n.9 sulla via della pace 2008

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1 Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy 2008 Anno III n. 1 - Gennaio-Marzo 2008 - Trimestrale - Contiene I.R. Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 - DCB Trento - Taxe Percue In caso di mancato recapito inviare al C.P.O. di Trento per la restituzione al mittente previo pagamento resi Editoriale Editoriale Gareggiare nelle opere buone Congo Brazzaville Congo Brazzaville Inaugurazione del Centro Sanitario Shalom “don Domenico Pincelli” N. 9

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rivista di in-formazione dell'Associazione Via Pacis

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Page 1: N.9 Sulla via della pace 2008

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Trimestrale di in-formazione dell’Associazione Comunità Shalom di Riva del Garda - TN - Italy

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EditorialeEditorialeGareggiare nelle opere buone

Congo BrazzavilleCongo BrazzavilleInaugurazione del Centro Sanitario Shalom“don Domenico Pincelli”

N. 9

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di Paolo Maino EditorialeEditoriale

Gareggiarenelle opere buone

Gareggiate dunque nelle opere buone

(Corano - Sura, 5: 48)

Fino agli inizi del secolo scorso, la gente, tutta la gente, condivideva l’impressione che il mondo fosse davvero immenso. Le grandi invenzioni, i sempre nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione, non facevano che alimentare l’idea che ci fosse sempre qualche terra da esplorare, qualche popolo da conoscere, qualche tesoro da scoprire.

Anche i missionari, quando torna-vano nei loro paesi d’origine, racconta-vano storie affascinanti, che rimanevano sospese tra mito e realtà. Tra il nostro mondo e il loro c’era comunque una netta linea di demarcazione della quale nessuno, a quel tempo, avrebbe potuto prevedere il dissolvimento.

Poi, la prima disgregazione data dai due grandi conflitti mondiali costringeva ad aprire gli occhi su una realtà che andava ormai ben oltre i propri ristretti confini nazionali. I due tragici eventi catapultavano l’uomo in una nuova dimensione forzatamente pla-netaria.

Tutto cominciava allora ad apparire improvvisa-mente piccolo; il mondo assumeva i contorni di un “villaggio globale” e le immagini di ciò che accadeva in un posto qualunque del globo giravano nei network, giungendo nelle nostre case in tempo reale e sottraendo progressivamente spazio al mistero.

In questo contesto, ciò che era stato teorizzato solo pochi decenni prima, ossia la perdita di significato di tutto ciò che era spirituale, compreso Dio e la religione,

sembrava fatalmente concretizzarsi. “Dio è morto!” ripetevano gli slogan di moda della secolarizzazione, riecheggiando - in maniera più o meno consapevole - un motto di Friedrich Nietzsche.

Ma Dio non era morto; anzi, un autore francese, G. Kepel - di fronte al recente ricomparire, nel

dibattito pubblico, insieme a miriadi di nuovi culti se-condo il paradigma new age, anche delle grandi fedi monoteistiche - annuncia, in un suo saggio, che è in atto “la rivincita di Dio”.

Quel Dio che si era cercato in tutti i modi di cac-ciare, di eliminare, ritornava con forza, quasi a voler ricordare all’uomo che l’aspetto religioso rappre-senta una sua dimensione insopprimibile. Ecco allora il rifiorire del senso del mistero, di forme nuove di religiosità, nel tentativo di trovare nuove risposte ai sem-pre più pressanti interrogativi esistenziali dell’uomo.

Oggi molti hanno l’impressione che sia saltata qualsiasi barriera di protezione e sia in atto una nuova “invasione barbarica”, in cui l’elemento “religione” gioca un ruolo potenzialmente destabilizzante e pericoloso.

È soprattutto l’Islam a suscitare nuovi interrogativi, ad insinuare dubbi ed evidenziare le contraddizioni e le debolezze di un sistema - quello occidentale - costruito per poter fare a meno di Dio. Confronto accelerato negli ultimi anni dalla forte immigrazione che ha obbligato una società frammentata a fare i conti con la capacità dell’Islam di coagulare l’identità di popoli culturalmente anche molto diversi tra loro e a confrontarsi con le mi-nacce esplicite all’Occidente provenienti da alcuni dei leader musulmani più radicali.

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Editoriale

Per quale modello di uomo e di donna decidiamo di

impegnare le nostre risorse?

Ma se solo si riesce a mettere tra parentesi la reazione emotiva, appare chiaro che quanto sta avvenendo nel mondo non è altro che una grande sfida - per il cristianesimo e per l’Islam - a porsi di nuovo le domande fondamentali su Dio e sull’uomo.

In questo orizzonte di senso, i singoli fatti assumono un’enorme rilevanza simbolica. La rivendicazione del velo per le donne da parte del mondo mu-sulmano pone, ad esem-pio, la questione non solo della libertà personale e di quella di culto, ma anche della corretta interpreta-zione dei testi sacri, della convivenza pacifica tra culture diverse, della pari dignità tra uomo e donna, della cittadinanza e del rispetto delle leggi sull’ordine pubblico (soprattutto nel caso del burqa che nasconde del tutto la fisionomia di una persona). Per quale modello di uomo e di donna decidiamo di impegnare le nostre risorse?

L’Islam ha forse la funzione storica di rinfacciare all’Occidente la sterilità dell’ideologia secondo la quale ognuno si realizza nella misura in cui può fare tutto quello che vuole, senza limitazioni morali. E il cristianesimo ha la responsabilità di provocare l’Islam (e non solo) al confronto fecondo tra fede e ragione, come ha già fatto Benedetto XVI nel discorso di Regensburg il 13 settembre 2006 invitando a ripartire dal punto comune secondo cui “non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio”.

Forse però ci sono già dei piccoli frutti, maturati dopo quel discorso. Infatti, ad un anno esatto da quel-l’evento, il 13 settembre 2007, è pervenuta una lettera stilata da 138 dotti musulmani, indirizzata al Papa e ai capi cristiani. In essa si manifesta rispetto e desiderio di dialogo, sul fondamento di un versetto del Corano che recita: “Se Dio l’avesse voluto, avrebbe fatto di voi una sola comunità. Ma ha voluto provarvi con l’uso che farete di quello che vi ha dato. Gareggiate dunque nelle opere buone; voi tutti ritornerete a Dio ed Egli vi informerà a proposito delle cose su cui siete discordi” (Sura della tavola imbandita, 5: 48).

È importante tale presa di coscienza, che arriva a riconoscere e ribadire che il piano del confronto aperto ad un futuro di speranza può ripartire anche da questo: gareggiare nelle opere buone.

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Le attività di solidarietà promosse dalla Comunità Shalom sono gestite dallaAssociazione Shalom Solidarietà Internazionale - OnlusViale Trento, 10038066 Riva del Garda (TN) - ItalyTel. e fax [email protected]

Per eventuali offerte:Per eventuali offerte:CASSA RURALE ALTO GARDA

c.c. 02/142146CIN C - ABI 08016 - CAB 35320

IBAN: IT67 C080 1635 3200 0000 2142 146SWIFT: CCRTIT2104F

c.c. postale n. 14482384

2 Editoriale

Informazione6 Comunità Shalom in Colombia

13 Dal mondo alla Comunità

14 Il cristianesimo in India

16 Centro Sanitario in Congo

20 Concerto di solidarietà

Formazione5 L’Areopago

10 Conferenza Europea Catholic Fraternity

21 Le sfide della vita

22 Quanto amo la tua Parola, Signore

24 Il labirinto

26 Carissimo...

La Comunità Shalom è un’Associazione Privata di Fedeli Laici della Chiesa Cattolica e membro della Fraternità Cattolica delle Associazioni e Comunità Carismatiche di Alleanza di Diritto Pontificio

SULLA VIA DELLA PACETrimestrale di in-formazioneAnno III - n. 1gennaio-marzo 2008

Registrazione n. 263 presso ilTribunale di Rovereto (TN) (19.01.2006)

Direttore responsabilePaolo Maino

Equipe di redazionePaola AngerettiStefania Dal PontGregorio VivaldelliRuggero Zanon (coordinamento)

Progetto graficoFlavio Antolini

EditoreAssociazione ShalomSolidarietà Internazionale - Onlus

Direzione e amministrazioneViale Trento, 10038066 Riva del Garda (Trento) [email protected]. e fax +39.0464.555767

Impaginazione e stampa:Antolini Tipografia - Tione (TN)

Finito di stamparenel mese di dicembre 2007

In copertina:Congo - Brazzaville: inaugurazione del Centro Sanitario Shalom “don Domenico Pincelli”

Coordinate bancarieCoordinate bancarieAVVISO

Dal 1° gennaio 2008 il Sistema Bancario Italiano ha reso obbligatorio per i bonifici

l’utilizzo del codice IBAN

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L’AreopagoL’Areopago

L’uomo: un mistero da riscoprire

di Walter Versini

formazione

La percezione di come l’uomo sia insieme grande e misero, negli ultimi secoli si è andata offuscando, cosic-ché a momenti sembra che l’uomo possa raggiungere con le sue forze ogni traguardo, possa atteggiarsi a re dell’universo e padrone della vita. Altre volte, sembra che esso sia solo un animale, un essere che appartiene completamente alla natura. Alcuni grandi pensatori hanno allora colto l’urgenza di riproporre una visione più equilibrata e di risvegliare la capacità di riconoscerne l’evidenza. In un momento storico come il nostro, in cui la confusione riguardante quello che si pensa dell’uomo è sempre più grave, può essere molto interessante ria-scoltare alcune di queste voci.

Blaise Pascal (1623-1662) visse in Francia, nel secolo in cui cominciavano a prendere forma alcuni caratteri fondamentali del-l’epoca moderna: il secolo in cui la scienza moderna, nata da poco con l’opera di Galileo, muoveva rapidamente passi grandiosi, accumulando co-noscenze impensate, smen-tendo convinzioni millenarie e travolgendo schemi di pensiero incapaci di rin-novarsi. Alcuni comincia-vano a pensare che la scienza doveva diventare la guida di ogni aspetto della vita umana. Pascal fu egli stesso un grande matematico e fisico, in corrispondenza con i più grandi dell’epoca (tra cui Fermat e Huygens) e tra l’altro inventò una mac-china calcolatrice; ma ben presto, anche a seguito di una esperienza mistica, il suo interesse si spostò sulla discussione spirituale. Egli si rese conto che nel nuovo clima culturale il cristianesimo aveva bisogno di esser presentato in modo nuovo, e si dedicò a questo com-pito, sostenendo che la ragione calcolatrice (lo “spirito di geometria”) è inadeguata a cogliere tutta la ricchez-za dell’esperienza umana, e insistendo soprattutto

sulla grandezza e miseria dell’uomo. “Quale chimera è dunque l’uomo? Quale novità, quale mostro, quale caos, quale soggetto di contraddizione, quale prodigio? Giudice di tutte le cose, stupido verme di terra, depo-sitario della verità, cloaca d’incertezza e d’errore, gloria e rifiuto dell’universo...imparate che l’uomo eccede infinitamente l’uomo”.

