (21, 22). Un PIN grave è spesso più

rilevante nei tumori multifocali (21). A parte i pleiomorfismi nucleari già menzionati, le lesioni PIN dividono

anche altre caratteristiche col tumore maligno, come la perdita della continuità dello strato basale (23), la

produzione di acido mucinico (24), tracce di differenziazione come evidenziato da un diminuito

immunostaining del PSA (26, 27) e anormalità dei ploidi.

La diagnosi di un “highgrade” PIN è stabilita da un’aumentata proliferazione e da cambiamenti citologici. Il

PIN è comunemente associato con il cancro alla prostata e con una disgregazione dello strato basale

come identificato dall’analisi immunoistochimica della citocheratina ad alto peso molecolare. Un’altra

lesione che è stata proposta rappresentare un cambiamento pretumorale e una atipica iperplasia

adenomatosa. Quest’ultima simile in apparenza al carcinoma basso grado può anche essere associata

ad una disgregazione dello strato basale sebbene evidenze recenti suggeriscono che questo non sia un

cambiamento pre-maligno. Come negli altri sistemi di organi, il grado di malignità o il suo livello di

partenza si è stabilito essere un importante marker prognostico nella prostata. Diversi sistemi di

classificazione sono stati proposti ma quello applicato più ampiamente è quello di Gleason (28) per

definire il grado del tumore. In particolare, dall’esame bioptico e dall’analisi al microscopio dell’istologia

del campione di carcinoma alla prostata prelevato, esiste la possibilità di stabilire il grado di aggressività

17

del tumore facendo riferimento al sistema di Gleason che si basa esclusivamente sull’architettura delle

ghiandole considerando il livello di organizzazione strutturale che i campioni tissutali analizzati

presentano. Si distinguono 5 diversi gradi di differenziamento, da 1 a 5: i gradi 1 e 2 Gleason non si

discostano molto dalla prostata normale; nel grado Gleason 3 ancora si riconosce l’unità ghiandolare, ma

si osserva un’invasione nello stroma muscolare da parte delle ghiandole; nel grado Gleason 4 si ha una

notevole perdita di organizzazione con distruzione della normale unità ghiandolare, fenomeno questo che

si accentua nel grado Gleason 5. Importante poi per stabilire la severità del tumore e la prognosi è il

cosiddetto Gleason score che può variare da 2 a 10 e che risulta dalla somma dei gradi attribuiti a due

diversi elementi del campione tissutale. Maggiore è il Gleason score, peggiore risulta essere la prognosi,

come confermato da uno studio di Chodak e collaboratori del 1994 (46).

1.10 Progressione verso l’ormono-indipendenza

La disponibilità di farmaci che inibiscono a vari livelli e con meccanismi diversi l’azione ormonale ha

consentito di sostituire le vecchie terapie ablative chirurgiche con i medesimi soddisfacenti risultati in

termini di regressione del carcinoma prostatico in fase avanzata. Comunque, in un lasso di tempo

variabile dall’inizio della terapia endocrina, tale tumore diventa resistente alle terapie iniziali. Il fenomeno

della progressione verso l’ormono-indipendenza costituisce pertanto un problema biologico e clinico di

notevole rilevanza. Una delle ipotesi alla base di questo fenomeno è che in un tessuto tumorale possano

esistere cloni che mantengono la dipendenza ormonale (e che quindi risentono positivamente dei

trattamenti che rimuovono lo stimolo trofico) e cloni cellulari indipendenti che esprimono altri segnali

oncogenici e possono, col tempo, diventare dominanti e incontrollabili. Un’altra causa della perdita

dell’ormono-responsività è l’espressione costitutiva di uno o più geni coinvolti nella crescita cellulare. Una

serie di geni regolatori della crescita sono iper espressi, amplificati, mutati o parzialmente deleti (c-myc,

p53 e il recettore dell’FGF). Diverse mutazioni somatiche sono state determinate in campioni tumorali di

pazienti affetti di carcinoma prostatico. Tali mutazioni sono state localizzate nell’hormone binding domain

del recettore androgenico; sebbene il numero delle mutazioni riportate dai vari gruppi sia estremamente

variabile, il più alto numero è nel gruppo dei tumori in stadio avanzato (stadio D) che non rispondono più

alle terapie ormonali. In un limitato numero di casi è stata dimostrata una aumentata risposta del

recettore mutato agli androgeni surrenalici, ai progestinici e agli antiandrogeni. Altri tipi di mutazione del

18

recettore androgenico, di tipo disattivante, sono stati riscontrati nel carcinoma prostatico latente e

potrebbero essere responsabili della mancata progressione del tumore.

1.11 h (human) ZAC: un nuovo fattore di trascrizione antiproliferativo

hZAC è una seven Zinc-finger protein di 463 aminoacidi (50 kDa) appartenente alla famiglia C2H2 che

controlla contemporaneamente l’apoptosi e la progressione del ciclo cellulare attraverso pathways

separati, è l’unico gene umano a condividere con p53 e m (murino) Zac1 questa capacità funzionale.

Secondo la mappa del genoma umano hZAC è localizzato tra i markers D6S308 e D6S978 sul 6q24-25

(47). Analisi Northern blots mostrano diverse varianti dell’mRNA del gene hZAC, con un peso compreso

tra le 3 e le 8 kb, suggerendo che il messaggero possa andare incontro a diversi splicing alternativi e/o

sia soggetto a differenti poliadenilazioni (48). A causa delle sue proprietà funzionali, della sua

localizzazione cromosomica e della sua mancanza di espressione in modelli di cellule trasformate si

ipotizza un ruolo di ZAC come tumor suppressor gene (TSG) (49).

Recentemente è stato dimostrato che mZac1 interagisce con membri della superfamiglia dei recettori per

gli steroidi e loro co-attivatori: mZac1 sembrerebbe quindi avere un ruolo nel controllo della proliferazione

dei tessuti ormone-dipendenti (50). Il gene mZac1 è stato anche isolato da Abdollahi e collaboratori (51), i

quali erano alla ricerca di geni la cui espressione fosse persa in modelli in vitro di cellule ovariche a

seguito di trasformazione neoplastica: questi ricercatori hanno dato allo stesso gene il nome di LOT1 (da

Lost On Transformation). Dei 9 esoni che costituiscono il gene di hZAC i primi sette sono esoni non

codificanti: sono questi ad andare incontro a splicing alternativo. Il primo esone si trova a circa 60 kb a

monte del primo esone codificante (l’esone 8) (49).

1.12 Geni hZAC e mZac1

Mentre l’organizzazione genomica dei due geni è essenzialmente uguale (l’analogo murino mappa nella

regione prossimale del cromosoma 10), le proteine umana e di topo differiscono significativamente nella

sequenza aminoacidica. mZac1 ha due domini assenti rispetto dal suo omologo umano: una regione

contenente 34 triplette ricche in prolina (PLE, PMQ, PML) e una regione costituita prevalentemente da

prolina, acido glutammico e glutammina. Nonostante queste differenze strutturali, però, le due proteine, in

saggi di apoptosi e differenziamento del ciclo cellulare, sono funzionalmente indistinguibili (47, 52).

19

2. NEUROPEPTIDE Y (NPY)

Il Neuropeptide Y (NPY) fu per la prima volta isolato dal cervello di suino da Tatemoto e Mutt utilizzando

una metodica specifica per l’identificazione di peptidi con residui carbossi-terminali amidati (53). L’NPY fa

parte di una famiglia di peptidi costituiti dallo stesso NPY e da due ormoni intestinali, il peptide YY (PYY)

(54) e il polipeptide pancreatico (PP) (55). Mentre l’NPY è localizzato solamente a livello neuronale e il

PP si trova principalmente nelle cellule endocrine del pancreas, differenti da quella che producono

insulina, glucagone o somatostatina, il PYY è sintetizzato prevalentemente nel tratto digestivo (54) ad

opera sia di cellulare endocrine che di neuroni, facendo quindi ipotizzare possibili funzioni di

neurotrasmettitore (56). PYY e NPY originarono, presumibilmente, da una duplicazione di un gene

ancestrale comune nei vertebrati, ma i lori geni sono collocati su cromosomi differenti. In modo simile, il

gene PP origina, probabilmente, da una duplicazione del gene PYY ed i loro geni sono posti uno vicino

all’altro nello stesso segmento cromosomiale (57). PYY e PP hanno una sequenza omologa a quella di

NPY rispettivamente per il 70 e 50%. Ognuno di questi peptidi è composto da 36 aminoacidi,

caratterizzati da un considerevole numero di residui tirosinici amidati in posizione C-terminale. Basandosi

sulla struttura cristallografica del PP aviario, è stato proposto un modello tridimensionale di NPY, PYY e

PP che fa riferimento a un modello definito “PP-fold”. Le caratteristiche comuni della famiglia dei peptidi

“PP-fold” consistono in un’elica poliprolinica (residui 1-8) seguita da una struttura a forcina rigida che

ruota e un’elica antiparallela (aminoacidi 13-32) che terminano in un corto ammide tetrapeptidico

spazialmente vicino alla porzione N-terminale (58, 59). NPY è uno dei peptidi più conservati tra quelli

conosciuti (57). Infatti, la sequenza aminoacidica di NPY nella specie Torpedo marmorata è identica a

quella dei mammiferi in 33 dei 36 aminoacidi che lo compongono; le sequenze aminoacidiche dell’NPY,

in diversi mammiferi, differiscono solo in due dei 36 aminoacidi. Al contrario, PYY ha una variabilità di otto

aminoacidi tra i diversi ordini di mammiferi e poiché PP si è evoluto molto rapidamente, è considerato uno

dei meno conservati (56).

2.1 NPY: sintesi e processing

Nell’uomo, il gene NPY si trova sul cromosoma 7 in posizione 7p15.1 ed è composto da quattro esoni che

codificano per un trascritto delle dimensioni di 0.8 kb (60). Il promotore presenta la tipica struttura della

20

regione regolatrice di un gene eucariotico; infatti, procedendo in direzione 5' dal sito d’inizio della

trascrizione, si incontrano diverse sequenze consenso putative per fattori di trascrizione quali: una

sequenza TATA canonica, una consenso per SP-1 (un fattore di trascrizione capace di attivare i

promotori di molti geni ad espressione costitutiva), una per AP-1, una per CAAT, altre cinque sequenze

consenso per SP-1 (61).

L’NPY è il peptide più espresso a livello del sistema nervoso centrale (SNC); viene sintetizzato

principalmente negli interneuroni GABA-ergici e immagazzinato in vescicole a livello dei terminali nervosi.

Una stimolazione neuronale prolungata e associata a stimoli motori causa il rilascio di NPY e di altri

neuropeptidi quali somatostatina, encefaline, tachichinine e colecistochinina, oltre ai classici

neurotrasmettitori (62, 63). Mentre i depositi tissutali dei trasmettitori classici sono ricostituiti rapidamente

dopo stimoli acuti attraverso un re-uptake e una sintesi locale a livello dei terminali nervosi, i neuropeptidi

vengono degradati dopo il loro rilascio (64). I livelli tissutali dei neuropeptidi, quindi, diminuiscono spesso

per 2-3 giorni dopo un episodio acuto di stimolo intenso (65). Affinché il neuropeptide si riaccumuli nei

depositi è necessaria una sintesi ribosomiale del rispettivo prepro-peptide a livello del pericarion. I pro-

peptidi vengono poi processati all’interno del nucleo delle vescicole via reticolo endoplasmatico e

apparato del Golgi per poi essere conseguentemente convertiti da enzimi proteolitici (pro-ormone

convertasi) nei rispettivi peptidi maturi (66). Le vescicole contenenti il pro-peptide e/o il peptide maturo

vengono trasportati alla terminazione nervosa prima che il peptide sia disponibile per il proprio rilascio.

Questo processo complicato e lungo spiega la prolungata deplezione tissutale dei neuropeptidi,

conseguente al loro rilascio, dopo stimoli acuti indotti (66).

L’NPY biologicamente attivo deriva da un precursore di 97 aminoacidi, il pre-proneuropeptide Y

(proNPY), che subisce almeno quattro eventi enzimatici post-trasduzionali (67). Dopo la rimozione della

sequenza segnale, si forma il proNPY, composto da 69 aminoacidi, il quale subisce una successiva

reazione di proteolisi, a livello di un singolo paio di aminoacidi basici (Lys38-Arg39) ad opera degli enzimi

proconvertasi PC1/3 e/o PC2, da cui ha origine la forma NPY1-39 e un peptide carbossi-terminale di 30

aminoacidi, che è il peptide C-flanking dell’NPY (CPON) (58). Studi di cinetica hanno dimostrato che

l’enzima PC1/3 è molto più efficiente di PC2 nel clivaggio del proNPY (68). NPY1-39 è ulteriormente

processato da un enzima carbossipeptidasi simile che porta alla formazione di NPY1-37, che viene amidato

nella parte C-terminale dall’enzima peptidil-α amidasi monossigenasi, in un processo che, rimuovendo un

singolo amminoacido, porta alla formazione di NPY1-36 (forma biologicamente attiva). Esso può essere

21

degradato da specifici enzimi generando NPY2-36 e NPY3-36. La dipeptidil peptidasi IV (DPPIV) è una

proteasi di membrana che ha una attività di clivaggio sulla prolina in penultima posizione (69). La

rimozione del dipeptide Try-Pro nella parte N-terminale di NPY, da parte di DPPIV genera la forma NPY3-

36, un frammento con una ridotta affinità per il recettore NPY Y1, ma che mantiene la sua capacità di

legare i recettori NPY Y2 e NPY Y5 (70). DPPIV è presente nei reni, nel fegato, nell’ileo ed è inoltre

abbondante a livello delle cellule endoteliali, epiteliali, e degli astrociti così come a livello dei linfociti T e B

attivi (71). E’ stata anche trovata una forma solubile di questo enzima (72). Nell’uomo un altro enzima,

l’ammino-peptidasi P (AmP), rimuove a livello renale e del digiuno, una tirosina N-terminale dai peptidi

PYY e NPY generando la forma NPY2-36 (73), un potenziale agonista semiselettivo per i recettori NPY Y2

e NPY Y5. L’AmP è presente nei polmoni (74), negli astrociti e nei neuroni, così come a livello della

muscolatura liscia e delle cellule endoteliali (75). Anche per questo enzima esiste una forma solubile

circolante (74).

NPY può essere degradato anche dalle proteasi presenti a livello del sistema nervoso centrale (SNC); ad

esempio, nei sinaptosomi dell’ippocampo, attraverso un singolo clivaggio tra i residui Leu30 e Ile31, NPY

viene metabolizzato efficacemente nei frammenti NPY1-30 (troncato a livello C-terminale terminale) e

NPY31-36. Si ipotizza che gli enzimi coinvolti in questo processo abbiano proprietà aspartil proteasica. In

aggiunta, la endopeptidasi neutra che si trova nella membrana sinaptica del nervo striato e a livello renale

ha una maggiore attività idrolizzante su NPY. Al contrario, NPY è resistente all’azione enzimatica di altre

due amminopeptidasi di membrana, la amminopeptidasi N e W, e all’azione dell’enzima angiotensina

convertasi (76).

Nell’uomo, le concentrazioni plasmatiche di NPY sono normalmente comprese in un range tra 0.25 e 129

pM (77, 78). Questa variabilità nei valori delle concentrazioni sieriche di NPY circolante è probabilmente

dovuta ad una cross reattività dell’antisiero NPY-specifico verso il pro-NPY, i frammenti di NPY, così

come verso i peptidi PYY e PP. Nei ratti, i valori delle concentrazioni sieriche di NPY variano da 25 pM a

3000 pM. In modo particolare, in queste specie il prelievo potrebbe rappresentare un problema, poiché le

piastrine contengono alti livelli di NPY e l’emorragia causa il rilascio di NPY dalle terminazioni dei nervi

simpatici (79).

2.2 Distribuzione anatomica

22

Nei mammiferi sono state identificate elevate quantità di NPY sia in molteplici aree cerebrali che nel

sistema nervoso periferico (80). A livello del sistema nervoso centrale è stata evidenziata un'analogia per

quanto riguarda la distribuzione del peptide nell'uomo e nel ratto. In quest’ultimo, le più alte

concentrazioni sono state ritrovate a livello del sistema limbico (amigdala e nucleo accumbens) e

dell'ipotalamo (81, 82), mentre più basse quantità sono state rilevate nei gangli della base, nel globo

pallido, nell’ippocampo e nella corteccia (81). Al contrario, nell'uomo, studi post-mortem hanno mostrato

che la quota maggiore è in corrispondenza dei gangli della base (caudato e putamen), del nucleo

accumbens e dell’amigdala, mentre un’immunoreattività moderata è stata rilevata nell'ipotalamo,

nell’ippocampo, nel nucleo settale ed in alcune aree corticali (83); molto bassa è invece la concentrazione

di NPY a livello del talamo e della substantia nigra (84). Sia nell’uomo che nel ratto, l’NPY è stato

identificato a livello della colonna vertebrale, in particolare nella regione delle corna dorsali (85, 86).

Un'immunoreattività NPY specifica (NPY-IR) in corrispondenza delle terminazioni nervose simpatiche

associate ai vasi sanguigni fa supporre la presenza di NPY anche a livello di alcuni organi endocrini. A

conferma di ciò, Lundberg e Terenius hanno osservato che a livello periferico NPY è selettivamente

coespresso con la noradrenalina e la norepinefrina (87), suggerendo interazioni funzionali reciproche tra

questi agenti (88). Una NPY-IR è stata anche rilevata nella tiroide, nella cute, nella milza, nei reni, e

anche a livello dell'apparato genitale femminile, dove esplica un effetto inibitorio, in modo dose-

dipendente, sulla contrazione delle tube di Falloppio indotta dalle catecolamine (89). L’NPY, secondo uno

studio condotto da Bagnoli e collaboratori (90), potrebbe avere un ruolo fondamentale anche nello

sviluppo della retina dei mammiferi visto che se ne osserva una elevata espressione, associata ad altri

peptidi, proprio in corrispondenza dell’apertura degli occhi.

2.3 I recettori NPY

I peptidi NPY, PYY e PP interagiscono tutti con una famiglia di recettori accoppiati alle G-protein,

appartenenti alla superfamiglia dei recettori simili a quelli di classe 1 della rodopsina. Nei mammiferi sono

stati clonati cinque sottotipi recettoriali per NPY (Y1, Y2, Y4, Y5, y6), mentre il sottotipo recettoriale Y3,

non ancora clonato, è stato postulato sulla base di studi farmacologici effettuati su tessuti di mammifero.

Al recettore y6 è stata assegnata questa nomenclatura minuscola (nomenclatura della International Union

of Pharmacology (IUPAR) (91) poiché la proteina del recettore è tronca nella maggior parte dei

mammiferi, compreso l’uomo. Il recettore y6 è funzionale nei topi e ciò va considerato per interpretare

23

alcuni dei risultati nei topi knockout. I recettori Y1, Y2, Y4, Y5 clonati sono tutti associati alle proteine G i

che mediano l’inibizione della sintesi di cAMP (92-95). L’attivazione dei recettori per l’NPY, da parte di un

segnale extracellulare, coinvolge la fosforilazione, sensibile alla tossina della pertosse, mediata dalle

protein chinasi (PKC) 1 e 2, confermando che questi recettori sono accoppiati a proteine G i o Go. Mentre

PKC media la fosforilazione connessa principalmente al recettore Y5 e al Y1, una via PKC indipendente

potrebbe anche essere coinvolto nei segnali mediati dai recettori Y1, Y2, Y4 (96). I recettori per l’NPY

sono associati anche alla fosfoliposi C (PLC) determinando il rilascio di Ca 2+ intracellulare (92, 93, 97,

98). I recettori NPY mostrano molte delle caratteristiche strutturali dei recettori rodopsina-simili, incluse

due cisteine extracellulari che si ritiene formino un legame disulfide tra il primo e il secondo loop

extracellulare, come descritto per la struttura della rodopsina bovina ottenuta per cristallografica a raggi X

(99).

Y1, Y4, y6 hanno inoltre due cisteine aggiuntive, una nella coda ammino-terminale e una nel terzo loop

extracellulare, che può quindi formare potenzialmente un secondo legame disulfide. Tutti i recettori per

l’NPY hanno almeno una cisteina nella coda citoplasmatica che probabilmente, attraverso

palmitoilazione, ancora la coda all’interno della membrana. I recettori Y1 e Y4 hanno tre siti di

glicosilazione del tipo (Asn-X-Ser/Thr) localizzati sul lato extracellulare del residuo ammino-terminale e

uno nel secondo loop extracellulare, mentre i recettori Y2 e Y5 hanno rispettivamente uno e due nella

porzione ammino terminale (99).

Nei mammiferi, i cinque recettori Y possono essere divisi in tre sottofamiglie distinte sulla base della loro

omologia aminoacidica. Queste sottofamiglie sono state chiamate come i loro primi membri Y1, Y2, Y5, i

quali presentano una omologia solo del 27-31% che raggiunge il 40-43% nella regione transmembrana

(100). Poiché ognuno di questi recettori si evolve lentamente, si può presumere che esistano da molto

tempo e ciò è stato peraltro confermato dal ritrovamento nella lampreda di fiume (Lampreta fluvialis) di

geni Y1 (101) e Y2 simile (102). La sottofamiglia Y1 comprende i recettori Y1, Y4, y6 dei mammiferi i

quali presentano una identità aminoacidica del 50%, che raggiunge il 60% nelle regioni transmembrana

(100). Nella sottofamiglia Y1 sono incluse anche tre recettori dello zebrafish a cui furono inizialmente

attribuiti i nomi provvisori di Ya, Yb, Yc (103). La sottofamiglia Y2 comprende il recettore Y2 e Y7

scoperto di recente nello zebrafish e identificato anche nelle rane (104).

2.4 La sottofamiglia Y1: Y1, Y4, y6

24

Il primo recettore Y ad essere clonato fu il sottotipo Y1 (93, 105, 106), un tipico recettore peptidico

appartenente alla superfamiglia della rodopsina e accoppiato alle proteine G. Studi condotti in diverse

specie di mammiferi (107) ed anche nel pollo (108) hanno evidenziato una caratteristica peculiare, di

questo recettore, che è quella di legare le forme attive sia del PYY che dell’NPY, ma non le forme

tronche. Il recettore Y1 è stato clonato anche nella rana Xenopus laevis (109) e nello spinarolo imperiale

(Squalus acanthias) (110), sebbene su di essi non sia stato condotto alcuno studio funzionale.

Sorprendentemente nessuna sequenza del Y1 è stata identificata nel genoma sia dello zebrafish che del

pesce palla (102).

Il secondo membro della sottofamiglia Y1 è il sottotipo Y4, il quale presenta un’affinità maggiore per il

peptide PP (98, 111) rispetto ai peptidi NPY e PYY. Tale affinità è più accentuata nel ratto e nel topo

rispetto ad altre specie di mammiferi, quali l’uomo e il porcellino d’India, suggerendo che vi è stata una

più rapida evoluzione del PP e dell’Y4 nei roditori (57, 112). Il sottotipo Y4 è stato identificato e

caratterizzato anche nel pollo dove, sorprendentemente, mostra affinità uguale per NPY, PYY e PP (113).

Nell’uomo, studi in vivo condotti con PP suggeriscono che Y4 potrebbe avere un effetto di riduzione

sull’appetito (114).

Interessante è stata la scoperta di un terzo recettore Y1-simile, che dopo l’identificazione nel topo e nel

coniglio e la caratterizzazione in vitro, è stato chiamato Y6 (115). Secondo la nomenclatura IUPAR,

poichè non è stata dimostrata alcuna attività fisiologica, il suo nome dovrebbe essere y6 (con la y

minuscola); tuttavia essendo il recettore apparso molto precocemente nell’evoluzione dei vertebrati, ciò

ha indotto Larhammar (102) a considerarlo al pari degli altri sottotipi e a scriverlo con la Y maiuscola (Y6).

Il recettore y6 è codificato da un pseudo gene nell’uomo e in alcuni primati (111, 116, 117), manca dal

genoma di ratto (118) e non è funzionale neanche nel porcellino d’India (119, 120). Si è però scoperto un

y6 funzionale in un parente lontano del suino, il pecari (102). Ciò fa sorgere il quesito se il gene y6 non

sia funzionale in tutti i mammiferi ed abbia quindi perso la sua funzione negli antenati dei mammiferi o se

sia stato inattivato indipendentemente in diversi generi di mammiferi, come suggerito dall’osservazione di

alcune distinte mutazioni inattivanti nei recettori y6 degli esseri umani, dei suini e dei porcellini d’India.

Nonostante y6 non sia importante in nessun mammifero, esso ha chiaramente un’origine evolutiva antica,

essendone state clonate le sequenze nei polli e nella rana come negli spinaroli imperiali (110).

2.5 La sottofamiglia Y2: Y2 e Y7

25

Il sottotipo Y2 fu descritto per la prima volta nel 1986 soltanto a livello farmacologico, come un recettore

presinaptico con affinità predominante per i peptidi NPY e PYY (Wahlestedt 1986) e solo

successivamente fu clonato nell’uomo. (97, 121, 122). Y2 ha una sequenza aminoacidica abbastanza

diversa da quella del Y1 con circa il 30% d’identità. Nel ratto e nel topo, cosi come nel porcellino d’India

(123) e nel pollo (124) Y2 possiede la peculiarità farmacologica di legare diversi frammenti di peptidi

tronchi quali, ad esempio, i peptidi NPY e PYY mancanti nella parte ammino-terminale degli aminoacidi

13, 18 o 22 (91). Il recettore Y2 è presente anche nelle rane, nello zebrafish, nella trota e nello spinarolo.

