n.2 febbraio 2004 - associazione culturale europea ... · affrescata nel canto v dell’inferno...

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UN CONSIGLIO C’è una verità elementare, la cui ignoranza uccide innumerevoli idee e splendidi piani: nel momento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti mai sarebbero avvenute... Qualunque cosa tu possa fare, o sognare di poter fare, incominciala. L’audacia ha in sé genio, potere e magia. Incomincia adesso. Johann Wolfgang Goethe l’O RIOLI IL PERCHÉ DI UNA SCELTA Periodico di cultura, costume e società Diretto da Nicola Piermartini Anno 2 - Numero 2 - Euro 0,50 Febbraio/Marzo 2004 Q uesto secondo numero dell’ Orioli, interamente dedicato al tema dell’amo- re, esce molto in ritardo ri- spetto al concepimento della sua idea. I limiti di una attività editoriale come la nostra non ci per- mettono naturalmente di tenere il pas- so rispetto al modo di procedere dei giganti maggiori, ma anche minori, che abitano il mondo della carta stam- pata. Con il solito gusto per la provocazio- ne presuntuosa pensiamo, però, non tanto di giungere tardi ma di soprag- giungere utilmente, con contenuti e angolazioni di visuale non frequenti. Libero Bigiaretti, scrittore che come Francesco Orioli ebbe cara la residen- za, anche se saltuaria, a Vallerano, in un suo epigramma così stigmatizza la valenza egoistica di certi amori: “A tante donne ho detto/ amore, amore mio…/ ma parlavo al mio petto,/ lusinga- vo il mio io” ( L. Bigiaretti, Epigrammi e proverbi, 1975-1981, pag 9). Sarà così EDITORIALE D’amore e d’arte di Nicola Piermartini Non è trionfalismo, né autocelebrazione. Certo è però che l’esordio de L’Orioli, qualche mese addietro, ha registrato ap- prezzamenti lusinghieri da lettori di varia estrazione, anche personalità consacrate del mondo della cultura. Riflessi chiara- mente confortanti, che confermano l’asso- ciazione “Francesco Orioli” e la redazione nel loro intento di proseguire il cammino intrapreso, con gli obiettivi - dichiarati con modestia in precedenza e qui ribaditi - di offrire stimoli all’approfondimento cultu- rale. Tema centrale di questo numero è l’a- more: argomento di vastità immensa, arti- colato in sfaccettature infinite, scintilla di vita, d’arte, di progettualità umana, di ele- vazione spirituale; l’amore, artefice di av- venimenti decisivi nella sfera individuale e sociale. Un sentimento (ma forse è ridutti- vo circoscriverlo in questa definizione) “che muove il sole e l’altre stelle”, per dir- la con l’ultimo verso della Divina Com- media. Un tema, quindi, la cui trattazio- ne può far precipitare nello scontato, nel “già detto”. L’Orioli, comunque, offre spunti di riflessione sicuramente non ob- soleti: gli interventi del prof. Franco Lan- za sulla vicenda di Paolo e Francesca come affrescata nel canto V dell’Inferno dante- sco, del dott. Massimo Fornicoli, con una lettura originale della canzone Ho capito che ti amo di Luigi Tenco, di don Ampe- lio Santagiuliana, parroco di Vallerano, sul “Senso cristiano dell’amore”, per limi- tarci a qualche nome, contengono conside- razioni di valenza indubbia per molteplici riguardi. Voltiamo pagina. La mostra di pittura, organizzata dall’associazione in settembre a Viterbo, nell’ex Chiesa degli Almadiani, è stata un successo: le opere di Nora Orioli, Giacomo Maria Giuffra, Mi- scha Faust, Elio Rizzo e Vittorio Verolini hanno suscitato interesse e ammirazione. Vittorio Arista propone un excursus mol- to particolare all’interno di alcuni quadri esposti. In questo numero è inaugurata una nuova rubrica: “Dentro l’opera d’ar- te”: un invito ad entrare in un quadro, in una poesia, in un brano letterario, in un capolavoro architettonico, ad entrarci qua- si fisicamente. Federeico Zeri, critico d’ar- te famosissimo scomparso qualche anno fa, scrisse “Dietro l’immagine”; Vittorio Sgarbi, che non necessita di presentazio- ne, scrisse invece “Davanti all’immagi- ne”. L’Orioli, con “Dentro l’opera d’ar- te”, intende offrire un’esperienza diversa: è un tentativo. Non si intende proporre nuove pagine di critica: le innumerevoli antologie o i trattati sulla storia dell’arte sono molto eloquenti, informati, variegati. Il nostro è, lo ripetiamo, un tentativo di in- dicare un modo diverso d’approccio all’e- spressione artistica, sempre con l’obiettivo di suscitare o accentuare l’amore per l’arte e invitare alla riflessione e all’introspezio- ne, non secondo modalità classiche che tal- volta sono stereotipate e scostanti. Sono, questi, soltanto scarni flash sulle di- verse proposte della rivista, che contempla altri centri di interesse nell’ottica consue- ta di offrire contributi sinceri alla causa della diffusione e della ricerca culturali. www.orioli.it N el corso del convegno organizzato nell’otto- bre del 1983 dal Comi- tato di Viterbo dell’Isti- tuto per la Storia del Risorgimento Italiano per ricordare Francesco Orioli nel bicentenario del- la nascita, V. E. Giuntella sottolineò nel suo intervento la viterbesità del personaggio: una caratteristica che trova giustificazione non soltanto nel- la sua nascita a Vallerano e nelle scuo- le da lui frequentate a Viterbo e a Montefiascone, ma anche nel costante per ogni forma di amore? Varrà per ogni nostro interesse questo limite apparentemente insuperabile del nostro orizzonte interiore ? Il soffrire che segue ad un amore non corrispo- sto soggiace forse a questa logica, ed è per questo, spesso, che fa aumentare “l’amore”? E la maggior quota di sensibilità che accompagna l’attesa del compimento di un desiderio è forse da computare a merito di ogni relazione amorosa o non è piuttosto il presagio della sua estrema provvisorietà? E la pietà che non un uomo di Chiesa, ma Eduardo invocava per i protago- nisti della scombinata vicenda affetti- va di “Gli esami non finiscono mai“, è prerogativa di chi ha la Fede nel Dio dei cristiani o è anche l’obbligo di chiunque voglia “amare“ l’uomo per quello che è, e non per quello che vor- remmo che fosse? Ma anche in questa occasione il ruolo di chi ha promosso il dibattito è quello di farsi al più presto da parte per rispet- to (posso dire: per amore?) della com- petenza di chi dovrà parlare, e della generosità dei nostri cinque lettori. [email protected] CENNI DI STORIA amore sempre dimostrato nei con- fronti del natìo loco, un amore tutt’al- tro che affievolito dai lunghi anni di assenza, trascorsi prima a Bologna, nella cui università occupò la cattedra di Fisica, e, dopo la partecipazione ai moti del ’31, in esilio a Parigi e a Corfù. Significative, in proposito, risultano le accorate espressioni di nostalgia che compaiono in alcune lettere scritte in quel doloroso periodo della sua vita, in cui la lontananza dalla propria ter- ra è interrotta soltanto dalle brevi pa- rentesi della partecipazione agli an- nuali congressi scientifici tenutisi in varie città d’Italia dal 1839 al 1847, ai quali poté recarsi godendo di speciali autorizzazioni. Le lettere - complessi- vamente quarantotto, conservate nel- l’archivio della Biblioteca viterbese degli Ardenti - sono indirizzate al “compare e amico” Filippo Saveri, un personaggio di tutto rilievo nell’ambi- to della città e del territorio, come di- mostrano gli importanti incarichi da lui ricoperti in seno alla civica ammi- nistrazione e i suoi rapporti epistolari con due donne della famiglia di Lu- ciano Bonaparte, fratello di Napoleo- ne e principe di Canino, la moglie Alessandrina Bléchamps e la figlia Maria, sposata al conte Vincenzo Va- lentini, un aristocratico caninese eletto nel 1849 nella Costituente della Re- pubblica Romana e chiamato poi a reggere il dicastero delle Finanze. Il 24 agosto 1841 Orioli scrive all’ami- co da Firenze: “È parsa dura cosa fer- marsi otto eterne ore nel porto di Ci- La viterbesità di Francesco Orioli di Bruno Barbini Domande EVENTI CULTURALI P iù di 1500 persone sono ve- nute a visitarla. Una setti- mana intensa, ricca di emo- zioni, nelle quali i timori so- no stati vinti dalla gioia di vedere premiato l’impegno di un gruppo di persone che ha in comune un unico ideale: l’amore per l’arte. La ex Chiesa degli Almadiani, con il suo suggestivo campanile in stile ro- manico, è stata la giusta cornice di una manifestazione culturale degna della città di Viterbo. Devo ammette- re che i visitatori entravano all’inter- no con il rispetto di chi si trova in una Successo di una mostra di Vitttorio Arista segue a pag. 2 segue a pag. 2 Paris Bordon, Gli amanti - Milano, Pinacoteca di Brera

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UN CONSIGLIO

C’è una verità elementare,la cui ignoranza uccideinnumerevoli idee e splendidipiani: nel momento in cui uno siimpegna a fondo, anche laprovvidenza allora si muove.Infinite cose accadono per aiutarlo,cose che altrimenti mai sarebberoavvenute...Qualunque cosa tu possa fare, osognare di poter fare, incominciala.L’audacia ha in sé genio, potere emagia. Incomincia adesso.

Johann Wolfgang Goethe

l’ORIOLIIL PERCHÉ DI UNA SCELTA

Periodico di cultura, costume e società Diretto da Nicola PiermartiniAnno 2 - Numero 2 - Euro 0,50 Febbraio/Marzo 2004

Questo secondo numerodell’ Orioli, interamentededicato al tema dell’amo-re, esce molto in ritardo ri-spetto al concepimento

della sua idea. I limiti di una attivitàeditoriale come la nostra non ci per-mettono naturalmente di tenere il pas-so rispetto al modo di procedere deigiganti maggiori, ma anche minori,che abitano il mondo della carta stam-pata.Con il solito gusto per la provocazio-ne presuntuosa pensiamo, però, nontanto di giungere tardi ma di soprag-giungere utilmente, con contenuti eangolazioni di visuale non frequenti.

Libero Bigiaretti, scrittore che comeFrancesco Orioli ebbe cara la residen-za, anche se saltuaria, a Vallerano, inun suo epigramma così stigmatizza lavalenza egoistica di certi amori: “Atante donne ho detto/ amore, amoremio…/ ma parlavo al mio petto,/ lusinga-vo il mio io” ( L. Bigiaretti, Epigrammi eproverbi, 1975-1981, pag 9). Sarà così

EDITORIALE

D’amoree d’arte

di Nicola Piermartini

Non è trionfalismo, né autocelebrazione.Certo è però che l’esordio de L’Orioli,qualche mese addietro, ha registrato ap-prezzamenti lusinghieri da lettori di variaestrazione, anche personalità consacratedel mondo della cultura. Riflessi chiara-mente confortanti, che confermano l’asso-ciazione “Francesco Orioli” e la redazionenel loro intento di proseguire il camminointrapreso, con gli obiettivi - dichiarati conmodestia in precedenza e qui ribaditi - dioffrire stimoli all’approfondimento cultu-rale. Tema centrale di questo numero è l’a-more: argomento di vastità immensa, arti-colato in sfaccettature infinite, scintilla divita, d’arte, di progettualità umana, di ele-vazione spirituale; l’amore, artefice di av-venimenti decisivi nella sfera individuale esociale. Un sentimento (ma forse è ridutti-vo circoscriverlo in questa definizione)“che muove il sole e l’altre stelle”, per dir-la con l’ultimo verso della Divina Com-media. Un tema, quindi, la cui trattazio-ne può far precipitare nello scontato, nel“già detto”. L’Orioli, comunque, offrespunti di riflessione sicuramente non ob-soleti: gli interventi del prof. Franco Lan-za sulla vicenda di Paolo e Francesca comeaffrescata nel canto V dell’Inferno dante-sco, del dott. Massimo Fornicoli, con unalettura originale della canzone Ho capitoche ti amo di Luigi Tenco, di don Ampe-lio Santagiuliana, parroco di Vallerano,sul “Senso cristiano dell’amore”, per limi-tarci a qualche nome, contengono conside-razioni di valenza indubbia per moltepliciriguardi. Voltiamo pagina. La mostra dipittura, organizzata dall’associazione insettembre a Viterbo, nell’ex Chiesa degliAlmadiani, è stata un successo: le opere diNora Orioli, Giacomo Maria Giuffra, Mi-scha Faust, Elio Rizzo e Vittorio Verolinihanno suscitato interesse e ammirazione.Vittorio Arista propone un excursus mol-to particolare all’interno di alcuni quadriesposti. In questo numero è inauguratauna nuova rubrica: “Dentro l’opera d’ar-te”: un invito ad entrare in un quadro, inuna poesia, in un brano letterario, in uncapolavoro architettonico, ad entrarci qua-si fisicamente. Federeico Zeri, critico d’ar-te famosissimo scomparso qualche anno fa,scrisse “Dietro l’immagine”; VittorioSgarbi, che non necessita di presentazio-ne, scrisse invece “Davanti all’immagi-ne”. L’Orioli, con “Dentro l’opera d’ar-te”, intende offrire un’esperienza diversa:è un tentativo. Non si intende proporrenuove pagine di critica: le innumerevoliantologie o i trattati sulla storia dell’artesono molto eloquenti, informati, variegati.Il nostro è, lo ripetiamo, un tentativo di in-dicare un modo diverso d’approccio all’e-spressione artistica, sempre con l’obiettivodi suscitare o accentuare l’amore per l’artee invitare alla riflessione e all’introspezio-ne, non secondo modalità classiche che tal-volta sono stereotipate e scostanti.Sono, questi, soltanto scarni flash sulle di-verse proposte della rivista, che contemplaaltri centri di interesse nell’ottica consue-ta di offrire contributi sinceri alla causadella diffusione e della ricerca culturali.

www.orioli.it

Nel corso del convegnoorganizzato nell’otto-bre del 1983 dal Comi-tato di Viterbo dell’Isti-tuto per la Storia del

Risorgimento Italiano per ricordareFrancesco Orioli nel bicentenario del-la nascita, V. E. Giuntella sottolineònel suo intervento la viterbesità delpersonaggio: una caratteristica chetrova giustificazione non soltanto nel-la sua nascita a Vallerano e nelle scuo-le da lui frequentate a Viterbo e aMontefiascone, ma anche nel costante

per ogni forma di amore? Varrà perogni nostro interesse questo limiteapparentemente insuperabile delnostro orizzonte interiore ? Il soffrireche segue ad un amore non corrispo-sto soggiace forse a questa logica, ed èper questo, spesso, che fa aumentare“l’amore”?E la maggior quota di sensibilità cheaccompagna l’attesa del compimentodi un desiderio è forse da computarea merito di ogni relazione amorosa onon è piuttosto il presagio della suaestrema provvisorietà?E la pietà che non un uomo di Chiesa,ma Eduardo invocava per i protago-nisti della scombinata vicenda affetti-va di “Gli esami non finiscono mai“, èprerogativa di chi ha la Fede nel Diodei cristiani o è anche l’obbligo dichiunque voglia “amare“ l’uomo perquello che è, e non per quello che vor-remmo che fosse?

Ma anche in questa occasione il ruolodi chi ha promosso il dibattito è quellodi farsi al più presto da parte per rispet-to (posso dire: per amore?) della com-petenza di chi dovrà parlare, e dellagenerosità dei nostri cinque lettori.