Abraham Joshua Heschel (1907-1972), ebreo polacco, emigrato negli Stati Uniti per sfuggire al nazi-smo, è uno dei grandi filosofi e teologi del XX secolo. Il contesto in cui si colloca la sua opera è l’orrore dei campi di sterminio e della bomba atomica. Egli vive “con la coscienza assorta nella misericordia, e gli occhi fissi su Auschwitz”. Di fronte allo spettro dell’autodistru-zione dell’umanità, Heschel capisce che questo deriva da un’eclissi dell’umanità, dall’incapacità di percepire il proprio valore spirituale, e che la più grande urgenza è recuperare una sapienza in base alla quale vivere: per

questo, è necessario “pensare all’uomo in termini uma-

ni”. Per lui, il dato di partenza è la proble-

maticità dell’uomo, che ne manifesta contemporanea-mente la povertà e la grandezza. “Noi ci occupiamo dell’uomo perché esso è afflitto da contraddizioni e perplessità, perché non è interamente parte del suo am-biente. Un buon cavallo, se curato

adeguatamente, vive come parte del

suo habitat e non è oppresso da problemi.

L’uomo invece è un problema intrinsecamente, e lo è in ogni circostanza. Essere umani significa essere un problema che si esprime nell’angoscia, nella sofferenza spirituale dell’uomo”.

Sia per Pascal che per Heschel, richiamare l’uomo alla consapevolezza di essere di più della sola natura, e insieme di non bastare a se stesso, è aprirlo alle grandi domande esistenziali e prepararlo alla scoperta che solo la trascendenza, l’Assoluto, è la risposta adeguata: è già liberazione e buona notizia.

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Comunità Shalom in Colombia

Nasce la Comunidad Shalom

di Tiziano Civettini e Maria Luisa Toller

La Colombia è una nazione straordinaria, nello stesso tempo estremamente ricca ed estremamente povera; per questa ragione il saggista G. Piccoli l’ha denominata, in un suo libro, “il paese dell’eccesso”. Ha una popolazione di circa 43 milioni di abitanti, ma la sua capitale, Santafé de Bogotá, ne ospita, da sola, più di 7 milioni.

Ufficialmente i suoi abitanti sono cattolici al 90%, ma in realtà è in atto un aggressivo e massiccio indottri-namento da parte di una miriade di gruppi evangelical o esoterici o di altra specie, che stanno minando alla base la matrice originaria.

La Colombia è tuttora sconvolta da una disastrosa guerra civile che si protrae da più di qua-rant’anni e che condiziona la stabilità politica e socioeco-nomica. Circa metà del territorio nazionale è controllato direttamente o indirettamente dalla guerriglia. Gli effetti prodotti dalla guerra civile sono drammatici: 300.000 morti, oltre 2.200.000 sfollati (il 60% dei quali sotto i 18 anni) negli ultimi 15 anni, più di 70.000 le mine antiuo-mo disseminate sul territorio, una media di sequestri che si aggira intorno ai 3.000 rapimenti l’anno (fonte: RAI International).

È il primo paese al mondo per la qualità del caffè, secondo per esportazio-

ne soltanto al Brasile; produce anche cacao, banane e platanos, petrolio e smeraldi delle miniere della selva amazzonica; ha importanti località turistiche, ma par-te dei profitti ruota ancora intorno alla produzione di cocaina.

In Colombia la Comunità Shalom aveva realizzato in passato progetti di assistenza per bambini e giovani e di sviluppo delle attività agricole nella regione del Quindio, ma ora è stata chiamata dal Vescovo di Armenia, mons. Fabio Duque Jaramillo, a fondare la Comunidad Shalom de Colombia, per portare anche lì il carisma della pace, della gioia e della carità in Gesù.

Scrive il Vescovo nella sua lettera di invito: “…con-fidiamo nel lavoro da voi svolto nell’evangelizzazione, che certamente sfocia nell’aiuto materiale, ma che trae origine dall’annunzio integrale del Vangelo che forma la comunità cristiana. Desidero dunque chiedere in maniera ufficiale per la Diocesi di Armenia la presenza della Comunità Shalom. Spero che il Signore protegga questo servizio che vi accingete ad intraprendere e che la benedizione del Signore accompagni tutte le vostre iniziative”.

Dunque, per la prima volta, la Comunità Shalom inizia ad esistere come entità ecclesiale

in un altro Paese, inserita in quella

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Comunità Shalom in Colombiainformazione

Da sinistra: Bibiana Herrera, Julian Ramirez, S.E. Mons. Fabio Duque Jaramillo, Vescovo di Armenia, Maria Luisa Toller e Tiziano Civettini

cultura particolare ed in quella situazione specifica. Questo è stato possibile grazie ai responsabili della nuova Comunità, il dott. Julian Ramirez e la moglie Bibiana Herrera. Essi, insieme con un primo nucleo di fratelli e sorelle, nella città di La Tebaida, sempre nella Diocesi di Armenia, hanno incontrato Tiziano Civettini (vice-presidente della Comunità Shalom) e la moglie Marisa Toller, che hanno visitato la Colombia nel mese di settembre 2007, trascorrendo insieme due settimane di condivisione e formazione, con l’obiettivo di mettere le basi per realizzare in questa terra il carisma della pace e della solidarietà in un contesto di violenza e di povertà a vari livelli.

Il Vescovo mons. Fabio ha indicato il difficile ambiente delle città come luogo specifico di evange-lizzazione. L’urbanizzazione infatti è un fenomeno macroscopico, che porta masse sempre più nume-rose e disomogenee a concentrarsi in nuclei urbani sempre più affollati, problematici e violenti.

Orientandoci in questa direzione abbiamo contattato don Carlos Arturo Rios, un prete, parroco della città di Calarcà, che conta 100 mila abitanti ed è vicina ad Armenia (che ne conta a sua volta 200 mila).

La sua parrocchia è enorme ed estremamente povera e difficile. Scrive don Carlos Arturo: “la parrocchia comprende un settore, la cui popolazione è di 18.060 abi-tanti, che non ha un centro di culto. Questa popolazione è ubicata in diversi barrios (rioni). Questi barrios necessitano, in effetti, di una cappella che ospiti i fedeli cattolici, non solo nel giorno di domenica come giorno del Signore,

ma anche nelle celebrazioni di tutti gli altri giorni della settimana.

Socialmente questa comunità è unita e combat-tiva, ma vive grandi difficoltà di convivenza cittadina, di conflitti familiari, di vuoto spirituale e di atti delinquen-ziali, specialmente di giovani che hanno cominciato a entrare nel mondo della droga, della prostituzione e dell’alcolismo. Questo rende necessaria la presenza della Chiesa, come riparatrice del tessuto sociale e come promotrice di un cambiamento spirituale secondo l’ottica del Vangelo, inteso come fonte di trasformazione a livello umano e cristiano”.

Ci è sembrato che questo dovesse essere il nostro primo passo sulla via della pace in Colombia: cercare di dare un sostegno all’azione di questo sacerdote, che insieme a molti altri sta prodigandosi per il Vangelo.

Abbiamo spiegato le vele; abbiamo ac-

cettato la sfida della pace per le strade del mondo.

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a cura di a cura di Stefania Dal PontStefania Dal Pont

Comunità Shalom

Com’è la realtà delle famiglie colombiane?Da noi è consuetudine, purtroppo, che le coppie

siano “di passaggio”, nel senso che dopo poco si lascia-no, incontrano un altro partner e si mettono assieme a questo, per lasciarsi quasi subito. Il nostro compito è quello di cercare di portare i valori della famiglia cristiana: la fedeltà, il rispetto reciproco, l’amore vero.

Le relazioni non sono mai pacifiche e riconciliate. Con voi viviamo giorni immersi nella pace per cercare di portarla, poi, alla nostra gente.

In che modo?Io e Bibiana stiamo facendo un cammino con

altre coppie. Siamo ancora molto piccoli, speriamo di coinvolgere anche altri, piano piano. Cerchiamo di fare esperienza di chiesa familiare; ci riuniamo nelle case e il

nostro è uno stare insieme per pregare, meditare la Parola di Dio e aiutarci tra noi in modo molto concreto, per vivere meglio in famiglia. Oltre le condivisioni di vita abbiamo cercato di attuare anche qualche iniziativa di soli-darietà; crediamo che nessuno è così povero da non poter donare qualcosa a chi è più bisognoso!

A te, Bibiana, come moglie e madre, cosa dice questa espe-rienza con le coppie?

Ho imparato dalla Comuni-tà a vivere l’unità e la solidarietà. Se riusciremo a trasformare le nostre coppie in famiglie sempre più uni-te, crescerà la solidarietà non solo all’interno di esse, ma anche fuori del nostro raggio di azione.

Com’è la Colombia in questo periodo?

Noi abbiamo la grazia di vivere in una delle tre regioni più

sviluppate; nella zona che si chiama “Zona del Caffè”. La regione di Quindio, dove si trova la nostra città di La Tebaida, vicino alla capitale Armenia, è una parte del paese molto bella dal punto di vista paesaggistico. La natura è ricca e la terra è molto fertile, basti pensare che si effettuano tre raccolti all’anno di mais e fagioli. Nel 1999 è iniziato un periodo di grande crisi: c’è stato un forte terremoto e a questa situazione di disagio si è aggiunto un problema per le numerose coltivazioni di caffè. Un verme ha infestato tutte le piante che hanno dovuto essere abbattute e non è stato più possibile piantare caffè. Le piantagioni sono state adibite a col-

Come avete conosciuto la Comunità Shalom?Abbiamo incontrato Tiziano e Marisa Civettini

nel 2001, quando sono venuti in visita presso di noi. Li accompagnavamo a visitare le attività che la Comunità aveva finanziato attraverso i vari progetti di solidarietà. Noi eravamo sposati da poco e abbiamo respirato, stando tanto tempo con loro, un’unità molto forte. Abbiamo conosciuto questa realtà attra-verso loro e siamo stati dispo-nibili a cogliere il loro invito di venire in Italia e da quel primo incontro ogni anno partecipia-mo alla settimana di formazione comunitaria.

Che impressione vi fa la co-munità, nella sua spiritualità e nell’attenzione alla solida-rietà?

Siamo molto attratti dalle iniziative per la pace dato che il nostro è un paese bellissimo, ma anche tanto violento; purtrop-po viviamo quotidianamente a contatto con la guerra. Sono molto importanti, per noi, gli ideali perseguiti dalla Comunità e la sua spiritualità, ci sentiamo davvero uniti a tutti i fratelli, anche se la distanza tra noi è notevole. Grazie alla Comunità, inoltre, abbiamo fatto esperienza concreta di relazioni riconciliate, cosa che non ci era mai capitato di vivere così concretamente.