In queste specie è stato inoltre scoperto un nuovo recettore definito Y7. Le sue proprietà farmacologiche

sono state studiate solo nella zebrafish, dove si è evidenziato che, rispetto al sottotipo Y2, ha una

maggiore affinità ai ligandi peptidici tronchi (104).

2.6 La sottofamiglia Y5: Y5

La scoperta del recettore Y5 fu anticipata da diverse pubblicazioni che descrivevano la possibile

esistenza di un recettore coinvolto nella stimolazione dell’appetito, ma che fosse distinto dal Y1 (125-

127). La sua sequenza aminoacidica è correlata a quella dei recettori Y1 e Y2 e sebbene leghi gli stessi

ligandi, ha con loro una identità aminoacidica di solo il 30% (128, 129). La peculiarità farmacologica di Y5

è quella di avere un’alta affinità per le forme tronche (mancanti dei primi due aminoacidi) dei peptidi NPY

e PYY, ma di avere, a differenza di Y2, una bassa affinità nei confronti di frammenti più corti (91). La

stessa proprietà è stata osservata nel Y5 del porcellino d’India (130), mentre il Y5 del pollo lega anche

frammenti peptidici molto corti (108).

2.7 Il recettore Y1

Il recettore Y1 è stato il primo recettore NPY ad essere clonato. Nel ratto inizialmente fu pubblicato come

recettore orfano (105), e successivamente sulla base della distribuzione dell’mRNA nel cervello di ratto fu

identificato come recettore Y1 (93, Larhammar, 1992 #451). Il gene che codifica per Y1 si trova sul

cromosoma umano 4q (31.3-32) (131), insieme a quelli che codificano per Y2 e Y5. In tutte le specie

studiate, contrariamente agli altri recettori NPY, nella sequenza genica di Y1, gli esoni codificanti 2 e 3

sono separati da un piccolo introne di circa 100 paia di basi e nel topo le tre varianti (1a, 1b, 1c) di questo

recettore sono da attribuirsi ad una trascrizione alternativa di esoni non codificanti. Tra le diverse specie

26

in cui è stato identificato, il recettore Y1 mostra un’identità aminoacidica superiore al 95% nelle regioni

transmembrana (100).

Studi in vivo hanno portato all’identificazione nel topo di due varianti di questo recettore (132) la forma

corta di 307 aminoacidi, con pochi aminoacidi dopo il terzo loop extracellulare, forma un recettore a 7

domini transmembrana incompleto che lega l’NPY con un’affinità simile a quella per la proteina completa,

composta da 384 aminoacidi. Comunque, il signaling associato alla forma corta del recettore è

compromesso, indicando che i sette domini transmembrana e la coda carbossi-terminale non sono

essenziali per l’interazione ligando-recettore, bensì per l’attivazione della proteina G. Come molti recettori

accoppiati alle proteine G, il recettore Y1 può essere internalizzato insieme al ligando dopo stimolazione

con l’agonista; infatti dopo stimolazione con PYY il recettore Y1 è internalizzato rapidamente negli

endosomi e riciclato in superficie in 60 minuti, come mostrato da studi condotti utilizzando radioligandi

(133) o ligandi fluorescenti analizzati al microscopio confocale (134). Diversi promotori, alcuni dei quali

posizionati tra gli esoni, sono attivati alternativamente e permettono quindi una espressione recettoriale

tessuto-specifica (135). Y1 è presente in diversi tessuti quali il cervello, il cuore, i reni, il tratto

gastrointestinale ed è espresso costitutivamente in alcune linee cellulari come SK-N-MC (136), una linea

di neuroblastoma umano, e le cellule HEL (137), una linea cellulare di leucemia eritrocitaria. Analisi di

binding condotte in linee cellulari transfettate stabilmente hanno permesso di stabilire il seguente ordine

d’affinità per questo recettore: NPY=PYY=[Leu31,Pro34]NPY>frammenti C-terminali di NPY>PP (106,

Magni, 2003 #2003). Comunque, dopo che sono stati clonati i recettori Y4 e Y5, si notò, ad esempio, che

[Leu31,Pro34]NPY, un classico agonista Y1, era un ligando più selettivo per questi altri due recettori

piuttosto che per il Y1. Nuovi agonisti quali [D-Arg25]NPY, [D-His26]NPY e DesAA11-18[Cis7,21,D-Lys9(Ac),D-

His26,Pro34]NPY, [Phe7,Pro34]NPY possiedono un’alta affinità per il recettore Y1, inibendo la produzione di

AMP ciclico (cAMP) indotta da forskolina già a concentrazioni picomolari (138). Questi agonisti, nei

roditori, somministrati per via intracerebroventricolare stimolano il pasto in maniera dose dipendente,

suggerendo un ruolo, per il recettore Y1, di mediatore del comportamento alimentare.

Sebbene la prima azione associata a Y1 fu la mediazione della vasocostrizione (139), esso regola anche

la stimolazione del food intake e l’attivazione dell’asse neuroendocrino. Poiché il recettore Y1 poteva

rappresentare un potenziale target terapeutico, si iniziarono studi di screening di antagonisti non peptidici.

Il BIBP3226, il primo antagonista selettivo per Y1, aveva una K i nel range delle nanomolare (140) con una

affinità non significativa per gli altri recettori. Sfortunatamente sia la bassa bioattività che solubilità ne

27

hanno precluso un largo impiego in studi in vivo. Tuttavia, una somministrazione periferica del BIBP3226

è in grado di attenuare, nei reni e nella mucosa nasale, sia l’effetto indotto da NPY esogeno, sulla

pressione sanguigna (141), che la vasocostrizione susseguente ad una stimolazione del nervo simpatico

(142). Altri antagonisti Y1, non peptidici, quali 1229U91 e GR231118, pur avendo un’alta affinità per Y1 e

mostrando una buona azione di blocco delle azioni mediate da questo recettore, hanno proprietà

agoniste per il recettore Y4 (121).

2.8 Il recettore Y2

Un cDNA codificante il recettore umano NPY Y2 fu inizialmente clonato nella linea cellulare SMS-KAN, e

successivamente dal cervello umano così come dalla linea cellulare di neuroblastoma umano KNA-TX

(121). Nell’uomo, il gene codificante per Y2 si trova sul cromosoma 4q31, prossimo ai loci dei recettori Y1

e Y5 (143) e codifica per una proteina di 381 aminoacidi (Ammar 1996) altamente conservata fra le

specie e con più del 90% di identità fra i mammiferi. L’mRNA per il recettore Y2 è stato identificato in vivo,

in varie regioni del sistema nervoso centrale (SNC) (144, Sten Shi, 1997 #2782) ed in vitro nelle linee

cellulari umane LN319 e SMS-KAN, così come nella linea di neuroblastoma umano SH-SY5Y (145). La

peculiarità del recettore Y2 è quella di legare il frammento peptidico carbossi-terminale con elevata

affinità; tale estremità deve essere intatta per quanto concerne gli ultimi 12 aminoacidi (25-36) e deve

risultare amidata ai fini dell’attività biologica (146). A differenza del recettore Y1, non sembra

internalizzarsi dopo stimolazione agonista prolungata (Parker 2001, Gicquiaux 2002) o lo fa molto

lentamente. Il recettore Y2 lega gli analoghi dell’NPY con il seguente ordine di potenza:

NPY=PYY=frammenti C-terminali di NPY>[Leu31,Pro34]NPY>PP (97, 147); alcuni frammenti tronchi

dell’NPY, come 1-4-Ahx-25-36 NPY e [Leu28,31]NPY24-36 hanno un’aumentata selettività per Y2 se

comparati all’agonista NPY13-36 (145, 148).

2.9 Il recettore Y3

Il recettore y3 è un recettore putativo che non è stato mai clonato, ma caratterizzato sia

farmacologicamente che funzionalmente utilizzando analoghi tronchi di NPY o NPY simili. Infatti, una

peculiarità di y3 è la possibilità di essere attivato da NPY, ma non da PYY. La potenza degli analoghi di

NPY sui recettori y3 può dipendere dalla specie e dai tessuti studiati (149), seppur solo un piccolo

numero di tessuti sembra esprimerlo. Ad esempio, nei bovini, le cellule surrenaliche cromaffini (150), nei

28

ratti, i neuroni simpatici dei gangli cervicali superiori (151), i nuclei del tratto solitario (152), le membrane

del ventricolo cardiaco (153), il colon distale (154, 155) nel ratto e nelle cellule PC12 differenziate,

feocromocitoma di ratto, con NGF (156), esprimono siti di legame con un profilo farmacologico coerente

con quello associato al recettore y3. Comunque, si è stabilito che l’ordine di potenza degli analoghi

dell’NPY nello stimolare la secrezione di catecolamine da cellule cromaffini è il seguente: NPY> NPY13-36=

NPY3-36=PP>>>[Leu31,Pro34]NPY=PYY (157). Non si può tuttavia escludere che questo pattern di

stimolazione rifletta la presenza di più di un recettore sulla superficie cellulare, che potrebbe quindi legare

indipendentemente differenti ligandi o potrebbe anche formare dimeri con particolare affinità di legame

per gli analoghi di NPY (149).

2.10 Il recettore Y4

Il gene del recettore Y4, clonato da diversi gruppi (98, 158), è localizzato sul cromosoma 10q11.21 (159)

in modo abbastanza diverso rispetto alla localizzazione cromosomica dei recettori Y1 e Y2. Paragonando

le sequenze dell’uomo e del ratto, solo il 75% degli aminoacidi sono uguali, suggerendo che il recettore

Y4 sia, tra i recettori accoppiati alle proteine G, uno di quelli che si è evoluto più rapidamente (160).

Y4 ha un’alta affinità per il peptide PP ed una relativamente più bassa per NPY (121) ed il fenomeno

dell’internalizzazione è controverso, infatti Parker (133) riporta che Y4 si internalizza in seguito ad una

stimolazione con agonista, mentre Voisin (161) asserisce il contrario. Recentemente Berglund (162) ha

dimostrato che il recettore Y4, espresso in cellule di mammifero, forma un omodimero costitutivo che si

dissocia dopo stimolazione con agonista. L’Analisi Northern blot indica che Y4 è espresso, nell’uomo,

principalmente a livello dell’intestino, del colon, della prostata, dei muscoli lisci e scheletrici; in ogni modo

modesti livelli di mRNA di Y4 sono stati evidenziati anche a livello dell’ipotalamo e dell’amigdala (158,

163). Nella famiglia dell’NPY, NPY dimostra un’elevata affinità per i recettori Y1, Y2 e Y5 e solo moderata

per il Y4, mentre il peptide PP lega preferenzialmente Y4 mostrando una bassa affinità per gli altri

sottotipi recettoriali. La peculiarità del recettore Y4 è quindi quella di legare PP con alta affinità (98, 161).

Comunque il PP umano sembra avere un’affinità significativa non solo per il recettore Y4 umano, ma

anche per quello di ratto e di topo. Anche il peptide PYY e alcuni analoghi di NPY con la [Pro34] sostituita

hanno una alta affinità per il sottotipo recettoriale Y4 (98); da notare che [Leu31, Pro34]NPY è il solo

analogo di NPY che è in grado di interagire significativamente, nel ratto, con il Y4 (160). Comunque, alte

concentrazioni di NPY non influenzano l’accumulo di cAMP indotto da forskolina, mentre concentrazioni

29

nanomolari di NPY sono in grado di spiazzare PP dai suoi recettori in linee cellulari umane che

esprimono il sottotipo Y4 (161). Questi dati suggeriscono che NPY potrebbe legarsi al recettore NPY Y4,

ma non necessariamente attivare vie di segnale intracellulari secondarie. Considerati nel loro complesso,

questi studi indicano che PP è il ligando endogeno principale del recettore Y4 (149).

2.11 Il recettore Y5

Il gene Y5 si trova sul cromosoma umano 4 (4q32), più precisamente nello stesso locus del gene di Y1,

ma è trascritto in direzione opposta (125); esso codifica per una proteina di 446 aminoacidi (126) che ha

un terzo loop citoplasmatico esteso, con circa 100 aminoacidi in più rispetto agli altri recettori dell’NPY.

Comunque la coda carbossi-terminale di Y5 è molto più corta di quella degli altri recettori Y1, Y2 e Y4. Il

recettore Y5 è molto ben conservato (88-90% di identità aminoacidica e 95-98% se il terzo loop

intracellulare non viene considerato) tra le specie di mammiferi (127).

Enormi interessi sono stati fatti convergere sull’identificazione del recettore Y responsabile del controllo

dell’assunzione di cibo; studi fisiologici iniziali suggerivano che questo controllo potesse essere attribuito

al recettore Y1, ma studi sul recettore clonato Y1 rivelarono una bassa affinità per il peptide NPY 2-36, un

ligando con le caratteristiche di un potente fattore in grado di indurre l’assunzione di cibo. Inoltre, studi in

situ in aree ipotalamiche coinvolte nella regolazione dell’appetito, mostrano bassi livelli di mRNA per il

recettore Y1, suggerendo l’esistenza di un unico recettore dell’appetito localizzato nel nucleo

paraventricolare dell’ipotalamo (164, 165). Il recettore Y5 isolato mostra un profilo farmacologico simile a

quello proposto per il recettore dell’appetito e comunque questo profilo condivide diversi aspetti con Y1,

possedendo una sostanziale affinità con gli agonisti Y2 specifici, come NPY2-36 e NPY3-36 (125, 126).

L’iniezione di questi peptidi a concentrazioni nanomolari all’interno di alcuni nuclei dell’ipotalamo, dove è

espresso l’mRNA di Y5, stimola drammaticamente l’assunzione di cibo (125).

Y5 mostra una scarsa identità nei confronti degli altri membri della famiglia dei recettori Y, con una

maggior affinità nei confronti di Y1 (35%), ed è inoltre caratterizzato da alcuni inusuali tratti distintivi, quali

la terza ansa intracellulare molto lunga e una catena carbossi-terminale molto corta. L’ mRNA del

recettore Y5 è stato identificato in alcune aree del cervello, incluse quelle ritenute importanti per la

regolazione dell’assunzione di cibo e, a livello periferico, principalmente nei testicoli (149). In cellule

transfettate per Y5, questo sottotipo recettoriale risulta essere accoppiato con una proteina G inibitoria e

al blocco dell’accumulo di cAMP. Gli analoghi dell’NPY hanno dimostrato il seguente grado di potenza nel

30

legare Y5, nell’inibire l’accumulo di cAMP e nella stimolazione dell’appetito: NPY = PYY >

[Leu31,Pro34]NPY = NPY2-36 = NPY3-36 > NPY13-36 (125).

Il PP ha una affinità molto bassa per i recettori Y5 umani e di ratto, mentre i peptidi PP umano e bovino

hanno un’affinità significativa per Y5. Il primo analogo dell’NPY con una capacità selettiva per il Y5 è

stato [D-Trp32]NPY (166) e seppur descritto come un antagonista, questo composto stimolava il food

intake nei ratti (167, 168), indicando o che il food intake non era mediato da questo recettore o che

questo composto fosse meno selettivo di quanto ci si aspettasse.

Poiché entrambi i recettori Y1 e Y5 si pensa giochino un ruolo importante nella regolazione

dell’assunzione di cibo, l’espressione coordinata dei loro geni specifici potrebbe essere importante nella

modulazione dell’attività di NPY. Basandosi sulla distribuzione dell’mRNA del recettore Y5 e

sull’attivazione del recettore clonato Y5, indotta dagli stessi ligandi che stimolano l’assunzione di cibo nel

modello in vivo, si è proposto che Y5 sia il recettore dell’appetito (125, 126). Comunque questi studi non

sono in grado di distinguere definitivamente Y5 dagli altri sottotipi, conosciuti o sconosciuti, che possono

a loro volta stimolare l’assunzione di cibo. Perché si possa dimostrare l’identità dei sottotipi recettoriali

responsabili dell’induzione dell’assunzione di cibo, sono necessari ulteriori studi, inclusi esperimenti con

modelli knockout per i vari geni e studi funzionali con un repertorio di agonisti e antagonisti selettivi (149).

2.12 Il recettore y6

Un recettore aggiuntivo è stato clonato recentemente in specie differenti e ad esso è stato attribuito il

nome di y6. Studi di ibridazione fluorescente in situ hanno localizzato il gene umano codificante per il

recettore y6 sul cromosoma 5q31. Ad oggi la distribuzione tissutale di questo sottotipo recettoriale non è

molto chiara, anche se l’espressione genica è stata osservata nel cervello di topo, attraverso l’ibridazione

in situ, ma non confermata da analisi Northern blot (169), così come nei conigli, dove y6 è stato

identificato, solo attraverso analisi RT-PCR, in alcune aree cerebrali, incluse l’ipotalamo e l’ippocampo,

nel piccolo intestino e nel surrene, mentre l’analisi Northern blot è risultata positiva solo nel cuore e nei

muscoli scheletrici. Comunque, la scoperta più importante è che le sequenze dell’uomo e della scimmia

contengono una mutazione putativa strutturale recettoriale a livello del terzo loop intracellulare (116) che

introduce un codone di stop aggiuntivo, codificando per una proteina troncata di solo 290 aminoacidi.

Quindi, sebbene i topi esprimano una proteina di lunghezza completa, l’espressione nei primati non

produce una proteina funzionale (119). E’ importante sottolineare come la farmacologia dei recettori y6

31

differisca drasticamente tra queste due specie: nel topo, il recettore ha un’elevata affinità per PP e [Leu 31,

Pro34]NPY e nessuna per il frammento carbossi-terminale dell’NPY; questo ordine è completamente

invertito a livello del recettore y6 del coniglio (111), un dato questo, che ancora una volta pone in

evidenza l’importanza dei ligandi competitori e radioligandi impiegati.

2.13 Vie di trasduzione del segnale

I recettori per l’NPY sono recettori a sette domini transmembrana che appartengono alla famiglia dei

recettori accoppiati alle proteine G eterotrimeriche (la subunità , la e la ). In seguito al legame di un

agonista, le proteine inattive legate a GDP (guanosina difosfato) scambiano GDP con GTP (guanosina

trifosfato) a livello della subunità Gα, che quindi si dissocia dal dimero Gβγ. Entrambe la subunità attiva Gα

legata a GTP e il complesso Gβγ possono individualmente regolare, a valle del recettore, l’attività di

effettori specifici. Studi iniziali dimostrarono che NPY media alcuni dei suoi effetti fisiologici attraverso

l’inibizione dell’adenilato ciclasi (AC) (170, 171); determinando una diminuzione, in molte linee cellulari e

tessuti, dell’incremento di cAMP indotto da forskolina senza alcun effetto significativo sui livelli basali di

cAMP (149). Poiché si è dimostrato che questa risposta è sensibile alla tossina della pertosse, ciò indica

che i recettori sono accoppiati alle proteine eterotrimeriche inibitorie G i e Go. NPY induce, anche, una

mobilitazione del calcio, determinandone un aumento dei livelli intracellulari (137). La variazione della

concentrazione di Ca++, associata alla stimolazione dei recettori dell’NPY, può essere indotta da

meccanismi distinti: attivazione dell’influsso di Ca++ attraverso i canali di tipo L, inibizione dell’influsso

tramite i canali di tipo N e mobilizzazione da depositi intracellulari. In alcuni lavori è stata dimostrata

l’associazione fra l’incremento dei livelli del Ca++ e la generazione di inositolo fosfato (172), mentre in altri

non si è avuto lo stesso riscontro (137). Quindi i recettori dell’NPY possono essere accoppiati alla

mobilizzazione del Ca++ dai depositi intracellulari attraverso vie che dipendono dall’inositolo 1,4,5

trifosfato (IP3) o che sono indipendenti da quest’ultimo, così come avviene a livello delle cellule muscolari

liscie delle arterie polmonari del conoglio e dell’aorta del maiale (173, 174). Entrambe le vie di segnale,

cAMP e Ca++ sono comunque compatibili con le proprietà vasocostrittive dell’NPY e con la sua capacità di

potenziare l’azione di altri vasocostrittori. Studi condotti sempre su cellule muscolari liscie dell’aorta del

maiale, utilizzando un inibitore specifico della fosfolipasi C, hanno evidenziato un blocco non solo della

sintesi di IP3, NPY indotta, ma anche della mobilizzazione del Ca++ (174). Sempre in questo modello

cellulare, NPY induce anche una rapida fosforilazione della catena leggera della miosina, che

32

rappresenta uno step fondamentale per l’inizio della contrazione (175). Usando una serie di analoghi

dell’NPY, è stato dimostrato che l’inibizione dell’AC, così come lo stimolo del rilascio di calcio

intracellulare sono mediati dal recettore Y1 (149). Esperimenti di transfezione, usando cloni di cDNA per

Y1 hanno confermato che questo sottotipo recettoriale è quello in grado di inibire l’accumulo di cAMP

stimolato da forskolina, di aumentare i livelli di calcio intracellulari (93) e di stimolare la via di segnale

intracellulare mitogen-activated protein kinase (MAPK) (176, 177), in particolare di p42/p44 MAPK.

Quest’ultimo effetto sensibile alla tossina della pertosse, (coinvolgimento delle proteine Go e Gi),

potrebbe dipendere dalla fosfatidilinositolo 3 (PI-3) chinasi (176). La fosforilazione della proteina MAPK

da parte del recettore Y1 può essere a seconda del tipo cellulare, protein chinasi C (PKC) dipendente o

indipendente, come nel caso delle linee cellulari di carcinoma prostatico androgeno indipendente DU145

e PC3 (osservazioni personali).

I segnali intracellulari associati al sottotipo recettoriale Y2 sono stati, invece studiati particolarmente nei

neuroni gangliari della radice dorsale di ratto (DRG). In queste cellule, NPY sembra inibire l’influsso del

Ca++ attraverso la modulazione dei canali del Ca++ voltaggio dipendenti (178), anche se è stato descritto,

sempre in queste cellule, un aumento intracellulare di Ca++, NPY indotto, secondario alla produzione di

IP3. L’accoppiamento di Y2 con una proteina inibitoria G i è stato suggerito dalla sensibilità alla tossina

della pertosse (179, 180). Nelle cellule di neuroblastoma umano SMS-KAN, NPY inibisce l’influsso di Ca+

+, sensibile alla ω conotossina, modulando i canali di tipo N, così come il rilascio di calcio, dai depositi

intracellulari, stimolato dall’angiotensina II (181). Contrariamente a quanto osservato nei neuroni dorsal

root ganglian (DRG) di ratto, NPY non è in grado, nelle cellule SMS-KAN, di mobilitare il rilascio di calcio

intracellulare, ma di inibire l’accumulo di cAMP indotto da forskolina (149). Questi dati sono stati

confermati utilizzando delle cellule transfettate per Y2, nelle quali l’attivazione di Y2 induceva una

diminuizione dei livelli di cAMP e un aumento dei livelli di Ca++ (182).

Anche la linea cellulare umana di glioblastoma LN319, si è rivelata utile nel definire i meccanismi di

trasduzione intracellulari accoppiati a Y2, poiché esprime esclusivamente questo sottotipo recettoriale. In

queste cellule NPY inibisce l’accumulo del cAMP indotto da forskolina e stimola un aumento del calcio

intracellulare con un meccanismo sensibile alla tossina della pertosse e possibilmente dipendente

dall’attivazione della PLC (183). A conferma di ciò, l’attivazione da parte di NPY delle isoforme di PKC

calcio-indipendente e diacilglicerolo (DAG)-dipendente, attraverso il recettore Y2 (184), è stata anche

33

dimostrata nelle cellule cigliate umane (185). Infine, il recettore Y2 si associa alla via delle MAPK

mediante una proteina Gi e la PI-3K (176).

Le vie di segnale intracellulari associate con gli altri sottotipi recettoriali dell’NPY sono state

principalmente studiate in cellule transfettate; sebbene l’importanza di tali risultati sia fuori discussione,

dati funzionali ottenuti in situazioni fisiologiche, sono limitati. E’ stato mostrato che Y4, Y5 e y6 sono

accoppiati all’inibizione dell’accumulo di cAMP (161, 186), ma non è ancora stato stabilito se modifichino

la concentrazione intracellulare di Ca++. In particolar modo, il recettore NPY Y4 induce, nel ratto, a livello

dei neuroni del nucleo arcuato ipotalamico, oscillazioni di Ca++ (187), regola i canali del calcio e del

potassio nelle cellule HEK293 e negli oociti dello Xenopus (188). Infine sono state riportate, in colture

primarie di cardiomiociti, altre vie di segnale associate con l’attivazione di Y5 di topo quali una rapida

fosforilazione di ERK, JNK, p38 MAPK, come pure l’attivazione di PKC. Questi effetti stimolatori

sembrano essere sensibili alla tossina della pertosse e mediati dal recettore Y5, poiché agonisti Y5

selettivi possono mimare le azioni di NPY e l’attivazione della MAPK è abolita nelle cellule deficenti del

recettore Y5. Tuttavia nella linea cellulare transfettata HEC-1B, questi risultati non sono stati confermati,

poiché NPY non attiva né la MAPK né la via della PKC (189). Ciò porta a concludere che NPY possa,

nelle diverse linee cellulari, associarsi con pathways intracellulari distinte (149).

