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N. 48 Anno XIV n.6 /98 - DICEMBRE 1998 - Sped. a. p. - art. 2 - comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Torino - Organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium Loc. Carbignano 36 10020 Verrua Savoia TO Tel. 0161.83.93.35 - Fax 0161.83.93.354 - IN CASO DI MANCATA CONSEGNA SI PREGA DI RINVIARE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TARIFFA PRESSO CMP TORINO NORD Tassa Riscossa - Taxe Perçue. TORINO CMP

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EditorialeEditorialeSodalitium si fa in tre

Questo Natale Sodalitium compie quin-dici anni. Nato come mensile, divenu-to trimestrale, è ormai da un po’ di

tempo, anche se solamente di fatto, un seme-strale! Un nostro preciso impegno, pertanto,sul finire di questo anno 1998, è quello di ri-tornare a pubblicare almeno quattro numeridi Sodalitium all’anno, se questa è la volontàdi Dio. Se la periodicità lascia quindi un po’ adesiderare (e la colpa è principalmente del di-rettore!), ci sembra che la rivista abbia fattodei passi da gigante, in rapporto a quell’ormailontano 1983, quanto al numero di pagine e,lo speriamo, anche quanto alla qualità di ogninumero, dalla grafica ai contenuti. Malgradole difficoltà, dovute in buona parte alle posi-zioni altamente “scorrette”, Sodalitium ha or-mai acquistato il suo spazio nella cosiddettabattaglia delle idee: viene letto, consultato,diffuso spontaneamente tra i lettori, guada-gnando una sia pur piccola autorità morale.Di fronte all’esiguità dei nostri mezzi, il suc-cesso di Sodalitium è per noi oggetto di spe-

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ranza, poiché la nostra forza non consiste nelnumero o nel denaro, ma nella perenne vali-dità delle idee, che sono quelle della Chiesacattolica. Perché questo desidera essere sem-pre Sodalitium: una rivista cattolica, uno stru-mento di apostolato, per la gloria di Dio, lasalvezza delle anime, l’esaltazione della Chie-sa e l’umiliazione dei Suoi nemici. Cattolici,quindi, e niente più: né “tradizionalisti”, né“lefebvristi”, e neppure “sedevacantisti”.

Pur interessandosi a tutto quanto concer-ne la vita e la dottrina della Chiesa e della re-ligione cattolica, Sodalitium propone ai suoilettori un approfondimento qualificato su al-cuni temi ben determinati: lo studio del-l’ebraismo, quello della massoneria e dell’eso-terismo, l’analisi attenta del Vaticano II, dellasua storia e dei suoi documenti, nonchédell’insegnamento successivo sino a noi, gliargomenti teologici, soprattutto sul magisterodella Chiesa e il suo valore. Infine l’attualità,non sempre esente da polemiche, riguardantel’eterogeneo fronte dei cattolici che si oppon-gono alle riforme conciliari. Non a tutti i letto-ri interessa ogni argomento da noi trattato;tutti i lettori possono però trovare qualche co-sa che li interessi. Questo approfondimento,che fa la qualità di Sodalitium, rende però lanostra rivista difficile per alcuni, arida per al-

“Sodalitium” Periodico - n° 48, Anno XIV n. 6 Dicembre 1998

Editore Centro Librario Sodalitium

Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA TOTel.: 0161.839335 Fax: 0161.839334

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C/CP 24681108

Direttore Responsabile don Francesco RicossaAutorizz. Tribunale di Ivrea n. 116 del 24-2-84

Stampa: AGES - Torino

Ai sensi della Legge 675/96 sulla tutela dei dati personali, i datiforniti dai sottoscrittori degli abbonamenti verranno trattati informa cartacea ed automatizzata e saranno utilizzati esclusiva-mento per invio del giornale oggetto di abbonamento o di altrenostre testate come copie saggio e non verranno comunicate asoggetti terzi. Il conferimento dei dati è facoltativo ed è possibileesercitare i diritti di cui all’articolo 13 facendone richiesta al re-sponsabile trattamento dati: Centro Librario Sodalitium.

In copertina: San Pietro Martire. Dipinto delGuercino del 1647 (Pinacoteca Civica di Cento, prov.di Ferrara).

✍ SommarioEditoriale pag. 2La Tomba di Pietro e il primato di Roma pag. 3Controrivoluzione e Giudeo-massoneria pag. 14Il Papato Materiale (parte seconda) pag. 23L’Osservatore Romano pag. 36Brevi notizie sulla Fraternità S. Pio X pag. 50VITA SPIRITUALE: Il Figliuol Prodigo pag. 54

Della morte pratica (S. Alfonso) pag. 60RECENSIONI: Da Cranmer a Montini… pag. 62

Segnalazioni pag. 64Vita dell’Istituto pag. 67

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tri, troppo complessa per passare tra tutte lemani o essere utilizzata per l’azione concreta.A questa difficoltà, che ci era da tempo pre-sente, abbiamo cercato di porre rimedio: So-dalitium si fa in tre!

Sodalitium si fa in tre (anzi, in quattro, seconsideriamo che esce di già in edizionefrancese e edizione italiana): senza nullamutare o diminuire della serietà della rivistaprincipale nelle sue due edizioni (cercandoanzi di migliorarne, come detto, la periodi-cità), Sodalitium si affianca due altri stru-menti di lavoro e di apostolato.

Il primo, la Rassegna stampa di Sodali-tium, è una realtà da Voi già conosciuta. Es-sa segue, su parte della stampa nazionale esu quella specializzata, gli argomenti di cuisopra, diventando, per le persone interessa-te, uno strumento utilissimo per articoli, con-ferenze, citazioni ecc. Il secondo, che vuolelimitarsi volontariamente a poche pagine e sichiamerà Il Buon consiglio, è un Sodalitiumpiù semplice, più svelto, più attento alla vitaspirituale e alle verità basilari del cristianesi-mo, un tempo note a tutti ma oggi dimenti-cate dalle persone semplici come da quellecolte. Nel nostro intento, si tratta di un foglioche può penetrare in tutte le case, facendodel bene a tutti e invogliando chi è interessa-to all’approfondimento e alla lettura del So-dalitium classico. Sodalitium e Il Buon consi-glio si ricevono su domanda e con libera of-ferta; la Rassegna stampa, a prezzo modicis-simo, alla portata di tutte le borse.

Vi sarà chi leggerà volentieri le tre rivistein una; chi invece ne leggerà solo una o due:confidiamo che tutti trovino qualche cosa dibuono nei nostri scritti, per sé o per gli altri.A questa attività della buona stampa, biso-gna aggiungere l’edizione di libri ed opuscoli,curata dal Centro librario Sodalitium: in que-sto campo abbiamo raggiunto un innegabilesuccesso, inaspettato per noi stessi.

Ridotti a piccolo numero, i sacerdoti nonpossono oggigiorno essere ovunque, comevorrebbero, a soccorrere le anime poste tut-te in una estrema necessità. Con la preghie-ra, si riesce ad essere presenti spiritualmenteanche dove fisicamente si è assenti. Dopo lapreghiera (senza la quale tutto è sterile), ciilludiamo di fare un po’ di bene anche con loscritto, raggiungendo facilmente le personepiù lontane, sotto tutti i punti di vista.

Se solo riuscissimo in questo modo aportare una sola anima a Dio, saremmo pa-ghi delle nostre fatiche.

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LA TOMBA DI PIETRO E ILPRIMATO DI ROMA

don Curzio Nitoglia

La tomba di Pietro

La tradizione della Chiesa vuole che Pietro,prescelto da Gesù ad essere suo Vicario

in terra, venisse a Roma e vi morisse martire,durante la persecuzione di Nerone, crocifissoa testa in giù, e fosse sepolto in Vaticano, vici-no al luogo del suo glorioso martirio. Sullasua tomba, divenuta ben presto oggetto di ve-nerazione, nel IV secolo sorse per volere diCostantino, la prima Basilica vaticana.

Questa tradizione si offre alle indaginidella scienza. La professoressa MargheritaGuarducci (già titolare della cattedra di Epi-grafia e Antichità greche all’Università “LaSapienza” di Roma, socio nazionale dell’Ac-cademia Nazionale dei Lincei, socio ordina-rio della Pontificia Accademia Romana diArcheologia, membro di varie altre accade-mie italiane e straniere, fra cui la British Aca-demy in Inghilterra e la Mainzer Akademie inGermania, è anche Presidente della Commis-sione per le Inscriptiones Italiae, ed è inoltreautrice di oltre quattrocento scritti, pubblicatiin Italia e all’estero) ha studiato scientifica-mente la questione, lavorando a partire dal1952 nei sotterranei della Basilica Vaticana,riuscendo a decifrare gli antichi graffiti sottol’Altare della Confessione (1958) e infine aidentificare le reliquie di S. Pietro (1964).

Nel presente articolo mi baso su alcunisuoi libri, che cito abbondantemente, e aiquali rinvio il lettore che volesse approfon-dire la questione (1).

«Il Magistero dei Papi (...) non sarebbeconcepibile se non fondato a Roma, sulla tom-ba dell’Apostolo al quale il Redentore affidòle chiavi del Regno dei Cieli. Tale pensiero fupiù volte espresso da Pio XII. Egli era convin-to che non senza una provvidenziale volontàRoma fosse divenuta centro dell’Impero diAugusto, per poi trasformarsi nel “centro spi-rituale dell’orbe cristiano”. Ma se Roma era ilcentro della Chiesa universale, il punto focaledi questo centro era la tomba di Pietro» (2).

Archeologia

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Antiche notizie sul martirio e sulla tomba diPietro in Vaticano

Vi sono due fonti, autorevolissime e as-sai vicine ai fatti narrati, le quali provanochiaramente che S. Pietro subì il martirio inVaticano. Esse sono: S. Clemente romano eTàcito.

1) S. Clemente romanoAlla fine del I secolo S. Clemente papa,

uno dei Padri della Chiesa, parlando dellapersecuzione di Nerone (64 d. C.), attestache i Cristiani si raccolsero in quella occa-sione attorno agli Apostoli Pietro e Paoloper attingerne la forza necessaria a superarela prova (Epistola ai Corinzi, I, 5-6).

«Ora poiché la tenacissima tradizionesuccessiva lega (...) Pietro al Vaticano e poi-ché noi sappiamo (...) con certezza che Pie-tro morì crocifisso, ne risulta che almenoPietro fu vittima del massacro avvenuto nel64 in Vaticano» (3).

2) TàcitoIl grande storico romano, verso la fine del

II secolo, attesta che Nerone, dopo l’incendiodi Roma (64 d. C.), incolpato dalla voce po-polare di averlo provocato, volle addossarnela colpa ai Cristiani e scatenò contro di essiuna feroce persecuzione. Questa ebbe il suoepilogo, sempre secondo Tàcito (Annali, XV,44), nel Circo negli horti dello stesso Neronein Vaticano, che era l’unico luogo di spetta-coli rimasto a Roma dopo l’incendio del 64.Qui molti cristiani perirono.

Le quattro principali fonti letterarie sullatomba petrina

1) GaioA Roma, durante il pontificato di papa

Zefirino (199-217), un dotto fedele romano dinome Gaio polemizzò con Proclo, capo deiMontanisti romani. Poiché Proclo vantava lapresenza in Asia minore di certe tombe famo-se dell’età apostolica, Gaio oppose a quelletombe i “trofei” o tombe gloriose degli Apo-stoli Pietro e Paolo, esistenti rispettivamentein Vaticano e sulla via Ostiense. Le parole diGaio sono riportate da Eusebio (Storia eccle-siastica, II, 25, 7), il famoso storico della Chie-sa, che scriveva nella prima metà del IV seco-lo; appare perciò chiaro che all’epoca di Gaio(III secolo) e di Eusebio si sapeva che la tom-ba di Pietro era in Vaticano.

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2) Gli Atti apocrifi degli Apostoli attribuitial senatore Marcello

Il senatore Marcello, secondo la tradizio-ne, sarebbe stato amico di S. Pietro e con-vertito da lui. Gli Atti apocrifi risalgono alIV secolo. Secondo questo testo Pietro fusepolto «nel luogo che si chiama Vaticano».

3) S. GirolamoNel De viris illustribus, composto nel

392, S. Girolamo afferma che Pietro fu se-polto in Vaticano e qui venerato dai fedelidi tutto il mondo.

4) Il “Liber Pontificalis” nella “Vita” di pa-pa Silvestro

La composizione del Liber Pontificalis fucominciata nel VI secolo; orbene secondotale opera Pietro «fu sepolto sulla via Aure-lia (...) presso il luogo ove fu crocefisso (...)in Vaticano».

Da queste quattro testimonianze risultacon certezza l’esistenza della tomba di S.Pietro in Vaticano.

Gli scavi sotto la Basilica

Il 2 marzo 1939 il cardinale Eugenio Pa-celli venne eletto Papa e prese il nome di PioXII. E fu il Papa che dopo tanti secoli squar-ciò il velo di mistero che avvolgeva la tombadi Pietro, permettendo alla scienza di con-frontarsi con la tradizione e di confermarla.

Il 28 giugno 1939, Pio XII impartì l’ordi-ne di abbassare il pavimento delle Grottevaticane. Era l’inizio di una straordinariaimpresa.

Gli scavi durarono una decina d’anni(1940-1949) e si conclusero alla vigiliadell’Anno Santo. La relazione ufficiale diessi uscì nel novembre 1951. I lavori di scavofurono affidati alla responsabilità di Monsi-

“Trofeo di Gaio” del IV secolo eretto sulla tombadell’apostolo S. Pietro

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gnor Ludwig Kaas, segretario-economo del-la Fabbrica di San Pietro, uomo onesto, maprivo di preparazione nel campo dell’ar-cheologia; la direzione affidatagli era di ca-rattere non già scientifico ma soprattuttoamministrativo-morale. Gli studiosi che par-teciparono ai lavori furono: il professor En-rico Josi; due Padri Gesuiti: Antonio Ferruaed Engelbert Kirschbaum; l’architetto Bru-no Maria Apollonj Ghetti.

Anormalità degli scavi

«È lecito ritenere [commenta la Guar-ducci] che mancasse talvolta, tra i quattrostudiosi addetti ai lavori, una piena armoniad’intenti e di decisioni (...) la scarsa coesionetra i quattro (...) continuò (...) per tutta ladurata dei lavori (...). Si usarono - nello sca-vo - sistemi incredibilmente primitivi e som-mamente dannosi. (...) Credo si possa affer-mare che gli scavi del periodo 1940-1949non furono eseguiti ad opera d’arte o, per lomeno, secondo le comuni regole vigenti ne-gli scavi archeologici. (...) Pio XII (...) midisse (...): “Se lei sapesse quanto mi hannofatto tribolare”. È una frase abbastanza elo-quente. Da essa risulta (...) che, almenosull’ultimo, le relazioni fra il Papa e gli sca-vatori non dovevano essere delle più cordia-li. Anche dopo l’annuncio dato dal Papa nel1950, doveva permanere nell’animo di (...)P. Ferrua, un certo risentimento (...)» (4).

Gli scavi portarono alla scoperta, sotto laBasilica vaticana, di una vasta necropoli diepoca pagana con successivi elementi cristia-ni. L’estrema zona Ovest della necropoli sitrova sotto la cupola di Michelangelo, ossiasotto l’Altare della Confessione. Sotto questoaltare, gli scavi rivelarono l’esistenza di unaserie di monumenti sovrapposti. Comincian-do dall’altare attuale (di Clemente VIII,1594) e procedendo verso il basso, si trovano:l’altare di Callisto II (1123); l’altare di Grego-rio Magno (590-604), che restò incluso nelsuccessivo altare di Callisto; il monumentofatto costruire da Costantino ancor primadella Basilica (circa 321-326); dentro il monu-mento costantiniano un’edicola funeraria (fi-ne II - inizio III secolo): il cosiddetto “trofeodi Gaio” (5). L’estremità Ovest della necro-poli comprende un’area abbastanza vasta,chiamata dagli archeologi “Campo P”. Essa èdelimitata da un muro, detto “Muro rosso”dal colore dell’intonaco che lo ricopriva. Alcentro del “Muro rosso” è una nicchia semi-

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circolare e un po’ più in alto un piccolo muro,chiamato “Muro g”, ricoperto sul lato nordda una selva di graffiti. Il “Muro rosso” conla nicchia semicircolare fa da sfondo al cosid-detto “Trofeo di Gaio”: la mensa votiva che iCristiani innalzarono, nel II secolo, sulla tom-ba terragna nella quale era stato sepolto ilcorpo di S. Pietro nel 64. Tale “Trofeo” è det-to di Gaio dal nome dello scrittore cristiano(di cui abbiamo parlato sopra) del III secolo,il quale asserisce che la tomba di Pietro è aRoma in Vaticano. Sotto il “Trofeo di Gaio”,gli archeologi di Pio XII ritrovarono il luogodella sepoltura primitiva (tomba terragna),ma lo trovarono vuoto; come mai? Ciò sispiega pensando che agli inizi del IV secoloCostantino fece costruire, sul luogo dell’anti-co “Trofeo di Gaio”, una grande Basilica acinque navate, il cui altare maggiore era ubi-cato esattamente sopra la tomba dell’Aposto-lo. Il medesimo imperatore aveva fatto racco-gliere le ossa di S. Pietro dall’umida tombaterragna, e - avvolte in un prezioso tessuto diporpora e d’oro - le aveva fatte riporre in unasciutto e decoroso loculo marmoreo ricava-to in un muro (il “Muro g”) che già sorgevaaccanto alla sepoltura primitiva. La paretenord del “Muro g” era coperta da una ”selvaselvaggia” di graffiti, fra i quali spiccavanoanche i nomi di Cristo, di Maria e di Pietro,ma gli autori degli scavi non riuscirono a de-cifrare quel groviglio di segni!

Al termine dei lavori, gli studiosi giunse-ro a stabilire che i vari monumenti costruitisopra l’Altare della Confessione, per iniziati-va di alcuni Papi poggiano tutti, sovrappo-nendosi, sull’antico monumento di Costanti-no. In breve gli scavi ordinati da Pio XII con-fermarono archeologicamente quanto già latradizione insegnava: la tomba di S. Pietroesiste ancor oggi sotto l’Altare papale.

Nel messaggio natalizio del 1950, il Pon-tefice annunziò al mondo: «È stata vera-mente trovata la tomba di S. Pietro? A taledomanda la conclusione finale dei lavori edegli studi risponde con un chiarissimo: Sì.La tomba del Principe degli Apostoli è stataritrovata. Una seconda questione, subordi-

Il graffito “Pètros enì”

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nata alla prima, riguarda le reliquie del San-to. Sono state esse rinvenute? Al marginedel sepolcro furono trovati resti di ossaumane; dei quali però non è possibile prova-re con certezza che appartennero alla spo-glia mortale dell’Apostolo».

La professoressa Guarducci identifica le re-liquie di S. Pietro

Si era dunque ritrovata con certezza latomba di Pietro, ma le ossa del Santo sem-bravano essere scomparse. Il merito del rin-venimento di esse va attribuito principal-mente a Margherita Guarducci. La quale co-minciando a interessarsi degli scavi vaticani,vi portò il metodo che da lungo tempo avevaadottato e raffinato: vale a dire quello dellaricerca scientifica rigorosa, essendo da moltianni studiosa di professione e titolare di unacattedra universitaria. La storia del ritrova-mento ha del giallo poliziesco.

Perché le reliquie del Principe degli Apo-stoli non furono ritrovate nel loculo marmo-reo del “Muro g” (sulla destra del “Trofeo diGaio”, innalzato nel II secolo sopra la sepol-tura primitiva o tomba terragna, dove S. Pie-tro fu sepolto nel 64 d. C.) dove Costantinole aveva fatte riporre nel IV secolo? Per ca-pirlo bisogna risalire al 1941, quando Monsi-gnor Kaas, per controllare personalmente ilprocedere dei lavori, verso sera (a Basilicachiusa) faceva un giro d’ispezione nella zonadegli scavi, accompagnato dal “sampietrino”Giovanni Segoni. Una sera, durante l’ispe-zione, Monsignor Kaas notò che all’internodel “Muro g”, in mezzo a vari detriti, affiora-vano alcune ossa umane. La loro presenzaera sfuggita ai quattro studiosi che lavorava-no agli scavi durante il giorno. Ma non sfug-girono all’occhio vigile ed attento del Monsi-gnore tedesco. Per un senso di rispetto versoi resti dei defunti, Monsignor Kaas decise diseparare le ossa dai detriti, e di farle metteredal Segoni in una cassetta di legno che lostesso Segoni e Monsignor Kaas depositaro-

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no in un magazzino delle grotte vaticane.«Con ciò [scrive la Guarducci] MonsignorKaas aveva salvato, pur non sapendolo, lereliquie di Pietro» (6).

Nel 1952 la professoressa Guarducci chiesedi poter visitare gli scavi. Suo desiderio era ve-dere coi suoi occhi un’epigrafe che si vedeva inun disegno pubblicato da A. Ferrua il 5 gen-naio 1952 nella rivista “La Civiltà Cattolica” eil 16 gennaio nel quotidiano di Roma “Il Mes-saggero”. Si trattava di un disegno ricostrutti-vo dell’edicola eretta in onore di S. Pietro nelII secolo. A destra, era disegnata sul muroun’iscrizione greca: PETR / ENI. La Guarduc-ci pensò che ENI potesse essere una formacontratta di ENESTI (“è dentro”), donde ri-sultava la frase “Pietro è qui dentro”. Era ne-cessario però verificare se la frase potesse con-tinuare verso destra, nel qual caso il senso po-teva essere diverso. Quando, però, la professo-ressa, guidata dall’ing. Vacchini, poté visitarela zona degli scavi, rimase profondamente de-lusa: là dove l’iscrizione così interessanteavrebbe dovuto trovarsi, c’era invece un largosquarcio nell’intonaco. Il frammento fu trova-to da Padre Ferrua, che per motivi oscuri se loportò a casa finché, quando nel 1952 la cosa furisaputa, per ordine di Pio XII dovette resti-tuirlo al Vaticano nel 1955 e la Guarducci potéstudiarlo. Vide così che la riga superioredell’iscrizione inclinava verso il basso, impe-dendo la continuazione della seconda riga.Quindi la lettura ENI e la conseguente inter-pretazione della professoressa risultavanoconfermate. L’epigrafe acquistava così ungrandissimo valore (7). Intanto, nel 1953, laGuarducci aveva cominciato a studiare i nu-merosissimi graffiti esistenti sul “Muro g”, chei precedenti studiosi erano riusciti a decifraresolo in minima parte. Risultato della sua deci-frazione furono i tre volumi editi nel 1958 dal-la tipografia vaticana: I graffiti sotto la Confes-sione di San Pietro in Vaticano.

La Guarducci stessa racconta così la vi-cenda: «Mentre mi scervellavo per trovareuna via dentro quella selva selvaggia [di graf-fiti] mi venne in mente che forse mi sarebbestato utile sapere se qualche altra cosa fossestata trovata nel sottostante loculo, oltre ipiccoli resti descritti dagli scavatori nella rela-zione ufficiale. Era, per caso, vicino a meGiovanni Segoni, da poco promosso a gradodi “capoccia” dei sampietrini. A lui (...) rivol-si (...) la mia domanda, ed egli mi rispose sen-za esitare: “Sì, qualche altra cosa ci deve esse-re, perché ricordo di averla raccolta io con le

La professoressaMargherita Guarducci

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mie mani. Andiamo a vedere se la troviamo”.Egli mi guidò allora verso il deposito dei ma-teriali ossei (...). Entrai dunque dietro il Se-goni, per la prima volta, in quell’ambiente.Lì, fra casse e canestri pieni di materiali osseie di altre cose varie, giaceva ancora al suolola cassetta che più di dieci anni prima il Sego-ni stesso e Monsignor Kaas vi avevano depo-sta (...). Un biglietto, infilato tra la cassetta eil coperchio, molto umido ma ancora perfet-tamente leggibile, dichiarava che quel mate-riale proveniva dal “Muro g”. Il Segoni midisse di averlo scritto egli stesso (...). Credettiopportuno e doveroso portare subito la cas-setta nello studio dell’ingegner Vacchini e qui(...) la cassetta fu aperta e ne estraemmo ilcontenuto. Vi trovammo una certa quantitàdi ossa, di colore spiccatamente chiaro, fram-miste a terra (...) frammenti d’intonaco rosso,piccolissimi frammenti di stoffa rossastra in-tessuta di fili d’oro (...). Debbo dire (...) [con-tinua la Guarducci] che già mi era balenataalla mente l’idea, ovvia del resto, che il loculodel “Muro g” fosse destinato in origine ad ac-cogliere le reliquie di Pietro (...). Allora però,davanti ai resti recuperati, io mi sentii forte-mente scettica (...)» (8).

L’eminente studiosa voleva che lo studiodi quelle ossa fosse condotto con estremo ri-gore scientifico e da diversi specialisti di scien-ze sperimentali e soprattutto antropologiche.

Come antropologo fu scelto il noto profes-sor Venerando Correnti che studiò le ossacontenute nella cassetta. Ecco il risultato deisuoi studi. Le ossa appartenevano ad un unicoindividuo, di sesso maschile e di robusta costi-tuzione, la cui età oscillava tra i sessanta e isettanta anni; esse costituivano circa la metàdello scheletro e rappresentavano tutte le partidel corpo, tranne i piedi; alcune ossa presenta-vano tracce di colore rossastro che facevanopensare ad un tessuto che le avesse avvolte.

Ora tutti questi elementi si adattavanoalla perfezione a S. Pietro.

Frattanto essendo purtroppo scomparso,nel 1958, Pio XII, Giovanni XXIII prese inmano la questione della tomba e delle reliquiedi Pietro, ma la Guarducci nota che: «A lui[Giovanni XXIII] però mancavano quell’inna-to impulso di amore verso Roma e la visionedi quel vastissimo orizzonte culturale che ave-vano acceso in Pio XII uno straordinario inte-resse per i sotterranei della Basilica Vatica-na»(9). Nondimeno le ricerche continuarono.

Tutti i dati scientifici fin allora raccolti, uni-tamente all’epigrafe “Pietro è qui dentro” (del

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“Muro rosso”), fecero sì che la Guarducci po-tesse annunciare a Paolo VI il 25 novembre1963 che, con grande probabilità, le reliquie diS. Pietro erano state finalmente ritrovate.

Intanto altre indagini scientifiche venneroestese al campo merceologico e chimico (con-dotte dalla professoressa Maria Luisa Stein edal professor Paolo Malatesta dell’Università“La Sapienza” di Roma) e portarono, perquanto riguardava i tessuti, ai seguenti risul-tati. Si trattava di una stoffa finissima tinta diautentica e costosa porpora di murice; l’oroera autentico e finissimo: lo stesso tipo di tes-suto porporino intrecciato con oro nel qualevenivano avvolti i corpi degli Imperatori!Tutto ciò confermava che il corpo sepoltonella tomba terragna e poi avvolto in porporaed oro dentro il loculo costantiniano fossequello del Principe degli Apostoli: S. Pietro!

Anche la terra incrostata alle ossa fu sot-toposta ad esame petrografico dai professoriCarlo Lauro e Giancarlo Negretti: si tratta-va di sabbia marnosa del tutto simile allaterra del “Campo P”, il che confermava laprovenienza di quelle ossa dal loculo inter-rato o tomba terragna che giaceva sotto il“Trofeo di Gaio” del II secolo.

A conclusione di tali accertamenti e di altriancora, compiuti negli anni seguenti da altriscienziati, Paolo VI, il 26 giugno 1968, annun-ciò ai fedeli che le ossa di S. Pietro erano stateritrovate ed identificate. Tuttavia nel discorsodi Paolo VI, la Guarducci trovò delle reticen-ze, inesattezze e contraddizioni, dovute al vec-chio pregiudizio anti-romano ed anti-petrino.Infatti il testo suona così: «Non saranno esau-rite con ciò le ricerche, le verifiche, le discus-sioni e le polemiche (...) abbiamo ragione diritenere che siano stati rintracciati i pochi (...)resti mortali del Principe degli Apostoli». E laGuarducci commenta: «La frase (...) è pocoaderente al vero. Nel giugno del 1968, le ricer-che e le verifiche erano oramai praticamenteesaurite. Tutto era stato chiarito (...). Inoltrenon era esatto definire le reliquie dell’Aposto-lo come “pochi... resti” (...) esse erano, al con-trario, relativamente molto abbondanti: incomplesso circa metà dello scheletro. Questo(...) fu l’annuncio di Paolo VI: un annuncio senon perfetto, almeno però in quel momentosufficiente, anzi provvidenziale» (10).

Il 27 giugno 1968 le reliquie di S. Pietrofurono solennemente riportate con un rogi-to notarile nel loculo del “Muro g”, doveCostantino le aveva fatte deporre nel IV se-colo e donde ventisette anni prima Monsi-

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gnor Kaas le aveva inconsapevolmente tolte,salvandole dalla probabilissima dispersione.

«A questa memorabile cerimonia PaoloVI non fu presente. Ciò è indubbiamentestrano. La sua presenza infatti in una simileoccasione era quasi indispensabile. (...) Qua-le motivo lo indusse a non comparire? Ri-nuncio a fare ipotesi. Mi limito a constatareche la sua strana assenza svalutò un poco (...)la solennità dell’annuncio da lui dato» (11).

Ma il più bello doveva ancora venire... In-fatti «La morte di Paolo VI [scrive la Guar-ducci] peggiorò la mia condizione rispetto al-la fabbrica di S. Pietro e insieme (...) aprì lar-gamente agli avversari i sotterranei della Ba-silica. Uno dei primi segni (...) fu la decisione(...) di porre fine alle mie visite guidate inquei sotterranei (...) Ma la mia meravigliacrebbe ancora di più quando monsignor Za-nini mi dichiarò che neanche a me personal-mente sarebbe stato concesso, d’allora in poi,di tornare davanti a quei graffiti e a quel lo-culo che mi erano costati tanti anni di fatico-so lavoro» (12). E la professoressa continua:«Sono costretta a dire (...) qualche parola in-torno all’atteggiamento assunto (...) da (...)Giovanni Paolo II. (...) Da quando (...) siedesul trono pontificio, non ho mai potuto avereun diretto contatto con lui. Poco dopo la suaelezione, gli ho mandato (...) alcuni miei scrit-ti su S. Pietro, ma non ho mai saputo se egli liabbia, o meno, graditi. Due volte gli ho chie-sto, per vie normali, udienza, ma invano» (13).

Conclusione

Con il ritrovamento della tomba e delleossa di S. Pietro, la tradizione storica dellavenuta di Pietro a Roma, della sua perma-nenza nell’Urbe immortale quale suo Ve-scovo, del suo martirio e della sua sepoltura,riceve una conferma scientifica irrefutabile econsolantissima per il Cattolicesimo.

Inoltre tale rinvenimento conforta ciò cheil Magistero della Chiesa ha sempre sostenu-to: il primato sugli altri Apostoli che Cristoha conferito a Pietro si trasmette ai Vescovidi Roma, in forza della successione sulla cat-tedra di Pietro, a Roma, fino alla fine delmondo. Ed è per questo che gli avversari del-la Chiesa romana hanno più volte negato lapresenza della tomba di Pietro a Roma.

Il primato spirituale di Roma

La Guarducci, nei suoi scritti, ha esami-

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nato l’argomento del primato della Chiesaromana non dal punto di vista teologico, masulla base di varie discipline: la letteraturacristiana e pagana, la filologia, la storia anti-ca e medievale, l’archeologia e l’epigrafia.

IL PRIMATO DI ROMA NELCRISTIANESIMO PRIMITIVO:

Roma mèta dei pellegrini

«Il primato di Roma nell’antica età cri-stiana fu ben presto dimostrato dai viaggi (...)che gli esponenti di varie Chiese intrapreseroverso Roma. Che cosa mai poteva attirarli al-le rive del Tevere (...) se non la Chiesa roma-na, di cui essi riconoscevano il prestigio dellafama e di una reale, preminente autorità? Einfatti (...) essi venivano a Roma per esporreai capi della Chiesa romana i loro problemi,per chiedere consigli ed aiuti» (14).

Fondata da S. Pietro e S. Paolo, che aRoma erano stati martirizzati e sepolti, laChiesa romana cominciò ben presto ad atti-rare a sé i fedeli delle altre Chiese cristiane,ma fu soprattutto durante il II secolo che ta-le richiamo divenne evidente.

Attorno al 154, S. Policarpo, vescovo diSmirne, discepolo dell’Apostolo Giovanni, ven-ne a Roma per chiedere consiglio direttamenteal papa Aniceto, sulla data in cui si dovesse ce-lebrare la Pasqua (questione allora dibattuta esulla quale le Chiese d’Asia dissentivano daRoma). Nel 178 S. Ireneo da Lione, che avevaavuto come maestro S. Policarpo, venne a Ro-ma per conferire con papa Eleutero.

«Questi viaggi (...) dimostrano (...) chenell’età più antica la Chiesa di Roma primeg-giava fra le altre e che le altre ne sentivano ilfascino e ne riconoscevano l’autorità» (15).

Le cause del primato

La potenza politica di Roma, che in queitempi era capitale dell’Impero, contribuì adar lustro alla Chiesa romana. Ma si trattòsoltanto di un contributo e non della causaprincipale del primato spirituale esercitatoda Roma. Vi furono infatti altri motivi di ca-rattere spirituale.

S. Ireneo da Lione

S. Ireneo, nell’Adversus haereses (III 1-2), opera composta tra il 175 e il 189, si do-manda come sia possibile riconoscere la ve-

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ra Tradizione cattolica. La risposta è che bi-sogna studiare l’insegnamento che gli Apo-stoli trasmisero ad ogni Chiesa locale chefondarono. Per far ciò è necessario risalireper la serie dei vescovi che in ogni Chiesalocale succedettero l’uno all’altro, fino araggiungere l’inizio di ogni serie. Ma poichél’impresa sarebbe così troppo lunga, è me-glio limitare l’esame alla sola Chiesa di Ro-ma, che è quella che è, «la più grande e lapiù importante e conosciuta da tutti, fondatae istituita dai due gloriosissimi Apostoli Pie-tro e Paolo. A questa Chiesa, per la sua piùforte preminenza [potentior principalitas] ènecessario che convenga ogni Chiesa, cioè ifedeli che provengono da ogni parte delmondo; ad essa, nella quale (...) fu sempreconservata la Tradizione apostolica». S. Ire-neo continua dicendo che attraverso la serieininterrotta dei vescovi, la Tradizione divi-no-apostolica è giunta sino a noi.