[email protected]

CENNI DI STORIA

amore sempre dimostrato nei con-fronti del natìo loco, un amore tutt’al-tro che affievolito dai lunghi anni diassenza, trascorsi prima a Bologna,nella cui università occupò la cattedradi Fisica, e, dopo la partecipazione aimoti del ’31, in esilio a Parigi e aCorfù.Significative, in proposito, risultano leaccorate espressioni di nostalgia checompaiono in alcune lettere scritte inquel doloroso periodo della sua vita,in cui la lontananza dalla propria ter-ra è interrotta soltanto dalle brevi pa-

rentesi della partecipazione agli an-nuali congressi scientifici tenutisi invarie città d’Italia dal 1839 al 1847, aiquali poté recarsi godendo di specialiautorizzazioni. Le lettere - complessi-vamente quarantotto, conservate nel-l’archivio della Biblioteca viterbesedegli Ardenti - sono indirizzate al“compare e amico” Filippo Saveri, unpersonaggio di tutto rilievo nell’ambi-to della città e del territorio, come di-mostrano gli importanti incarichi dalui ricoperti in seno alla civica ammi-nistrazione e i suoi rapporti epistolari

con due donne della famiglia di Lu-ciano Bonaparte, fratello di Napoleo-ne e principe di Canino, la moglieAlessandrina Bléchamps e la figliaMaria, sposata al conte Vincenzo Va-lentini, un aristocratico caninese elettonel 1849 nella Costituente della Re-pubblica Romana e chiamato poi areggere il dicastero delle Finanze.Il 24 agosto 1841 Orioli scrive all’ami-co da Firenze: “È parsa dura cosa fer-marsi otto eterne ore nel porto di Ci-

La viterbesità di Francesco Oriolidi Bruno Barbini

Domande

EVENTI CULTURALI

Più di 1500 persone sono ve-nute a visitarla. Una setti-mana intensa, ricca di emo-zioni, nelle quali i timori so-no stati vinti dalla gioia di

vedere premiato l’impegno di ungruppo di persone che ha in comuneun unico ideale: l’amore per l’arte.La ex Chiesa degli Almadiani, con ilsuo suggestivo campanile in stile ro-manico, è stata la giusta cornice diuna manifestazione culturale degnadella città di Viterbo. Devo ammette-re che i visitatori entravano all’inter-no con il rispetto di chi si trova in una

Successo di una mostradi Vitttorio Arista

segue a pag. 2

segue a pag. 2

Paris Bordon, Gli amanti - Milano, Pinacoteca di Brera

2 N. 2 Febbraio/Marzo 2004

CENNI DI STORIA

vitavecchia; guardar sospirando lemontagne che coronano l’orizzonte;pensar alle dolcezze passate dell’in-fanzia e della puerizia; fare in spiritola rivista di tanti che ci son cari; e tro-varsi incatenato alla fortuna sul nobi-le palco della nave, senza che pur unovenga a portarti l’amplesso dell’ami-cizia... Pazienza!”.In questo passo, al rimpianto di nonpoter varcare la pur breve distanzache lo separa dai luoghi dove è nato eha trascorso gli anni dell’infanzia edell’adolescenza, si unisce un sia purvelato rimprovero per gli amici che, ti-morosi di compromettersi di fronte al-le autorità, non hanno approfittatodella sua sosta nel porto tirrenico pervenirlo a salutare. Più esplicito suquesto punto era stato nella letteraprecedente, datata 21 luglio e scrittanon appena sbarcato a Livorno: “Visarebbe egli speranza di riabbracciar-vi e d’avere il bene d’essere due o tregiorni con voi e colla Commare? O lamia rogna potrebbe avvaccarvisi asenso di codesti Magistrati? ... Io peròsto bene, e la mia rogna non mi rode”.La mancata risposta a questa letterafece pensare ad Orioli che l’amico te-messe di compromettersi con le auto-rità governative mantenendo rappor-ti, anche se solo epistolari, con uncompromesso politico. Pertanto gli in-viò la lettera successiva a mano, tra-mite un amico comune, e aggiunse unsignificativo post-scriptum: “Se voleteaver la bontà di rispondere almeno aquesta, potete in tutta sicurezza affi-dare ad esso la risposta”.Già due anni prima, in una letterascritta il 18 novembre 1839, troviamoespresso un analogo stato d’animo. Alsuo rientro a Corfù dopo aver parteci-pato al primo dei congressi tenutosi aPisa, aveva espresso la sua delusionema, nel contempo, aveva cercato unaplausibile giustificazione del mancatoincontro: “Io speravo d’avere la feli-cità di rivedervi nel mio passaggio daCivitavecchia: ma la fortuna non m’haaccordato questo piacere. Forse io vene scrissi troppo tardi. Forse non po-tevate allontanarvi dal vostro impie-go. Forse il cattivo tempo v’ha ritenu-to? Forse ... non importa. Tanto e tan-to io v’ho nel pensiero e nel cuore...”.La tristezza che caratterizza il tonodelle lettere scritte negli anni dell’esi-lio lascia, però, il posto alla gioia nonappena l’Editto del Perdono, promul-gato da Pio IX il 17 luglio 1846, confe-risce concretezza alla speranza, da co-sì lungo tempo accarezzata, del ritor-no in patria. Lo possiamo riscontrare in un passodella “Lettera al Marchese Massimod’Azeglio”, un opuscolo che commen-ta favorevolmente l’editto con cui laSegreteria di Stato aveva concesso, il15 marzo 1847, una certa libertà distampa: “Dopo lungo navigare tratempeste, bello è ricoverarsi nel porto,e prender terra sotto un cielo sereno,quando, al mancare del verno, prima-vera s’aspetta, incoronata di fiori, elarga promettitrice di frutti. E questodi me avviene...”. Dopo il ritorno,Orioli si stabilisce a Roma, ma pur neinumerosi impegni della militanza po-litica, che lo assorbono fino agli ultimimesi del ’48, ha più volte occasione dirivendicare la propria viterbesità nellacorrispondenza con Saveri, che inquei mesi diviene particolarmente in-tensa. Ragguagliando l’amico sullapropria candidatura alle elezioni poli-tiche indette per il 19-20 maggio diquell’anno, il 15 aprile gli scrive tral’altro: “... quantunque avrei qualchebuona ragione per concepir la speran-za d’esser fatto uno dei deputati dellacapitale, preferisco le mille volte l’of-ferta della mia Viterbo, posto che inmezzo a questa patria comune, l’Ita-lia, e a quest’altra più ristretta ancora,lo stato, ve n’è una terza di più care edintime simpatie, quella dove noi pos-siamo dire: “qui aspettano la resurre-zione le ceneri di tutti i miei, quest’a-ria ho respirato fanciullo, qui ho fol-leggiato giovane, qui ho maturato la

mia virilità... qui desidero posare il ca-po nella tomba avita ancorché saròinanimato cadavere”. Torna sull’argo-mento in una lettera di nove giornidopo, nella quale le affermazioni del-la precedente trovano piena conferma:“Anche eletto altrove, ciocché non èné impossibile, né improbabile, iodarò sempre le preferenze al voto edalla rappresentanza del mio paese, delpaese di mia moglie, di quello de’miei antichi”. Ancora più esplicita laconclusione: “Gli Orioli han diritto dichiamarsi Viterbesi e si gloriano diquesto diritto”. Il 12 maggio ribadiscequesta preferenza per la propria terra:“... Ho dichiarato agli Iesini, a que’ diSanginesio, a que’ di S. Elpidio a Ma-re, ai Ronciglionesi, agli Urbinati ecc.ch’io non accettavo altra candidaturache la viterbese”, e conclude: “Se sì, sì,se no, vorrà dire che i miei Compa-triotti mi ricusano, e ci vorrà pazien-za”.La partecipazione dei cittadini alle ur-ne fu decisamente scarsa, ma i risulta-ti non delusero le sue aspettative. Dei964 elettori iscritti nelle liste viterbesi,il 19 maggio votarono soltanto 278,ma ben 244 suffragi si concentraronosul suo nome. Nel ballottaggio delgiorno successivo a lui andarono 222dei 232 voti espressi. Il legame senti-mentale che univa Orioli a Viterbo tro-vava, in tal modo, un’eloquente con-ferma nell’opinione pubblica o, quan-to meno, nella parte di essa compren-dente la ristretta cerchia di quelli che“contavano”.Nei mesi successivi, però, la posizionemoderata assunta da Orioli nell’esple-tamento del suo mandato si contrap-pose spesso a quella dei molti parla-mentari che - talvolta per intima con-vinzione, più spesso per la ricerca diuna facile popolarità tra le masse - siattestavano su una linea politica sem-pre più decisamente rivoluzionaria.Ce lo dicono anche i risultati delle suc-cessive elezioni, tenutesi il 9 e il 10 no-vembre. Lo scienziato viterbese - chepoco prima si era dimesso per contra-sti con i colleghi - fu rieletto, ma conun più modesto margine di voti: 50 su83 al primo scrutinio e 83 su 113 nelballottaggio. Il primo atto della rivoluzione cheporterà alla Repubblica Romana, l’uc-cisione del ministro Pellegrino Rossi,avvenne il 15 novembre, il giorno stes-so in cui fu comunicata ufficialmentela rielezione di Orioli, il quale però, difronte al progressivo affermarsi di unasituazione politica che non condivide-va, si dimise definitivamente venti-quattro ore dopo.Da allora in poi, si dedicò con passio-ne e competenza alle ricerche, già ini-ziate nei decenni precedenti, che ten-devano a riscoprire e valorizzare il pa-trimonio archeologico di Viterbo edella Tuscia. Questa rappresentaun’altra importante testimonianzadell’amore di Francesco Orioli per lapropria terra: ma ne parleremo laprossima volta.

Nota – Gli Atti del Convegno su “La figura el’opera di Francesco Orioli”, tenutosi a Viter-bo il 15 e 16 ottobre 1983, sono stati pubblica-ti in volume, a cura del Comitato organizzato-re, nel 1986.

NdR: Bruno Barbini, per molti anni docen-te di lettere e storia all’Istituto Magistrale“S. Rosa” di Viterbo, svolge, dal 1955,un’intensa attività giornalistica e di ricercastoriografica. Oltre alle numerosissime col-laborazioni con quotidiani locali e naziona-li, e con riviste di cui, in alcuni casi, è statoo è tuttora direttore responsabile, ha al suoattivo la pubblicazione di molti volumi de-dicati alla storia e ai monumenti di Viterboe della Tuscia, e una serie di importantiscritti sul Risorgimento. Nel 1993 ha pub-blicato Viterbo - politica, economia, cul-tura e sport - 1945-1992, in cui ha riper-corso l’attività dell’amministrazione comu-nale viterbese a partire dal secondo dopo-guerra; mentre, come presidente del localeComitato dell’Istituto per la Storia del Ri-sorgimento Italiano, ha diretto l’organizza-zione di un congresso nazionale e di quattroconvegni interregionali. È a tutt’oggi il piùimportante studioso dell’opera di FrancescoOrioli.

EVENTI CULTURALI

vera chiesa: le voci basse, i movimen-ti controllati; non mi sarei meraviglia-to se qualcuno, varcando la soglia, sifosse fatto il segno della croce. La sa-piente disposizione dei quadri suicinque espositori e le luci diffuse, maiaccecanti ma dirette sulle tele, esal-tando i colori e creando un “rapportod’amorosi sensi” con chi le osservava,hanno contribuito a determinareun’atmosfera quasi astratta, un filoinvisibile tra l’autore dell’opera e ilsuo critico.Ho una mia teoria, sul rapporto tral’uomo e l’arte, che prescinde dallaconoscenza delle tecniche e delle cor-renti che ne hanno generato l’espres-

sione. E’ una teoria basata sull’emo-zione che un quadro, una sculturapossono causare in chi le ammira.Non importa se l’autore sia Miche-langelo o Caravaggio, ma è impor-tante il rapporto subliminale che puòscaturire dall’incontro.Ho pensato al saggio sull’arte di Be-nedetto Croce nella sua opera dal ti-tolo Estetica. Il grande filosofo neesalta proprio l’universalità che pre-scinde dagli schemi e, al contrario, faleva sui sentimenti, in una continuaricerca delle ragioni della propria esi-stenza e in un incessante confrontocon chi, baciato dalla genialità, ne hasaputo rappresentare il fine. Osser-vando il “Deserto dei tartari” del pit-tore Giacomo Maria Giuffra ho cerca-to subito la corrispondenza tra quelquadro e l’omonimo romanzo di Di-no Buzzati: solitudine e paura in que-gli uomini chiusi in un fortino, nelmezzo del deserto, in attesa di un ne-mico che mai arriverà; solitudine e

abbandono nel quadro di Giuffra nelquale il paesaggio, ed in particolare ilforte, sembrano composti di una ma-teria di cui non riesci a comprenderela natura. Quando alla mostra veniva-no i bambini, si dirigevano subito ver-so le opere di Mischa Faust, attrattidai colori sgargianti, dall’acqua e daipesci di origine sconosciuta che in es-sa erano immersi. Simbolismo? Alle-goria? I grandi (padri e madri deibambini) restavano incerti, senza po-ter dare risposta a queste silenziosedomande interiori… Dalì, Mirò, Ma-gritte i suoi ispiratori? Credo propriodi sì. I quadri di Elio Rizzo, tutti ese-guiti con la tecnica della tempera al-l’uovo, lasciano al visitatore la possi-bilità di immaginare un mondo chevive sotto i suoi colori, sfumati ed ac-cesi nello stesso tempo. Il giallo, l’az-zurro e il blu prevalgono su tutti. Inquesto cromatismo si intravedono fi-gure appena accennate, evanescenti,fantastiche. La sua “Alba Finlandese”

ti avvicina a un tempo lontano nellospazio, come se potessi cogliere ilfreddo di un luogo che il sole nonriesce a scaldare. Ho lasciato per ul-timi i quadri di Nora Orioli e MarioVerolini. Della Orioli il “Goffredo diBuglione” è un vero capolavoro.L’antico condottiero delle crociateviene rappresentato come un uomoormai stanco, quasi imbolsito. Po-trebbe rappresentare (è questa la miaemozione) il passato che ha lasciatoprofondo sconforto nel cuore di chiha vinto tante battaglie. Sulle suemani si è posato un piccione viaggia-tore bianco che ha legato sulla zam-petta un messaggio. Ho voluto pen-sarlo come un messaggio di speran-za: l’uomo non ne conosce ancora ilcontenuto, ma quello scritto potreb-be indicare la nuova via, il futuro,che, sebbene pieno di incognite, trac-cia un percorso diverso e meno scon-solante.Infine Verolini, e un’opera su tutte: il“Magnificat”. Un orizzonte dovebianche nuvole si specchiano in unmare lontano: un vecchio forte, unagrande distesa di erba attraversatada una strada bianca, quasi una la-ma, fiancheggiata da alberi dalletondeggianti chiome verde scuro,ancora più presenti per l’ombra chespargono intorno. Ho parlato conl’autore di questo quadro: un collo-quio semplice, tra due amici che siincontrano per la prima volta dopoesperienze diverse. Quasi non ascol-tavo le parole di Verolini, ero troppopreso da quel quadro. Ho immagina-to che l’artista, vagando senza unameta in un paese a lui sconosciuto, sisia imbattuto per caso in quel pae-saggio e, colpito da tanta bellezza,ne abbia voluto imprigionare i segre-ti e le luci, nascondendoli in unanebbia ovattata. Quante emozioni! La mostra è finita da tempo. Sono ri-masti i ricordi ancora vivi. Un graziea questi artisti che, per qualche gior-no, hanno fatto volare la mia fantasiain tanti mondi diversi, arricchendo ilmio spirito e la mia anima.

segue da pag. 1

Queste foto ritraggono la no-stra socia Sua Altezza Realela Principessa India d’Af-ghanistan in visita a Piacen-za alla Mostra “Sguardo af-

ghano”, in cui la pittrice Ludovica Ba-

rattieri, moglie dell’Ambasciatore d’I-talia a Kabul, ha presentato alcune suetele dedicate alle difficili condizioni divita nel paese asiatico. La PrincipessaIndia, che ha dovuto lasciare la sua ter-ra nella prima metà del ‘900 in seguito

I NOSTRI SOCI NEL MONDO

Cronaca di un impegnoal colpo di stato di cui rimase vittimasuo padre, il Re progressista Abdullah,vive a Roma e sostiene il progetto dipadre Giuseppe Moretti per la costru-zione di una “Scuola di Pace” nella ca-pitale afghana.

segue da pag. 1

La viterbesità di Francesco Orioli

Successo di una mostra

N. 2 Febbraio/Marzo 2004 3

Allegato al n. 2 de L’Orioli Periodico di cultura, costume e società Febbraio/Marzo 2004

Voce del verso amaredi Umberto Broccoli e Patrizia Cavalieri

UN AMOREIMPOSSIBILE(condizionale)

Quante sfaccettature, quanti aspettidi uno stesso amore.E quante ne conosciamo, anche senon riusciremo mai a impadronirci ditutti i colori dell’amore.Un amore può essere proibito, puòessere ostacolato dagli uomini o dallesituazioni create dagli uomini.Allora diventa impossibile resistere aquel tipo di amore.Ti sembra di esplodere, quando qual-cosa o qualcuno attraversa la stradadel tuo percorso di vita. Ti senti scop-piare dentro e - potenzialmente - seinella condizione di fare ogni tipo disciocchezza.Ti passa ogni voglia: dimentichi ognialtra circostanza che non sia quell’ap-puntamento nascosto, quel momentodi incontro, quel tentativo di raggiun-gere lei o lui.Vivi quell’attimo, poi ti lasci andare.Ti lasci trasportare dalla vita quoti-diana, quasi senza reagire. Aspettan-do un altro momento, un’altra possi-bilità d’incontro.E se non arriva? Se si allontana? Nonpensi ad altro.Riempi fogli di carta di parole. Riem-pi i tuoi occhi di orizzonti sempre piùlontani e sempre più malinconici, an-che se splendenti.Sono orizzonti solitari: orizzonti sen-za orizzonti.Riduci la tua vita al solo pensiero dicome sarà possibile, domani, ottenerequanto ti è impedito oggi.Sapendo come e quanto domani di-venterà oggi, domani aspetterai unaltro domani. E ancora domani, e an-cora domani, e poi domani ancora...Un amore impossibile forse può di-ventare possibile; già Sesto Properziolo credeva:

“È un amore impossibile”, mi dici.“È un amore impossibile”, ti dico.Ma scopri che sorridi se mi guardi,e scopro che sorrido se ti vedo.“Di notte” - tu confessi - “io ti penso.“La società, le regole, i doveri...”,ma tremi quando stringo le tue mani.“Meglio felici o meglio allineati?”,ti chiedo. E il tuo sorriso accende il giorno, cambiando veste ad ogni mio pensiero.“Questo amore è possibile”, mi dici, “questo amore è possibile”, ti dico.