2.14 NPY e suoi recettori in modelli transgenici e knockout

I modelli sia transgenici che knockout si sono rivelati strumenti importanti per lo studio delle funzioni della

famiglia dell’NPY, che consiste di cinque differenti recettori e di tre ligandi, coinvolti nella regolazione di

numerosi processi fisiologici. I modelli knockout sono anche una preziosa risorsa per valutare la

specificità di agonisti e antagonisti o per determinare la specificità di anticorpi contro i differenti recettori.

E’ stato infatti possibile chiarire, seppur in parte, molte delle funzioni connesse al sistema NPY: il food-

intake, l’omeostasi energetica, la riproduzione, l’ansia, l’epilessia e la regolazione cardiovascolare.

Inoltre, nuove azioni del sistema NPY sono state identificate, come ad esempio la regolazione centrale

della formazione ossea e la rigenerazione neuronale (190).

Il gran numero di recettori Y e la disponibilità di pochi agonisti ed antagonisti specifici, quest’ultimi con

problemi per quanto riguarda la solubilità e la disponibilità orale, che ne riducono il valore per

esperimenti in vivo, ha reso difficile in passato delineare in modo specifico le funzioni del sistema NPY.

34

Negli ultimi otto anni sono stati descritti studi su topi transgenici over-esprimenti NPY e PP, ratti over-

esprimenti NPY, topi sia knockout che over-esprimenti NPY, Y1, Y2, Y4 e Y5 (190).

2.15 Animali transgenici per NPY

Ad oggi sono stati creati due modelli di topo (191, 192) e uno di ratto (193) entrambi over-esprimenti

NPY. Solo un modesto incremento del 15% è stato riscontrato nella immunoreattività ad NPY nel modello

generato da Inui, che con solo il 18% di incremento netto dei livelli di NPY nel nucleo arcuato,

fenotipicamente non mostra alcun cambiamento nel food intake o nel peso corporeo. Comunque, un

fenotipo obeso con incremento transitorio del food intake può essere indotto in questi topi una volta che

essi sono sottoposti ad una dieta ricca di saccarosio. Approssimativamente ad un anno di età, questi topi

sviluppano iperglicemia e iperinsulinemia senza alterate oscillazioni dei livelli di glucosio, confermando

che gli elevati livelli di espressione di NPY a livello ipotalamico sono importanti per lo sviluppo dell’obesità

(194).

Il modello prodotto da Thiele mostra approssimativamente livelli di mRNA 5 volte più alti rispetto ai topi

wild-type, con un’abbondante espressione proteica nella corteccia, nell’amigdala e nell’ippocampo, ma

non nel nucleo arcuato dell’ipotalamo. L’unico dato fisiologico disponibile, in questo modello, è una

significativa diminuzione volontaria dell’assunzione di alcool associata a maggiore sensibilità all’effetto

dello stesso (192); nessun dato riguardo il feeding ed il peso corporeo è disponibile.

2.16 Animali knockout per NPY

Erickson e colleghi nel 1996 iniziarono l’era dei topi knockout nel campo dell’NPY con la generazione di

una linea di topo knockout per NPY (195). Questo modello, in condizioni normali, non mostrava riduzione

né del food intake né del peso corporeo, sebbene il digiuno induceva un comportamento iperfagico.

Comunque in questi topi NPY-/-, se rapportati ai controlli, i trattamenti con leptina riducevano sia il food

intake che il peso corporeo. Al contrario, studi condotti da (196), su topi knockout, incrociati con topi

C57BL/6, mostravano una riduzione significativa del food intake dopo 24 o 48 ore di digiuno, suggerendo

un importante ruolo dell’NPY nel comportamento alimentare. A conferma di ciò, dati tratti da un lavoro di

Hollopeter 1998 mostrarono che una dieta ad alto contenuto di grassi non sembrava influenzare, in questi

modelli, né il peso corporeo né il food intake. Comunque sebbene la dieta ad elevato contenuto di grassi

aumenti il peso dei loro cuscinetti adiposi, il peso corporeo reale di questi topi NPY -/-, sottoposti ad una

35

dieta ad alto contenuto di grassi, non è significativamente differente dai controlli nutriti con cibo normale.

Inoltre nei neonati dopo lesioni chimiche del nucleo arcuato dell’ipotalamo, indotte attraverso infusione di

mono-sodio-glutammato, non si riscontrano differenze a livello del food intake, del peso corporeo o del

peso dei cuscinetti adiposi, se si raffrontano topi knockout per NPY e topi wildtype. In maniera simile,

infusioni IP nei topi adulti di oro-tio-glucosio, che distrugge selettivamente i neuroni nell’ipotalamo ventro-

mediale (VMH), conosciuto anche come il centro della sazietà, non mostrano differenze significative tra i

topi knockout e i controlli (197). Gli effetti della deficienza di NPY nella regolazione del food intake e

dell’omeostasi energetica, sono invece più ovvi quando i topi knockout per NPY vengono incrociati nel

background di topi ob/ob, deficienti per leptina. Questi topi knockout doppi mostrano una riduzione

significativa del fenotipo obeso dei topi ob/ob, accompagnato ad un ridotto food intake e un’aumentata

spesa energetica che influenzano lo sviluppo del diabete (195). Questo dimostra che l’NPY agisce

centralmente a valle della leptina.

Il modello knockout doppio per NPY e il topo obeso giallo (Ay), che ha un difetto nella pathway del

recettore 4 della melanocortina (MC4), non ha migliorato il fenotipo obeso. Studi sugli effetti della

deficienza di NPY in un modello di topo knockout per il peptide agouti related (AgRP), un peptide

oressigenico che agisce da antagonista MC4 endogeno, che è co-espresso nei neuroni NPY del nucleo

arcuato (198), come per l’altro modello su menzionato, non sembra influenzare il comportamento

nutrizionale o l’aumento di peso in condizioni normali, suggerendo che potrebbe essere stato attivato un

meccanismo compensatorio.

E’ anche interessante notare che i topi knockout per NPY e la galanina, rispetto ai wild-type, mangiano

molto di più e sono più pesanti (30%), rispondono ad una dieta ad alto apporto di grassi, aumentano di

peso e non sono in grado di regolare il loro peso normalmente dopo un cambio di dieta; i livelli di leptina,

insulina e glucosio sono elevati e un trattamento cronico con leptina causa perdita di peso (199).

2.17 Topi knockout per il recettore Y1

I recettori Y1, espressi principalmente nel sistema nervoso, compresi i nuclei nell’ipotalamo, si pensa

siano responsabili della regolazione del food intake e dell’omeostasi energetica. Nei roditori, infusioni ICV

del ligando [Leu31/Pro34]NPY, selettivo per i recettori Y1 e Y5, stimola fortemente il comportamento

nutrizionale. E’ interessante notare che, i modelli knockout per il recettore Y1 non mostrano alcuna

anomalia significativa riguardo il food intake e il peso corporeo, sebbene ci siano sottili cambiamenti in

36

tutte le linee di topo knockout analizzate. Ad esempio, i modelli descritti da Pedrazzini (200) mostrano

una lieve riduzione del food intake, sia nei topi che possono nutrirsi spontaneamente, che in quelli in cui il

feeding è NPY-indotto; il re-feeding indotto dal digiuno è fortemente diminuito. Nei topi Y1 -/- più vecchi

sembra inoltre svilupparsi un fenotipo obeso, che è più accentuato nelle femmine rispetto ai maschi.

Questi topi mostrano anche iperinsulinemia associata ad una aumentata mobilizzazione del glucosio dal

tessuto adiposo e da glicogeno-sintesi. Questo fenotipo è il frutto quindi di una ridotta attività motoria e di

un diminuito ritmo metabolico (201).

I topi knockout generati da (202) e Kanatani (203) mostravano un fenotipo simile con food intake basale

inalterato, una iperinsulinemia lieve, un inizio di obesità ritardato e un aumento significativo della massa

grassa, particolarmente nei topi knockout femmine. Kushi et al. trovarono anche aumentati livelli di

uncoupling protein (UCP-1) nel tessuto adiposo bruno e ridotti livelli di UCP-2 nel tessuto adiposo bianco

suggerendo una diminuzione del dispendio energetico. Nel modello descritto da Kanatami (203), dopo

infusione ICV di NPY e di analoghi, si osserva una significativa riduzione del food intake a conferma,

ancora una volta, che il food intake stimolato da NPY è mediato attraverso questo recettore. Inoltre, i topi

Y1-/-, ob/ob mostrano una significativa riduzione del peso corporeo sia nei maschi che nelle femmine se

paragonati al fenotipo ob/ob (204). La principale causa del ridotto peso corporeo è la riduzione

dell’iperfagia. I topi doppio knockout (Y1-/-, ob/ob) generati da Lin (190) mostrano anch’essi una

significativa riduzione del fenotipo obeso, inclusa una significativa riduzione della massa grassa ed un

aumento dei parametri metabolici come l’insulina e il glucosio.

Il recettore Y1 è anche responsabile nel mediare il consumo volontario di alcool, poichè i topi che sono

privi del recettore Y1 mostrano un aumento nel consumo di alcool, se comparati ai topi wild-type, ed

inoltre, sono meno sensibili ai suoi effetti sedativi recuperando più rapidamente dal sonno alcool-indotto

(205). Hansel et al (2001) hanno anche evidenziato un nuovo ruolo dell’NPY nella neuro-rigenerazione,

poichè è stato mostrato in vitro e in vivo, in preparazioni di cervello di modelli Y1-/-, una riduzione

significativa nella proliferazione cellulare e nella generazione di nuovi neuroni (206).

2.18 Topi knockout per il recettore Y2

I recettori Y2 sono largamente espressi nel sistema nervoso centrale (SNC) con livelli particolarmente alti

trovati nel nucleo arcuato e nella barriera emato-encefalica; sono quindi dei candidati ideali nel mediare i

segnali periferici coinvolti nell’omeostasi energetica (207-209). Ciò è stato confermato dalla scoperta di

37

agonisti endogeni del Y2, come il PYY3-36 (rilasciato post-prandialmente dal tratto gastrointestinale) che

se iniettato perifericamente in dosi fisiologiche, inibisce il food intake e riduce l’aumento di peso nei topi

wild-type, ma non nei topi Y2 knockout (210).

2.19 Topi knockout per il recettore Y4

Topi knockout per il recettore Y4 hanno una significativa riduzione del peso corporeo e del food intake

(211), in particolare, i topi maschi hanno sia livelli plasmatici di PP, il ligando endogeno ad alta affinità per

questo recettore Y, elevati, che una massa ridotta di tessuto adiposo bianco. Gli aumenti dei livelli

plasmatici di PP in questi animali, che raggiungono valori simili a quelli riscontrati negli animali magri PP

transgenici (212), sono la spiegazione più verosimile per giustificare la riduzione sia del peso corporeo

che del food intake. I topi knockout doppi Y4 -/-,ob/ob non hanno un fenotipo migliore, che rimane obeso e

diabetico. Comunque, la fertilità ritorna al 100% nei topi maschi ed è migliorata fino al 50% nelle femmine

(211). In questi modelli, il miglioramento significativo della fertilità conferma un ruolo prioritario del

recettore Y4 nella riproduzione.

I topi knockout doppi Y2-/-, Y4-/- mostrano un miglioramento del comportamento nutrizionale (213); infatti

possiedono un fenotipo magro, con un ridotto peso corporeo, una ridotta massa di tessuto adiposo

bianco, una ridotta leptinemia e insulinemia, suggerendo che gli aumenti nella termogenesi e nell’attività

locomotoria possano compensare gli elevati intake energetici. Inoltre il volume osseo è aumentato di tre

volte, il tutto associato ad una aumentata attività osteoblastica. Ciò suggerisce un’interazione sinergica

fra le due vie di segnale associate al Y2 e al Y4 nel regolare il volume osseo e l’adiposità.

2.20 Topi knockout per il recettore Y5

In ratti e topi, infusioni ICV di analoghi dell’NPY selettivi per il recettore Y5, hanno suggerito un ruolo

prioritario per questo recettore Y nel regolare il food intake, sebbene dati sui modelli knockout non

confermino questa osservazione. I topi privi del recettore Y5 si nutrono e crescono normalmente,

sviluppando un’obesità con inizio tardivo (> 30 settimane), il tutto accompagnato ad un aumento del food

intake e del peso corporeo (Marsh 1998). I topi Y5-/- non mostrano alcun cambiamento nel re-feeding

indotto dal digiuno. Infatti le risposte all’infusione ICV di NPY o analoghi dell’NPY sono minime o assenti.

Risultati simili sono stati ottenuti nei topi knockout generati da Kanatani (203).

38

Neanche i modelli Y5-/-;ob/ob mostrano miglioramenti del food intake e del peso corporeo (214). Sia nei

maschi che nelle femmine il food intake, il peso corporeo e l’adiposità non sono differenti da quelli

riscontrati nei topi ob/ob.

2.21 NPY: controllo dell’ espressione genica e proteica

In letteratura è noto che l’espressione genica dell’NPY e dei suoi recettori è sotto lo stretto controllo dei

peptidi e degli ormoni steroidei implicati nel controllo di importanti funzioni fisiologiche, come il

metabolismo energetico, il food intake, così come la riproduzione (147). Ad esempio, i glucocorticoidi, sia

in vitro (215, 216) che in vivo, come nell’ipotalamo di ratto (217-219), stimolano i livelli sia di mRNA che

del peptide NPY (216, 220); al contrario, l’insulina e la leptina (l’ormone del tessuto adiposo) li inibiscono

(221-224). L’espressione genica dell’NPY nell’ippocampo, una regione del cervello ricca di recettori

steroidei simili a quelli di tipo I del surrene, è selettivamente stimolata dall’aldosterone (225), così come a

livello ipotalamico, l’espressione genica del recettore Y1 è modulata dal corticosterone. Da notare che

tale effetto stimolatorio si riduce in seguito a surrenalectomia (226, 227).

L’insulina è un ormone che regola negativamente l’espressione dell’NPY, una scoperta che spiega

almeno in parte la riduzione del food intake e del peso corporeo osservata dopo somministrazione

cronica di insulina (228, 229). Nel ratto l’infusione di insulina, a livello dell’ARC e del PVN, determina una

marcata riduzione dell’espressione genica dell’NPY e del peptide, sia in animali normalmente nutriti

(224), che dopo digiuno; condizione conosciuta per aumentare questi parametri (223). L’azione inibente

dell’insulina è diretta e indipendente dai livelli plasmatici di glucosio, così come osservato da esperimenti

di infusione ICV, purché a dosi tali da non modificare né le concentrazioni plasmatiche di glucosio, né

quelle di insulina (223). Da notare che il trattamento sistemico simultaneo con insulina e glucorticoidi

previene, a livello ipotalamico, rispettivamente la stimolazione e l’espressione genica dell’NPY (219).

I neuroni ipotalamici dell’ARC che esprimono NPY, possedendo alti livelli di recettori OB-Rb, sono un

possibile target dell’ormone leptina, infatti nei topi ob/ob (230, 231), db/db e nel ratto fa/fa, la

somministrazione di leptina normalizza, nella regione dell’ARC, gli elevati livelli di mRNA dell’NPY (232).

Oltre la leptina, anche l’ormone della crescita (GH), un altro ormone correlato alle citochine, interagisce

direttamente con il sistema dell’NPY, stimolando sempre nel ratto, a livello dei neuroni dell’ARC,

attraverso i propri recettori, l’espressione genica dell’NPY (233). Tali effetti fanno parte del feedback

negativo che controlla la secrezione del GH (234).

39

I neuroni ipotalamici di ratto che producono il mediatore oressigenico NPY sembrano essere un target

anche per la ghrelina, un ormone peptidico acilato formato da 28 aminoacidi e secreto principalmente

dallo stomaco; una somministrazione centrale cronica del peptide ghrelina aumenta i livelli di mRNA

dell’NPY sino al 150% rispetto ai controlli (235).

NPY partecipa anche alla regolazione delle funzioni riproduttive influenzando il rilascio di LH; i recettori

estrogenici sono espressi in una subpopolazione di neuroni ipotalamici secernenti NPY (236),

suggerendo quindi, che gli estrogeni possano modulare in modo diretto la produzione di NPY. Studi in

vivo condotti su ratti femmine, durante la fase del proestro, (estradiolo e progesterone circolante

aumentano) hanno evidenziato un aumento dell’immunoreattività NPY-simile nel PVN, nell’area preottica

mediana dell’ipotalamo (MPOA) e nell’ARC (237). Inoltre, stati di deficit da estrogeni, ad esempio dopo

ovariectomia, sono associati ad un’aumentata espressione genica dell’NPY nell’ARC, che torna a

decrescere dopo somministrazione esogena di estrogeni. Comunque, nei ratti alti livelli di estrogeni sono

associati ad anoressia cronica ed a livello ipotalamico, ad un’aumentata biosintesi di NPY, suggerendo

un possibile coinvolgimento di altri sistemi neuronali (238, 239). Anche se non confermato nella scimmia

rhesus (240), alcuni autori hanno riportato che il testosterone, in roditori castrati, è in grado di modulare

l’attività dell’NPY, determinandone un decremento dell’espressione genica; tale effetto viene abolito dopo

somministrazione di testosterone (241, 242).

In molti tessuti, i retinoidi sono implicati nella regolazione di funzioni quali lo sviluppo e la differenziazione,

incluso il sistema nervoso. L’acido retinoico è stato recentemente coinvolto nella complessa regolazione

della termogenesi e del dispendio energetico, poiché è in grado di modulare le proteine UCP-1 e

l’espressione della leptina (243, 244). Inoltre studi in vitro condotti sulla linea cellulare di neuroblastoma

umano, SH-SY5Y, (245) hanno dimostrato che l’acido retinoico è in grado di indurre un marcato

decremento dell’espressione genica dell’NPY già dopo 3 e 6 ore di incubazione fino ad arrivare ad una

completa soppressione dopo 12 e 24 ore.

Ad oggi è chiaro che anche alcuni fattori di crescita, espressi nel cervello, regolano l’espressione genica

dell’NPY come dimostrato in vitro, in differenti linee cellulari neuronali (147). I fattori crescita coinvolti

sono: il nerve growth factor (NGF; nelle cellule di feocromocitoma di ratto, PC12) (246, 247), il basic

fibroblast growth factor (in aggregati di cellule neuronali di ratto) (248), l’insulin-like growth factor-I (in

aggregati di cellule neuronali di ratti) (249), il brain-derived neurotrophic factor (neuroni corticali di ratti)

(250), l’epidermal growth factor (251), il neurotrophic-3, -4, -5 factor (252), il leukemia inhibitory factor

40

(LIF) (253). Nelle cellule PC12, è stato anche dimostrato che il trattamento con NGF attiva, in modo dose

dipendente, il promotore del gene del recettore Y1. Poiché l’NPY è stato coinvolto nel controllo delle

funzioni cognitive e forse nella genesi delle patologie correlate, queste scoperte potrebbero essere

importanti anche alla luce delle terapie neuroprotettive per le patologie neurodegenerative (147). Infine,

nel ratto il CNTF, un’altra citochina pleiotropica gp130-simile, con azione anoressante molto forte,

potrebbe agire, in parte, attraverso una down-regulation, a livello ipotalamico, dell’espressione genetica

dell’NPY (254).

2.22 Effetti sul comportamento alimentare e sul metabolismo

NPY è il prototipo degli ormoni che stimolano l’appetito; in particolar modo si è osservato che il peptide

favorisce l’intake di carboidrati (255, 256), che diminuiscono il dispendio energetico e che inducono, nel

tessuto adiposo bianco, l’attività dell’enzima lipasi (257). Nel ratto la somministrazione dell’NPY a livello

centrale, ha un effetto positivo sul bilancio energetico, stimolando selettivamente l'assunzione dei grassi e

dei carboidrati e favorendo il deposito dell'eccesso energetico sotto forma di tessuto adiposo; un’infusione

di NPY, nel quarto ventricolo cerebrale, aumenta l’assunzione di cibo, in modo dose-dipendente e con un

effetto prolungato nel tempo (tempi sperimentali di 60 e 120 minuti (258). Sempre nel ratto, l’infusione di

NPY nel PVN, oltre ad incrementare l’assunzione di cibo, provoca nel tessuto adiposo bruno, una

diminuzione dell’espressione dell’mRNA codificante per le proteine UCP-1, ma non quella delle proteine

UCP-2 e UCP-3, che sono espresse nel tessuto adiposo bianco e nel muscolo scheletrico. Le proteine

UCP sono proteine mediatrici della termogenesi, quindi coinvolte nella regolazione del metabolismo

energetico; l’NPY agisce in modo specifico e differente sull’espressione di tali proteine regolando quindi il

bilancio energetico (259).

Oltre agli effetti a livello centrale (controllo dell’assunzione di cibo, modulazione del rilascio di ACTH, GH

e ormone luteinizzante) è stato proposto anche un possibile coinvolgimento dell’NPY a livello periferico:

modulazione della secrezione di leptina (260), stimolazione del rilascio di insulina dalle cellule delle

isole di Langerhans, aumento della produzione di glucosio epatico, riduzione della termogenesi nel

tessuto adiposo bruno e aumento dell'attività della lipasi lipoproteica.

L'insulina rappresenta un segnale periferico delle riserve energetiche, costituisce un fattore fisiologico di

sazietà e, a differenza dell’NPY, inibisce l'assunzione di cibo e aumenta la termogenesi, favorendo la

perdita di peso. È noto che l'insulina è in grado di raggiungere il sistema nervoso centrale e quindi

41

l'ipotalamo, ma non si sa ancora come interagisca con i neuroni NPY secernenti. I glucocorticoidi

sarebbero, invece, essenziali per l'effetto dell’NPY sull'assunzione di cibo (261); infatti stimolano il

sistema NPY-ergico e sono permissivi rispetto ai suoi effetti adipogenici. Nei ratti un eccesso di

glucocorticoidi promuove l’aumento corporeo di grasso, l’iperinsulinemia (262, 263) ed aumenta, a livello

ipotalamico, sia l’espressione genica dell’NPY che quella dei suoi recettori (217, 220). A conferma di ciò,

nei ratti un intervento di surrenalectomia corregge la sindrome da obesità indotta da somministrazioni

croniche di NPY, inibendo l’aumento di peso, l’iperfagia, l’iperinsulinemia, l’iperleptinemia,

l’ipertrigliceridemia; tutti questi effetti vengono ripristinati in seguito a somministrazione di glucocorticoidi

(264, 265). Resta ancora da chiarire il meccanismo con cui questi ultimi siano in grado di influenzare il

sistema dell’NPY, a livello sia centrale che degli adipociti (266).

2.23 Regolazione dei meccanismi neuroendocrini

Nell'ambito del sistema neuroendocrino, l’NPY esplica la sua attività di modulazione sia a livello

ipotalamico che ipofisarico, attraverso il sistema portale ipotalamo-ipofisi. Tra i diversi meccanismi che

risentono dell’azione del neuropeptide Y, ricordiamo l'asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, l'asse ipotalamo-

ipofisi-surrene e la secrezione di GH. In diverse specie animali, l’NPY ha un ruolo importante sia nella

stimolazione del rilascio basale, che nell'induzione del picco preovulatorio dell’LH. L'effetto stimolatorio

dell’NPY sulla secrezione di LH dipende però dalla presenza degli ormoni gonadici e comporta

l'amplificazione della risposta di altri segnali stimolatori. A livello dell'eminenza mediana, l’NPY

interagisce con i recettori Y1 e determina il rilascio di LHRH con un meccanismo mediato dall'aumento

dei livelli di calcio intracellulare. Quest’azione risulta notevolmente amplificata in quanto l’NPY, raggiunta

l'ipofisi anteriore, tramite il circolo portale ipotalamo-ipofisi, aumenta il rilascio di LH in risposta alla

presenza di LHRH. I recettori coinvolti agiscono mediante una proteina G accoppiata alla PLC, la cui

attivazione determina un aumento della concentrazione di Ca++, dovuta sia alla liberazione dal pool

intracellulare, che ad un ingresso dall'ambiente extracellulare, attraverso i canali voltaggio dipendenti di

tipo L (267). Studi effettuati su diverse specie animali (268) hanno dimostrato che l’NPY ha un duplice

effetto sulla stimolazione del rilascio di LH e che tale effetto dipende dalla presenza degli steroidi gonadici

(269).

In particolare, si è osservato che il trattamento di ratti femmine ovariectomizzate con estrogeni determina

nell'eminenza mediana una riduzione dei livelli di NPY; questo effetto viene soppresso se, in

42

corrispondenza del picco di LH, vengono somministrati dei progestinici (238). Nei ratti castrati, invece, la

somministrazione di testosterone determina, nell'eminenza mediana, un effetto opposto, cioè un aumento

dei livelli dell’NPY. Si ritiene che questo diverso comportamento sia dovuto al nucleo dimorfico, in cui la

secrezione basale di NPY è indotta dall'androgenizzazione post-natale (270).

L’NPY ha una funzione modulatoria anche a livello dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene, stimolando il

rilascio di ACTH. Questo effetto è stato osservato microiniettando l’NPY nel nucleo paraventricolare, dove

sono localizzati, principalmente, i neuroni secernenti CRH (271, 272) e a livello ipofisarico, dove per

azione diretta dell’NPY si ha un aumento del rilascio di ACTH in risposta a basse concentrazioni di CRH.