Ma perché, potremmo domandarci, laChiesa di Roma è la più importante?

I motivi li troviamo già riassunti in S.Ireneo: 1°) È la più grande e la più impor-tante. 2°) È universalmente nota. 3°) Fu fon-data dagli Apostoli Pietro e Paolo. 4°) Gode

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in tutto il mondo fama di una salda fede.«Tutto ciò [commenta la Guarducci] cor-

risponde alla verità. La Chiesa romana eraindubbiamente, a quei tempi, la più grandeed universalmente conosciuta. Aveva poiavuto l’eccezionale privilegio di essere statafondata da ambedue gli Apostoli che, dopoaver portato a Roma il messaggio di Cristo,vi avevano subìto il martirio e vi erano statisepolti in tombe ancora visibili e venerate.Quanto poi al merito della Fede universal-mente nota, Ireneo non fa che riecheggiarela frase scritta da Paolo nella sua Epistola aiRomani: “La vostra Fede viene annunciatain tutto il mondo” (I, 8). Per tali motivi Ire-neo riconosce alla Chiesa di Roma una “piùforte preminenza”, cioè un’autorità superio-re a quella di ogni altra Chiesa. [E siccome]la Chiesa di Roma supera in autorità tutte lealtre, è necessario (...) che tutte le altreChiese mettano capo ad essa. Ireneo insom-ma vede idealmente la Chiesa di Roma co-me centro della Chiesa universale» (16).

ALTRI DOCUMENTI, TRA LA FINE DEL I E LAMETÀ DEL III SECOLO

1) L’Epistola di S. Clemente romano ai CorinziNel 96 d. C. alcuni giovani della Chiesa

di Corinto, rivoltatisi contro gli anziani sa-cerdoti di quella comunità, li avevano depo-sti. S. Clemente scrive ai Corinzi la sua fa-mosa lettera per riportare la concordia traloro. Egli cita l’esempio della perfetta disci-plina dell’esercito romano e asserisce checausa della discordia sono state l’invidia e lagelosia. L’Epistola clementina fu accolta aCorinto con grande venerazione. Sappiamoinfatti dalla Storia ecclesiastica di Eusebioche ancora intorno al 170 essa veniva lettadurante la Messa domenicale.

«Nella sua famosa epistola (...) Clementenon accenna esplicitamente al primato dellaChiesa di Roma, ma la sua stessa iniziativadi rivolgersi alla Chiesa di Corinto in vestedi ammonitore e di paciere dimostra ch’eglisentiva fortemente la preminenza spiritualedella sua Chiesa» (17).

2) L’Epistola di S. Ignazio d’Antiochia, aiRomani

«Varcati i limiti del I secolo, ci s’imbattesubito in un’esplicita affermazione del pri-mato spirituale della Chiesa di Roma. Vo-glio dire quella di Ignazio, vescovo di Antio-chia nella Siria» (18). La Chiesa di Antiochia

Il “Muro g” con il loculo in cui si trovavano le ossa di S. Pietro

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era stata fondata dallo stesso S. Pietro edera guidata all’inizio del II secolo da S. Igna-zio, che aveva conosciuto personalmente S.Pietro e S. Paolo. Nel 107 S. Ignazio fu in-carcerato, condannato a morte e avviatoverso Roma ad bestias, nel Colosseo. «Se-condo Ignazio, la Chiesa romana presiede-va, cioè era preminente, rispetto alle altreChiese del mondo cristiano» (19).

3) L’epigrafe di AbercioAbercio, vescovo di Ierapoli, scrive tra il

170 e il 200 d. C. e rievoca il ricordo di unviaggio compiuto a Roma durante il regnodi Marco Aurelio (161-180). A quei tempiesisteva il grande impero Romano e Romane era la capitale. Roma stessa era conside-rata regina aurea. Albercio scrive: « (...) ilquale [Cristo] mi mandò a Roma per vedereil regno e la regina dall’aurea veste e dagliaurei calzari. E vidi lì un popolo avente unosplendido sigillo». È chiaro che il regno e laregina sono Roma, il popolo è quello roma-no dominatore del mondo, la sua potenzaera concepita come uno splendido sigillo im-presso su di esso. «Ma se si riflette un poco[scrive la Guarducci] è inconcepibile cheCristo stesso abbia mandato a Roma un suovescovo apposta per conoscere da vicino ilregno di Marco Aurelio, per contemplare lebellezze della città regina e per constatare lapotenza del popolo romano. Sotto l’inter-pretazione ovvia ci dev’essere un senso piùprofondo che soltanto (...) il Cristiano, è ingrado di cogliere. Il “regno” può esserequello di Cristo in terra e la “regina dall’au-rea veste” (...) può essere concepita come laChiesa universale che a Roma possiede ilsuo centro visibile» (20). Cercando a Roma ilregno e la regina vestita d’oro, Abercio di-mostra di concepire la Chiesa di Roma co-me la prima tra le altre. Inoltre scrivendoche Cristo stesso lo ha mandato a Roma,Abercio dimostra di non credere che il pri-mato della Chiesa di Roma dipenda dallapotenza politica dei Romani, ma sia un pri-mato spirituale per volontà di Gesù Cristo.

LA PRIMA METÀ DEL III SECOLO

1) TertullianoNato attorno alla metà del II secolo da

una famiglia pagana, si convertì al Cristiane-simo. Poi si avvicinò all’eresia dei Montani-sti attorno al 213. In una delle sue primeopere (De praescriptione haereticorum) risa-

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lente al 200 circa, quando era ancora cattoli-co, cioè legato e sottomesso al Papa e allaChiesa universale di Roma, accenna al pri-mato della Chiesa romana: parla di Pietrocome della pietra sulla quale Cristo fonderàla sua Chiesa, colui al quale Cristo stesso af-fiderà le chiavi del Regno dei Cieli, inoltredichiara che proprio “da Roma deriva anchea noi [Cristiani] l’autorità”.

2) Clemente alessandrinoEgli definisce Pietro come l’eletto di Cri-

sto, il primo degli Apostoli. Commenta poiil passo di Matteo (XVII, 27) in cui Cristoordina a Pietro di pagare il tributo per sé eper il Maestro, con lo statere trovato nellabocca del pesce che per primo avrebbe ab-boccato all’amo, come segno di un legamestrettissimo e speciale tra Cristo e Pietro.

3) OrigèneAnche per Origène Pietro è “il grande

fondamento”, la “pietra solidissima” sullaquale Cristo ha basato la sua Chiesa.

Conclusione

Abbiamo constatato che tra la fine del Ie la metà del III secolo, il primato spiritualedella Chiesa romana veniva generalmentericonosciuto in tutto l’orbe cristiano. Al ri-conoscimento del primato si associava poiquello dell’universalità. «La Chiesa di Ro-ma, ed essa sola, era la Chiesa universale, laChiesa di Cristo» (21).

ALTRI PRIMATI DELLA CHIESA DI ROMA

La più antica Basilica cristiana “ufficiale”:la Basilica Lateranense

Roma ha, tra gli altri, il primato di posse-dere la più antica Basilica cristiana ricono-

I contenitori di plexiglas con le ossa di S. Pietro

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sciuta come tale anche dall’autorità civile, an-zi addirittura costruita da essa: S. Giovanniin Laterano. Essa è legata al nome dell’Im-peratore Costantino e al ricordo della vitto-ria riportata da lui, contro l’empio Mas-senzio, presso il Ponte Milvio, alle porte diRoma, il 28 ottobre 312.

È noto che il culto cristiano si svolgevanei primissimi tempi nelle varie case dei Cri-stiani, e che poi si sentì il bisogno di avereedifici speciali adibiti espressamente al cultodivino. Edifici di questo genere dovetterosorgere abbastanza presto, probabilmentegià nel III secolo, negli intervalli tra le variepersecuzioni. Da quanto scrive Eusebio diCesarea, in Asia non mancarono edifici de-stinati al culto, ancora più antichi della Basi-lica Lateranense. «Ma fra questi edifici e laBasilica Lateranense corre (...) una differen-za sostanziale. Mentre quelli furono costruitiper iniziativa di zelanti vescovi (...) la Basili-ca Lateranense fu eretta per volere della som-ma autorità civile dell’imperatore e natural-mente anche a spese di lui. Costantino (...)prese su di sé l’intero costo dell’opera» (22).La Basilica Lateranense fu perciò il primoedificio cristiano riconosciuto come tale. Aquesta prerogativa se ne aggiunse un’altra,quella di essere l’unica Basilica cristiana ri-masta dopo tanti secoli ancora viva e vitale.

È assai probabile che la decisione di erige-re una grande Basilica come ex voto a CristoSalvatore, fosse presa dall’Imperatore subitodopo la vittoria su Massenzio presso il PonteMilvio. La zona del Laterano apparteneva, altempo di Costantino, al patrimonio imperiale.La Guarducci spiega che probabilmentequando Costantino entrò vittorioso a Roma,prese dimora nella casa del Laterano. Quan-do poi, alla fine del gennaio 313, partì da Ro-ma si compiacque di lasciare la casa del Late-rano a papa Milziade. Non è perciò strano chel’Imperatore volesse far costruire la futura

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cattedrale di Roma nella medesima località,molto vicino alla ex-casa dell’Imperatore, ora-mai casa del Papa. La Basilica fu dedicata -secondo un’antica tradizione - il 9 novembre.Ora, poiché la dedica delle chiese avvenivaabitualmente di domenica, considerando l’etàdi Costantino e di papa Silvestro (succedutonel 314 a Milziade), e durante il cui pontifica-to la Basilica fu in gran parte costruita, ci sioffre la scelta tra il 9 novembre 312 e il 9 no-vembre 318. Ma è fisicamente impossibile chela dedica sia avvenuta il 9 novembre 312, valea dire circa dieci giorni dopo la battaglia delPonte Milvio. Resta allora il 318.

Annesso alla Basilica sorse, per volontàdell’Imperatore, il Battistero, dedicato a S.Giovanni Battista. Questi due edifici furonocostruiti con il materiale più prezioso dei piùbei templi pagani di Roma, e furono ornatisenza risparmio col fasto intonato alla ex-casaimperiale, nella quale, papa Milziade e i suoisuccessori sarebbero andati ad abitare. AllaBasilica fu assegnata la rendita annua di 4.390solidi, al Battistero quella assai più ingente di10.234 solidi. Ma per quale motivo la renditadestinata al Battistero era tanto maggiore diquella concessa alla Basilica? Perché i 10.234solidi dovevano comprendere l’appannaggiodel Papa che allora aveva l’esclusivo diritto diamministrare il Battesimo in quell’edificio.

Nella seconda metà del XII secolo la Basi-lica era ancora dedicata soltanto a Cristo Sal-vatore, ma più tardi assunse anche il nome diS. Giovanni dai due oratorii annessi al Batti-stero. Dopo il periodo dell’esilio avignonese(1305-1377) i Pontefici abbandonarono defini-tivamente la loro antica dimora in Laterano,ma la Basilica Lateranense restò sempre laCattedrale di Roma e sempre e soltanto adessa spettò il titolo di “Archibasilica”. Essaviene nominata anche Caput ecclesiarum, Ma-ter ecclesiarum, Magistra ecclesiarum, Papalissacrosanta Archibasilica Lateranensis Cathe-dralis Romae, «perché tutti da essa ricevonoimpulso e Magistero» (Giovanni Diacono).

Se il lettore desidera approfondire questiargomenti può consultare l’opera della pro-fessoressa Guarducci Il primato della Chiesadi Roma (pagg. 81-102).

Roma città predestinata

Gli Atti degli Apostoli (XXIII, 11) narra-no che Cristo stesso si presentò in sogno a S.Paolo per annunciargli che, com’egli avevadato testimonianza su di lui a Gerusalemme,

L’apertura del “Muro g” dopo l’introduzione dei contenitori di plexiglas

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così avrebbe dovuto darla anche a Roma.Ed ancora gli Atti, parlando della tempestache colse S. Paolo durante il viaggio da Cre-ta in Italia, fanno intervenire un Angelo perrassicurare l’Apostolo che sarebbe uscito il-leso dal pericolo, perché era necessario cheS. Paolo “si presentasse a Cesare”, cioè arri-vasse a Roma (XXVII, 23).

Nel VI secolo Giacomo di Sarûg, vissutoin Mesopotamia, accennando agli Apostoliche affidarono alla sorte la scelta del paesein cui ognuno di essi avrebbe dovuto predi-care il Vangelo, considera un «divinum (...)opus» la sorte che assegnò Roma a Pietro.Era infatti, secondo lui, volontà di Dio che«il primogenito dei fratelli», cioè il Principedegli Apostoli, portasse il messaggio di Cri-sto alla «madre delle città», cioè Roma.

Roma ha ricevuto dal Cristianesimo unprivilegio unico: quello di una perenne vita-lità. «Altre città famose del mondo anticoerano morte, l’una dopo l’altra, (...) Roma in-vece rimase, e rimane, grazie (...) al Cristiane-simo. In essa, infatti all’Impero caduco fon-dato da Augusto, subentrò l’impero perennedella Chiesa universale, cioè “cattolica”» (23).

Il motivo e la garanzia dell’universalità edella perenne vitalità di Roma va ricercato, -come fa notare la professoressa Guarducci -nella presenza in Roma della tomba e dellereliquie di S. Pietro, l’Apostolo sul qualeCristo stesso dichiarò di voler fondare la suaChiesa, promettendo che le forze del malenon avrebbero prevalso su di essa.

La conferma della Teologia e del Magistero

Il Papa è per diritto divino successore diS. Pietro nel Primato: che è il supremo pote-re monarchico su tutta la Chiesa, quale Ge-sù istituì e affidò a Pietro e che durerà finoalla fine del mondo nella persona dei Papi.Compiuta l’elezione e l’accettazione, il Pon-tefice romano ha per diritto divino lo stessopotere supremo di giurisdizione che Gesùdiede a Pietro, come suo Vicario e Capo vi-sibile di tutta la Chiesa. Questa è la fede del-la Chiesa.

È disputato se Roma sia sede di Pietroper diritto divino o ecclesiastico: vale a direse Gesù abbia scelto Roma come Sede dellasua Chiesa, oppure la scelta l’abbia fattaPietro. La prima tesi è sostenuta da S. Ro-berto Bellarmino, che si fonda su S. Marcel-lo I e S. Ambrogio.

Monsignor Piolanti scrive così: «Ci si

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chiede quale legame esista tra la sede di Ro-ma e il primato di governo nella Chiesa. È in-sostenibile che tale legame sia dovuto ad unsemplice fatto storico e dipenda dall’arbitriodella Chiesa, che potrebbe scioglierlo, ricono-scendo il primato a un altro vescovo, anchecontro la volontà del Romano Pontefice. (...)Sembra esagerata l’affermazione di MelchiorCano, Gregorio di Valenza e soprattutto di S.Roberto Bellarmino, secondo cui la sceltadella sede di Roma sia stata indicata esplici-tamente da Cristo. Con minore probabilità(...) si è pensato (Paludano, Soto, Bañez) cheS. Pietro abbia scelto Roma come sede defi-nitiva per pura deliberazione personale, on-de, con la stessa libertà, il suo successore po-trebbe trasferirsi ad altra sede. Comunemen-te si ritiene che la scelta di Roma non fu sen-za una speciale provvidenza divina (...) (Fran-zelin, Palmieri, Billot...). Pertanto nessunopuò mutare tale scelta, neppure il Papa; inqualunque luogo risieda (ad es. ad Avignone)egli è sempre il Vescovo di Roma» (24).

In breve Pietro, ispirato da Gesù Cristo,scelse Roma come sede del Papato (questa èla tesi più comune).

Ultime riflessioni

Il primato spirituale di Roma come pri-ma si è visto, fu ben presto riconosciuto daiprimi Cristiani. Nel riconoscimento di que-sto primato hanno avuto una grande impor-tanza sia la constatazione dell’universalitàdella Chiesa di Roma, sia la certezza che aRoma vi era stata la predicazione degliApostoli Pietro e Paolo, che proprio a Ro-ma avevano subìto il martirio ed erano statisepolti. La Chiesa nei primi Vespri del 29giugno canta:

«O Roma felix, quae duòrum Prìncipum Es consecràta gloriòso sànguine!Horum cruòre purpuràta cèterasExcèllis orbis una pulchritùdines ». (O Roma felice, che sei stata consacrata

dal sangue glorioso dei due Apostoli! Im-porporata dal loro sangue, tu sorpassi tuttele altre bellezze di questo mondo).

Il fatto poi che a Roma esistesse la tombadi Pietro, l’Apostolo sul quale Gesù stesso ave-va dichiarato di voler fondare la sua Chiesa,era di capitale importanza per il riconoscimen-to di tale primato. La Chiesa di Cristo è quellafondata su Pietro; ora la tomba e le reliquie diPietro sono a Roma, nel Vaticano; quindi lavera Chiesa di Cristo è quella Romana.

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La Guarducci conclude: «Sarebbe (...)pericoloso, dimenticare (...) che tra la dottri-na unica del Cristianesimo e quelle degli al-tri due monoteismi esistono anche profondicontrasti, sui quali non è lecito passar sopracon indifferenza. Si pensi infatti che dogmafondamentale della Religione cristiana èquello della Trinità divina (...) Ora nulla disimile si ritrova nelle altre due religioni mo-noteistiche. Si rifletta poi che, mentre per ilCristianesimo fondamento essenziale è l’av-venuta Incarnazione del Figlio di Dio (...)tale Incarnazione è negata dagli Ebrei (...).Quanto poi all’Islamismo, si ricordi che iMusulmani rifuggono (...) dall’idea che Dioabbia un “figlio” e che questo “figlio” abbiapotuto subire il supplizio infamante dellacrocifissione. La prospettiva del Cristianesi-mo verso il futuro resta quella indicata dallostesso Cristo. Parlando di se stesso, nelquarto Vangelo (Giov. X, 11) come delBuon Pastore (...), il Redentore afferma diavere altre pecore che non sono ancora delsuo ovile, ma che lo diverranno. Egli pensanaturalmente ai discepoli futuri, (...) cheverranno (...) nel corso dei secoli, ad ingros-sare il gregge da Lui raccolto in Palestina.Alla fine dovrà esservi - Egli afferma - “unsolo gregge ed un solo Pastore” (Giov. X,16). E come avverrà questa felice unione?(...) Essa avverrà grazie all’opera degli Apo-stoli, ai quali (...) seguiranno i missionari.

E dove avrà la sua sede (...) l’unico ovilebenedetto che ospiterà fino alla consuma-zione dei secoli il gregge di Cristo? La rispo-sta è facile, oggi ancora più facile che nelpassato: l’avrà a Roma. È infatti accertato(...) che a Roma (...) la Chiesa cattolica (...)è - per miracolosa eccezione - materialmen-te fondata sulle autentiche reliquie di Pietro.A Roma, dunque, debbono rivolgersi glisguardi di chi pensa al futuro del mondo cri-stiano e onestamente lavora per esso» (25).

«Si può esser ormai certi - scrive ancorala Guarducci - che la Chiesa di Roma è fon-data (...) sulle autentiche reliquie di Pietro.Non si può non ripensare alle famose paroleche Cristo gli rivolse, dichiarando che su dilui Egli avrebbe edificato la sua Chiesa (...).Tutto ciò (...) è garanzia che la Chiesa di Ro-ma, governata da Pietro e via via dai suoisuccessori, vivrà, sia pure con alterne vicen-de di ombre e di luci, fino alla consumazionedei secoli. E allora si dovrà pensare allaChiesa di Roma anche nel celebre passo delVangelo di Giovanni (X, 16) nel quale Cristo

(...) annuncia che nel suo ovile dovranno en-trare le pecore che ancora non ne fanno par-te e vi sarà (...) un unico gregge ed un unicopastore. E dove sarà la sede di quest’ovilebenedetto cui allude la parola profetica delRedentore? Evidentemente a Roma e nonaltrove» (26). Per riassumere la Basilica di S.Pietro (simbolo della Chiesa romana) è co-struita sulle reliquie di Cefa o Pietro, che si-gnifica roccia. Ora «nella Bibbia Dio è spes-so chiamato “pietra” o “roccia” (Deut. 32, 4-15, 18; 2 Sam. 22, 32; Sal. 18, 3; Is. 44, 8) (...).Gli Ebrei si abbeveravano da una “pietra”spirituale “che li accompagnava” (...). Non sitratterebbe di una pietra materiale ma solodi Cristo che accompagnava sempre il suopopolo (S. Giovanni Crisostomo)» (27). S.Paolo stesso scrive: «Bevevano da una pietraspirituale che li accompagnava, e questa pie-tra era il Cristo» (28).

Perciò la Chiesa romana è fondata suPietro, costruita materialmente (come Basi-lica-simbolo) sulle sue reliquie e Pietro spiri-tualmente è Cristo. Quindi la Chiesa di Cri-sto è quella romana e nessun’altra! La pro-fessoressa Guarducci termina così: «Su que-ste [reliquie di Pietro] è materialmente fon-data la Chiesa di Roma (...). Cristo, dichia-rando a Pietro di voler fondare su di lui lasua Chiesa (...) [ha] voluto profeticamente

“Nicchia dei Pallii”. Notare l’asimmetria delle pareti laterali: dietro la parete più

grande si trovano le ossa di Pietro

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alludere proprio alla Chiesa di Roma, ed al-la sua continuità lungo il corso dei secoli fi-no all’ultimo giorno (...). Sotto l’altare dellaBasilica [vaticana] si trovano ancora, mira-colosamente superstiti, i resti mortali di quelPietro che, per volere di Cristo, è stato, è esarà fondamento della sua Chiesa» (29).

Note

1) M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro. Una straordi-naria vicenda, Rusconi, Milano, 1989; Le reliquie di Pie-tro in Vaticano, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato,Roma 1995; Le chiavi sulla pietra, Piemme Casale Mon-ferrato 1995; Il primato della Chiesa romana, RusconiMilano 1991.

2) M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro... op. cit., pag. 10.3) Ibid., pag. 13. 4) Ibid., pagg. 29-40. 5) M. GUARDUCCI, Le reliquie di Pietro... op. cit., pp. 15s.6) M. GUARDUCCI, La tomba di Pietro…, pag. 84. 7) M. GUARDUCCI, Le reliquie..., op. cit. pagg. 46-50;

Le chiavi sulla Pietra, op. cit, pagg. 28-32.8) Ibid., pagg. 85-87. 9) Ibid., pag. 73. 10) Ibid., pag. 118. 11) Ibid., pag. 120. 12) Ibid., pagg. 133-134. 13) Ibid., pag. 139. 14) M. GUARDUCCI, Il primato della Chiesa di Roma

Rusconi, Milano, 1991, pag. 9. 15) Ibid., pag. 14. 16) Ibid., pag. 18. 17) Ibid., pag. 24. 18) Ivi.19) Ibid., pag. 26.20) Ibid., pag. 38. 21) Ibid., pag. 43. 22) Ibid., pagg. 71-72. 23) Ibid., pag. 141. 24) A. PIOLANTI, Primato di S. Pietro e del Romano

Pontefice, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vatica-no, 1953, vol X, coll. 17-18.

25) M. GUARDUCCI, Le chiavi sulla Pietra, Piemme,Casale Monferrato, 1995, pagg. 58-59.

26) M. GUARDUCCI, Guida ai sotterranei della Basili-ca vaticana, Piemme, Casale Monferrato, 1996, pagg.82-83.

27) S. CIPRIANI, Le Lettere di S. Paolo, CittadellaEditrice, Città di Castello, 1965, pagg. 177-178.

28) I Cor. 10, 4.29) M GUARDUCCI, Le reliquie di Pietro in Vaticano,

op. cit. pag. 133.* Il lettore potrà avvalersi anche della Videocasset-

ta: La tomba di san Pietro a Roma, Mimep-Docete, viaPapa Giovanni XXIII, 2 - 20060 Pessano (MI) Tel. eFax: 02-950 40 75; 957 41 935 (L. 15.000).

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CONTRORIVOLUZIONE EGIUDEO-MASSONERIA

don Curzio Nitoglia

La rivoluzione francese portò a termine e fecetrionfare un lungo processo storico di scristia-

nizzazione e secolarizzazione, che si può definirerivoluzionario. Ad esso si oppose e si oppone unascuola di pensiero cattolica, la quale è detta spessocontrorivoluzionaria, che cercò di analizzare le ori-gini e le cause del fenomeno avversato, nonché irimedi da opporvi. Solo poco a poco però gli autori“controrivoluzionari” misero perfettamente a fuo-co l’oggetto delle loro ricerche. Sulla scia di unostudio di G. Miccoli (1) don Nitoglia mostra come,a partire dal 1870, il principale agente della rivo-luzione fu identificato, da questa scuola di pensie-ro e soprattutto dal Magistero Ecclesiastico, nellagiudeo massoneria. Una identificazione che adessofa discutere, e viene spesso dimenticata.

Sodalitium.

Dalla polemica controrivoluzionaria alla lot-ta contro la Giudeo-massoneria

Anche nei migliori scritti contro la Rivo-luzione e nella polemica cattolica contro laciviltà moderna o secolarizzata, precedenti ildecennio 1870-80, il Giudaismo non occupa-va un posto centrale e di primo piano.

Con la presa di Roma da parte dei Pie-montesi, il pensiero del Papa e della Segre-teria di Stato (e conseguentemente dei gran-di pensatori e polemisti cattolici, sia laici cheecclesiastici), si precisa: il Giudaismo post-biblico diventa il simbolo della “modernità”e della secolarizzazione della società, il ver-me che ha roso la Cristianità, il principaleartefice della congiura anti-cristiana, che èsfociata nella Rivoluzione (“satanica nellasua essenza”).

L’Ebraismo fino al 1870 costituisce sì unpericolo grave per i polemisti antirivoluziona-ri, ma soltanto potenziale; esso è lo strumen-to piuttosto che l’agente attivo e principaledella congiura anti-cristiana. «Nella cospira-zione dei sofisti, dei filosofi, degli empi, deimassoni depositari del segreto supremo dellasetta, dei giacobini, qual’è ricostruita e rac-contata da Barruel [Mémoires pour servir à

La questione ebraica

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l’histoire du Jacobinisme, Londra, 1797-98],gli ebrei non hanno parte. Così come non fi-gurano nelle altre analisi contemporanee chedescrivono e individuano i caratteri della “ri-voluzione”: valga per tutte Les considérationssur la France [1797] di Joseph de Maistre…La polemica antimassonica che infuria tra gliemigrati francesi non conosce traccia degliebrei, se non per denunciare i favori loro con-cessi. L’elenco dei cospiratori che hanno tra-mato per decenni contro il trono e l’altare di-venta il luogo comune di tutta una pubblici-stica minore: esso ignora gli ebrei» (2).

Il Giudaismo è ancora totalmente assentenell’ottimo lavoro, in dodici volumi, cheMonsignor Jean-Joseph Gaume dedica a Larévolution, tra il 1856 e il 1858. In esso eglisviscera il problema del cesarismo o ghibelli-nismo, come ritorno della filosofia politicapagana, che negando la subordinazione delSovrano temporale al Papa è fonte della Ri-voluzione o di dis-Ordine; dell’Umanesimo edel Rinascimento come tappe fondamentalidel risveglio dello spirito pagano, non solo incampo politico ma anche in quello delle ten-denze e passioni umane, che porterà al Pro-testantesimo e alla Rivoluzione francese (3).

Nei Caratteri della vera religione propostiai giovanetti dell’uno e dell’altro sesso, stam-pati nel 1809 dall’“Accademia di religionecattolica”, uno dei centri dell’intransigenti-smo romano, l’autore dedica un paragrafointero agli ebrei, ma afferma: «Gli ebrei...non sono i nostri maggiori nemici. Noi neabbiamo altri più pericolosi, ...voglio dire inostri pseudo-filosofi» (4).

Joseph de Maistre nei suoi Quatre chapi-tres sur la Russie, pubblicati postumi nel1859, accenna en paissant alla pericolositàdegli ebrei; essi però non sono la principalecausa degli attuali sconvolgimenti, ma sonopiuttosto pedine degli illuminati di Bavierao della Massoneria decaduta che avrebbeperso, secondo il pensatore savoiardo, la suapurezza originale (5).

Anche la Civiltà Cattolica sino agli anniSettanta nominerà solo di sfuggita gli Ebrei.«Artefici primi della rivoluzione restano lamassoneria e le sétte» (6).

A questo quadro «fa eccezione L’Egliseromaine en face de la révolution di J. Créti-neau-Joly... La prima edizione dell’opera fupubblicata nel 1858… gli ebrei non sonomenzionati molte volte… Ma un elementoimportante per gli sviluppi futuri viene messoin piena luce: la juiverie dà la parola d’ordine

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e il salario ai giornalisti, gli ebrei controllanol’intera stampa... “I deicidi complottano con-tro il Calvario una rivincita che è durata di-ciannove secoli” (vol. II, pag. 450). Per que-sto gli ebrei sono penetrati nelle sétte... MaCrétineau Joly, che parla sempre di quelquesjuifs, di certains juifs, ha cura infine di rilevar-lo esplicitamente: “Il numero di ebrei che en-trarono in questa lotta di odio e di vendettafu assai ristretto” (vol. II, pag. 334). Nella suaricostruzione complessiva i grandi nuclei dicospiratori nascono e maturano altrove: tra leeresie, il giansenismo, il gallicanesimo, il filo-sofismo, la massoneria, le diverse sétte.

Un’indicazione precisa tuttavia era statadata. Crétineau Joly l’aveva scritto esplicita-mente: non sarà difficile alla storia sorpren-dere la mano di certi membri ebrei nelle ri-voluzioni» (7).

Ancora pochi anni e il passo sarà com-piuto: innanzitutto da Pio IX e poi da LeoneXIII assieme alla Segreteria di Stato, che siesprimeva tramite La Civiltà Cattolica. Que-sta rivista, a partire dal 1880 sino al 1903, co-minciò ad occuparsi sistematicamente degliebrei «divenendo così, anche per tale que-stione, un modello e un punto di riferimentodi primo piano per l’opinione pubblica cat-tolica non solo italiana» (8).

Il Giudaismo simbolo e agente principaledella Rivoluzione

«Solo lentamente, nel corso della secon-da metà del secolo [XIX], gli ebrei venneroassumendo una posizione sempre più emi-nente e una funzione sempre più decisivanell’ambito di quella cospirazione settariache, per la cultura intransigente, costituival’unica vera chiave esplicativa di tutti i mo-derni sconvolgimenti. (...) Quel pluralismo diopinioni riguardo agli ebrei..., ancora presen-te… negli anni precedenti, scomparve o qua-si dalla scena: nella seconda metà del secolo,è difficile trovare tra i cattolici chi vada oltrele preghiere per la loro conversione» (9).

Tra gli autori che nella seconda metàdell’ottocento compresero e denunciarono ilpericolo giudaico vi furono Mons. Meurin S.J. (Vescovo in partibus d’Ascalona e succes-sivamente Arcivescovo titolare di Nisibi edinfine Vescovo residenziale di Port-Louis;nato a Berlino, esperto di ebraico e sanscri-to) con il libro La franc-maçonnerie synago-gue de Satan, del 1893, e Roger Gougenotdes Mousseaux, nato a Coulommiers in

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Francia, formatosi alla scuola di Paul Drach,con l’opera Le juif, le Judaisme et la judaisa-tion des peuples chrétiens, del 1869.

La breccia di Porta Pia

«La svolta si verifica… nel corso deglianni Settanta… La caduta del potere tempo-rale fu avvertita come un episodio centraledell’attacco mosso dalle sétte al cattolicesi-mo… La rivoluzione appare trionfante, isuoi obiettivi anticristiani sempre più palesied evidenti» (10). Il Giudaismo diventa ilsimbolo della nuova civiltà secolarizzata cheha apostatato dalla Chiesa, proprio perchéda esso formata, dopo lunghi anni di congiu-ra anticristiana. «La cospirazione anticristia-na diventa così l’opera eminente degli ebreiper abbattere la Chiesa di Cristo e portarlial dominio del mondo» (11).

È proprio in occasione della breccia diPorta Pia che il complotto ordito nell’oscuritàappare alla luce del giorno: «Ebrei di fuori,che accorrono nella nuova capitale, ne dirigo-no i giornali, alimentano gli attacchi alla Chie-sa; ebrei di Roma, che hanno tradito il lorosovrano, dimenticandone i benefici, che han-no accolto festanti i “piemontesi”, che fre-quentano luoghi prima loro preclusi. Sta qui ilvero, il grande scandalo: gli ebrei a Roma, se-de di Pietro, capitale della cattolicità, soppian-tano i cristiani, acquistano proprietà, esercita-no funzioni di governo. Sta qui la prova dellaloro “fusione” con la “rivoluzione”, e la ragio-ne della futura rivalsa cristiana che non potrànon colpirli: il diritto di prendere nel futuro“misure difensive” contro gli ebrei nasce in-fatti dagli attuali loro comportamenti» (12).

A questo proposito sono significative lepagine scritte dai fratelli Lémann, ebrei con-vertiti al cattolicesimo: «I vostri correligiona-ri [ebrei]… hanno fatto assai male a Roma.(...) Il 20 settembre 1870, gli zuavi difensoridi Roma..., avevano abbandonato i ripari… Iloro amici s’affrettavano a recar loro gli abitiborghesi. Ma in capo al ponte [Sant’Ange-lo]... eranvi torme di ebrei che in mezzo aiclamori... dei rivoluzionari contro gli zuavi,strappavano a questi... le valigie, gli abiti,tutto ciò che potevano afferrare, e... gettava-no ogni cosa nel Tevere, ma sotto c’erano iloro marinai che nelle loro barche raccoglie-vano tutto ciò che erasi buttato nel fiume.(...) L’anno scorso… alla porta del Gesù…urlavasi contro i cristiani, che pacifici edinoffensivi si erano radunati per pregare in-

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sieme. Alla loro uscita furono percossi. Eb-bene, dietro a quei forsennati che urlavano epercuotevano, riconoscevansi gli ebrei delghetto. (...) Quando noi abbiamo domandatoinformazioni sulle scene ignobili che sonoavvenute al Corso… ove le cose sante furonovolte in ridicolo, i preti insultati, le statuedella Madonna bruttate... ci venne sempre ri-sposto: i buzzurri [i piemontesi] e gli ebrei.(...) Quando il 20 settembre 1870, il Governosubalpino penetrava a colpi di cannone perle porte di Roma, la breccia non era ancoracompiuta che uno stuolo di ebrei vi era giàpassato per andare a congratularsi col gene-rale Cadorna ed il ghetto tutto intero si pa-vesava a colori piemontesi (...).