Quali progetti sono stati finanziati in Colombia dall’Associazione?

È stato realizzato il progetto della “Cittadella Shalom” in cui sono stati effettuati dei corsi, con professori ed esperti designati dal governo, per insegnare tecniche di agricoltura e allevamento degli animali. È nata una cooperativa orto-frutticola dove intere famiglie possono coltivare il proprio orto e assicurare lavoro e cibo per molti.

Intervistaa Julian e Bibiana

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in Colombia

tivazione di granaglie per il bestiame con una conseguente enorme disoccupazione perché queste necessitano di minore manodopera. Spesso quei disoccupati sono persone senza cultura con una competenza esclusiva per il caffè, quindi senza altra possibilità lavorativa. C’è fame, i giovani sono alla ricerca di soldi facili e spesso diventano delinquenti. È palpabile l’angoscia per il futuro. Molti giovani si dico-no: “Perché studio se poi non posso andare all’università?”. Non sono stimolati a darsi da fare per il domani.

Qui in Italia, quando si parla di Colombia, vengono in mente immediatamente due aspetti: il commercio di droga e la violenza. È vero tutto questo?

La guerriglia è un grosso problema per il nostro amato paese, moltissime persone vengono uccise. È un fenomeno che riguarda soprattutto le zone mal servite dal punto di vista delle vie di comunicazione. Succede quello che è avve-nuto in Italia all’epoca del Medioevo: arriva il più forte, saccheggia, porta morte e distruzione. La nostra regione, grazie a Dio, è toccata da questo fenomeno solo in modo molto marginale proprio perché ci sono buone strade, servizi, scuole. Sarebbe pericoloso per i guerriglieri arrivare da noi: sarebbero immediatamente catturati.

E la chiesa in Colombia, come sta?Si comincia a vivere il Concilio Vaticano II: i laici

iniziano a prendere parte attiva alla vita della chiesa, si comincia a intravvedere la chiesa come esperienza di piccola comunità. L’80% della popolazione è cattolica, ma solo la metà è realmente praticante. Il cristianesimo è vissuto spesso come abitudine, per tradizione; piano piano sta avvenendo un passaggio: si vive di più la di-mensione della parrocchia come comunità. Nella nostra città si stanno facendo largo molte religioni alternative che arrivano dagli Stati Uniti; la gente ne è attratta per-ché si fanno esperienze emotive. Abbiamo sentito forte l’invito del Papa ad evangelizzare per seguire il popolo cristiano nella chiesa.

In tutte queste difficoltà, l’incontro con la Comu-nità Shalom, che speranza vi dà?

Stiamo vivendo da qualche anno questa bellissima esperienza con voi e ciò che ci ha attratto fin dall’inizio è che Shalom è una comunità di fedeli laici che amano tanto la chiesa e che danno anche agli altri un senso di chiesa. Per noi è un esempio concreto di vita cristiana che porta tanta speranza perché è un’esperienza non chiusa in un arido spiritualismo, ma aperta a numerose possibilità di solidarietà verso gli altri. È un’esperienza completa.

A settem-bre di quest’an-no, poi, si è rea-lizzato il nostro grande sogno: grazie a Dio e al nostro vescovo mons. Fabio Duque che ha forte-mente voluto questo, anche in Colombia esiste la Comunità Shalom.

Marisa e Tiziano sono venuti per due settimane a tenere il nostro primo Seminario di Vita Nuova nello Spirito a una quindicina di persone, per lo più coppie con le quali abbiamo intrapreso quel cammino di preghiera e formazione di cui abbiamo parlato prima.

Il Seminario di Vita Nuova nello Spirito è un cam-mino per rinvigorire la forza dello Spirito Santo ricevuto nei sacramenti del battesimo e della cresima e trovare una rinnovata presa di coscienza di temi importanti per il cristiano: l’amore di Dio, il perdono, Gesù nostra salvezza, la conversione, lo Spirito Santo, i carismi, la fede, ecc.

Volete aggiungere qualche altro pensiero per concludere?

Abbiamo chiesto a Tiziano e Marisa, prima che lasciassero la Colombia, che ci dessero qualche indica-zione per la crescita di questo nostro nucleo originario. Le loro parole sono state un invito a rileggere gli Atti degli Apostoli (cfr Atti 2,42-48): il Signore stesso aggiungerà fratelli al piccolo gruppetto appena formato, secondo i Suoi tempi e i Suoi disegni.

Sì, crediamo anche noi che Lui indicherà la Via della Pace che è giusta per la nostra terra.

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“Il Cristianesimo non è un’opinione e non consiste in parole vane, il Cristianesi-

mo è Cristo, è una persona, è il Vivente! L’incontrare Gesù, amarlo e farlo amare è la vocazione cristiana”. Con queste parole, contenute in uno dei suoi messaggi per i giovani, Giovanni Paolo II evidenzia che il Cristianesimo è Cristo, e far incontrare Gesù è ciò che fa progredire il Cristia-nesimo in ogni epoca. Questa frase del Papa polacco è una luce preziosa, soprattutto in relazione al nostro tema: “La famiglia cristiana luogo di educazione alla pace”. Ci accorgeremo infatti come per il Cristianesimo “educare alla pace” significhi innanzitutto permettere alle persone di incontrare Gesù, il Dio vivente in mezzo a noi.

“Pace” secondo la BibbiaÈ chiaro che per la Bibbia quando si parla di pace

non ci si riferisce semplicemente ad una situazione di assenza di tensioni, di conflitti. La Bibbia per evocare la pace utilizza il termine shalom.

È riduttivo tradurre solo con la parola “pace” il termine shalom: esso significa ben di più che “assen-za di guerra”! Shalom significa integrità, tutto che combacia, nulla che manca e nulla di rotto. Shalom significa che non v’è lotta tra due parti divise del nostro cuore. Shalom è pienezza di vita! È essere interi, intatti, indivisi. Significa aver unito le diverse parti della nostra personalità.

Sa educare alla pace chi sa donare se stesso, il proprio tempo, la propria forza agli altri. Educa alla pace chi è libero di non ricercare se stesso né l’affermazione della propria personalità, chi è abbastanza coraggioso da abbandonare i sogni impossibili, senza per questo sentirsi un fallito, ma impegnandosi a fondo nel perse-guire fini raggiungibili.

Alla luce di tutto ciò, il cammino verso l’educa-zione all’integrità, alla shalom biblica, può sembrare ef-fettivamente un percorso interminabile. Tuttavia, come ha detto un filosofo cinese: «Un viaggio di mille miglia inizia con un solo passo» (604 - 531 a.C.).

Conferenza EuropeaConferenza Europeaa cura di a cura di Alessandra ZaninAlessandra Zanin

Pace e Unità in Cristo in EuropaDal 1° al 4 novembre 2007 si è tenuta ad Assisi la 2a Conferenza Europea della Fraternità Cattolica delle Co-

munità e Associazioni carismatiche di Alleanza. La Fraternità intende promuovere l’unità e la cattolicità all’interno del Rinnovamento Carismatico nel mondo, un movimento trasversale tra le varie confessioni cristiane.

La Conferenza ha visto la partecipazione di circa 400 persone appartenenti ad alcune Comunità e Associazioni presenti in Europa, provenienti da Italia, Francia, Portogallo, Polonia, oltre alle comunità brasiliane che hanno sedi in Paesi europei.

Il tema fondamentale trattato è stato la costruzione della pace e dell’unità in Europa. Le strade per giungere a questi importanti obiettivi sono state individuate:

1) nella radicalità cristiana nella vita personale, nella fedeltà al cammino della propria comunità;2) nell’ecumenismo, cioè nell’impegno a realizzare l’unità dei cristiani, al di là delle divisioni di natura storica e dottrinale;3) nella condivisione della propria fede con le altre persone, testimoniando la buona notizia del Vangelo.Dio chiama tutti i cristiani alla radicalità evangelica, ha detto mons. Albert de Monleon, vescovo francese, nell’omelia

della S. Messa della festa di tutti i Santi. Questo significa appartenere a Dio e fare la sua volontà. Molti relatori hanno sottolineato l’importanza di essere fedeli al cammino speciale che Dio ha donato a ciascuna Comunità, per servire gli altri nella Chiesa e nel mondo. Questo è, in concreto, il cammino verso la santità: fedeltà alla chiamata che Dio ha rivolto a ciascuno.

Quando Dio ci chiama a fare qualcosa, dobbiamo avere il coraggio e l’audacia di credere in Lui e di fare quanto ci chiede. Abbiamo cioè bisogno di “parresìa”, una parola greca che indica appunto coraggio, fiducia e audacia, e che ricorre negli Atti degli Apostoli, il libro della Bibbia dove si raccontano gli inizi del cristianesimo, in un mondo difficile e a volte ostile.

Uno spazio importante nella Conferenza è stato dedicato al tema dell’ecumenismo. Da anni, cattolici, ortodossi, evangelici, anglicani e altri cristiani stanno compiendo passi importanti per riavvicinarsi, ricordando che anche Gesù pregò per l’unità: siano uno, perché il mondo creda. Questa riconciliazione porterà certamente frutti positivi per tutta l’Europa.

“La famiglia cristiana luogo di educazione alla Pace”

Di seguito vi offriamo un estratto dell’intervento tenuto dal nostro Gregorio Vivaldelli durante i lavori della Conferenza.

Catholic Fraternity

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Quando guardiamo a ciò che sta accadendo oggi nel mondo, l’educazione alla pace sembra essere fuori dalla nostra portata. Ma, com’è stato appena ricorda-to, il cammino per la pace nel mondo comincia quando ciascuno di noi fa il primo passo. Una bella canzone italiana per bambini dice così: Goccia dopo goccia nasce un fiume/Un passo dopo l’altro si va lontano/Arriva fino a dieci poi sai contare/Un grattacielo immenso comincia da un mattone/Da niente nasce niente, questo sì!

Famiglia-casa-paceFamiglia e Pace: per la Bibbia è un binomio fon-

damentale. Anzi, nessun altro gruppo o entità sociale svolge un ruolo più importante nel processo di edu-cazione alla pace. Ora, il luogo dove la famiglia vive è precisamente la casa. La casa è il “teatro” dove va in scena la maggior parte della vita familiare.

È stato detto: “World peace begins at home” (“La pace del mondo comincia a casa”). Questa frase fa parte di alcuni estratti di una lettera del pensatore cinese Cai Yuanpei (1863-1940), e apparve per la prima volta nel 1933. In questa lettera, Cai Yuanpei contesta ciò che egli considera come la deplorevole tendenza a dissociare la moralità pubblica da quella privata. Quest’ultima, infatti, è il fondamento della prima.

È nelle nostre case, infatti, che si iniziano a svi-luppare i valori e le caratteristiche comportamentali che influenzano il nostro modo di vivere nella società.