Opposta è, invece, l'azione sulla secrezione del GH, infatti, la somministrazione nel terzo ventricolo,

dell’antisiero anti-NPY, determina un aumento della concentrazione plasmatica di GH. Nei ratti è stato

anche dimostrato, che la somministrazione ICV di NPY inibisce l’asse somatotropo, riducendo il

contenuto ipofisario di GH (273), abolendone il suo normale rilascio pulsatile nel plasma, e quindi

riducendone la sua concentrazione plasmatica (274).

2.24 NPY: cancro della mammella e della prostata

Nel tessuto prostatico normale sono presenti sia cellule neuroendocrine (NE) che fibre nervose

peptidergiche secernenti serotonina e alcuni neuropeptidi quali la cromogranina A, la bombesina, il

vasoactive intestinal peptide (VIP) e l’NPY. Tali prodotti secretori, che sono presenti nel 50% dei casi di

cancro alla prostata analizzati, agendo localmente attraverso specifici recettori presenti sulle cellule

stromali ed epiteliali, regolano, in modo paracrino, le diverse funzioni cellulari (275-277) e contribuiscono

alla fisiopatologia del cancro e alla sua progressione verso uno stadio di androgeno indipendenza, che

viene generalmente associato ad una prognosi peggiore (278, 279).

L’NPY, nello strato muscolare liscio della prostata dell’uomo, è localizzato principalmente nelle fibre

nervose e nelle cellule neuroendocrine (277, 280); infatti un’immunoreattività NPY-simile è risultata

positiva nel 75% dei casi analizzati (281), suggerendo un suo possibile ruolo nella crescita e nella

progressione del cancro alla prostata. Inoltre a livello dell’innervazione neuropeptidergica della prostata e

più in generale del tratto urogenitale maschile, le fibre nervose immunoreattive all’NPY e alla tirosina

idrossilasi sono le più abbondanti e sono localizzate soprattutto nello strato muscolare liscio della

prostata, nelle vescicole seminali e nei vasi deferenti, mentre è nell’epitelio di questi stessi organi che

sono più che altro presenti quelle positive al VIP (280).

43

Per quanto concerne il cancro alla mammella, uno studio condotto da Reubi ha evidenziato che l’NPY

potrebbe avere un ruolo importante nella progressione di questa patologia. Infatti l’85% dei pazienti con

cancro della mammella presentano un’elevata espressione dei recettori dell’NPY; in particolar modo il Y1

è espresso ad alti livelli, mentre il sottotipo Y2 è presente solo nel 24% dei casi analizzati. Al contrario,

nel tessuto normale, il sottotipo Y2 è predominante rispetto al Y1; la trasformazione neoplastica potrebbe,

quindi, indurre un cambiamento di espressione recettoriale da Y2 a Y1 (282).

La presenza dei recettori per NPY, nei due tumori analizzati, indica che l’NPY potrebbe avere un ruolo

importante nella progressione di questi tumori, suggerendo che analoghi radiomarcati dell’NPY,

potrebbero essere utilizzati sia a scopo diagnostico che terapeutico.

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3. LA SOMATOSTATINA

3.1 Aspetti molecolari

Il peptide ipotalamico a cui venne attribuito il nome di Somatotropin Release Inhibitory Factor

(somatostatina), oggi conosciuto con il termine di somatostatina (283), è un peptide presente in quasi tutti

i tessuti dei mammiferi, in tutte le classi di vertebrati, persino nelle piante e nei procarioti ed è coinvolto

nella regolazione di numerose funzioni cellulari (284). Uno dei più importanti e meglio documentati effetti

della somatostatina è rappresentato dall’inibizione di alcuni processi di secrezione a livello dell’ipofisi

come la liberazione del GH e del Thyroid Stimulating Hormone (TSH). A livello del sistema

gastroenteropatico, la somatostatina regola la secrezione di insulina, di glucagone, di gastrina, del vaso

intestinal peptide (VIP), della secretina, e delle secrezioni esocrine a livello dello stomaco e del pancreas;

è coinvolta nella neurotrasmissione, così come nel controllo delle funzionalità renali, dell’angiogenesi e

del sistema immunitario. Da non dimenticare la sua attività antiproliferativa a livello delle cellule tumorali

(285).

Il peptide somatostatina è costituito da una sequenza di 14 aminoacidi (SS14) con un ponte disolfuro che

collega la cisteina in posizione 3 (Cys3) con la cisteina in posizione 14 (Cys14). Questo ponte, unitamente

alla presenza della sequenza aminoacidica costituita dagli aminoacidi in posizione 7-10 (Phe7, Trp8, Lys9

e Thr10), è ritenuto indispensabile allo svolgimento dell’attività biologica (286). In natura è stata identificata

anche un’altra forma di somatostatina, anch’essa biologicamente attiva, costituita da 28 aminoacidi

(SS28) e localizzata per la prima volta nel Tetrahymena pyroformis (un protozoo ciliato) (287). La

differenza tra SS14 e SS28 risiede nell’estensione a livello dell’estremità carbossilica, di una sequenza di

ulteriori 14 aminoacidi (287). Nell’uomo, un solo gene localizzato a livello del braccio lungo del

cromosoma 3, codifica per entrambe le forme; tale gene, costituito da due esoni separati da un introne,

codifica per un trascritto, che tradotto da origine alla pre-prosomatostatina (pre-proSS), un precursore di

116 aminoacidi, che subisce un rimaneggiamento mediante l’eliminazione di un peptide segnale,

costituito da 24 aminoacidi. Dal clivaggio tra gli aminoacidi glicina e alanina (Gly24 e Ala25) (288) si ottiene,

quindi, un prodotto intermedio costituito da 92 aminoacidi, il proSS-1 (289). La complessa serie di eventi

che determina le modificazioni post-trascrizionali dell’ormone è caratterizzata dall’intervento di una

endopeptidasi che provvede ad eliminare un frammento aminoterminale operando un taglio a livello

dell’arginina in posizione 64 (Arg64) e dando così origine alla SS28 e a un peptide detto “non

somatostatina” sul cui ruolo biologico non sono disponibili informazioni precise. Un secondo enzima

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isolato dalle cellule della corteccia cerebrale di ratto detto “somatostatina-28” convertasi, scinde la SS28

e conduce alla formazione di SS14. In quei tessuti dove l’enzima non è espresso (apparato intestinale), la

SS28 risulta essere la molecola biologicamente attiva come tale (290). Il catabolismo enzimatico della

SS14 coinvolge almeno cinque siti della molecola; tale processo ha inizio con una degradazione

proteolitica da parte dall’enzima encefalinasi, una endopeptidasi specifica (definita endopeptidasi neutra

o neprilisina) (291, 292), che scinde il legame tra gli aminoacidi 8-9 (Trp8-Lys9), dando origine a dei

frammenti che non sono in grado come tali di interagire con i recettori, in quanto privi della porzione attiva

della molecola. I frammenti ottenuti sono ulteriormente degradati da aminopeptidasi quali le esopeptidasi

specifiche che tagliano il legame in posizione 1-2 (Ala1-Gly2) e in posizione 2-3 (Gly2-Cys3) (286, 292), la

degradazione continua con l’intervento di due ulteriori endopeptidasi, che agiscono a livello del legame

fenilalanina-fenilalanina e treonina-fenilalanina rispettivamente in posizione 6-7 (Phe6-Phe7) e in

posizione 10-11 (Thr10-Phe11) (293). In particolare, per l’attività biologica è critica la perdita del legame

localizzato tra gli aminoacidi Trp8-Lys9, tanto che l’attacco delle endopeptidasi in questa sede dà origine a

frammenti privi di attività. Questa osservazione ha permesso di proteggere tale posizione con

arrangiamenti chimici, al fine di ottenere analoghi della somatostatina più duraturi (286).

3.2 Localizzazione anatomica e caratteristiche delle cellule che la producono

Nel 1968 Krulich et al. (283) identificarono, in estratti ipotalamici di ratto, un peptide in grado di inibire la

liberazione dell’ormone del GH e approssimativamente nello stesso periodo (1969) Hellman e Lernmark

(294) trovarono in estratti di pancreas, di ratto, una componente inibente la secrezione di insulina. Nel

1973 Brazeau (295) determinò la natura chimica di tale sostanza a livello ipotalamico e nel 1975,

mediante studi di immunofluorescenza, fu dimostrato che le cellule D degli isolotti del Langherans

secernevano la stessa sostanza, cioè la somatostatina (296-298). L’identificazione delle cellule che

producono somatostatina, la definizione delle loro caratteristiche strutturali e del loro significato

funzionale sono state il risultato di una lunga serie di ricerche e dell'impiego di tecniche istologiche

tradizionali, tecniche di microscopia elettronica, di immunoistochimica e di ibridazione in situ. Questi studi

hanno dimostrato che la somatostatina è prodotta dalle cellule D, degli isolotti del Langherans,

caratterizzate da un reticolo endoplasmatico rugoso relativamente sviluppato e da granuli osmiofili avvolti

da una membrana, di dimensioni comprese tra 200-400 nm. E’ risultato anche evidente che sono cellule

non segregate negli isolotti di Langherans, ma disseminate tra la componente esocrina del pancreas, sia

46

nell’ambito della porzione secernente acinosa, che nel contesto dei dotti (299). La collocazione periferica

si accorderebbe con una sorta di organizzazione funzionale dell’isolotto in due porzioni ben distinte: una

corticale, eterocellulare, che vede la coesistenza di cellule A (produttrici di glucagone), B (produttrici di

insulina), D (produttrici di somatostatina), ricca di vasi e di nervi, più suscettibile a rapide modificazioni

dell’attività secretoria, in rapporto a stimoli ambientali, ed una midollare, più centrale e omogenea dal

punto di vista citologico, in quanto in essa sono rappresentate, soprattutto, le cellule B. La posizione delle

cellule D potrebbe pertanto essere correlata alla funzione esercitata dalla somatostatina, a carico della

secrezione di insulina e glucagone (300, 301). Per quanto concerne l’apparato gastroenterico, la

somatostatina è stata trovata nelle cellule D dell’antro pilorico, del duodeno, dell’ileo e del grosso

intestino; quindi, le cellule D della mucosa ossintica mediano gli stimoli provenienti dai vasi o dai nervi,

senza avere alcun rapporto con il contenuto dello stomaco (299).

Ancora una volta l’immunofluorescenza ha permesso di individuare cellule che producono somatostatina

anche nella tiroide (298), a livello delle cellule parafollicolari e delle cellule D (302); tecniche di

immunoistochimica e di immunoelettronmicroscopia hanno inoltre evidenziato che nelle stesse cellule e

negli stessi granuli possono coesistere sia la calcitonina, che la somatostatina. A conferma di ciò, uno

stimolo funzionale, quale l’ipercalcemia, mobilizza la somatostatina dalle cellule parafollicolari insieme

alla calcitonina (303). La coesistenza di questi due ormoni suggerisce che la somatostatina funziona

come messaggero sia paracrino (influenza l’attività delle cellule vicine), che autocrino (regola la sua

stessa liberazione dalle cellule di origine) (302).

Nell’apparato respiratorio, la somatostatina è stata localizzata nel corso dello sviluppo, a livello dei

neuroni della tonaca muscolare e della sottomucosa dei bronchi, della muscolatura dei bronchioli

respiratori, dei dotti alveolari e dei tronchi nervosi o dei gangli dei bronchi principali, ma non nelle cellule

neuroendocrine (303). Nell’uomo adulto invece la somatostatina è assente nei tronchi nervosi dei bronchi

principali, nella sottomucosa bronchiolare e nei dotti alveolari (304). Un’immunoreattività SS14 e SS28

simile è stata anche riscontrata nelle popolazioni neuronali di tutto il sistema nervoso (305); in modo

specifico nella corteccia cerebrale (49%), nel peduncolo cerebrale (12%), nell’ipotalamo (7%), nel lobo

olfattorio (1%) (306, 307). I neuroni che contengono la somatostatina, a seconda della loro localizzazione

sono di due differenti tipi: interneuroni coinvolti in circuiti locali, o neuroni provvisti di lunghe proiezioni che

connettono regioni anatomiche distinte. Il corpo cellulare è ovale o rotondeggiante e le estensioni

citoplasmatiche sono spesso ramificate; i granuli presenti nei neuroni, sia a livello del soma che dei

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prolungamenti cellulari, hanno un diametro di 80-110 nm, quindi più piccoli rispetto a quelli contenuti nelle

cellule D, ma più grandi rispetto alle vescicole che contengono altri tipi di peptidi (308). Da notare che a

livello neuronale la somatostatina coesiste con i classici neurotrasmettitori, quali la noradrenalina (nei

neuroni post-gangliari del ganglio mesenterico inferiore), il GABA (in una sottopopolazione di neuroni

corticali), l’NPY (nei neuroni corticali) e l’encefalina (nell’eminenza mediana) (309). Inoltre in neuroni

corticali cerebrali, in coltura, la somatostatina è stata anche colocalizzata con l’acetilcolinesterasi (310).

Nell'ipotalamo la maggior parte dei corpi cellulari neuronali, positivi alla somatostatina, sono collocati in

vicinanza del terzo ventricolo, in tre o quattro strati che sono paralleli alla parete ventricolare; gli assoni

che derivano da queste cellule si portano caudalmente attraverso l’ipotalamo ed entrano nell'eminenza

mediana a livello del nucleo ventromediale (305, 311, 312). Parte delle fibre si estendono alla zona

neurovascolare del peduncolo ipofisario e sono, verosimilmente, coinvolte nella liberazione della

somatostatina nel sistema portale ipofisario.

Il peptide somatostatina è localizzato anche nelle fibre nervose, a livello di altri organi: nel fegato si trova

nelle fibre nervose che arrivano ai vasi sanguigni (313), nell’apparato genito-urinario, nel cuore e nella

cute è situato nelle fibre nervose associate alle fibre muscolari (314). La somatostatina è stata rilevata

anche nei fluidi biologici; infatti sia la forma SS14 che la SS28 sono presenti a livello ematico mentre il

tratto gastrointestinale rappresenta la maggior fonte di somatostatina circolante. L’ormone è secreto nel

liquido celebro-spinale e viene escreto nell’urina; anche il liquido seminale ne contiene alti livelli e

altrettanto ricco ne è il liquido amniotico (315, 316). La forma a 14 amminoacidi, ma non quella a 28,

viene attivamente trasportata nel latte materno dove la sua concentrazione è quattro volte più elevata

rispetto a quella del plasma (317, 318). Nella donna la massima concentrazione di somatostatina si

riscontra il primo giorno dopo il parto, mentre al quinto giorno il suo livello scende e si mantiene su di un

“plateau”. Nel neonato, la proteina presente nel latte resiste alla degradazione gastroenterica, dopodiché

raggiunge la porzione distale dell’intestino nel quale può svolgere delle funzioni di regolazione (319).

Le cellule che producono somatostatina, in particolare le cellule D, sono presenti durante la vita fetale. In

alcuni organi come il pancreas e il colon, il loro numero è più elevato rispetto alla vita adulta (320-322),

quindi si suppone che esse svolgano, durante la vita fetale, delle particolari funzioni (322), che

successivamente tendono a scomparire o vengono semplicemente ridimensionate. Nel feto umano le

cellule D sono individuabili a partire dall'ottava settimana, con una distribuzione non uniforme nei vari

organi; dalla quindicesima alla ventunesima settimana, il contenuto di somatostatina, a livello del

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pancreas e del duodeno, è più elevato rispetto alle altre regioni del tratto gastrointestinale (323); dopo 5

mesi di gestazione, sulla sommità dei villi duodenali e del digiuno è possibile identificare estesi gruppi di

cellule contenenti granulazioni con elementi secernenti somatostatina (324); a livello ipotalamico

l’immunoreattività è invece scarsa (323).

3.3 Attività biologiche

L'ubiquitarietà della distribuzione anatomica della somatostatina si associa alla molteplicità dei suoi

organi bersaglio o, più precisamente, delle cellule la cui funzione specifica viene da essa regolata. La

possibilità di estrinsecare l'attività biologica è legata alla liberazione della somatostatina nello spazio

interstiziale o nel torrente circolatorio. L'influenza di questo peptide liberato dalle terminazioni nervose nel

sistema nervoso centrale e periferico o dalle cellule D del tratto gastroenterico si manifesta

sostanzialmente attraverso il liquido interstiziale (neurocrinia, paracrinia). Per quel che concerne invece la

liberazione da parte dei neuroni ipotalamici nel sistema portale ipofisario o la regolazione della

secrezione delle cellule A e B degli isolotti di Langerhans, viene chiamata in causa l'azione endocrina. Il

fatto che la somatostatina sia presente nella circolazione sistemica rende possibile una sua più ampia

influenza nell'ambito di uno stesso organo, un'azione simultanea su differenti organi e un'integrazione

degli effetti su uno o più tessuti bersaglio da parte dei differenti organi che la producono (325). A livello

cellulare la somatostatina interagisce con cinque differenti recettori (sst1, sst2, sst3, sst4 e sst5)

inducendo un segnale transmembrana che è alla base di effetti biologici quali la regolazione dei processi

di secrezione e la crescita cellulare (326, 327, 328).

3.4 Azioni a livello dei sistema nervoso centrale e periferico

Il profilo di espressione della somatostatina e dei suoi recettori, durante lo sviluppo, suggerisce il suo

coinvolgimento nella maturazione del sistema nervoso, cosi come, una sua diminuzione selettiva a livello

corticale, in età avanzata, fa ipotizzare un possibile ruolo trofico nel cervello (329). Alterazioni della

somatostatina sono associate a malattie del sistema nervoso centrale; infatti in soggetti affetti sia dal

morbo di Alzheimer, che dal morbo di Parkinson si riscontra una diminuzione di somatostatina nella

corteccia cerebrale e nel liquido cerebrospinale, così come nei soggetti depressi o epilettici (285). Nel

cervello, la somatostatina controlla la temperatura, il senso della fame e della sazietà, la percezione del

dolore, il sonno e la memoria. Studi in vivo hanno mostrato che nel ratto, iniezioni intracerebrali di

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somatostatina producevano un aumento dell'attività motoria, disturbi del sonno e, in qualche caso,

voracità (330, 331); quelle intracerebroventricolari determinavano sia un effetto analgesico (interazione

con i recettori degli oppioidi o inibizione dei neuroni nocicettivi) (332), che una diminuzione, da un lato,

della secrezione di ACTH, del battito cardiaco, del livello plasmatico di adrenalina e di glucosio,

dell'attività motoria spontanea, mentre dall’altro un aumento dell'appetito, del consumo di ossigeno e

della secrezione gastrica (333). Da notare che gli esperimenti condotti sugli animali hanno evidenziato il

manifestarsi, accanto all’attività analgesica della somatostatina, anche degli effetti neurotossici legati alle

dosi del peptide impiegate ed alle modalità di somministrazione. A supporto di ciò, Gaumann e Yaksh

(334) evidenziarono che, nei ratti, le disfunzioni motorie successive all'iniezione intratecale di

somatostatina erano dose-dipendenti, mentre il blocco della percezione del dolore variava. L'esame

istologico indicava nucleolisi delle corna dorsali e ventrali, senza margini di sicurezza tra l'effetto

nocicettivo e quello tossico. Effetti simili sono stati osservati anche da Leblanc e Dirksen et al. (335, 336)

i quali riportarono che, nel ratto, gli effetti tossici, dovuti all'iniezione intratecale di somatostatina, erano

correlati alla dose e all'intervallo di somministrazione, laddove la capacità antinocicettiva risultava più

elevata se tale intervallo era breve. Per quel che riguarda studi sull'uomo, nel 1984 Chrubasik (337)

osservò in 8 pazienti terminali e in altri con dolore post-operatorio, ai quali era stata somministrata (via

intraventricolare, intratecale o epidurale) somatostatina (10-125 μg/ora), una riduzione significativa del

dolore; tale effetto non veniva annullato dagli antagonisti degli oppiodi (338).

La somatostatina, a livello del centro respiratorio situato nel midollo allungato, controlla la respirazione;

se iniettata nei ventricoli cerebrali dei mammiferi, induce apnea che può essere antagonizzata dalla som-

ministrazione del naloxone, un antagonista degli oppioidi, suggerendo che ci sia una possibile interazione

tra la somatostatina e l’encefalina, entrambe liberate a livello delle terminazioni nervose (339). La

somatostatina regola anche la pressione arteriosa, agendo sul sistema simpatico e dando un effetto

ipotensivo (340), al quale può contribuire anche una diminuita secrezione di adrenalina da parte della

midollare del surrene (340, 341). La somatostatina non solo influenza l'attività elettrica spontanea dei

neuroni (329), ma interferisce, a livello del sistema nervoso centrale, con la liberazione di altri

neurotrasmettitori inclusi la dopamina, la 5-idrossitriptamina e la noradrenalina (342).

3.5 Regolazione delle funzioni ipotalamo-ipofisi

50

La somatostatina prodotta a livello ipotalamico, regola nell’ipofisi sia la secrezione del GH che quella del

TSH. L'effetto di tipo inibitorio è mediato dai neuroni somatostatinergici ipotalamici che indirizzano le loro

proiezioni verso l'eminenza mediana. Nel ratto, se questa via viene interrotta, si osserva un aumento

della secrezione del GH e del TSH; al contrario, se il sistema viene stimolato elettricamente, si assiste ad

un potenziamento dell'inibizione della secrezione del GH e del TSH (343). Studi relativi

all'immunizzazione passiva verso l’ormone somatostatina hanno prodotto, come risultato, l'ipotesi che la

secrezione basale del GH sia sotto il controllo tonico della somatostatina, che blocca la liberazione del

GH in risposta al GHRH. Quest’ultimo è prodotto dai neuroni situati nel nucleo arcuato, i cui assoni si

proiettano anch'essi verso l'eminenza mediana, legandosi a specifici recettori di membrana. La

susseguente attivazione dell’enzima adenilato ciclasi determina un aumento di cAMP, che innesca una

catena di eventi che si traducono nella neosintesi di GH e nella sua liberazione da un pool preformato,

con il coinvolgimento di canali ionici di membrana (344). In particolar modo, la somatostatina inibisce la

liberazione del GH dal pool preformato, mentre è meno efficace nell’inibire la sintesi ex novo (345).

L'interazione tra GHRH e somatostatina si verifica non solo a livello ipofisario, ma anche attraverso

connessioni dirette nell'ipotalamo (346); pertanto, la somatostatina inibisce la liberazione del GH sia

mediante un'azione diretta sull'ipofisi, che attraverso una soppressione del GHRH, che a sua volta

modula la secrezione stessa della somatostatina. Quest’ultima subisce un "feedback" positivo dal GH e

dall’IGF-1 prodotto dal fegato (347, 348), così come dal glucagone e dalla bombesina, al contrario il

GABA e il glucosio inibiscono le cellule somatostatinergiche (349). Anche gli ormoni sessuali controllano i

livelli di somatostatina circolante, ad esempio, il testosterone li innalza, mentre gli estrogeni ne

determinano una diminuzione (350).

La secrezione del GH è pulsatile con picchi di secrezione durante le 24 ore; questo tipo di secrezione è

regolato proprio dall’effetto sinergico somatostatina/GHRH, che vengono liberati nella circolazione portale

in maniera ciclica. La somatostatina, di provenienza gastrointestinale, che raggiunge l'ipofisi, mediante la

circolazione sistemica, probabilmente non è determinante per la secrezione del GH, in quanto i livelli di

somatostatina, nel sangue periferico, sono molto più bassi rispetto a quelli del sangue portale ipofisario

(351). Nei soggetti normali, le altre funzioni ipofisarie come la secrezione di FSH, di LH, di ACTH e di

PRL non sembrano essere influenzate, anche se, in colture primarie di ipofisi fetale, gli analoghi selettivi

per il recettore sst2, inibiscono la secrezione di PRL (352). Inoltre, in soggetti affetti dal morbo di Addison

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o con tumori ACTH-secernenti, la somatostatina riduce gli elevati livelli di ACTH, così come nei soggetti

acromegalici riduce quella di PRL (343).

La somatostatina modula anche la secrezione del TSH interagendo con il TRH a vari livelli: inibisce

l’aumento del calcio intracellulare, regola il numero di recettori per il TRH a livello ipofisario (353) e riduce

direttamente la liberazione del TRH a livello ipotalamico (354). Nei soggetti ipotiroidei, l’infusione di

somatostatina determina una riduzione significativa dei livelli di TSH, abolendo l’aumento notturno di TSH

(355).