Pio IX meritava egli che gl’israeliti gli ca-gionassero quel doppio dolore: dapprimapassare nel campo dè suoi nemici, poi deva-stare Roma durante la sua cattività in Vati-cano? (...) No! Pio IX non lo meritava né co-me sovrano, né come benefattore. (...) I Papihanno sempre consentito con benevolenzaal soggiorno degli ebrei nella loro città.Questo popolo errante era libero di non an-darvi. Ma egli vi è sempre andato nominan-do Roma... Paradiso degli ebrei. I Papi han-no dunque costantemente protetto gli israe-

Frontespizio del primo numero de “La Civiltà Cattolica”

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liti. Se tuttavia havvene uno che siasi mo-strato più specialmente loro protettore, cheabbia vegliato con una sollecitudine più vivasulla loro condizione temporale, noi lo pro-clamiamo colla mano sulla storia e sul no-stro cuore, egli è Pio IX. (...) Gli israelitierano relegati in un quartiere separato, ilghetto… Pio IX ha fatto rovesciare quelleporte e quelle mura...» (13).

A partire da questi fatti, i fratelli Lé-mann, tirarono la conclusione che occorrevadifendere la Cristianità dal pericolo giudaicoe che non si poteva concedere agli ebrei laparità dei diritti civili: «Noi non consigliere-mo giammai - seguitano i Lémann - di con-cedervi a Roma il diritto di diventare pro-prietari. Noi conosciamo le tendenze dellanostra nazione; le sue buone come le suecattive qualità. Se questo diritto di proprietàvi è concesso, noi lo scommettiamo, fra 30,fra 50 anni al più, Roma non apparterrebbepiù ai cattolici, ma sarebbe nelle vostre mani(...). Il supremo pericolo di Roma... non so-no gli uomini della rivoluzione, essi passe-ranno. Il supremo pericolo di Roma siete voi,o signori, che non passate. Armati del dirittodi proprietà, colla vostra abilità… e la vostrapotenza, prima che il secolo sia al suo fine,voi sarete i padroni di Roma» (14).

I fratelli Lémann, pensano quindi, a par-tire dalla breccia di Porta Pia, alle misureche i futuri governi cristiani dovranno pren-dere per preservarsi dal contagio del Giu-daismo, primo artefice e manovratore dellaRivoluzione. «Il concetto… è stato formula-to, …per annunciare il futuro. Difesa, dirittodi difendersi dagli ebrei: le parole chiave chegiustificheranno l’organizzazione dei movi-menti politici antisemiti sono così dette» (15).Ma si noti che a pronunciarle sono stati dueebrei convertiti, che difficilmente possonoessere accusati di antisemitismo!

In ogni caso la tendenza che si profila conil 20 settembre 1870 è quella dell’identifica-zione degli ebrei con la Rivoluzione. «La ne-cessità della lotta di difesa contro la “rivolu-zione” diventava così lotta di difesa contro gliebrei. (...) Il passo ulteriore che venne com-piuto in quegli anni fu di farne i principaliagenti, gli autentici occulti promotori» (16).

La “Sinagoga di Satana”

La configurazione del popolo ebraico co-me ribelle e sovversivo era assai antica: laSinagoga talmudica era vista da sempre co-

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me “fons persecutionum”. Ora l’emancipa-zione degli ebrei avvenuta grazie alla Rivo-luzione francese, e i benefici che gli ebrei neavevano ricavato erano davanti agli occhi ditutti. Questi due aspetti: Sinagogae Judeo-rum fontes persecutionum, e i benefici rica-vati dall’emancipazione (figlia del 1789),non potevano spiegare essi soli quanto eraavvenuto prima e non bastavano a fare delGiudaismo l’artefice principale del lungoprocesso di dissoluzione che aveva condottoal 1789. Mancavano due elementi: il concet-to di Rivoluzione, quale si precisò nel Magi-stero ecclesiastico e nell’apologetica contro-rivoluzionaria di quegli anni, e l’idea di unalunga congiura sotterranea e segreta.

Joseph de Maistre ha ben colto la naturadella Rivoluzione francese (anche se non puòessere definito un pensatore controrivoluzio-nario completo, a causa di alcune lacune, senon di veri e propri errori del suo sistema dot-trinale. Esso risente dell’influsso dell’esoteri-smo massonico che mai ha lasciato il Savoiar-do; ma su questo tema ritornerò nel corso diun articolo specifico). Egli l’ha definita “Sata-nica per essenza, satanica perché ribelleall’autorità, ossia a Dio” (17). L’unica alterna-tiva possibile, per de Maistre, era il Papato: se“la Rivoluzione è l’errore”, se “è satanica peressenza”, essa “non può quindi essere uccisache dal Papato, il quale è la verità, perché èCristo in terra” (18). Occorre perciò saldarenuovamente Chiesa e Stato, trono e altare.

Ma il 1870, con la caduta del poteretemporale del Papa creò una situazione nuo-va. I governi e i Re, ormai largamente infil-trati dal morbo rivoluzionario, non avevanorisposto all’appello in difesa del Papa. Nel1876 padre Raffaele Ballerini, su “La CiviltàCattolica”, scriveva che il peccato dell’Euro-pa consisteva nella guerra che tutti gli Stati etutte le corti, in seguito alla politica cesaro-papista del secondo Settecento, senza ecce-zione alcuna muovevano alla Chiesa cattoli-ca. «Variano in ciascuno Stato i gradi delmorbo: ma tutti ne sono infetti. (...) Tutti, inuna parola, si sono intesi per escludere GesùCristo dalla loro civiltà, ripetendo il dettodella Sinagoga contro Cristo Re: “Nolumushunc regnare super nos” (Lc. XIX, 14): vo-gliamo vivere separati dalla Chiesa… voglia-mo la secolarizzazione universale» (19).

Già nel 1872, a Monaco, gli «Historisch-politische Blätter», facevano degli ebrei gliassoluti protagonisti della Rivoluzione e del-la laicizzazione dell’Europa. Padre Ballerini,

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pur non nominandoli esplicitamente, faun’analogia tra il comportamento degli Statimoderni e quello della Sinagoga farisaica:cioè il rifiuto del Regno Sociale di Cristo edella sua Chiesa. La nuova condizione dellasocietà, in fondo in fondo, è antica: è la stes-sa caparbia ripulsa di Gesù Cristo, che erastata macchinata dal Sinedrio e fatta passarenella maggior parte del popolo ebraico.

Quello del Padre gesuita Ballerini non èun caso isolato. Le condizioni della Chiesaromana in quegli anni sono simili a quelledei primi tre secoli: essa è perseguitata.

I discorsi di Pio IX, dopo il 1870, sono si-gnificativi: «Pio IX non manca di espliciteparole dure contro gli ebrei: “cani”, divenutitali da “figli” che erano, “per la loro durezzae incredulità” (“e di questi cani - aggiunge ilpontefice - ce n’ha pur troppi oggidì in Ro-ma, e li sentiamo latrare per tutte le vie, e civanno molestando per tutti i luoghi”) (20). Eil Papa continua: “bovi”, che “non conosco-no Dio”, e “scrivono bestemmie e oscenitànei giornali”: “ma verrà un giorno, terribilegiorno della vendetta divina, che dovrannopur rendere conto delle iniquità che hannocommesse” (21). “Popolo duro e sleale, comesi vede anche nei suoi discendenti”, che “fa-ceva continue promesse a Dio e non le man-teneva mai” (22).

Il 23 marzo 1873, Pio IX, riferendosi aSimone il Cireneo, ritornò sul tema degli“ebrei riprovati”: «In quella circostanza nonpermise il Signore che un ebreo lo aiutasse.Quella nazione era già riprovata, e dura nel-la riprovazione, (...) Gesù Cristo volle esserepiuttosto aiutato da un pagano, dando conciò una prova di quanto era stato predetto,cioè che alla depravata nazione ebrea altrenazioni sarebbonsi sostituite per conoscere eseguire Gesù Cristo» (23).

Nel discorso del 12 febbraio 1874 ai par-roci di Roma, papa Mastai stabilì, ancorauna volta, un parallelo tra la situazione at-tuale della Chiesa romana e quella dei suoiinizi: “Le tempeste” che l’assalgono sono lestesse sofferte alle sue origini; allora erano“mosse dai gentili, dagli gnostici e dagliebrei” e “gli ebrei vi sono anche presente-mente” (24).

«Non a caso in quegli stessi anni Pio IXricorre alla figura della “Sinagoga di Satana”(25). Secondo Pio IX gli attuali rivoluzionarisono i “moderni farisei”che vorrebbero,“come gli antichi”, distruggere la Chiesa, es-si “ripetono le inique espressioni che i fari-

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sei ripetevano quando il Divin Redentoreconversava con gli uomini”» (26).

Padre Francesco Berardinelli, in un artico-lo pubblicato sulla Civiltà Cattolica, nel 1872definisce i moderni persecutori del Vaticano«nuovi giudei», «rinnegati e apostati (...) dellarazza degli sputacchiatori di Gesù nell’atrio diCaifa», «branco di cani (...) della razza diquelle bestie verminose del Golgota» (27).

La Civiltà Cattolica, che esprimeva ilpensiero della Segreteria di Stato della San-ta Sede, identificava, a partire dal 1870, Ri-voluzione, Massoneria ed Ebraismo, e vede-va nel Giudaismo talmudico la culla dellaMassoneria e delle sétte che avevano porta-to la Rivoluzione in Europa. In breve la so-cietà moderna è, per la Civiltà Cattolica eper la Santa Sede una “società giudaizzata”,e Giudaismo è sinonimo di Rivoluzione e diMassoneria, anzi ne è la causa.

La congiura anticristiana

L’approfondimento dei concetti di cospi-razione, congiura, complotto o macchinazionefu decisivo per far compiere il passo al Magi-stero ecclesiastico e ai polemisti controrivolu-zionari; poterono così affermare che l’autore

Papa Pio IX (Immaginetta del XIX sec.)

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principale dell’assalto infernale contro il Papa-to e la Cristianità era il Giudaismo, che si ser-viva delle varie sétte, divise quanto alle “ob-bedienze”, ma unite quanto al fine: la distru-zione della Chiesa e della Società cristiana (28).

Pio IX stesso, già subito dopo il 1848 ave-va lanciato l’idea di una grande congiura (29).Tuttavia «un filo conduttore unisce le primeelaborazioni tardo-settecentesche alle teoriz-zazioni e alle costruzioni di un secolo dopo.Ne variano però i protagonisti e gli artefici.Solo nel corso della seconda metà del secologli ebrei vi svolgeranno un ruolo sempre piùimportante sino a diventarne gli autori» (30).

Padre Oreglia su La Civiltà Cattolicaespresse lucidissimamente tale concetto: laMassoneria è una fondazione relativamentemoderna, ma «antichissimo e contempora-neo della stessa fondazione della Chiesa èquel complesso di dottrine satanicamente esapientemente anticristiane [...] che, dai pri-mi gnostici e manichei ai moderni massoni eliberali, di sétta in sétta, fu tramandato quasiper Càbala e tradizione» (31).

I presupposti teologici sono evidenti: la co-stante contrapposizione tra Dio e Satana corri-sponde, nel tempo storico, a una contrapposi-zione altrettanto irriducibile tra Chiesa e Sina-goga, tra Città di Dio e Città di Satana. Que-sto è sempre stato l’insegnamento dei Padridella Chiesa. Tuttavia a partire dalla breccia diPorta Pia, gli schieramenti sono messi a fuocodistintamente. Tutte le sétte, varie quanto aimembri e ai rituali, fondate da persone diversein tempi e luoghi diversi, hanno un unico emedesimo scopo: l’odio a Gesù Cristo e allasua Chiesa. Perciò esse «debbono aver semprericevuta l’ispirazione medesima da una stessasétta perenne, convivente con la Chiesa e di leinaturalmente nemica» (32). Ora, per ottenerequesto fine, argomenta Padre Oreglia, sarebbepotuto bastare il diavolo da solo; tuttavia egliha voluto servirsi dei suoi suppositi principali epreferiti, coloro che hanno crocifisso Gesù:«Se il diavolo..., oltre alla sua propria malignavolontà e potenza... si fosse ancora trovatoavere alla mano fin dai primordi della Chiesauna società ed anzi un popolo, una razza eduna nazione di gente pronta naturalmente edisposta a seguirne i rei disegni anticristiani: sequesto popolo, razza e nazione si fosse anchetrovata essere intelligentissima, industriosissi-ma ed ostinatissima, qual’è l’ebrea, come intutto il resto così specialmente nell’odio a Cri-sto e ai cristiani: e ciò perché da Cristo ripro-vata e spodestata fino agli ultimi tempi, quan-

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do si convertirà a Lui... Se, diciamo, il diavolo,dai principii della Chiesa fino a noi, avesse tro-vata pronta ai suoi ordini e servigi una razza sìatta e sì disposta naturalmente a combatteresempre e dappertutto la sua guerra anticristia-na, perché non avrebbe dovuto presceglierlacome la propria perenne e per tutto diffusauniversità destinata a conservare sempre e do-vunque propagare... tutto il corpo delle dottri-ne e delle arti anticristiane opportune allo sco-po comune del diavolo e degli ebrei?» (33).

Tale giudizio si fonda sulla “teologia del-la storia” propria della Chiesa romana. Essada secoli ha insegnato che gli ebrei sono inemici per eccellenza del Cristianesimo co-me di Gesù stesso.

A partire dal 1870 la Chiesa precisa chesolo il Giudaismo talmudico può essere ilprincipale ispiratore e il regista occulto dellacongiura anticristiana che è esplosa con lamassima virulenza proprio a Roma sede delVicario di Cristo. L’esperienza vissuta daPio IX ha rappresentato la prova del nove ditale teoria. La Chiesa invitava perciò i suoifedeli ad una legittima (e moderata) difesa.

Antisemitismo e antigiudaismo

Uno dei massimi specialisti della polemi-ca antigiudaico-massonica e anti-modernistafu monsignor Henri Delassus. Nato il 12aprile 1836 ad Estaires in Francia, ordinatosacerdote a Cambrai nel 1862, nel 1875 di-venta direttore del settimanale La semainereligieuse de Cambrai.

Fondandosi su una dottrina teologica si-cura ed una documentazione abbondante,molto spesso di prima mano, dotato di un’ec-cezionale lungimiranza (fu uno dei pochi an-timassoni che non cadde nella trappola taxil-liana), discepolo del cardinal Pie e di DomGuéranger, rappresentanti del pensiero ul-tramontano più genuino, formatosi alla scuo-la di Louis Veuillot, membro del “SodalitiumPianum”, attacca la Rivoluzione francese,basandosi sulle idee di De Maistre riguardoai principii del 1789. Li integra però con unasicura dottrina tomista che faceva difetto alSavoiardo e li spurga di certe idee esoteriche(l’unità trascendente della Tradizione pri-mordiale) che hanno accompagnato De Mai-stre fino alla fine; attacca anche la “democra-zia cristiana” e l’Americanismo. Le sue ope-re principali sul problema giudaico-massoni-co, che rappresentano una vera Summa delpensiero controrivoluzionario sono: La con-

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juration antichrétienne. Le temple maçonni-que voulant s’elever sur les ruines de l’Eglisecatholique in 3 volumi (1910), e Le problèmede l’heure présente: Antagonisme de deux ci-vilisations in 2 volumi (1904).

Monsignor Delassus fu creato prelatodomestico di Sua Santità da S. Pio X nel1904 e protonotario apostolico nel 1911.Morì a Saméon il 6 ottobre 1921.

Egli ha scritto: «Il Calvario ha diviso indue la razza ebraica: da una parte coloro chehanno creduto in Cristo; e dall’altra, i boja,sulla testa dei quali, secondo i loro stessi au-spici, è ricaduto il Sangue di Cristo, votandoliad una maledizione che persisterà fino a chedurerà la loro ribellione» (34). Secondo monsi-gnor Delassus l’Antigiudaismo coincide con ilCattolicesimo, nel senso che i cattolici debbo-no combattere il Giudaismo, come combatto-no la Massoneria, il Socialismo e l’Anarchia,per difendere la società civile e la Chiesa.

La sua posizione è assai diversa da quel-la dell’Antisemitismo biologico o razziale,soprattutto per quanto riguarda due ele-menti fondamentali: «La piena salvaguardiadell’ebraismo antico, da cui nacquero Gesù,Maria, gli Apostoli, i fedeli delle prime co-munità cristiane, e il riconoscimento cheall’ebreo resta sempre aperta per redimersi,e tale deve restare, la strada della conversio-ne al Cristianesimo. La considerazione di“razza maledetta”... è una condizione stori-ca, storicamente datata e storicamente supe-rabile… non è il prodotto della natura cheimprigiona irrimediabilmente in una condi-zione senza via d’uscita» (35).

Anche il Padre Oreglia, fin dal 1880, avevaespresso la stessa teoria (o meglio la teoriadella S. Sede e della Segreteria di Stato, diffu-sa tramite La Civiltà Cattolica e ripresa, manmano, dai grandi pensatori controrivoluziona-ri, quali il Delassus) proprio sulle pagine dellaCiviltà Cattolica scrivendo: «I cattolici non do-mandano l’espulsione degli ebrei, ma chiedo-no solamente che se ne restringa l’azione inquanto essa nuoce al bene pubblico. Voglionoconservare il carattere cristiano dello Stato,della legislazione, dell’insegnamento e deiprincipii sociali. Vogliono l’estirpazione deiprincipii giudaici, ...resi dominanti dal regimeliberale, ma non l’espulsione di un popolo che,alla fin fine, è del sangue di Abramo, e nel se-no al quale nacque il Salvatore. Con un orga-namento [organizzazione, n.d.a.] cristiano del-lo Stato, gli ebrei non ispirano verun timore»(36). Padre Oreglia era assai critico sulle agita-

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zioni antisemitiche che erano divampate inGermania in quei tempi, esse erano estraneeallo spirito cattolico, erano infatti di ispirazio-ne protestante. Ma siccome tale agitazionenon veniva da un «puro spirito di giustizia -continua il Padre gesuita - di religione e di benintesa difesa sociale, ma principalmente dallapassione dell’invidia e della vendetta», saràsterile: nihil violentum durat! Il criterio su cuiPadre Oreglia si fonda, per giudicare sullabontà o meno di un movimento, è se essos’ispiri al Magistero della Chiesa romana o no.Perciò l’unica vera reazione al Giudaismo tal-mudico è quella guidata dal Magistero petrino,ed è evidente che i cattolici che s’impegnanoin campo sociale e politico dovranno essere inprima fila nella lotta alla Giudeo-massoneria,sotto le direttive della S. Sede. Infatti con ipregiudizi liberali, di “sana” autonomiadall’insegnamento pontificio, non si può vince-re la lotta contro il Giudaismo. Secondo PadreOreglia la strada da imboccarsi è quella oppo-sta: «Il Giudaismo si vince in una sola manie-ra, cioè debellando il Liberalismo... Liberali-smo e Giudaismo sono... due cose affatto iden-tiche ed in perfetta armonia... I liberali sonoimpotenti a frenare l’invasione giudaica per-ché sono loro stessi, quantunque non abbianonelle vene sangue semitico, che si sono fattigiudei colle false dottrine e colle cattive opere.Hanno ripudiato le grandi idee della carità, delsacrifizio e dell’onore che costituiscono lasplendida e gloriosa corona del cristiano, e poisi lagnano perché son caduti nella schiavitùgiudaica. Invano ed ingiustamente si lagnano;è la pena del loro peccato. Ritornino veri cri-stiani e la schiavitù giudaica cesserà» (37).

Dall’Antigiudaismo all’Antimodernismo

Alla fine dell’Ottocento, soprattutto con ipontificati di Pio IX e di Leone XIII, la Chie-sa romana aveva messo sempre più a fuoco lacausa della Rivoluzione che minacciava sindall’Umanesimo, in maniera pubblica e istitu-zionale (anche se nel corso del Medioevo nonerano mancati movimenti ereticali o ghibelli-ni che però non avevano raggiunto la portatao la dimensione pubblica ed ufficiale del ri-torno al “Giudeo-paganesimo” propria del-l’età umanistica), la Cristianità e la Chiesastessa: il vero nemico e la fonte di ogni rivolu-zione e disordine era il Giudaismo talmudico.

Per la S. Sede l’Antigiudaismo rappre-sentava anche il contrattacco, nonché il ri-medio e l’antidoto per ridare forza di pene-

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trazione nella società civile alla Regalità so-ciale di Gesù Cristo, espulso dallo Stato lai-cizzato e secolarizzato.

A partire dai primi anni del Novecento,con il Pontificato di S. Pio X, vi fu un certomutamento nello studio della questione, do-vuto al sopraggiungere di un fenomeno peri-colosissimo, il Modernismo, condannato dal-la Pascendi di Papa Sarto, movimento chevoleva distruggere la Chiesa dal di dentro;Essa dovette riunire le proprie forze e rin-saldare le proprie file per smascherare le in-filtrazioni nemiche fin nel suo cuore, graziealla convergenza di tutti i cattolici sotto lasuprema guida del Papa e del Magistero au-tentico della Chiesa.

La Civiltà Cattolica, che dal 1880 sino al1903 aveva studiato costantemente e senzainterruzione per ben ventitré anni il pericologiudaico, non tratterà più con la stessa at-tenzione il suddetto problema, per rivolgeregli sforzi alla lotta contro il Modernismo.

Certamente se si fosse scavato dietro lequinte si sarebbe scoperto che i promotoridell’eresia modernista erano gli stessi. Mon-signor Delassus ne L’Americanisme et laconjuration antichrétienne (1899) aveva di-mostrato come tale forma di modernismo incampo ascetico (che fu condannato da Leo-ne XIII in Testem benevolentiae), aveva allesue origini L’Alliance Israelite Universelle!Ma occorreva non disperdere le forze senza

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“perdere” tempo, risalire alle cause e cerca-re di scovare subito i modernisti, che si era-no infiltrati nei gangli vitali della Chiesa, perschiacciarli al più presto, con provvedimentipratici e disciplinari: è ciò che fece mirabil-mente S. Pio X, anche se non riuscì a porta-re a compimento l’opera intrapresa a causadella morte prematura.

«Questo relativo rarefarsi della polemicaantiebraica da parte cattolica non ne rappre-sentò tuttavia l’abbandono; tantomeno la suacritica e il suo rifiuto. Il pensiero integrista, aRoma come altrove, continuò a teorizzare ilruolo nefasto degli ebrei nell’intera societàcristiana. E si sa di quanto credito godesse aRoma durante il pontificato di Pio X» (38).

Nel 1913 il processo Beylis, celebratosi aKiev per un caso di omicidio rituale «ripro-pose sulla stampa cattolica, in tutta la loroampiezza, le solite accuse contro l’ebraismotalmudico» (39).

Oltre alla Civiltà Cattolica si distinsero inquesta battaglia monsignor Umberto Benigni(nella sua Storia sociale della Chiesa e in variarticoli scritti sulla rivista fiorentina Fede eRagione di don Giulio De Toth) e monsignorErnest Jouin (nella RISS) considerati quali«esponenti dell’integrismo cattolico» (40).

La lotta contro i totalitarismi cesaristi

Pio XI condannò i vari totalitarismi, siadi orgine marxista (il Comunismo), sia di ori-gine neopagana o mazziniana (il Nazionalso-cialismo e, sotto certi aspetti, il Fascismo).

Il razzismo biologico preoccupava sempredi più il Pontefice, che incaricò un gesuita diredigere, assieme a due altri sacerdoti, la boz-za di una futura Enciclica che avrebbe con-dannato il razzismo biologico; ma Pio XI morìpoco prima di poter promulgare tale Encicli-ca, nella quale tuttavia, riguardo al problemaebraico, si riaffermava la tesi tradizionale.

Ecco una parte del testo: «La cosiddettaquestione ebraica, nella sua essenza, non èuna questione né di razza, né di nazione, nédi nazionalità territoriale, né di diritto di cit-tadinanza nello Stato. È una questione di re-ligione e, dopo l’avvento del Cristo, una que-stione di Cristianesimo. (...) Il Salvatore, cheDio, ...aveva inviato al suo popolo prediletto,fu respinto da questo popolo, violentementeripudiato e condannato come un criminaledai più alti tribunali della nazione in collusio-ne coll’autorità pagana... Infine, fu messo amorte. (...) Il gesto stesso col quale il popolo

Chirografo con cui Pio IX ringrazia e benedice gliscrittori della Civiltà Cattolica

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ebraico ha messo a morte il suo salvatore...costituì... la salvezza del mondo.

Di più: questo malaugurato popolo, che siè affondato da solo nella disgrazia, i cui capiaccecati hanno chiamato sulle proprie teste lamaledizione divina, condannato, pare, a erra-re eternamente sulla faccia della terra, è statotuttavia preservato… dalla rovina totale. (...)

San Paolo… non nega la possibilità disalvezza per gli ebrei, purché rinneghino illoro peccato (...). Israele rimane il popolouna volta eletto. (…)

Possiamo vedere nel popolo ebraicoun’inimicizia costante nei confronti del Cristia-nesimo. Da cui risulta una tensione costantefra Ebreo e Cristiano che non si è mai real-mente allentata (...). L’alta dignità che la Chie-sa ha sempre riconosciuto alla missione storicadel popolo ebraico… non la rende tuttavia cie-ca sui pericoli spirituali che possono correre leanime a contatto con gli ebrei… Fintanto chepersiste la mancanza di Fede nel popolo ebrai-co… la Chiesa deve indirizzare ogni suo sforzoper prevenire i pericoli che questa mancanzadi Fede e questa ostilità potrebbero creare allaFede e ai costumi dei suoi fedeli (...). La Chie-sa non è mai venuta meno al dovere di premu-nire i fedeli contro gli insegnamenti degliebrei, qualora… minaccino la Fede. (...) Haugualmente messo in guardia contro i troppofacili rapporti con la comunità ebraica...» (41).

Conclusione

I veri pensatori, integralmente controri-voluzionari, che hanno scritto sulla Rivolu-zione dopo il 1870, si rifanno giustamente al-le direttive della S. Sede. Essi vedono nelGiudaismo la causa (di ordine naturale)principale di ogni disordine; essa si serve aquesto scopo delle varie sétte e soprattuttodella Massoneria che è una sua creatura.

Naturalmente vi è anche una con-causa(di ordine preternaturale): il diavolo, che ten-ta l’uomo, scatenando le passioni sregolateche albergano nel cuore di ogni figlio di Ada-mo. Il problema consiste anche nell’analizza-re la natura della Rivoluzione e dei meccani-smi grazie ai quali essa avanza; ma sarebbeerroneo minimizzare il compito che ci spettadi svelare l’identità dei cospiratori, poichésenza cospiratori non ci sarebbe Rivoluzione.Actiones sunt suppositorum, insegna la sanafilosofia. Inoltre non è vero - secondo il Ma-gistero ecclesiastico - che gli agenti della rivo-luzione cambino. No, dopo il deicidio l’agen-

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te connaturale e principale, il supposito pre-diletto di Satana è il Giudaismo, che conti-nuerà a voler distruggere la Chiesa e la Cri-stianità, come ha ucciso Gesù Cristo, fino ache non si convertirà al Cristianesimo. Parla-re solo en passant di sétte segrete o anche diMassoneria quali agenti principali della Rivo-luzione, senza dire quale è l’origine e la culladella Massoneria (vale a dire il Giudaismopost-biblico) è per lo meno riduttivo! (42).

In breve per essere controrivoluzionariintegrali occorre combattere pubblicamentela Giudeo-massoneria.

Note1) G. MICCOLI, Santa Sede, questione ebraica e anti-

semitismo, In Storia d’Italia, Annali vol. 11 bis, Gli ebreiin Italia, Einaudi, Torino, 1997. Si tratta di uno studiomolto serio, sul quale mi baso sostanzialmente, ma dicui non condivido i giudizi e le conclusioni.

2) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1388. Occorre precisare che prima di De Maistre un ge-

suita, Padre PIERRE DE CLORIVIERE aveva intuito lamalizia e diabolicità della Rivoluzione francese, nel suolibro Etudes sur la Révolution, Paris, 1793.

3) J. J. GAUME, La révolution. Recherches histori-ques sur l’origine et la propagation du mal en Europe de-puis la Renaissance jusqu’à nos jours, Paris, 1856-1858.

4) Roma, 1809, pagg. 147 sg.5) Su De Maistre voglio ritornare in un prossimo arti-

colo, frattanto rimando il lettore all’opera di E. DERMEN-GHEM, Joseph de Maistre mystique, La Colombe, Paris,1946, 2ª edizione.

6) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1411. 7) G. MICCOLI, op. cit., pagg. 1412-1413. 8) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1414, nota 106. 9) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1394. 10) Ibid., pag. 1398. 11) Ibid., pag. 1399. 12) Ibid., pag. 1400. 13) A. E J. LÉMANN, Lettere agli israeliti dispersi

sulla condotta dei loro correligionari a Roma, durante laprigionia di Pio IX al Vaticano, Roma, 1873, Libreria eCartoleria romana, pagg., 5-14.

Papa Leone XIII

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14) Ibid., pagg., 19-21. 15) G. MICCOLI, op. cit., pag., 1400. 16) Ivi.17) J. DE MAISTRE, Considérations sur la France,

Lyon, 1884, pag. 67. 18) Idem, Du Pape, Genève, 1966, pag., 23. 19) R. BALLERINI, I peccati d’Europa, in «CC», 27

(1876), III, pagg., 388 sg. 20) Discorsi del Sommo Pontefice Pio IX pronun-

ziati in Vaticano ai fedeli di Roma e dell’orbe dal princi-pio della sua prigionia fino al presente, Roma, 1874-1878, cit. in G. MICCOLI, pagg., 1404-1405.

21) Discorsi cit. in G. MICCOLI, pag., 1405. 22) Ivi. 23) Discorsi di Pio IX, vol. II, pag. 294. Si noti come il Magistero autentico di papa Mastai

sia contraddetto da quanto viene affermato dal ConcilioVaticano II in Nostra Aetate 4h:“Gli Ebrei tuttavia nondevono essere presentati come riprovati da Dio, né co-me maledetti, quasi che ciò scaturisse dalla Scrittura”.

24) Discorsi, vol. III, pag. 149. 25) Etsi multa luctuosa, Enciclica del 21 nov. 1873.

Cfr. anche la Lettera del 1865, di Pio IX a mons. Dar-boy, arcivescovo di Parigi, in La Documentation catho-lique, t. VI, juillet-décembre 1921, pag. 139.

26) Discorsi, vol. IV, pag. 115 e vol. III, pag. 37. 27) F. BERARDINELLI, Il Golgota e il Vaticano, in

«CC», 23 (1872), I, pagg. 649-50, 654-55.28) A. PREUSS, Etude sur la Franc-Maçonnerie amé-

ricaine, (1908), riedizione Centro Librario Sodalitium,Verrua Savoia (TO), 1998.

29) Cfr. l’Enciclica Nostis et nobiscum, 8 dic. 1849.E l’Allocuzione tenuta nel Concistoro segreto del 25settembre 1865: Inter multiplices machinationes.

30) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1408. 31) G. OREGLIA DI SANTO STEFANO, Di un recente

libro “Pro Judaeis”, in «CC», 36 (1885), I, pag. 35.32) Ibid., pag. 35 sg. 33) G. OREGLIA, cit., pag. 37 sg. 34) H. DELASSUS, La conjuration antichrétienne. Le

temple maçonnique voulant s’élever sur les ruines del’Eglise Catholique, t. III, Lille, 1910, pag. 117.

35) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1377. 36) «CC», 31 (1880), IV, Pagg. 756 sg. 37) «CC»,, 35 (1884), III, pagg. 101 sg. 38) G. MICCOLI, op. cit. , pag. 1549. Rinvio il lettore

alle opere fondamentali di EMILE POULAT, Intégrisme etcatholicisme intégral. Un réseau secret international anti-moderniste La sapinière (1909-1912), Tournai, 1969. ECatholicisme, démocratie et socialisme. Le mouvementcatholique et Mgr. Benigni de la naissance du socialismeà la victoire du fascisme, Tournai, 1977.

39) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1549. Cfr P. SILVA, Rag-giri ebraici e documenti papali. A proposito di un recenteprocesso. In «CC», 65 (1914), II, pagg., 196-215 e 330-344.

40) G. MICCOLI, op. cit., pag. 1550. 41) G. PASSELECQ- B. SUCCHECKY, L’Enciclica na-

scosta di Pio XI, Corbaccio, Milano, 1997, pagg. 239-245. 42) Mi riferisco a PLINIO CORREA DE OLIVEIRA,

Revoluçao e Contra-revoluçao, Campos, 1959. Ivi l’Au-tore, parlando degli “agenti della Rivoluzione” dedicasolo una mezza pagina alla Massoneria “maestra di tut-te le sette”, senza dire nulla del Giudaismo talmudico.

Tra i numerosissimi articoli che il professore brasilia-no ha scritto nel corso della sua lunga vita, uno solo (diappena nove pagine) riguarda il Giudaismo (stando aquanto scrive il suo biografo Roberto De Mattei): A Igrejae o Judaismo,, in «A Ordem», n° 11 (gennaio 1931), pagg.

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Nel numero precedente di Sodalitium abbia-mo pubblicato la prima parte dell’articolo di

don Sanborn sulla “Tesi di Cassiciacum”. Inquesto numero leggerete le prime due sezionidella seconda parte, dedicata all’illustrazionedella Tesi. Nel prossimo, a Dio piacendo, pub-blicheremo la terza sezione con l’esposizione e laprova della Tesi e le risposte alle obiezioni.