La casa nel Nuovo TestamentoPer il Nuovo Testamento, la casa è il luogo più

adatto per far comprendere che il Cristianesimo non è un’opinione, ma una Persona, proprio perché in questo luogo siamo chiamati a tessere le prime e fondamentali relazioni interpersonali. Noi sappiamo che anche la casa vive, come tutti noi, il travaglio di questa epoca post-moderna; la casa, luogo dell’incontro, in realtà spesso diventa luogo di solitudine e di violenza.

A fronte di una cultura, quella postmoderna, che propone modelli antropologici improntati all’in-dividualismo, alla frammentazione, alla divisione, alla banalizzazione della sessualità, il Nuovo Testamento non si stanca di educare all’incontro con il Vivente, il Figlio di Dio, proprio a partire dalla nostra vita casalinga. Ecco, allora, che la casa è il luogo dove le persone hanno l’opportunità non tanto di sentire un ragionamento intorno al Cristianesimo, quanto quella di incrociare lo sguardo di Cristo.

Una brevissima considerazione terminologica. Nel Nuovo Testamento, per sottolineare l’importanza che esso attribuisce al nostro tema, la parola “casa” è resa con i termini “oikòs” e “oikìa” e questi due termini vi ricorrono più di duecento volte! Se consideriamo che

Conferenza EuropeaPerché

ad Assisi?La scelta della

città di San Francesco per una conferenza che parla di pace non può dirsi casuale.

Francesco, il frate che ha voluto esse-re “Minore”, cioè povero come Cristo e dedito agli ultimi, vero portatore di pace.

Francesco, il cui messaggio non si è affievolito nel corso dei secoli, perché non è un annuncio verbale, ma testimoniato e trasmesso attraverso tutte le tappe della sua vita.

Francesco, il giovane spensierato che, incontrando un lebbroso, dimentico del suo ribrezzo, lo abbraccia e lo bacia, prima testi-monianza d’amore e di pace come balsamo per chi soffre.

Francesco, giovane inquieto che, sentendo dalla voce di Gesù Crocifisso la richiesta di riparare la sua casa, obbedisce senza opporre obiezioni e si improvvisa mu-ratore: nell’ascolto incondizionato della voce di Dio, l’unica possibilità di essere portatori di pace.

Francesco, l’infaticabile pellegrino che nel suo abituale “Il Signore ti dia pace” non porta solo un saluto, ma un annuncio teologico profondo.

Francesco, il poeta che nel “Cantico delle Creature” esprime l’esperienza mistica

più alta e nella lettura simbolica del Creato in cui tutto è buono e nulla può nuoce-re di quanto volu-to da Dio suggella il suo messaggio testimoniando che “essere stru-menti di pace significa esse-re strumenti in pace”.

(di Paola Barlotti Angeretti)

Catholic FraternityCatholic Fraternity

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gli scritti del Nuovo Testamento sono 27, possiamo affermare che la casa è l’ambiente vitale nel quale si è costituito il Cristianesimo delle origini.

“Oikòs” ed “oikìa” hanno anche altri significati, ma nella stragrande maggioranza dei casi indicano la casa privata, la casa di abitazione. Nel Nuovo Testamento si ama parlare delle case private e si amano dire i nomi dei proprietari. Infatti, la casa in sé non dice nulla, ha valore quando è la “tua” casa che ospita qualcuno, quando è la “tua” casa che accoglie e vive determinati valori.

Rapporto teologico tra Vangelo e Atti degli Apostoli

Nel libro degli Atti degli Apo-stoli si nota che la casa è il luogo dove la comunità cristiana scopre la propria dignità; all’interno delle case private questi cristiani radunati non erano soltanto un gruppo di persone riunite, ma erano ecclesìa, erano cioè una comunità convocata dal proprio Signore: erano Chiesa. Gli Atti degli Apostoli attestano che i cristiani si sono percepiti “Chiesa” per la prima volta nelle case private; e lì hanno scoperto lo scopo del loro stare insieme: diventare profetica e ardente comunione di cuori. Questa è la grande respon-sabilità educativa della famiglia cristiana. La comunione dei cuori è premessa indispensabile per ogni educazione alla pace.

Nel Nuovo Testamento, per esprimere il concetto di comunione si utilizza un termine che io amo molto, è un termine bellissimo: “koinonìa”, che nel greco del Nuovo Testamento significa “ciò che è in comune”; significa la consapevolezza della reciproca appartenen-za. La “koinonìa” è la consapevolezza di dipendere da qualcuno, di avere bisogno del fratello per poter seguire Gesù di Nazareth. La “koinonìa” neotestamentaria ci dice che, in quanto cristiani, non possiamo essere delle isole: io ho bisogno di voi, perché senza di voi io non riesco ad essere discepolo di Cristo.

Per il Nuovo Testamento è più importante parlare di koinonìa, di comunione, che di comunità. È importan-tissimo parlare di comunità, ma la koinonìa è il vero cemento che fa stare in piedi una comunità. Anzi, il libro degli Atti degli Apostoli punta proprio a questo, a far vedere come la diffusione della parola di Cristo creasse koinonìa, creasse comunione tra quanti l’ascoltavano. Gli Atti degli Apostoli parlano di missionari che annunciavano con parresìa, vale a dire con franchezza e coraggio, la

formazione

Parola di Dio; ma ciò che stupiva, era come questa Parola creasse comunione tra quanti l’avevano accolta.

Potremmo dire, quindi, che, secondo gli Atti degli Apostoli, la capacità di una famiglia cristiana di edu-care alla pace la si misura dal grado di comunione che esiste tra i suoi membri; non dalla complessità

delle sue strutture; non dall’uniformità delle abitudini; non dal numero di ore passate insieme.

Quindi: riflettere sull’educare alla pace in famiglia significa lottare contro la possibile “inflazione fami-liare”, che può affliggere le nostre comunità cristiane. Quand’è che si verifica l’inflazione familiare? Quan-do il numero delle attività, il numero delle strutture che la famiglia possiede non equivale al grado di comunione dei cuori tra i suoi membri. Il Nuovo Testamento ci avverte: c’è il rischio di sostituire la comunione dei cuori con la pluralità di attività. Le attività sono importanti, ma se non danno come frutto la comunione, dovrebbero essere ridimensionate nel numero e nella qualità.

La prima casa europea divenuta cristiana

Visto il contesto europeo di que-sto nostro Convegno, vorrei concludere con una con-siderazione. L’Europa ha avuto bisogno di case private per accogliere e annunciare il Vangelo (penso alla casa di Lidia, di cui si narra negli Atti degli Apostoli). Credo che il nostro caro Vecchio Continente, se vuole ringiovanirsi e riscoprire ancora il proprio ruolo a servizio del mondo intero, ha bisogno di case cristiane che siano disponibili ad essere anche oggi luoghi dove annunciare il Vangelo della pace agli uomini e alle donne del Terzo millennio.

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Dal mondoDal mondoalla Comunitàalla Comunità

di di Paola Barlotti AngerettiPaola Barlotti Angeretti

Dottor Peter Onyango

Il dottor Peter Onyango, refe-rente dei progetti Shalom in Kenya, ha compiuto una bre-ve visita all’Associazione, nella sede di Viale Trento, il giorno 15 novembre 2007.

L’incontro col presidente ed alcuni responsabili, sem-pre cordiale ed amichevole, è stata l’occasione per rife-rire delle più recenti notizie sociopolitiche sul Kenya e della situazione nel villaggio Unyolo di cui Shalom ha finanziato la realizzazione e sta sostenendo un asilo per numerosi bambini.

Dall’IndiaS.E. Mons. A. Neethinathan

Nei giorni 20-22 settembre 2007, il Vescovo indiano di Cingleput (Tamil Nadu), S.E. Mons. A .Neeth inathan ,

è stato ospite della Comunità Shalom.

Ha porta-to notizie circa la situazione ge-nerale in India e, soprattutto, ha aggiornato i responsabili cir-ca i progetti che Shalom sostiene nella sua dioce-

si, con particolare riferimento al villaggio di 30 casette per i dalits, i senza casta.

Venerdì 21 settembre, durante l’incontro comunitario, il Vescovo ha presieduto la cele-brazione della Santa Messa; nell’omelia egli ha espresso con calde parole di gratitudine tutta la riconoscenza della sua gente, concludendo: “Vi chiedo soprattutto di pregare per questa gente senza casta perché possano vivere con dignità; poi se c’è qualche altro tipo di aiu-to che ci potete offrire, noi vi

ringraziamo e che Dio vi benedica”.

Dal Kenya

Fr. Jerald S. Ravi

Nel mese di ottobre 2007 L’As-sociazione Comunità Shalom ha ricevuto, nella sede di viale Trento, la breve visita di Fr. Jerald S. Ravi, direttore della Pavalam Comuni-cation di Tuticorin.

Fr. Ravi ha recato notizie circa la situazione indiana illustrandone alcuni aspetti positivi e chiarendone anche alcune contraddizioni.

Dall’India

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Il cristianesimoIl cristianesimodi Renato Demurtas in Indiainformazione

Intervista al Cardinal Toppo

Venerdì 12 ottobre 2007, presso il santuario della “Madonna del frassino”(VR), abbiamo incontrato S.E. il Card. Telesphore Placidus Toppo, Presidente della Conferenza Episcopale Indiana, in Italia per un breve periodo, già ospite in passato della Comunità Shalom. Da lui abbiamo potuto ricevere notizie di prima mano sulla situazione religiosa del suo Paese. Ve ne forniamo una sintesi.

Il cristianesimo in India trova qualche difficoltà? È vero che per i cristiani è difficile entrare nel go-verno?

In India vi sono tante religioni, tante culture, tante lingue, tanti gruppi etnici che riuscirebbero a convivere senza grossi problemi se non per la presenza di fonda-mentalisti e fanatici che, in alcune zone, sono molto forti. Per loro, l’Europa è cristiana, l’America è cristiana, i Paesi Arabi sono musulmani, e l’India è e deve restare indù: con questo intento ostacolano la crescita della Chiesa.

Quindi il problema è il fondamentalismo?Sì, il problema è il fondamentalismo. Questi

fanatici saccheggiano i conventi e le parrocchie, spe-cialmente nei villaggi e nei piccoli paesi, dove i cattolici sono pochi e dispersi; in città c’è più sicurezza, anche

per la protezione della polizia.Nel 1994, nella mia Arcidiocesi, hanno ucciso

brutalmente due sacerdoti ed un seminarista, allo scopo di mostrare ai cristiani la loro forza ed intimorirli. Un pa-store protestante missionario, medico, sposato, è stato bruciato nell’automobile con i due figli e l’assassino è stato acclamato come un eroe.

Noi, come Associazione Shalom, siamo molto vicini alla Chiesa là dove cerca di aiutare i “fuori casta”. A proposito delle caste, in relazione al fondamen-talismo, come stanno realmente le cose?

Il 60% dei cristiani è fuori casta. La Chiesa sta lottando per una giustizia più equa, perché se la gen-te diventa cristiana non può più usufruire dei privilegi previsti dalla Costituzione.