3.6 Regolazione endocrina ed esocrina del pancreas

La somatostatina è in grado di controllare la funzione pancreatica sia a livello degli isolotti di Langherans,

sede della secrezione endocrina, che a livello degli acini pancreatici, dove vengono prodotti enzimi

digestivi come l’amilasi, la lipasi e la tripsina. La microarchitettura vascolare degli isolotti fa sì che il flusso

sanguigno dal centro dell’isolotto si porti alla periferia (356, 357) in modo che l’insulina prodotta dalle

cellule B regoli (in senso negativo) la secrezione del glucagone (cellule A) e della somatostatina (cellule

D), che a sua volta, in base alla direzione del flusso ematico, influenza sostanzialmente le funzioni del

tessuto esocrino perinsulare; al contrario le cellule A e B possono essere soggette al controllo paracrino

da parte del peptide e/o a controllo endocrino da parte della somatostatina presente a livello del torrente

circolatorio (357). Questo ormone svolge un’azione di tipo autocrino sulle cellule D, influenzando anche

l’attività delle cellule che producono il peptide PP (325). La secrezione di insulina e glucagone è ridotta

dall’aumento dei livelli di SS14 e SS28; in particolare la SS14 è dieci volte più potente nell’inibire la

secrezione del glucagone rispetto alla SS28, laddove quest’ultima è più efficace nell’inibire la secrezione

di insulina (358). Le cellule D pancreatiche dei mammiferi producono soprattutto SS14, mentre le cellule

D dell’intestino, dopo l’ingestione di cibo, producono SS28 che raggiunge nel plasma alte concentrazioni

e va a modulare la secrezione delle cellule B. Inoltre la SS28 inibisce la secrezione degli enzimi

pancreatici e del bicarbonato, riducendo il riempimento della cistifellea. L’azione a livello pancreatico

potrebbe quindi essere mediata dall’interazione con i gangli situati nel contesto dell’organo (325, 359).

3.7 Regolazione delle funzioni gastriche, intestinali ed epatiche

Studi condotti nel cane dimostrano che, a seguito dell'ingestione di un pasto, la somatostatina liberata dal

fondo dello stomaco, dall'antro pilorico e dall'intestino tenue è associata al suo aumento in circolo (360).

52

Anche in questo caso la modalità d'azione della somatostatina può essere duplice: un classico

meccanismo endocrino e la via paracrina (325, 360). La composizione chimica del cibo sembra ricoprire

un ruolo primario, rispetto alla distensione delle pareti gastriche, nella liberazione di somatostatina; a

livello dell’antro pilorico, lo stimolo principale è invece rappresentato dall’acidità della secrezione gastrica

(361, 362). La somatostatina nello stomaco stimola la secrezione mucosa, riduce quella di pepsinogeno,

del fattore intrinseco e dell’acido cloridrico, in modo sia diretto, che attraverso la soppressione della

secrezione di gastrina (363, 364). Infusioni di somatostatina riducono drasticamente la secrezione acida

dello stomaco sia nell'uomo che nel cane (365). La somatostatina inibisce altresì la secrezione

dell'istamina, dell'acetilcolina, potenti secretagoghi dell'acido cloridrico (366, 367), così come quella dei

peptidi correlati alla bombesina, che stimolano, a loro volta, la secrezione della gastrina (368). Quindi,

controllando la secrezione della gastrina, la somatostatina è in grado di regolare anche l'effetto trofico

esercitato sulle cellule enteroendocrine (369). La liberazione della gastrina è, a sua volta, inibita dall'acido

cloridrico, che stimola successivamente la produzione di somatostatina (370). Quest’ultima è coinvolta

non soltanto nel "feed-back" intragastrico tra acido cloridrico e gastrina, ma anche nel meccanismo deno-

minato "bulbogastrone" e cioè il "feedback" duodeno-gastrico. Durante l'acidificazione del bulbo

duodenale si ha un'inibizione della funzione delle cellule parietali e una liberazione di somatostatina dalle

cellule D delle ghiandole fundiche, con un conseguente aumento della concentrazione plasmatica (371).

Alcuni ormoni, liberati a livello intestinale, quali la secretina e la motilina, mediano questo "feedback"

stimolando la secrezione di somatostatina sia dalla parete gastrica, che da quella intestinale; l’eccesso di

somatostatina inibisce la produzione di acido cloridrico (372). La somatostatina ritarda inoltre il ritmo di

riempimento dello stomaco (fase tardiva), inibisce la motilità intestinale (attraverso la modulazione della

liberazione di acetilcolina dipendente dal cAMP), regola il flusso sanguigno a livello enterico, la

proliferazione e la secrezione delle cellule della mucosa, inclusa quella neuroendocrina, nonché

l'assorbimento intestinale (325, 373). I livelli basali di somatostatina e la motilità intestinale fluttuano

durante il periodo tra due digestioni confermando il nesso esistente tra il peptide e la peristalsi intestinale

(374).

Nel fegato, la SS14 fa diminuire la secrezione di bile del 30%, deprime l'output di acidi biliari, colesterolo,

fosfolipidi, Na+, Cl- e K+ e riduce dal 15 al 30% il flusso ematico epatico (375).

3.8 Somatostatina e controllo dell’omeostasi nutrizionale

53

Un'assunzione incontrollata di nutrienti dall'intestino al sangue, potrebbe avere delle conseguenze

negative sull'omeostasi del “milieu interieur”. Infatti se ai vari nutrienti fosse consentito di entrare

liberamente nella circolazione, la loro concentrazione nel sangue si innalzerebbe in maniera abnorme e

prolungata causando una concentrazione intracellulare degli stessi non fisiologica, con un'attivazione di

vie metaboliche altrimenti inattive e l'accumulo di cataboliti con gravi disturbi metabolici. È pertanto

necessario che si realizzi un equilibrio tra l'assunzione delle sostanze a livello intestinale nella

circolazione ed il loro efflusso nei tessuti e nelle cellule (376). L'equilibrio si realizza, come sempre, per

un sottile gioco tra sostanze che stimolano e sostanze che inibiscono la digestione. Tra queste, la

somatostatina assume un ruolo di grande importanza, regolando le funzioni endocrine ed esocrine dello

stomaco, dell'intestino e del pancreas e la motilità del tubo gastroenterico, in parte mediante un

meccanismo di tipo endocrino, in parte mediante la via paracrina. Dopo l'ingestione di un pasto, la

somatostatina viene liberata dallo stomaco, dall'intestino tenue e dal pancreas, determinando una serie di

effetti, il cui risultato finale è dato da un'attenuazione dell'apporto di nutrienti dall'intestino alla

circolazione. Nel cane, uno stato di iposomatostatinemia, fa aumentare il livello post-prandiale dei

trigliceridi, laddove l’infusione intraportale del peptide riduce sia il livello dei carboidrati che dei trigliceridi

(325). Nell’uomo, infusioni endovenose di somatostatina fanno ridurre il livello basale e postprandiale di

insulina. Dal momento che l'insulina è un potente inibitore della somatostatina, l’iposomatostatinemia

potrebbe essere secondaria all’iperinsulinemia; d'altro canto essa potrebbe causare un aumento dei livelli

di insulina e quindi dell'assunzione di nutrienti nei soggetti obesi (325). I soggetti obesi presentano livelli

di somatostatina ridotti e virtualmente non hanno "somatostatin response" dopo il pasto, il che è

associato ad iperinsulinemia (377). Infine, la SS14 inibisce l'assorbimento del glucosio, dei grassi e degli

aminoacidi (325).

3.9 Somatostatina: modulazione delle funzioni renali, polmonari e del sistema immunitario

La somatostatina regola le funzioni renali sia agendo direttamente a livello del tubulo renale, sia

indirettamente influenzando le concentrazioni plasmatiche di ormoni vasoattivi coinvolti nella regolazione

del tono vascolare e nell'omeostasi del sodio e dell'acqua. È stato dimostrato, in esperimenti condotti in

volontari sani, che essa riduce il flusso plasmatico renale, il volume delle urine, l'escrezione urinaria di

sodio e potassio, il riassorbimento dei fosfati, ma aumenta l'osmolalità delle urine (378). La somatostatina

non modifica la concentrazione del fattore natriuretico atriale, della vasopressina e delle catecolamine,

54

ma induce una diminuzione dei livelli di renina mediante la soppressione della stimolazione della

corteccia surrenalica da parte del sistema renina-angiotensina (342). Effetti vasodinamici simili si

osservano nei diabetici e nei cirrotici, il che può rivestire un certo interesse nel trattamento di tali soggetti

(379).

Per quanto riguarda la corticale del surrene, esistono buone evidenze del fatto che la somatostatina

presente in circolo possa interagire con le cellule della glomerulare del surrene, modulando così la

produzione di aldosterone stimolata dall’angiotensina (343).

La somatostatina è stata estratta dal tessuto polmonare, per la prima volta, nel 1981 (380); si ritiene che

essa possa avere un ruolo nello sviluppo dell'organo, in quanto è stata localizzata, in feti di scimmie

rhesus, in alcuni corpi neuroepiteliali polmonari (381). In colture d'organo allestite in un mezzo di coltura

privo di siero e addizionato di fattori di crescita, la somatostatina determina l'allungamento e la

ramificazione delle porzioni distali delle strutture tubulari polmonari prelevate da feti di animali da

esperimento (382). A livello del polmone, la somatostatina viene degradata da almeno tre enzimi:

un'endopeptidasi, un'aminopeptidasi e un enzima tripsino-simile (383). Quest'attività potrebbe essere

relativa alla somatostatina prodotta localmente o rappresentare una sorta di meccanismo di riserva che

subentra allorché il metabolismo normale del peptide viene alterato da stati patologici (342).

La somatostatina influenza le funzioni immunitarie attraverso vari meccanismi che comprendono la

modulazione della produzione di immunoglobuline, la proliferazione dei linfociti, la citotossicità, la

produzione di citochine, la liberazione di mediatori dai basofili, il reclutamento degli eosinofili e la funzione

dei macrofagi. Inoltre essa inibisce la produzione di IgA e, in misura minore, di IgM da linfociti isolati dalle

placche di Peyer, dai linfonodi mesenterici e dalla milza (342). Per quel che concerne i linfociti e le cellule

linfoidi, la somatostatina ha un effetto bifasico sulla proliferazione spontanea e indotta: a basse

concentrazioni la inibisce e ad alte concentrazioni la stimola; questo tipo di risposta potrebbe essere

mediata da differenti recettori. La somatostatina riduce l'attività "natural killer" nei linfociti delle placche di

Peyer e in quelli splenici (384) e inibisce la produzione di linfotossina e del TNF dalle cellule periferiche

mononucleate, nonché, a dosi soprafisiologiche, di interferon γ (385, 386). La somatostatina sopprime la

liberazione di istamina indotta da IgE e di leucotrieni nei basofili e nei mastociti, ma a concentrazioni

elevate, stimola la liberazione di istamina dagli stessi mastociti, potrebbe, pertanto, avere un ruolo nelle

reazioni di ipersensibilità (387, 388). Per quel che concerne i macrofagi, la somatostatina abolisce la

risposta tumoricida dei macrofagi a dosi superiori a 1 nM, abolendo la chemiotassi e l’attività fagocitaria di

55

queste cellule (389, 390). I linfomi maligni ed i campioni tissutali dei pazienti affetti da tubercolosi e

sarcoidosi esprimono recettori per la somatostatina, mentre nelle malattie granulomatose i recettori

scompaiono dopo trattamento con corticosteroidi (391).

3.10 I recettori per la somatostatina

Le diverse azioni fisiologiche della somatostatina sono mediate dall'interazione con specifici recettori in

grado di legare l'ormone con elevata affinità e selettività. Gli studi di caratterizzazione molecolare hanno

permesso di identificare almeno 5 sottotipi di recettori per la somatostatina (sst), numerati da 1 a 5 in

base all'ordine nel quale essi sono stati identificati; strutturalmente sono simili pur avendo differenti

caratteristiche farmacologiche. Sia nell'uomo che in altre specie animali, tali recettori sono codificati da

una famiglia di 5 geni non allelici localizzati su cromosomi differenti (392, 393). I geni che codificano per

le varie classi di sst mancano in genere di introni, ad eccezione del gene sst2 che contiene un introne

criptico, che dà origine a due isoforme recettoriali, sst2A e sst2B, le quali differiscono tra loro per la

lunghezza della coda carbossiterminale intracellulare, composta rispettivamente da 369 e 346 aminoacidi

(394). Nella specie umana, i recettori sst pur variando nella composizione aminoacidica da 359 (sst2B) a

418 amminoacidi (sst3), hanno 105 aminoacidi che risultano conservati filogeneticamente. Dal punto di

vista strutturale, essi appartengono, come per l’NPY, alla famiglia dei recettori accoppiati alle proteine

eterotrimeriche ad attività GTPasica (proteine G). Tali recettori di natura glicoproteica mostrano la

porzione N-terminale in sede extracellulare e presentano una struttura a "serpentina" attraverso la

membrana plasmatica, così da formare sette domini transmembrana, con tre anse extracellulari, tre anse

intracellulari e una coda C-terminale intracellulare (395). Sia nel dominio N-terminale che nella seconda

ansa extracellulare, sono presenti dei residui di asparagina (Asn) soggetti ad ammino glicosilazione; la

presenza di tali siti giustifica il ruolo svolto dagli oligosaccaridi nella funzionalità dei recettori. È risaputo

infatti, che la componente in carboidrati è importante nel determinare il legame ad alta affinità della

somatostatina naturale e dei suoi analoghi (396). La natura e l'estensione della componente in carboidrati

è variabile tra le 5 sottoclassi di recettori ed è il recettore sst2 a presentarsi come quello maggiormente

glicosilato.

I recettori sst possiedono, inoltre, diversi siti di fosforilazione tra la seconda e la terza ansa citoplasmatica

e nella regione carbossiterminale intracellulare. I sottotipi sst1, sst2, sst4 e sst5, ma non il sottotipo sst3,

contengono dei residui conservati di cisteina, localizzati 12 aminoacidi a valle del settimo dominio

56

transmembrana, che fungono da siti di palmitoilazione. La presenza di residui di acido palmitoilico

permettono l'aggancio della catena carbossiterminale del recettore alla membrana; ciò induce una

particolare conformazione della molecola rendendo inaccessibili quei siti che, una volta fosforilati, portano

a desensitizzazione del recettore stesso (397). I recettori sst mostrano alcune proprietà strutturali tipiche;

infatti possiedono delle sequenze caratteristiche che potremmo definire "un marcatore specifico"

dell'intera famiglia; tali sequenze comprendono un sito di fosforilazione Arg-Ser-Glu a livello della terza

ansa intracellulare e la sequenza Leu-Tyr-Ala-Asn-Ser-Cys-Ala-Asn-Pro-Ile-Leu-Tyr (LYANSCANPILY)

presente nel settimo dominio transmembrana dei recettori sst1, sst2, sst3 e sst4. Il recettore sst5 invece,

presenta un residuo di valina al posto dell’isoleucina (393). I domini transmembrana rappresentano le

zone recettoriali più conservate, con un grado di identità tra le sequenze aminoacidiche dei vari sottotipi

compreso tra il 46 e il 61% (398, 399); la maggiore identità di sequenza è presente fra i recettori sst1 e

sst4 (61%), così come tra sst3 e sst5 (59%). In particolar modo, basandosi anche sul profilo

farmacologico dell’interazione degli analoghi sintetici della somatostatina, è possibile suddividere gli sst in

due sottoclassi, la prima costituita da sst1 e sst4 (bassa affinità per gli analoghi) e la seconda da sst2,

sst3, sst5 (alta affinità per gli analoghi) (400).

Il raffronto tra le sequenze aminoacidiche degli sst ha mostrato una buona similarità (82-96%) tra quelli

presenti nell'uomo, nel ratto, nel topo e nel maiale. La sequenza di sst1 risulta essere quella

filogeneticamente più conservata, con il 97% d’identità tra la proteina umana e quella di ratto (398, 399).

Tra i recettori a sette domini transmembrana finora identificati, i recettori per gli oppioidi risultano essere i

più simili a quelli sst, con un'analogia strutturale attorno al 37%; infatti alcuni analoghi della somatostatina

sono in grado di legare i recettori degli oppioidi (401) e nella linea cellulare T47D, di carcinoma

mammario, la morfina è in grado di interagire con i recettori sst2, determinando una riduzione della

crescita cellulare. In genere, il dominio di legame dei recettori a sette domini transmembrana comprende

una serie di aminoacidi non contigui, presenti nei domini transmembrana e nel dominio N-terminale, che

formano una specie di “tasca” all’interno della struttura del recettore. Da qui scaturisce l’ipotesi che gli

analoghi sintetici della somatostatina simili all’octreotide interagiscano con i recettori sst in una cavità di

legame formata da residui idrofobici, con una forte carica elettrica (Asn276 e Phe294 in sst2), localizzati

esclusivamente tra i domini transmembrana III e IV. La presenza dei residui Gln291 e Ser305 sulla parte

esterna dei domini transmembrana VI e VII di sst1 potrebbe quindi prevenire l’ingresso dell’analogo in

questa cavità. I ligandi naturali SS14 e SS28, essendo più lunghi e flessibili, rispetto agli analoghi

57

sintetici, potrebbero assumere una conformazione che permetterebbe loro di entrare nella cavità di

legame di tutti e cinque i recettori sst, oppure potrebbe interagire con un altro epitopo dei recettori stessi

(402, 403). Greenwood (404) mediante esperimenti di mutagenesi e di delezione genica, ha dimostrato il

coinvolgimento della seconda ansa extracellulare (ma non della prima e della terza, così come del

dominio N-terminale) nell’interazione della somatostatina e dell’octreotide, con il recettore sst5 umano,

quindi, il dominio di legame ai recettori sst coinvolge i domini transmembrana da III a VII con il contributo

della seconda ansa extracellulare. Sia SS14 che SS28 legano tutti i sottotipi recettoriali, anche se SS14

mostra una selettività inferiore per i recettori sst1 e sst4 e SS28 appare più selettiva per il recettore sst5.

Non sembrano invece esistere differenze nelle proprietà di legame alle sottoclassi sst2A e sst2B (405).

3.11 Distribuzione

I dati sulla distribuzione dei recettori della somatostatina nel SNC sono stati ottenuti principalmente nei

roditori, dimostrando come essi siano espressi in modo distinto, ma talvolta sovrapposto. A livello del

SNC del ratto sono in genere espresse tutte e cinque le sottoclassi sst. In particolare studi di

localizzazione cellulare hanno evidenziato la loro presenza a livello del corpo cellulare e dei terminali

assonici e dendritici (406). Le maggiori concentrazioni sono rilevabili a livello della corteccia, del nucleo

striato, dell’ippocampo, dell’amigdala, del bulbo olfattivo e dell’area preottica (398). Analizzando i livelli di

espressione dei singoli sottotipi, è possibile osservare una maggiore espressione di sst1 e sst2 a livello

della corteccia, di sst1 e sst3 a livello dell’amigdala e di sst3 e sst5 a livello dell’ipotalamo-area preottica;

in genere il recettore sst4 è poco espresso nel SNC (407). Paradossalmente, nel cervelletto si trovano

elevati livelli di mRNA per il recettore sst3 associati però ad un ridotto contenuto di proteina recettoriale

(408). La presenza di mRNA per i recettori sst1, sst2, sst3 e sst4 in aree quali la neocorteccia,

l’ippocampo e l’amigdala giustifica il ruolo della somatostatina nella regolazione di attività complesse

come l’attività motoria, l’apprendimento e la memoria; inoltre la loro identificazione a livello della corteccia

piriforme suggerisce un ruolo primario della somatostatina nella modulazione delle informazioni

sensoriali. I recettori sst2 e sst4 sono anche espressi ad alti livelli nell’abenula, area di interconnessione

tra i gangli della base, le strutture mesolimbiche e i nuclei del rafe (406).

Nel ratto a livello ipotalamico sono presenti gli mRNA di tutti e cinque i sottotipi recettoriali (408); tuttavia

l’osservazione, in omogenati di ipotalamo, che il legame della somatostatina non viene inibito

dall’octreotide, suggerisce la preponderanza del sottotipo sst1, recettore al quale l’octreotide si lega con

58

bassa affinità. A livello ipofisario dell’uomo adulto sono espressi i sottotipi sst1, sst2, sst3 e sst5, mentre

sst4 è espresso transitoriamente solo durante lo sviluppo della ghiandola, risultando assente nell’adulto

(409). Al contrario di quanto avviene in omogenati di ipotalamo, in preparati di membrane di ipofisi, il

legame della somatostatina viene inibito dall’octreotide, facendo quindi supporre la presenza

preponderante dei recettori per i quali questo analogo ha una elevata affinità (sst2, sst3, sst5). Sempre

nel ratto, a livello ipofisario l’espressione del recettore sst5 appare nel 70% delle cellule somatotropo e

solo nel 21% delle cellule gonadotrope, mentre il recettore sst2 appare più espresso nelle cellule

tireotrope (409).

Nelle isole pancreatiche è stata dimostrata la presenza di tutti e cinque i sottotipi recettoriali (410), così

come nei linfociti circolanti (411) e nello stomaco (412). Un’espressione moderata dei recettori sst1 e sst5

è osservabile a livello dell’intestino tenue, dove peraltro sono presenti bassi livelli di espressione dei

recettori sst3 e sst4; questa struttura si caratterizza anche per l’assenza di espressione del recettore sst2

(412). Elevati livelli di sst2 sono invece presenti a livello della ghiandola surrenale dove è stata osservata

anche una moderata presenza dei recettori sst1 e sst3. Fegato e milza presentano un’elevata

espressione di sst3 e una moderata o ridotta espressione degli altri sottotipi; al contrario, il recettore sst4

risulta altamente espresso nel cuore e nei polmoni, mentre nel rene sst3 e sst4 sono parimenti espressi

(284). In particolare nel tessuto prostatico umano, sia livello dell’epitelio che del compartimento stromale

sono stati trovati i recettori sst1, sst2, sst3 (413), suggerendo un ruolo paracrino nella regolazione

dell’attività di questa ghiandola. I recettori sst4 e sst5, meno abbondanti, sono confinati nelle cellule

epiteliali (326, 414). È stato ampiamente dimostrato che, nell’uomo, l'espressione dei recettori sst è

presente in una varietà di tessuti tumorali (391, 415, 416) e il recettore sst2 appare essere il sottotipo più

diffuso, mentre gli altri sottotipi sono presenti in percentuale più variabile. Per i tumori prostatici benigni e

maligni, invece, si è osservata una mancanza dell’isoforma sst2 e poiché questo sottotipo è responsabile

dell’effetto antiproliferativo della somatostatina si verifica una condizione di vantaggio di crescita e di

peggioramento della prognosi (414). La presenza dei recettori per la somatostatina, nei tessuti tumorali,

ha portato ad ipotizzare che la perdita del controllo della proliferazione da parte delle cellule cancerose,

possa anche essere la conseguenza di possibili mutazioni, e quindi alterazioni funzionali, di tali recettori

(416).

3.12 Attivazione e meccanismi intracellulari

59

Il legame della somatostatina con i propri recettori induce l'attivazione o l'inibizione di effettori

intracellulari, mediante il coinvolgimento delle proteine a struttura eterotrimerica (formate dalle tre

subunità: α, β, γ) in grado di legare e idrolizzare il GTP, comunemente note come proteine G. Uno degli

effettori intracellulari più studiato è l’adenilato ciclasi (AC), che attiva la via di segnale AC-cAMP-protein

chinasi A (PKA) (417). Studi condotti in cellule isolate che esprimono i diversi recettori sst hanno

dimostrato che, l'accoppiamento funzionale di tali recettori con l'enzima adenilato ciclasi coinvolge le

proteine Gαi1 e Gαi2 (418), mentre le Gαi3 e la Gαo1 sembrano essere coinvolte, rispettivamente, nella

regolazione da parte della somatostatina dei canali del potassio e del calcio (419). Non sono ancora

del tutto noti i siti di interazione del recettore con le proteine G, anche se una sequenza

consenso per l'accoppiamento, è stata identificata a livello della terza ansa citoplasmatica dei

recettori sst2, sst3, sst4 e sst5 (420). Comunque, è stato osservato che alcune azioni mediate

dalla somatostatina attraverso il recettore sst1 non sono sensibili alla tossina della per tosse,

portando ad ipotizzare che la particolare sequenza della terza ansa citoplasmatica di questo recettore

non permetta l'accoppiamento con la proteina G. La costruzione di una chimera molecolare del

recettore sst1 con la sequenza della terza ansa citoplasmatica, proveniente da un altro recettore

(come ad esempio il recettore δ per gli oppioidi), solitamente accoppiato alle proteine G, ha permesso

di ottenere un recettore sst1 ibrido capace di interagire con le proteine G, confermando l'importanza,

in tale meccanismo, del dominio intracellulare corrispondente alla terza ansa citoplasmatica (420). In

contrasto con tali evidenze è stato descritto che, in fibroblasti di topo, l’effetto di stimolo della

somatostatina sulla pompa Na+/H+, mediato dal recettore sst1, non viene bloccato dalla tossina della

pertosse, ma soprattutto non coinvolge la terza ansa citoplasmatica (421).

Il recettore sst2 purificato è in grado di associarsi con le proteine Gαi2, Gαi3 e Gαo2 (418, 419). Come noto, il

recettore sst2 esiste in due isoforme (sst2A e sst2B) e dagli studi condotti è stato possibile osservare che

l'isoforma sst2A mostra un'efficienza di accoppiamento con le proteine G minore rispetto all'isoforma

sst2B (420). La causa di tale differenza sembra essere dovuta ad un effetto di ingombro sterico della

parte carbossi-terminale, che nell’isoforma sst2A è più lunga.

3.13 Effetti mediati dal sistema adenilato ciclasi-protein chinasi A

60

In senso generale, si ritiene che tutti i recettori sst clonati, e in particolare le isoforme umane dei

recettori sst2, sst3 e sst5, siano quelle per cui l'accoppiamento all'AC, mediante proteine G sensibili

alla tossina della pertosse, è stato stabilito con maggiore certezza (392, 398, 419, 422).