IL PAPATO MATERIALE

PARTE SECONDA: ILLUSTRAZIONE DELLA TESI

don Donald J. Sanborn

Introduzione

Nel primo articolo su questo argomentoabbiamo esposto la distinzione che i teologifanno tra successione apostolica formale esuccessione apostolica materiale e dalle lorostesse parole abbiamo concluso che la nozio-ne di successione apostolica puramente ma-teriale non è una nozione costruita artificio-samente bensì una vera realtà; abbiamo an-che visto che la Chiesa consta di due parti: 1)un solo ed unico corpo morale, vale a dire lagerarchia legalmente costituita con i membriche le sono connessi; 2) una sola ed unica au-torità, che è propriamente l’autorità di Cristocomunicata direttamente da Cristo a coluiche viene eletto al papato; infine che questedue parti devono sempre esistere nella Chie-sa dal tempo degli Apostoli fino alla fine delmondo, perché se l’una o l’altra viene a man-care anche la Chiesa verrebbe a mancare.

Nella seconda puntata esporremo le ra-gioni di questa distinzione delle parti soprat-tutto riguardo alla persona del Papa, che ri-sulta dall’unione di queste due, vale a diredell’elemento materiale che è opera dellaChiesa e dell’elemento formale che è operadi Dio. Al termine, concluderemo che questi

44-52. Perciò il titolo conferitogli dal De Mattei di “Dotto-re della Contro-Rivoluzione” (Cfr. Il crociato del secoloXX, Casale Monferrato, 1996, pag. 151) mi sembra al-quanto esagerato e non corrispondente alla realtà.

Dottrina

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due elementi possono essere separati e chesenza dubbio sono separati in quell’elettoche abitualmente ed obiettivamente non sipropone di fare il bene della Chiesa

SEZIONE PRIMA

Ricapitolazione dell’articolo precedente

Nell’articolo precedente su questo argo-mento (Sodalitium n47, pagg. 4-13) abbia-mo visto la distinzio-ne che i teologi fannotra successione for-male e successionemateriale. Successio-ne formale è la suc-cessione nella sedeapostolica con l’auto-rità apostolica, suc-cessione materiale èil nudo possesso dellasede, cioè senza l’au-torità.

Abbiamo anche vi-sto che è necessario che la Chiesa Cattolica ab-bia una continuità apostolica sia formale chemateriale per mantenere in maniera adeguatal’apostolicità.

Soltanto un soggetto che detenga legitti-mamente la sede apostolica può ricevere insé l’autorità apostolica. Inoltre, la Chiesa,per essere sola ed unica, deve godere diun’unità non soltanto formale, per esempionelle cose attinenti alla dottrina ed alla mis-sione divina ricevuta da Cristo, ma anche diun’unità materiale, per essere un solo ed uni-co corpo morale dal tempo di San Pietro finoal Secondo Avvento di Nostro Signor GesùCristo. Questa unità materiale esige che visia una linea ininterrotta di successori legal-mente designati a ricevere la suprema auto-rità. Quindi, perchè l’apostolicità e l’unitàdella Chiesa siano mantenute, è necessarioche non venga mai interrotta la continuitàmateriale dei successori, vale a dire, la suc-cessione di coloro che legittimamente e le-galmente attraverso legale designazione de-tengono il possesso delle sedi dell’autorità.

Pertanto, bisogna distinguere tra unasuccessione apostolica materiale legittima olegale ed una successione apostolica illegitti-ma o illegale. La prima si ottiene soltantomediante la designazione legale da parte dichi ha il diritto di nomina; la seconda si ot-

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tiene soltanto mediante intrusione, comeper esempio nel caso degli scismatici che do-po aver ripudiato l’autorità del RomanoPontefice occupano delle sedi episcopali inmaniera assolutamente illegittima. Costoroin verità succedono nelle sedi apostolichema illegittimamente e illegalmente, e di con-seguenza non possono ricevere l’autorità (1).

Ciò detto, propongo qui di seguito unoschema della successione apostolica:

In questo articolo mi propongo di dimo-strare la Tesi che i “papi” durante e dopo ilConcilio Vaticano Secondo non sono papiformalmente, sono papi soltanto material-mente. Già ho esposto la distinzione tra suc-cessione materiale e successione formale, in-comincerò quindi ora con il trattare di alcu-ne nozioni preliminari.I. L’autorità considerata in concreto.II. La parte formale dell’autorità.III. La parte materiale dell’autorità.IV. L’unione dei due elementi.V. La possibilità di separare i due elementi.VI. Le cause che impediscono l’unione deidue elementi.

Al termine di questo esame esporrò laTesi e risponderò alle obiezioni.

SEZIONE SECONDA

NOZIONI PRELIMINARI

I. L’autorità considerata in concreto, cioè inun Papa o un re

1. L’autorità può essere considerata onel suo concetto formale oppure in concre-to.

Per non confondere i termini bisogna an-zitutto distinguere l’autorità considerata in

SUCCESSIONEAPOSTOLICA

M AT E R I A L E :Possesso della sedesenza l ’autor i tà

FORMALE:Possesso della sedecon l’autorità

illegittima = nudo possessodella sede senza elezione canonica(situazione degli scismatici orientali)

legittima = nudo possesso della sedecon elezione canonica(situazione della gerarchia del Novus Ordo)

SUCCESSIONEAPOSTOLICALEGITTIMA

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sé stessa, per esempio l’autorità papale o re-gia e l’autorità considerata in concreto, peresempio un papa o un re

2. L’autorità considerata in concretoconsiste in un composito risultantedall’unione di due parti, cioè la forma e lamateria, per analogia con un ente sostanzia-le. La materia prima è il primo soggetto e su-strato da cui ogni realtà fisica è sostanzial-mente costituita, e in cui si risolve se viene di-strutta. La forma sostanziale è l’atto primoche costituisce un unum per sé quando è uni-to alla materia prima o ciò per cui qualchecosa è costituito in un determinato modo diessere.

La causa materiale è ciò da cui qualchecosa è fatto.

La causa formale è ciò che determina lamateria e la perfeziona in un determinatomodo.

La forma accidentale è analoga alla for-ma sostanziale poiché la sostanza inerenteall’accidente diventa materiale quanto allaforma accidentale che la perfeziona.

La forma sostanziale dà l’essere simplici-ter, la forma accidentale invece non dà l’esse-re simpliciter ma l’essere tale o tal’altra cosa.

Perché si abbia un composito (in questocaso un re o un papa) è necessario che la for-ma venga accolta in una materia adatta e di-sposta a riceverla. La ragione di ciò sta nelfatto che le parti non possono essere unite eformare un composito se non vi è una giustaproporzione tra di esse. San Tommaso dice:“il debito rapporto tra materia e forma è du-plice: per ordine naturale tra materia e forma,e per rimozione di qualsiasi impedimento” (Inlibro IV Sent., Dist. XVII q.I, a II, sol. 2.c).

Da tutto ciò risulta evidente che l’auto-rità considerata in concreto (per esempio unre o un papa) è costituita dalla materia (cheè un uomo) e dalla forma che consiste inquella facoltà di legiferare, per la qualequalcuno diventa superiore dei suoi sudditi.

Ma non qualsiasi uomo è preparato a rice-vere tale forma accidentale, lo è soltanto coluiche possiede tutte le perfezioni richieste perricevere la forma accidentale dell’autorità.Qualora manchi l’ordine naturale tra materiae forma o qualora vi sia un impedimento, lamateria e la forma non possono essere unite.Per esempio, un fanciullo o un pazzo, pur es-sendo uomo e quindi predisposto all’autoritàdall’ordine naturale, non è predisposto a rice-vere l’autorità a causa di un impedimento, per

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il fatto che gli manca la disposizione intellet-tuale adatta per promuovere il bene comune.

Analogamente, chi non ha la cittadinanzadi un determinato paese, non può diventarneil capo perché non è possibile che chi non èmembro di un corpo ne diventi la testa.

Analogamente, se un laico o un semplicesacerdote eletto al papato rifiuta la consacra-zione episcopale, non può ricevere l’autoritàperché manca della perfezione necessaria perpromuovere il bene comune della Chiesa.

È quindi evidente che alcune disposizio-ni o forme accidentali che perfezionanol’uomo, sono necessarie perché un uomo di-venti materia prossima per ricevere in sé laforma dell’autorità.

II. L’autorità considerata formalmente

3. Generalmente, i teologi ed i filosofiper definire l’autorità ricorrono alla nozionedi legge. La comune definizione dell’auto-rità dunque è: “la facoltà di legiferare”. Co-lui che gode dell’autorità ha il diritto di ob-bligare i sudditi a fare o non fare qualchecosa. La nozione di autorità deve quindi es-sere ricavata dalla nozione di legge in quan-to la facoltà trae la propria specificazionedal suo atto e dal suo oggetto.

4. Nozione di legge secondo San Tom-maso: San Tommaso definisce la legge unordinamento (“ordinatio”) della ragione di-retto al bene comune promulgato da coluiche ha cura della comunità.

«La legge appartiene al principio delleazioni umane, essendo regola, o misura di es-se. Ora, come la ragione è principio degli attiumani, così nella ragione stessa si trova qual-che cosa che è principio rispetto agli altri ele-menti. E ad esso soprattuto e principalmentedeve mirare la legge. - Ebbene, nel campooperativo, che interessa la ragione pratica,primo principio è il fine ultimo. E sopra ab-biamo visto che fine ultimo della vita umana èla felicità o beatitudine. Perciò la legge deveriguardare soprattutto l’ordine alla beatitudi-ne. - Siccome però ogni parte è ordinata altutto, come ciò che è imperfetto alla sua perfe-zione; ed essendo ogni uomo parte di una co-munità perfetta: è necessario che la legge pro-priamente riguardi l’ordine alla comune feli-cità. Ecco perché il Filosofo [Aristotele], nelladefinizione riferita della legge, accenna sia al-la felicità che alla comunità politica. Infattiegli scrive (in V Etica c. 1 l. 2) che “i rapporti

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legali si considerano giusti perché costituisco-no e conservano la felicità e ciò che ad essaappartiene, mediante la solidarietà politica”.Si ricordi infatti che la comunità o societàperfetta è quella politica, come lo stesso Ari-stotele insegna (1 Politica, c. 1, l. 1).

Ora, in ogni genere di valori il soggettoperfetto al grado massimo è principio o causadi quanti ne partecipano, così da riceverne ladenominazione: il fuoco, per es., che è caldoal massimo, è causa del calore nei corpi misti,i quali si dicono caldi nella misura che parteci-pano del fuoco. Perciò è necessario che la leg-ge si denomini specialmente in rapporto al be-ne comune, dal momento che ogni altro pre-cetto, riguardante questa o quella azione sin-gola, non riveste natura di legge che in ordineal bene comune. Perciò ogni legge è ordinataal bene comune» (I-II, q. 90, a. 2, corpus).

Il fine della legge è il bene comune (I-IIq. 96 art. 1,c).

La legge è ordinata al bene comune (I-IIq. 96 art. 3,c).

Le leggi possono essere ingiuste in duemaniere. Primo, perché in contrasto col be-ne umano… E codeste norme sono più vio-lenze che leggi... Secondo, le leggi possonoessere ingiuste perché contrarie al bene divi-no… (I-II q. 96 art. 4,c)

Perciò secondo San Tommaso e gli scola-stici in generale, la legge ha un ordine essen-ziale rivolto al bene comune, cosicché, sequesto ordine viene a mancare, viene a man-care anche la forza di obbligatorietà della leg-ge, e viene a mancare lo stesso nome di legge.

5. Definizione di autorità: L’autorità èuna facoltà morale in una persona, sia indivi-duale sia collettiva che ha cura della comu-nità, di emanare, promulgare ed applicaresingoli ordini che sono o necessari o utili perpromuovere il bene comune. Questa defini-zione concorda con la definizione di quasitutti gli scolastici. Zigliara così definiscel’autorità: il potere o la facoltà o il diritto digovernare la cosa pubblica. Billot: chiamia-mo potere politico quello per cui un popolo ègovernato al fine di pace e di prosperità.Meyer: il diritto di dirigere la società civileverso il suo fine. Liberatore: il diritto di go-vernare la cosa pubblica. Taparelli: chiamoautorità un diritto di rendere obbligatorio ciòche sarebbe puramente honesto. Schiffini: ildiritto di obbligare i membri di uno stato alloscopo di raggiungere il fine di questo stato.Cathrein: il diritto di obbligare i membri del-

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la società perché con i loro atti cooperino albene comune.

Da quanto detto consegue che l’autoritàcosì definita deve essere posta nel generedegli abiti operativi. Perciò, in quanto è unhabitus (2) (o disposizione), trae la propriaspecie e definizione dall’oggetto formale.Ora l’oggetto formale e primario dell’abitodell’autorità è fare leggi, promulgarle e farleapplicare. Oggetto formale di una legge èpromuovere il bene comune. Quindi, permezzo della legge necessariamente, intrinse-camente ed essenzialmente, l’autorità è or-dinata a promuovere il bene comune. Neconsegue che colui che gode dell’autoritàdeve avere l’intenzione abituale di promuo-vere il bene comune, altrimenti non puòavere l’autorità. Egli deve avere l’intenzioneabituale poiché per natura propria l’autoritàcivile o ecclesiastica è un diritto permanentee non soltanto transitorio o “per modum ac-tus” come per esempio si ha in un sacerdoteche pur senza giurisdizione abituale assolveun moribondo. L’intenzione di promuovereil bene comune inoltre deve avere carattereoggettivo e non soltanto soggettivo. In altreparole, non è sufficiente che colui che godedell’autorità intenda a suo modo il bene co-mune della comunità, ma bisogna anche cheil bene quale egli lo concepisce sia il benecomune vero ed oggettivo. La ragione è chela legge è definita: ordinamento della ragio-ne per il bene comune. Quindi, affinché lavolontà del superiore obblighi in coscienza ènecessario che essa intenda oggettivamente ilbene comune. Altrimenti la definizione dilegge non viene soddisfatta. Per questa ra-gione, una legge che contraddica una leggesuperiore non obbliga in coscienza; è unalegge perversa, alla quale tutti devono op-porsi e in tal caso il superiore non ha né ildiritto né l’autorità di fare tale legge.

6. L’autorità è ordinata essenzialmenteal bene comune. Nel fondare una società, gliuomini si riuniscono allo scopo di compiereuna sola cosa in comune. (3) Questa “cosa dafare in comune” altro non è che il bene co-mune della società. E poiché il bene è unosolo, è quindi naturale e necessario che lamoltitudine degli uomini che si riuniscono inuna società designi una sola persona fisica omorale, che abbia cura di tutta la comunitàper guidare l’intera comunità ai fini che le so-no propri, ossia al bene comune.

La regia potestà - e quindi anche il re - so-

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no definiti dalla facoltà di legiferare, che a suavolta è definita dall’essere ordinata al benecomune. L’autorità è perciò essenzialmenteordinata al bene comune mediante la legge edil legiferare è l’oggetto formale dell’autorità.

7. Ogni autorità viene da Dio. Ogni au-torità ha il suo fondamento nell’autorità diDio, nella stessa provvidenza di Dio con laquale Egli infallibilmente ordina e promuo-ve tutte le cose verso il loro fine. Questa fa-coltà di legiferare nel re è mera partecipazio-ne alla stessa provvidenza di Dio e alla leggeeterna che regola tutte le cose. Il legiferareda parte del re non è altro che un partecipa-re alla stessa azione divina dello stabilire lalegge eterna dalla quale la legge umana traela sua forza di obbligatorietà.

L’obbedienza prestata e dovuta alla leg-ge umana è indirettamente obbedienza aDio stesso dal quale la legge riceve la suaobbligatorietà. Quindi, il fondamento princi-pale del rapporto re-suddito è la provviden-za stessa di Dio al quale si deve assoluta ob-bedienza in quanto Egli è il Creatore, ilSommo Bene e l’ultimo fine di tutte le crea-ture. Questo rapporto re-suddito provieneda Dio e non dalla comunità. Ciò nonostan-te esige che la comunità designi legalmente,vale a dire in nome dell’intera comunità,una persona che riceva in sé la regia potestà.

8. La regia potestà genera mutue relazio-ni. La potestà di legiferare, che è una poten-za attiva, è ciò per cui qualcuno è costituitore. Reciprocamente, l’obbligo di obbedirealla legge è ciò per cui qualcuno è costituitosuddito. Il re o il detentore della regia pote-stà è collegato con l’intera comunità inquanto è il promotore del bene comune. Asua volta, l’intera comunità è collegata alpromotore del bene comune in quanto essaè mossa al bene comune.

Il re ha il diritto di legiferare perché Dioinfonde in lui il diritto di promuovere la co-munità verso il bene comune. I soggetti hannol’obbligo di obbedire perché Dio infonde inloro il dovere di obbedire al legislatore. Per-ciò il fondamento della relazione re-suddito è1) in primo luogo la stessa Onnipotenza eProvvidenza di Dio e, 2) in secondo luogo ilfatto di infondere nel re la regia potestà e neisudditi il dovere corrispondente. Di conse-guenza: diventa re colui che 1) dall’intera co-munità riceve la designazione legale a pro-muovere il bene comune e 2) da Dio riceve

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l’autorità. Quindi, dal fatto che la società “ge-nera” il re in quanto designa qualcuno a pro-muovere il bene comune dell’intera comunità,nascono due mutue relazioni, come accadenella generazione naturale: da un lato è fattore colui che è costituito re dalla relazione diautorità verso i suoi sudditi, dall’altro sonofatti sudditi coloro che sono costituiti sudditidalla relazione di sudditanza che hanno con ilre. Poiché il re è “generato” soltanto in ordineal bene comune, di conseguenza le relazionidi autorità e sudditanza permangono soltantofino a quando permane l’ordine al bene co-mune, cosicché rimosso l’ordine al bene co-mune, anche la relazione viene rimossa.

Quindi, colui che si propone di promulga-re un errore o delle leggi disciplinari nocivenon può essere vero papa perché il bene dellaverità nella Fede e nei costumi è essenzialealla missione conferita da Cristo alla Chiesa.

9. Condizioni per ricevere l’autorità regia.Richiamiamoci alle parole di San Tom-

maso riguardo alla necessità di proporzionetra materia e forma che devono essere pre-senti in un solo composito: la debita propor-zione tra materia e forma è duplice: per ordi-ne naturale tra materia e forma e per rimozio-ne di un impedimento. Perciò non può rice-vere la regia potestà neanche colui che è sta-to legalmente designato se non c’è ordine na-turale tra materia e forma e se esiste un qual-siasi impedimento. Alcune sproporzioni nonpossono essere rimosse, e precisamente quel-le dovute a impedimenti fisici, altre possonoessere rimosse e precisamente quelle dovutea impedimenti morali. Dunque, per spropor-zione di ordine fisico i pazzi e le donne nonpossono ricevere in sé la potestà papale per-ché sono fisicamente impediti ad accoglierequesta potestà. In questi casi c’è una spro-porzione permanente, e non sono neancheidonei ad essere designati validamente. Incaso di impedimento di ordine morale poi,non possono ricevere la potestà papale colo-ro che pongono un qualche ostacolo moralevolontario e amovibile, per esempio il rifiutodella consacrazione episcopale o l’intenzionedi insegnare errori o promulgare leggi disci-plinari in generale nocive, o il rifiuto del bat-tesimo in caso di elezione di un catecumeno:ad esempio, S. Ambrogio eletto alla sedeepiscopale di Milano (4). Costoro sono idoneiad essere designati validamente perché l’im-pedimento è amovibile ma l’autorità nonpuò essere infusa da Dio finché l’impedi-

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mento non è stato rimosso. La ragione è checostoro non sono in grado di promuovere ilbene comune fino a quando non hanno ri-mosso l’ostacolo. E, poiché l’impedimento èmorale e volontario, questo ostacolo si puòricondurre ad una assenza di intenzione dipromuovere il bene comune. Quindi, Dio cheè bene sussistente, non può infondere l’auto-rità in colui che pone un impedimento volon-tario alla promozione del bene comune.

10. Ricapitolazione.L’autorità considerata in concreto, per

analogia con l’oggetto sostanziale constadell’unione di due parti: materia e forma.L’elemento materiale dell’autorità è la desi-gnazione legale di una persona a ricevere la re-gia potestà, compiuta dall’intera comunità.L’elemento formale dell’autorità è la facoltà dilegiferare. Questa facoltà, o diritto, è essenzial-mente ordinata al bene comune per mezzodella legge dalla quale esso è misurato in quan-to suo oggetto formale, cosicché se l’ordine albene comune è rimosso, la facoltà è rimossa.

Ogni autorità proviene da Dio, la cuiOnnipotenza e Provvidenza sono il fonda-mento primario del rapporto re-suddito.L’autorità è infusa immediatamente da Dioin colui che possiede la designazione legale,purché sia presente un ordine naturale a ri-cevere la forma dell’autorità e manchi qual-siasi impedimento. Quindi, la condizione si-ne qua non, per ricevere da Dio la formadell’autorità, è l’intenzione di promuovere ilbene comune in colui che è designato a rice-vere la cura dell’intera comunità.

III L’autorità considerata materialmente(materialiter) o la designazione legale aricevere la regia potestà

11. Chi governa legittimamente e chi go-verna illegittimamente? L’autorità in quantopotere o facoltà attiva è un habitus e perciòun accidente predicamentale che non puòesistere se non è ricevuto in un soggetto. Main quale soggetto? In altre parole, la que-stione ora è: chi governa legittimamente echi governa illegittimamente?

La risposta è che governa legittimamentecolui che è stato legittimamente eletto dallasocietà per ricevere l’autorità e che in piùnon ha alcun impedimento a ricevere l’auto-rità. Governa illegittimamente colui che haassunto l’autorità illegittimamente, vale a di-re senza designazione legale oppure quando

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pur essendo stato validamente designato haun impedimento a ricevere l’autorità.

Nella società civile, la selezione del sog-getto di autorità, secondo l’opinione comu-ne spetta all’intera comunità.

Secondo i Tomisti in generale, l’interacomunità ha il diritto di istituire o eleggerela forma di governo così come il soggettoche riceverà l’autorità, ma la comunità nontrasmette l’autorità stessa, come hanno af-fermato alcuni, in particolare Suarez. La co-munità semplicemente propone un soggettodi autorità. Ma è Dio che dà l’autorità.L’unione di questi due elementi genera l’au-torità in concreto, ossia il re.

La comunità in quanto tale non può esse-re soggetto di autorità; l’autorità proviene daDio. Tuttavia la designazione del soggetto diautorità proviene dall’intera comunità, alme-no implicitamente. Persino nel caso di mo-narchia ereditaria, secondo gli autori, perchéil re riceva legittimamente l’autorità, bisognache il popolo, almeno implicitamente accon-senta al sistema monarchico ed ereditario.

Tuttavia queste questioni che riguardanola costituzione del governo civile non ci inte-ressano direttamente, perché la costituzionedella Chiesa proviene da Cristo stesso immu-tabilmente e non dipende assolutamente dalconsenso o dall’approvazione dei fedeli.Inoltre, gli elementi essenziali del governocivile provengono dalla legge naturale, cioè ilfine della società, la forma di governo, il mo-do di scegliere i soggetti di autorità; invecegli elementi essenziali della costituzione del-la Chiesa sono stati stabiliti con divina dispo-sizione. Cristo istituì la Chiesa; chiamò gliApostoli e li ordinò gerarchicamente. Cristoha dato alla Chiesa il suo fine, come ha dato imezzi soprannaturali per raggiungerlo. Cri-sto ha istituito una forma monarchica di go-verno cosicché la costituzione della Chiesanon provenga in nessun modo da coloro chesono inferiori ma provenga dall’autorità stes-sa di Cristo. Neanche il Papa, che quale vica-rio gode della stessa autorità di Cristo, puòmutare la divina costituzione della Chiesa.

12. La materia dell’autorità.Da quanto esposto, il lettore può facil-

mente vedere che l’autorità considerata con-cretamente consta di un elemento formale edi un elemento materiale.

L’elemento formale dell’autorità è lostesso habitus o facoltà morale o diritto dilegiferare. In altre parole è il papato stesso.

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L’elemento materiale o potenziale dell’auto-rità è l’uomo stesso che riceve questo dirittodi legiferare. L’autorità in concreto, cioè ilpapa o il re, nasce dall’unione di questi dueelementi. Perché un re o un superiore gover-ni legittimamente, è necessario che colui chericeve l’autorità sia designato legalmente aricevere questa potestà, conformemente alleleggi civili o a quelle ecclesiastiche.

Altrimenti, colui che si sarà proclamatopapa o re non governerà legittimamente mamediante un atto di forza perché la comunitànon è tenuta ad accettare come legittimosoggetto di autorità chi non sia stato legal-mente eletto come soggetto legittimo di au-torità. Quindi, colui che occupa la sededell’autorità con un atto di violenza, non ri-ceve veramente in sé l’autorità perché non èveramente disposto a ricevere l’atto o la for-ma dell’autorità. L’elezione o la designazio-ne legale - anche nel caso di nascita legittimanella monarchia ereditaria - perfeziona ilsoggetto perché diventi materia ultimadell’autorità, cioè, lo pone nell’ultima dispo-sizione di ricevere la perfezione dell’autorità.Analogamente accade nel caso della genera-zione naturale dove i genitori non danno laforma umana, cioè l’anima, ma danno l’ulti-ma disposizione della materia. Dio dà l’ani-ma e l’unione di materia e forma fa un entesimpliciter uno, cioè un uomo. Se invece lamateria in qualche modo non è disposta, laforma non viene infusa in essa, o se è infusaper un periodo di tempo, il feto muore per-ché la materia non è in grado di restare unitaall’anima a causa di una imperfezione.

Parimenti, l’autorità in atto non può es-sere ricevuta se non da un soggetto legal-mente designato. Nel governo civile, dal mo-mento che esso dipende dalla legge natura-le, è facile che un re che sia entrato con laforza nella sede dell’autorità possa diventa-re vero e legittimo re per approvazione im-plicita da parte del popolo.

Ma questo principio non può trovare ap-plicazione nella Chiesa perché i fedeli nonpossiedono per legge naturale il diritto di de-signare il soggetto dell’autorità papale. È ne-cessario perciò che la persona che riceve ilpapato sia designata secondo le norme vigen-ti in tempo di vacanza della Sede Apostolica,cioè deve essere designata dagli elettori chehanno il diritto legale di eleggere il papa.

13. La durata della designazione a rice-vere la giurisdizione papale.

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La designazione all’ufficio dura 1) fino al-la morte del soggetto; 2) fino al rifiuto o allarinuncia volontaria del soggetto o 3) fino allarimozione della designazione dal soggettocompiuta da chi ha il diritto di farlo. Non vi èaltro modo per rimuovere la designazione (5).Sebbene non esista autorità che abbia il pote-re di giudicare il papa, tuttavia il corpo deglielettori può togliergli la designazione. Infattila designazione proviene da Dio soltanto inmaniera mediata, in maniera immediata pro-viene dagli elettori. Per questa ragione, nonoltrepassa il diritto degli elettori del papa, ilconstatare in un papa eletto la perdita di giu-risdizione o anche la mancanza della disposi-zione a ricevere l’autorità papale. Per esem-pio: gli elettori devono constatare la morte diun papa prima di poter procedere all’elezionedi un nuovo papa. Similmente, se il papa di-ventasse pazzo, gli elettori dovrebbero con-statare la sua pazzia e quindi la sua perditadella potestà papale e dopo aver constatatoquesto fatto potrebbero procedere ad unanuova elezione. Similmente, se un laico fosseeletto ma rifiutasse la consacrazione episco-pale, gli elettori dovrebbero constatare la suaindisposizione a ricevere la potestà e dopoaver constatato questo fatto, potrebbero pro-cedere a una nuova elezione. Anche nel casodi una persona eletta al papato o anche di chigià abbia accettato la giurisdizione papale ecada nell’eresia o, peggio, nel nome dellaChiesa abbia promulgato eresie e leggi disci-plinari eretiche e sacrileghe, gli elettori do-vranno e potranno constatare questo fattodella mancanza, nella persona eletta, della di-sposizione a ricevere l’autorità o a mantenerel’autorità, e dopo aver constatato questo fattoprocedere a una nuova elezione.

14. La durata del diritto di designare.La durata del diritto di designare è simi-

le alla durata della designazione stessa, cioèla si può perdere soltanto per morte, rinun-cia o legale rimozione. Nel caso degli eletto-ri del papa, soltanto colui che ha il diritto dinominare gli elettori (vale a dire soltanto chiè papa almeno materialmente) ha il dirittodi rimuoverli legalmente. Ma ci si chiede,come può un individuo non-papa o papa sol-tanto materialmente, rimuovere o nominarelegalmente gli elettori del romano pontefi-ce? In altre parole, in qual modo dopo ilConcilio Vaticano II i conclavi possono es-sere considerati legittimi, quando gli stessielettori sono eretici, spogliati della giurisdi-

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zione o nominati da eretici anch’essi spoglia-ti di giurisdizione?

La risposta è che l’autorità ha un duplicefine: uno, è legiferare e l’altro nominare i sog-getti perché ricevano l’autorità. Come la stes-sa autorità ha “un corpo” e “un’anima” ossiauna materia e una forma, la prima essendo ladesignazione a ricevere la giurisdizione e laseconda la giurisdizione stessa, così anchel’oggetto dell’autorità è duplice: il primo eprincipale oggetto o fine dell’autorità è diri-gere la comunità verso il bene mediante leleggi, e questo riguarda “l’anima” dell’auto-rità, il secondo e secondario oggetto dell’au-torità (perché ordinato al primo) è nominarei soggetti dell’autorità, e questo riguarda ilcorpo dell’autorità, affinché la comunità ab-bia continuità nel tempo. Per esempio, se sanPietro avesse guidato la Chiesa ma non aves-se provveduto alla sua successione legittima,avrebbe leso gravemente e addirittura mor-talmente il bene della Chiesa, perché non èsufficiente per un buon governo che qualcu-no semplicemente legiferi, ma è necessarioche provveda a creare una successione legitti-ma nella sede dell’autorità.

Questi due oggetti dell’autorità sonorealmente distinti. La ragione è che l’attodella designazione a ricevere una carica nonè fare una legge. Designare qualcuno a unacarica è semplicemente trasferirgli un dirittoo un titolo. Non riguarda il fine della società.Alla designazione non è dovuta nessuna ob-bedienza, come invece è dovuta alla legge, èdovuto soltanto il riconoscimento. Ora se glioggetti sono realmente distinti, allora anchele facoltà ordinate agli oggetti sono realmen-te distinte. Quindi, la facoltà di designare èrealmente distinta dalla facoltà di legiferare.Può accadere che una persona, anche se nongode della facoltà di legiferare (o dell’auto-rità considerata in senso proprio e formale)possa tuttavia godere della facoltà di desi-gnare, nella misura in cui voglia il bene og-gettivo della successione legale nella sededell’autorità. Inoltre, come abbiamo dettoprima, la facoltà di designare proviene dallaChiesa, la facoltà di legiferare proviene daDio. La Chiesa può dare la facoltà di desi-gnare, senza che nello stesso tempo Dio ac-cordi la facoltà di legiferare, e questo a causadi un impedimento. Ma gli elettori del papa,anche quelli che aderiscono al Concilio Vati-cano II, hanno l’intenzione di designare le-galmente una persona a ricevere il papato.Così Paolo VI e Giovanni Paolo II, benché

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siano papi soltanto materialmente (6), quan-do nominano i “cardinali” hanno l’intenzio-ne di nominare soggetti che abbiano la fa-coltà o il diritto di designare il papa. Quindi,i conclavi, anche quelli dopo il Concilio Vati-cano II, vogliono oggettivamente il bene del-la successione nella sede pontificia e coloroche sono eletti a questa sede oggettivamentesi propongono il bene di nominare gli eletto-ri del papa. Questa continuità puramentemateriale dell’autorità può continuare perun tempo indefinito, nella misura in cui iconclavi hanno l’intenzione di eleggere unpapa e coloro che sono eletti hanno l’inten-zione di nominare gli elettori.

Né la designazione è resa nulla per ere-sia degli elettori o della persona eletta. Laragione è che la designazione in se stessanon riguarda la disposizione o non-disposi-zione del soggetto. Le esigenze dell’autorità,cioè del diritto di legiferare, riguardano la di-sposizione o la non-disposizione del sogget-to. In altre parole, la materia diventa inadat-ta a ricevere l’autorità a causa delle esigenzedella forma, cioè dell’autorità, non già a cau-sa delle esigenze dell’atto di designazione.

Per esempio, un laico eletto al papato,per ricevere validamente l’autorità deveavere l’intenzione di ricevere la consacrazio-ne episcopale; se non ha questa intenzione,rimane designato validamente ma non è ido-neo a ricevere l’autorità a causa della non-disposizione per quanto riguarda le esigenzedella forma, ma non per quanto riguarda leesigenze della designazione. Costui sarebbepapa materialmente fino al momento in cuiabbia l’intenzione di ricevere la consacrazio-ne episcopale. La designazione è valida;l’esigenza dell’autorità rende il soggetto in-valido fino a che non diventi materia prossi-mamente disposta a ricevere l’autorità.

Quindi, colui che è designato al papato,anche se non può ricevere l’autorità a causadell’ostacolo di eresia o perché rifiuta laconsacrazione episcopale o per qualsiasi al-tra ragione, ciò nonostante può nominare al-tri a ricevere l’autorità (come i vescovi) eaddirittura gli elettori del papa, in quantotutti questi atti riguardano soltanto la conti-nuazione della parte materiale dell’autoritàe non concernono la giurisdizione, perchénella nomina non viene fatta nessuna legge.La nomina o designazione è una semplicepreparazione, invero remota, al legiferare.

Colui che è designato all’autorità, nellamisura in cui mantiene l’intenzione di conti-

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nuare la parte materiale della gerarchia, ri-ceve in sé validamente questa potestà nonlegislativa. Gli elettori che sono designati dauna persona che è papa soltanto materialitercompiono una elezione legale quando eleg-gono qualcuno a ricevere il papato, perchénel compimento di questo atto non è fatta al-cuna legge e quindi gli elettori non necessi-tano di alcuna giurisdizione, cioè di alcun di-ritto di legiferare; devono soltanto godere diun diritto di voce attiva per compiere unadesignazione validamente e legalmente.