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Il cristianesimo in Indiain IndiaUn indiano che si converte al cristianesimo diventa un “fuori casta”, un

dalit. Io sono un tribale, quindi provengo da una casta fortunata, ma i fonda-mentalisti vogliono trasformare anche i tribali in “fuori casta” nel momento in cui diventano cristiani.

Approssimativamente, io direi che i fuori casta sono circa 100 milioni ed i tribali circa 80 milioni.

Quanti sono i fondamentalisti in rapporto alla popolazione?Sono circa l’11% della popolazione, ma fra questi non tutti sono

fanatici.L’India ha la quarta più grande Conferenza Episcopale della chiesa

cattolica dopo il Brasile, gli Stati Uniti e l’Italia. Io sono il Presidente di questa Conferenza e per i fondamentalisti è molto difficile capire e digerire che un tribale sia potuto diventare capo della Chiesa indiana.

Le Comunità cristiane, fuori dalle città, riescono a vivere i loro momenti ecclesiali nelle chiese?

Sì, ci sono dei movimenti di evangelizzazione della chiesa cattolica e di quella protestante: proprio per questo i fondamentalisti stanno reagendo, attenti al fatto che anche molti tribali stanno rispondendo al Vangelo.

Ecco il motivo per cui non hanno accettato positivamente che io sia divenuto cardinale, perché questa mia carica mi permette di proteggere la gente in quanto qualsiasi cosa i fanatici possano fare alla mia persona diventa notizia negativa per loro. Essi non mi possono attaccare direttamente e si limitano a bruciare, come già hanno fatto per una ventina di volte, il mio “pupazzo” in segno di disprezzo e minaccia.

Anche nel mio piccolo paese d’origine i fondamentalisti mi hanno detto che avrei dovuto rifiutare l’incarico. Ai giornalisti che mi chiedevano come mai avessi accettato, ho risposto che il Vaticano aveva informato il governo indiano prima dell’annuncio della mia nomina.

Quali pensa possano essere le prospettive future per la Chiesa in India?

Il futuro della Chiesa in India dipenderà dalla possibilità di costruire una società di vita apostolica, soprattutto per i ragazzi.

Sarà, quindi, importante che la Chiesa pos-sa acquistare terreni, almeno 3,5 acri, per costruirvi scuole, chiese, conventi dove formare missionari, non veri e propri religiosi, ma persone preparate per essere inviate in aiuto spirituale e materiale della gente.

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di Ruggero Zanon Centro Sanitario in Congo

“Questo Centro è un’opera di fede, speranza e carità”: queste le parole pronunciate più volte da Mons. Andrès Carrascosa Coso, Nunzio Apostolico del Con-go e del Gabon, nell’omelia dell’Eucaristia celebrata lo scorso 9 dicembre in occasione dell’inaugurazione del Centro Sanitario Shalom di Sembé (Congo), intitolato alla memoria di don Domenico Pincelli, co-fondatore della Comunità Shalom, presente alla cerimonia nelle persone di Luca Failo e Ruggero Zanon.

Fede: quella dimostrata dodici anni or sono da alcune Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore che, rispondendo all’accorato appello dell’allora vescovo di Ouesso, mons. Hervé Itoua, decisero di stabilire una nuova missione a Sembé, nel cuore della jungla, dove nessun altra congregazione aveva avuto il coraggio di spingersi.

Speranza: quella della popolazione locale, ed in particolare dei pigmei - ultimi fra gli ultimi, discriminati dagli altri poveri - che dall’insediamento delle Suore ad

oggi hanno visto sensibilmente migliorare la loro vita, a cominciare dall’istruzione dei propri figli fino alle cure sanitarie di base.

Carità: quella delle tante persone che hanno scommesso ed investito su questo ambizioso progetto, preoccupate soltanto dal pensiero di riuscire a donare un seme di pace e di speranza a tanti cuori sofferenti e dimenticati.

Congo, paese degli opposti e delle contraddi-zioni, dove il telefono cellulare ha una ricezione spesso migliore rispetto a quella di tante altre zone più svilup-

Speranza per il Congo

informazione

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Centro Sanitario in Congo

pate del Nord del Mondo, ma dove la comunicazione è seriamente compromessa dalle condizioni, a dir poco disastrose, in cui verte la rete stradale, che rendono proibitivi anche gli spostamenti più brevi.

Un Paese dove si è costretti a sperare che le compagnie del legname - che hanno devastato e defraudato gran parte della lussureggiante foresta pluviale - realizzino, per proprio interesse, quelle strade la cui asfaltatura è già stata finanziata per tre volte dal governo, ma che di catrame non hanno visto nemmeno l’ombra. Dove fino a pochi anni fa si poteva rischiare di essere ammazzati per qualche spicciolo e la violenza era all’ordine del giorno. Dove malnutrizione e malattie facilmente curabili sono ancora fra le maggiori cause di mortalità infantile, ma dove la vitalità dei bambini è contagiosa ed un loro sorriso è in grado, per un attimo, di farti dimenticare la loro sofferenza.

Nonostante tutto ciò, ancora forte è la dignità che si scorge sui volti delle persone, segno che la miseria e le difficoltà non sono riuscite ad in-taccare ciò che l’uomo ha di più pre-zioso e che può rappresentare il fulcro su cui far leva per operare un’inver-sione di rotta. Un cambiamento che trova però ancora forti ostacoli nella cultura locale, che carica il peso della famiglia unicamente sulle spalle della donna, costretta a lavorare nei campi, a provvedere al cibo, e prendersi cura della casa e dell’educazione dei figli. La situazione è fortemente accentuata dalla poligamia - pratica ancora diffusissima in questa zona dell’Africa che sta prendendo piede anche fra la popolazione pigmea, da sempre per tradizione monogama - che costrin-ge le singole mogli a farsi carico del mantenimento e dell’educazione dei rispettivi figli.

In questa terra dove la vegetazione è così rigoglio-sa e vitale, ma dove la vita sembra ancora arrancare con difficoltà, l’unica ricchezza sembra essere rappresen-tata dai figli, considerati, nella maggior parte dei casi, non come dono, ma come bene produttivo, dal quale ci si attende un ritorno e per il quale non si è disposti ad investire oltre lo stretto necessario. Accanto a uomini che trascorrono le giornate discorrendo fra di loro capita allora di vedere bambini percorrere chilometri a piedi nel buio e nella foresta per andare a scuola e, molto spesso, costretti a rinunziarvi per lavorare o, soprattutto per le bambine, per badare ai fratelli più piccoli.

Ai lati delle interminabili e polverose piste in terra rossa - che basta una leggera pioggia a trasformare in una fanghiglia insidiosa - è possibile scorgere piccoli gruppi di umili capanne in fango e paglia, attorniate da un’aia nella quale non manca mai la presenza festante e allo stesso tempo malinconica dei bambini. Gli anziani, invece, sono rarissimi, come denota l’allarmante dato relativo all’aspettativa media di vita (52 anni).

Nel cuore della foresta, alloggiati in capanne di foglie a forma di igloo, vivono tuttora in condizioni che rasentano il sub-umano i pigmei, etnia da sempre disprezzata e discriminata dai Bantù. Il loro stile di vita, da sempre caratterizzato dalla simbiosi con la foresta, da cui traggono frutti selvatici e cacciagione per il so-stentamento, è messo in crisi negli ultimi anni dalla forte deforestazione operata dalle multinazionali del legno che li sta costringendo a modificare le loro abitudini.

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Centro Sanitario

Una carità organizzataIl Centro Sanitario, iniziato

nel 2004 e realizzato anche gra-zie al contributo della Provincia Autonoma di Trento, è operativo dal gennaio 2007, e serve una po-polazione di circa 30.000 abitanti del Distretto di Sembé.

Attualmente il Centro ha una capienza di 40 posti letto, ma in situazione di emergenza è in grado di ospitare fino ad un massimo di 60/70 pazienti.

La struttura è formata da 7 edifici:l un blocco principale, comprendente:

- la maternità con la sala parto; - una sala urgenze; - una sala per l’infermiere di guardia; - una veranda per l’attesa e l’animazione sanitaria; - un ambulatorio medico; - una farmacia; - una sala di consultazione per colloqui di sostegno psicologico; - una sala di cura; - un laboratorio per analisi; - una stanza per l’ecografia; - una sala per le medicazioni;

l n. 4 padiglioni comprendenti i seguenti reparti:- malattie infettive (6 posti letto); - chirurgia (6 posti letto);- pediatria (12 posti letto);- ginecologia (10 posti letto);- medicina generale (4 posti letto + 2 dedicati alla medicina

d’urgenza);l n. 4 casette a schiera per gli infermieri, in grado di ospitare

altrettanti operatori sanitari con le rispettive famiglie;l una casa per i volontari, in grado di ospitare fino ad otto

persone (medici, infermieri, volontari).Nel 2005 il Centro è stato dotato di una sala operatoria, con

il locale di sterilizzazione degli strumenti chirurgici, e di un reparto di radiologia.

informazione

Solo la fede, la speranza e la carità possono spin-gere a cominciare da qui. E cominciare proprio da chi, nella malattia e nella sofferenza, questa fiducia può aver definitivamente smarrito.

Un Centro intitolato alla memoria di don Domenico Pincelli che aveva sperimentato in prima persona la malattia, finendo, per uno strano disegno, per divenire lui stesso - come cappellano dell’ospedale di Riva

del Garda e come confessore e padre spi-rituale - fonte di speranza e consolazione per chi si trovava a vivere nella sofferenza, nel corpo e nello spirito.

Un Centro, dunque, che rappre-senta un atto di fiducia nell’uomo in quanto tale, senza calcoli, senza secondi fini, nel tentativo di restituirgli quella dignità troppo spesso minata dalla sof-ferenza causata dall’abbandono e dalla rassegnazione.

Restituire all’uomo la sua di-gnità, il suo valore, a prescindere dalla condizione sociale, dalla razza e dalla tribù di appartenenza: questa la sfida ed al tempo stesso la scommessa di un investimento che, dal punto di vista strettamente utilitaristico, potrebbe sembrare sproporzionato, ma che inve-ce vuole sottolineare la centralità della persona umana.

È nella cura indistinta di donne, bambini e pigmei - altrimenti abban-donati al loro destino - che si può dare nuova speranza a chi da troppo tempo ha ormai cancellato questa parola dal proprio vocabolario.

In zone come questa, dove i servi-zi assistenziali minimi non sono assicura-ti, dove la povertà anziché unire divide, dove l’assoluta incertezza sul futuro non permette di fare progetti che si spingano al di là della singola giornata, è ancora una volta la Chiesa - nella persona delle Suore Missionarie Francescane del S. Cuore - a farsi carico degli ul-timi fra gli ultimi, di coloro che spesso sono considerati soltanto per essere sfruttati.