Amore impossibile.A ben vedere, è l’amore dei poeti.I poeti soffrono le pene d’amore: for-se per questo riescono a raccontarlebene e a farci da specchio per l’anima.

...muore lentamente chi evita la passione, chi non rischia la propria sicurezza per l’insicurezza di un sogno...

Pablo Neruda

DON GIOVANNI,FARABUTTOMA SIMPATICO

In letteratura i seduttori impenitentisono stati quasi sempre rappresentaticome personaggi affascinanti, piutto-sto che come soggetti con problemicomportamentali. La figura dell’in-guaribile libertino, contrario alla mo-

rale e alle regole sociali, eternamenteinsoddisfatto delle sue conquiste e al-la ricerca dell’amore assoluto, costitui-sce anzi un vero e proprio mito dellamodernità, da quando fece la suacomparsa nel 1630 nel dramma dellospagnolo Tirso de Molina per esseresuccessivamente rielaborata nelle ope-re immortali di Molière (1665) e di Mo-zart (1787, con libretto di Da Ponte).Un esempio più recente? “Forse To-mas, il protagonista de L’insostenibile

leggerezza dell’essere di Milan Kundera:nonostante ami davvero Teresa, To-mas non riesce a fare a meno di passa-re da una donna all’altra”, ricorda Si-mona Micali, docente di LetteratureComparate a Bologna. “Kundera divi-de i grandi seduttori in due categorie:i lirici, che in ogni donna cercano il lo-ro ideale — e devono cambiare conti-nuamente perché sempre delusi — egli epici, che in ciascuna storia colgo-no e si appropriano di un frammentodi femminilità. Ai primi appartengo-no senz’altro il mitico Don Giovanni el’Andrea Sperelli de Il piacere di D’An-

nunzio; ai secondi Giacomo Casano-va, il conquistatore democratico, chepassava dalla servetta alla nobildonnasenza fare differenze. Ma c’è anche chiha preso un po’ in giro questi conqui-statori coatti: pensiamo a Il bell’Anto-nio o al Don Giovanni in Sicilia di Vita-liano Brancati. C’è poi un seduttore,forse compulsivo, che al momento op-portuno si tira indietro con classe, sen-za consumare: è il Philip Marlowe diRaymond Chandler”.

E al cinema? Possiamo ricordare L’uo-mo che amava le donne di Truffaut, o laseduzione seriale di James Bond, che aogni film ha una nuova fiamma. Mamolti altri esempi si possono fare, etutti, invariabilmente, risultano mossidalla stessa incontenibile gioia di vi-vere, da un misto di sfacciataggine ecoraggio che nonostante tutto ce lirende simpatici.Don Giovanni diviene mito perché siribella sempre (etimologicamente“dissoluto” significa infatti “sciolto daogni legame”), perché il suo burlarsidelle regole costituisce un inno alla li-

bertà; mentre il suo frustrato deside-rio di perfezione ne fa una figuraprofondamente umana. Con lui l’amore diviene inganno,guerra, seduzione intellettuale: il suopiacere non è nel possesso tout courtma nella conquista, nell’assoggetta-mento psicologico, nell’affermazionedi sé. Come scrive Kierkegaard, egli vive“nell’attimo”, alla perpetua ricerca diun piacere che non sazia mai.

DA UN POETAALL’ALTRO…breve riflessione sull’amoreattraverso una nota canzone di Luigi Tenco

HO CAPITO CHE TI AMO

Ho capito che ti amo quando ho vistoche bastava un tuo RITARDO per sentir svanire in me L’INDIFFERENZAper temere che tu non venissi più

Nelle cose d’amore che definiamo“sentimento”, proprio il superarel’indifferenza ci fa accorgere che puòesistere ed esiste una vita che si nutredi emozioni profonde. All’attrazionefisica carnale si sostituisce (anzi siriappropria del terreno lasciato libe-ro) una parvenza d’amore quandol’assenza si fa più intensa: una pre-senza dove il sentire sovrasta il capi-re. L’immaginazione fa poi ilresto: spesso colora un vuoto, trasfor-mandolo nel più dolce dei rifugi d’a-more, un’alcova vellutata di un rossointenso.

Ho capito che ti amo quando hovisto che bastava una tua FRASEper far sì che una serata comeun’altra cominciasse per incanto adILLUMINARSI

E allora Amore è pura fantasia, doveuna frase basta a illuminare il più gri-gio inverno o a colorare intensamen-te il più sbiadito bosco autunnale. Illinguaggio degli amanti è ancora piùpovero, non può eguagliare la tavo-lozza dei colori di un Raffaello; solo ilgesto talvolta tradisce questa pochez-za e si fa eloquente in un abbracciosovrabbondante di significato. Ma ilcorpo da solo nella sua pienezza nonbasta, deve poter lasciare ampio spa-zio alla creazione dell’Altro, che rara-mente corrisponde al nostro partnerreale.

E pensare che poco tempo primaparlando con qualcuno mi ero messoa dire che oramai non sarei piùtornato a CREDERE all’amore, aILLUDERMI e SOGNARE

Il salto nel mondo della fede apredunque la strada all’amare, dove illu-dersi e sognare diventano elementicostituenti, se non la vera essenza diquesto sentimento misterioso, vec-chio e sempre nuovo.Ognuno di noi si crea un'immaginevirtuale con quanto l’altro manifesta,e offre qualcosa o una parte di sé. Inquesto nostro tempo siamo così rac-chiusi nella nostra solitudine perpaura che la nostra individualità ven-ga dispersa, o in qualche modo dilui-ta nell’altro, e rivendichiamo con for-za solo la nostra creazione e in essaamiamo noi stessi; il frutto a cui sia-mo riusciti a dar corpo senza tuttaviapossederlo completamente incorpo-randolo. Alla fantasia spetta dunque il ruolodecisivo nella scelta e nel permanerecon un certo partner.

Ecco che ho capito che ti amo e già era troppo tardi per tornareper un po’ ho cercato in mel’indifferenza poi mi son LASCIATOANDARE nell’amore

E infine, non potendo più ritornare suipropri passi, avviene come per mira-colo il “lasciarsi andare”: si arriva asconfinare dal terreno del conosciuto,del razionale protetto, esondando nel-l’irrazionale più puro dove il veroAmore ha l’ultima parola, riempiendotalvolta di significato e senso un’esi-stenza degna di essere vissuta, che, sesiamo "sensibilmente dotati", puòcoincidere con la nostra vita.

Massimo Fornicoli

Nora Orioli, Roma primavera sul lungo Tevere, 1960

Specialesull’Amore

Venere che guida Cupido a scuolada Mercurio, Correggio 1523,Londra National Gallery

4 N. 2 Febbraio/Marzo 2004

ETRURIA BEL SUOLD’AMOR...L’Etruria è un grande ricordo che per-mea sottilmente le lande viterbesi e sitraduce nella calma maestosa del loropaesaggio, nelle distese d’alberi e dirovi che coprono le ondulazioni dellesuperfici e condensano l’ombra delmassiccio cimino al tramonto. Nel ri-paro dei burroni tufacei, degli antriscavati, dei sepolcri che si dipananonel profondo, l’intenso ocra della ter-ra etrusca assorbe lo sguardo e ri-manda indietro nel tempo, in compa-gnia del sorriso stereotipato dei di-pinti, della fissità delle figure umanee del fruscìo delle fronde con cui ilvento squarcia il silenzio della natu-ra. Dov’è la presenza di quella gente?Solo nei luoghi artificiali in cui i loroprodotti sono stati raccolti? O tutt’alpiù nel chiuso delle necropoli, o nellosvettare delle poderose vestigia archi-tettoniche? E’ sem-pre una presenzamisteriosa, la loro,anche perché eranomaestri nello svela-re l’occulto. Una ci-viltà assorbita e ce-lata, che a faticastentiamo a rico-struire. Ma già aitempi della Romarepubblicana, quan-do gli Etruschi era-no ancora una realtàpolitica molteplice edeclinante, l’imma-gine che essi offriva-no di sé non era tra-sparente e si presta-va a interpretazioniassai particolari.Leggiamo presso al-cuni storici greci no-tizie singolari e in-triganti su alcuneabitudini degli Etru-schi. Incominciandoda Aristotele, mera-vigliato che essibanchettassero conle mogli sdraiati sot-to la stessa coperta,per passare a datipiù circostanziati epiccanti preservaticidal tardo eruditoAteneo, da lui ap-presi nelle operestoriche di Timeo edi Teopompo primache si perdessero nelnaufragio della let-teratura antica. “Lecameriere – dice Ti-meo - servono gliuomini a banchettosvestite”. Teopompoaggiunge: “Vige l’a-bitudine presso iTirreni di avere ledonne in comune;queste hanno grancura del propriocorpo e fanno gin-nastica spesso assie-me ai maschi, talvol-ta da sole: non sivergognano di mo-strarsi nude. Si sten-dono sui lettini perpranzare non accan-to ai propri mariti,ma a chi capita deiconvitati, e brinda-no a chi esse voglia-no. Sono inveroesperte bevitrici e illoro aspetto è assai gradevole. I Tirre-ni poi, tutti i figli che vengono fuori,li mantengono in vita senza sapere dichi è figlio ciascuno; e questi vivonoalla stessa maniera di coloro che li al-levano, sbevazzando e accostandosi atutte le donne. Per nulla vergognosoè per i Tirreni mostrarsi non solo a fa-re loro qualcosa davanti a tutti, ma al-tresì a subirla: anche questa è un’abi-tudine locale. E tanto son lontani dalritenerlo vergognoso che specificanopure, quando il padrone della casasta facendo l’amore e qualcuno lo cer-

ca, che sta subendo questo e quello, eindicano l’azione spudoratamente.Quando poi si riuniscono in gruppiassociativi o di parenti, fanno così: in-nanzitutto quando smettono di bere esi mettono sdraiati i servitori fannoentrare nella stanza, all’ultimo chiaro-re delle lucerne, certe volte le cosid-dette etère, altre volte maschi assaibelli, altre ancora le mogli. Dopo es-sersi rinfrancati con queste, di nuovofanno entrare giovanotti nel fior del-l’età che si mettono accanto ad essi.Fanno l’amore nelle riunioni taloraguardandosi tra loro, per lo più cir-condando i lettini con paraventi fattidi verghe intrecciate su cui vengongettate sopra le vesti. Si coricano conimpeto assieme alle mogli, ma moltopiù volentieri traggono piacere nellosdraiarsi con i giovanotti: ché infattida loro ce ne sono di assai belli nel fi-sico, dato il lusso godereccio che con-ducono e la cura della cute che osser-vano. Tutti gli stranieri d’Occidente sidepilano il corpo con ceretta e con ra-

soi, e presso i Tirreni ci sono molti cen-tri estetici e operatori esperti di questepratiche, come presso di noi i barbieri.E quando vengono in questi centri simettono pronti senza reticenze, nonvergognandosi dinanzi a chi li guardao che passa davanti. Tali abitudini lehanno molti dei Greci che vivono inItalia, e le hanno apprese dai Sanniti edai Messapi. Per via del loro amoreper la raffinatezza i Tirreni, come atte-sta Alcimo, impastano il pane e fannopugilato e danno i colpi di frusta al rit-mo di uno strumento a fiato”.

L’amore per il lusso, per la vita como-da e raffinata, per i piaceri corporaliemerge dalle testimonianze figurativedell’epoca che segna la decadenza po-litica etrusca, ma contemporaneamen-te l’apogeo della civiltà. Pur tuttavia iltenore del resoconto di Teopompo, an-che considerando il contesto in cui èconservato - una sezione dell’opera diAteneo che tratta della tryphè in parti-colare dei Sibariti - ci fa sospettare sul-la buona fede dell’informatore. Perquanto la struttura economico-socialeetrusca si possa interpretare con lachiave della tryphè (lusso) e dell’habrò-tes (raffinatezza) e far dipendere dauna classe dirigente tipicamente oli-garchica che poggiava il suo dominiosullo sfruttamento del lavoro dipen-dente, servile o semiservile, e quan-tunque alcuni osservatori critici comePosidonio abbiano spiegato il declinodella potenza militare etrusca con iltenore di vita molle e la redditivitàdella terra, sembra tuttavia poco pro-babile una diffusione così estesa di

pose “petroniane”, quale emerge nelquadro di taluni storici ellenistici pe-raltro già anticamente tacciati di vizio-sità (“Theopompus… et Timaeus…duo maledicentissimi”, Nep.Alcib.11). Dagli studi relativi è emerso che lasocietà etrusca si fondava sulla fami-glia monogamica. Come allora inter-pretare gli atteggiamenti osé delle sce-ne sopra descritte, in cui compareostentazione del nudo, negazione del-la struttura familiare tradizionale epiena libertà sessuale delle mogli?In realtà la donna, nell’ambito familia-

re e nella vita pubblica, aveva un ruo-lo molto più sacrificato e ristretto adAtene e in parte a Roma che nelle so-cietà oligarchiche quali quella sparta-na o l’etrusca. Qui infatti era esaltato ilsuo ruolo di custode dei beni mobili eimmobili e di comunicatrice dei pos-sessi fondiari oltre che della discen-denza familiare, anche nei casi di ri-schio di estinzione per colpa maschile.In Etruria l’importanza della donna simanifestò invece tanto nell’onomasti-ca, come mostra l’indicazione dei cit-tadini di pieno diritto che – per lo me-no dal IV secolo - era completata colnome materno, quanto nell’evidenzadell’intervento femminile in vari luo-ghi della casa, anche borghese, contra-riamente alla scarsa presenza delladonna nella dimora ateniese, limitataai cosiddetti ginecei. Le donne etrusche risultavano ancheproprietarie di oggetti importanti, sucui apponevano il proprio nome, e ri-cevevano un’istruzione quasi equiva-lente a quella degli uomini. Dunque

agli occhi dei Romani o di certi Greciesse godevano di un’importanza par-ticolare e fruivano di una possibilitàdi presenza in pubblico insperata al-trove. Di qui ad attribuire una forte li-bertà sessuale il cammino è breve,specie tenendo conto della tendenzacomune ad ogni età a mettere in catti-va luce popoli stranieri confinanti ocon cui si sono avuti rapporti ostili odi rivalità. I vicini latini dell’età re-pubblicana – a quanto leggiamo inPlauto - pensavano che le ragazzeetrusche non abbienti per costituirsi

una dote si prostituissero. Così Aristotele dà l’informazione so-pra riportata sulle coppie a banchettomalinterpretando forse le scene ritua-li di un matrimonio. Che il quadroofferto da Teopompo non mostri unaforte coerenza interna trapela ad unarilettura attenta del testo. Qui si insiste dapprima, per le don-ne, sulla facilità di costumi e addirit-tura sulla pluralità di partner che sioppone alla monogamia tradiziona-le; in seguito si distingue tra etère edonne sposate. Per quanto riguardagli uomini, a proposito dei figli ba-stardi viene evidenziato il loro forteimpulso sessuale verso le donne, madal testo (che riflette le parole di Teo-pompo, ma non ne sarà certo una tra-scrizione letterale) non si comprendese lo specificare “tutte quante” indi-chi la faciloneria e il trasporto anima-lesco di tali signori oppure l’assenzadi discriminazione sociale, ossia secon uomini di incerta paternità equindi di scarso peso sociale andas-

sero non solo le sgual-drine ma pure le aristo-cratiche, nel qual casosarebbe un’ennesima ti-rata contro la categoriafemminile. Inoltre,mentre nella prima par-te gli Etruschi risultanodei gran donnaioli, nel-la seconda si legge chia-ramente che essi traggo-no piacere di gran lungamaggiore dai rapporticon lo stesso sesso.Insomma, sembra che lafonte abbia idee un po’confuse, e attribuisca al-le signore comporta-menti tenuti per lo piùdalle sgualdrine, forseanche per l’abitudinediffusa in qualche pe-riodo e in qualche zonadi prostituirsi per crear-si la dote (come attesta-to in Plauto). Certo da affreschi tom-bali come quelli del Tri-clinio la presenza dellesignore ai banchetti èdocumentata, ma le illa-zioni sui comportamen-ti successivi sembranofrutto di eccessiva mali-ziosità. La quale peraltro trape-la dietro l’insistenza sulvoyeurismo e l’esibizio-nismo, con una primaosservazione che enfa-tizza la bisessualità –come indica l’opposi-zione fare/subire – deipersonaggi, e una se-conda che stranamentefrena il proclamato esi-bizionismo e lo riducead una minore frequen-za di casi. Voyeurismoimplicito è nella scenet-ta del servo che indicacon precisione in qualipratiche sessuali passi-ve sia impegnato il pa-drone al visitatore capi-tato casualmente e chequindi non potrà esserericevuto (dunque ilvoyeurismo è limitatoal servo!). L’attendibilità delle no-tizie è infine indebolitadall’ultima parte del re-soconto, quella che si ri-ferisce alla tryphè e l’ha-bròtes dei popoli occi-dentali e in particolare

dei Sibariti. Qui i Greci d’Italiaavrebbero appreso l’arte degli esteti-sti dai Sanniti e dai Messapi, gentesemplice, guerriera e rude: e ciò sem-bra francamente strano. Come chesia, tra i misteri della terra d’Etruriac’è anche la reale natura della suagente. Ma dalle testimonianze checonserviamo sottoforma di oggettisti-ca, costruzioni, raffigurazioni fittili edipinte, ci sembra comunque… chesapessero godersi la vita.