Si può stabilire una analogia con il casodell’anima umana. L’anima è ordinata ad at-ti specificamente diversi, per esempio attidella vita vegetativa, della vita sensitiva edella vita razionale. Può accadere che, perinattitudine o per indisposizione della mate-ria (per esempio una ferita grave al capo)l’anima compia soltanto atti della vita vege-tativa cosicché il corpo rimane vivo e poten-zialmente in grado di compiere atti superioriquando la materia diventi idonea. Se tutta-via la materia diventa del tutto inidonea amantenere la vita anche solo vegetativa, so-pravviene la morte. Allo stesso modo, ana-logicamente la Chiesa può conservare la “vi-ta vegetativa” della gerarchia e contempora-neamente non conservare la “vita legislati-va” o la vita che persegue i fini della Chiesa(per lo meno da parte della gerarchia). Que-sto stato di cose proviene non da una man-canza da parte di Cristo, ma da un difetto daparte di uomini defettibili quali sono coloroche sono designati a ricevere l’autorità. Ciòè permesso da Cristo, Capo della Chiesa edè “straordinario ai nostri occhi”. Tuttavia,tutto il male permesso da Dio porta al bene.

I fini della Chiesa continuano ad essereperseguiti dai sacerdoti e dai Vescovi chenon caddero nell’eresia, con una giurisdizio-ne che non è abituale ma meramente transi-toria quando compiono atti sacramentali.

15. Il diritto di eleggere non è giurisdi-zione né autorità.

Il diritto di eleggere una persona a rice-vere l’autorità non è autorità né giurisdizio-ne perché coloro che possiedono questo di-ritto non possiedono necessariamente il di-ritto di legiferare. Per esempio, in uno stato icittadini hanno il diritto di eleggere ma nonhanno il diritto di legiferare; possono soltan-to eleggere colui che deve ricevere l’autorità.Oggetto del diritto di eleggere non è fareuna legge bensì soltanto designare una per-

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sona. Perciò il diritto di eleggere perdura fin-ché vi è l’intenzione abituale di designareuna persona a ricevere l’autorità o finchéquesto diritto non sia rimosso dall’autorità. Ildiritto di eleggere è ordinato ad un atto spe-cificamente distinto da quello al quale sonoordinate la giurisdizione o l’autorità. L’auto-rità è ordinata a formulare leggi che sono or-dinamenti per promuovere i fini propri dellasocietà stessa. Il diritto di eleggere invecenon è ordinato direttamente a promuovere ifini propri della società ma soltanto a procu-rare un soggetto idoneo a ricevere questa au-torità. L’oggetto dell’uno è simpliciter diver-so da quello dell’altro e il diritto di eleggerenon implica assolutamente nel suo concettoformale il possesso del diritto di legiferare,come l’elezione in sé non implica nel suoconcetto formale il possesso dell’autorità.

Vero è che in concreto questi due dirittispesso si ritrovano nella stessa persona, peresempio in un cardinale o in un papa. Maquesti due accidenti (il diritto di eleggere e ildiritto di promulgare una legge o l’elezione eil possesso dell’autorità) non si trovano ne-cessariamente riuniti nella stessa personaperché il loro oggetto è diverso. Come dettoprima, oggetto del diritto di eleggere è la de-signazione della persona che deve riceverel’autorità e oggetto del diritto di legiferare èla legge stessa, o l’ordinamento della ragioneallo scopo di promuovere il bene comune.L’atto o esercizio del diritto di eleggere èl’elezione; l’atto o esercizio del diritto di legi-ferare è il fare leggi. Poiché questi diritti han-no oggetti simpliciter diversi, esistono due fa-coltà morali simpliciter diverse. Questa di-stinzione risolve la difficoltà che alcuni obiet-tano: è impossibile che un conclave compostoda cardinali eretici, e pertanto privi della giu-risdizione possa eleggere colui che è ordinatoa ricevere la pienezza della giurisdizione (7).

16. Il diritto di legiferare proviene in ma-niera immediata da Dio, il diritto di designa-re proviene da Dio soltanto in maniera me-diata, in maniera immediata proviene dallaChiesa.

Il diritto di legiferare, cioè di insegnare,governare e santificare la Chiesa, provieneda Dio. È l’autorità propriamente detta, l’au-torità di Cristo, della quale il papa partecipaquale vicario. Invece il diritto di designarecolui che deve ricevere l’autorità proviene daDio in maniera mediata e in maniera imme-diata dalla Chiesa. Ciò è evidente: quando

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muore un papa il diritto di designare il suc-cessore non muore con lui! Il possessore le-gale di questo diritto di designare è il corpodegli elettori o conclave. Per questa ragioneil conclave o corpo degli elettori può trasmet-tere il diritto di designazione anche a un papamateriale, vale a dire designato al papato sen-za avere l’autorità papale, cosicché questo pa-pa materiale possa nominare altri elettori le-galmente e così mantenere in perpetuo il cor-po legale degli elettori. In altre parole, tuttequeste considerazioni si trovano sulla lineamateriale. Questo principio è di estrema im-portanza perché coloro che criticano la Tesinon capiscono come colui che non ha l’auto-rità papale possa nominare cardinali o elet-tori in grado di eleggere legalmente e legitti-mamente colui che deve ricevere l’autorità.A torto essi pensano che il diritto di designa-re gli elettori sia anche diritto di legiferare equindi uniscono ciò che deve essere tenutoseparato. Questo diritto di designare che sitrova in Paolo VI o in Giovanni Paolo II nonli rende papi, perché in essi manca l’autoritào diritto di legiferare. Quindi non sono papi,se non materialiter. Tuttavia possono desi-gnare gli elettori e anche i vescovi allo scopodi succedere nelle sedi dell’autorità e anchecambiare validamente le regole dell’elezionesoprattutto se questi cambiamenti vengonoaccettati dal conclave.

IV. L’unione dei due elementi dell’autorità

17. Vacantis Apostolicae sedis di PioXII. Questo documento dichiara: «Dopo chel’elezione ha avuto luogo secondo le regolecanoniche, l’ultimo cardinale Diacono con-voca nell’aula del Conclave il Segretario delSacro Collegio, il Prefetto delle cerimonieApostoliche ed i due Maestri di Cerimonia,ed in loro presenza il cardinale Decano, innome dell’intero Sacro Collegio, chiede ilconsenso dell’eletto con queste parole: “Ac-cetti la tua elezione al Sommo Pontificatocompiuta secondo le regole canoniche?”.Dopo che questo consenso viene espresso en-tro i termini, da determinare, ogni volta ciòfosse necessario, dal prudente giudizio deicardinali a maggioranza di voti, immediata-mente l’eletto è vero papa e acquisisce in attoe può esercitare la piena ed assoluta giurisdi-zione su tutta la terra (§ 100 e 101).

È quindi chiaro che una volta espresso ilproprio consenso all’elezione, l’eletto diven-ta papa. Perciò l’unione di materia e forma

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del papato è immediata. Ma allora, comepuò qualcuno rimanere papa soltanto mate-rialmente dopo che ha espresso il proprioconsenso all’elezione? Risposta: perché ma-teria e forma non possono essere unite se lamateria non ha le debite proporzioni con laforma, e questo avviene in due modi: ovveroper ordine naturale tra materia e forma, e perrimozione di qualsiasi impedimento. Pertan-to, chi è stato eletto legalmente al papato ri-ceve quella parte dell’autorità che è idoneo aricevere, cioè quella parte per la quale nonpresenta impedimento. È perciò possibileche una persona possa ricevere il diritto didesignazione che riguarda la successione le-gittima e il permanere della vita corporaledella Chiesa e nello stesso tempo non possaricevere l’autorità propriamente detta, cioèil diritto di legiferare, che riguarda la legisla-zione e il governo della Chiesa. Ora, comeabbiamo detto prima, l’intenzione di pro-mulgare errori o leggi disciplinari nocive,pone nell’eletto un impedimento a riceverela forma dell’autorità e costui, anche se avràdato il suo consenso all’elezione rimarrà sol-tanto eletto fino a quando non avrà rimossol’impedimento.

V. La possibilità di separare materia e formadell’autorità

18. Negli enti per accidens materia e for-ma possono essere separate. Negli enti persé, per esempio un uomo, è impossibile chela persona sopravviva se materia e forma so-no separate. La materia non può esistere inatto senza la forma sostanziale. Negli entiper accidens, cioè in quegli enti che nasconodall’unione di una forma accidentale conuna sostanza (che diventa analogicamentemateria rispetto all’accidente), materia eforma possono essere separate senza che visia corruzione del suppositum, come, un uo-mo bianco, o filologo o musico.

Ora il Papa, in quanto è Papa, è un ente“per accidens” perché è un’aggregazione dipiù enti, cioè di un uomo da un lato e di nu-merosi accidenti dall’altro. Di questi numerosiaccidenti, alcuni sono puramente dispositivi,come l’ordinazione sacerdotale, la consacra-zione episcopale ecc., ma uno solo è formale eper il quale un determinato uomo è nominatopapa simpliciter, e questo accidente è il dirittodi legiferare o autorità o giurisdizione.

L’uomo che ha la disposizione a riceverel’autorità è una sostanza che possiede tutte

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le perfezioni necessarie per ricevere la for-ma dell’autorità, di queste perfezioni l’ulti-ma e in verità quella sine qua non, è la lega-le designazione a ricevere l’autorità. La per-sona così designata può ricevere in sé l’auto-rità subito oppure dopo un certo periodo ditempo. Se non riceve subito l’autorità, rima-ne materia ultima dell’autorità, uomo elettoo designato, ma non ha la giurisdizione, nonha il diritto di legiferare o di dirigere la co-munità verso i fini che le sono propri.

Un esempio insigne è dato dal presiden-te degli Stati Federati d’America. Egli è de-signato legalmente nel mese di novembrema non riceve l’autorità prima del 20 gen-naio dell’anno seguente. Nel periodo di tem-po che intercorre tra l’elezione e l’acquisi-zione dell’autorità, non è presidente perchénon ha il potere, ma non è simpliciter non-presidente, perché ha ricevuto la designazio-ne legale. È presidente materialmente (ma-terialiter). Se tale persona eletta non doves-se mai andare a Washington a ricevere l’au-torità, rimarrebbe presidente materialmentefinché il Congresso non avrà rimosso la desi-gnazione. È difficile immaginare la stessa si-tuazione nel caso del romano Pontefice poi-ché la consuetudine e la legge stabilisconoche egli riceva subito la giurisdizione papalenell’atto stesso di accettazione della desi-

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gnazione. Ma può anche accadere che unadeterminata persona, sebbene legalmentedesignata e dopo aver accettato la designa-zione, tuttavia non riceva la giurisdizioneperché manca di qualche disposizione neces-saria, per esempio dell’intenzione di riceve-re la consacrazione episcopale se non è an-cora vescovo, oppure dell’uso della ragionese è pazzo. In tal caso, l’uomo eletto sarebbedesignato al papato ma non sarebbe veropapa, sarebbe papa soltanto materialmentefinché non acconsentisse alla consacrazioneepiscopale o guarisse della sua pazzia.

La designazione a ricevere l’autorità el’autorità stessa sono dunque due accidentiche possono trovarsi in un solo soggetto epoiché fanno parte dell’ordine accidentalesono solo per analogia rispettivamente acci-dente materiale e accidente formale riguar-do al papa (8).

Un uomo che ha in sé il primo accidente,cioè la designazione, automaticamente di-venta materia prossima di autorità o è auto-rità (in senso concreto) materialiter. Dun-que, se un laico fosse designato al papatoma rifiutasse la consacrazione episcopale,sarebbe papa materialmente finché un con-clave non gli togliesse la designazione.

Poiché la designazione all’autorità è real-mente distinta dall’autorità stessa (conside-rata formalmente) la designazione può esi-stere in un determinato soggetto senza l’au-torità, come detto sopra. Analogamente, igenitori generano la materia prossima a rice-vere una forma umana ma non sono loro cheinfondono la forma stessa. Analogamente,gli elettori procurano la materia prossimadel papato o di un capo della società ma nonforniscono l’autorità. Se la materia generatadai genitori, in qualche modo non ha la di-sposizione a ricevere la forma umana, nondiventa un uomo ma è espulsa dal corpo del-la donna. Così se gli elettori forniscono unamateria di autorità che però in qualche mo-do non ha la disposizione a ricevere la formadell’autorità, non diventa un papa ma vieneespulsa, cioè, gli elettori gli tolgono la desi-gnazione. Inoltre, per analogia, come la don-na che non espelle il feto non disposto allaforma umana viene colpita da infezione, cosìla Chiesa o la società che non espellono lamateria che non è disposta all’autorità ven-gono infettate dal morbo della confusione acausa della mancanza di autorità. Inoltre, sela causa della non disposizione all’autorità èla volontà di promulgare l’eresia, allora le

La Tiara (in fotogafia quella di Pio IX) è il simbolo del-la pienezza del potere papale

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istituzioni della Chiesa marciscono nel fetidoumore dell’eresia a causa dell’apparenza diautorità in colui che è stato eletto.VI. Le cause che impediscono l’unione tramateria e forma dell’autorità

19. Come detto sopra, la materia dell’au-torità, ovvero la persona designata, non puòricevere l’autorità alla quale è designata sepone ostacoli volontari. Quali sono questiostacoli volontari?

Risposta: qualunque cosa impedisca acolui che è stato designato di promuovereabitualmente il bene comune.

Il caso del Romano Pontefice è del tuttoparticolare perché il bene che egli deve pro-muovere è molto più alto del bene della so-cietà civile. Il bene della Chiesa consiste nelperseguire i fini che Cristo stesso le ha impo-sto e continua a volere per lei. Questi fini sonotre e corrispondono alle tre funzioni di Cristo:

1) diffondere la verità in modo indefetti-bile e infallibile in quanto Cristo è Profeta.

2) Offrire il vero e unico sacrificio al ve-ro e unico Dio e amministrare i veri sacra-menti in quanto Cristo è Sommo Sacerdote.

3) Stabilire in modo indefettibile delleleggi che conducono infallibilmente alla vitaeterna in quanto Cristo è Re.

Quindi, colui che ha o pone un impedi-mento anche a una sola di queste tre funzio-ni essenziali di Cristo e della Chiesa non puòricevere l’autorità di Cristo o della Chiesa,perché l’autorità, come si è visto prima, ènecessariamente ed essenzialmente ordinataal bene comune, al proseguimento dei finipropri della società.

Quindi chi avesse l’intenzione :1) di promulgare l’errore2) di promulgare l’uso di un culto falso o

il culto di un falso Dio o il non-uso del veroculto, oppure

3) di promulgare leggi nocive,benché designato validamente, non po-

trebbe ricevere l’autorità. Avere l’intenzionedi compiere tali cose è volere la rovina dellaChiesa e il suo completo annientamento. In-fatti la Chiesa è colonna della verità per isti-tuzione di Cristo e chi ha l’intenzione di pro-mulgare l’errore in suo nome, sia in questioniteoriche che in questioni pratiche, viola la suanatura. Cristo è il capo supremo della Chiesae l’autorità del Papa è l’autorità di Cristo.Quindi: l’intenzione di promulgare l’erroredistrugge completamente la proporzione tral’autorità di Cristo e il designato. Tuttavia,

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l’intenzione di sovvertire la Chiesa mediantela diffusione dell’errore non è la sola ragioneper cui una persona non può ricevere l’auto-rità papale. Nell’esempio sopra riportato, PioXII ha affermato che un laico che sia statoeletto al pontificato non può accettare l’ele-zione finché non ha acconsentito a riceverel’ordinazione. La ragione è evidente: chi nonvuole essere sacerdote, implicitamente nonvuole, e quindi non può, ricevere l’autoritàsacerdotale; né può essere immagine di Cri-sto, Sommo Sacerdote e quindi non puòadempiere la funzione essenziale del papato.Lo stesso accade per le altre funzioni: coluiche ha l’intenzione di diffondere la falsa dot-trina non può adempiere l’ufficio di Cristo,Somma Verità; colui che ha l’intenzione distabilire un falso culto non può svolgere ilcompito di Cristo Sommo Sacerdote; coluiche ha l’intenzione di emanare leggi nocivenon può adempiere l’ufficio di Cristo Re.

Come Cristo suo Maestro, la Chiesa deveessere per tutti gli uomini via, verità e vita inquanto regge, insegna e santifica, e questoinfallibilmente. Ma se l’autorità della Chiesapromulga l’errore, la Chiesa non può essereper nessuno né via, né verità, né vita (9).

APPENDICE I. La distinzione tra un fatto rea-le e il riconoscimento legale di un fatto reale

20. Prima di poter procedere all’esposi-zione della Tesi, sarà necessario spiegareun’altra distinzione di grande importanza,cioè la distinzione tra un fatto reale e il rico-noscimento legale di un fatto reale.

Ogni società è una persona morale e, peranalogia con la persona fisica, la società haun proprio intelletto e una propria volontà.Quindi, può accadere, e spesso accade, cheun fatto possa essere vero nell’ordine reale eaddirittura assolutamente evidente, ma checiò nonostante non sia riconosciuto come ta-le dalla società.

Per esempio, qualcuno può commettereun omicidio davanti a numerosi testimoni.Sebbene i testimoni sappiano che costui è unomicida, tuttavia di fronte alla legge è consi-derato innocente finché non sarà stato con-dannato da un tribunale. In altre parole: agliocchi della società un individuo non è un omi-cida finché non è stato condannato, anche se èassolutamente certo per i testimoni che è unomicida ed in realtà costui è un omicida.

Altro esempio: in un matrimonio unodegli sposi simula il consenso. In questo caso

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di fronte a Dio e nella realtà non esiste vin-colo matrimoniale, ma di fronte alla Chiesail matrimonio è valido finché non sarà statoprovato che il consenso era simulato. Se unsacerdote dalla confessione di uno degli spo-si verrà a sapere che il consenso era simula-to, dovrà proibire agli sposi l’uso del matri-monio poiché di fronte a Dio il vincolo nonesiste, sebbene di fronte alla Chiesa il vincoloesista finché non verrà dichiarato nullo condichiarazione legale. Un altro esempio: unsacerdote durante l’ordinazione segreta-mente ritira l’intenzione di ricevere il sacra-mento dell’ordine. Legalmente di fronte allaChiesa egli esce dall’ordinazione come sa-cerdote anche se di fronte a Dio e nellarealtà non è sacerdote. Se poi vuole dimo-strare la nullità del sacramento, rimane le-galmente sacerdote finché la nullità non saràstata provata nella debita forma.

A causa di questa distinzione tra un “fat-to reale” e un “fatto legale”, la Chiesa e ognisocietà si distinguono dal semplice volgo.

Inoltre questa distinzione viene confer-mata nel caso di Nestorio in cui, dopo cheegli ebbe espresso la sua eresia nella sua cat-tedrale nell’anno 428, il clero e il popolo re-spinsero la comunione e rifiutarono di obbe-dirgli, ciò nonostante egli continuò a occu-pare la sede in quanto designato legale, fin-ché non fu legalmente deposto dal Conciliodi Efeso nel 431. Se il riconoscimento legaledel suo reato non fosse stato necessario, ilPapa avrebbe nominato un altro eletto alsuo posto prima del giudizio del Concilio.

Il nostro problema attuale - che è davve-ro terribile - consiste nel fatto che tutte le se-di di autorità, almeno stando all’apparenza,insegnano come magistero gli errori del Con-cilio Vaticano II e tutti gli elettori del papacondividono gli errori del Vaticano II, cosic-ché non vi è nessuno che possa in modo lega-le riconoscere o constatare il fatto dell’errorenel magistero e di conseguenza l’assenza diautorità in coloro che lo promulgano.

In questo stato di cose, che mai si è veri-ficato prima nella storia della Chiesa, i fedelidevono, da un lato proteggere se stessi, pro-prio come i fedeli di Costantinopoli doveva-no proteggersi nei confronti di Nestorio, re-spingendo la comunione con coloro che pro-mulgano l’errore e rifiutando di riconoscereche possiedono l’autorità, ma d’altra partedevono osservare la qualità legale dellaChiesa per la quale uno continua a rimanerenella sede e nella carica finché non viene ri-

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mosso per legge.Per queste ragioni, la Tesi che io ora di-

mostrerò offre una spiegazione perfetta delproblema attuale e una posizione veramenteCattolica perché da un lato mantiene l’inde-fettibilità della Chiesa e l’infallibilità del suomagistero rifiutando di riconoscere l’auto-rità di Cristo in coloro che diffondono erro-ri, ma dall’altro mantiene l’apostolicità el’unità della Chiesa in quanto solo e unicocorpo morale, riconoscendo la designazionelegale in coloro che sono designati legal-mente a uffici ecclesiastici finché essa nonsarà loro tolta dall’autorità competente.

(Continua)

Note

1) Qualora i Vescovi scismatici si pentano e chieda-no di riconciliarsi con Roma, generalmente sono accoltidalla Chiesa come vescovi, vale a dire mantengono lediocesi insieme al clero, ai religiosi e ai fedeli.

2) Nella filosofia scolastica si intende per Habitus(abito) una qualità stabile che dispone il soggetto ad es-sere o ad operare bene o male (Nota di Sodalitium).

3) La società non sembra essere altro che una riu-nione di uomini al fine di compiere insieme una cosasola (San Tommaso Contra impugnantes Dei Cultum acReligionem).

4) Pio XII ha previsto il caso in cui un laico elettoal soglio pontificio non può ricevere l’elezione se rifiutal’ordinazione sacerdotale: “Se un laico fosse eletto papanon potrebbe accettare l’elezione a meno che sia personaatta a ricevere l’ordinazione sacerdotale e disposta a ri-ceverla”(Discorso al Secondo Congresso Mondiale perl’apostolato dei laici, 5 ottobre 1957).

5) Il Can. 183 §1 elenca le cause di rimozione dagliuffici ecclesiastici, che sono: rinuncia, rimozione, desti-tuzione, trasferimento, durata prestabilita. Ma a questocaso non si possono applicare la rimozione, il trasferi-mento o la durata prestabilita.

6) In altre parole papi soltanto “secundum quid”(in un certo senso) ma non “simpliciter” (in assoluto)cioè formalmente.

7) In questo n. 15 del suo saggio, come pure nelsuccessivo n. 16, l’Autore dimostra, con degli argomentidiretti, come un “papa” solo materialiter (e quindi privodi autorità) possa designare validamente gli elettori delConclave (i Cardinali), gli occupanti delle sedi episco-pali, e cambiare le regole dell’elezione. Gli argomentiaddotti da don Sanborn ci sembrano probanti, chiari,definitivi, e confortano la posizione già espressa da Pa-dre Guérard e dall’abbé Bernard Lucien sulla “perma-nenza materiale della gerarchia” (cf B. LUCIEN, La si-tuation actuelle de l’Autorité dans l’Église. La Thèse deCassiciacum, Documents de Catholicité, 1985, c. X, pp.97-103). Tuttavia, se il lettore non fosse ancora convin-to, si potrebbero addurre altre prove, anche se menoprofonde, in quanto indirette. In effetti, se non si am-mette questa possibilità, bisogna concludere che attual-mente la Chiesa gerarchica è completamente distrutta,e che non esiste più alcuna possibilità di eleggere unPapa nel futuro, il che è contrario all’indefettibilità del-la Chiesa. Dato pertanto, e non concesso, che il “papa”

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materialiter non è di per sé idoneo a designare legal-mente gli elettori del Conclave e gli occupanti delle sediepiscopali, bisognerebbe ammettere allora che tale ca-pacità gli verrebbe da una supplenza da parte di Cristo.L’ipotesi di una supplenza da parte di Cristo non è pri-va di fondamento, anche negli Autori. C.R. Billuarto.p., ad esempio, la suppone nel caso ipotetico del “pa-pa eretico”. “È sentenza comune - scrive Billuart - cheCristo, per il bene comune e la tranquillità della Chiesa,con una speciale dispensa, accordi la giurisdizione al pa-pa manifestamente eretico, fintantoché non sia dichiara-to tale dalla Chiesa” (Summa Sancti Thomae..., t. IX,Tractatus de fide et regulis fidei, obj. 2°) [qui Billuart so-stiene addirittura una supplenza dell’Autorità di giuri-sdizione, che non si può ammettere nel nostro caso].Anche Timoteo Zapelena s.i. ipotizza una supplenza digiurisdizione, seppur limitata, accordata da Cristo perassicurare la continuità della Chiesa. Esaminando il ca-so del Grande Scisma d’Occidente, dopo aver spiegatoche il Papa legittimo era quello romano, il teologo ge-suita prende in considerazione cosa sarebbe succedutose tutti e tre i “papi” del Grande Scisma fossero stati“dubbi” e, quindi, “nulli”. I Cardinali ed i Vescovi daloro designati non sarebbero stati tutti invalidi? Secon-do Zapelena, in questo caso ipotetico, “si dovrebbe am-mettere una supplenza della giurisdizione (fondata sul ti-tolo ‘colorato’), non da parte della Chiesa, che non ha lasuprema autorità, ma da parte di Cristo stesso, cheavrebbe concesso la giurisdizione a ciascuno degli anti-papi in quanto era necessario”, cioè solo nella designa-zione di Cardinali (e Vescovi) atti all’elezione del Papa(De Ecclesia Christi, pars altera apologetico dogmatica,Università Gregoriana, Roma, 1954, p. 115). Il casoanalizzato da Zapelena è molto simile al nostro. Se Bil-luart ipotizza una supplenza di giurisdizione per un Pa-pa manifestamente eretico, e Zapelena la ipotizza addi-rittura per un antipapa, non si vede perché questa sup-plenza non sia teologicamente possibile anche per un“papa” materialiter, limitatamente, beninteso, a quegliatti necessari per procurare la continuità della strutturagerarchica della Chiesa, che è postulata dalla fede nellepromesse di Nostro Signore (nota di Sodalitium).

8) Poiché la materia è una potenza che riceve laforma e l’imperfetto o potenziale è ciò da cui viene ilperfetto, sono riconducibili alla causa materiale: a) gliaccidenti che dispongono il soggetto a ricevere una de-terminata forma-causa materiale dispositiva; b) le parti,sia quelle essenziali (materia e forma) sia quelle inte-grali, che compongono il tutto; c) qualunque soggettopotenziale che riceve un atto. Ad esempio, la sostanzaspirituale in relazione ai suoi accidenti, l’essenza in re-lazione all’esistenza, un accidente in relazione a un al-tro, sono detti cause materiali in senso più vasto.(Gredt, Elementa Philosophiæ Aristotelico-Thomisticæ(Friburgi Brisgroviæ: Herder, 1932) n.751

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“Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà lafede sulla terra? (Lc 18, 8)”. Con questa sor-

prendente domanda è iniziata l’omelia di Gio-vanni Paolo II per il XX anniversario della suaelezione, domenica 18 ottobre (O.R., 19-20/10/98, pp. 6-7). E ha proseguito: “Questa do-manda, posta un giorno da Cristo ai suoi discepo-li, nell’arco dei duemila anni dell’era cristiana, hainterpellato molte volte gli uomini che la DivinaProvvidenza ha chiamato ad assumere il ministeropetrino. Penso in questo momento a tutti i mieilontani e vicini Predecessori. Penso, in manieraspeciale, a me (...). (...) Quante volte sono rianda-to col pensiero alle parole di Gesù, che Luca ci haconservato nel suo vangelo. Poco prima di affron-tare la passione Gesù dice a Pietro: ‘Simone, Si-mone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi comeil grano; ma io ho pregato per te, che non vengameno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, con-ferma i tuoi fratelli’ (Lc 22, 31-32). ‘Confermarenella fede i fratelli’ è dunque uno degli aspetti es-senziali del servizio pastorale affidato a Pietro edai suoi successori. Nella Liturgia odierna, Gesùpone la domanda: ‘Il Figlio dell’uomo, quandoverrà, troverà la fede sulla terra?’. È una doman-da che interpella tutti, ma in particolare i succes-sori di Pietro. ‘Quando verrà, troverà...? (...) Ve-nendo, troverà la fede sulla terra?” (n. 1). Difronte all’artificiale ottimismo post-conciliare,Giovanni Paolo II sembra angosciato dalla visi-bile perdita di fede - vera apostasia - dei nostrigiorni. E dal pensiero (occultato dopo il Conci-lio) di conservare integra questa fede. E anchedal pensiero della sua responsabilità: “dopovent’anni di servizio sulla sede di Pietro, non pos-so quest’oggi non pormi alcune domande: Haimantenuto tutto questo? Sei stato maestro dili-gente e vigile della fede della Chiesa?” (n. 2).Purtroppo, a questa domanda capitale, Giovan-ni Paolo II ha aggiunto quest’altra: “Hai cercatodi avvicinare agli uomini di oggi la grande operadel Concilio Vaticano II?”. Questo Concilio chelui stesso ha ancora recentemente chiamato una“primavera” destinata, nel nuovo millennio, a di-ventare “estate” di “maturo sviluppo” (udienzagenerale, O.R., 24/9/98, p. 4). Che tragedia, nonvedere che proprio il Vaticano II sta facendoscomparire - nella misura del possibile - la fedecattolica dalla terra, avendo realizzato, secondol’espressione di Mons. Duprey, segretario delPontificio Consiglio per l’unità dei cristiani, un

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“capovolgimento” del “cammino ormai consoli-dato e secolare” della Chiesa (discorso tenuto alVII colloquio internazionale promosso dall’Isti-tuto Paolo VI su Paolo VI e l’ecumenismo , inO.R., 19-20/10/98, p. 4. Duprey parlava espres-samente del decreto Unitatis redintegratio, e del-le esitazioni di Paolo VI nel firmarlo). In questonumero di Sodalitium presentiamo dei testi neiquali Giovanni Paolo II prosegue nella via, dalui detta “irreversibile” dell’eresia ecumenista,ed altri testi nei quali sembra - parzialmente -confermare nella fede i suoi fratelli. Non na-scondiamoci la realtà di una Chiesa senza Pasto-re; ma non neghiamo neppure che “una voltaravveduto” l’eletto al Soglio di Pietro - o un suosuccessore - confermerà nuovamente i suoi fra-telli, sostenendo dalla Cattedra di verità “il nuo-vo Israele, la Chiesa” che “si trova a combatterecontro i vari ‘Amaleciti’” (O.R., 19-20/10/98, p.7). A questo fine, eleviamo al Signore la nostrapreghiera fiduciosa nelle divine promessesull’indefettibilità della Sua Chiesa.

Sodalitium

I responsabili della morte di Cristo.

Riprendendo la tradizione inaugurata daSan Leonardo di Porto Maurizio, GiovanniPaolo II presiede ogni anno, il Venerdì santo,la Via Crucis al Colosseo. Anche quest’anno itesti delle meditazioni sono stati scritti da uneterodosso, questa volta il greco-scismaticoOlivier Clément (considerato eterodosso an-che da molti correligionari). Il testo della pri-ma stazione recita: “O no, non il popoloebraico, da noi per tanto tempo crocefisso,(...) non loro, ma noi, tutti e ognuno di noi,perché noi siamo tutti assassini dell’amore”(O.R., 12/4/98, p. 6). La prospettiva tradizio-nale è così ribaltata: non solo gli ebrei infedelinon hanno crocifisso Cristo, ma sono staticrocifissi dai cristiani, i quali hanno pure cro-cifisso Cristo. Insomma, per O. Clément eGiovanni Paolo II, è come se, nella tragediadella Passione, “l’unico ebreo coinvolto fossel’ebreo che venne ucciso”, per riprendereun’espressione di G. K. Chesterton (in TheWay of the Cross, 1935). È questa la prospetti-va anche del Catechismo della Chiesa cattolicaal n. 598. In effetti, specialmente negli scrittidi devozione, si insiste sul fatto che “tutti ipeccatori furono gli autori della Passione diCristo”. Occorre però distinguere tra la causaefficiente e la causa finale. I peccatori sonocausa finale della Passione (“è per me cheGesù soffre, per i miei peccati”, fa meditare

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Sant’Ignazio); coloro che vollero e attuaronostoricamente la condanna a morte di Gesù nesono la causa efficiente. Ora, tra le cause effi-cienti della morte di Cristo, l’unico “cristiano”è Giuda Iscariota, il traditore. Quanto agli al-tri colpevoli, basta leggere il Vangelo.

Discorso alle “United Jewish Appeal Fede-rations of North America”

Il 3 settembre 1998, Giovanni Paolo IIha ricevuto, a Castel Gandolfo, una delega-zione delle United Jewish Appeal Federa-tions of North America (testo inglese e tra-duzione italiana in O.R., 4/9/98, p. 5). Ecco ipassaggi più significativi del discorso:

1) “La vostra presenza pone in evidenza glistretti vincoli di affinità spirituale che i cristianicondividono con la grande tradizione religiosadell’Ebraismo e che risale a Mosè e a Abramo”.

2) “In modi diversi, ebrei e cristiani se-guono il cammino religioso del monoteismoetico. Adoriamo l’unico vero Dio...”

3) “In esso [nel libro della Genesi] vedia-mo che ogni essere umano possiede una di-gnità assoluta e inalienabile, poiché siamostati tutti creati a immagine e somiglianza diDio (cfr Gn 1, 26)”.

4) “Sono pertanto sicuro che condividiamola fervente speranza che il Signore della Storiaguidi gli sforzi dei cristiani e degli ebrei e di tuttigli uomini e le donne di buona volontà nel-l’operare insieme per un mondo di autentico ri-spetto della vita e della dignità di ogni essereumano, senza discriminazioni di alcun genere”.

Osserviamo: 1) Gli attuali ebrei non sono gli eredi di

Abramo e di Mosè e della loro tradizione,bensì di quella farisaica.

2) I modi diversi di concepire Dio traebrei e cristiani non sono cosa indifferente!I cristiani credono nella Santissima Trinità enella divinità di Cristo; gli ebrei ortodossi, inun Dio panteista e/o gnostico dalle numero-se emanazioni (cf I. Shahak, Storia ebraica egiudaismo, pp. 69-73).

3) La dignità umana è inalienabile soloin radice (ovvero nella natura umana, chenon si può perdere), ma non in atto: scriveSan Tommaso: “col peccato (...) l’uomo de-cade dalla dignità umana” (II-II, q. 64, a. 2,ad 3); e Leone XIII precisa: “se l’intelligenzaaderisce a delle false opinioni, se la volontàsceglie e si unisce al male, (...) entrambe de-cadono dalla loro nativa dignità e si corrom-pono” (enc. Immortale Dei del 1 nov. 1885).

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4) negare ogni discriminazione (= dispa-rità di trattamento o di diritti), “di alcun ge-nere”, anche quelle in favore dei cattolici, ècontrario alla dottrina sociale della Chiesa.

GIOVANNI PAOLO II E IL“DIALOGO INTERRELIGIOSO”.