Ecco allora la tenacia nella realiz-zazione di scuole, quasi a voler combat-tere l’incapacità di credere nel domani con un investimento che non potrà che dare i suoi frutti nelle generazioni a venire. Un credere nell’uomo a fondo perduto.

Perché allora realizzare proprio qui a Sembé, un villaggio dimenticato da tutti, nel cuore dell’Africa nera, un Centro Sanitario ormai considerato fra i migliori e più avanzati dell’intero Congo, secondo solo a quello della capitale Brazzaville? perché investire tempo, risorse ed energie proprio là dove nemmeno la gente del posto sembra disposta a scommettere qualcosa?

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in Congo

Una goccia di speranza che sembra essere stata accolta con gioia dalla popolazione locale accorsa numerosa dalle zone circostanti Sembé per presenziare alla cerimonia inaugurale caratterizzata da un clima di gioia e di festa.

Alle parole di fiducia, speranza ed incoraggiamen-to pronunciate dal Nunzio Apostolico mons. Carrascosa, hanno fatto eco quelle di mons. Ives Monot, Ammini-stratore Apostolico di Ouesso, e delle autorità locali, che nel ringraziare per il sostegno l’Associazione Comunità Shalom e per l’instancabile operato le Suore Missionarie Francescane, hanno auspicato che il Centro possa di-ventare un punto di partenza per il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione locale.

Un sogno, quello concretizzatosi nel Centro Sanitario, partito nel 1995 come semplice dispensario (farmacia + ambulatorio), sul quale nessuno fino a pochi anni fa avrebbe scommesso qualcosa e che invece, con l’aiuto e la dedizione fiduciale di molte persone, è oggi una splendida realtà.

Molti già vi hanno potuto trovare accoglienza e conforto e si spera molti altri potranno in futuro trovarvi cura ed attenzione. E ciò anche grazie alla generosa

opera del dott. Luciano David, ginecologo italiano in pensione, che - insieme alla moglie Bianca - ha deciso di mettere per sei mesi a servizio della popolazione locale la sua lunga esperienza ospedaliera, maturata in parte anche in terra africana.

Un sogno che non avrebbe mai potuto realizzarsi senza il coraggio e la dedizione instancabile di suor Rita Panzarin, una donna che ha fatto dell’attenzione amorevole all’altro l’unica vera preoccupazione del suo agire, e per la quale non disdegna di mettere quotidia-namente a repentaglio la propria vita fra le mille insidie ed avversità che la foresta cela in sé. Una donna che da anni assieme alle sue consorelle continua a dispensare generosamente la propria opera in modo sapiente e rispettoso della cultura locale.

Sono ancora molte le difficoltà in cui è costretta a convivere la maggior parte della popolazione congolese. Ma quanto realizzato in questi anni (alfabetizzazione, dispensario, pozzi, ecc.) nell’amicizia e nella collabora-zione sviluppatasi con l’Associazione Comunità Shalom ha contribuito ad invertire la tendenza negativa, a ri-dare speranza alle nuove generazioni, a garantire una prospettiva futura.

In primo piano da sinistra suor Rita Panzarin, S.E. mons. Andrès Carrascosa, Nunzio Apostolico del Congo e del Gabon, con il suo segretario, padre Yoannis Lahzi.

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di di Stefania Dal PontStefania Dal Pont Concerto Concerto di solidarietàdi solidarietà

Domenica 14 ottobre 2007 il Salone delle Feste del Casinò Municipale di Arco ha ospitato un concerto di solidarietà dell’Associazione Comunità Shalom dal titolo: “Musica… sulla via della pace”.

L’evento, che ha avuto un ottimo riscontro di presenze, è stato fortemente voluto dalla famiglia di Fabio Calzà, ad un anno dalla sua prematura scomparsa. La moglie Anna e i figli Elisabetta e Giorgio hanno pensato di finanziare, a memoria del loro caro, la costruzione di un pozzo nell’isola di Ilin nelle Filippine. Hanno accolto l’accorato appello che Suor Rosanna Fa-vero, amica dell’Associazione e referente per i progetti e i sostegni a distanza nelle Filippine, aveva esposto nella sua ultima visita a Riva del Garda nello scorso giugno.

Ilin è una delle 7000 isole dell’arcipelago filippino e uno dei suoi più gravi problemi è rappresentato dalla mancanza di acqua e dall’insufficiente presenza di pozzi nei suoi tredici villaggi.

Il progetto esposto durante la serata (e presentato nel dettaglio nella sezione solidarietà del portale web www.comunitashalom.org) è stato finanziato per intero nel corso di quell’iniziativa.

Ecco come manciate di note musicali possono trasformarsi in gocce di vita per un futuro più ricco di speranza per almeno 200 famiglie di una lontana isola dell’Asia.

Acqua per 200 famiglie Acqua per 200 famiglie L’isola di Ilin (Filippine) appartiene al Municipio di san Josè da cui di-sta circa un’ora di barca. È formata da 13 villaggi con una popolazione totale di più di 20.000 persone.

Nell’isola di Ilin uno dei problemi più gravi è rappresentato dalla mancanza di acqua e non tutti i 13 villaggi sono provvisti di pozzi.Dopo faticosi tentativi di ricerca, eseguiti con strumenti rudimentali e seguendo le indicazioni degli an-ziani, nel villaggio di Tabai, sembra sia possibile poter iniziare i lavori per la costruzione di un pozzo.Tabai, dove vivono circa 200 famiglie di pescatori, è situato nella parte est dell’isola. Finora l’acqua veniva raccolta nel villaggio di Natandol, a più di 40 minuti di cammino.

Musica… sulla via della pace

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Concerto di solidarietà

L’infanzia difficile

Le sfideLe sfidedella vitadella vita

di Maria Luisa Toller

formazione

Il premio Nobel 2007 per la medicina, Mario Capecchi, italiano vissuto negli Stati Uniti, viene da un’infanzia drammatica. Il padre, pilota d’aviazione, muore in guer-ra; la madre viene deportata a Dachau dai nazisti, e Mario rimane solo, a sei anni, sulla strada, imparando la dura arte di arrangiarsi per sopravvivere. Dopo la guerra la madre lo ritrova in un ospedale, e insieme emigrano negli Stati Uniti, dove vive uno zio, insegnante di fisica, che li accoglie e incoraggia Mario ad impegnarsi nello studio. Fino alle scoperte sulla genetica che gli valgono il premio Nobel.

È una storia che fa riflet-tere.

Ascolto spesso il racconto di vite sprecate nella noia, nella ricer-ca affannosa e inutile di emozioni che diano senso alla giornata, nel rimpianto della giovinezza che passa. Talvolta c’è anche la giustificazione, come una con-danna senza appello: “Ho avuto un’infanzia difficile… Non ho goduto la mia adolescenza… Non ho incontrato l’uomo giu-sto per me…”.

Ma mi capita anche di senti-re esperienze opposte, come quel-la di una signora, nata con handicap, che a 85 anni sa fare molto più delle sue coetanee, vive sola ed è autosufficiente. Quando le ho chiesto come fa, mi ha risposto: “Ho avuto un’infanzia difficile… proprio per questo i miei genitori hanno voluto che fossi autonoma. Non mi hanno mai compatita; anzi, mi spronavano a fare di tutto e farlo bene!”.

O come scrive un’altra signora: “Sono portatrice di un handicap congenito… Quante persone dicevano a mia madre: ‘È meglio che muoia!’. E lei rispondeva, indignata: ‘È meglio che viva, anzi, deve vivere!’. Ho

sofferto tanto nel corpo e nello spirito, soprattutto a causa di chi mi metteva addosso l’etichetta ‘poverina’. Quando mi guardo intorno, vedo tanti volti tristi, infelici, sfiduciati, arrabbiati… eppure dovrebbero sprizzare gioia solo per il fatto di essere nati perfettamente sani. Ma allora, dove sta il segreto della felicità o dell’infelicità? Io lodo e benedico Dio per il dono della vita. Prima di morire, mia madre mi disse: ‘Tu sei sempre stata la mia consolazione e non ti avrei scambiata con nessun altro al mondo’”.

Ora questa donna ha sessant’anni ed è punto di riferimento per tante persone, a cui annuncia il Dio della vita.

Mi sono chiesta che cosa faccia la differenza. Forse, l’elemento comune è questo: sia Mario Capecchi

che queste due donne hanno incontrato qualcuno che li ha accolti ed ha

avuto fiducia in loro, spronan-doli a mettere a frutto le proprie capacità.

Purtroppo il clima culturale e umano di questo nostro tempo rende assai difficile la vita per chi non ha vantaggi di partenza. Davanti al solo sospetto di una possibile malformazione, in molti casi viene praticato l’aborto. Nel 2002, un gruppo di medici neo-natologi della clinica universitaria di Groningen, in stretta collabo-razione con un procuratore di-strettuale, ha formulato il cosid-detto “protocollo di Groningen”, che indica i requisiti necessari e la procedura da seguire per pra-ticare l’eutanasia ai bambini al di sotto dei 12 anni e ai neonati, se

i medici e i genitori concordano che “la morte sia più umana della

continuazione della vita”. Ma anche il nascere sano, avere una famiglia e

il godere del benessere può non essere automatica-mente sufficiente per vivere serenamente; anche con queste condizioni di partenza, se uno non è accolto e incoraggiato a mettersi in gioco con tutte le proprie risorse, rischia di considerare la propria vita come non degna di essere vissuta.

La vita è sempre un dono, ed è, sempre, un impegno.

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formazione

Quanto amo Quanto amo

16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. 17Quando lo videro, gli si prostra-rono innanzi; alcuni

però dubitavano. 18E Gesù, avvicinatosi, disse loro: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. 19Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, 20insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,16-20).

di Gregorio Vivaldelli la tua Parola, SignoreAndate dunqueAndate dunque

«Il primo passo per aprirci al dono della vita è aprire l’orecchio del nostro cuore alla Parola di Dio, è affidarci ad essa, lasciando che la nostra assiduità con Gesù Cristo e con il suo Vangelo illumini e sostenga ogni istante delle nostre esistenze»

(Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, 27)

Il trimestre di questo numero della nostra rivista de Sulla via della Pace (gennaio-marzo) si conclu-de con la Pasqua (23 marzo). Ho voluto pertanto scegliere un brano che ha la forza di farci percepire quanto sia delicato ed urgente annunciare il Van-gelo della pace, il Vangelo del Risorto agli uomini e alle donne del nostro tempo. Non solo. Questo è un testo che permette, a chi si ritiene non credente (o, come si suol dire, “non praticante”), di intuire cosa alimenta la gioia di coloro che desiderano far conoscere Gesù agli altri.

Andate dunque e ammaestrate tutte le na-zioni

Il testo ci conduce in prossimità della con-clusione dell’ultimo capitolo del Vangelo secondo

Matteo, in cui l’evangelista registra la resurrezione di Gesù e il mandato universale ai suoi discepoli di evangelizzare. Evangelizzare significa far conoscere il Vangelo agli uomini di ogni epoca, di ogni cultura, di ogni lingua, popolo e nazione.