Filippo Sallusto

TEATRO COMUNALE “FRANCESCO ORIOLI” DI VALLERANO

28 febbraio 2004ore 17:30

Luna d’AmoreLe più belle poesie d’amore d’ogni tempo e paese

In occasione dello spettacolo verrà distribuito il secondo numero del foglio L’Orioli con lo speciale dedicato all’Amore

con: Miriam Nori, Oliviero Piacenti, Carla Chiuppi, Roberto Rosati, Antonio CianchettiRegia: Oliviero Piacenti

Le vicende della passione amorosa paragonate, nel loro succedersi , alle fasi della lu-na. Luna crescente: l’innamoramento, l’oggetto d’amore; luna piena: il desiderio, lapassione; luna calante: il distacco, l’assenza; luna cinerea: il rimpianto, la memoria.Si affiancano così in questo spettacolo poeti lontanissimi per epoca e per cultura chetuttavia testimoniano con i loro versi l’immutabilità dell’amore esprimendo gli stes-si stati d’animo persino con immagini e metafore analoghe.

Queste poesie di tutte le letterature propongono emozioni, slanci, le luci dellagioia e le ombre della sofferenza in cui ogni spettatore potrà riconoscersi.

William Dyce, Paolo e Francesca, 1837

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FRANCESCADA RIMINI

Il più celebre ed ammirato episodiodell’Inferno dantesco ha sempre go-duto di una reputazione eccezionale,se perfino nei detrattori del Seicento(Beni, Frugoni) e del Settecento (Ce-sarotti, Bettinelli) esercitò un certo fa-scino. Con l’inizio dell’età romanticapoi si trasformò in un mito di formi-dabile portata, tanto da proporsi co-me prototipo dell’amore-passione,dell’amore-rivolta contro la società,le convenzioni, le leggi, la moraleborghese. Dal punto di vista estetico,la critica romantica gareggiò conquella decadente nell’evidenziare lamaestria compositiva dell’episodio,dello stesso canto V che è per metàdiegetico ed enumerativo (“vedi Pa-ris, Tristano... E più di mille / ombremostrommi e nominommi a dito”) eper metà psicologico e tragico. Passa-re dal catalogo al ritratto — e che ri-tratto: è la scoperta della persona colsuo destino di salvezza o di danna-zione — costituisce una novità por-tentosa che supera di colpo tutta laletteratura cortese della Table Ronde.Francesca di Rimini si presenta comeun gigante che occupa tutto lo spaziodella scena.

Ma quale ragione ha portato Dantead un’invenzione poetica di tale por-tata? E quale è il rapporto fra lui stes-so, personaggio ed autore del poema,con il personaggio rappresentato?Come ha conosciuto, assorbito, rap-presentato una storia così forte e do-lorosa? Qui bisogna dire subito quel-la che è l’unica certezza in questa sto-ria d’un delitto passionale nell’altasocietà romagnola del Duecento: checioè nulla, proprio nulla esiste nellecronache del tempo prima che il poe-ta ne facesse oggetto di poesia. Ab-biamo soltanto i nomi certi: France-sca figlia di Guido il Vecchio da Po-lenta, Paolo Malatesta fratello mino-re di Gianciotto Malatesta, signore diRimini. Tutto il resto è leggenda: chePaolo fosse bello e gentile quantoGianni detto Ciotto (lo zoppo) erabrutto e deforme; che Francescaavesse sposato quest’ultimo creden-do di sposare Paolo; che la tresca frai due cognati si prolungasse per anni,finché Gianciotto non tese l’agguatomortale, facendoli uccidere l’uno sul-l’altra. Come talvolta accade, la poe-sia aveva preceduto la cronaca e nonviceversa.

Ora, chi è stato l’autore della finzio-ne? Certamente Giovanni Boccaccio,che nelle sue Esposizioni o commentidella Commedia che lui avrebbe chia-mata “Divina” raccolse — non si sada dove — le notizie che tutte insie-me hanno formato il celebre episodiocosì come lo conosciamo, e cui la cri-tica moderna presta scarsissima fede.Secondo il Parodi, la storia di Paolo eFrancesca sarebbe “la più bella e fa-mosa novella del Decameron” edequivale in fondo ad un’apologia diFrancesca e del suo stesso peccato.Bisogna tener presente questa tesiperché, con diverse frange e tonalità,essa condiziona la lettura, più o me-no, dei vari interpreti della creazionedantesca fino al Romanticismo,quando per opera del Foscolo e delDe Sanctis il personaggio cresce finoal prototipo della donna moderna,cosciente della propria dignità ed au-tonomia soprattutto per quanto ri-

guarda la sfera sentimentale: vada ono contro le leggi della società, dellareligione, del costume, Francesca ècosciente della propria passione, nonè pentita, ama per l’eternità l’uomoche l’ha amata ed appunto per questoappare vittima di una fatalità inelut-tabile. Pertanto risulta anticipatricedelle grandi creature romantiche, Ma-non Lescaut, Anna Karenina: eroinepassive e quasi sempre disperate, maingigantite da quell’amore che è pal-pito dell’universo ed è legge tragicadella vita. Per il De Sanctis Francescaè una creatura ideale in quanto, difronte alle donne del “Dolce stil no-vo” delle quali ripete le movenze e illinguaggio, ha il vantaggio di esserevera, di una verità artistica ed umanache la rende unica ed inimitabile: “Ladonna che Dante va cercando nelsommo dei cieli l’ha trovata laggiù,nell’abisso infernale, nella bufera chemai non resta”.

Una lettura di tal genere pone inevi-tabilmente il problema del rapportofra Dante e la sua creazione, facendoquasi supporre un duplice contegno,di condanna come uomo e di assolu-zione come poeta. Espressione di que-sta spaccatura sarebbe lo svenimentofinale che lo fa cadere “come corpomorto cade”. Volumi sono stati scritti,in epoca positivistica, sul divario tra ilsistema teologico, dottrinale, allegori-co dell’oltretomba dantesco e lasplendida eccezione di Francesca chelo contraddice in modo così vistoso.Eppure anche questa lettura, che haavuto tanti illustratori, non soddisfala riflessione critica moderna, perchéipotizza una debolezza speculativache è tutta da dimostrare. Se c’è unprincipio chiaro e ben motivato nelpensiero dantesco è proprio la conce-zione dell’amore come epifania divi-na, Dio stesso nella persona dello Spi-rito, armonia delle sfere e delle crea-ture, anima della creazione e princi-pio della vita. Ed altrettanto chiara èl’indistruttibile presenza della leggemorale, che distingue l’uomo daglianimali e dalle piante. La legge mora-le, che ha radici naturali (tant’è veroche in diverse forme interessa tutti ipopoli della Terra) e conferme so-prannaturali (cioè la rivelazione deiProfeti e di Cristo), è obbligante pertutti, anche se può essere ignorata orifiutata dal libero arbitrio. Francescal’ha infatti rifiutata per sostituirleun’altra legge, quella dell’amore. Unatipica ambivalenza verbale (amore èla parola più ambivalente del dizio-nario italiano ed universale, perchépuò riferirsi sia al mestiere della me-retrice — “facciamo l’amore” — siaalla divina Bontà che “muove il Sole el’altre stelle”) ha trascinato la donnanella bufera infernale che mai non re-sta.

Per intendere questa ambivalenza,che del resto ha risvolti intensamentepoetici e alimenta tanta parte dell’e-sperienza dantesca, dalla Vita nuova alConvivio, occorre rileggere l’episodiodei lussuriosi non solo nella prospet-tiva infernale ma anche in quella delPurgatorio che è assai più esplicita.Nei canti XXV e XXVI è esposta daStazio la dottrina aristotelico-tomistasulla genesi dell’anima attraverso ilconcepimento fisico, con un imme-diato codicillo di Virgilio: “Per questoloco / si vuol tenere a li occhi strettoil freno / però ch’errar potrebbesi perpoco”. Appunto per poco ha erratoFrancesca, tanto è vero che verbi e ag-gettivi e stilemi del “Dolce stil novo”sono passati nel suo linguaggio:“Amor che al cor gentil ratto s’ap-prende”, “Amor che a nullo amatoamar perdona”, “aver pace”, “tempofelice”, “Come colui che piange e di-ce”, “il disiato riso”, coinvolgendo inperfetta corresponsione quello dell’i-gnoto pellegrino che ha pietà di lei:“Quanti dolci pensier, quanto de-sio...”, “i tuoi martìri”, “i dolci sospi-ri”, “i dubbiosi desiri” con tipica ite-razione musicale; e la confessioned’essere “tristo e pio” al cospetto del-la tragedia amorosa, dove la tristizia ela pietà si fondono, mantenendo tut-tavia alla prima il significato passivo

di dolore ed alla seconda quello attivodi partecipazione.Ma c’è di più: l’iniziale similitudine“Quali colombe dal disio chiamate,ecc.” è di iconografia sacra (altro chemotivarla “perché animali lussurio-sissimi” di cui già rideva il Foscolo!) eil vento incessante si richiama allo“Spiro”, allo Spirito Santo che puòscuotere le piante come le anime(“scendi bufera ai tumidi / pensierdel violento” avrebbe invocato ilManzoni), né si trascuri lo scoloriredel viso ed il tremare delle membra,tutte denotazioni del timor Domini. Se dunque il controcanto dell’illuso-ria felicità di Francesca è una collezio-ne di emblemi sacri (c’è perfino la“preghiera condizionata” che piacquetanto al De Sanctis: “Se fosse amico ilre dell’universo / noi pregheremmolui per la tua pace...”), perché condan-nare una peccatrice che gode di tanteattenuanti e che per giunta è circonfu-sa di vera ed alta poesia?

La risposta non può essere che una:l’ancella d’Amore che ha affascinatotanti lettori e tanti emuli (Paolo ha perlei perduto la vita, ma forse d’unostruggimento ancor più profondo sen’è innamorato il De Sanctis) non èpentita e quindi non può ottenere mi-sericordia. La sua auto-apologia, setale può chiamarsi, è iperbolica edesclusiva. Ipostatizza l’amore comeun assoluto, una necessità inderoga-bile che ha distrutto lei e Paolo, lorosoli al mondo. E il loro sangue ha tin-to il mondo. Se proviamo a rileggereil celeberrimo episodio in chiave mo-ralistica, i conti tornano perfettamen-te. L’amore come corresponsione ne-cessaria è una favola, che l’esperienzasmentisce ogni giorno: ma Francescalo pone innanzi a tutto quasi tavola diuna nuova legge. Quando poi Dante la interroga per sa-pere come quel sentimento che era ce-lato e quasi silente (e quindi puro, co-me puro è ogni amore al primo ger-moglio) fosse divenuto d’un tratto ro-vinoso e colpevole, egli sa di cogliereil centro del problema. Finché la lettu-ra della storia di Lancillotto e Ginevrarimaneva sul piano dell’immagina-zione, l’idillio non debordava dall’a-more-cortesia descritto nel famosotrattato di Andrea Cappellano e, ben-ché non scevro di pericoli, rientravanel gioco aristocratico di una societàraffinata e galante; ma dal momentoin cui il bacio dei due personaggi fit-tizi si invera in quello dei due prota-gonisti reali l’amore-passione prendeil sopravvento e il talento sommergela ragione. L’ultima pennellata al qua-dro è il tracollo del poeta che “comecorpo morto cade”: che è parte an-ch’esso del rituale stilnovista, ma quiporta all’estremo il conflitto tra giu-stizia e pietà. Ed equivale, come os-serva ogni commentatore, ad una per-sonale confessione di Dante.

Da ultimo, c’è un altro particolare checontrassegna l’originalità dell’episo-dio nel quadro dell’amore cortese: illibro. La mediazione amorosa erasvolta, nei romanzi della Table Ronde,dai sortilegi, dai filtri, dagli anelli fa-tati, dalle pozioni afrodisiache (si ri-cordi quella che per equivoco, desti-nata a Re Marco, è bevuta da Trista-no); e, nel peggiore dei casi, da unpersonaggio lascivo come Galeotto.Ma che tale funzione sia svolta da unlibro comporta un salto di qualità cheper la prima volta illumina con Danteun fattore di capitale importanza nel-la civiltà umanistica. C’è anche qui unpossibile ammonimento cautelativo(la polemica contro i libri cattivi, sen-za dubbio; ma la carta è materiale in-fiammabile ed occorre discernimento;l’incendiario può finire acceso, comesperimentò tragicamente il Savonaro-la), tuttavia resta fondamentale laconsacrazione della letteratura qualescelta operativa fra il bene e il male.Chi legge non è una spugna ma un fil-tro, non assorbe tutto ma solo quelloche consuona con la propria sensibi-lità, col suo giudizio, con la sua tem-pra morale. In ogni caso, il libro vince il tempo.Fermando il pensiero nella scrittura,

compie un atto che per sua natura sisottrae alla legge della consumazionedell’attimo, alla triste soggezione allecose. Ed è per questa legge dell’intel-letto e dello spirito che l’uomo si aprealle sfere superiori. È per il libro chenoi stessi, leggendo la storia di Fran-cesca, possiamo crescere nella cono-scenza delle anime e delle passioni, edella catarsi che in noi si produce di-staccandole da noi e contemplandolenella non peritura bellezza.

Franco Lanza(All Rights Reserved)

NdR: Franco Lanza, italianista di ricono-sciuta fama, è stato ordinario di lettera-tura italiana presso le Università di Pa-lermo, Salerno e Viterbo. Ha al suo attivo una ricchissima biblio-grafia che va dagli studi danteschi all’a-nalisi di momenti e protagonisti fonda-mentali nella storia letteraria italiana an-tica e moderna (tra gli altri G.B. Vico, Al-fieri, Manzoni, Leopardi, la poesia baroc-ca e del ‘900, la figura di Benedetto Cro-ce, l’Umanesimo cattolico). Nel 1994 hapubblicato Paolo VI e gli scrittori. Da lun-go tempo, inoltre, si adopera per la diffu-sione della nostra cultura in campo inter-nazionale, e in particolare presso le isti-tuzioni dell’isola di Malta.

La critica letteraria

VINCENZOCARDARELLI

Presentiamo in questo numero dedi-cato all’amore alcune poesie sul temadi Vincenzo Cardarelli, il poeta origi-nario di Tarquinia che, intorno al1920, propone attraverso la rivista LaRonda un ritorno all’ordine e all’equi-librio formale contro i recenti eccessidelle avanguardie letterarie. Per luiessere moderni, infatti, non significaestirpare le radici che fissano l'artecontemporanea alla tradizione, bensìriuscire a esprimere gli ideali del pro-prio tempo seguendo l’insegnamentodi rigorosa armonia dei classici anti-chi.In Cardarelli, dunque, l’esigenza dinovità si attua - seguendo la lezione diLeopardi - nella ricerca di un linguag-gio estremamente controllato e ele-gante, e in uno stile attraverso il qualele vicende personali ed i dati paesag-gistici sono elevati dal piano contin-gente a quello di una assorta e univer-sale meditazione. Le emozioni che in lui suscitano, adesempio, il mutare delle stagioni o ilfascino ingannevole della bellezza, lafugacità dei sentimenti o la solitudine,diventano nei suoi versi il paradigmadella condizione umana, l’espressionedi una visione pessimistica dell’esi-stenza che è condotta però senza sen-timentalismi e compiacimenti auto-biografici, anzi sempre all’insegna diuna sobria e dignitosa compostezzaespressiva. Allo stesso modo, i ricordipenosi dell’infanzia e del paese natio,sempre avvertito come ostile, vengo-no trasfigurati attraverso la funzioneidealizzante della memoria e resi miti-ci dagli echi culturali e letterari: così èper la riabilitazione in chiave leggen-daria della figura paterna, o per la rie-vocazione della amata-odiata Marem-ma come terra dei misteriosi Etruschi,sorta di “paradiso perduto”.Se vogliamo rintracciare una presenzafemminile nella vita solitaria di Car-darelli, l’unico suo vero amore è Sibil-la Aleramo: egli se ne innamora a po-co più di vent’anni, subendone tutto ilfascino e restando quasi travoltoquando capisce che questa passionetormentosa altro non è che un’effime-ra fiammata. Presto i due amanti si rivelano infattil’uno l’antitesi dell’altra, lei tutta istin-to e passione, lui trattenuto da una na-turale introversione che finisce pertrincerarlo dietro continue razionaliz-zazioni nevrotiche. Il poeta conside-rerà sempre la donna come un miste-ro adorabile ma inafferrabile - “Io noncrederò mai nella donna. Questa è lamia dannazione” - e si lascerà sopraf-fare dalla misantropia, risucchiato nel

vuoto esistenziale.Nella nostra selezione, a un efficaceritratto della donna amata dal titoloomonimo, segue una composizionedalla quale emerge la malinconia perl’amore ormai finito e mai pienamen-te vissuto, e un’altra invece in cui lamemoria ingannevole e pietosa inter-viene a mitigare nel cuore del poeta ilricordo doloroso della sua patria.Chiude questo brevissimo excursusnella poesia cardarelliana “Astrid”,l'ironico racconto carico di umori mi-sogini della breve avventura tra ilpoeta trentenne e una giovanissimaragazza norvegese.