Per quanto concerne il recettore sst1, sebbene un limitato numero di studi riportava che era accoppiato

all’AC attraverso una proteina G, sensibile alla tossina della pertosse (PTX-sensibile) (423), ad oggi è

ben dimostrato che gli agonisti che legano il sottotipo recettoriale sst1 possono inibire la via dell’AC in

maniera PTX-sensibile (424). Esperimenti condotti su cellule ovariche di criceto cinese (CHO), che

esprimevano rispettivamente il sottotipo sst1 umano (425) e di ratto (426), hanno confermato che,

l’inibizione dell’attività dell’AC è mediata dalle proteine Gi3 e Gi1/2.

Analizzando il sottotipo sst2, solo l’isoforma sst2B sembrava essere accoppiata all'AC. Allo scopo

di chiarire le basi molecolari di tali differenze, Reisine (420) ha generato una forma di recettore sst2B

troncata al punto in cui la sequenza aminoacidica diverge rispetto a quella dell'sst2A. Questo

recettore troncato media l'inibizione della formazione di cAMP indotta dalla somatostatina, suggerendo

che il terminale -COOH dei recettori sst2 non è importante ai fini dell'accoppiamento con l'AC, ma è la

porzione C-terminale del sottotipo sst2A ad inibire questo accoppiamento. Il recettore sst2A è

associato con le proteine Gαi2, Gαi3 e Gαo2 (418, 419), ma non con la proteina Gαi1, necessaria per

l'accoppiamento con l'AC. Questa differenza nella modalità di associazione con la proteina Gαi1

potrebbe spiegare l'effetto opposto dei due sottotipi recettoriali sst2 sul l'attività di AC, anche se

esperimenti di co-espressione, condotti nella linea cellulare CHO, hanno dimostrato che il sottotipo sst2A

può inibire l’AC attraverso le proteine Gi1 (427).

Anche il recettore sst3 è accoppiato, mediante la proteina Gαi1, all'AC e alla successiva riduzione dei

livelli intracellulari di cAMP (392, 428). Studi di mutagenesi hanno mostrato come, per tale inter-

relazione, sia necessaria l'estremità C-terminale e l'accoppiamento con la proteina Gαi1 (420). In termini

fisiologici, i meccanismi sopra descritti sono alla base dell'effetto inibitorio della somatostatina sulla

sintesi e sulla secrezione del GH, da parte delle cellule somatotrope ipofisarie. Infatti, l'espressione

genica e il rilascio del GH sono direttamente controllate dal GHRH e dalla somatostatina in modo

antagonistico, rispettivamente, tramite l'aumento e la diminuzione dei livelli intracellulari di cAMP

(429). Infine i sottotipi sst4 (424) e sst5, in modo simile a tutti gli altri sottotipi sst, inibiscono l’AC

attraverso le proteine G, sensibili alla tossina della pertosse (422). Comunque, se l’agonista è ad alte

concentrazioni, sst5 può anche mediare l’attivazione dell’AC, come dimostrato nelle cellule COS (cellule

61

renali di scimmia) e CHO, attraverso un meccanismo apparentemente coinvolgente l’attivazione delle

proteine Gs (430).

3.14 Effetti mediati dal sistema PLC/IP3

Il possibile utilizzo da parte dei recettori sst della via intracellulare mediata dall’attivazione della PLC, con

formazione di IP3 è controversa e quindi non viene ritenuta una via di segnale normalmente utilizzata

(431).

Il recettore sst1, così come dimostrato, in vitro, sui modelli cellulari CHO (425) e COS (432), ma non nella

linea cellulare F4C1, tumore ipofisario di ratto (433), attiva la via della PLC, con susseguente produzione

dell’IP3.

Anche sst2A stimola la PLC, nelle linee cellulari COS (432), F4C1 (433) e GM4C1 (434). Tale effetto è

solo parzialmente sensibile alla tossina della pertosse, suggerendo che le proteine G, sia sensibili che

insensibili a questa tossina, possano essere coinvolte nel collegamento di sst2A a questa via. Sempre

nelle cellule COS, transfettate per sst3, sst4 e sst5, è stato dimostrato che, l’attivazione della PLC è solo

parzialmente sensibile alla tossina della pertosse, ed, il sottotipo sst5 è il più efficace nell’attivare la PLC

e la produzione di IP3 (432).

3.15 Effetti mediati da variazioni delle concentrazioni ioniche intracellulari

I recettori sst possono risultare accoppiati a diversi sottotipi di canali del potassio (rettificatori ritardati,

rettificatori in entrata, canali sensibili all'ATP e canali a grande conduttanza calcio-dipendenti) (420, 435,

437). Esperimenti di ricombinazione molecolare hanno dimostrato che, l'accoppiamento funzionale tra i

recettori sst e i canali del potassio è mediato dall'attivazione della proteina Gαi3 (438). L'attivazione dei

canali del potassio, da parte dei recettori della somatostatina, induce una iperpolarizzazione reversibile

della membrana cellulare, con conseguente cessazione dei potenziali d'azione spontanei e una riduzione

delle concentrazioni intracellulari di Ca+2 (327). Oltre a questo effetto indiretto, sull'ingresso di calcio nella

cellula, i recettori sst2, in particolare, possono anche esercitare un effetto diretto di blocco dei canali del

Ca+2 voltaggio-dipendenti, attraverso la proteina Gαo2 (439). A livello di alcune popolazioni di neuroni del

cervello di ratto, tale modulazione sembra coinvolgere i canali del calcio di tipo N e di tipo P/Q (440). D'altro

canto, è stata anche dimostrata un'azione inibitoria della somatostatina sui canali del Ca+2, mediata

dall'attivazione della guanilato ciclasi con formazione del cGMP, attivazione di una chinasi cGMP-

62

dipendente e conseguente fosforilazione dei canali del Ca+2 (441). In apparente contrasto con questo

effetto inibitorio, esercitato dalla somatostatina, è stato osservato che essa è in grado di indurre anche

un'attivazione sia dei canali del Ca+2, che del potassio, attraverso una defosforilazione dei canali stessi,

dovuta all'attivazione di una serina-treonina fosfatasi (437). Infine, il recettore sst1 può essere accoppiato

all'attivazione della pompa Na+/H+ attraverso una via di segnale insensibile alla tossina della pertosse,

mentre il recettore sst2 non risulta accoppiato con questo trasportatore ionico (421).

3.16 Effetti mediati da modificazioni dell’attività fosfatasica

Le fosfatasi fanno parte di un’ampia famiglia di enzimi che comprendono forme transmembranali,

recettoriali e non recettoriali. Esse hanno due diversi siti preferenziali di azione; si dividono infatti in

fosfatasi con prevalente attività verso gli aminoacidi serina/treonina oppure tirosina. Inoltre esistono

fosfatasi in serina/treonina di tipo I e II; quest’ultime defosforilano anche i residui tirosinici.

La somatostatina può svolgere la sua azione inibitoria sulla proliferazione cellulare principalmente

attraverso l'attività dì proteine tirosina-fosfatasi, benché siano state descritte anche interazioni con

fosfatasi in serina e treonina (442, 443). A conferma dell'importanza del ruolo svolto dalle fosfatasi, è

stato postulato che la mancanza degli effetti inibitori della somatostatina sia da imputare non ad un'alterata

espressione del recettore per l'ormone, ma ad un mancato accoppiamento fra il recettore e la fosfatasi

stessa. Esperimenti condotti sulla linea cellulare trasformata PCC13, derivante dalla tiroide, la cui

proliferazione è stimolata dall’insulina e dal TSH ed inibita dalla somatostatina, hanno permesso di

osservare che il blocco dell’attività della tirosina-fosfatasi, con vanadato, produce un aumento della

velocità di crescita di queste cellule. Inoltre, dal momento che il trattamento con somatostatina è

accompagnato da un aumento dell’attività tirosina-fosfatasica, l’incremento di tale attività enzimatica è un

segnale citostatico per questa linea cellulare (444). Si è inoltre osservato che, nella linea cellulare CHO

(445), gli effetti della somatostatina mediati dal recettore sst2 sono trasdotti da un sistema intracellulare ad

attività tirosina-fosfatasica. L'attivazione di sst2 da parte dell'ormone, comporta la dissociazione della

fosfatasi dal recettore stesso e un aumento della sua attività. Nelle cellule di controllo la fosfatasi è fosforilata

in tirosina, mentre in quelle trattate con somatostatina, si osserva una defosforilazione di questi

residui con attivazione dell’enzima fosfatasi, a dimostrazione del ruolo chiave della fosfatasi come

trasduttore dei segnali antiproliferativi della somatostatina a livello del sottotipo sst2 (445).

Complessivamente, l'interazione della somatostatina con le diverse classi di fosfatasi, fornisce un

63

esempio di come l'attività biologica possa venire regolata da fini meccanismi che coinvolgono fosforilazioni

reversibili che hanno un ruolo fondamentale nella fisiologia della cellula (446).

Infine un’altra via di trasduzione del segnale intracellulare è quella della MAPK. Nelle cellule CHO che

esprimono sst1, la somatostatina antagonizza l’effetto proliferativo indotto dal fibroblast growth factor

(FGF) attraverso la stimolazione di ERK1, attraverso la subunità della proteina G, sensibile alla tossina

della pertosse, Gβ (447). L’induzione di ERK1 dipende dall’attivazione della MAPK chinasi attraverso la

cascata MEK1/2, Raf-1, Ros, PI3K e della tirosin chinasi citoplasmatica, appartenente alla famiglia c-src.

L’attivazione della tirosin fosfatasi SHP-2 é necessaria per avere la massima attivazione di ERK1 e Raf-1,

dimostrando un cross-talk tra le vie fosfotirosin-fosfatasi e MAPK. Poiché SHP-2 lega costitutivamente c-

src, si é ipotizzato che c-src, per il quale la completa attività dipende dalla defosforilazione di un singolo

residuo fosfotirosinico, sia un diretto substrato di SHP-2 (447). Le due varianti del recettore sst2A e

sst2B, mediano una prolungata attivazione di entrambe le forme ERK1 e ERK2, attraverso la subunità G

(448). Comunque, le due isoforme differiscono nella loro capacità di attivare la MAPK p38 o l’PI3K,

esercitando così effetti opposti sulla proliferazione. Questi dati suggeriscono che le sequenze C-terminali

delle due isoforme giocano un ruolo importante nel reclutare le distinte vie chinasiche (448).

Nelle cellule CHO stabilmente transfettate per il recettore sst4, la somatostatina induce l’attivazione di

entrambe MAPK e/o MAPK chinasi, via proteina G sensibile alla tossina della pertosse (449). Da notare

che un’attivazione acuta di ERK1/2, al contrario della long lasting activation, è PKC-indipendente.

L’effetto proliferativo indotto dalla somatostatina è associato ad una prolungata attivazione della MAPK

(450).

Quando espresso nelle cellule CHO, sst5 inibisce l’attività della MAPK attraverso un meccanismo

coinvolgente l’inibizione del guanilato ciclasi e la formazione di cGMP (451).

3.17 Dimerizzazione dei recettori della somatostatina

Sebbene un ampio numero di recettori di membrana mediano la loro azione come dimeri (Heldin 1995),

inizialmente si credeva che i recettori accoppiati alle proteine G (GPCRs) funzionassero generalmente

come monomeri. Studi di farmacologia, biochimica e fisica, basati sulla BRET (bioluminescence

resonance energy transfer) e pbFRET (photobleaching fluorescence resonance energy transfer), hanno

evidenziato che i GPCRs, includendo i membri della famiglia dei recettori della somatostatina, possano

funzionare sia come dimeri, che oligomeri (452). Tra i recettori sst, la omo-etero dimerizzazione è stata

64

dimostrata per la prima volta per il sottotipo umano sst5 (hsst5) (453). Studi in vitro, sulla linea cellulare

CHO, hanno evidenziato che i monomeri sono predominanti nelle cellule che esprimono bassi livelli di

recettori transfettati, dimostrando quindi, che i recettori sst5 non formano dimeri in assenza dell’agonista

e che i trattamenti con somatostatina determinano un aumento dose dipendente della dimerizzazione del

recettore. Il sottotipo hsst5 può formare associazioni eterodimeriche con hsst1, ma non con hsst4,

suggerendo che la eterodimerizzazione è ristretta a specifiche combinazioni dei sottotipi recettoriali (453).

Associazioni tra il recettore hsst5 e la forma lunga del recettore umano D2 (D2R), un sottotipo che forma

omodimeri a livello della membrana plasmatica, sono state evidenziate nelle cellule CHO co-esprimenti i

due recettori (454). Mentre gli eterodimeri non sono localizzabili in assenza di stimolazione agonista, il

trattamento di cellule con dopamina, SS14 o entrambe gli agonisti, determina un aumento dell’efficienza

della pbFRET, suggerendo che, l’eterodimerizzazione è indotta da ciascun agonista. L’analisi

farmacologica dell’interazione hsst-D2R mostra che le cellule co-esprimenti i due recettori hanno una

attività funzionale maggiore se stimolati da entrambe somatostatina e ligandi dopaminergici (453). Anche

sst2A e sst3 possono formare omodimeri quando co-espressi in cellule HEK293. Mentre l’eterodimero

sst2A–sst3 si comporta come l’omodimero sst2A, esso non riproduce le caratteristiche farmacologiche

dell’omodimero suggerendo che, l’interazione fisica di sst3 con sst2A potrebbe indurre l’inattivazione

funzionale del sottotipo sst3 (455).

3.18 Analoghi della somatostatina

La somatostatina, benché proposta per il trattamento di numerose patologie umane, non può essere

considerata un farmaco ideale, perché presenta una breve emivita plasmatica (2-3 minuti) e necessita,

quindi, di essere somministrata per infusione endovenosa continua, con conseguente effetto “ rebound”

sulla secrezione dell’ormone stesso (456, 457). Nel tentativo di superare queste limitazioni si è pensato di

sviluppare degli analoghi sintetici che, pur conservando le stesse caratteristiche biologiche e

farmacologiche dell’ormone ipotalamico, presentassero un’emivita più lunga e fossero meno aggredibili

dagli enzimi proteolitici. Negli anni successivi l’identificazione chimica della somatostatina furono

sintetizzati peptidi detti “full size”, che conservavano, seppur modificata, la struttura di 14 amminoacidi

dell’ormone nativo. Questi composti però non presentavano caratteristiche biologiche superiori alla

somatostatina (445). Negli anni ‘70 però, venne osservato che anche piccoli peptidi di 6-8 aminoacidi

mantenevano l’attività biologica dell’ormone naturale e l’attenzione si concentrò su questi composti (458).

65

I più potenti analoghi della somatostatina oggi disponibili conservano la conformazione ciclica

responsabile dell’attività biologica e mancano del legame aminoacidico 8-9, sito di attacco delle peptidasi;

alla costituzione del gruppo farmacoforo concorrono inoltre la sostituzione degli aminoacidi in posizione 1

e 4 con epimeri destrogiri (459), che danno una maggiore selettività recettoriale rispetto alla

somatostatina. Di tutti gli agonisti di sintesi della somatostatina oggi disponibili, solo alcuni sono entrati

nella pratica clinica: in particolare sono attualmente impiegati in terapia l’octreotide (460), il lanreotide e il

vapreotide. Dal punto di vista strutturale, l’octreotide mantiene il ponte disolfuro tra le due cisteine, mentre

la struttura ciclica è ridotta a soli sei aminoacidi rispetto ai dodici della somatostatina nativa. La presenza

del triptofano destrogiro, in posizione 4, nell’octreotide ha permesso di aumentare considerevolmente

l’affinità della molecola per il recettore sst2 (461); inoltre la presenza di un altro aminoacido destrogiro (D-

Phe¹), sull’estremità C-terminale e un aminoacido idrossilato (Thr-olo) in posizione 8, all’estremità N-

terminale, rallentano la velocità di degradazione del peptide (462). L’octreotide è stato il primo analogo a

essere disponibile per uso clinico sperimentale a metà degli anni ‘80, utilizzato soprattutto per l’effetto

inibitorio sulla secrezione del GH (286). Il lanreotide rappresenta un altro octapeptide ciclico inizialmente

noto come BIM 23014 o somatuline, caratterizzato dalla presenza del gruppo D-βNal nella porzione

carbossiterminale; come gli altri agonisti della somatostatina, inoltre, presenta un ponte disolfuro e una

struttura ciclica esaminoacidica. Analogamente a quanto osservato per l’octreotide, questo insieme di

sostituzioni chimiche rende la molecola più resistente alla degradazione enzimatica, più attiva

biologicamente e più affine ai recettori cellulari di tipo 2. Il lanreotide, inoltre, si lega al recettore sst5 con

una affinità maggiore di quella esibita dall’octreotide (409, 463). Tale composto mostra anche una

potente azione inibitoria sulla proliferazione cellulare, conseguente a danno vascolare sistemico (464) ed

evoca un effetto soppressivo sulle risposte immunitarie, mediate dalle interazioni leucociti-endotelio

(465).

Il vapreotide è anch’esso un analogo octapeptidico ciclico, caratterizzato da un ponte disolfuro e da una

struttura ciclica dove gli aminoacidi tiroxina e valina sono rispettivamente in posizione 3 e 6, come nel

lanreotide. Il composto eptaciclico definito TT-232 nasce da modifiche dell’octreotide: rimozione del

residuo tirosinico in posizione 6 e sostituzione della fenilalanina in posizione 3, con una residuo tirosinico;

tale composto non inibisce il rilascio di GH, ma ha un effetto antiproliferativo in una grande varietà di

modelli in vitro e in vivo (466, 467). Un composto correlato al TT-232, in cui il ponte disolfuro tra le due

cisteine risulta sostituito da un ponte solfuro, tra due alanine, è stato chiamato Lan-7; questo analogo

66

mostra citotossicità selettiva nei confronti delle cellule tumorali, evocando meccanismi di tipo apoptotico

senza interferire sulla crescita delle cellule normali (468). Gli analoghi octapeptidici lineari ovviamente

non possiedono il ponte disolfuro, ma nelle posizioni 1 e 4 presentano l’epimero destrogiro degli stessi

aminoacidi presenti nella molecola degli agonisti ciclici. In aggiunta, nel composto BIM 23056,

l’aminoacido in posizione 8 è rappresentato dal gruppo D-βNal, mentre nella molecola del BIM 23052

l’aminoacido in posizione 6 è costituito dalla treonina (Thr). Questi analoghi risultano legarsi

preferenzialmente al sottotipo sst5 (BIM 23056), nonché a quello di tipo 3 (BIM 23052) (469, 470).

3.19 Somatostatina e suoi analoghi: controllo della crescita cellulare

La capacità da parte della somatostatina e dei suoi analoghi di controllare la proliferazione di cellule normali

e trasformate, è stata esplorata in modelli animali, in linee cellulari di derivazione murina o umana e in tumori

umani (linee cellulari) impiantati in topi atimici (471, 472). Esistono anche dati provenienti da studi clinici, i

quali indicano che, la somatostatina e i suoi analoghi hanno degli effetti nel trattamento di differenti

patologie neoplastiche (473, 474). L'inibizione della crescita cellulare è sostenuta da due tipi di meccanismo:

indiretti e diretti. I primi sfruttano gli effetti sistemici della somatostatina e dei suoi analoghi, giustificando

così l'effetto antiproliferativo riscontrato in tumori nei quali sono assenti i recettori per la somatostatina.

Tali meccanismi sono rappresentati da: a) inibizione della liberazione o dell'azione degli ormoni coinvolti

nella regolazione della crescita cellulare (quali l’insulina, il GH, la PRL, la gastrina, la secretina e la

colecistochinina). In particolare, la PRL interviene nello sviluppo del cancro della prostata (475) e il GH

riveste un ruolo fondamentale nella crescita dei tumori mammari (476); gli ormoni gastrointestinali,

insieme ai fattori di crescita, controllano lo sviluppo dei tumori del pancreas e del colon-retto (471, 477);

b) inibizione della liberazione o dell'azione, di fattori di crescita quali l’IGF, l'EGF, il PDGF, l'FGF, il TGF-α.

L'inibizione dell'IGF-1 è sia diretta, che mediata dall'inibizione del GH. L'IGF-1 è un importante mitogeno per

numerosi tipi di cellule trasformate, inibisce l'apoptosi, sollecita la mobilità cellulare e facilita la crescita delle

cellule endoteliali (478, 479). In particolare è stato dimostrato che la crescita dei tumori mammari umani

impiantati nel topo è ridotta, rispetto ai controlli, negli animali che geneticamente manifestano una

deficienza di IGF-1, anche se ambedue i gruppi ricevono lo stesso supporto estrogenico (480). Inoltre, il

lanreotide stimola selettivamente la formazione della proteina "IGF binding protein 1", interferendo così,

con l'azione dell'IGF-1 a livello recettoriale (481). La somatostatina può ridurre anche la secrezione di

bombesina e di Gastrin-Releasing Peptide, fattori autocrini nel carcinoma a piccole cellule del polmone

(482, 483); c) inibizione dell’angiogenesi legata, in parte, all’inibizione della liberazione di IGF-1 (481). Tale

67

azione è particolarmente importante nelle prime fasi dello sviluppo neoplastico, per spiegare il marcato effetto

di riduzione della crescita che gli analoghi sintetici producono in differenti modelli animali, dopo l’impianto di un

tumore (472); d) modulazione delle funzioni del sistema immunitario. Sono state osservate infatti,

modifiche nell’attività delle cellule “natural killer” murine, dopo trattamento con somatostatina e in pazienti

affetti da carcinomi metastatici trattati con l’octreotide (342, 484).

I meccanismi d’azione diretti sono, invece, rappresentati dagli effetti prodotti dal legame della

somatostatina o dei suoi analoghi di sintesi ai recettori specifici, determinando l’attivazione di vari

secondi messaggeri, come descritto in precedenza. Tra gli eventi post-recettoriali, particolare

importanza viene attribuita alla modulazione degli enzimi fosforilanti, che integrano e amplificano il

messaggio di vari fattori di crescita e sono considerati cruciali per la trasmissione del segnale

mitogenico dalla membrana al nucleo. L'aumento della fosfotirosin-fosfatasi induce la defosforilazione

dell'EGF-R, provvisto di attività tirosina-chinasica, e ciò si traduce in una incapacità del recettore di

mediare il segnale proliferativo del fattore di crescita (485, 486). Ormoni quali la dopamina e l'LHRH

sfruttano lo stesso meccanismo per produrre un arresto della crescita cellulare e in cellule di carcinoma

della mammella è stato dimostrato che il trattamento con antiestrogeni fa aumentare una

fosfotirosinfosfatasi di membrana, strettamente correlata all'effetto antitumorale di queste sostanze

(487, 488). Un'ulteriore via implicata nell'estrinsecazione dell'effetto antiproliferativo, a seguito

dell'interazione degli analoghi della somatostatina con il proprio recettore, è l'inibizione dell'attività della

MAPK stimolata dall'IGF-1, il cui segnale è mediato da un recettore ad attività tirosina-chinasica (489). La

somatostatina può inibire direttamente l'espressione dei geni c-fos e c-jun, impedendo la formazione di

un fattore di trascrizione denominato AP1, così come dimostrato in una linea cellulare di adenoma

ipofisario di ratto e in cellule parietali dello stomaco, dove l'octreotide, mediante l'azione di alcune

fosfatasi, è in grado di inibire la formazione di AP1 (442, 490).

L'apoptosi è un evento dovuto alla deliberata attivazione di un programma genetico in cui la cellula è

coinvolta attivamente; essa consiste in una serie di modificazioni morfologiche e biochimiche che

provocano una degradazione irreversibile del DNA genomico, alterazioni nucleari e frammentazione

della cellula. L'induzione dell'apoptosi è mediata da sst3 e da modificazioni conformazionali di p53

"wild-type", defosforilazione-dipendenti, e dall'induzione del gene bax. L'azione su p53 si verifica

rapidamente e precede il verificarsi dell'apoptosi (491).

68

3.20 Effetto antiproliferativo in cellule non trasformate

Per quel che concerne le cellule normali, la somatostatina svolge un ruolo nei processi fisiologici di

rinnovamento delle cellule epiteliali e nella risposta dell'epitelio a vari tipi di danno. A questo proposito,

risultati interessanti sono stati ottenuti in enterociti normali ottenuti da cripte dell'intestino tenue di ratto,

dove la somatostatina (492) ha la capacità di inibire completamente sia la sintesi del DNA (493), che

l'espressione dei protooncogeni regolati dall'EGF (494). Nelle cellule follicolari tiroidee non trasformate e ben

differenziate di ratto, FRTL5, la somatostatina inibisce sia la sintesi del DNA, stimolata dal TSH e dall'IGF-1, che

la proliferazione cellulare (495). Anche nelle linea cellulare PCC13, la somatostatina, interagendo con il

recettore sst4, induce l'inibizione della crescita cellulare stimolata dall'insulina e dal TSH, attraverso un

blocco della progressione del ciclo cellulare, dalla fase G1 alla fase S; tale legame determina, inoltre, un

aumento del 100% dell'attività fosfotirosin-fosfatasica (496). Il controllo sulla crescita si esercita non solo

sulle cellule epiteliali normali, ma anche su quelle muscolari e stromali. Infatti, il lanreotide determina una

riduzione della proliferazione di elementi stromali ottenuti da iperplasia prostatica benigna umana (497).