Ci si trova all’inizio del tempo della Chiesa e, quindi, si conclude il tempo della presenza visibile di Gesù in mezzo ai suoi. Tempo della Chiesa, cioè tempo degli Apostoli, degli Evangelisti, dei testimoni di questo Dio che ha risuscitato dai morti Gesù di Nazaret. È perciò anche il nostro tempo, nel quale cerchiamo di realizzare la nostra chiamata alla santità nelle pieghe più o meno nascoste della nostra quotidianità.

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioniCi sentiamo invitati ad aderire ad un programma di vita cristiana che si basa su un preciso comando

del Risorto. L’obbedienza a questa missione costituirà, per chiunque voglia mettersi alla sequela di Gesù, una verifica della propria fedeltà alla propria identità cristiana.

Siamo esortati da Gesù stesso ad andare in tutto il mondo (cominciando da quello nel quale viviamo ogni giorno) e «ammaestrare» o, meglio ancora, come dice il verbo greco utilizzato da Matteo (mathetéuein), «far diventare discepoli» le genti. Per stare dentro i confini della nostra riflessione, fine e compito della nostra missione come cristiani nel mondo è introdurre «tutte le nazioni» (lett.: le genti) in una determinata esperienza, che è quella dell’essere discepoli di Gesù Cristo, figlio di Maria, figlio di Dio, morto e risorto affinché la nostra gioia sia veramente piena.

Per l’evangelista Matteo si tratta di introdurre in un’esperienza, in una relazione con Gesù simile a quella che è stata vissuta dal gruppo di persone che nei Vangeli è indicato con il nome di “discepoli”. Per usare un termine inesistente in italiano, ma capace di rendere molto bene l’idea, si tratta di “discepolizzare”, persuadere, cioè, gli uomini del nostro tempo della bellezza e della responsabilità di essere cristiani. È fare in modo che questa esperienza, finora limitata nel tempo, diventi universale.

Concretamente, tutto questo ragionamento apre la spinosa questione della formazione, vale a dire lo sforzo, da parte della comunità cristiana, di “crescere” e di “far crescere” come discepoli di Gesù. Si tratta, in altre parole, di formare cristiani maturi, capaci cioè di essere «pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (cfr 1Pt 3,15). Solo così, ogni singolo cristiano sarà in grado di essere una pietra veramente viva capace di cooperare alla costruzione della Chiesa (cfr 1Pt 2,5).

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Quanto amo la tua Parola, Signorela tua Parola, Signore

«Stai con me, e io inizierò a risplendere come tu splendi; / a risplendere fino ad essere luce per gli altri. / La luce, o Gesù, verrà tutta da te: nulla sarà me-rito mio. / Sarai tu a risplendere, attraverso di me, sugli altri».

(J.H. Newman)

... insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandatoColui che annuncia il Vangelo (vale a dire “tutto ciò che Gesù ci ha

comandato”) è chiamato a trasmettere agli altri un’immagine di Dio che sia conforme alla rivelazione che ne ha fatto Gesù di Nazaret: un Dio che va alla ricerca dell’uomo come un pastore della sua pecora smarrita; un Dio che perdona totalmente l’uomo come un padre che, commosso, corre incon-tro al proprio figlio, che lo aveva abbandonato, per abbracciarlo e coprirlo di baci; un Dio che vuole avere tanti figli intorno alla propria mensa come quell’uomo che continuò ad invitare al proprio banchetto coloro che non potevano vantare alcun merito; un Dio che raccoglie l’uomo quando ormai non c’è più speranza come fece il buon samaritano con quell’uomo che si stava dirigendo a Gerico. E gli esempi si possono moltiplicare.

«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»Si tratta di una promessa carica di consolazione. Matteo ricorda che il

nostro tempo, il tempo di noi che viviamo nel 2008, è il tempo della fiducia che deriva da questa presenza invisibile, ma efficace, reale del Cristo risorto in mezzo a noi, alle nostre gioie e alle nostre preoccupazioni.

«Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo»: questa frase è ripetuta nell’Antico Testamento ogni volta che il Signore Dio d’Israele, affidando una missione impegnativa ad una persona (pensiamo a Mosè, per esempio), vuole assicurare anche la sua presenza operante, salvifica, leale. Possiamo essere missionari del Vangelo perché Gesù è accanto a noi, cammina con noi, ci rialza nelle cadute, ci illumina nell’oscurità, ci consola e ci abbraccia nelle delusioni.

L’accento conclusivo cade, quindi, su queste parole di promessa, che vogliono infondere fiducia, speranza e, in ultima analisi, consolazione. E la loro importanza viene confermata dal fatto che espressioni analoghe risuo-nano già all’inizio del vangelo di Matteo: «Sarà chiamato Emmanuele, che significa “Dio con noi”» (Mt 1,23). Si crea, quindi, un richiamo che abbraccia l’intera rivelazione biblica. La promessa presente nell’Antico Testamento del Dio con noi, che risuonava nell’annunzio della nascita di Gesù, trova la sua realizzazione nella presenza di Gesù risorto nella nostra vita fino alla fine dei tempi.

Sarà per ciascuno di noi l’occasione irrinunciabile per esprimere la nostra fiducia in un Dio sorprendentemente vicino all’uomo. E non saremo più soli. E non ci sentiremo più soli.

Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni. Bisogna, pertanto, saper essere “persone pasquali”, vale a dire “discepolizzanti” in tempi, forme e luoghi diversi. Il Vangelo ci fa intuire che ci sono “terre di missione” (che si trovano dal nostro appartamento al Ma-dagascar) nelle quali ciascuno di noi può svolgere un servizio di primo piano nell’evangelizzazio-ne dei popoli.

Per noi, “fare discepoli” significherà innanzitutto educarci ed educare ad essere capaci di non rimanere in uno stato di eterna “adolescenza spirituale”, riscoprendo la sorprendente freschezza di una vita plasmata integralmente dalla Buona Novella di Gesù di Nazaret.

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tendenza alla secolarizzazione e alla paventata perdita della fede in quelle comunità.

Questo movimento però si radicalizzò, in alcune sue frange, fino a creare un certo tipo di mentalità, che tendeva a dividere il mondo tra “noi (gli amici)” e “loro (i nemici)”, generando un immaginario di lotta di pochi eletti contro il mondo perverso e negando qualsiasi mediazione tra questo modo di intendere la fede e la cultura, la fede e la ragionevolezza.

Chi oggi condivide questo tipo di visione appartie-ne ad un mondo variegato: c’è chi predica l’imminente fine del mondo, chi si ritira in comunità alternative, ma anche chi teorizza la violenza in nome di Dio, come documenta il libro di M. Jürgensmeyer “Terroristi in nome di Dio”.

Ci sono molti fondamentalismiOgni religione annovera ormai tra le sue fila grup-

pi marginali di questo tipo.Sentiamo parlare quotidianamente di Al Qaida

e di altre organizzazioni simili in contesto islamico, ma fatti sanguinosi di cronaca rivelano l’esistenza di fon-damentalismi anche nel mondo ebraico, induista e cristiano. E non si deve tacere sul fatto che il fondamen-talismo può essere una caratteristica anche dello Stato laico. John Esposito, saggista americano, scrive, nel suo libro “Secular fundamentalism”, che un atteggiamento pubblico troppo laicista, cioè intollerante o ignorante in materia religiosa, rischia di spingere alcune frange della società al rifiuto di quei processi di integrazione e di inculturazione che ogni civiltà sana riesce a promuo-vere, o addirittura alla militanza terroristica, ottenendo quindi effetti paradossali.

Proprio perché si parte dal pregiudizio che sia saggia la nazione che “tollera solo una modica quantità di religione per uso personale”, non ci si accorge del disagio sociale generato dalla non adeguata risposta alle istanze religiose dell’uomo.

Il labirintoIl labirintoformazione

di Tiziano Civettini

Fondamentalismo:istruzioni per l’uso

Tra le parole più inquietanti, ma anche più usate nel nostro tempo, c’è senz’altro questa: fondamenta-lismo. Anzi, fondamentalismi, come dicono gli esperti in materia.

Dopo quel fatidico 11 settembre 2001 (data del-l’attacco alle torri gemelle), ci si guarda tutti con un certo sospetto, specialmente quando si è in qualche stazione ferroviaria, aeroporto o metrò, per studiare sui volti della gente i tratti caratteristici di un eventuale terrorista.

Sì, perché ormai fondamentalismo e terrorismo vengono percepiti come sinonimi.

Ma che cos’è il fondamentalismo? I giornali spesso non aiutano a comprendere

questo fenomeno, perché, in un clima litigioso come il nostro, vige purtroppo la tendenza a tacciare di fon-damentalismo chiunque appartenga alla parte avversa, in qualsivoglia questione, ma specialmente in campo religioso.

In realtà si tratta di un fenomeno patologico della religione, ma non solo, anche se in origine, agli inizi del ‘900, la parola circoscriveva un movimento sorto all’in-terno del protestantesimo americano per contrastare la

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La logica fondamentalistaIn occidente, ormai da qualche secolo, ci si è abi-

tuati a pensare che le cosiddette “verità ultime” di cui si occupa la religione siano troppo distanti dalla vita vera e quindi prive di senso, e che la sola domanda veramente importante sia: “A cosa mi serve questa cosa?”.

Ci siamo troppo spesso abituati a pensare che solo quanto è immediatamente utile sia ragionevole e umano e che il resto (la fede innanzitutto) sia opinione soggettiva e personale, che niente ha in comune con la ragione. Sia i “laicisti”, che svalutano il ruolo della re-ligione, sia i “fideisti”, che svalutano l’importanza della ragione umana appellandosi alla “fede cieca”, fanno lo stesso gioco e alimentano l’humus culturale del fon-damentalismo.

Il fondamentalismo è, quindi, una forma di pa-tologia o di immaturità che investe la sfera esistenziale dell’uomo: il suo rapporto con le persone, il mondo, Dio.

Nel variegato mondo del fondamentalismo emer-gono delle costanti, delle linee di tendenza nel modo in cui viene pensato l’essere umano e la sua storia dentro questo tipo di ottica.

Il fondamentalismo coltiva innanzitutto il mito dell’età dell’oro, per cui solo alle lontane origini del mondo o di una istituzione vi sarebbe stata purezza e grandezza: quindi tutto ciò che è moderno è corrotto. Nasce da ciò il rifiuto del mondo reale e la ricerca, ad ogni costo, di un mondo alternativo.

Il tutto si concretizza all’interno di un’ideolo-gia competitiva e di lotta, con la conseguente ricerca di strumenti politici e sociali (e a volte militari o terroristici) per attuare la vittoria sul nemico.