Silvia Camicia

RitrattoEsiste una bocca scolpita,un volto d'angiolo chiaro e ambiguo,una opulenta creatura pallidadai denti di perla, dal passo spedito,esiste il suo sorriso,aereo, dubbio, lampante,come un indicibile evento di luce.

AmiciziaNoi non ci conosciamo. Penso ai giorni che, perduti nel tempo, c'incontrammo, alla nostra incresciosa intimità. Ci siamo sempre lasciati senza salutarci, con pentimenti e scuse da lontano. Ci siam riaspettati al passo, bestie caute, cacciatori affinati, a sostenere faticosamente la nostra parte di estranei. Ritrosie disperanti, pause vertiginose e insormontabili, dicevan, nelle nostre confidenze, il contatto evitato e il vano incanto. Qualcosa ci è sempre rimasto, amaro vanto, di non ceduto ai nostri abbandoni, qualcosa ci è sempre mancato.

ArabescoSe non fossero i ritorniche mi assicurano l’eternità!I belli orizzonti che ospitonegli occhi con poco amoree mutano rapidamente, se non fosse il sagace ingannoche si consuma nella mia memoriaa riserbarmene il senso!Poi da un barlume, un ricordo, forse illusorio, ariose nostalgie,recuperate realtà distese.Dalle ignude concezionile prospettive ridentiche si rifanno!E i suoni, difficile scherzo, senza dei quali il ritmo non sussiste.

AttesaOggi che t’aspettavoNon sei venuta...... Amore, amore, come sempre, vorrei coprirti di fiori e d’insulti.

Astrid (Temporale d’estate)Fin dalla prima sera, è inutilenasconderlo, io avevo messo gli occhi suAstrid.Ci voleva poco a capire l’enormedifferenza che correva fra lei e le suecompagne.La sua persona aveva infinitamente piùpeso, più importanza. Ella spiccava come una regina fra le sueancelle. Soltanto un osservatoresuperficiale o dispettoso avrebbe potutonon riconoscerla o trascurarla come sitrascurano d’istinto e si eliminano dalcommercio usuale i capolavori del genio,le grandi opere d’arte.Tutte le altre ragazze erano assai più allamano, rappresentavano un tipofemminile abbastanza corrente. In lei sola il mistero del sesso parevaassumere un carattere, una figura, unafaccia.Era dunque Astrid una fanciullasegreta, naturalissima, con qualcosa ditenero, di precocemente matronale enobile.Più geniale che intelligente; e pienad’imprevisto.Perfidamente donna, aveva il gusto diesasperare l’amore e di far soffrire.Astrid era nata per piacermi.

6 N. 2 Febbraio/Marzo 2004

IL SENSOCRISTIANODELL’AMOREMi è stato rivolto l’invito a scriverequesto articolo per il giornale curatodalla Associazione che porta il nomedi Francesco Orioli: spiegare il sensocristiano dell’amore. Una bella impre-sa!Mi sono messo a tavolino per cercaredi riordinare le notevoli rifles-sioni provenienti dalla lettera-tura teologica, e mi sono resoconto immediatamente dicamminare in spazi vastissimi,variegati, impossibili da esplo-rare anche solo in parte.Preferisco allora seguire il per-corso più immediato suggeritodagli scritti evangelici e dalNuovo Testamento, mettendomiin ascolto delle parole delMaestro dell’amore, Gesù Cri-sto, invitando il lettore a seder-si accanto a me, innanzituttoper apprendere, conservarenel proprio cuore, se possibilevivere una proposta davverostraordinaria.Anche a Lui, un giorno, un ta-le fece questa domanda: “Mae-stro, che cosa devo fare perereditare la vita terna?” Gesùrispose: “Che cosa sta scrittonella Legge? Che cosa vi leg-gi?”. Costui disse: “Amerai ilSignore Dio tuo con tutto il tuocuore, con tutta la tua anima,con tutta la tua forza e con tut-ta la tua mente e il prossimotuo come te stesso”. E Gesù:“Hai risposto bene; fa’ questoe vivrai”.Ma quegli, volendo giustifi-carsi, disse a Gesù: “E chi è ilmio prossimo?”. Gesù riprese:“Un uomo scendeva da Geru-salemme a Gerico e incappònei briganti che lo spogliaro-no, lo percossero e poi se neandarono, lasciandolo mezzomorto. Per caso, un sacerdotescendeva per quella medesimastrada e quando lo vide passòoltre dall'altra parte. Anche unlevita, giunto in quel luogo, lovide e passò oltre. Invece unSamaritano, che era in viaggio,passandogli accanto lo vide en'ebbe compassione. Gli si fecevicino, gli fasciò le ferite, ver-sandovi olio e vino; poi, cari-catolo sopra il suo giumento,lo portò a una locanda e si pre-se cura di lui. Il giorno seguen-te, estrasse due denari e li die-de all'albergatore, dicendo:‘Abbi cura di lui e ciò chespenderai in più, te lo rifon-derò al mio ritorno’. Chi diquesti tre ti sembra sia stato ilprossimo di colui che è incap-pato nei briganti?”. Il tale ri-spose: “Chi ha avuto compas-sione di lui”. Gesù gli disse:“Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.(Luca 10, 25-37).La parabola del “Buon Sama-ritano” dipinge con efficacial’immagine dell’amore cristia-no. In un’altra pagina del VangeloGesù fa vedere cosa può com-piere chi vive in modo radica-le l’amore: “Ma a voi cheascoltate, io dico: Amate i vo-stri nemici, fate del bene a co-loro che vi odiano, beneditecoloro che vi maledicono, pre-gate per coloro che vi maltrat-tano. A chi ti percuote sullaguancia, porgi anche l'altra; achi ti leva il mantello, non rifiutare latunica. Dà a chiunque ti chieda; e a chiprende del tuo, non richiederlo. Ciòche volete gli uomini facciano a voi,anche voi fatelo a loro. Se amate quel-li che vi amano, che merito ne avrete?Anche i peccatori fanno lo stesso. E sefate del bene a coloro che vi fanno delbene, che merito ne avrete? Anche ipeccatori fanno lo stesso. E se prestatea coloro da cui sperate ricevere, che

merito ne avrete? Anche i peccatoriconcedono prestiti ai peccatori per rice-verne altrettanto. Amate invece i vostrinemici, fate del bene e prestate senzasperarne nulla, e il vostro premio saràgrande e sarete figli dell'Altissimo; per-ché egli è benevolo verso gl'ingrati e imalvagi”. (Luca 6, 27-35).Le due citazioni ci conducono imme-diatamente nel cuore del messaggioevangelico, al punto che l’amore vieneindicato da Gesù come la divisa che di-stingue i suoi discepoli: “Vi do un co-mandamento nuovo: che vi amiate gliuni gli altri; come io vi ho amato, così

amatevi anche voi gli uni gli altri. Daquesto tutti sapranno che siete miei di-scepoli, se avrete amore gli uni per glialtri”. (Giovanni 13, 34-35). Questoamore vicendevole è tale da spingere ildiscepolo a donare persino la propriavita per gli altri, e questo è il verticedell’amore secondo Gesù: “Nessunoha un amore più grande di questo: da-re la vita per i propri amici.” (Giovanni15, 13)

Questa semplice incursione nelle pagi-ne del Vangelo sarebbe già sufficienteper scuotere qualsiasi coscienza ada-giata nell’apatia e nella roccaforte delproprio egocentrismo. Non capisco co-me mai scritti di questo livello, conte-nuto e proposta non abbiano trovatospazio tra gli lezioni letterarie imparti-te nelle nostre scuole, restando riserva-te all’ora di religione; la quale peraltroè facoltativa, quindi significa che taliinsegnamenti possono benissimo esse-re ignorati. Ritengo questa una priva-zione fatta ai giovani, sotto il profiloformativo.

Gli apostoli, i primi discepoli, hannoraccolto questa eredità preziosissimalasciata da Gesù, ed hanno percepitocon chiarezza che Cristo aveva indica-to la via giusta per ogni uomo. Guidatidallo Spirito hanno composto delle sin-tesi capaci di scandagliare i vari tratti evirtù che si accompagnano all’amore ela sua rilevanza esistenziale. Osservia-mo, a titolo di esempio, come S. Paoloelabora una teologia dell’amore incen-

trata sulla figura di Cristo, e che perquesto chiama caritas (in greco agaph,in italiano carità). Rivolgendosi ai cristiani di Corinto,che desideravano primeggiare nei varidoni ricevuti dallo Spirito Santo, l’apo-stolo si rende conto che l’attenzione eraattratta maggiormente da manifesta-zioni straordinarie dello Spirito e i do-ni più apprezzati erano la capacità dioperare guarigioni, di parlare linguediverse, il fare profezie, l’esprimersi inmodo eloquente, la fede eroica e inde-fettibile. L’apostolo riconosce la legitti-mità di aspirare ai doni più grandi, ma

la via migliore di tutte sarà la carità,cioè l’amore.“Se anche parlassi le lingue degli uo-mini e degli angeli, ma non avessi lacarità, sarei come un bronzo che risuo-na o un cembalo che tintinna.E se avessi il dono della profezia e co-noscessi tutti i misteri e tutta la scien-za, e possedessi la pienezza della fedecosì da trasportare le montagne, manon avessi la carità, non sarei nulla. E

se anche distribuissi tutte le mie so-stanze e dessi il mio corpo per esserbruciato, ma non avessi la carità,niente mi gioverebbe.”La carità è paziente, è benigna la ca-rità; non è invidiosa la carità, non sivanta, non si gonfia, non manca di ri-spetto, non cerca il suo interesse, nonsi adira, non tiene conto del male ri-cevuto, non gode dell'ingiustizia, masi compiace della verità. Tutto copre,tutto crede, tutto spera, tutto soppor-ta. La carità non avrà mai fine… Que-ste dunque le tre cose che rimangono:la fede, la speranza e la carità; ma di

tutte più grande è la carità!”.(Prima Lettera ai Corinti 13, 1-13).Dobbiamo però essere avver-titi che, nella nostra sensibilitàmoderna, di solito, l’amore siaccompagna e si identificacon le opere benefiche di va-rio genere. Esso viene allorainteso come prassi, azione,una specie di filantropia chegode di un consenso generale.Nella prospettiva cristiana l’a-more non può essere ridotto asemplice prassi: esso è com-preso a partire dall’amore diCristo, il quale ci rivela e ci in-serisce nell’Amore di Dio. Co-sì si esprime Giovanni nellasua prima lettera: “Carissimi,amiamoci gli uni gli altri, per-ché l'amore è da Dio: chiun-que ama è generato da Dio econosce Dio. Chi non amanon ha conosciuto Dio, per-ché Dio è amore. In questo si èmanifestato l'amore di Dioper noi: Dio ha mandato il suounigenito Figlio nel mondo,perché noi avessimo la vitaper lui. In questo sta l'amore:non siamo stati noi ad amareDio, ma è lui che ha amato noie ha mandato il suo Figlio co-me vittima di espiazione per inostri peccati”. (Prima Letteradi Giovanni 4, 7-10).Il segno più grande dunquedell’amore di Dio è Gesù Cri-sto morto in croce per noi, eper mezzo di Lui abbiamo ac-cesso all’Amore di Dio. Daquesto radicamento nell’amo-re di Dio, mediante Gesù Cri-sto, scaturisce e si fonda l’a-more verso il prossimo: “Ca-rissimi, se Dio ci ha amato,anche noi dobbiamo amarcigli uni gli altri. … Noi amia-mo, perché egli ci ha amatiper primo.” (Prima Lettera diGiovanni 4, 11 e 19). Gli scrittidel Nuovo Testamento sembra-no come condurci per manoper farci raggiungere la perce-zione dell’importanza decisi-va dell’amore, il quale nonpuò essere un tema tra i tanti,argomento di dibattito o di ri-cerca accademica. Nella pro-spettiva neotestamentaria egiovannea diventa questionedi vita o di morte, e infatti,proprio Giovanni, in modoquasi lapidario afferma: “Chinon ama rimane nella mor-te.” (Prima lettera di Giovanni3, 14b). Siamo partiti dal tema delsenso cristiano dell’amore, ilquale ha necessariamente lapossibilità di dispiegamentosolo nell’incontro con l’Amo-re di Cristo, che ci abilita adamare il prossimo alla suamaniera. Amati da Cristo,amiamo come Cristo, cioè do-nando la vita. Sembra para-dossale, ma è vero: amando,entriamo nella vera vita; nonamando, rimaniamo nella

morte. Se le cose stanno così, alloradobbiamo aggiungere che Gesù ci hamostrato non tanto il senso cristianodell’amore, ma il vero senso umanodi ogni amore.

Don Ampelio Santagiuliana

NdR: Ampelio Santagiuliana, ordinatonella diocesi di Vicenza (1978), è sacerdotefidei donum nella diocesi di Civita Castel-lana (VT), dove è parroco.

Sette opere di Misericordia, Caravaggio olio su tela cm 390x260 - Napoli Pio Monte della Misericordia

N. 2 Febbraio/Marzo 2004 7

AMORE E BELLEZZASul rapporto che lega il tema dell’amore-passione a quelli della bellezza e dell’arte,ancora una autorevole riflessione, tratta daLa morte a Venezia di Thomas Man

“...Giacché, sappilo, noialtri poeti nonpossiamo percorrere la via della bel-lezza senza trovarvi Eros, che ben pre-sto ci impone la sua guida; e possiamoanche, a modo nostro, essere eroi e di-sciplinati guerrieri; main verità somigliamoalle donne, perché lapassione è ciò che ciesalta, perché soltantoall’amore ci è datoaspirare: e questa è lanostra gioia e il nostroobbrobrio. Or dunque,vedi che noi poeti nonpossiamo essere nésaggi né dignitosi, chefatalmente cadiamonell’errore, fatalmenterimaniamo dissolutiventurieri del senti-mento? Menzogna,millanteria è la nostrapadronanza dello stile,buffonaggine la nostra

EROS CONFORCHETTAE COLTELLO

Anziché parlare di sublimi senti-menti, vorrei soffermarmi su unapassione molto terrena, vale a direl’amore per la buona cucina, che, co-me novello eros, si sta impadronen-do di molti.Mi si potrà obiettare che il buon ciboed il buon vino sono sempre stati an-noverati fra i piaceri umani e nonposso che essere d’accordo. Però mi sembra decisamente esage-rato passare le serate disquisendosui ristoranti alla moda, citando lestelle attribuite dalle guide quasi sitrattasse di decorazioni al merito,oppure filosofeggiando sul sapore divini che, a giudizio del sommelier diturno, di tutto sanno meno che diuva.