Inoltre nei conigli, in cui era stata provocata un'arteriosclerosi accelerata delle coronarie, mediante

trapianto cardiaco eterotopico, il lanreotide attenua l'iperplasia dell'intima e dello strato muscolare. Lo

stesso analogo inibisce l'incorporazione di timidina triziata nelle arterie coronarie del maiale. Ciò assume

particolare importanza se si pensa che, in pazienti che hanno subito un trapianto cardiaco o

un'angioplastica, la proliferazione delle cellule muscolari lisce rappresenta la causa principale

dell’ostruzione del lume delle arterie coronarie (498).

Un modello interessante per lo studio della regolazione della crescita delle cellule normali, da parte della

somatostatina è rappresentato dalle colture primarie di colangiociti di ratto polarizzati, in cui le superfici

apicale e basolaterale sono facilmente accessibili. Le cellule sviluppano giunzioni intercellulari serrate

mantenendo il loro fenotipo e rispondendo all'esposizione alla somatostatina. Se la superficie basolaterale

viene trattata con il peptide, essa manifesta una riduzione del 60% dei livelli di cAMP, indotti da forskolina,

suggerendo che su di essa vengono preferenzialmente espressi recettori specifici dal momento che, il

fenomeno non si verifica se al trattamento con somatostatina viene esposta la superficie apicale (499).

Esperimenti condotti in vivo hanno dimostrato che, in ratti in cui era stato effettuato sopra al muscolo

gastrocnemio un impianto sottocutaneo di matrice ossea demineralizzata, allo scopo di indurre

ossificazione, la somatostatina determina una diminuzione della proliferazione cellulare valutata

mediante l’incorporazione di timidina triziata e una riduzione dell'osteogenesi (500).

69

3.21 Effetto antiproliferativo in linee cellulari neoplastiche

Per quel che riguarda le linee cellulari coltivate in vitro esiste, in letteratura, una certa variabilità delle

condizioni di coltura impiegate, laddove nelle sperimentazioni relative all'impianto delle stesse linee,

nei topi atimici, si riscontrano notevoli discrepanze nel dosaggio degli analoghi utilizzati. Tuttavia, i

risultati depongono a favore della capacità della somatostatina e dei suoi analoghi nel controllare la

crescita della maggior parte dei tumori studiati, interagendo per lo più con recettori specifici. In

qualche caso appare evidente che l'azione della somatostatina e degli analoghi consiste nella

soppressione degli effetti proliferativi di ormoni o fattori di crescita che, a loro volta, interagiscono con

recettori specifici spesso provvisti di attività tirosina-chinasica. Risultano interessanti, le informazioni

relative al potenziamento da parte degli analoghi della somatostatina dell'effetto di altri farmaci, quali

gli antiestrogeni, gli analoghi dell'LHRH e i chemioterapici. In cellule derivate da tumori degli acini

pancreatici del ratto (ARA-2J), la somatostatina e l’octreotide inibiscono la crescita cellulare con la

mediazione di specifici recettori (501, 502), mentre le linee di carcinoma pancreatico di ratto, BxPC-3 e

SOJ-6, vengono solo debolmente inibite dalla somatostatina (503).

Nella linea di adenocarcinoma gastrico MKN45 sia in vitro, che dopo impianto in topi atimici, l’octreotide

induce una riduzione sia della crescita, che della secrezione di gastrina (501, 504).

Nelle linee cellulari di cancro del colon umano (CX1, X56, C170, LIM 1215, LIM 1863, LIM 2405, LIM

2412, SW 480, SW 620, RIP, DRUM) e di ratto (DHD/K12) è emersa l’efficacia della somatostatina e dei

suoi analoghi sintetici, nell’inibire la crescita cellulare (505, 506), dove l’attivazione della fosfatasi sembra

essere coinvolta nella realizzazione di tale effetto (507). Nelle linee cellulari di cancro della tiroide,

derivate da tumori umani primitivi o da metastasi linfonodali, si è osservato un effetto bifasico

dell’octreotide: a basse dosi stimola la proliferazione, mentre a dosi più alte inibisce la crescita cellulare e

l’invasione neoplastica (508).

Nel carcinoma polmonare a piccole cellule, in particolare nella linea cellulare NCI H69, la somatostatina è

incapace di influenzare la proliferazione cellulare in vitro (509), a differenza del lanreotide e

dell’octreotide, che risultano invece essere efficaci sia in vitro, che dopo impianto in topi atimici (510).

Nelle cellule MMQ, derivate da un tumore ipofisario PRL-secernente di ratto, si osserva una evidente

risposta alla somatostatina (511) e all’octreotide, caratterizzata da un blocco del ciclo cellulare tra la fase

G0 e G1 (512).

70

La somatostatina e i suoi analoghi inibiscono, in vitro, anche la crescita di cellule di leucemia linfoblastica

umana (513), di osteosarcoma umano (SK-ES1), di melanoma B16 e del sarcoma S180 (514), impiantate

in topi atimici (515).

Anche nelle linee di carcinoma mammario umano MCF-7 e CG-5, la somatostatina, l’octreotide (516), il

TT-232 e il lanreotide (514) sono provvisti di una marcata attività antiproliferativa. In particolare, le linee

cellulari estrogeno-sensibili esprimono livelli variabili di sst1, sst2, sst5, poiché è stato dimostrato che gli

estrogeni regolano in senso positivo l’espressione di sst2, interagendo con il proprio recettore (517).

3.22 Effetto antiproliferativo nelle linee cellulari neoplastiche di prostata umana

La somatostatina e i suoi analoghi sono efficaci nell’inibire, in vitro, la crescita delle cellule cancerose

prostatiche umane sia androgeno-dipendenti, che androgeno-indipendenti. Nelle cellule LNCaP, derivate

da adenocarcinoma umano androgeno-dipendente, e in cui gli EGF-R sono indotti dagli androgeni, la

SS14 controlla la proliferazione e inibisce la sintesi proteica, mediante l’attivazione di fosfotirosin-fosfatasi

(518). L’analogo RC-160 inibisce la crescita delle cellule di adenocarcinoma umano PC3 e DU145,

androgeno-indipendenti, impiantate in topi atimici, determinando una diminuzione significativa degli EGF-

R, nonché dei livelli sia di GH, che di gastrina (519, 520). L’analogo TT-232, nelle cellule PC3, induce una

marcata apoptosi e qualora le cellule siano impiantate in topi atimici, determina una riduzione della

massa tumorale pari al 60% del volume dei tumori (nelle stesse condizioni RC-160 determina solo il 40%

di riduzione) (514, 520).

71

4. SCOPO DEL LAVORO

Questo lavoro è stato svolto con l’obiettivo di valutare il possibile ruolo del neuropeptide Y sulla

proliferazione delle linee cellulari di PCa umano LNCaP (androgeno dipendente) e DU145 e PC3

(androgeno indipendenti) e, in particolare, di comprendere i possibili meccanismi molecolari alla base di

tale evento. Le scarse conoscenze fisiopatologiche e l’assenza di terapie specifiche per il carcinoma

prostatico androgeno-indipendente suggeriscono la necessità di approfondire e studiare i meccanismi

molecolari alla base dell’evoluzione fisio-patologica del carcinoma.

Il presupposto molecolare del nostro studio è stato valutare, nelle tre linee cellulari studiate, l’espressione

del recettore Y1 sia a livello genico (RT-PCR) che proteico (analisi Western blot). Inoltre, si è valutata,

mediante analisi immunoistochimica, la presenza del Y1 anche a livello di campioni bioptici di tessuto

tumorale. Per chiarire se l’NPY potesse agire anche a livello del PCa in modo autocrino-paracrino, è stata

valutata, sempre tramite analisi RT-PCR, l’espressione del suo mRNA nelle stesse linee cellulari.

Dopo aver verificato il presupposto molecolare per una possibile azione biologica dell’NPY sulle cellule,

sono stati condotti esperimenti di proliferazione cellulare a dosi diverse di NPY per 96 ore, per valutare

l’effetto sulla proliferazione. Successivi esperimenti di proliferazione, mediante l’utilizzo di un antagonista

specifico per il recettore Y1, BIBP3226 (521), hanno evidenziato il ruolo chiave di questo recettore nel

mediare sia gli effetti proliferativi che antiproliferativi. Per chiarire i diversi effetti esercitati dall’NPY sulla

proliferazione cellulare si è ritenuto fondamentale, in ciascuna linea cellulare, stabilire quali vie di segnale

intracellulari fossero attivate dal sistema NPY/Y1.

Poiché dalla letteratura è noto che i recettori Y1 sono generalmente accoppiati alla cascata della MAPK

(149), mediante l’analisi Western Blot è stata valutata, dopo trattamento con NPY, la variazione del grado

di fosforilazione della via di segnale MAPK/ERK1/2. Essendo noto il coinvolgimento della MAPK negli

eventi di proliferazione sia in senso stimolatorio che inibitorio, sono stati condotti esperimenti di

incorporazione di timidina triziata dopo pretrattamento con un inibitore selettivo di MEK (U0126). Poiché

in alcuni sistemi cellulari è stato osservato che l’attivazione della PKC (522) è un evento a monte della

fosforilazione di ERK1/2, mediante l’utilizzo del GF109203X, un inibitore selettivo della PKC, abbiamo

inoltre studiato la relazione esistente tra PKC, ERK1/2 e proliferazione cellulare. Per essere sicuri che

l’attivazione della via MAPK/ERK/1/2 fosse effettivamente mediata dal Y1, abbiamo valutato, mediante

l’analisi Western blot, la capacità dell’NPY di attivare ERK1/2 dopo pretrattamento con il BIBP3226. Sono

72

stati inoltre valutati anche gli altri due segnali intracellulari notoriamente associati al sistema NPY/Y1:

l’inibizione dei livelli di cAMP e l’incremento dei livelli intracellulari di Ca++ (149). Anche in questo caso,

nelle linee cellulari in cui uno dei due sistemi sopradescritti è risultato stimolato dall’NPY, sono stati

condotti esperimenti con il BIBP3226.

Poiché in letteratura sono presenti dati esigui concernenti il PCa ed eventuali neuropeptidi coinvolti nel

ciclo cellulare, abbiamo caratterizzato la linea cellulare di PCa umano androgeno dipendente LNCaP,

anche per il sistema somatostatina, un peptide ipotalamico ad azione antiproliferativa (523). Si è ritenuto

utile iniziare questo studio proprio da questa linea cellulare poiché, anche a livello clinico, l’androgeno

dipendenza rappresenta il primo stadio del PCa. Come per il sistema dell’NPY, anche in questo è stata

valutata inizialmente sia l’espressione genica (analisi RT-PCR) della somatostatina che dei suoi cinque

sottotipi recettoriali (sst1, sst2A, sst3, sst4, sst5), cosi come quella proteica (analisi Western blot). Si è

voluto inoltre verificare anche la presenza sia genica (analisi RT-PCR) che proteica (analisi

immunocitochimica) del tumor suppressor gene hZAC e del prostatic specific antigen (PSA) (analisi RT-

PCR). Dopo aver verificato il presupposto molecolare per una possibile azione biologica della

somatostatina, abbiamo quindi valutato l’effetto sulla proliferazione cellulare mediante un trattamento

dose dipendente di somatostatina e di alcuni analoghi sintetici recettore-specifici, per 24, 48, 72 ore.

73

5. MATERIALI E METODI

Colture cellulari: Le linee cellulari di PCa umano androgeno dipendenti LNCaP, androgeno indipendenti

DU145 e PC3, quelle di neuroblastoma umano SH-SY5Y e SK-N-MC e quelle di carcinoma polmonare

non a piccole cellule Calu-6 (American Type Culture Collection, Rockville, MD, USA) sono state coltivate

in monostrato, in un incubatore a 37°C, al 5% di CO2. Per le linee cellulari LNCaP, DU145 e PC3, il

medium di coltura è stato l’RPMI 1640, con 10 mg/L di rosso fenolo (Biochrom, Berlin, Germany), 5/10%

di siero fetale bovino (FBS; Gibco, Grand Island, NY, USA); per le cellule SH-SY5Y e SK-N-MC, è stato

usato come medium il MEM contenente aminoacidi non essenziali, sodio piruvato 1 nM, 10 mg/L di rosso

fenolo e 10% di FBS; per le cellule Calu-6 è stato usato come medium il MEM contenente il 10% di FBS,

1% di aminoacidi non essenziali, 20 mg/dl gentamicina, 200 mM glutamina e 1 mM di sodio piruvato.

Estrazione dell’RNA e analisi RT-PCR: Le cellule, ad una confluenza del 70-80%, sono state lavate con

PBS con Ca++/Mg++ freddo (+4°C), raccolte e l’RNA totale è stato estratto usando il Tri Reagent (Sigma-

Aldrich, Milano, Italia), secondo il classico metodo fenolo-cloroformio (524). L’analisi dell’espressione

genica, mediante la metodica RT-PCR, è stata condotta su 1 g di RNA totale, quantificato dopo una

digestione con DNAase, utilizzando il kit Deossiribonucleasi I (Sigma-Aldrich, Milano, Italia). La reazione

di RT è stata condotta in un volume finale di 50 μL, utilizzando il kit commerciale GeneAmp (Applied

Biosystems, Milano, Italia). I primer specifici utilizzati per l’identificazione dell’NPY, del sottotipo

recettoriale Y1, della β actina (gene costitutivo), della somatostatina, di sst1, sst2, sst3, sst4, sst5, di

ZAC, del PSA, e del 18S (gene costitutivo) sono rispettivamente: NPY forward

(CCAgATACTACTCggCgCTgCgACACTACA-3’) e NPY reverse

5’gAATgCATgATACTTTATTTAAACACACATATATACAA3’) (525); Y1 forward (5’-

TATACCACTCTTCTCTTggTgCTg-3’) e Y1 reverse (5’-CTggAAgTTTTTgTTCAggAACCCA-3’) (92); β

actina forward (5’-TgACggggTCACCCACACTgTgCCCATCTA-3’) e β actina reverse (5’-

(CTAgAAGCATTTgCggTggACgATggAgg-3’) (526); somatostatina forward (5’-

gATgCTgTCCTgCCgCCTCCAg-3’) e somatostatina reverse (5’-ACAggATgTgAAAgTCTTCCA-3’); sst1

forward (5’-ATggTggCCCTCAAggCCgg-3’) e sst1 reverse (5’-CgCggTggCgTAATAgTCAA-3’); sst2A

forward (5’-GCCAAGATGAAGACCATCAC-3’) e sst2A reverse (5’-GATGAACCCTGTGTACCAAGC-3’);

sst3 forward (5'-TCATCTGCCTCTGCTACC-3’) e sst3 reverse (5'-GAGCCCAAAGAAGGCAGG-3’); sst4

forward (5’-ATCTTCGCAGACACCAGACC-3’) e sst4 reverse (5’-ATCAAGGCTGGTCACGACGA-3’); sst5

74

forward (5'-CCGTCTTCATCATCTACACGG-3’) e sst5 reverse (5’-GGCCAGGTTGACGATGTTGA-3’);

PSA forward (5’TggACAgggggCAAAAgCAC3’) e PSA reverse (5’AggACACAgAgAggACAAAA3’) (527);

ZAC forward (5’AACCggAAAgACCACCTgAAAAACCAC3’) e ZAC reverse

(5’gTCgCACATCCTTCCgggTgTAgA3’) (528); 18S forward (5’-CTCGCTCCTCTCCTACTTGG-3’) e 18S

reverse (5’-CCATCGAAAGTTGATAGGGC-3’). I prodotti di amplificazione sono stati separati per

elettroforesi, in un gel di agarosio al 2%, contenente etidio bromuro.

Analisi immunoistochimica: Per studiare l’espressione del sottotipo recettoriale Y1, a livello tissutale, è

stata eseguita un’indagine immunoistochimica impiegando dei preparati istologici di carcinoma prostatico

umano. Sezioni di tessuto inclusi in paraffina, sono state fatte aderire su vetrini precedentemente trattati

con poly-L-lisina. I campioni sono stati liberati dalla paraffina attraverso due lavaggi, di 10 minuti

ciascuno, con Clearene. Dopo incubazione per 10 minuti con acqua ossigenata al 3%, per inibire le

perossidasi endogene, è stata allestita l’analisi immunoistochimica secondo la procedura dell’avidina-

biotina-perossidasi. Le sezioni sono state incubate per 18 ore a +4°C con l’anticorpo anti-Y1 (antisiero

purificato, contro questo recettore; gentilmente donato dal Dr. B. Bunnemann, GSK, Verona), diluito

1:100 in un tampone Tris salino (TBS: Tris-HCl 0.05 M contenente 0.85% di NaCl 0.5M) a pH 7.4,

addizionato dell’1% di albumina sierica bovina, 0,1% di sodio azide, 1% di siero di capra e 5% di siero

normale umano. Il giorno seguente, dopo tre lavaggi con TBS-Triton a pH 7.4, i preparati sono stati

incubati con antisiero secondario biotinato, diluito 1:200 in TBS e addizionato con siero normale umano al

5%, per un’ora a temperatura ambiente. Si è proceduto quindi all’amplificazione della reazione mediante

incubazione delle sezioni per 30 minuti, a temperatura ambiente, con il complesso avidina-biotina-

perossidasi (Vector Laboratories, California, USA). Lo sviluppo della reazione è stato eseguito mediante

immersione dei preparati in una soluzione acquosa di 3.3 diaminobenzidina allo 0,03% in 90 mL di

tampone TBS, addizionata con 100 µL di perossido di idrogeno al 3%. L’arresto dello sviluppo della

reazione è stato ottenuto per immersione del vetrino in acqua distillata in modo da poter controllare la

colorazione al microscopio ottico.

La stessa analisi utilizzando uno specifico anticorpo primario anti-hZAC (prodotto in coniglio da Pagotto e

coll. (529)) diluito 1:800 in un buffer di PBS w/o Ca2+/Mg2+ 0.01 M pH 7.4 contenente lo 0.1% di Triton e lo

0.5% di BSA è stata condotta sulle cellule androgeno dipendenti LNCaP.

Analisi Western Blot: Le tre linee cellulari prostatiche sono state raccolte in RIPA buffer (0.05 M di 1M

tris HCl Stock pH 7.7, 0.15 M NaCl, 0.8% di Triton 10%, 0.08% di SDS, 10 mM di 0.5 M EDTA, 100 µM di

75

Sodio vanadato, 0.8% di Sodio deossicolico, 50 mM di NaF, 5 mM di acido iodoacetico, acqua distillata)

(530) contenente l’1% di inibitore delle proteasi (Sigma-Aldrich, Milano, Italia) allo scopo di prevenire la

degradazione enzimatica. La concentrazione proteica dei campioni è stata quantificata con il kit BCA

protein assay (Pierce, Rockford, IL), utilizzando una curva standard di albumina di siero bovino (BSA,

Sigma in RIPA buffer (2 mg/mL). La densità ottica (OD) degli standard e dei campioni è stata letta ad una

lunghezza d’onda () di 550 nm. I punti sono poi stati interpolati secondo un’equazione quadratica del tipo

y=a+bx+cx2. Sia i campioni (75 μg), risospesi in 2X Laemmli buffer, che il Raimbow marker (10 μL,

Amersham Bioscience, Milano, Italia) sono stati separati mediante SDS-PAGE (Ready-Gel, 10%, Bio-Rad

Laboratories, Milano, Italia). Le proteine sono state trasferite a 30 volt, per 18 ore, su una membrana di

nitrocellulosa (Bio-Rad Laboratories, Milano, Italia). Dopo i passaggi di lavaggio e bloccaggio, il blot è

stato incubato (+4°C), tutta la notte, con una specifica diluizione dell’anticorpo primario (anti-Y1: 1:700,

descritto precedentemente; anti-ERK1/2 1:900 e anti-pERK 1:100 (entrambi Santa Cruz Biotechnology,

Santa Cruz, CA)). La membrana viene infine incubata con l’anticorpo secondario, coniugato con

perossidasi di rafano (Santa Cruz Biotechnology, Santa Cruz, CA) per 1 ora e 30 minuti a temperatura

ambiente. L’immunoreattività specifica è stata evidenziata utilizzando la soluzione SuperSignal West Pico

Substrate (Pierce, Rockford, IL, USA). Blottando un controllo negativo sulla membrana ed incubandolo

soltanto con anticorpo secondario, nessuna banda è stata rilevata.

Per quanto riguarda l’analisi Western blot dei cinque recettori ssts, le cellule LNCaP e Calu-6 (controllo

positivo) (531), sono state solubilizzate in un buffer di lisi (20 mM HEPES, 5 mM EDTA, 3 mM EGTA, 150

mM NaCl, 1 mM fenilmetilsulfonil fluoruro (PMSF), 10 µg/ml Soybean trypsin inhibitor, 10 µg/ml

leupeptina, 50 µg/ml bacitracina, 4 mg/ml dodecil-β-D-maltoside) per 1 ora a +4°C e susseguentemente

centrifugate per 1 ora a +4°C a 100.000 x g. Le proteine glicosilate sono state immobilizzate su colonne,

precedentemente equilibrate con buffer di lisi, utilizzando 0.5 ml di wheat germ agglutinin (WGA, Vector

Laboratories, Inc., Burlingame, CA). La colonna è stata quindi lavata ed eluita con il buffer di lisi

contenente N,N,N-triacetyl-chitotriose 3 mM (Sigma-Aldrich, Milano, Italia). Il contenuto proteico

dell’eluato è stata valutato mediante il saggio di Bradford. Dieci µg di proteine glicosilate sono stati

denaturati e frazionati attraverso SDS-PAGE (Ready-Gel, 12,5%, Bio-Rad Laboratories, Milano, Italia) e

trasferiti elettroforeticamente su membrane di nitrocellulosa (Hybond C-extra). Dopo il transfer, i siti di

binding aspecifici sono stati bloccati incubando le membrane, per un’ora a +22°C, con un buffer salino di

Tris Base-Tween (TBS-T: 0,02 M Tris Base, 0,137 M NaCl, 0,5% Tween 20; pH 7,6 aggiustato con HCl

76

1M) contenente il 5% di latte non grasso. Dopo 5 lavaggi con TBS-T, le membrane sono state incubate

per 16 ore a +4°C con una soluzione (TBS-T contenenti 1% di BSA) 1:500 di anticorpi policlonali specifici

per sst1, sst2A, sst3, sst5 (Santa Cruz Biotechnology, Santa Cruz, CA). Le membrane sono state lavate

5 volte con TBS-T, incubate per 1 ora a 22°C con una soluzione 1:2000 di un anticorpo secondario (anti-

rabbit) coniugato con perossidasi di rafano (Santa Cruz Biotechnology, Santa Cruz, CA), lavate ed

immerse per 1 minuto nella soluzione di chemiluminescenza. Successivamente le membrane sono state

esposte per circa 30 secondi per generare gli immunoblots.

Studi di proliferazione cellulare: Per gli esperimenti di conta cellulare, le cellule LNCaP, DU145 e PC3

sono state seminate in Petri dal diametro di 60 mm. Dopo 72 ore dalla semina, il medium è stato

sostituito con il medium sperimentale (RPMI 1640/0,1% BSA o 2% di FBS) e le cellule trattate sia con

NPY umano (Bachem, Bubendorf, Svizzera), a concentrazioni comprese tra 10 -7 e 10-10M, che con un

antagonista Y1-specifico, BIBP3226 (Bachem, Bubendorf, Svizzera). Dopo 96 ore di incubazione, le

cellule sono state raccolte con tripsina 0,05%/EDTA 0.02% e risospese in RPMI 1640. La conta cellulare

e la vitalità delle stesse è stata valutata attraverso la conta con trypan-blue. Lo stesso protocollo è stato

utilizzato per valutare l’efficacia della SS14 (10-7-10-11M; Sigma-Aldrich, Milano, Italia) sulla proliferazione

della linea cellulare androgeno dipendente LNCaP.

Per quanto riguarda gli studi condotti utilizzando l’incorporazione di timidina triziata, le cellule LNCaP,

DU145 e PC3 sono state seminate in multiwell da 24, rispettivamente ad una densità di 3,5 x 104, 1,5 x

104 e 2 x 104 cellule per pozzetto. Dopo 24 ore dalla semina, il medium è stato sostituito con il medium

sperimentale (RPMI 1640/0,1% BSA o 2% di FBS) contenente un inibitore specifico della MAP chinasi

(MEK), U0126 (10-6 M; Biomol, Plymouth Meeting, PA, USA) o della PKC, GF109203X (10 -7 M; Sigma-

Aldrich, Milano, Italia). Trenta minuti dopo, è stato aggiunto NPY umano (10 -8 M; Bachem, Bubendorf,

Svizzera) per ulteriori 48 ore. Sei ore prima della fine dell’incubazione, sono stati aggiunti 2 μCi/pozzetto.

Dopo un’incubazione di 30 minuti con TCA 5%, le cellule sono state risospese in 300 μL di NaOH 0,1 N e

5 ml di liquido di scintillazione. I cpm sono stati misurati utilizzando un β-counter. Per valutare gli effetti

sull’incorporazione di timidina triziata in cellule LNCaP dopo trattamento con SS14 e alcuni analoghi

sintetici specifici (10-7-10-11M; tabella 1), si è seguito lo stesso protocollo, ad eccezione della durata del

trattamento, che è stato di 24 ore anziché 48 ore.