Spesso gruppi fondamentalisti di varia tendenza coltivano una mistica della fine purificatrice, per cui è glorioso morire per far morire i malvagi. È curioso, detto per inciso, che la parola “martire” venga dalle nuove generazioni associata a colui che si fa esplodere in un attentato, piuttosto che al santo della tradizione cristiana, testimone della fede, che, per amore, rinuncia anche alla sua vita.

È in atto una sfida epocaleLa nostra generazione ha il compito ed il privilegio

di dire e di testimoniare con la vita che la sola civiltà possibile è quella che guarda con sim-patia (cioè con partecipazione e passione) il mondo, che lavora per l’edificazione di tutto ciò che è moralmente buono e che rispetta ogni essere umano, perché sa vedere in lui il volto del Creatore.

Il labirinto

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Carissimo...Carissimo...di Eliana Aloisi Maino

Perdonarese stessi

formazione

Carissimo, nella lettera precedente ti scrivevo quanto tutti

facciamo fatica ad accettare i nostri sbagli. Pur sapendo di non essere perfetti, ci viviamo come tali. Ti sei mai trovato a negare l’evidenza? Mi pare che questo sia davvero un punto critico e difficile, responsabile di tanti blocchi spirituali e psicologici. Ed anche di tanta immaturità. Perché la maturità passa anche attraverso l’integrazione nella nostra vita degli errori fatti, errori che, da azioni distruttive, diventano motore di cambiamento e miglioramento. Ma per integrare gli errori bisogna riconoscerli e accettarli. Come?

Già te lo scrivevo la volta scorsa. C’è un iter di verità da fare in noi, iter nel quale cerco la mia responsabilità, la accolgo, non mi confondo con essa, mi dispiace di quan-to fatto, studio una strategia per non ripetere lo stesso errore, ringrazio Dio della luce che mi permette di fare in me. Se con il mio comportamento ho danneggiato gli altri, vedo come posso riparare. Se ho ferito o ho manca-to di rispetto, chiedo scusa, chiedo perdono. Che fatica facciamo a chiedere perdono! E quanto invece l’amore relazionale cresce nel dare e ricevere perdono!

L’ultimo passo, co-essenziale, è il perdonarci. Sì, proprio così, il donare il perdono a noi stessi. Come? In modo molto semplice, dicendo “io mi perdono di questo o quest’altro”. Il più delle volte è un perdono dato con la vo-lontà, in cui il sentimento può essere assente. Ed è possibile che questo perdono abbia bisogno di “dosi di richiamo” nel tempo, come un vaccino, tempo nel quale anche il senti-mento può cambiare e diventare più collaborante.

Perché è necessario perdonarci? Perché spesso siamo il peggior nemico di noi stessi. Siamo la persona con cui siamo più arrabbiati, la persona che meno amiamo. Attanagliati da profondi sensi di colpa e vergogna, sentendoci cattivi e non amabili. Abbiamo bisogno di un balsamo che ci riconcili con noi stessi. E questo balsamo è il per-dono.

Paolo, mio marito, ed io abbiamo condiviso 23 anni di vita con un sacerdote, don Domenico, che trova-va nel perdono la sintesi di tutto il cristianesimo. Diceva che il per-dono è un super-dono, più grande di un atto creativo. Infatti il creare è fare dal nulla, il perdonare è creare un bene da un male.

È davvero il più grande dono che possiamo fare a noi stessi. È il mezzo che Dio ha scelto per ricon-ciliare l’uomo con Sé, ed è il modo con cui l’uomo può riconciliarsi con se stesso, togliendo di mezzo la divisione profonda insita nella sua natura. E questo balsamo può curare sia le ferite recenti che quelle pas-sate, sia quelle piccole che quelle grandi e purulente. È una ginnastica psico-spirituale che diventa uno stile di vita, un modo semplice ed efficace per conoscerci me-glio, per avere più compassione di noi e degli altri e per credere, in ogni situazione, nella forza dell’amore che supera l’errore. Inoltre avremo trovato un modo efficace per cambiare i nostri atteggiamenti e comportamenti. E un po’ alla volta anche noi potremo gridare: “felice errore, felice colpa, felice sbaglio… che hai favorito un tale cambiamento!”

Tante volte mi hai raccontato la tua fatica di vivere quando sei inquieto, quando non sei sereno; il tuo desi-derio profondo di pace, serenità e riconciliazione prima di tutto proprio con te stesso. Effettivamente tutto è più facile ed affrontabile se c’è quiete dentro di noi, che non

vuol dire assenza di preoccupazioni (cosa del resto impossibile). Prova a riflettere su questa possibilità di riconciliazione con te stesso at-traverso quest’arte sopraffina del perdono.

Come sempre rimango disponi-

bile per qualsiasi chiarimento anche, e soprattutto, circa gli aspetti sui quali non sei d’accordo.

Ti abbraccio e ti accompagno.

Sempre tua Eliana

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Carissimo... Prendi notaPrendi notaAppuntamenti ed iniziative dell’Associazione Comunità Shalom

Tutti gli incontri si svolgono presso la sala dei Padri Verbiti a Varone di Riva del Garda (TN)

Venerdì 4 gennaio 2008 ore 20.30Incontro di preghiera per i malati“Io sono il Signore, colui che ti guarisce” (Es 15, 26)

Venerdì 11 gennaio 2008 ore 20.30Incontro di preghieraWalter Versinipresenta la “Spe Salvi”

Domenica 13 gennaio 2008 ore 15.00Domenica di spiritualità e formazioneTiziano Civettini“Dio e il nostro essere cittadini del mondo”

Venerdì 18 gennaio 2008 ore 20.30S. Messacelebra Mons. Lauro Tisi, Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Trento

Venerdì 25 gennaio 2008 ore 20.30Scuola della ParolaGregorio VivaldelliIncontrare Gesù nei Vangeli

Venerdì 1 febbraio 2008 ore 20.30Incontro di preghiera per i malati“Togliti i calzari!” (Es 3,5): preparare il cuore e la mente al perdono di Dio

Venerdì 8 febbraio 2008 ore 20.30Incontro di preghieraVenerdì 15 febbraio 2008 ore 20.30S. MessaDomenica 17 febbraio 2008ore 15.00Domenica di spiritualità e formazioneRenato Demurtas“Dio e la sua misericordia”

Venerdì 22 febbraio 2008 ore 20.30Scuola della ParolaGregorio VivaldelliIncontrare Gesù nei Vangeli

Venerdì 29 febbraio 2008ore 20.30Preghiera liturgica del VesproVenerdì 7 marzo 2008ore 20.30Incontro di preghiera per i malati“Chiunque lo guarderà resterà in vita” (Nm 21,8)

Venerdì 14 marzo 2008ore 20.30Scuola della ParolaGregorio VivaldelliIncontrare Gesù nei Vangeli

Venerdì 21 marzo 2008ore 20.30Venerdì Santo: incontro sospesoVenerdì 28 marzo 2008ore 20.30Incontro di preghiera

GREGORIO VIVALDELLI A RADIO MARIA

Con inizio da sabato 5 gen-naio 2008, Gregorio Vival-delli tiene, sulle frequenze di Radio Maria, una sua rubrica che va in onda ogni primo sabato del mese.L’appuntamento per la rubri-ca dal titolo “Il fratello” è per le ore 22.45-23.50.

PAOLO MAINO E SARA PATERNOSTER IN UGANDA

Dal 18 gennaio al 4 febbraio 2008, Paolo Maino e Sara Paternoster saranno in Uganda, ospiti di padre Emmanuel Tusiime, responsabile del Rinnovamento Carismatico dell’intera Africa anglofona, nonché responsabile della pastorale giovanile della sua diocesi.Durante il loro soggiorno in Africa, saranno rice-vuti dall’Arcivescovo di Mbarara. Contribuiranno alla formazione della Comunità di cui sarà re-sponsabile Prosper Mitube e visiteranno i progetti Shalom in fase di realizzazione, compreso il più imminente relativo ad un centro per i numerosi ammalati di AIDS.DOMENICHE DI SPIRITUALITÀ E FORMAZIONE

Gli incontri di formazione comunitaria dell’Asso-ciazione Comunità Shalom avranno luogo, nei mesi di gennaio e febbraio, secondo lo schema seguente:Domenica 13 gennaio 2008, Tiziano Civettini tratterà il tema: “Dio e il nostro essere cittadini del mondo”.Domenica 17 febbraio 2008, Renato Demurtas tratterà il tema: “Dio e la sua misericordia”.Gli incontri si terranno in sala Shalom, presso i Padri Verbiti a Varone di Riva del Garda, con inizio alle ore 15.

RODOLFO SARTORELLI E GREGORIO VIVALDELLI IN POLONIADall’11 al 15 gennaio 2008 Rodolfo Sartorelli e Gregorio Vivaldelli saranno a Katowice (Polonia), ospiti della Comunità Maria Madre di Dio. In questi giorni Gregorio Vivaldelli terrà una serie di interventi in occasione del Convegno Diocesano del Rinnova-mento Carismatico Polacco.

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Spe SalviBenedetto XVIPagine 101

La seconda Lettera enciclica di Papa Benedetto XVI, dal titolo Spe Salvi (Nella speranza siamo stati salvati) pub-blicata il 30 novembre 2007, è il dono che il Pontefice ha voluto fare a tutti, pri-ma del Natale. Questa enciclica, rivolta principalmente ai cristiani, vuole far riscoprire e rinverdire la bellezza della speranza, che per i credenti si basa sulla fede.

Solo grazie alla speranza, il presente - anche se faticoso - può essere vissuto. Proprio per l’importanza della speranza nella vita umana, il Papa ce ne parla, evidenziando lo stretto legame tra la speranza e la fede in Dio. Conoscere Dio, incontrare il suo amore significa ricevere speranza. La fede cristiana è una speranza che trasforma e sorregge la vita. Il Papa parla anche della crisi della fede e della speranza cri-stiana a partire dall’Illuminismo, sostituite dalla fede

nel progresso, nella ragione, nella libertà. Tuttavia la ragione ha biso-gno della fede, come la fede della ragione. “Non è la scienza che redime l’uomo”. L’uomo ha bi-sogno di un amore assoluto che solo Dio può dare. La preghiera, il soffrire con Dio, la fede nella sua giustizia, sono i luoghi dove apprendere ed esercitare la nostra speranza.

Pace, gioia e caritàa cura di Eliana Aloisi MainoPagine 112

Dopo aver riflettuto sulla propria identità ca-rismatica e sulla propria collocazione nella chiesa e nel mondo, la Comunità Shalom intende ora esplorare la portata della propria chiamata alla luce della formula di alleanza che ciascun membro recita annualmente al momento della riconferma del suo patto comu-nitario.

Questo testo rappresenta uno strumento di riflessione e formazione per chi volesse conoscere meglio e più a fondo la Comunità Shalom.

È frutto della competenza teologica e pasto-rale di alcuni suoi membri, ma anche dell’esperienza viva dell’agire comunitario e delle dinamiche rela-zionali e ministeriali che ne scaturiscono.

Strumenti di Pace