Qualche grande estimatore mi po-trebbe far notare che, per apprezzareappieno l’alta cucina, bisogna educa-re il palato; io stessa, anzi, anche semi sembrava fatica sprecata, l’estatescorsa mi sono lasciata convincere daalcuni amici a varcare la soglia di untempio della gastronomia.Arrivammo verso le nove e mezzo efummo accolti da un cortesissimo ca-meriere che ci fece accomodare. Il colpo d’occhio sulla sala da pranzo,affacciata sul mare, era notevole e ipochi tavoli rotondi spiccavano per laloro eleganza. A onor del vero i nostrivicini risultarono un po’ troppo ru-morosi, ma dovevano essere clientiabituali ai quali era fatta questa con-cessione. Purtroppo faceva molto cal-do e non potevamo godere dellabrezza marina, perché eravamo in untavolo d’angolo piuttosto lontanodalla terrazza; inoltre i pesanti cusci-ni che coprivano le poltrone impa-

ANIME GRAFFIATE(liberamente tratto dal soggetto - scritto daMaurizio Costanzo - del film Per sempre,con Giancarlo Giannini e Francesca Neri)

Raramente l'amore è sinonimo di feli-cità. Spesso, anzi, quella sensazione digioia e di leggerezza che si prova neigiorni dell'innamoramento lascia pre-sto il posto al dolore, a volte così stra-ziante da annientare. L'espressione"morire per amore" non rappresentaun'assurdità, un'iperbole dei poeti odelle canzonette. Può accadere davve-ro che qualcuno, disilluso dalla perso-na amata a cui ha donato tutto se stes-so, riceva un tale graffio sull'anima daperdere completamente la voglia divivere, da lasciarsi andare all'apatiasenza reagire e alla fine soccombere.Quando tutti i suoi valori crollano, e lesperanze e i sogni so-no distrutti, la realtàpuò apparire priva diogni interesse rispet-to a ciò che ha perso;con il vuoto intorno edentro di sé, senzapiù energia per af-frontare gli eventiquotidiani, avverte ilbisogno di annullar-si, di sparire.È ciò che accade aGiovanni, uomo e av-vocato di successo,quando conosce lasfuggente e sensua-lissima Sara, che locoinvolge in una pas-sione totale e deva-stante. La donna èspietata con lui comelo è stata con gli altriuomini che ha incon-trato nella sua vita,prendendo da lorosolo pochi, distillatimomenti di piacerefisico senza mai con-cedersi completa-mente, senza rivelarese stessa, e lasciando-li quando se ne èstancata. Abituata a condurreil gioco, a stabilire ilcome, il dove e il

quando delle sue avventure, non haproblemi a conquistare anche Giovan-ni, che pure di donne ne avute tantenonostante sia "felicemente" sposato.In questo caso, infatti, l'uomo si lasciacompletamente irretire nelle seduzio-ni della ragazza; schiavo di questa re-lazione, mette in discussione tutti isuccessi della sua vita, progetta unnuovo futuro con lei e lascia la fami-glia: perdendo la testa in un rapportoche fin dall'inizio appare squilibrato, ein cui egli è totalmente passivo, suc-cube di un'amante ambigua e domi-natrice. Sara infatti non gli si dà mai del tutto,non prova nessun desiderio di veraintimità, rimane fredda, e - nel profon-do - distante; dopo quattro anni, du-rante i quali alterna momenti di pas-sione travolgente a distacchi improv-visi in cui si nega a Giovanni con

un'indifferenza che rasenta la cru-deltà, inaspettatamente tronca la rela-zione. Giovanni, allora, con il cuoredilaniato, incapace di convivere con ildolore e di gestire la sua vita dopo ilrifiuto, cade in uno stato di cupa de-pressione che, nonostante le cure delsuo medico, lo conduce alla morte.Eppure...Eppure, Sara non è una donna perfi-da, che si diverte a fare del male sen-za una ragione. In realtà è lei stessaun'anima graffiata, che non ha rice-vuto mai amore sin da quando erabambina, e dunque non solo non è ca-pace di amare, ma si è convinta chel'amore non esista. Quando capisceche Giovanni vuole con lei un legamevero e completo, ella si spaventa e loabbandona. Sara ha paura di confron-tarsi con gli altri, ha paura d'amareperché ha paura di soffrire, e così

maltratta i suoi uominiprima che questi mal-trattino lei. Nascondel'anima perché è inca-pace di mettersi in gio-co, perché cerca di di-fendersi; il suo vuotodi affettività le ha fattocredere di poter fare ameno dell'amore, equando si accorge chequesto suo ennesimorapporto superficialerischia di tramutarsi inqualcosa di più impor-tante, fugge spaventa-ta. Soltanto quandoGiovanni non c'è più,Sara si accorge del suoerrore e capisce di averimparato ad amarlo, diavere bisogno di lui;ma ormai è troppo tar-di. I ricordi, i rimorsi,una dolce e leggera fol-lia si insinuano lenta-mente nella donna, chemette fine alla propriaesistenza affinché il lo-ro amore possa conti-nuare per sempre inun'altra dimensione.Un amore che ha corro-so due vite, che ha an-nientato due anime.

Silvia Camicia

Allegato al n. 2 de L’Orioli Periodico di cultura, costume e società “Speciale sull’Amore” Febbraio/Marzo 2004

gliate non contribuivano a dare unasensazione di refrigerio. I signori ave-vano la fronte imperlata di sudore,mentre a noi signore, adeguatamentescollate, andava un po’ meglio. Ilmenù che ci venne presentato era untrionfo di pesce con le pere, carne coni fichi e pane al sesamo e finocchio. La mia scelta cadde su un piatto a ba-se di pesce, di cui dimenticai subito ilnome, complicatissimo. La cena iniziòcon un antipasto offerto dallo chef: cifu servito un cubetto annegato in unasalsa chiara di origine ignota. Arrivò poi un secondo piatto con uncilindretto adagiato su una cremagialla screziata di verde ed arancione.Io pensai si trattasse di un altro anti-pasto: invece scoprii, con sommo stu-pore, che quello era il mio piatto a ba-se di pesce.Provai quasi dispiacere nel rovinareuna simile opera d’arte, ma ormaiavevo un certo appetito.Il fatto più emozionante avvenne pri-

ma del dessert, quando una signorafrancese, seduta di fronte a noi e persua fortuna accanto alla finestra, al-l’improvviso perse i sensi.I suoi amici le si fecero intorno premu-rosi, tranne uno che non perse il suoaplomb e continuò imperturbato a ce-nare. Ci fecero capire che non era nulladi grave, che il malore doveva essereattribuito a “le chaud” e a “l’orage” – ilcielo infatti nel frattempo si era fattominaccioso -, mentre noi malignamen-te pensammo che forse la signora aves-se visto “l’addition”. La cena si conclu-se con deliziosi pasticcini, anche questidi formato più che mignon. Io mi sen-tivo sazia, ma pensai che qualche com-mensale con un appetito più robustodel mio non lo fosse affatto. Alla fine ilconto, presentato su un piattino d’ar-gento, si rivelò salatissimo. Ma, si sa,anche i riti costano.

Francesca Rossi

fama e gli onori di cui godiamo; grot-tescamente ridicola la fiducia ripostain noi dal volgo, temeraria e indifen-dibile impresa l’educazione del popo-lo e della gioventù per mezzo dell’ar-te. Come potrebbe infatti fungere da edu-catore colui che irrimediabilmente eper sua propria natura è spinto versol’abisso? Vorremmo sì distogliercene,vorremmo acquistare dignità; maovunque dirigiamo i nostri passi, essoci attira. Così avviene che rinneghia-

Canestra di frutta Caravaggio Olio su tela, cm 31 x 47Milano, Pinacoteca Ambrosiana

mo la forza dissolvitrice della cono-scenza: poiché, mio Fedro, la cono-scenza non possiede dignità né rigo-re; è consapevole, comprensiva, cle-mente, priva di riserbo e di forma; hasimpatia per l’abisso, è l’abisso mede-simo. Noi dunque la ripudiamo ener-gicamente, e da questo momentoogni nostro studio avrà di mira la bel-lezza, ossia la semplicità, la grandez-za e il nuovo vigore, la rinnovataspontaneità, la forma. Ma forma espontaneità, mio Fedro, conducono al

desiderio delirante, fa-cilmente portano il no-bile animo a orribili col-pe sentimentali, che alui stesso, nel suo ar-monioso rigore, appari-ranno infami; portano,insomma, anch’esse al-l’abisso. Vi portano, in-tendimi bene, noi poeti:perché a noi non è datoelevarci, è dato soltantoimbestiarci. E ora, Fedro, io me neandrò e tu rimarrai qui;e aspetta di non veder-mi più, per andartene.”

Thomas Mann, La morte a Venezia

Amore che slaccia la cintura a VenereJoshua Reynolds, Olio su tela, particolare - Firenze

Amore amaro

Tra l’amaro e l’amore c’è un esile confine:il mare è molto amaro, proprio come l’amore,nel mare si sprofonda come accade in amore, perché il mare e l’amore sono assaitempestosi.Chi ha paura dell’acqua, stia ben saldo allariva: chi ha paura dei mali che soffrono gli amanti

non permetta all’amore di coglierlo e infiammarlo:evitino l’uno e l’altro e il naufragio e l’incendio.La madre dell’Amore ebbe il mare per culla,dell’amor sorge il fuoco, e sua madredall’acqua, ma l’acqua contro il fuoco non può prestarriparo.Se essa potesse estinguere il mio rogo

amoroso, il tuo amore che m’arde mi dà un taletormentoche il suo fuoco avrei spento col mio mare di lacrime.

P. DE MARBEUF, “Amore amaro”, in Le miracle d’amour,a cura di M. Lever, Obsidiane, s.i.l. 1983.

Circe , Lorenzo Garbieri 1580-1654, Olio su tavola cm. 66 x 51Bologna, Pinacoteca nazionale

AmoreForte, potente

esce dal profondo

dell’anima

ad occhi chiusi

volge verso il sole

il suo sorriso interno

…e guarisce

vecchie ferite

portando una felicità

insperatache si trasforma

in dolore…

lunghi sguardi

occhi azzurri

labbra che si mordono

questa dicono sia la

vera vita

Riceviamo e pubblichiamo da una lettrice anonima questi bei versi:

FeelingPerché è così fortemi trascina altrovesenza che io possa fermarloè impossibiletravolgente, cattura, si faspasimoamoquesta è la veritàdesiderosognomi avvolgo di dolciricordisì vivo ora…

LA RECENSIONE

La polarizzazione dimensio-nale è stata spesso considera-ta, a ragione, una delle carat-teristiche fondamentali delpanorama industriale italia-

no. Il quale appariva quindi costituito,per un verso, da poche grandi imprese,pubbliche e private, operanti in settoriad alta intensità di capitale, e per l’altroda un gran numero di piccole aziende,in molti casi piccolissime, labour intensi-ve, attive soprattutto nei comparti tra-dizionali e legate a circuiti locali di for-mazione, reddito, risparmio e consu-mo. In un contesto così delineato, eraperò quasi inevitabile che si tendesse atrascurare la presenza e il ruolo dellemedie imprese. Con Il quarto capitalismo – un’espressio-ne coniata da Giuseppe Turani per di-stinguere tali aziende dalle grandi non-ché dalle microimprese dei distretti, lacosiddetta “Terza Italia” – Andrea Colliintende invece analizzare lo sviluppodi un universo, quello del Mittelstanditaliano, che appare in condizione difornire risultati eccellenti in termini diproduttività, valore aggiunto e redditi-vità complessiva. Utilizzando il meto-do della business history, egli ha pertan-to preso le mosse dall’esame delle varievicende aziendali, le ha messe a con-fronto, ed è riuscito poi a ricavare alcu-ni tratti comuni di un processo di con-siderevole crescita.È uno sviluppo che sembra aver trattobeneficio sia dalle difficoltà in cui ver-savano le grandi imprese attorno allafine degli anni Ottanta, sia dall’avventodelle privatizzazioni in seguito alla cri-si della finanza pubblica. Le dismissio-ni delle holding di Stato avrebbero con-sentito a molte imprese di dimensioninon grandi, ma neanche trascurabili, diconoscere e assorbire delle pratiche ge-stionali moderne. Afferma in propositoColli: “Se da un lato è innegabile che leproiezioni di carattere internazionalesiano andate progressivamente, e inparticolare nel corso degli ultimi duedecenni, svincolandosi dalle dimensio-ni d’impresa – per cui è proprio dai seg-menti dimensionali minori ma anchedalle agglomerazioni distrettuali chesono giunti i contributi più dinamici alprocesso di espansione sui mercati este-ri dell’industria italiana, anche in ter-mini di investimenti diretti – è altret-tanto vero che tale sviluppo va ad esal-tare il ruolo degli attori dotati di una

minima massa critica, in grado di agirecon successo avviando percorsi di cre-scita svincolati dai tradizionali modellidi fabbrica integrata”. Ecco dunqueemergere, nel corso degli anni Novanta,un consistente numero di imprese dalledimensioni medio grandi, presenti suimercati internazionali sia attraverso unarete commerciale sia mediante acquisi-zioni di unità produttive, e organizzatein forma di gruppo, con una holding aproprietà familiare che è a capo di unampio ventaglio di aziende.Ma cosa si intende per media industria?Colli prende in esame circa 350 gruppiindustriali a controllo italiano, ciascunodei quali impiega almeno 500 addetti etotalizza un fatturato netto consolidatonon superiore a 1,5 miliardi di Euro. Sitratta di gruppi che, alla fine dello scor-so decennio, realizzavano circa il 30%del fatturato delle principali società in-dustriali rilevate da Mediobanca, occu-pando il 40% dei loro dipendenti. Sottol’aspetto della distribuzione settoriale,occorre aggiungere che i comparti mag-giormente rappresentati sono quelli adalta intensità di lavoro ed elevata spe-cializzazione: per esempio il settoremeccanico, con la produzione di benistrumentali e di macchine utensili, l’edi-lizio, l’alimentare, il tessile e dell’abbi-gliamento. Riguardo infine alla colloca-zione geografica, sembra che la stra-grande maggioranza delle imprese con-siderate affondi le proprie radici nei si-stemi locali e nei distretti, ma anche nel-le aree a più antica industrializzazione.Il Mezzogiorno appare invece sostan-zialmente estraneo a questa ondata disviluppo.I gruppi hanno sovente avuto origine dapiccole aziende che, negli ultimi decen-ni, hanno dimostrato la capacità di adat-tarsi rapidamente all’evoluzione siaqualitativa che quantitativa della do-manda, dando luogo al consolidamentoe alla successiva espansione, soprattuttoall’estero. Le iniziative imprenditorialisono dunque andate a soddisfare solodei segmenti di domanda, magari invorticosa crescita. Non si è quindi trat-tato di produzioni di massa, ma estre-mamente specializzate (le lavatrici nelcaso della Candy, o i televisori in quellodella Mivar), e realizzate in manieraflessibile grazie al terzismo e al decen-tramento. Va pure rilevato che, a partiredagli anni Sessanta, le medie impresehanno realizzato acquisizioni sia per li-

Andrea Colli,Il quarto capitalismo.Un profilo italiano(Venezia, Marsilio, 2002, pp. 117-9)

L’Africa che conosco è quella cherespiro senza sentirne il sole cocente sulla pelle, è quella che emanaodori sottili e gradevoli senzache io ne assorba le impurità.

La nostra Africa non è solo il penetrante linguaggio dei tam-tam,è quella che suscita la magicaillusione dello scorrere dell’acquadei maestosi fiumi plastici e dei mille luccichii senza correreil rischio di inzupparsi le membra.

La nostra Africa è quella delle fortisensazioni, dei misteriosi rumori,dei mille colori della foresta,del fruscio dell’immenso cupo mareverde, dell’orchestra gaia, varia,

UN RICORDO

Riflessioni in posa poetica di Maria Cristina Bigarelli

La nostra Africainsidiosa, letale, infinita della faunatropicale che scuote le orecchie.

La nostra Africa è quella degliYoruba, degli Ibo, degli Hausa, deiFulani che nelle loro ricchezze tribalie nelle loro leggi semplici, vivaci,rigorose, severe, nel contempocrudeli, ma estremamente vere, ciinsegna ad amare, è quella che cirende cittadini di un mondo che in realtà ci appartiene, e che ci fa soffrire edanche gioire,che ci rattrista e ci esalta,che ci separa per poi stringerci tutticome uniti da uno splendido anellod’avorio sottile ma resistente epregiato.

La storia. 1968: poco più chetredicenne OlivieroPiacenti abbozzò la sceneg-giature di un film, Il ventodel Nord, e insieme al suo

amico di sempre Antonio MariaFrascarelli (Tonino) coniò il nome diuna ipotetica casa di produzione: laEuroSperimentalFilm. Muniti di una cinepresa 8mm apparte-nente al padre di Tonino, e di un tra-ballante treppiede, i due iniziarono alavorare coinvolgendo un gruppo dicoetanei alla realizzazione del film.Ogni bobina di pellicola da impressio-nare durava circa tre minuti e aveva uncosto tra le 2500/3000 lire, un prezzoaltissimo se si pensa che un litro dibenzina costava all'epoca 100 lire.La "produzione" ebbe delle grossepause di lavorazione perché occorrevareperire i fondi necessari per l'acquistodella materia prima. Così i mesi e glianni passavano inesorabili fino a quan-do nel 1971 un giovane laureato,Zefferino Cerquaglia, venne a cono-scenza della loro impresa; aveva otte-nuto da poco un posto di insegnante in

Sardegna e, interessatosi al progetto,decise di aiutarli inviando ogni mese5000 lire. Questo insperato aiuto per-mise loro di finire le riprese e giungerealla proiezione del film nel 1973. Il vento del Nord aveva una durata diun ora e quindici minuti e venneproiettato al Teatro Sociale di AviglianoUmbro dove ottenne un notevole suc-cesso di pubblico e di critica. Seguirono altri lungometraggi, questavolta in S8: Pensavo a noi due (1974),Storia di un autonomia (1974), Io cittadinoitaliano (1975), TG1 - TG2 - TG speciale(1976), A.A.A. Assassino cercasi (1977).Con l'avvento del SVHS nacqueroRural Comics (1988), La vera storia di SirLancillotto del Lago (1992) e i documen-tari Te lo do io il Venezuela (1989), Paris(1992), Otto giorni dall'Est all'Ovest(1993), Un caliente viaje por la Espania(1994), Praga (1995), Laghi città monti evalli d'Italia (1996), Fino alla grande diga(1997); gli spot pubblicitari ErboristeriaMonterotondo (1992), DistributoriAutomatici Illy Caffè - D.A.C. (1997); levideoclip del 1992: Pellicceria Elisa,Sartoria Pozzi, Maglieria Novella,Lingeria Gil'Asso; il back stage per ilcalendario Rimembranze 1993; ed infinele parodie di films Robin Hood al castel-lo di Sismano (2000) e Casablanca secondonoi (2002).Dopo sette anni di pausa la ESF unsogno mai dimenticato, ha ripreso vitagrazie a Paola Contili, che insieme adOliviero Piacenti è stata promotrice delnuovo gruppo di appassionati di arte ecultura cinematografica che ha comescopo quello di realizzare produzionivideo e cinematografiche privilegian-do soggetti di autori umbri girati sulterritorio; entrambi sono direttori ditutto il progetto dal 1999.