Ci riferiamo a due interventi di GiovanniPaolo II: il Messaggio al Cardinale EdwardI. Cassidy, Presidente del Pontificio Consi-glio per la Promozione dell’Unità dei Cri-stiani del 26 agosto 1998, in occasione del“XII incontro di preghiera organizzato dallaComunità di sant’Egidio sul tema: ‘La Pace èil nome di Dio’” (testo francese originale etraduzione italiana sull’Osservatore Romanodel 3/9/98, p. 6; lo indicheremo con l’inizialeM), e al discorso ai fedeli durante l’udienzagenerale del 9 settembre 1998 (OsservatoreRomano, 10/9/98, p. 4; lo indicheremo conl’iniziale U). A questi due documenti si è ag-giunto il discorso di un’altra udienza genera-le (Osservatore Romano, 17/9/98, p. 4; lo in-dicheremo con l’iniziale U2) che sviluppa Ue prepara il tema della enciclica di GiovanniPaolo II sui rapporti tra fede e ragione. Il te-ma dei primi due discorsi, e del nostro com-mento, è quello delle relazioni tra la Chiesae le religioni non cristiane, già trattato dalVaticano II, principalmente nella Dichiara-zione Nostra Ætate (NA) del 28 ottobre1965. Vedremo come Giovanni Paolo II nonsolo faccia sue le principali innovazioni con-ciliari al proposito, ma come si spinga persi-no più in là del Concilio stesso, sulla viadell’indifferentismo, del modernismo e deltradizionalismo.

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I. La dottrina di Giovanni Paolo II

a) Una nuova valutazione delle religioninon cristiane: “stima, sincero rispetto,profonda simpatia, cordiale collaborazione”.

È questo il nuovo approccio del Concilioe del post-Concilio alle false religioni esi-stenti nel mondo, nessuna esclusa (“Lo Spi-rito di verità e di amore, nell’orizzonte del ter-zo Millennio ormai vicino, ci guidi sulle viedell’annuncio di Gesù Cristo e del dialogo dipace e di fraternità con i seguaci di tutte le re-ligioni” U, 4). Il Vaticano II si era limitato alrispetto: “Essa [la Chiesa] considera con sin-cero rispetto (1) quei modi di agire e di vivere,quei precetti e quelle dottrine che, quantunquein molti punti differiscano da quanto essastesse crede e propone, tuttavia non raramenteriflettono un raggio di quella verità che illu-mina tutti gli uomini” (NA, 2; U, 1). Giovan-ni Paolo II abbonda in questo senso: “Per imotivi qui ricordati l’atteggiamento dellaChiesa e dei singoli cristiani nei confronti del-le altre religioni è improntato a sincero ri-spetto, a profonda simpatia, e anche, quandoè possibile e opportuno, a cordiale collabora-zione” (U, 4); “essi [i rappresentanti dellegrandi Religioni mondiali] sanno con quantastima considero le loro tradizioni religiose”(M, 3a col.). Un dizionario (il Nuovo Zinga-relli, 1989) ci aiuterà a soppesare i termini:rispetto: “sentimento nato da stima e da con-siderazione verso persone ritenute superiori,verso princìpi o istituzioni”; simpatia: “attra-zione e inclinazione istintiva verso persone ocose (dal greco σψµπατηεια , conformità nelsentire); collaborazione: “atto di lavorare in-sieme con altri”; stima: “opinione buona, fa-vorevole, delle qualità, dei meriti, dell’opera-to e sim. altrui”. Una tale valutazione si por-ta non tanto sui seguaci delle religioni noncristiane, ma sulle religioni stesse, sul lorocomplesso (contenente cose vere e cose chedifferiscono in molti punti da quanto credela Chiesa), sulle loro dottrine dogmatiche eprecetti morali. Questo atteggiamento ci pa-re profondamente innovativo, e GiovanniPaolo II sembra confermarlo quando, riassu-mendolo col termine “visione” o “spirito diAssisi” (M, 1a col.; U, 2) egli scrive: “La miamente torna ancora con viva emozione aquella memorabile giornata di Assisi, quan-do, per la prima volta nella storia (2) rap-presentanti delle grandi Religioni mondiali siradunarono assieme per invocare la pace daColui che solo può darla con pienezza” (M,

Giovanni Paolo II mentre riceve i mebri delle “UnitedJewish Appeal Federations of North America”

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1a col.). In un articolo sul dialogo interreli-gioso pubblicato sulla rivista napoletana IlGesù nuovo (n. 3, maggio-giugno 1996, p.143), il padre gesuita Armando Gargiulo puòpertanto scrivere senza tema di essere smen-tito: “È stato il Concilio Vaticano II, il primonella storia conciliare della Chiesa, a parlarein modo positivo delle altre religioni”. Sem-bra una enormità affermare che la Chiesaabbia atteso 2000 anni per accorgersi di una“verità” tanto importante! Questo nuovo at-teggiamento può fondarsi tuttavia sull’auto-rità della Rivelazione, della Tradizione o delmagistero ecclesiastico, almeno implicita-mente? Giovanni Paolo II pensa di sì.

b) I “semi del Verbo”.Scrive Giovanni Paolo II: “Riprendendo

l’insegnamento conciliare, sin dalla prima lette-ra enciclica [Redemptor hominis] ho voluto ri-chiamare l’antica dottrina formulata dai Padridella Chiesa, secondo cui è necessario ricono-scere ‘i semi del Verbo’ presenti e operanti nel-le diverse religioni (cfr Ad Gentes, 11; LumenGentium, 17). Tale dottrina ci spinge ad affer-mare che, quantunque per vie diverse, ‘è rivol-ta tuttavia in un’unica direzione la più profon-da aspirazione dello spirito umano, quale siesprime nella ricerca di Dio ed insieme nella ri-cerca, mediante la tensione verso Dio, dellapiena dimensione dell’umanità, ossia del pienosenso della vita umana’ (Redemptor hominis,11). I ‘semi di verità’ presenti e operanti nellediverse tradizioni religiose sono un riflessodell’unico Verbo di Dio, che ‘illumina ogni uo-mo’ (cfr Gv 1, 9) e che si è fatto carne in GesùCristo (cfr Gv 1, 14). Essi sono insieme ‘effettodello Spirito di verità operante oltre i confinivisibili del Corpo Mistico’ e che ‘soffia dovevuole’ (Gv 3, 8) (Cfr Redemptor hominis, 6 e12)” (U, 1). Per quel che riguarda il magisterodella Chiesa, Giovanni Paolo II non può farriferimento che a se stesso e al Concilio Vati-cano II. Anche in questo caso, egli si spingeben oltre il Concilio: Ad Gentes si limita ascrivere che i missionari “debbono conoscerebene le tradizioni nazionali e religiose degli al-tri, lieti di scoprire e pronti a rispettare queigermi del Verbo che in essi si nascondono”,mentre Lumen Gentium afferma che la Chie-sa, dopo aver tolto i non cristiani dalla “schia-vitù dell’errore”, “procura poi che quanto dibuono si trova seminato nel cuore e nella men-te degli uomini o nei riti e culture proprie deipopoli, non solo non vada perduto, ma sia pu-rificato, elevato e perfezionato a gloria di Dio,

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confusione del demonio e felicità dell’uomo”.Il Vaticano II non fa che accennare di sfuggi-ta, quindi, alla dottrina sui “semi del Verbo”(sottolineando la necessità di correggere e pu-rificare gli errori frammisti a certe verità) esenza neppur citare, come invece fa esplicita-mente Giovanni Paolo II (in U2, 1) il suo au-tore, ovvero San Giustino, apologeta e filo-sofo cristiano del II secolo. Giovanni Paolo IIsi rifà, quindi, in ultima analisi, a San Giusti-no; ma lo fa a torto o a ragione?

Più apologeta che filosofo e teologo,scrittore comunque non sistematico, S. Giu-stino trae l’espressione λογοι σπερµατικοι -ragioni seminali - dalla scuola stoica (allaquale aveva appartenuto), per spiegare comemai si potevano trovare nella filosofia grecadelle verità altrove rivelate dall’Antico Te-stamento: “quanto alle analogie che accosta-no alle altre religioni il giudaismo, precurso-re divinamente autorizzato del cristianesimo,egli lo spiega per una parte (ed è soluzionemolto discutibile) con plagi fatti dai filosofiai libri sacri degli Ebrei e con una astuta imi-tazione dei demoni (tesi del plagio) e perl’altra (ed è soluzione più perspicace) conuna tolleranza divina, affatto provvisoria, dielementi imperfetti, allo scopo di facilitarel’accettazione di ciò che è essenziale (teoriadella condiscendenza, sugkatabasis) o, infi-ne, accomodando in maniera superficiale lateoria stoica delle ‘ragioni seminali’ (logoispermatikoi) per mezzo di ‘semenze del ver-bo’ largite alle anime di buona volontà” (En-ciclopedia cattolica, voce Religioni, X, 707).Su questa via si inoltreranno due autori nonsempre ortodossi come Clemente Alessan-drino e Origène (rimesso in auge da de Lu-bac). Etienne Gilson, in L’esprit de la philo-sophie médiévale (Vrin, Paris, 1969, pp. 23-25) mostra come il pensiero di S. Giustinopossa svilupparsi in un buon senso (citandoS. Ambrogio - in realtà l’Ambrosiaster - eSan Tommaso d’Aquino: omne verum, aquocumque dicatur, a Spiritu sancto est) efondare una filosofia cristiana, senza rigetta-re (come è tendenza nei protestanti) quantodi vero e di buono, ovvero di conforme allarealtà e alla legge naturale, vi era nella filo-sofia classica. Ma S. Giustino può essere an-che mal interpretato, attribuendogli quantonon ha detto. È quello che fa Giovanni Pao-lo II. Innanzitutto, Giustino si riferisce so-prattutto alla filosofia greca precristiana;Giovanni Paolo II a tutte le religioni (pre- epost-cristiane). Giustino ammette un inter-

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vento dei demoni nelle tradizioni non cristia-ne; Giovanni Paolo II non ne parla. Infine,una retta interpretazione di Giustino riducel’intervento divino (del Verbo, o dello Spiri-to Santo) al lume della ragione naturale cheDio infonde in ogni uomo, mentre GiovanniPaolo II, che spesso non distingue (secondoil suo “maestro” de Lubac) tra ordine natu-rale e sovrannaturale, sembra sovrannatura-lizzare la ricerca di Dio da parte degli uomini(nelle varie religioni) e la conoscenza natura-le di Dio da essi raggiunta (non senza mesco-lanza di errore) che, in quanto vera (e solo inquesta misura) è pur sempre una partecipa-zione alla Verità. Vedremo poi il valore sal-vifico (e quindi sovrannaturale) che Giovan-ni Paolo II dà a questa ricerca e conoscenza(naturale) di Dio.

c) “Era la luce vera, che illumina ogni uo-mo che viene nel mondo” (Gv 1, 9).

Giustino appoggia la sua dottrina (stoica)dei ‘semi del Verbo’ sulla frase evangelicatesté citata. Giovanni Paolo II la riprende ela fa sua, al seguito di Nostra ætate: “I ‘semidi verità’ presenti e operanti nelle diverse tra-dizioni religiose [nessuna esclusa! n.d.r.] so-no un riflesso dell’unico Verbo di Dio ‘che il-lumina ogni uomo’ (cfr Gv 1, 9) e che si è fat-to carne in Cristo Gesù (cfr Gv 1, 14)” (U, 1);“l’apertura dello spirito umano alla verità e albene si realizza sempre nell’orizzonte della‘Luce vera che illumina ogni uomo’ (Gv 1,9). Questa luce è lo stesso Cristo Signore, cheha illuminato fin dalle origini i passi dell’uo-mo ed è entrato nel suo ‘cuore’ [???]” (U2,2). Qual è dunque il senso di questa espres-sione evangelica? Poiché Giovanni Paolo IIcita espressamente il commento di San Tom-maso a San Giovanni, ricorrerò al medesimoscritto (Commento al Vangelo di San Gio-vanni, I-VI, Città Nuova, 1990) nella lectioV, ove esamina il versetto in questione. Or-bene, l’Angelico inizia contraddicendo im-mediatamente quanto afferma GiovanniPaolo II: “La necessità della venuta del Ver-bo emerge bene dalla mancanza di cono-scenza divina nel mondo” (n. 124); infatti,“prima della venuta del Verbo c’è stata nelmondo una certa luce, che i filosofi si vanta-vano di possedere; ma era una luce falsa,perché essi, come dice la lettera ai Romani (1,21 s.) ‘vaneggiarono nei loro ragionamenti eil loro cuore insensato si offuscò. Dicendo diessere sapienti divennero stolti’ (...). C’è stataanche un’altra luce che i giudei si gloriavano

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di possedere, e che proveniva dalla dottrinadella Legge; ma era una luce prefigurale (...)”(n. 125). Tuttavia, “che il difetto per cui gliuomini non conobbero Dio e non furono il-luminati dal Verbo non dipenda da un man-camento di Dio, o del Verbo, [Giovanni] lodimostra (...) dall’efficacia della luce divina:‘Era la luce vera, che illumina ogni uomo cheviene in questo mondo’ (...)” (n. 124). “L’effi-cacia del Verbo si rivela da questo, che ‘illu-mina ogni uomo che viene in questo mondo’.Tutto ciò che è per partecipazione deriva in-fatti da ciò che è tale per essenza (...) Ora,poiché il Verbo è luce vera per sua natura, ènecessario che ogni altro essere luminoso siailluminato da lui e partecipi di lui. Egli quindi‘illumina ogni uomo che viene in questo mon-do’” (n. 127). Ma in che modo? “...L’illumi-nazione da parte del Verbo può intendersi indue maniere: o relativamente alla conoscenzadella luce naturale (...) o relativamente alla lu-ce della grazia (...)” (n. 129). “(...) Se (...)prendiamo ‘mondo’ nel senso di realtà creata,e ‘illuminazione’ nel significato di luce natu-rale della ragione, l’espressione dell’Evangeli-sta non contiene nessuna falsità. Infatti tuttigli uomini che vengono in questo mondo visi-bile sono illuminati per mezzo della luce dellaconoscenza naturale che partecipa alla veraluce da cui tutti gli uomini ricevono per parte-cipazione ogni luce di conoscenza naturale(...)” (n. 129). “Se invece l’illuminazione si ri-ferisce alla luce della grazia, allora la frase ‘il-lumina ogni uomo...’ può avere tre spiegazio-ni: primo, (...) ‘illumina ogni uomo che viene’per mezzo della fede ‘in questo mondo’ spiri-tuale che è la Chiesa, illuminata dalla lucedella grazia [Origene]. Secondo, (...) ‘Il Ver-bo illumina’ - per quanto dipende da lui; giac-ché da parte sua non si rifiuta a nessuno, anzi‘vuole che tutti si salvino e giungano alla co-noscenza della verità’ come dice san Paolo (1Tm 2, 4) - ‘ogni uomo che viene...’ ossia chenasce, ‘in questo mondo’ visibile. E se qual-cuno non è illuminato, la colpa è dell’uomoche si sottrae alla luce che l’illumina [Criso-stomo]. Terzo, (...) dicendo... ‘illumina ogniuomo che viene in questo mondo’ non si vuo-le indicare in assoluto ogni uomo, ma ciascunuomo che viene illuminato; perché nessuno èilluminato, se non dal Verbo (...) [Agostino]”(n. 130). Riassumendo: Dio illumina tutti gliuomini dando loro il lume della ragione perconoscere delle verità naturali; offre a tuttigli uomini il lume della grazia (sufficiente)per salvarsi; sono effettivamente illuminati

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dalla grazia solo gli uomini che hanno la fede(cfr Gv 1, 12) e sono nella Chiesa, gli altrinon sono illuminati, per loro colpa, avendorespinto la luce (Gv 1, 10-11). Questa è ladottrina di San Tommaso, stravolta e confu-sa da Giovanni Paolo II. È pure la dottrinadi S. Paolo espressa nell’Epistola ai Romani,il quale, attribuisce due soli lumi al mondoprima della venuta di Cristo,: la ragione per iGentili e la Legge per gli ebrei, condannan-do invece in toto la religione dei Gentili co-me aberrazione dalla ragione, e mostrandol’incapacità di salvare della religione ebraica;di un ruolo salvifico delle false religioni nonc’è traccia, anzi, vi è l’opposto.

d) Lo Spirito di Verità... autore delle falsereligioni!

Invece, dopo aver ben evitato di distingue-re tra lume naturale della ragione (dato a tut-ti) e lume sovrannaturale della grazia (propo-sto a tutti ma dato solo ai credenti), GiovanniPaolo II deduce dal passo evangelico che tuttele religioni (o “tradizioni religiose”) vengonodal Verbo e dallo Spirito Santo. “Essi [i semidi verità] sono insieme ‘effetto dello Spirito diverità operante oltre i confini visibili del CorpoMistico’ e che ‘soffia dove vuole’ (Gv 3, 8) (cfrRedemptor hominis, 6 e 12) (...). Già fin d’ora,in questo anno pneumatologico, è opportunosoffermarci ad approfondire in quale senso eper quali vie lo Spirito Santo sia presente nellaricerca religiosa dell’umanità e nelle diverseesperienze e tradizioni che la esprimono. Bi-sogna innanzitutto tenere presente che ogni ri-cerca dello spirito umano in direzione della ve-rità e del bene [oggettivi o soggettivi? n.d.r.], ein ultima analisi di Dio, è suscitata dallo Spiri-to Santo” (U, 1 e 2). Una tale stranezza è giu-stificata con la Tradizione: “Sulle orme dei Pa-dri della Chiesa, san Tommaso d’Aquino puòritenere che nessuno spirito sia ‘così tenebrosoda non partecipare in nulla alla luce divina. In-fatti, ogni verità conosciuta da chicchessia èdovuta totalmente a questa luce che brilla nelletenebre; giacché ogni verità, chiunque sia chela dica, viene dallo Spirito Santo’ (Super Joan-nem, 1, 5, lect. 3, n. 103)”. Ma l’appoggio disan Tommaso (e dei Padri, nel caso: l’Ambro-siaster) vacilla appena si va a controllare: eccoil testo per intero: “Sebbene però alcune men-ti siano tenebrose, cioè prive del gusto e dellaluce della sapienza, tuttavia non sono mai cosìtenebrose da non partecipare almeno un pocoalla luce divina. Poiché, quel poco di verità[naturale, n.d.r.] che chiunque è in grado di

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conoscere [naturalmente, n.d.r.] deriva tuttoda una partecipazione di detta luce, che splen-de nelle tenebre, infatti - qualsiasi verità, dachiunque sia enunciata, viene dallo SpiritoSanto - [Ambrosiaster, Comm. in ep. 1 adCor., c.12, 3, PL 17, 258). Le tenebre però, os-sia gli uomini tenebrosi, non la compreseroin tutta la verità”. San Tommaso affermadunque che vi sono uomini simpliciter tene-brosi, quanto alla conoscenza della verità: essisono nell’errore; siccome però non esiste l’er-rore e il male allo stato puro (neppure in sata-na) ciò che c’è in essi di vero e di buono vieneda Dio (questo anche in satana, in quantoesiste, ed ha conoscenze naturali vere). Da ciònon si può certo dedurre che le tradizioni reli-giose e il sentimento religioso dell’uomo, nelloro complesso, per il solo fatto di aver peroggetto “Dio”, è buono, e pertanto venga dal-lo Spirito Santo! Eppure, è quello che fa Gio-vanni Paolo II... Riprendiamo la citazione do-ve l’avevamo lasciata (U, 2): “Bisogna innan-zitutto tenere presente che ogni ricerca dellospirito umano in direzione della verità e del be-ne, e in ultima analisi di Dio, è suscitato dalloSpirito Santo. Proprio da questa apertura pri-mordiale dell’uomo nei confronti di Dio na-scono le diverse religioni. Non di rado alle loroorigini troviamo dei fondatori che hanno rea-lizzato, con l’aiuto dello Spirito di Dio, unapiù profonda esperienza religiosa. Trasmessaagli altri, tale esperienza ha preso forma nelledottrine, nei riti e nei precetti delle varie religio-ni”. Budda e Maometto sono, indubitabil-mente, fondatori di grandi religioni. Così,l’esperienza religiosa di questi due uomini sisarebbe compiuta con l’aiuto dello Spirito diDio, trasmettendosi poi agli altri e strutturan-dosi in religione. Lo Spirito di verità sarebbeautore così del buddismo (col suo ateismo) edell’islam (col suo rifiuto della Trinità e delladivinità di Cristo). Siamo colti da stupore atanta conseguenza! Lo Spirito Santo è dunquel’ispiratore di Budda e Maometto? Di più:egli lo è di ogni uomo: “ogni autentica pre-ghiera è suscitata dallo Spirito Santo, il qualeè misteriosamente presente nel cuore di ogniuomo” (U, 2 che cita l’Allocuzione di G.P. IIai membri della Curia romana del 22/12/86, incommento proprio alla riunione di Assisi).

e) Digressione: l’origine delle religioni se-condo il Modernismo.

Più che in San Giustino, Sant’Ambrogioe San Tommaso, troviamo una dottrina senon identica, almeno simile a quella di Gio-

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vanni Paolo II, nell’enciclica Pascendi, lad-dove San Pio X descrive la dottrina dei mo-dernisti riguardo l’origine delle religioni:“essendo Dio l’oggetto della religione, dob-biamo conchiudere che la fede, inizio e fon-damento di ogni religione, deve riporsi su unsentimento che nasca dal bisogno della divi-nità” (n.10) [sarà “l’apertura primordialedell’uomo nei confronti di Dio” di cui parlaGiovanni Paolo II, dalla quale “nascono lediverse religioni”?]. Questo sentimento reli-gioso, o apertura primordiale a Dio, che c’èin ogni uomo, è, per i modernisti, una Rive-lazione: non è forse rivelazione quel senti-mento religioso che si manifesta di colpo nel-la coscienza? Non è rivelazione quell’appari-re, benché in confuso, che Dio fa agli animiin quello stesso sentimento religioso? Ag-giungono anzi di più che, essendo Dio in pa-ri tempo e l’oggetto e la causa della fede, ladetta rivelazione è al tempo stesso di Dio eda Dio (...) Di qui... quell’assurdissima sen-tenza dei modernisti che ogni religione... deb-ba dirsi egualmente naturale e sovrannatura-le” (n. 12). (Abbiam già visto che GiovanniPaolo II confonde ricerca naturale di Dio erivelazione sovrannaturale fatta da Dio).Come si passa, per i modernisti, da questovago sentimento religioso “rivelato” alle va-rie religioni strutturate? Dio (“l’Inconoscibi-le”) si manifesta a noi unito a un “fenome-no”: “Tal fenomeno potrà essere un fattoqualsiasi della natura, che in sé racchiude al-cunché di misterioso: potrà essere altresì unuomo [ecco i fondatori della grandi religio-ni!] i cui caratteri, i cui gesti, le cui parole [inbreve: la cui “esperienza religiosa”] non siaccordano con le leggi ordinarie della storia”(n. 12). Poco a poco, l’esperienza religiosadel fondatore, nel quale si è manifestata laRivelazione divina (cioè il sentimento reli-gioso), viene trasfigurata e sfigurata, diven-tando religione: “trasmessa agli altri - diceGiovanni Paolo II - tale esperienza ha presoforma nelle dottrine, nei riti e nei precetti del-le varie religioni” (U, 2). La conseguenza diquesta dottrina modernista è la stima ed ilrispetto per tutte le religioni, anzi, la loro ra-dicale “verità”! Scrive ancora san Pio Xesponendo il pensiero modernista: “postaquesta dottrina dell’esperienza unitamenteall’altra del simbolismo, ogni religione, siapur quella degli idolatri, deve ritenersi vera.Perché infatti non sarà possibile che tali espe-rienze s’incontrino in ogni religione? E che sisiano di fatti incontrate, non pochi lo preten-

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dono. E con quale diritto i modernisti neghe-ranno la verità ad una esperienza affermatada un islamita? con quale diritto rivendiche-ranno esperienze vere per i soli cattolici? Edinfatti i modernisti non negano, concedonoanzi, altri velatamente, altri apertissimamen-te, che tutte le religioni son vere. E che nonpossano sentire altrimenti è cosa manifesta.Poiché, per quale motivo, secondo i loro ar-gomenti, potrebbe una religione, qual che sivoglia, dirsi falsa? (...) Tutt’al più, nel conflit-to fra diverse religioni, i modernisti potrannosostenere che la cattolica ha più verità... “(nn. 22-23) o, secondo l’espressione di Gio-vanni Paolo II, che essa è la “rivelazione pie-na di Dio in Cristo” (U, 3).

f) Conseguenze di questa nuova dottrina.La prima conseguenza riguarda la salvez-

za dei non cristiani. Essa si realizza non mal-grado ma grazie alle religioni non cristiane:“Normalmente, ‘è attraverso la pratica di ciòche è buono nelle loro proprie tradizioni re-ligiose e seguendo i dettami della loro co-scienza, che i membri delle altre religioni ri-spondono positivamente [tutti? n.d.a.] all’in-vito di Dio e ricevono la salvezza [ancorauna volta: tutti?, n.d.a.] in Gesù Cristo, anchese non lo riconoscono [anche esplicitamente?n.d.a.] come loro Salvatore (cf Ad gentes, 3,9, 11)’ (Pontificio Consiglio per il dialogo In-terreligioso - Congregazione per l’evangeliz-zazione dei Popoli, Istruzione ‘Dialogo e an-nuncio’, 19 maggio 1991, n. 29). Infatti, comeinsegna il Concilio Vaticano II, ‘Cristo è mor-to per tutti e la vocazione ultima dell’uomo èeffettivamente una sola, quella divina, perciòdobbiamo ritenere che lo Spirito Santo dia atutti la possibilità di venire a contatto, nel mo-do che Dio conosce, col mistero pasquale’(Gaudium et spes, 22). Tale possibilità si rea-lizza mediante l’adesione intima e sincera allaVerità, il dono generoso di sé al prossimo, laricerca dell’Assoluto suscitata dallo Spirito diDio. Anche attraverso l’attuazione dei precettie delle pratiche conformi alla legge morale eall’autentico senso religioso si manifesta unraggio della Sapienza divina” (U, 3). In que-sto passo che ho citato lungamente, Giovan-ni Paolo II non menziona la necessità dellagrazia (né di quella attuale, né di quella san-tificante), la necessità di credere esplicita-mente a Cristo sufficientemente annunciato,la necessità di credere - secondo le paroledell’epistola agli Ebrei - all’esistenza di ununico Dio remuneratore, la necessità di ade-

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rire in tutto alla legge naturale, la necessitàdi non aderire alla coscienza vincibilmenteerronea... se avesse fatto ciò, si sarebbe benvisto che le religioni non cristiane, più cheessere mezzo sono di ostacolo alla salvezza,mancando, anzi opponendosi, a questi requi-siti. Ne riparlerò nella parte critica. Ma setutte le religioni sono mezzo di salvezza, al-lora vi è l’obbligo della simpatia, del dialogo,della collaborazione interreligiosa.

Si tratta “di un doveroso riconoscimentodei ‘semi del Verbo’ e dei ‘gemiti dello Spiri-to’” (U, 4). A fortiori, è obbligo evitare nonsolo l’odio, ma anche conflitti e guerre reli-giose: “Nessun odio, nessun conflitto, nessunaguerra trovi nelle religioni un incentivo. Laguerra non può essere mai motivata dalla reli-gione” (M, 4a col.) (3). Giovanni Paolo IIconclude (U, 4) che la dottrina appena espo-sta non attenua “la tensione missionaria” o lafede in Gesù Cristo “unico Mediatore e Sal-vatore del genere umano”. Ma è sintomaticoche si debba ricordare proprio ciò! Si direb-be: excusatio non petita, accusatio manifesta!E invero, chi non vede che, se le religioni noncristiane sono di già strumento di salvezza,più che ostacolo alla medesima, la tensionemissionaria è destinata - come è di fatto acca-duto - ad attenuarsi o a trasformarsi in puro esemplice impegno sociale? Abbiamo espostoonestamente la dottrina di Giovanni Paolo II,mostrandone di già le difficoltà. È opportunoperò dedicare una seconda parte di questoarticolo ad una più esplicita refutazione degliargomenti avanzati nei discorsi esaminati.

II. Esame critico.

a) Sul rispetto delle altre religioni. Rispet-tare o odiare?

Scrive il grande teologo tomista R. Gar-rigou-Lagrange (sotto il quale studiò e silaureò Karol Wojtyla): “Il rispetto di tutte leopinioni, per false o perverse che siano, nonè che l’orgogliosa negazione del rispetto do-vuto alla Verità. Per amare sinceramente ilvero e il bene bisogna non avere alcuna sim-patia per l’errore e il male” (Dieu. Son exi-stence et sa nature. XI ed., Beauchesne, 1950,p. 757). Ora, le religioni non cristiane sonoopinioni false e perverse. Dunque, non pos-sono essere rispettate come lo fanno il Vati-cano II e, soprattutto, Giovanni Paolo II. Siobietterà che il Concilio e Giovanni Paolo IIrispettano nelle false religioni solo quanto viè in esso di vero e di bene, ovvero ‘i semi del

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Verbo’ e i ‘gemiti dello Spirito’. Ciò non èvero, in quanto abbiamo visto che ‘il rispet-to’ ha per oggetto ‘precetti e dottrine’ che inmolti punti differiscono da quanto la Chiesacrede e professa. L’obiezione, comunque,anche se meglio strutturata, può e deve esse-re respinta. Sempre Padre Garrigou-Lagran-ge presenta (nel 1945!) la presente obiezio-ne, che qualifica come “indifferentista”,mentre oggi essa esprime pari pari la dottri-na conciliare: “Bisogna ammettere tutto ciòche è vero e onesto. Ora, in tutte le religionivi è qualche cosa di vero e di onesto. Quindi,per essere equi, bisogna ammettere più o me-no ogni religione, anche se il cristianesimo èmigliore e più vigoroso”. Ecco come rispon-de Garrigou-Lagrange, utilizzando il meto-do scolastico: “distinguo la maggiore: ‘tuttociò che è assolutamente (simpliciter) vero ebuono, deve essere ammesso’, d’accordo(concedo); ma ‘ciò che è vero e buono solo incerto senso - secundum quid tantum - (cioè,sotto un suo aspetto accidentale), ma è in sé(simpliciter) falso e cattivo’, non può essereammesso. E contraddistinguo la minore: allostesso modo. Infatti, come scrive San Tom-maso, ‘è impossibile trovare una conoscenzache sia del tutto falsa, senza nessuna mesco-lanza di verità. Dice infatti san Beda che nonc’è una dottrina falsa, la quale non inseriscanel falso qualche verità. Perciò anche l’inse-gnamento che i demoni impartiscono ai loroprofeti contiene delle verità, che lo rendonoaccettabile: poiché l’intelletto si lascia con-durre alla falsità dall’apparenza della verità,come la volontà si lascia trascinare al maledall’apparenza di bene. Di qui le parole delCrisostomo: È stato concesso al demonio didire talvolta delle verità, per avallare, conquel poco di verità, la sua menzogna’ (II-II,q. 172, a. 6) (4). Anche nella negazione he-gheliana del principio di non contraddizionevi è una certa apparenza di verità , in quantociò che diviene in un certo senso è e in un al-tro senso non è. Per cui le cose che sono inassoluto false possono, sotto un certo aspetto,essere almeno apparentemente vere. Ma inuna dottrina in sé falsa, la verità non è pre-sente come anima della dottrina, ma comeserva dell’errore. Quindi, per conservarel’equità, non dobbiamo considerare con lostesso metro il cattolicesimo e il protestantesi-mo; anzi, per conoscere profondamente ciòche è bene, bisogna amarlo, come per cono-scere perfettamente un male che si oppone al-la santità, bisogna odiarlo, come fanno Dio e

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i santi. E questo, senza pregiudizio perl’obiettività scientifica, poiché al contrario ladetestazione del male ci libera dalle passionidisordinate e dai pregiudizi” (De Revelatio-ne, vol. II, p. 408, ns. traduzione dal latino).La sana teologia ci insegna pertanto a odia-re le false religioni, non certo a rispettarle oa guardarle con simpatia.

b-c-d) I “semi del Verbo”- La “luce che il-lumina ogni uomo”- I “gemiti dello Spirito”:Dio, autore di tutte le religioni.

Nell’esporre la dottrina di Giovanni Pao-lo II abbiamo già analizzato i fondamenti“tradizionali” della nuova dottrina sulle reli-gioni non cristiane. Né la teoria di San Giu-stino sui “semi del Verbo”, né il commentodi San Tommaso al prologo del Vangelo diSan Giovanni, giustificano la pretesa di Gio-vanni Paolo II di attribuire a Dio, e partico-larmente al Verbo o allo Spirito Santo, l’ori-gine di tutte le religioni passate, presenti efuture. Al contrario, la Sacra Scrittura ci di-ce che “tutte le divinità delle genti sono deidemoni” (Ps 95, 5); i pagani “immolarono aidemoni, e non a Dio” (Deut 32, 17); “quelche sacrificano i gentili, lo immolano ai de-moni, non a Dio. Non voglio che voi abbiatecomunione coi demonii; non potete bere ilcalice del Signore e il calice dei demonii,non potete partecipare alla mensa del Signo-re e a quella dei demonii” (1 Cor 10, 20-21).Radicale è la condanna delle religioni noncristiane nell’epistola ai Romani (Rm 1, 18-32), come pure quella dei giudei increduli(Rm, 9 e 10). Le false religioni traggono la

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loro origine naturale dalla ragione dell’uo-mo accecata dalle passioni e ferita dal pecca-to originale, e la loro origine preternaturaledallo spirito di menzogna, da satana, dallospirito che soffia dove può, e non certo daQuello che soffia dove vuole. Nulla di tuttociò nei discorsi succitati di Giovanni PaoloII, il quale invece ribadisce il suo proprio in-segnamento di Redemptor hominis, 6. Citia-mo in extenso, il passaggio di questa ‘encicli-ca’ ripreso parzialmente in U, 1: “La fermez-za della credenza dei membri delle religioninon cristiane è talvolta un effetto dello Spiri-to di verità che opera al di là delle frontierevisibili del Corpo mistico”. Questa proposi-zione, “in quanto tale, è capziosa, sa di ere-sia, conduce a una proposizione già condan-nata in Baio (D. B. 1063, D.S. 1963); inquanto attribuisce allo Spirito Santo la cre-denza a delle verità religiose di ordine natu-rale: malsonante, favorevole alla confusionetra l’ordine della ragione e quello della fede,conducente a un sistema già condannato co-me eretico dal Concilio Vaticano I (D.S.3032) (5); in quanto attribuisce allo SpiritoSanto l’appartenenza a delle comunità noncristiane; erronea; in quanto attribuisce alloSpirito Santo la credenza all’insieme delladottrina professata dai membri delle religioninon cristiane: eretica” (6).

e) Digressione: l’origine delle religioni se-condo il tradizionalismo.