Effetto dell’NPY sulle concentrazioni di cAMP: Le cellule LNCaP, DU145 e PC3 sono state seminate

in multiwell da 24 pozzetti. Una volta a confluenza, sono state lavate con RPMI 1640 ed incubate a 37°C,

77

per 15 minuti, con 200 μl di RPMI 1640 contenente isobutilmetilxantina 0,5 mM (Sigma-Aldrich, Milano,

Italia). Successivamente, sono stati aggiunti, ad ogni pozzetto, per ulteriori 15 minuti, 200 μl di forskolina

(Sigma-Aldrich, Milano, Italia) e di NPY umano 10-8 M. Le cellule sono state raccolte utilizzando 500 μl di

etanolo freddo al 75% e le membrane precipitate, centrifugando a 10000 rpm, per 3 minuti. Il surnatante è

stato risospeso in un tampone RIA (radioimmunoassay) ed il contenuto di cAMP quantificato con un kit

RIA commerciale (Amersham Bioscience Europe, Milano, Italia).

Effetto del trattamento di NPY sulle [Ca+2]i: L’effetto dell’NPY sui livelli intracellulari di Ca++ è stato

determinato attraverso l’utilizzo della sonda fluorescente fura-2 acetossimetil estere (fura-2; Molecular

Probes, Eugene, OR, USA), secondo il protocollo di Grynkiewicz (532). Le cellule sono state seminate su

vetrini aventi un diametro di 12 mm e, una volta raggiunta la confluenza del 70%, sono state incubate con

fura-2 (1 M) a 37°C per 45/60 minuti e successivamente lavate due volte con una soluzione salina (NaCl

1 M, KCl 1 M, MgCl2 1 M, HEPES pH 7.4 1 M e glucosio 1 M). I vetrini sono stati quindi inseriti, uno per

volta, in una cuvetta del fluorometro (Fast Filter Polariser, mod. LS 50B, Perkin Elmer, Norwalk, CT,

USA), a cui è stata aggiunta la soluzione salina contenente CaCl2 1 mM. Una volta stabilizzato il sistema,

è stato aggiunto NPY 10-8 M ed è stata misurata la fluorescenza. La corrispondente concentrazione di Ca+

+ intracellulare è stata quantificata con l’equazione descritta da Grynkiewicz (532). Per ogni vetrino è stata

effettuata la calibrazione del fluorimetro mediante l’aggiunta di ionomicina 10 -3 M (concentrazione finale di

2.7 M) e di digitonina 50 mM (concentrazione finale di 100 M) che permettono di valutare la massima

quantità di Ca++ legata al fura-2, e EGTA 0.5 M che consente invece di valutare i minimi livelli di Ca++

legati al fura-2 perché, avendo una maggior affinità per il Ca++ rispetto al fura-2, lo sottrae ad esso.

Analisi statistica dei dati: L'analisi statistica è stata realizzata usando il programma Prism 4.0. I dati

sono presentati come media dei valori ottenuti ± errore standard. La lettera N indica il numero di replicati

in un esperimento. La significatività delle differenze ottenute tra i gruppi dei trattamenti è stata valutata

con l'analisi della varianza (ANOVA), seguita dal Tukey test, considerata significativa per valori di p<0,05.

78

6. RISULTATI

Espressione dell’NPY e del Y1. L’espressione dell’NPY e del Y1 sono state inizialmente valutate a

livello genico attraverso l’analisi RT-PCR. Il gene dell’NPY presente nella linea cellulare di neuroblastoma

umano SH-SY5Y usata come controllo positivo, non è espresso in nessuna delle tre linee di carcinoma

prostatico (PCa) studiate (figura 1, A). Un prodotto di 354 bp, corrispondente al Y1, insieme ad un’altra

banda più grande (+ 97 bp), corrispondente a 451 bp, è presente in tutte le linee cellulari di PCa ed anche

nella linea cellulare di neuroblastoma umano SK-N-MC, utilizzata come controllo positivo (533). L’analisi

RT-PCR per la actina (660 bp), gene ad espressione costitutiva, è stata effettuata per confermare la

presenza di cDNA nei campioni utilizzati (Figura 1, B). L’analisi Western blot, utilizzando un anticorpo

anti-Y1 specifico, ha mostrato in tutte le linee cellulari di PCa, una banda specifica immunoreattiva

all’altezza di 70 kDa (figura 2, A); l’analisi immunoistochimica, utilizzando lo stesso anticorpo, su

campioni post-operatori di carcinoma prostatico ha evidenziato che il recettore Y1 è presente anche a

livello della membrana plasmatica delle cellule epiteliali tumorali (figura 2, B).

Effetto dell’NPY sulla proliferazione cellulare delle PCa. Un trattamento di 96 ore con NPY, a

concentrazioni comprese tra 10-10 e 10-7 M, determina una riduzione significativa della proliferazione nelle

linee cellulari LNCaP e DU145, con un effetto massimo di inibizione, rispettivamente del -45/63% (alla

dose di NPY 10-8 M) e -33/35% (alla dose di NPY 5X10-8 M); al contrario, un marcato effetto proliferativo è

stato osservato per l’altra linea cellulare androgeno indipendente PC3, con un massimo effetto alla dose

di NPY 10-8 M (+36/60%) (figura 3). Successivamente, abbiamo valutato se l’effetto sulla proliferazione

cellulare fosse mediato dal recettore Y1, presente in tutte e tre le linee di carcinoma prostatico analizzate.

Il trattamento con BIBP3226, un antagonista specifico per il recettore Y1 (521), alla concentrazione di 1

M abolisce entrambi gli effetti proliferativo (PC3) e antiproliferativo (LNCaP e DU145) dell’NPY (figura

4). Il solo trattamento con NPY e BIBP3226 non modifica la sopravvivenza cellulare.

Effetto del trattamento con NPY sulle vie intracellulari di segnale. Per comprendere i meccanismi

intracellulari alla base degli effetti dell’NPY sulla proliferazione cellulare, abbiamo valutato nello specifico

il coinvolgimento della via MAPK/ERK1/2 dopo trattamento delle linee cellulari di PCa con NPY 10 -8 M. Le

cellule LNCaP mostrano un’attivazione costitutiva della via ERK1/2 senza subire alcuna modificazione da

79

parte dell’NPY. Al contrario, nelle cellule DU145 e PC3, il trattamento con l’NPY determina un marcato

aumento della fosforilazione di ERK1/2 entro 5-15 minuti, mentre nelle PC3 tale attivazione è transitoria,

con un ritorno ai valori basali già a 30 minuti; nelle DU145 i livelli rimangono elevati per almeno 6 ore

(figura 5). Inoltre in ambedue le linee cellulari androgeno indipendenti, DU145 e PC3, un pretrattamento

(45 minuti) con BIBP3226 (10-6 M) riduce marcatamente la fosforilazione NPY-dipendente di ERK1/2;

nella linea cellulare DU145, il BIBP3226 da solo attiva la fosforilazione di ERK1/2 (figura 7). Per valutare

se l’attivazione di ERK1/2, da parte dell’NPY, fosse realmente collegata alla proliferazione cellulare,

abbiamo condotto esperimenti di proliferazione, mediante valutazione dell’incorporazione di timidina

triziata, dopo trattamento con l’inibitore di MEK (U0126) e NPY 10 -8 M (figura 8). Nelle cellule LNCaP, il

pretrattamento con UO126 10-6 M, seguito dal trattamento con NPY 10-8 M, determina un effetto inibitorio

maggiore rispetto a quello mediato dal solo NPY, suggerendo che l’effetto dell’NPY sulla proliferazione

cellulare è almeno in parte indipendente dall’attivazione di ERK1/2. Nelle cellule DU145, la riduzione della

proliferazione indotta dall’NPY non è influenzata dal trattamento con UO126; al contrario nelle cellule

PC3 l’efficacia dell’NPY nello stimolare la proliferazione cellulare è prevenuta dal trattamento con UO126

(NPY vs NPY + UO126: p < 0,001), indicando che l’attivazione di ERK1/2 è coinvolta in questo

meccanismo. Nelle cellule LNCaP e DU145, i trattamenti con l’NPY e il GF109203X (inibitore di PKC)

riducono la proliferazione cellulare allo stesso modo di quanto avviene con il solo NPY, mentre nelle

cellule PC3, l’aggiunta di GF109203X annulla l’effetto proliferativo indotto dall’NPY. In alcuni sistemi

cellulari è stato dimostrato che l’attivazione della PKC è un evento a monte della fosforilazione di ERK1/2

(522); questo sembra il caso delle cellule PC3, poiché il pretrattamento con GF109203X blocca la

fosforilazione di ERK1/2 indotta dall’NPY (figura 6). Al contrario, nelle cellule DU145 il pretrattamento con

GF109203X non influenza la fosforilazione di ERK1/2 indotta dall’NPY, suggerendo che quest’ultimo

evento è indipendente dalla PKC (figura 6).

Dato che il recettore Y1 è generalmente accoppiato all’inibizione dell’adenilato ciclasi e all’incremento dei

livelli intracellulari di Ca++ (93), abbiamo preso in considerazione anche queste due vie. Per gli studi sul

cAMP, le cellule LNCaP, DU145 e PC3 sono state trattate per 15 minuti con NPY 10 -8 M in presenza o in

assenza di forskolina (FSK) 5 M. In tutte le tre linee cellulari, il trattamento con l’NPY da solo non

modifica i livelli basali di cAMP, mentre, come atteso, l’esposizione alla FSK induce un marcato

incremento delle concentrazioni intracellulari di cAMP. Il trattamento con l’NPY riduce l’aumento di cAMP

indotto da FSK solo nelle PC3, mentre risulta inefficace nelle LNCaP e nelle DU145 (figura 9),

80

suggerendo che i recettori dell’NPY modulano negativamente l’adenilato ciclasi solo nelle PC3. Per

valutare l’effetto del trattamento dell’NPY sui livelli intracellulari di calcio, le cellule prostatiche sono state

incubate con la sonda fluorescente fura-2 per 45/60 minuti e quindi esposte a NPY 10 -8 M. La

concentrazione di Ca++ intracellulare corrispondente è stata calcolata mediante l’equazione di Grynkiewicz

(532). Il trattamento con NPY non produce alcun cambiamento della concentrazione di Ca++ nelle tre linee

considerate. L’integrità e la corretta responsività dei sistemi cellulari usati sono state successivamente

valutate mediante l’esposizione all’adenosina trifosfato (ATP) 100 µM che, come riportato da Janssens

(534), induce un marcato incremento di Ca++ intracellulare nelle linee cellulari androgeno indipendenti,

DU145 e PC3, ma non in quella androgeno dipendente, LNCaP, per la quale è stato utilizzato come

controllo positivo lo inoforo A23187 10-6 M (535) (figura 10).

Espressione della SS14, dei cinque ssts, di ZAC e del PSA. Nella linea cellulare di PCa umano

androgeno dipendente LNCaP, l’espressione genica della SS14, dei suoi cinque sottotipi recettoriali

(sst1, sst2A, sst3, sst4, sst5), del tumor suppressor gene ZAC e del PSA è stata valutata mediante analisi

RT-PCR. Come controllo positivo è stato utilizzato un campione di NFPA (non functional pituitary

adenoma). Le cellule LNCaP esprimono sia la SS14 (349 bp), che i recettori sst1, sst2A, sst3 e sst5,

corrispondenti a specifiche bande rispettivamente di 318 bp, 414 bp, 95 bp e 226 bp. Nessuna banda è

stata invece evidenziata, all’altezza aspettata (321 bp), per il recettore sst4 (figura 11). Le cellule LNCaP

esprimono anche il gene ad azione antiproliferativa ZAC (308 bp) e il PSA (376 bp). L’analisi RT-PCR per

il 18S (217 bp), gene ad espressione costitutiva è stata effettuata per confermare la presenza di cDNA

nei campioni utilizzati (figura 12). Mediante analisi immunocitochimica, utilizzando un anticorpo anti-ZAC,

è stata evidenziata a livello nucleare la proteina ZAC (figura 13), mentre l’analisi Western blot, utilizzando

anticorpi ssts specifici, ha confermato i precedenti risultati dell’espressione genica, evidenziando bande

immunoreattive specifiche, sia nelle cellule LNCaP che nelle Calu-6 (controllo positivo) del peso di 62

kDa per sst1 e sst2 (figura 14), di 47 kDa per sst3 e 80 kDa per sst5 (figura 15).

Effetto del trattamento con SS14 e analoghi sulla proliferazione delle cellule LNCaP.

Per valutare gli effetti della SS14 e di alcuni analoghi sintetici specifici sull’incorporazione di timidina

triziata, per ogni composto sono stati valutati tre tempi di trattamento: 24, 48 e 72 ore. Considerando per

la maggior parte di questi composti significativi i dati ottenuti dopo 24 ore di trattamento, è emerso che la

81

SS14 esercita un effetto antiproliferativo con un picco di inibizione massima alla concentrazione di 10 -10

M, corrispondente ad una riduzione del 43.5% (p<0.01 vs. controllo) (figura 16, A). A supporto di ciò,

trattamenti per 96 ore con SS14 hanno evidenziato una riduzione massima del numero di cellule (conta

cellulare) del - 36%, ad una concentrazione di 10 -9 M (Figura 16, B). Il lanreotide, un analogo ad alta

affinità per il recettore sst2 (IC50 0,75 nM) e in minor misura per sst5 (IC50 12,7 nM), ha mostrato un

effetto antiproliferativo con inibizione massima alla dose di 10 -11 M. In questo caso l’incorporazione di

timidina è stata ridotta del -55.3% (p<0.001 vs. controllo) (figura 17, A). Il composto A, affine ad sst2

(IC50 0,29 nM) e sst5 (IC50 0,67 nM), è risultato efficace a concentrazioni comprese tra 10 -8 e 10-11 M,

riducendo l’incorporazione di timidina triziata del -62% (p0.001 vs. controllo) (Figura 17, B). Il composto

B, specifico per sst5 (IC50 2,4 nM), ha evidenziato dopo 24 ore di trattamento un effetto antiproliferativo

massimo di -81% alla concentrazione di 10-11 M (p<0.001 vs. controllo) (Figura 18).

82

7. DISCUSSIONE

Dal presente studio è emerso che l’attivazione del sottotipo recettoriale Y1, presente nelle linee cellulari

di PCa umano studiate, ha un effetto sia stimolatorio (PC3) che inibitorio (LNCaP e DU145) sulla

proliferazione cellulare. I sistemi di trasduzione del segnale associati a questi effetti sembrano differire a

seconda della linea cellulare: nelle cellule LNCaP, non c’è alcun coinvolgimento di ERK1/2, mentre nelle

cellule DU145 l’NPY induce una rapida e sostenuta fosforilazione di ERK1/2. Al contrario, nelle cellule

PC3, l’effetto proliferativo dell’NPY sembra essere mediato dalla cascata PKC-ERK1/2, così come

dall’inibizione della produzione di cAMP indotto da FSK. L’analisi dell’espressione genica dell’mRNA del

Y1, in aggiunta al prodotto principale di 354 bp mostra un prodotto della grandezza di 451 bp.

Quest’ultimo contiene un piccolo introne (97 bp) con un codone di stop, che potrebbe codificare per una

variante del recettore Y1 con solo cinque regioni transmembrana (93, 536). Riguardo il possibile ruolo

funzionale svolto da questo introne, in letteratura è stato proposto un suo coinvolgimento soltanto nella

produzione della proteina Y1, attraverso un meccanismo post-trascrizionale (537).

L’analisi Western blot del Y1 ha mostrato una banda di 70 kDa, così come riportato da precedenti lavori

condotti sia in vitro che ex vivo (538, 539), che mostrano come il Y1 è espresso a livello del tessuto

prostatico (111). Trattamenti con NPY riducono la proliferazione cellulare nella linea cellulare LNCaP e

DU145, mentre stimolano quella delle PC3. La concentrazione alla quale si ottengono i massimi effetti

(NPY 10-8 M) per ogni linea cellulare è in accordo con il range d’azione dei peptidi (282), così come con

l’affinità dell’NPY ai siti di legame specifici presenti nelle cellule PC3 (Kd: 30 nM) (245). L’attivazione del

recettore Y1 sembra mediare tali effetti, così come dimostrato dagli esperimenti condotti utilizzando

l’inibitore specifico BIBP3226 per il Y1. Questi dati suggeriscono che le altre isoforme recettoriali

dell’NPY, il Y2 nelle PC3 e Y4 nelle DU145 (osservazioni personali), non dovrebbero essere coinvolte

nella modulazione della proliferazione cellulare. Anche in letteratura è riportato che il Y1 sembra mediare

sia l’effetto proliferativo che antiproliferativo in differenti tessuti e sistemi cellulari, incluse la muscolatura

liscia vascolare, le cellule endoteliali (540), le cellule gliali danneggiate e le cellule dell’epitelio olfattorio

dei roditori (541). Gli effetti mediati dall’NPY sulle cellule di PCa umano sembrano abbastanza specifici

per la proliferazione cellulare, poiché questo peptide non ha effetti né sull’invasione né sulla migrazione

delle cellule PC3 (542), LNCaP e DU145 (543). Le due linee cellulari androgeno indipendenti hanno un

comportamento opposto, poiché il Y1 media rispettivamente un effetto proliferativo (PC3) o

83

antiproliferativo (DU145). I nostri risultati sulla via MAPK/ERK1/2 hanno evidenziato delle differenze

sostanziali tra le tre linee cellulari. Le cellule LNCaP mostrano un’attivazione costitutiva di questa via,

così come altre linee cellulari (544), con nessuna modulazione da parte dell’NPY che quindi riduce la

proliferazione cellulare delle LNCaP attraverso meccanismi che potrebbero essere, almeno in parte,

indipendenti dall’attivazione di ERK1/2, come ad esempio la via della IP3K (545, 546). La perdita

apparente del coinvolgimento di ERK1/2 nel controllo della crescita cellulare delle LNCaP non sembra

esclusiva per l’NPY, ma è stata anche dimostrata per il diidrotestosterone, il principale fattore trofico

prostatico (547). In entrambe le linee cellulari androgeno indipendenti DU145 e PC3, il trattamento con

NPY stimola rapidamente la fosforilazione di ERK1/2, che velocemente ritorna a livelli basali nelle cellule

PC3, ma mostra livelli persistenti ed elevati (almeno 6 ore) nelle cellule DU145. Questo differente profilo

di attivazione della MAPK/ERK/1/2 è associato con un opposto effetto antiproliferativo esercitato dal

sistema NPY/Y1, anche perché in ambedue queste linee cellulari abbiamo dimostrato che l’attivazione di

ERK1/2 NPY-mediata è Y1-dipendente. I nostri dati si allineano a studi precedenti, condotti su cellule

tumorali o immortalizzate, che associavano una persistente attivazione di ERK1/2 ad un effetto

antiproliferativo (548), come osservato nelle cellule DU145, mentre una rapida e transitoria attivazione di

ERK1/2 ad un incremento della proliferazione (PC3). Ciò supporta il concetto che, almeno per queste due

linee cellulari, la classificazione di androgeno indipendente non è fondamentale per spiegare le differenze

viste nella modulazione della crescita cellulare. Il coinvolgimento della MAPK nella modulazione della

crescita cellulare da parte dell’NPY, via recettore Y1, come già descritto in altri sistemi cellulari può

essere via PKC (549), o PKC-indipendente (96). I nostri dati mostrano che l’attivazione della PKC è

necessaria per la fosforilazione di ERK1/2 nelle cellule PC3, mentre nelle cellule DU145, questo processo

è chiaramente PKC-indipendente, suggerendo la dicotomia nella risposta all’NPY delle due linee cellulari

androgeno indipendenti. Inoltre, i dati qui riportati indicano che il trattamento con NPY inibisce l’accumulo

di cAMP indotto dalla FSK solo nelle cellule PC3, ma non nelle cellule LNCaP e DU145. Al contrario di

quanto avviene per le cellule neuronali che esprimono i recettori per l’NPY, in nessuna delle cellule di

PCa studiate l’NPY modifica i livelli di Ca+2 intracellulare. Sebbene i nostri dati evidenzino l’assenza del

gene dell’NPY nelle tre linee di PCa studiate, escludendo quindi possibili effetti autocrini, esso è presente

nella prostata dell’uomo (281), quindi l’NPY potrebbe essere rilasciato dalle cellule neuroendocrine o

dalle terminazioni nervose per raggiungere i recettori specifici vicino alle cellule epiteliali di origine

tumorale; infatti i meccanismi neuroendocrini potrebbero giocare un ruolo cruciale nella regolazione

84

locale della crescita e della differenziazione delle cellule di PCa, in modo particolare nella fase di

androgeno indipendenza (550).

Poiché il PCa è un tumore eterogeneo che nelle fasi più avanzate perde la responsività alle manipolazioni

ormonali convenzionali, si stanno sperimentando dei trattamenti endocrini alternativi quali l’utilizzo di

antagonisti per LHRH, analoghi per LHRH con radicali citotossici e più recentemente la somatostatina e i

suoi analoghi sintetici. L’effetto antiproliferativo della somatostatina è stato documentato su diversi tipi di

tumori benigni e maligni (551); tuttavia a causa dei suoi effettivi non recettore specifici e della breve

emivita plasmatica, sono stati disegnati e sintetizzati degli analoghi più resistenti alla degradazione

metabolica e quindi con una maggiore durata d’azione. Partendo dal presupposto che studi precedenti in

vitro hanno evidenziato differenze nell’espressione dei diversi sottotipi recettoriali tra tessuto prostatico

normale e tumorale (414), e poiché l’esatta funzione mediata dai diversi sottotipi recettoriali in cellule di

PCa non è ad oggi ben definita, abbiamo voluto analizzare nello specifico gli effetti mediati dalla

somatostatina, come già avviene per numerose altre linee cellulari (395), e di alcuni analoghi recettore-

specifici sulla proliferazione della linea di PCa umano androgeno dipendente LNCaP. In questo studio,

l’analisi RT-PCR e Western blot hanno evidenziato, nelle cellule LNCaP, la presenza di tutti i recettori

ssts ad eccezione del sottotipo sst4. Basandoci sul fatto che in letteratura c’è una crescente evidenza che

la somatostatina regola la proliferazione cellulare, sia arrestando la crescita attraverso i recettori sst1,

sst2A, sst4 e sst5, sia inducendo apoptosi attraverso il sottotipo sst3 (552), abbiamo valutato l’efficacia di

analoghi sintetici della somatostatina, nell’influenzare la crescita delle cellule LNCaP. I nostri dati sulla

proliferazione cellulare mostrano che sia la somatostatina, che i due analoghi specifici

contemporaneamente per sst2 e sst5 (lanreotide e composto A) e quello monospecifico per sst5

(composto B) sono in grado di inibire, rispetto al controllo, l’incorporazione di timidina in un range di dosi

compreso tra 10-9 M e 10-11 M, così come riportato da altri studi che hanno valutato le stesse sostanze

(518, 553). Poiché la ricerca nel campo dei tumor suppressing genes (TSG) è stata ampiamente estesa

negli anni passati proprio per la loro rilevanza nell’iniziazione e nella progressione delle patologie

tumorali, un possibile coinvolgimento in questi processi è stato anche suggerito per uno dei TSG più

recentemente identificato, hZAC, una zinc-finger protein in grado di controllare contemporaneamente

l’apoptosi e la progressione del ciclo cellulare arrestando le cellule in G1. L’espressione di hZAC è stata

studiata in diverse linee cellulari di tumore della mammella (554) dove si è osservata una diminuita

espressione del gene o addirittura una perdita della funzione del gene rispetto al controllo normale. La

85

proteina hZAC è stata da noi identificata, mediante analisi ICC, nel nucleo dellle linee cellulari di

carcinoma prostatico LNCaP. Essendo stata recentemente dimostrata una correlazione tra la

somatostatina e l’espressione di hZAC a livello della ghiandola ipofisaria (555), sarebbe interessante

studiare gli effetti degli analoghi della somatostatina sull’espressione di hZAC; questo tipo di studio

potrebbe chiarire infatti le modalità di azione di questi analoghi più specifici e potenti, e suggerire nuove

applicazioni terapeutiche di questi composti.

Il dosaggio plasmatico del PSA viene utilizzato normalmente in clinica in associazione ad altri esami

specifici come test diagnostico di patologie prostatiche, in particolare è un test di conferma utile nel caso

di tumori alla prostata e nel follow-up post operatorio e terapeutico con un indiscutibile valore prognostico.

Nell’ambito del nostro studio la valutazione dei livelli sia di mRNA del PSA che della proteina stessa

rilasciata nel medium di coltura, in seguito a trattamento con quegli analoghi della somatostatina in grado

di bloccare la proliferazione cellulare, potrebbero suggerire utili informazioni sull’efficacia di questi

composti riproducendo in vitro ciò che ci si aspetterebbe in vivo (556) in presenza di molecole in grado di

bloccare la proliferazione tumorale.

86

8. TABELLE

Composti sst1 sst2 sst3 sst4 sst5

SS14 1,95 0,25 1,2 1,77 1,41

Lanreotide 2129 0,75 98 18,26 12,7

A 1020 0,29 133 >1000 0,67

B 1152 166 1000 1618 2,4

Tabella 1Specificità recettoriale della SS14 umana e di alcuni suoi analoghi agonisti. I valori riportati si riferiscono alle IC50 (nM).

87

9. FIGURE9. BIBLIOGRAFIA

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