L’amante ostinato

In fondo ai fluttiposa una perla bianca.Il vento può soffiare, il mare scatenare la sua furia,non avrò requiefinché non l’avrò presa.

ANONIMO GIAPPONESE, “L’amanteostinato”, in Anthologie de la poésiejaponaise classique.

Le foglie morte

... Ma la vita separa chi si amapiano pianosenza nessun rumoree il mare cancella sulla sabbiai passi degli amanti divisi.

Jacques Prévert

Quando si parla troppo

Giorno dopo giorno invecchio,e non sono più saggio dell’annopassato.Un altro si lagnerebbe della propriasortee si darebbe molto degni consigli.Ma io non ho per me che consiglicattivi.Del resto so assai bene ciò che m’hanociuto:che non le ho mai nascosto il miotormento.Gliene ho parlato tanto e tantoche non vuole più ascoltarmi.Ora me ne sto zitto e m’inchinodavanti a lei.

REINMAR VOV HAGENAU, “Quando siparla troppo“, in Chants d’amour, trad. diB.Weis, Arfuyen, Paris, 1990.

XeniaPerchè gli “Xenia” sono soprattutto uncolloquio, un tenerissimo racconto a due voci.

Palmo su palmopalmo contro palmo

e le dita intrecciateper ancorarsi al suolo

a questo silenzio di odori,di pelledi gocce clandestine

perché il ventoche è più grande di noinon ci porti via a questi istanti

per farci appartenere all’universoche su di noiin questo momentovigila e si compiaceattento.

FERNANDO RIGON, “Rima baciata”, inDimore, Einaudi, Torino, 1989.

PROSSIMAMENTE A TEATRO

nee orizzontali – cioè in settori contigui– sia verticali: nel tessile, ad esempio, èstata frequente l’integrazione a monteattraverso l’acquisto di quote maggiori-tarie in aziende produttrici di macchineutensili, o fornitrici di materie prime. Sisono così formati dei gruppi assai con-centrati sulla propria attività fonda-mentale, composti da unità operativeche godono di un certo grado di auto-nomia. Altri hanno invece mostrato unaspiccata tendenza alla diversificazione. L’aspetto forse più interessante del“quarto capitalismo” è però la suaproiezione internazionale, che si mani-festa in particolare sotto due profili: l’e-levata incidenza delle esportazioni sulfatturato e, come già accennato, la co-stituzione all’estero non solo di reticommerciali ma anche di complessiproduttivi. Sono infatti molti i gruppiche realizzano oltre confine più dellametà delle proprie vendite, mentre peralcuni di essi le esportazioni arrivano arappresentare i quattro quinti del fattu-rato. Tuttavia, anche se internazionaliz-zati, i gruppi continuano ad avere rap-porti assai stretti con le istituzioni ban-carie locali, visto che tendono a nonchiedere risorse né al mercato obbliga-zionario né a quello azionario: d’altraparte, l’elevata redditività consente allastragrande maggioranza delle medieimprese di evitare forme di finanzia-mento eccessivamente onerose.Per concludere, alla decadenza dell’im-presa pubblica e al parziale ridimensio-namento degli esponenti tradizionalidel capitalismo italiano ha corrispostouna notevole trasformazione dei di-stretti, orientati a seguire la strada del-la presenza sui mercati mondiali me-diante lo strumento del gruppo gerar-chizzato. Sono questi i protagonisti chesono andati emergendo, nell’ultimoquarto di secolo, sulla scena economicaitaliana, e che Colli considera “unanuova, ennesima concretizzazione delmodello industriale italiano, in gradodi adeguarsi alle trasformazioni e aicambiamenti imposti dalla fase di in-ternazionalizzazione dei mercati e diglobalizzazione delle produzioni”. Cichiediamo tuttavia se il “quarto capita-lismo” sia in grado di contrastare effi-cacemente anche il declino industrialedel nostro Paese, che non ha più uncomparto informatico, vede la chimicae la farmaceutica relegate in un ruolomarginale e registra un aumento co-stante della propria dipendenza ener-getica. Se dunque il successo della me-dia impresa attesta da un lato la vitalitàdel capitalismo italiano, esso ne confer-ma dall’altro la collocazione nei settorimaturi del sistema economico mondia-le, nei quali si fa sempre più minaccio-sa la concorrenza di nazioni che riesco-no a raggiungere degli standard quali-tativi accettabili, potendo però contaresu un costo del lavoro assai più bassodel nostro.

Enrico Paventi

Allegato al n. 2 de L’Orioli Periodico di cultura, costume e società Febbraio/Marzo 2004

l’attrazione esercitata dalla bellez-za”, che “esso nasce a contatto del-la bellezza sensibile”; e sempre,dall’età classica in poi, Eros (eglistesso fanciullo incantevole) è statoraffigurato nelle opere dell’arte edella letteratura in compagnia diAfrodite, la dea della bellezza edell’armonia, della quale molto

spesso vieneaddirittura in-dicato come fi-glio.Ecco allora per-ché abbiamo ac-colto con gioiala proposta del-la Dolomia disostenere atti-vamente la no-

stra associazione; nulla ci è sembra-to più appropriato che avere comesponsor un’azienda che ha fattodella bellezza e dell’amore per ilcorpo la sua filosofia.

IL MOTIVODI UN SOSTEGNO

“Una vita senza amore è come gli al-beri senza fiori e senza frutti. E unamore senza bellezza è come i fiorisenza profumo” (Kahlil Gibran): leparole del poeta, scrittore e pittorelibanese sonoperfette per in-trodurre il te-ma a cui il se-condo numerode L’Orioli de-dica il suo spe-ciale, l’amore.Questa scintilladella vita, in-fatti, motore del mondo, ispiratoredi ogni azione, nella storia del pen-siero dell’uomo non è mai apparsodisgiunto dal concetto di bellezza:già Platone, ad esempio, afferma tral’altro nel Convito che “l’amore è

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N. 2 Febbraio/Marzo 2004 9

Non è facile inquadrarequesto eclettico artistadai molteplici interessi.È scultore, pittore, grafi-co, architetto, cineasta,

poeta, saggista impegnato. Che egli abbia una cultura a tutto cam-po lo dimostrano i suoi studi, le ricer-che, le opere, i libri e i telefilm dai qua-li traspare l’ammirazione per la culturaorientale, in particolare quella indiana esoprattutto cinese. Però influenze nonce ne sono. Possono affacciarsi solo ap-procci, e vanno lontano. Vanno all’artecinese e alle collezioni grafiche di poe-sie cinesi. Qualcosa va anche all’anticaarte egizia, indiana, azteca; qualcosa -sembra - all’Ordine dei Cavalieri Teuto-nici, alle loro favolose armature, testeimmense in quegli elmi a gorgiera “aprofilo”. Maschere? Teste metafisiche. Ilsegno, oggi, della plastica multimateri-ca dell’artista.Bernd Rosenheim nasce a Offenbachnel 1931 e qui inizia gli studi alla Kun-stschule, studi conclusi alla Städelhoch-schule della vicina Francoforte sul Me-no. Attualmente ha tre case-laboratorio:a Michelstadt, a Offenbach e in Irlanda,a Kenmare. Qui, in particolare, lo stu-dio è attrezzato per la produzione digrandi sculture di acciaio inossidabile.Fa tutto lui, progetto e manualità.Rosenheim ha lavorato anche a Roma,città di cui è innamorato. Parla benissi-mo l’italiano. Preso dalle tinte di Roma,dell’Appia antica, negli anni dal 1958 al1961 dipinge molto, ma il colore predo-mina talmente sulla forma che a un cer-to punto sparisce, ovvero è tutto colore.A seguito di un incidente - degente in-gessato per lunghi mesi - ha una pausa.Poi torna ai pennelli, ma non c’è più ilgran colore; ci sono il bianco e il nero, eun terzo elemento: la luce. Ecco la vi-brazione. La luce è inclusa nella forma,è la forza concettuale della forma, anzidella Gestaldt che è qualcosa di più del-la semplice forma. Infatti le opere diquesto periodo sono tutt’altro che privedi contenuto, perché quelle formeastratte il contenuto ce l’hanno, almenocosì dicono i titoli. Spesso appare un se-gno criptico, una gran virgola, un bec-co, un segno appunto.A Rosenheim non interressano i conte-nuti ideologici, ma la Gestaltung, laforma in sé, e il Kunstbetrieb, l’e-sercizio dell’arte, la manualità.L’artista tende allo spazio, pitturae scultura, tende alla terza dimen-sione, alla ricerca della materia, al-l’unione dei tre elementi spazio-lu-ce-vibrazione. Arriva allora l’acciaio inossidabile,che secondo lui cattura la luce. Ro-senheim entra anche nell’arte in-tegrata, progetta complessiarchitettonici, alcuni ancheutopici, ma l’utopia altronon è che un irraggiun-gibile traguardo. Un fineche non c’è mai.Nel 1970 Rosenheim crea, eallestisce con le sue mani,una grande struttura sfericatubolare del diametro di cin-que metri, che è una traspa-rente, intricata ma geome-trica composizione di tubi etubicini di acciaio inossi-dabile in parte saldati e inparte imbullonati. Lavoroda ingegnere, esibizionetecnologica, ma pursempre opera d’arte.Per la città nataledi Offenbachcompone nel1971 una strut-tura di acciaioinossidabile di4,5 metri: lamie-ra saldata, unaforma in equilibrio su unpunto, che non titola, mache i concittadini battez-zano “Flamme”. Efiamma rimane. Daallora si susseguono

RIFLESSI D’ARTERIFLESSI D’ARTE

numerose grandi sculture di acciaioinossidabile.C’è però, in tempi recenti, anche un ap-proccio all’arte antica, alla mitologia.Rosenheim si mette al di fuori dellapropria cultura. È un punto - dice - co-me il punto di Archimede, al di là dellaleva. L’incontrocon l’acciaio inos-sidabile apre una ric-ca stagione di sculturamonumentale. C’è sem-pre il “segno” dell’artista,e c’è un’allitterazione del se-gno in quelle sculture lamellaristratificate.Dopo il 1983 lo scultore tra-scura l’acciaio per introdur-re nuovi materiali, special-mente legno, bronzo, leghe,cuoio, pelle. In certi casidistende il colore e aldi sopra dipinge atempera e grafite.Dall’astratto e dal-l’astrazione Ro-senheim si inoltranel surreale. Probabil-mente memorie affonda-te nel surreale che in que-sti anni emergono dall’in-conscio. C’è un occhio allu-cinato che esce dalle tenebredel ricordo e affiora in moltecomposizioni di questo pe-riodo. Talvolta i calligrammisono i segni, quasi arabeschi,che sulla tela portano i versidell’artista. Potrebbero essere opere fi-nite, ma si sublimano. In questa atmo-sfera, dopo “Testa di Sfinge” del 1991, èimportante l’opera polimaterica“L’Ombra del Samurai”, che egli chia-ma impropriamente installazione mache tale non è nel senso di collocamen-to in un sito di pezzi o frammenti più omeno banali. È invece una poetica ope-ra pittoscultorea che si presenta comeuna specie di collage a distacco, comeun trittico parte in seconda e parte interza dimensione, nel quale la sculturaesce dal piano dipinto. Sono i calli-grammi, i versi di Rosenheim, e su diessi grava un’ombra che non è propria-mente l’ombra del soggetto, ma unastele, il trascendente Samurai. Non èun’ombra reale, è un’ombra virtuale.

Oltre a essere un autentico ar-tista, Rosenheim è un auten-tico, candido operatore arti-stico. Ama l’arte ma sa cheessa è un mondo troppo

chiuso in se stesso. Lo control-lano i critici, i galleristi, i diret-

tori dei musei, coloroche comprano in-

fluenzando il merca-to. Se non riesce aentrare nella gilda,l’artista viene buon

ultimo. Nell’ottica diquesti rigetto della cor-

porazione, Rosenheim -che di per sé non ha pro-

blemi di mercato - si inoltrasulla pericolosa strada delle

fondazioni. A Francoforte isti-tuisce generosamente una fon-

dazione per la valorizzazionedei giovani nel campo del

disegno, della pittura edella scultura. Nell’am-

bito della fondazionecomincia ad assegna-re un premio per lapittura e pubblica ilcatalogo dei pre-miati. Immerso intali meritevoli atti-vità, ha poco tempo

per il resto; ma poiriesce a tornare alla

scultura, con la grande“Sfinge” di acciaio inossida-

bile situata a Grosswangen,Lucerna. L’opera monumen-tale (5x2,30x2 metri) sorgeora sul lato della strada sta-

tale davanti all’OfficinaHeld (tecniche laser). Im-

pressionante l’installazione, avvenutain pochi minuti. I tecnici della Heldavevano preparato nel prato il basa-mento su adeguate fondazioni: unasemplice lamiera di acciaio inossidabilecon quattro fori agli angoli. La “Sfinge”

attendeva su unautocarro, coperta

da un telone. Al viauna gru altissima l’ha

sollevata contro il cieloe l’ha abbassata rapida-

mente con precisione sopra ilbasamento. Quattro bulloni

agli angoli e tutto era fatto.L’opera è stata creata e

realizzata con faticainteramente dal-l’artista stesso.

La lamiera pie-gata a fred-do sull’incu-dine, lenta-

mente: un la-voro da fabbro,

da calderaio. Unlavoro anche da

saldatore, effettuatocon bacchette Tig.Creatività e manualità.Kunstberieb. Ovvia-mente Rosenheim èorgoglioso anche diquesta sua raffinatamanualità.

RondòapocalitticoIl Cielo però è vuotoEd è un grande specchioNel quale si specchiano le paure degliuominiLo specchio restituisce a loroLe immagini dei loro pensieriE gli uomini si piegaronoDi fronte alle loro proprie immaginiSi prostraronoE le imploraronoEd egli parlò: “Non dovete crearvi idoli, Né immagini, né colonne,Né pietre dipinte nel vostro paese,Davanti a cui pregare”.Non lo ascoltaronoPerché era morto già da lungo tempo.Invece diedero un nome a quelle figureLe richiamarono alla vitaE conferirono loro potereEd esse dominaronoGli uominiE le creature degli uominiMandarono a loro piaghe di ogni genereSotto varia formaVisibili e invisibiliCosì che i popoli videro la fine dei tempi.Delle piaghe le più temibiliSono le invisibili.Arrivano sulla TerraSimili a un’invasione di cavalletteE il loro numero è uguale ai granelli disabbiaIn riva al mareE le cavallette sono simili a cavalliBardati per la guerraE sul loro capo ci sono corone Simili all’oroE il loro volto è simile a quello umano.E hanno corazze come carrarmati di ferro,E il fragore delle loro aliÈ come il fragore dei carri trainati da tan-ti cavalliLanciati alla guerra.E hanno code come gli scorpioniE aculei ...E in quei giorni gli uominiCercheranno la morteE non la troveranno, Desidereranno morireE la morte li sfuggiràMa il cielo sarà vuotoCome un grande specchio ...