Al punto (e) della prima parte avevamofatto un raffronto tra il pensiero di GiovanniPaolo II e quello dei modernisti sull’originedelle religioni e sul loro valore. Permettia-moci un’altra digressione, questa volta sultradizionalismo. Non stupisca l’accostamentotra modernismo e tradizionalismo, esaltantiuno la modernità e l’altro la tradizione: pun-to comune di partenza dei due sistemi è in-fatti il fideismo. Nato cattolico e “contro-ri-voluzionario” con de Bonald e de Maistre, iltradizionalismo è passato poi al liberalismocon Ventura e de Lamennais; con quest’ulti-mo, anzi, è passato apertamente all’indiffe-rentismo. Né si può escludere un’influenzadel tradizionalismo del XIX sec. su quellodel XX, sia esso “cristiano” (Panunzio, Mor-dini...) sia esso esoterico (Guénon,Schuon...). Joseph de Maistre, che “è comu-nemente considerato come un precursore deltradizionalismo” (7) viene definito elogiativa-mente da un cattolico tradizionalista con-temporaneo “l’ultimo grande massone catto-

Dialogo inter-religioso: Giovanni Paolo II incontra imonaci buddisti durante il suo viaggio

in Tailandia nel 1984

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lico” (8). Già nel tradizionalismo del XIX se-colo, vi era una valutazione positiva delletradizioni (religiose e culturali) dei popolinon cristiani. Impossibilitati a conoscere laverità (specialmente quella morale e religio-sa) mediante la ragione, dobbiamo ricorrerealla Rivelazione. Ora, esiste una rivelazioneprimitiva di Dio che è stata trasmessa a tutti ipopoli, mediante il linguaggio e le credenzecomuni a tutta l’umanità. Da qui all’indiffe-rentismo il passo è breve, e Lamennais lo fe-ce nel secolo scorso (D. 1613). Ma già il DeMaistre martinista sosteneva un cristianesi-mo esoterico e trascendentale, che univa, aldi là delle varie confessioni religiose, tutti gliiniziati. I tradizionalisti del XX secolo, nonpiù cattolici, come Guénon e Schuon parlanodi “unità trascendente di tutte le religioni”(9). La leggenda dei tre anelli, che si trova inBoccaccio e Lessing, ed è stata ripresa da unnoto tradizionalista cattolico (10) espone unprincipio simile: una sola è la vera religione,ma tutte le religioni sono figlie del Padre, ein tutte (o perlomeno nelle tre monoteiste) sipuò piacere al Padre. Non crediamo che que-sto pensiero sia distante da quello espressoda Giovanni Paolo II nei discorsi che abbia-mo commentato, come quando scrive:“quantunque per vie diverse è rivolta tuttaviain una unica direzione la più profonda aspi-razione dello spirito umano, quale si esprimenella ricerca di Dio”; “i semi di verità presentie operanti nelle diverse tradizioni religiose so-no un riflesso dell’unico Verbo di Dio”; i“fondatori” delle religioni “hanno realizzatocon l’aiuto dello Spirito di Dio, una piùprofonda esperienza religiosa...”.

f) Le false religioni: ostacolo alla salvezzao mezzo di salvezza?

“Normalmente, è attraverso la pratica diciò che è buono nelle loro proprie tradizionireligiose e seguendo i dettami della loro co-scienza, che i membri delle altre religioni ri-spondono positivamente all’invito di Dio ericevono la salvezza in Gesù Cristo, anche senon lo riconoscono come il loro Salvatore”(U, 3). Anche se Gesù resta “unico mediato-re e Salvatore del genere umano” (U, 4), lefalse religioni sono qui descritte come unmezzo - normale - di salvezza per i non cri-stiani [i quali sembrano - tra l’altro - salvarsitutti, giacché lo Spirito Santo è “misteriosa-mente presente nel cuore di ogni uomo”(U, 2)]. Questa frase di Giovanni Paolo II ècolma di ambiguità e di colpevoli omissioni.

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Innanzitutto, i non cristiani possono nonriconoscere Gesù come loro Salvatore perinfedeltà positiva o per infedeltà negativa.Dei primi, Giovanni Paolo II non fa menzio-ne. Nel loro caso, la fede cristiana è stata suf-ficientemente proposta, ed essi l’hanno rifiu-tata e disprezzata; questi infedeli non posso-no assolutamente salvarsi, secondo le paroledel Signore: “chi non crederà sarà condanna-to”. Diverso il caso dell’infedele negativo,colui al quale cioè la fede cristiana non è sta-ta sufficientemente proposta: egli la ignorasenza colpa (ignoranza invincibile). La loroinfedeltà non è peccato (Gv, XV; Rm X;D.B. 1068), per cui, secondo san Tommaso,“essi sono dannati per gli altri peccati che nonpossono essere rimessi senza la fede, ma nonsono dannati per il peccato di infedeltà” (II-II, q. 10). Alcuni di essi possono eccezional-mente salvarsi? Sì, come lo insegna già PioIX: “È noto a voi e a Noi che coloro i qualiignorano invincibilmente (= incolpevolmen-te) la nostra santissima religione e che osser-vando diligentissimamente la legge naturale ei suoi precetti, scolpiti da Dio nei cuori di tut-ti, e disposti a obbedire a Dio, conduconouna vita onesta e retta, possono, con l’aiutodella luce e della grazia divina conseguire lavita eterna” (D.S. 2866). Ma per questa sal-vezza - eccezionale - vi sono delle condizioni:oltre a dover essere incolpevoli della loro in-fedeltà, essi devono non solo ammettere conla ragione l’esistenza di un unico Dio, creato-re e remuneratore dell’uomo (Ebr, XI), maanche avere la fede sovrannaturale (D.S.375, D.S. 2123, D.S. 3008), la carità e lo statodi grazia, che includono il desiderio, almenoimplicito, del battesimo e della eucarestia.Giovanni Paolo II, invece, non fa nessuna di-stinzione tra credenze naturali e fede sovran-naturale quando parla della possibilità di sal-vezza del non cristiano, realizzata “mediantel’adesione intima alla Verità, il dono generosodi sé al prossimo, la ricerca dell’Assoluto su-scitata dallo Spirito di Dio” (U, 3), ricercache si realizza anche con “l’attuazione deiprecetti e delle pratiche conformi alla leggemorale e all’autentico senso religioso” (U, 3)delle varie religioni.

Chi non vede che, a questo punto, le reli-gioni non cristiane, nel loro complesso didottrine e riti, sono più di ostacolo che diaiuto alla salvezza? Esse si oppongono tuttepiù o meno alla conoscenza naturale di Dio,(predicando l’ateismo, il panteismo, il poli-teismo), e alla legge naturale (ammettendo

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pratiche morali più o meno contrarie allaretta ragione). Non, quindi, alle loro religio-ni, devono guardare gli infedeli per salvarsi,ma alla ragione e alla retta coscienza (giac-ché la coscienza erronea non sempre giusti-fica dal peccato!). Né vale obiettare cheGiovanni Paolo II parli di pratiche “confor-mi alla morale e all’autentico senso religio-so”: sia perché esse sono, di per sé, operebuone solo naturalmente, senza valore salvi-fico, sia perché la loro bontà non viene tantodal fatto che si tratta di pratiche di tale o talaltra religione (in sé dannosa) ma di prati-che conformi alla morale naturale.

“Occorre nuovamente ricordare e ripren-dere il gravissimo errore, in cui si trovano mi-seramente alcuni cattolici, i quali pensano chegiungano all’eterna vita le persone viventi neglierrori e lontane dalla vera fede e dall’unità cat-tolica. Questo è decisamente contrario alla cat-tolica dottrina” (Pio IX, D.S. 2865); i non cat-tolici “sono in un stato in cui non possono sen-tirsi sicuri della propria salvezza” (Pio XII,D.S. 3821) per cui non si deve ridurre “a unavana formula la necessità di appartenere allavera Chiesa per ottenere l’eterna salute” (PioXII, enc. Humani generis, D.B. 2319). ControLamennais, Gregorio XVI ha condannatol’indifferentismo, cioè “quella perversa opi-nione... che in qualunque professione di fede sipossa conseguire l’eterna salvezza dell’anima,se i costumi si conformino alla norma del rettoe dell’onesto” (D.S. 2730) (11); Pio IX ha con-danna nel Sillabo queste due proposizioni:“16. Gli uomini, nel culto di qualsiasi religio-ne, possono trovare la via della salvezza eter-na, e conseguire l’eterna salvezza. 17. Per lo

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meno si deve ben sperare per quanto riguardal’eterna salvezza di tutti quelli che non si trova-no in alcun modo nella vera Chiesa di Cristo”(D.S. 2916-2917). A questo insegnamento del-la Chiesa, ci conformiamo fedelmente. A que-sto insegnamento della Chiesa deve preventi-vamente conformarsi chiunque volesse con-dannarci per questo nostro commento alladottrina di Giovanni Paolo II.

AD TUENDAM FIDEM.

La lettera apostolica in forma di MotuProprio, Ad tuendam fidem del 18 maggio1998 (testo latino in O.R., 30 giugno-1 luglio1998, pp. 1, 4 e 5; traduzione italiana O.R.Documenti, stessa data, pp. I-IV) ha stupitofavorevolmente molti commentatori. Lostesso incipit del documento di GiovanniPaolo II ricorda (riprendendo l’abbandonatoplurale di maestà) che “il compito precipuo”del Papa “è confermare i fratelli nella fede(cfr Lc, 22, 32)” col conseguente dovere daparte sua di intervenire “per difendere la fededella Chiesa cattolica contro gli errori che in-sorgono da parte di alcuni fedeli, soprattuttodi quelli che si dedicano di proposito alle di-scipline della sacra teologia”. Bisogna am-mettere che un tale linguaggio rincuora il fe-dele, dopo che fu abbandonato col discorsoinaugurale del Vaticano II tenuto da Gio-vanni XXIII! L’attuale crisi di autorità dellaChiesa consiste infatti sostanzialmente in unrifiuto pratico dell’“autorità” di condannarel’errore e l’eresia. Il documento che com-mentiamo (n.b.: non usiamo il plurale dimaestà, ma quello redazionale!) è compostodi due parti: la lettera apostolica di GiovanniPaolo II, e un documento della Congregazio-ne per la dottrina della fede. Esso si inseriscenella linea di riaffermazione dell’autorità delmagistero della Chiesa che sta riaffiorandoin questi ultimi dieci anni, non senza tenten-namenti e imprecisioni (cf B. Lucien, L’in-faillibilité du magistère pontifical ordinaire.Une doctrine catholique en voie de dévelop-pement, in Sedes Sapientiæ, n. 63, pp. 33-54,che cita la Professione di fede e Giuramentodi fedeltà del 9/1/89, l’Istruzione sulla voca-zione ecclesiale del teologo del 24/5/90,l’Esplicitazione della Risposta data dallaCongregazione per la Dottrina della Fede aun dubbio sulla dottrina di Ordinatio sacer-dotalis, del 28/10/95, il Discorso del 24/11/95di Giovanni Paolo II, l’articolo di Mons. Ber-tone del 20/12/96). In questo contesto, si è

Dialogo inter-religioso: Giovanni Paolo II incontra glistregoni del Vodù a Cotonou nel 1993

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voluto inserire nel (nuovo) codice di dirittocanonico (del 1983) quanto si trova espressonella (nuova) professione di fede (del 1989)(12). Questa professione di fede elenca tre ca-tegorie di verità: quelle rivelate, proposte dalmagistero solenne o dal magistero ordinarioe universale, da credere con ferma fede;quelle circa la fede e i costumi proposte “inmodo definitivo”, da accogliere e ritenerefermamente, e infine quelle proposte dal ma-gistero solamente autentico, con atto non de-finitivo, alle quali bisogna aderire “con reli-gioso ossequio della volontà e dell’intelletto”.La prima categoria ha il suo posto nel Codi-ce al can. 750, la terza al can. 752; la secondanon trovava invece accoglienza nel Codice.Ad tuendam fidem ha lo scopo di inserire nelCodice quanto riguarda questa categoria, elo fa aggiungendo al can. 750 un secondo pa-ragrafo. La stessa cosa è stata fatta per il Co-dice dei canoni della Chiesa Orientale; infi-ne, sono stati adattati alla nuova situazione icanoni riguardanti le pene per i trasgressori.

Particolarmente interessante è la Nota dot-trinale illustrativa della formula conclusiva del-la Professio fidei, sottoscritta da Ratzinger eBertone della Congregazione della Dottrinadella fede, e che si aggiunge alla lettera aposto-lica di Giovanni Paolo II. Lo scopo è di darealcuni esempi per far meglio capire i tre com-mi finali della Professio fidei, ovvero i tre ordi-ni o categorie di verità. Al primo genere ap-partengono “quelle dottrine di fede divina ecattolica che la Chiesa propone come divina-mente e formalmente rivelate e, come tali, ir-reformabili. (...) Per tale ragione chi ostinata-mente le mettesse in dubbio o le dovesse nega-re, cadrebbe nella censura di eresia...” (n. 5).Seguono gli esempi di questo tipo di dottrine:“gli articoli di fede del Credo, i diversi dogmicristologici (D.S. 301-302)e mariani (D.S. 2803;3903); la dottrina dell’istituzione dei sacramentida parte di Cristo e la loro efficacia quanto allagrazia (D.S. 1601, 1606); la dottrina della pre-senza reale e sostanziale di Cristo nell’eucare-stia (D.S. 1636)e la natura sacrificale della cele-brazione eucaristica (D.S. 1740, 1743); la fon-dazione della Chiesa per volontà di Cristo(D.S. 3050); la dottrina sul Primato e sull’infal-libilità del Romano Pontefice (D.S. 3059-3075);la dottrina sull’esistenza del peccato originale(D.S. 1510-1515); la dottrina sull’immortalitàdell’anima spirituale e sulla retribuzione imme-diata dopo la morte (D.S. 1000-1002); l’assenzadi errore nei testi sacri ispirati (cf D.S. 3293,Dei Verbum n. 11); la dottrina circa la grave

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immoralità dell’uccisione diretta di un essereumano innocente (Evangelium vitæ)” (n. 11).La seconda categoria include delle proposizio-ni che la Chiesa non propone “come formal-mente rivelate” (a differenza del caso prece-dente), anche se in un futuro alcune di essepotranno essere proposte come tali (ad es.l’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltantoagli uomini o l’illiceità dell’eutanasia). Si trattadi quelle verità che - senza essere rivelate - so-no strettamente connesse con la Rivelazione.Queste proposizioni sono insegnate infallibil-mente (n. 6) e irrevocabilmente (n. 9) dallaChiesa, sia col magistero solenne che conquello ordinario e universale (n. 6) e chi le ri-fiutasse “non sarebbe più in piena comunionecon la Chiesa cattolica” (n. 6), ma ad esse nonsi deve un assenso di fede divina, ma quelloche un tempo veniva chiamato “di fede eccle-siastica” (n. 8). Rallegra trovare tra gli esempidi dottrina infallibile “la dichiarazione di Leo-ne XIII nella Lettera Apostolica ApostolicæCuræ sull’invalidità delle ordinazioni anglicane(D.S. 3315-3319)” (n. 11). La terza categoria didottrine raggruppa quelle che non sono stateinsegnate con un atto “definitivo”. Il docu-mento non lo dice, ma fa capire che sono rifor-mabili e non infallibili. A questo gruppo nonappartengono solo i pronunciamenti di ordineprudenziale (proposizione temeraria o perico-losa che tuto doceri non potest) ma anche dot-trine qualificate come vere o erronee (n. 10).La Congregazione per la Dottrina della Fede,al n. 11, è in visibile imbarazzo a questo pro-posito, evitando di darne esempi concreti.Giustamente, però, ricorda l’obbligo per il fe-dele di dare anche a queste dottrine “l’osse-quio religioso della volontà e dell’intelletto” (n.10) (e ci sembra ben poco).

Il cattolico, che da più di trent’anni nonsente quasi più parlare di infallibilità, di Conci-lio di Trento, di eresie e di dogmi, non può cherallegrarsi ed esultare (stessa cosa si deve direper i nn. 49-56 dell’enciclica Fides et ratio cheriprende addirittura la Pascendi di san Pio X ela Humani generis di Pio XII!). Ma non biso-gna eccedere. Innanzitutto, perché bonum exintegra causa, malum ex quocumque defectu. Enon mancano i difetti, non solo negli altri do-cumenti, ma in quello stesso che commentia-mo. Viene ribadita, ad esempio, la collegialità,per cui i Vescovi, in maniera stabile, esercitanocon il Romano Pontefice la suprema e pienaautorità su tutta la Chiesa” (n. 4). La miglioreteologia tomista ha già poi dimostrato l’inanitàdella tesi sulla “fede ecclesiatica”, dimostran-

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do che anche in quei casi è dovuto un assensodi fede divina (ammettiamo tuttavia che eraquesta una questione discussa tra i teologi).Infine, sembra si voglia distinguere il magiste-ro infallibile da quello solamente autentico inbase al fatto che il primo insegna una dottrina“in maniera definitiva”, e l’altro no. Sull’ambi-guità del termine “definire” e “definitivo” ri-mandiamo agli ottimi (13) studi di Lucien(quello già citato, in Sedes Sapientiæ n. 63, spe-cialmente pp. 39-42, e Le magistère pontifical,in Sedes Sapientiæ, n. 48, pp. 53-77, special-mente pp. 64-65). In poche parole, mentre iltermine “definire” utilizzato dal Vaticano I si-gnifica “delimitare con precisione”, l’aggettivo“definitivo” (utilizzato dal Vaticano II, in Lu-men gentium) significa piuttosto qualcosa cheè “affermato irrevocabilmente”. Ora, questosecondo senso è da escludere: “i criteri enume-rati hanno come compito di permettere diretta-mente di sapere quando il papa parla infallibil-mente e quindi irrevocabilmente. Così sarebbeun circolo vizioso enumerare, tra questi criteri,l’irrevocabilità poiché essa non è osservabile inse stessa e non è conosciuta che come una con-seguenza dell’infallibilità dell’atto. Ciò corri-sponderebbe a dire: il papa è infallibile quandoparla infallibimente” (Lucien, op. cit., n. 63, p.40). A questo punto hanno buon gioco i “mi-nimalisti”, che annullano praticamente l’infal-libilità del Papa, nel dire che è un insegnamen-to del Papa è infallibile quando è definitivo,ma quando esso sia definitivo, è quasi impossi-bile saperlo (p. 40, e 41 n. 23). Il documentoche commentiamo utilizza continuamente ilcriterio dell’irrevocabilità per discernere l’in-fallibilità, quando invece è l’infallibilità a deci-dere dell’irrevocabilità. Temiamo quindi chein questo modo si finisca col far passare nellaterza categoria di dottrine insegnate dallaChiesa (quelle revocabili e quindi fallibili) an-che l’insegnamento contraddetto dal VaticanoII (ad es. le condanne della libertà religiosa odell’ecumenismo). Dove classificherebbero,Mons. Ratzinger e Mons. Bertone, Quanta cu-ra di Pio IX e Dignitatis humanæ? Infine, se lanatura del magistero ordinario universale sem-bra ben chiarita dal testo della Congregazioneper la dottrina della Fede, stupisce la definizio-ne che ne da Giovanni Paolo II riprendendo il(nuovo) codice di diritto canonico, can. 750. IlMOU sarebbe quel magistero “che è manife-stato dalla comune adesione dei fedeli sotto laguida del sacro magistero”. Se l’adesione deifedeli al magistero ha la sua infallibilità in cre-dendo, il magistero è sempre affare della Chie-

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sa docente, ed è in essa, essenzialmente, che sideve ricercare il MOU. Il consenso dei fedeliè, semmai, un confirmatur o un a fortiori.

Per concludere, resta poi da vedere conquale serietà si applicherà quanto di buono viè in Ad tuendam fidem, o se la protezione del-la Fede resterà nella pratica, com’è stato finoad ora, lettera morta e velleitaria intenzione.

CATTOLICI E LUTERANI. CASSIDYCONDANNA CASSIDY.

La chimera: unire la Chiesa cattolica e le“chiese” luterane

Lo stesso numero dell’O.R. che pubblicaAd tuendam fidem, riporta un discorso diGiovanni Paolo II che va in senso nettamenteopposto alla “protezione della fede” (Ange-lus del 28 giugno 1998, O.R., cit., p. 7). Inquest’occasione, Giovanni Paolo II ha suona-to le trombe dell’ecumenismo facendo risul-tare più vicina “la piena unità visibile” (n. 2)(che presuppone una unità invisibile e unasemi-piena unità visibile già raggiunte) traCattolici e Luterani. Su cosa si fonda questa“buona novella”? Ascoltiamo Giovanni Pao-lo II: “A conclusione di un attento processo divalutazione, che ha coinvolto la Chiesa Catto-lica e la Federazione Luterana Mondiale, pos-siamo ora rallegrarci di una importante acqui-sizione ecumenica. Mi riferisco alla Dichiara-zione Congiunta circa la Dottrina della Giu-stificazione tra la Chiesa cattolica e la federa-zione Luterana Mondiale. Tale Dichiarazioneafferma, quale risultato di questo dialogo ini-ziato subito dopo il Concilio Vaticano II, chele chiese appartenenti alla federazione Lutera-na Mondiale e la chiesa cattolica hanno rag-giunto un alto grado di accordo su di una que-stione, come è appunto quella della giustifica-zione, così controversa durante secoli. Sebbe-ne la Dichiarazione non risolva tutte le que-stioni relative all’insegnamento della dottrinadella Giustificazione, essa esprime un consen-so in verità fondamentali di tale dottrina (cfr.Risposta della Chiesa Cattolica alla Dichiara-zione congiunta tra la Chiesa cattolica e la Fe-derazione luterana Mondiale circa la Dottrinadella Giustificazione)” (n. 2).

Vent’anni di annunci: l’accordo è (quasi) fatto…

Seguendo l’indicazione di Giovanni Pao-lo II, andiamo a leggere la famosa Risposta...Non avendola reperita sull’Osservatore (pro-

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babilmente per disattenzione), presentiamouna ns. traduzione dal francese (cf Docu-mentation Catholique, n. 2187, 2-16/8/98, pp.713-715). Nel presentare il documento nellasala-stampa vaticana il 25 giugno (DC, pp.716-718), il suo firmatario, card. Cassidy(presidente del Consiglio Pontificio per laPromozione dell’Unità dei Cristiani), ne hatracciato anche la storia. È una storia di cla-morosi insuccessi travestiti da abbagliantisuccessi. Il dialogo inizia nel 1967, ed è giun-to alla “quarta fase”, ed ha partorito ben set-te documenti (senza contare due studi teolo-gici): nel 1972, nel 1980, nel 1981, nel 1994,poi una prima versione della Dichiarazionecomune nel 1994, una prima revisione nel1996 e una seconda, la definitiva, nel 1997. Intutti si suonano le trombe del vicino succes-so: già il Rapporto di Malta (1972) parla di“consenso di vasta portata” (n. 4, p. 716), chenel 1980 diventa “un largo consenso” (ibi-dem) e nel 1997 si può annunciare che “esisteun consenso su delle verità fondamentali delladottrina della giustificazione” (n. 8, p. 717).Insomma, può dichiarare soddisfatto Cas-sidy, “esiste un alto grado di consenso” (DCnn. 6, p. 717) che “risolve virtualmente unaquestione lungamente dibattuta” (DC, n. 9, p.718) per cui si tratta “di un risultato eccezio-nale del movimento ecumenico” (n. 2, p.716). Lo scopo era privare di portata gli ana-temi del Concilio di Trento contro i Prote-stanti e, incredibile ma vero, quelli dei Prote-stanti contro la Chiesa cattolica, aprendo lavia all’unione delle 124 “chiese” luterane conla Chiesa cattolica: scopo ottenuto “là dovequesto consenso è realizzato”; in questo caso,“le condanne pronunciate reciprocamente nelXVI sec. non si applicano più oggi l’unoall’altro” (DC, n. 6, p. 717). In realtà, la Ri-sposta alla Dichirazione Comune, elaboratain collaborazione da Cassidy e Ratzinger, èuna bocciatura solenne. Cassidy (nella Ripo-sta) condanna per eresia Cassidy (nella Di-chiarazione comune) (14). La “Chiesa” (nellaRisposta) condanna la “Chiesa” (nella Di-chiarazione comune). E l’unione resta così“virtuale”, ma per niente “reale”.

La Dichiarazione comune cattolico-luteranaè eretica (lo dice chi l’ha scritta)

In questa sede non esamineremo le 44 af-fermazioni comuni della Dichiarazione (DC1997, n. 2168, pp. 875-885), ma la critica chene fa nella Risposta della Chiesa cattolica il

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card. Cassidy stesso, limitandoci ai punti es-senziali. La dottrina del n. 29 della D., scrive,“non è accettabile. In effetti, questa afferma-zione [l’uomo giustificato è simultaneamentegiusto e peccatore] non è compatibile con ilrinnovamento e la santificazione dell’uomointeriore di cui parla il Concilio di Trento(D.S. 1528, 1561)”. Sempre Cassidy definisce“equivoca” la dottrina espressa ai numeri 28-30 e “ambigua” quella del n. 22, per conclu-dere: “Per tutte queste ragioni, è pertanto dif-ficile vedere come si possa affermare che que-sta dottrina sul ‘simul iustus et peccator’, nellostato attuale della presentazione che se ne fanella Dichiarazione comune, non cada sottogli anatemi dei decreti di Trento sul peccatooriginale e la giustificazione” (DC, n. 1, p.714). La Risposta prosegue citando numerosialtri casi nei quali la Dichiarazione comuneparla, a torto, di consenso raggiunto tra cat-tolici e luterani. A noi basta la citazione giàriferita. Essa dimostra che la ‘Dichiarazionecomune’ ha prodotto un testo eretico, passi-bile di condanna in base ai canoni del Conci-lio di Trento, e ciò in base al giudizio del su-periore stesso dei teologi cattolici che hannocollaborato alla stesura del testo. Se per Cas-sidy in altri punti cattolici e luterani si sonoaccordati realmente nella suddetta Dichiara-zione, questo non migliora certo la situazio-ne: la Dicharazione resta eretica, anche se inmaniera ancora più ambigua e, pertanto, piùpericolosa. Come si può definire tutto ciò“un risultato eccezionale del movimento ecu-menico”? Ventun’anni di dialogo ecumenicocoi luterani su di uno solo dei punti che li di-vide dai cattolici ha avuto come “eccezionalerisultato” una ‘Dichiarazione comune’ fattaanche a nome della Chiesa cattolica che nonsfugge alla censura di eresia! Dei cattolicison dunque diventati luterani. I luterani nonsono per questo divenuti cattolici.

Nota bene: Il lettore troverà nella Rasse-gna stampa di Sodalitium un commento adegli scritti del cardinal Biffi (Bologna), diMons. Caffarra (Ferrara), di P. Galot, e altrenotizie tratte dall’Osservatore Romano. Nontroverà invece, in questo numero, un com-mento all’enciclica Fides et ratio, pubblicatadopo la chiusura di questa rubrica.

Note

1) A proposito del termine “sincero rispetto”, scri-ve C. Barthe (in Trouvera-t-Il encore la Foi sur la terre?F.-X. de Guibert, Paris, 1996, p. 129): “Sincera cum ob-servantia considerat... illa præcepta et doctrina, dice il

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Brevi notizie sulla Fraternità San Pio X

don Francesco Ricossa

Sono passati ormai dieci anni dalle consa-crazioni episcopali del giugno 1988, e non

si parla più granché della Fraternità Sacer-dotale San Pio X. Presentiamo qui ai nostrilettori alcune brevi notizie sulla società fon-data da Mons. Lefebvre, per tenerli al cor-rente sul gruppo che, piaccia o no, aggregala gran parte dei “tradizionalisti” cattolici.

Le candide ammissioni di Mons. Tissier deMallerais

In una “intervista” concessa da Mons.Tissier (uno dei quattro vescovi consacratida Mons. Lefebvre e Mons. de Castro

testo latino. Le traduzioni francesi correnti rendono ob-servantia, che comporta ben più che un semplice respec-tus (il quale creerebbe già una difficoltà), con ‘sincerorispetto’, che è troppo debole. Sarebbe più giusto tra-durre quanto ha detto il Concilio, nel contesto, con ‘ri-spetto religioso’(cf 2 Maccabei 6, 11, nel testo dellaVolgata, laddove i giudei si lasciano bruciare nelle ca-verne in ragione del rispetto sacro - ob religionem et ob-servantiam - che portano al sabato)”.

2) In realtà vi fu un precedente, nel 1893, col “Par-lamento delle Religioni”, che si svolse a Chicago duran-te l’esposizione internazionale in commemorazione delIV centenario della scoperta dell’America. Il “Parla-mento delle Religioni” fu approvato dal Card. Gibbons,ma non da Papa Leone XIII che condannò l’americani-smo nella sua lettera al Card. Gibbons (Testem benevo-lentiæ) del 22 gennaio 1899.

3) Questa affermazione è contraddetta dalla SacraScrittura, dal Magistero della Chiesa e dalla prassi dellaChiesa, che danno l’esempio di innumerevoli guerrecompiute legittimamente “in nome della religione”.

4) E sintomatico che proprio in questo articolo sanTommaso presenti, tra le obiezioni, l’argomento del-l’Ambrosiater invocato da Giovanni Paolo II, secondoil quale “qualunque verità, da chiunque sia detta, vienedallo Spirito Santo”. San Tommaso, nell’ad 1, nonsmentisce il principio, ma ne evita ogni falsa interpreta-zione. A volte, scrive, i “profeti dei demoni” (cioè dellereligioni non cristiane) dicono la verità spinti da Dio(come nel caso di Balaam o delle Sibille); altre voltespinti dal demonio, con fine cattivo; ma anche in questocaso la verità - in quanto tale! - anche se “è enunciatadal demonio, viene dallo Spirito Santo”.

5) “Se qualcuno dice che la rivelazione divina non èdistinta dalla conoscenza naturale di Dio e della moralee che, di conseguenza, non è richiesto per la fede divinache si creda la verità rivelata per l’autorità di Dio che larivela, sia anatema” (Sessione III, can. 2).

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6) Lettre à quelques évêques sur la situation de laSainte Eglise et mémoire sur certaines erreurs actuelles...Paris, 1983, pp. 37-38.

7) Vacant, Etudes sur le Concile du Vatican, I, p. 1428) Attilio Mordini, Il tempio del cristianesimo,

CET, Torino, 1963, p. 142. Non a caso anche Mordini sirichiama alla teoria del Verbo seminale o spermatico diSan Giustino in Verità del linguaggio, Volpe, Romaa,1974, pp. 74 e 88-89.

9) La cessata rivista Convivium (che si occupavaesplicitamente di esoterismo e tradizionalismo), in una no-ta intitolata significativamente Deus ubique est, opponeva,a dei cattolici che criticavano l’indirizzo aperto a tutte letradizioni religiose della rivista, l’insegnamento di Nostraætate del Vaticano II, concludendo: “invitiamo perciò, in-vece di criticare, a prendere esempio dai Padri del Conci-lio” (Convivium, n. 15, ottobre-dicembre 1993, p. 16).

10) Parliamo del Prof. Franco Cardini.11) E prosegue il Papa: “E da quella velenosissima

sorgente dell’indifferentismo scaturisce quella assurda ederronea sentenza, o piuttosto delirio, che debbasi ammet-tere e garantire per ciascuno la libertà di coscienza”. Ov-vero: da Nostra Ætate a Dignitatis humanæ.

12) La professione di fede ed il giuramento di fe-deltà del 1989 sostituiscono la formula adottata da Pao-lo VI nel 1967, che a sua volta abrogava il giuramentoantimodernista e la professione di fede tridentina. Laformula di Paolo VI ebbe così poca fortuna da non es-sere nemmeno inserita nella collezione del Denzinger-Hünermann.

13) Anche se non approviamo - evidentemente - ilnuovo punto di vista dell’autore, che riconosce oral’Autorità di Giovanni Paolo II.

14) Bisogna infatti tenere presente che la “Dichia-razione comune” è fatta a nome della “Chiesa cattolica”(oltre che delle “chiese” luterane), ed è stata material-mente composta anche dai teologi del Pontificio consi-glio per l’unità dei cristiani presieduto dal card. Cassidy.

Mayer) alla rivista francese della Fraternità,Fideliter (n. 123, pp. 25-29), vengono fattedelle ammissioni candide e sconcertanti.Mons. Tissier (T) affronta una prima diffi-coltà, quella della (sua) giurisdizione. T. am-mette che la sua consacrazione fu “compiutacontro la volontà del Papa” e che non ha ri-cevuto giurisdizione né da Mons. Lefebvre(“non poteva darcela”) né dal Papa (“il Papasi è rifiutato di darcela”). Pretende allora diaverla dalla Chiesa (“È la Chiesa che ce ladà”) come se si potesse opporre la Chiesa(che concede la giurisdizione) al Papa (chela nega), o come se la Chiesa gerarchica nonfosse, in ultima analisi, il Papa. Tuttavia, perT. vi è un problema ancora più grave diquello della giurisdizione. Lasciamo parlareT.: “Questi vescovi, non riconosciuti dal Pa-pa sono legittimi? Godono della successioneapostolica formale? Sono, in una parola, dei

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febvre ha potuto decidere questa consacra-zione, lui solo ha ricevuto la grazia per deci-dere. Noi abbiamo avuto la grazia per seguir-lo. È con queste parole molto semplici, moltobelle, di uno dei miei confratelli della Frater-nità, che devo concludere: esse rappresenta-no la mia più intima convinzione, la mia piùsolida sicurezza di essere sulla buona stra-da”. T., nel suo sincero e commovente affet-to per Mons. Lefebvre, non si rende conto diquanto il suo pensiero sia aberrante. Egli so-stituisce come criterio di cattolicità un ve-scovo al papa. Condanna chi si sottometteciecamente al Papa, che ha il carisma dell’in-fallibilità, e poi segue un vescovo in una de-cisione contraria al Papa, senza trovare altromotivo decisivo che l’infallibilità carismaticadi questo vescovo. In questo modo T. rivolu-ziona totalmente la costituzione divina dellaChiesa, opponendo il carisma di una (pre-sunta) santità a quello dell’autorità papale.