Bernd Rosenheim

Bernd Rosenheim di Alessandro G. Amoroso

Alla ricerca di echi delpassato, di atmosferecolte in condizioni parti-colari d’animo e di luce,di dimensioni forse so-

gnate, ammirando le opere pittorichedi una mostra. Gli acquerelli e gli olidi Emilio Troncarelli stimolano quellaricerca, che in fondo è un viaggio in-terminabile nei territori delle proprieesperienze, della propria sensibilità,del desiderio - forse mai affiorato niti-damente - di varcare le soglie del rea-le. Nonostante l’impianto dei quadrisia figurativo, l’atmosfera che li ani-ma, però, è quasi atemporale. Una lu-ce ovattata, discreta, crepuscolare avolte, av-volge e legai primi pia-ni alle di-verse lonta-nanze: tuttosembra sulpunto d imutare, diannullars inell’ombra,o di incen-diarsi nellaluce.Le naturemorte trava-licano la pu-ra rappre-sentazione:comunicanoatmosfere metafisiche, nelle quali glioggetti esprimono la propria quoti-dianità ma assurgono, nel contempo,a modelli universali. Pur collocabili inuna spazialità definita, in uno spaziocioè chiaramente individuabile, unfrutto, un vaso, una pianta diventanoattori di un momento unico, irripetibi-

Emilio Troncarelli di Nicola Piermartini

le, senza dimensioni spaziali e tempo-rali. Nature morte, quindi, che sono il-luminazioni improvvise dell’anima,più che fenomeni ingadati dagli occhi,sia per l’essenzialità dei volumi e dellacomposizione, sia per la luminosità del-la pennellata. I brani del paesaggio ro-mano assumono caratteristiche partico-lari se impreziositi dall’olio, o se centel-linati dagli acquerelli. In questi ultimidominano cupole eteree, veleggiantinell’infinito, al di sopra della quotidia-nità; non si scorge figura umana, ma lemura e i tetti sono vivi: trasmettono ifremiti di un’attività instancabile con lacontrapposizione, la variazione, il dia-logo di colori e toni. In splendido isola-

mento sis t a g l i a n omonumenticonosciutiuniversal-mente. Glioli sono piùintimi; glielementi delpaesaggiobisbigliano,a volte nellapenombra,a volte nellaluce mattu-tina, a voltein que l lapomeridia-na, sempreperò inter-

pretati dall’originale sentire del pittore.Ponti, cupole, monumenti, case: il re-spiro dell’antico e i segni del presente silegano in maniera nuova, inusitata, nel-le opere di Troncarelli, generando emo-zioni particolari. Le evoluzioni dellepennellate sono sempre guidate dagliintenti espressivi.

Bigarelli è un uomo che ha vi-sto molto e ha molto viaggia-to. La sua attività gli ha per-messo di conoscere realtà re-mote rispetto alla nostra, si-

tuazioni diverse, retaggi di civiltà mul-tiformi.Ma il pittore Bigarelli è piuttosto coluiche mira a descrivere una grande “gal-leria” di personaggi, come accadeva untempo quando i pittori antichi costitui-vano delle “se-rie” di tele rievo-canti una fami-glia nobiliare ola storia di unordine religioso .E’ una formamoderna e deltutto insolita di“rappresenta-zione storica”,riproducente unideale visivo chel’artista si è por-tato e si portadietro ormai damolti anni di ri-cerca continua ecoerente. Lavoracon passione econ singolare ca-pacità produtti-va, in un eserci-zio continuo della mano che potrebbesorprendere in tempi come i nostri, de-diti a ben scarsa attenzione per il mo-mento tecnico nel campo figurativo.Ma è stretto il rapporto che c’è nell’arti-sta tra l’amore dell’arte in sé e il sensodi dignità etica che egli conferisce allesue immagini. Il suo occhio è ravvicina-to e partecipe, sente con intima parteci-pazione e, si può dire, ben poco condi-

zionato dal peso delle tradizioni pittori-che che lo hanno preceduto.Il suo è un rapporto immediato, dalpunto di vista della sensibilità emotiva,con la materia pittorica e non ha biso-gno di particolari supporti storiograficiper essere compreso e apprezzato.Il mondo pittorico di Bigarelli nasce e sisviluppa integralmente nella fantasiadell’artista, una fantasia tutt’altro chealiena da suggestioni culturali ma deter-

minata da unapproccio quasimagico e medi-tativo con le fi-gure che si ac-cinge a rappre-sentare. Non sisaprebbe se siapiù giusto rife-rirsi a quel con-cetto di “cono-scenza” interio-re che animatutte le cose e letrasfigura nel-l’immagine pit-torica o piutto-sto a quello diadesione a unarealtà sentitasenza alcun in-tellettualismo equindi propria,

nel senso più intimo del termine. Certo èche dalla visione dei lavori di Bigarelli siricava una compattezza e una unitarietàdi intenti degna di segnalazione nel pa-norama artistico dell’Italia contempora-nea ed è da augurarsi che alla sua operapossano accostarsi con interesse soprat-tutto i giovani che sono alla ricerca diprospettive estetiche di contenuto e di ri-spetto per il mestiere stesso dell’arte.

Il mondo pittorico di Eraldo Bigarellidi Claudio Strinati

10 N. 2 Febbraio/Marzo 2004

l’ORIOLIPERIODICO DI CULTURA, COSTUME E SOCIETÀ

Anno 1 - N. 2 Febbraio/Marzo 2004Iscritto al tribunale di Viterbo al N. 513 delRegistro Stampa con decreto del 7-2-2003

SedeVia Gramsci 11 - 01030 Vallerano (VT)

Sede amministrativa“Francesco Orioli”

(associazione culturale europea onlus) editing: Via Gramsci 11 - Vallerano (VT)

CF 90055020565www.orioli.it

E-mail: [email protected]:[email protected]

Consiglio di amministrazioneLudovico Pacelli presidente

Vittorio Arista vicepresidenteNicola Piermartini direttore responsabile

Progetto grafico Rosanna Cori

Hanno collaboratoFrancesca Rossi, Filippo Sallusto,

Mario Mariani, Miriam Nori, Sandro Piccioni, Silvia Camicia,

Vittorio Arista, Franco Lanza, Enrico Paventi, Stefania Iurescia

L’arcano della melanconia

Melanconia. Etimologi-camente: nera bile,ossia umore nero.Uno stato d’animoche vive di silenzi, di

solitudine, di penombre ed ombre.“Melanconia” è scritto sul piedistallodi una statua al centro di un quadro,dal titolo omonimo, di Giorgio DeChirico. Dipinto nel 1912, fu espostoper la prima volta a Bruxelles nel 1934,in occasione della mostra “Minotau-re”. L’invenzione del pictor optimus èmagnetica, ammaliante. L’osservatoresensibile è calamitato nel quadro: calcal’infinita distesa verde dell’erba, cura-tissima, con passi incomprensibilmen-te esitanti; si smarrisce, si stordisce, so-vrastato dagli ieratici portici incom-benti; volge le spalle alla luce radentemattutina, accecante, che lancia ombrelunghissime e vibranti; si avvicina conl’animo sospeso alla figura femminilemarmorea distesa mollemente: l’e-spressione del volto, con le palpebreabbassate e la testa reclinata su unamano, le membra possenti, opulente,le pieghe sontuose del panneggio ric-

chissimo comunicano abbandono emaestosità nel contempo. Forse l’om-bra in basso a sinistra appartiene adogni ipotetico osservatore, forse no: unpilastro cela l’identità di chi originaquell’ombra: un mistero nel mistero. Ilcielo terso e la distesa di monti lonta-nissimi sono esclusi da quel mondocircoscritto e immenso insieme: mon-do di pietra, nel quale la presenza

di Nicola Piermartini

DENTRO L’OPERA D’ARTE

Spesso il male di vivere ho incontrato:era il rivo strozzato che gorgoglia,era l’incartocciarsi della fogliariarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigioche schiude la divina Indifferenza:era la statua nella sonnolenzadel meriggio, e la nuvola,

[e il falco alto levato.

Il male di vivere: un argomento che fada sottofondo a tante liriche diEugenio Montale (1896-1981), premioNobel per la letteratura nel 1975. Ilmale di vivere: un sentimento, unamiscela di sentimenti, che, seppuremai nitidamente connotato, getta unacolorazione particolare su ogni azioneumana e, naturalmente nel caso diMontale, sull’espressione poetica.Sentimento, stato d’animo, angosciaindistinta, che è esemplificata inframmenti di realtà nella lirica“Spesso il male di vivere hoincontrato”. Sette endecasillabi e undoppio settenario di chiusura: unabreve, incalzante, fragorosa cascata diversi, che svela, però, un panoramaculturale e umano amplissimo. Ipalpiti di sofferenza interminabile,spossante, del “rivo strozzato chegorgoglia”, seppure riscontrabilirealisticamente in tante laude delmondo, non possono non richiamarealla mente e al cuore le pene,interminabili, disumane, di tanta parted’umanità, che, in silenzio spessorecita il rosario tristissimo di giorni,mesi, anni, sostenuta soltanto da uninesausto istinto di sopravvivenza. Naturalisticamente, ne “l’incartocciar-si della foglia riarsa” sono avvertiti di-stintamente gli spasimi, gli scricchio-lii, i gemiti, il frangersi inarrestabile,

sadico, impetuoso, insensibile, dell’a-nima, di un miracolo del creato, cheaveva affidato al vento, all’infinito, ilsuo canto d’amore, di giovinezza, difelicità traboccante. A questo riguar-do, la cronaca quotidiana offre una se-rie interminabile di esempi di animebelle e entusiaste seviziate, demoliteinternamente dagli accidenti più di-versi. Come la superba, apollinea vita-lità prostrata del “cavallo stramazza-to”. L’immagine della “statua nellasonnolenza del meriggio” rimandaprepotentemente alle atmosfere so-spese, dense di mistero delle “Piazzed’Italia” di Giorgio De Chirico. Piazze spesso sorvegliate da capola-vori della statuaria greca classica o el-lenistica, che assumono il ruolo di nu-mi tutelari dei luoghi o di presenzeevocatrici, ammonitrici, che il deca-dente riverbero meridiano rende an-cora più ammantate di fascino. Presenze inquietanti: aggettivo, che ri-conduce a un celeberrimo dipinto diDe Chirico, “Le muse inquietanti” del1917-1918, che sussurrano in manieratragicamente chiara, comprensibile, displendori tramontati, di età dell’orocancellate dal tempo, di fremiti com-mossi di un’umanità ingenua, ottimi-sta, sgretolati e precipitati nell’oblio.Nel verso di chiusura, lo sguardo el’anelito del poeta sono rapiti in alto,verso l’irraggiungibilità delle nuvole,del falco, dei dominatori dell’aria, co-sì lontani eppure così fragili; manife-stazioni di istanti eternamente, inces-santemente, mutevoli. Personificazioni del male di vivere; in-cisioni ermetiche, nelle quali, in pochiattimi di riflessione, è possibile ritro-vare le immagini di tante angosceoscure, mai analizzate, mai fatte affio-rare dall’inconscio.

Eugenio Montale

Spesso il male divivere ho incontratodi Nicola Piermartini

TEATRO COMUNALE “FRANCESCO ORIOLI”DI VALLERANOSABATO 21 FEBBRAIO 2004 ORE 21,00Per prenotazioni Tel. 0761 751001 Cell. 328 1235718

Associazione culturale europea “Francesco Orioli” ONLUSAssessorato alla Cultura del Comune di Vallerano

Compagnia Teatro delle Ombre associazione culturalepresentano

Il Macbeth è uno zoo? così pensaDaniele Scattina, giovane allievodi Leo de Berardinis: gufo, falco,nottola, gazza, corvo, pipistrello,topo, serpente, biscia, istrice, ro-

spo, ranocchia, ramarro, lucertola, ca-pra, capriolo, tigre, pantera, leone e co-sì via. Sono solo alcuni degli animalievocati nel dramma di Shakespeare.Sembra motivato, pertanto, il titolo da-to allo spettacolo: “L’animalità di Mac-beth”. Ma l’animalità è del personag-gio o del dramma? Sulla scena non sirisponde a questa domanda. Ciò che ilBardo denuncia è la vanità della vio-lenza e la lotta per il potere - si sa. Lavita è un’ora di recita insensata, futilee cruenta. Nel Macbeth non si parladella crudeltà, che è scontata, ma dellagrandezza del male. Scattina ha sceltola traduzione di Salvatore Quasimodo:un capolavoro in una lingua viva epungente che fomenta buone proved’attore. Il regista ha sfrondato e inter-polato il testo e definisce il suo laoro“d’avanguardia”. Un pò frettolosa-mente, credo. La sua lettura non èavanguardistica, ma classica: riportain auge l’aura novecentesca di ladyMacbeth (Danila Bellino è una verascoperta) rendendola motore della tra-gedia. L’interpretazione “classica”

prosegue nella malinconia conferita airuoli principali, in particolare Banquo,già un’ombra prima di diventarlo ef-fettivamente (l’ottimo Marco di Cam-pli San Vito). E le streghe, vera invenzione, a metàsospese fra Tim Burton e il Rocky Hor-ror Picture Show, fluttuano nel buio,lacerano di suoni e voci le tentazionidegli ambiziosi (sono Rita Gianini,Alesssandra Dell’Atti e Manuela DiSalvia). Godibili gli inserimenti di Va-sco Montez e ben calibrati anche gli al-tri. Daniele Scattina come interpretesconta un pò il doppio lavoro (meglioil regista). Ma questo bello spettacolo

sempre coinvolgente scivola verso unameta con coerenza e una disperatamaieutica, credo non involontaria: laprogressiva distruzione della virilitàdi Macbeth da parte della lady, l’irri-sione costante e silenziosa dell’uomoinfecondo, ispiratrice di sangue e fol-lia, come se la cieca violenza predato-ria fosse una rimozione sessuale, o ad-dirittura - sembra - un atto non com-piuto. L’allestimento del Teatro delleOmbre è coaduivato da opportunescelte musicali (da Stockhausen a ArvoPart) di Giandomenico Finamore.

Luca Archibugi

Lo Zoo crudele di MacbethTEATRO

umana è ospite, tollerata, transitoria.Anche se l’uomo lo ha costruito. Unasorta di ribellione della creatura control’artefice. I palazzi con portici debor-dano dal quadro. Non c’è, però, curio-sità di conoscere dove e come essi si ri-solvano. Tutto è compiuto, concluso inquell’ambientazione: perfezione com-puterizzata, scaturita dalla mente diun demiurgo, che ha voluto, più o me-no consapevolmente, stupire e atterri-re l’umanità. Umanità, esemplata indue figure lontane: ombre nel contro-luce, ombre su ombre, delle quali nonsi scorgono lineamenti ed espressioni.Nei loro atteggiamenti si leggono titu-banza, sottomissione, ma anche attra-zione irresistibile verso la fonte dellaMelanconia. Si avvicinano lentamentea quella fonte: forse per sapere, forseper rendere omaggio, forse per annul-larsi. E lei, nell’impassibilità e nellagrazia ellenistiche, è il cuore pulsantedi quel microcosmo: cuore di roccia vi-va, ora forse insensibile, malato incu-rabilmente della Melanconia di chi havisto, e sofferto, gli splendori e i decli-ni di tante civiltà.

Le persone fisiche possono:Detrarre dall’imposta lorda il 19% del-l’importo donato a favore delle ON-LUS fino ad un massimo di 2065,83euro (art. 13 bis, comma 1 lettera i-bisdel D.P.R. 917/86).

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III.a STREGADUNCANMALCOM

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ROSSPORTIERE

BANQUOMACDUFF

LADY MACBETHMACBETH

ADATTAMENTO TESTICOLONNA SONORA

TECNICO LUCIREGIA

DIRETTORE DI SCENA

Rita GianiniAlessandra Dell’AttiManuela Di SalviaVincenzo SartiniMassimiliano MagniChiaraGioncardiMarcello RinaldiPierre BresoliunVasco MontezMarco di Campli San VitoCristiano VaccaroDanila BellinoDaniele Scattina

Paola BianchiGiandomenico FinamoreFrancesca ProsciuttiDaniele ScattinaRaffaella Leproni

L’Associazione CulturaleEuropea “FrancescoOrioli” o.n.l.u.s., costi-tuita nell’anno 2000,persegue esclusivamen-

te finalità e solidarietà sociali nel cam-po della promozione culturale e del-l’arte. La sua attività spaziadalla realizzazione e ge-stione di spettacoli al-l’organizzazione dimanifestazioni, semi-nari, rassegne, mo-stre, festival, concor-si, con l’intento dipropagandare e va-lorizzare ogni aspettoculturale ed artistico.L’associazione intendeanche organizzare riunio-ni e conferenze con persona-lità del mondo della cultura e isti-tuire premi nel campo artistico e lette-rario. Attenzione speciale sarà riserva-ta alla tutela e al recupero del patri-monio artistico del territorio come

mezzo di salvaguardia delle tradizio-ni, di arricchimento individuale e dipromozione turistica. Perché il nome“Francesco Orioli”? Nato a Valleranonel 1783, morto a Roma nel 1856, fisi-co, medico, etruscologo, storico, poe-ta, saggista, drammaturgo, poeta e fi-

lantropo, Orioli è stato una trale ultime incarnazioni del-

l’universalismo umani-stico, interprete di unacultura globale chenulla rifiuta di quan-to eleva l’uomo ver-so la scienza, la crea-tività, la liberalità, lagiustizia e la bellezza.

Dato l’orizzonte euro-peo delle sue esperien-

ze, il suo nome si racco-manda anche nel segno del-

l’attualità interdisciplinare ed in-ternazionale come modello per un so-dalizio valleranese e viterbese, che nel-la cultura persegua ad ampio raggio ivalori che informarono la sua vita.

Per informazioni ed eventuali adesioni si prega si consultareil sito www.orioli.it o contattarci tramite le nostre

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Infoline 335.414687 fax 0761.751914

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