Mons. Fellay e il sedevacantismo

Sempre su Fideliter (n. 125, pp. 3-5), vienepubblicata un’intervista concessa al Figaro(del 3 giugno 1998) da Mons. Fellay (F.), su-periore generale della Fraternità e un’altrodel 4 vescovi consacrati nel 1988. F. ritornaanch’egli sul sedevacantismo. Alla domanda:“la sede di Pietro è vacante si o no?” egli ri-sponde: “La sede è occupata perfettamente. IlSanto Padre, vicario di Gesù Cristo, è statoeletto legittimamente, ed è dotato di tutti i po-teri del sommo pontefice (...)” e prosegue: isedevacantisti “pretendono risolvere un pro-blema ma ne creano uno più grave. In effetti ilpapa pone degli atti che sono stati anterior-mente condannati dalla Chiesa; da questo fat-to per salvare l’infallibilità pontificia, afferma-no che non c’è più il papa. Ecco una posizio-ne facile che, in realtà, dissolve la visibilità del-la Chiesa. Non possiamo accettarla”. F. cercadi dare un argomento al rifiuto del sedeva-cantismo: esso comporterebbe la dissoluzionedella visibilità della Chiesa. Possiamo essereancora più radicali di lui: esso crea un proble-ma per l’indefettibilità della Chiesa (2). Ma ri-fiutare la posizione sedevacantista, o margi-nalizzarla (3) come soluzione al problemadell’infallibilità, lascia intatto quest’ultimoproblema. Che è anche un problema di inde-fettibilità (se la Chiesa adesso si sbaglia, hadefezionato) e di visibilità (poiché la Frater-nità non segue in realtà il capo visibile dellaChiesa, il “papa”, ma solo quello invisibile, il

vescovi cattolici?”. Questo problema, spiegaT., “concerne anche la costituzione divinadella Chiesa, come insegna tutta la tradizio-ne: non ci può essere un vescovo legittimosenza il Papa, capo per diritto divino del cor-po episcopale. Allora la risposta è meno evi-dente, ed anzi, essa non è assolutamente evi-dente…”. T., quindi, a dieci anni dalla suaconsacrazione, non sa dire in nome di cosala sua consacrazione e il suo essere vescovo,fu un atto legittimo! Per un attimo, egli sem-bra evocare la “soluzione” sedevacantista:“... a meno di supporre... (...) bisogna ricono-scere che se potessimo affermare che a causadi eresia, di scisma o di qualche vizio d’ele-zione segreto, il papa non sarebbe realmentepapa, se noi potessimo pronunciare un talegiudizio, la risposta alla delicata questionedella nostra legittimità sarebbe evidente…”.(1). Se, per T., il “sedevacantismo” è la solaspiegazione evidente per giustificare la suapropria consacrazione, ci si aspetterebbeuna pubblica adesione al sedevacantismo, oun suo motivato rifiuto. Nulla di tutto ciò. Ilsedevacantismo è rifiutato (solo) perchéMons. Lefebvre lo ha rifiutato: “il problema,per così dire, è che né Monsignor Lefebvre,né i miei confratelli, né io stesso, eravamo osiamo sedevacantisti. (...) ...Mons Lefebvrenon si sentiva né aveva gli elementi sufficientiper portare un tale giudizio. Questo è impor-tantissimo da notare”. A questo punto, persi-no l’intervistatore è un po’ sconcertato: senon si possono fare vescovi contro la vo-lontà del Papa e se Giovanni Paolo II è Pa-pa, e se Giovanni Paolo II era contrario alleconsacrazioni di Mons. Lefebvre, e se non cisono altre soluzioni “evidenti”... “allora co-me è uscito dal dilemma Monsignor Lefeb-vre? (...)”. T., che non ha risposte teologi-che, dottrinali, sconcerta ancor di più il let-tore con una risposta che potremmo definire“carismatica”: “(...) Il nostro fondatore haaffrontato il problema dall’alto e lo ha risoltonello stesso tempo nel modo più concreto checi sia. È il sigillo dell’intuizione soprannatu-rale che gli era propria, e dell’azione in luidel dono della sapienza, dono dello SpiritoSanto. (...) Solo Mons. Lefebvre poteva por-tare un tale giudizio [cioè: che ‘Il papa Gio-vanni Paolo II non è più cattolico’]! Era an-che il solo che avesse l’autorità morale perdecidere ‘faccio le consacrazioni’. Non cen‘erano altri. Così non è stato per i lumi mieipropri che ho accettato la consacrazione, lamia consacrazione, capite! Solo Mons. Le-

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Cristo: scrive F.: “... abbiamo delle difficoltà aascoltare la voce di Cristo [in quella del Pa-pa]. (...) senza scegliere a nostro piacimentonoi ci limitiamo costantemente all’adesionepiena e intera a Cristo del quale il sommopontefice è il vicario”. Un cattolico direbbe:noi ci limitiamo costantemente all’adesionepiena e intera al Sommo Pontefice, poiché èil Vicario di Cristo. La Fraternità sembraignorare la soluzione apportata dalla Tesi diCassiciacum, che risolve sia il problemadell’infallibilità (poiché Giovanni Paolo IInon è formalmente Papa) sia quello della vi-sibilità (poiché Giovanni Paolo II è material-mente papa). Mons. Tissier conferma questaignoranza. Nell’articolo succitato, parlandodei sedevacantisti, scrive (p. 27): “la logicaaspra di un padre Guérard des Lauriers gli fa-ceva concludere ‘Il papa ha promulgatoun’eresia (con la libertà religiosa), quindi èeretico, e quindi non è più papa formalmen-te’”. E T. conclude dicendo che P. Guérardnon aveva l’autorità per fare simili afferma-zioni. T. ignora (?) che Padre Guérard, a dif-ferenza dei sedevacantisti, non affermava, co-me gli fa dire T., che un teologo come lui ave-va l’autorità per dimostrare che GiovanniPaolo II (o Paolo VI) è formalmente eretico.O T. non conosce la “logica aspra” di PadreGuérard (e allora eviti di parlarne) oppure laconosce (e allora eviti di calunniarla). In ognicaso, farebbe bene a studiarne la “logicaaspra”, per evitare le illogicità di un abbé dela Rocque...

“Lutero” scrive su Fideliter

Questo giovane sacerdote ha scritto un ar-ticolo intitolato Stabat mater dolorosa (Fideli-ter, n. 125, pp. 8-12) riprendendo l’ardita e unpo’ pericolosa similitudine tra la Passione diCristo e di Maria, e quella della Chiesa nellacrisi attuale, per criticare gli indultisti alla pro-pria “sinistra” e i sedevacantisti alla propria“destra”. Troppo logiche, queste posizioni! Laspada che trapassò il cuore di Maria sarebbe-ro, secondo il Nostro, le contraddizioni dellaPassione. Ed ecco che per imitarla, bisogne-rebbe aderire alle tesi contraddittorie dellaFraternità! “In questa Chiesa crocifissa,profonde contraddizioni si presentano all’intel-ligenza fedele”, scrive de la Rocque, dimenti-cando che l’intelligenza, seppur fedele, puòaderire a proposizioni misteriose o apparente-mente contraddittorie, ma giammai a “pro-fonde contraddizioni”. Ed eccone una, a mo’

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di esempio: “Unico strumento di salvezza, que-sta stessa Chiesa ci sembra a volte identificarsicon la bestia apocalittica (Ap 12,3) che trascinale anime sulla via della perdizione. Non è forseS. Pietro stesso che, posto per confermare i suoifratelli nella fede (Lc 22, 32), la fa perdere lorocon questo falso ecumenismo e questa libertàreligiosa così tante volte condannata dai papi?”(p. 10). Era dai tempi di Lutero che non senti-vamo più identificare la Chiesa cattolica e laBestia dell’Apocalisse. Ma almeno Lutero nonsi contraddiceva al punto di dire che la Bestiaapocalittica era l’unico mezzo di salvezza!

Una “Petite Eglise”...

Nell’intervista succitata del Figaro al“vescovo ausiliario” (4) Mons Felley, il gior-nalista del quotidiano parigino chiede conperspicacia: “Non rischiate di diventare una‘Piccola Chiesa’?” (5). Non troppo sicuro disé, Mons. Fellay risponde: “Spero di no (...)”(p. 4). Ma tanti piccoli indizi lasciano crede-re di sì (tranne che per le consacrazioni. Ivescovi della Petite Eglise, come si sa, nonconsacrarono nuovi vescovi, ed i fedeli an-cora esistenti si trovano, ormai da lunghissi-mo tempo, senza sacerdoti). Nella Lettre desdominicains d’Avrillé (n. 7, sett. 1998, p. 11),si raccomanda la lettura del libro di JoëlMorin e Emmanuel Vicart intitolato Le Pa-pe Pie VII: précurseur de Vatican II (PapaPio VII: un precursore del vaticano II), da ri-chiedere al Priorato Sainte-Anne di Lanval-lay, un priorato della Fraternità San Pio X.Non ho ancora letto il libro, ma il titolo ètutto un programma: se Pio VII fu un pre-cursore del Vaticano II, la Petite Eglise fu unprecursore della Fraternità San Pio X.

...che sogna di tornare nella “Grande Egli-se”!

Tuttavia, forse per evitare la triste finedella Petite Eglise, vi è attualmente nella Fra-ternità un forte movimento di apertura versoquella che veniva chiamata la “Chiesa conci-liare”, e verso gli esploratori che vi si sonogià avventurati (gli ex-ralliés) aderendo allaCommissione Ecclesia Dei. A capo di questomovimento, un sacerdote della Fraternità,l’abbé de Tanoüarn, dalle colonne di due ri-viste che egli dirige, Pacte e Certitudes. Nonsi pensi però ad una iniziativa ai margini del-la Fraternità: tra i fedelissimi di Tanoüarn visono anche dei sacerdoti che, un tempo, rap-

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presentavano l’ala più intransigente della so-cietà fondata da Mons. Lefebvre, quali Aula-gnier, Ph. Laguerie, Celier, ecc. L’associazio-ne 496 (diretta sempre dal Tanoüarn) ha cosìorganizzato una giornata commemorativadelle consacrazioni con un congresso allaMutualité di Parigi, il 21 giugno (La Tradi-tion catholique, une arche pour l’Eglise). Asorpresa, tra i conferenzieri, Gérard Leclerc,editorialista di France Catholique, Chri-stophe Geffroy, direttore della redatione deLa Nef, Paul Airiau, direttore di Résurrec-tion, rivista del Sacré-Cœur de Montmartre ePadre Lelong, tutti conservatori, senza dub-bio, ma tutti fedeli, recenti o di vecchia data,del Vaticano II. “Abbiamo dimostrato cheera possibile discutere con gran cortesia condei cattolici ‘conciliari’ o ‘ralliés”, scrivel’abbé de Tanoüarn su Pacte (n. 26, p. 1).L’abbé de Tanoüarn è aperto e intelligente?Perché allora non ha invitato a dibattere“con gran cortesia” anche degli esponentidel sedevacantismo o della Tesi di Cassicia-cum? (6). Altrimenti, il sospetto di “aperturevergognose” non è solo una malignità...

L’abbé de Tanoüarn prepara dunque il“rallièment” (come si dice in Francia) dellaFraternità al Vaticano II? Forse. O meglio: loscopo è quello di sempre: essere riconosciutidalle “autorità” del Vaticano II con uno spe-ciale diritto di fronda, o, come si esprimel’abbé de Tanoüarn, come “istanza critica difronte agli straripamenti conciliari”. PetiteEglise, sì, ma criticare dentro la Grande Egliseè un po’ meno scomodo che criticare da fuori.

Ultima ora…

Dal 24 al 26 ottobre si è tenuto a Romaun pellegrinaggio organizzato dalla Frater-nità S. Pietro con la collaborazione dell’as-sociazione internazionale Una Voce, in occa-sione dei dieci anni del Motu Proprio Eccle-sia Dei che istituì la commissione omonimain seguito alle consacrazioni e alla scomuni-ca di Mons. Lefebvre.

Il pellegrinaggio si è concluso con uncongresso in presenza dei cardinali Ratzin-ger, Mayer e Stickler; quest’ultimo ha cle-brato la messa solenne che ha chiuso la riu-nione.

La presenza di don Aulagnier, assistentedel Superiore Generale della Fraternità S.Pio X, visibilmente rilassato e allegro tra isuoi nuovi compagni, la dice lunga sul pro-babile rientro “della piccola Chiesa nella

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Grande Chiesa”…Note

1) In realtà la cosa sarebbe meno evidente di quelche non sembri a T.! Constatare che Giovanni Paolo IInon è Papa è una condizione necessaria per la legitti-mità di una consacrazione episcopale, che non sarebbequindi compiuta “contro il Papa”. Restano però altredifficoltà, come lo testimonia la mia polemica con l’abbéBelmont (cf Le Consacrazioni Episcopali nella situazio-ne attuale della Chiesa. Risposta all’articolo di don H.Belmont. C.L.S. Verrua Savoia 1997) il quale, pur nonriconoscendo l’Autorità di Giovanni Paolo II, non am-mette la liceità delle consacrazioni. Noi non seguiamo suquesta via, ma sosteniamo però che i vescovi consacratiin tal modo sono vescovi “diminuiti”, che esercitano le-citamente il potere d’ordine ma non hanno quello digiurisdizione, né quello di magistero e, da questo puntodi vista, non hanno la successione apostolica formale.

2) Ne riparlerò in un prossimo numero di Sodalitium.3) Mons. Fellay ammette che ci sono dei sedevacan-

tisti nella Fraternità, ma precisa che essi sono “en mar-ge” della Fraternità.

4) Così sono definiti i 4 vescovi della Fraternità inFideliter, n. 123, p. 22, nell’articolo: Un statut d’évêqueauxiliaire.

5) Col nome di “Petite Eglise” si designa la chiesascismatica anti-concordataria, che si oppose - e ancorasi oppone! - al concordato tra Pio VII e Napoleone.

6) Erano presenti, è vero, l’abbé Schæffer e l’abbéBarthe, ma il primo era travestito da lefebvriano e il se-

In questa foto tratta da “Présent” del 5 novembre, sivedono da sinistra verso destra: Padre Argouarc’h, don

Aulagnier, don Mora, Mons. Wach, Mons. Wladimir e padre de Blignières. Sul “Bulletin St Jean Eudes”, di-

retto dall’abbé Aulagnier, si può vedere la “foto delmese”: lo stesso abbé Aulagnier con il

card. Ratzinger a Roma

AVVISO AI LETTORI: Per ragioni di spaziosiamo costretti a rinviare al prossimo numero laXXIII puntata de “Il Papa del Concilio”. Per lostesso motivo, sarà rinviato al prossimo numeroun nuovo articolo di padre Torquemada su Mas-simo Introvigne: il nostro dossier su di lui si va fa-cendo sempre più voluminoso e interessante.

Sodalitium.

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IL FIGLIUOL PRODIGO. Una delle più belle parabole del Vangelo di

S. Luca

don Ugolino Giugni

La parabola del figliuol prodigo è forseuna delle più belle del Vangelo. Dobbia-

mo all’evangelista S. Luca, che più degli altrici mostra la misericordia del Signore, sequesta “perla preziosa” non è andata perdu-ta. È mia intenzione proporne ai lettori unpiccolo commento ispirato ai Padri dellaChiesa attingendo soprattutto a S. Ambro-gio di Milano. Questa parabola descrive mi-rabilmente la storia del peccato e del ritornoa Dio. Nel commentarla trascriverò mano amano alcuni versetti per spiegarne in seguitoil significato spirituale.

La parabola nel Vangelo

Un giorno Gesù parlando ai suoi disce-poli in parabole disse: «Un uomo aveva duefigli. Il più giovane disse al padre: “Padre,dammi la parte del patrimonio che mi spet-ta”. E il padre divise tra loro le sostanze. Do-po non molti giorni, il figlio più giovane, rac-colte le sue cose, partì per un paese lontano elà sperperò le sue sostanze vivendo da disso-luto. Quando ebbe speso tutto, in quel paesevenne una grande carestia ed egli cominciò atrovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise aservizio di uno degli abitanti di quella regio-ne, che lo mandò nei campi a pascolare i por-ci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube chemangiavano i porci; ma nessuno gliene dava.Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti sa-lariati in casa di mio padre hanno pane inabbondanza e io qui muoio di fame! Mi le-verò e andrò da mio padre e gli dirò: “Padre,ho peccato contro il Cielo e contro di te; nonsono più degno di esser chiamato tuo figlio.Trattami come uno dei tuoi garzoni”. Partì esi incamminò verso suo padre.

Quando era ancora lontano il padre lo vi-de e commosso gli corse incontro, gli si gettòal collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre,ho peccato contro il Cielo e contro di te; nonsono più degno di esser chiamato tuo figlio”.Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate

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qui il vestito più bello e rivestitelo, metteteglil’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate ilvitello grasso, ammazzatelo, mangiamo efacciamo festa, perché questo mio figlio eramorto ed è tornato in vita, era perduto ed èstato ritrovato”. E cominciarono a far festa.

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Alritorno, quando fu vicino a casa, udì la musi-ca e le danze; chiamò un servo e gli domandòche cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: Ètornato tuo fratello e il padre ha fatto am-mazzare il vitello grasso, perché lo ha riavutosano e salvo. Egli si arrabbiò, e non volevaentrare. Il padre allora uscì a pregarlo. Malui rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo datanti anni e non ho mai trasgredito un tuo co-mando, e tu non mi hai dato mai un caprettoper far festa con i miei amici. Ma ora chequesto tuo figlio che ha divorato i tuoi avericon le prostitute è tornato, per lui hai am-mazzato il vitello grasso”. Gli rispose il pa-dre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciòche è mio è tuo; ma bisognava far festa e ral-legrarsi, perché questo tuo fratello era mortoed è tornato in vita, era perduto ed è stato ri-trovato”». (Luca XV, 11-32)

Commento

C’era un uomo che aveva due figli…Un giorno, due eremiti, parlavano insie-

me sul principio di questa parabola. “Padre,disse il più giovane, io ammiro questa para-bola, ma mi pare di vedervi una lacuna”.“Quale figlio mio?” - “Ci manca la Ma-dre…” “La madre doveva essere morta figliomio - riprese il vecchio - Se fosse stata viva,forse quel poveretto non sarebbe partito…”.

Sì probabilmente questo figliolo dovevaessere orfano di madre, perché altrimentil’affetto verso di lei lo avrebbe trattenutodal partire, poiché in genere una madre acausa della sua bontà e tenerezza, ha sempreun’entrata particolare nel cuore di un figlio.

Il padre è, indubitatamente, la figura diDio che ha due popoli; il figlio maggiore èquello che rimane nel culto del Dio unico (ilpopolo ebraico), l’altro il più giovane è quel-lo che abbandona la casa del Padre e Dioper andare ad adorare gli idoli (i gentili).

Il più giovane… Dunque il meno esper-to; egli si annoia del bene che possiede enon lo sa apprezzare perché ai suoi occhitutto gli sembra dovuto. Spesso anche noi,nella vita spirituale, non sappiamo apprezza-re le grazie che Dio ci dà abitualmente, per-

Vita Spirituale

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ché ci sembrano qualcosa di “normale, didovuto” e ne capiamo il valore soltantoquando… le abbiamo perse.

“Padre, dammi la parte del patrimonio chemi spetta”. Chiede al padre il terzo dei beni,secondo la legge mosaica (Deut. XXI, 17),ma per esigerlo bisognava normalmente cheil padre fosse morto. Questo giovane, in uncerto senso, firma una cambiale ‘da pagarsi ababbo morto’, come fanno molti oggi…

E il padre divise tra loro le sostanze. Ilpadre rappresenta Dio, il quale mette la li-bertà di volere in mano di ogni uomo arriva-to all’uso di ragione. Dio fa male a farci libe-ri? No! Egli vuole nobilitare la nostra obbe-dienza con la possibilità della nostra ribellio-ne. “Dio ha messo di fronte a te il fuoco el’acqua. Tu puoi stendere la mano a destra ea sinistra. Davanti a te sta la vita e la morte”(Eccli. XV, 17). Dice S. Ambrogio: «Notacome il patrimonio divino sia concesso a chilo chiede, e non imputare al padre di averlodato al più giovane. Non vi è un’età incapa-ce per il Regno di Dio e la fede non si lasciagravare dagli anni. Se lo ha chiesto, eviden-temente lui stesso se ne era stimato idoneo.E magari non si fosse allontanato dal suopadre; non avrebbe conosciuto gli aspettinegativi della sua età».

Dopo non molti giorni, il figlio più giova-ne, raccolte le sue cose, partì per un paese lon-tano. Quanta fretta! Il suolo paterno gli bru-ciava sotto i piedi. Parte per un paese lontanoperché si vergogna di fare il male proprio sot-to gli occhi del padre. S. G. Crisostomo com-menta: “si allontana da Dio non nello spazioperché Dio è ovunque; ma negli affetti, il pec-catore fugge affinché Dio stia lontano da lui”.Per S. Agostino la regione lontana è la di-menticanza di Dio da parte del peccatore. S.Ambrogio: «E che c’è di più lontano, che fug-

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gir via da sé stessi, esser remoti non per diver-sità di regioni ma di costumi, esser disgiuntinon da lontananza di luoghi ma di inclinazio-ni, e, come se interponessero fra noi le ondeagitate della lussuria mondana… In realtà chisi separa da Cristo vaga ramingo dalla patria,è cittadino di questo mondo. (…) Colui, dun-que, vivendo da dissoluto, dissipò tutti gli or-namenti della natura. E allora tu che hai rice-vuto l’immagine di Dio, tu che hai la sua so-miglianza, non la rovinare con turpitudiniproprie di chi è senza ragione. Sei opera diDio, non dire a un pezzo di legno [o a qualun-que altra creatura…]: Tu sei mio padre, pernon assumere la somiglianza col legno, poi-ché sta scritto: “simili ad essi divengono i loroartefici”». Possiamo rendere attuale questascena terribile. Ecco un giovanotto, figlio difamiglia benestante che abita in piccolo cen-tro di campagna. Là egli ha tutto; ma invecedi sani godimenti sogna i paradisi artificiali, ledroghe, i piaceri… Non gli basta giocare acalcio o a tennis. Non vuole restare ad am-muffire nel natìo borgo selvaggio… No no!Bisogna vedere le grandi città con i loro pa-lazzi, con i loro teatri, con i loro bar, con le lo-ro labbra dipinte, con le orchestre selvagge e iballi più selvaggi ancora. Il pane di casa, sottogli occhi di Dio e dei genitori, è troppo sano etroppo buono… Il figlio giovane è un felice(nulla gli manca!) ma un felice che si annoia evuole rinnovare l’esperienza di tutti gli sviati;ebbrezza che passa come un lampo e disgustoche dura e tormenta.

E là sperperò le sue sostanze vivendo dadissoluto. Quel denaro che ha in tasca loconsidera suo, pensa di non doverne rendereconto a nessuno, le sue spese non sono buo-ne, non sono pure. Visse in maniera lussurio-sa dice il testo latino, cioè spendendo e span-dendo in piaceri disonesti, vivendo oziosa-mente al di sopra delle sue possibilità: unavita “piena fuori”, ma assolutamente “vuotadentro”, ricca esteriormente quindi, ma po-vera interiormente. Gli amici che trova sonoamici non suoi, ma dei suoi soldi e dei suoivizi; essi gli volteranno le spalle quando soldinon ne avrà più e non potrà più pagar loroogni godimento. Così fa il peccatore: sperpe-ra i beni di Dio e la sua grazia, il diavolo chelo tenta non è un vero amico… ma uno sfrut-tatore indegno e ingrato.

Quando ebbe speso tutto, in quel paesevenne una grande carestia ed egli cominciò atrovarsi nel bisogno. Il simbolismo è profon-do! Dopo la colpa, arriva il vuoto del cuore

Sant’Ambrogio Vescovo di Milano

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con il vuoto delle tasche. Bisogna che la pro-va, l’indigenza e il dolore arino il suo cuoreaffinché in quei solchi profondi possa nasce-re e portare frutto il germe del pentimento.La fame è la mancanza delle parole di veritàdice S. Tommaso. E S. Ambrogio commen-ta: «Chi si allontana dalla Parola di Dio, pa-tisce la fame, perché non di solo pane vivel’uomo ma di ogni parola di Dio (Matt. IV,4). Chi si allontana da una sorgente ha sete,chi si allontana da un tesoro si trova in mise-ria, chi si allontana dalla sapienza s’infiac-chisce, chi si allontana dalla virtù va in rovi-na. Giustamente costui cominciò a trovarsinel bisogno perché aveva abbandonato i te-sori della sapienza e della scienza di Dio, ela profondità delle ricchezze celesti. Comin-ciò dunque a trovarsi nel bisogno e a patirela fame, perché nulla mai basta al piacereche tutto scialacqua. Soffre in se stesso la fa-me chi non sa che cosa voglia dire saziarsidegli alimenti eterni».

Allora andò e si mise a servizio di unodegli abitanti di quella regione, che lo mandònei campi a pascolare i porci. Secondo S.Ambrogio questo “abitante di quella regio-ne” (lontana dal regno del Padre, e dove sivive in maniera dissoluta) non è altri che ilprincipe di questo mondo (il diavolo) al ser-vizio del quale si mette il peccatore. Si trattadi un padrone crudele e cattivo che lo man-da a pascolare i porci, cioè tutti gli spiriti im-mondi e di peccato che obbediscono al dia-volo. Per riprendere l’esempio precedentedel giovane di campagna; ecco che colui chedesiderava una vita indipendente si ritrovaservo di un padrone cattivo. Desiderava lagrande città e odiava la casa paterna nel pic-colo centro rurale ed eccolo rimandato neicampi (non più i suoi, adesso), a fare un me-stiere umiliante, specialmente per un ebreoper il quale i porci sono animali immondidei quali non è lecito mangiare le carni. Co-me finisce male e nell’ombra la sognata av-ventura… Partire verso i piaceri e le follieper finire guardiano di porci…! Ahimé que-sto passaggio della parabola è verità di tutti igiorni per molti uomini. Chi vive senza co-noscersi è preda di illusioni. Sogna l’ebbrez-za e trova il vuoto infinito.

Avrebbe voluto saziarsi con le carrubeche mangiavano i porci; ma nessuno glienedava. Non desidera più quindi i cibi prelibatidei banchetti, che i suoi soldi gli potevanoprocurare poco prima… ma prova la neces-sità di “riempirsi il ventre” con un cibo che in

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oriente si dà soltanto agli animali e che soloin caso di carestia viene destinato anche agliuomini. S. Ambrogio: « I lussurriosi non han-no altro pensiero che di riempirsi il ventre;“poiché hanno come loro Dio il ventre” (Phil.III, 19). Ma quale cibo più adatto a gente sif-fatta di quello che, come le ghiande, all’inter-no è vuoto, esternamente è tenero, e nonserve a pascere il corpo, ma solo a riempirloin modo che è più di peso che di vantaggio?Alcuni vedono nei porci le greggi dei demo-ni, nelle ghiande la virtù inconsistente di uo-mini vacui e la boria dei discorsi che fanno, iquali non possono avere alcuna utilità per-ché con la vana seduzione della filosofia, ecol plauso, di una eloquenza fatta di suoni,sfoggiano più sfarzosità che utilità; però que-ste piacevolezze non possono durare a lungo,e perciò nessuno gli dava niente ».

Nessuno gli dava niente. Ed allora egli ru-ba, così tocca il fondo della miseria… da fi-glio del padre a …ladro; anche se per neces-sità. “Cercò di godere e finì con la fame;cercò di brillare e finì porcaro; cercò quelloche non era suo e finì con rubare il cibo dellebestie, perché gli uomini affamati anch’essinon gliene davano. Oh casa paterna…”.Quando il diavolo s’impadronisce di qualcu-no non gli procura più l’abbondanza perchésa che è ormai morto (spiritualmente)…

Allora rientrò in se stesso e disse: Quantisalariati in casa di mio padre hanno pane inabbondanza e io qui muoio di fame! Qui av-viene la conversione e ne vediamo tutta lapsicologia. Chi si allontana da Dio, si allon-tana da sé stesso; e ritornare a Dio significaquindi rientrare in se stessi. Come ho potutofare quello che ho fatto? Perché la passionein me è stata più forte della ragione? I piùsemplici fra i fedeli a Dio (i salariati in casadi mio padre) hanno in abbondanza il panedella pace, il pane della fede, il panedell’Eucarestia, e io invece muoio di fame!Ho cercato di saziare tutti i miei desideri… eho finito per avere fame, per non avereneanche più il necessario! Come stavo me-glio, quando credevo di star peggio… La pa-ce del cuore, la coscienza del dovere ben fat-to è qualcosa che non ha prezzo…

S. Ambrogio: “Ma vi sono anche i sala-riati che vengono assoldati per lavorare nel-la vigna (…) ai quali vien detto: Venite e vifarò pescatori di uomini (Matt. IV, 19). Co-storo abbondano non di ghiande ma di pane.O signore Gesù, se tu ci levassi le ghiande eci dessi il pane - tu infatti sei il dispensiere

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nella casa del Padre - e se tu volessi bene-volmente prendere anche noi a soldo comesalariati, anche se giungiamo tardi! Tu pren-di al lavoro anche all’ora undecima e paghibenevolmente un uguale salario della vita,non della gloria”, poiché se la vita eterna èpromessa a tutti quelli che lavorano nella vi-gna, non sarà uguale la gloria che invece èproporzionata al merito di chi ha combattutodi più (II Tim. IV, 7), come dice S. Paolo.“Ho pensato - continua il S. Vescovo di Mi-lano - di non omettere questo avvertimento,perché so bene che alcuni affermano di vo-lersi assicurare la grazia… o la penitenza inpunto di morte. Anzitutto come fai a saperese questa notte non ti verrà chiesta la tuaanima? E poi perché credere che tutti i ri-guardi siano proprio per te, che te ne staicon le mani in mano?”.

Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò:“Padre, ho peccato contro il Cielo e contro dite; non sono più degno di esser chiamato tuofiglio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”.Partì e si incamminò verso suo padre. Questostato non può durare oltre: non sono fattoper il mestiere del porcaro. Cambierò io eandrò da mio padre, il quale, dopo tutto, re-sta sempre mio padre. S. Agostino: “Mi le-verò, perché giaceva (a causa del peccato)…;andrò, perché si era allontanato; al Padremio, perché era sotto il padrone dei porci”.

Si levò in piedi e andò. Ecco un proposi-to effettivo che è seguito dall’esecuzioneleale. La peggiore tentazione è quella di ri-mettere a domani la conversione. Sant’Ago-stino (che se ne intendeva!), dice che il “do-mani, domani, cras cras, è parola da corviche si pascolano di carogne”.

Se leggendo queste parole senti di essereun figlio sviato, rientra in te stesso e ritorna su-bito a Dio coi mezzi che ti ho indicati. Sarà ilfrutto migliore della lettura di queste pagine.

A deciderti al grande passo ti stimolil’accoglienza del Padre al prodigo che ritor-na. Quando era ancora lontano il padre lovide e commosso gli corse incontro, gli sigettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse:“Padre, ho peccato contro il Cielo e contro dite; non sono più degno di esser chiamato tuofiglio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto,portate qui il vestito più bello e rivestitelo,mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi.Portate il vitello grasso, ammazzatelo, man-giamo e facciamo festa, perché questo mio fi-glio era morto ed è tornato in vita, era perdu-to ed è stato ritrovato”. S. Ambrogio: « Il Pa-

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dre si riconcilia con facilità quando vienepregato con intensità. Impariamo come dob-biamo accostarci a Lui! Padre - dice il figlio-lo - quanto è pietoso, quant’è buono, senemmeno quando è stato offeso disdegna diudire il nome di Padre. Padre, dice, ho pec-cato contro il cielo e contro di te. Questa è laprima confessione presso il creatore dellanatura, il soprintendente della misericordia,il giudice della colpa. Ma sebbene Dio cono-sca tutte le cose, egli attende la voce dellatua confessione. Infatti con la bocca si fa laconfessione per avere la salvezza (Rom. X,10), perché chiunque aggrava se stesso alle-via il peso del peccato, e tien lontana l’odio-sità dell’accusa colui che, riconoscendosi intorto, previene il proprio accusatore; infattiil giusto fin quando comincia a parlare incol-pa se stesso. Invano cercheresti di rimanereocculto a colui che non puoi ingannare innulla, e puoi manifestare senza alcun rischioquanto sai bene che è già conosciuto. Piutto-sto riconosci il tuo torto, affinché intercedaper te Cristo, che noi abbiamo come avvoca-to presso il Padre, affinché supplichi per tela Chiesa (…). Abbi Fede in Lui perché è laverità, fidati di Lui perché è la Potenza. Haun motivo per interporre la sua autorità intuo favore, perché non vorrebbe essere mor-to invano per te. Anche il Padre ha un moti-vo per perdonarti, perché ciò che vuole il Fi-glio lo vuole anche il Padre.

Ho peccato contro il Cielo e contro di te.Non si indica certo l’elemento materiale, masi vuol far capire che, per il peccato dell’ani-ma, i doni celesti dello Spirito sono diminui-ti, o anche perché non bisognava errare lon-tano dal grembo di quella nostra madre, laGerusalemme che sta lassú in Cielo.

Non sono piú degno di esser chiamatotuo figlio: chi ha perduto ogni diritto non de-ve esaltarsi, per poter essere sollevato permerito del suo abbassamento.

Trattami come uno dei tuoi salariati. Egliconosce bene la differenza che passa tra i fi-gli, gli amici, i salariati, gli schiavi. figlio peril lavacro, amico per la virtú, salariato per lafatica, schiavo per il timore. Ma anche da sa-lariati e da schiavi si diventa amici, secondoquanto è stato scritto: Voi siete i miei amicise farete quello che io vi comando; non vichiamo piú servi (Giov. XV, 14).

Queste cose va ripensando dentro di sé;ma non basta dirle, se non si va dal Padre.Dove lo cercherai, dove lo troverai? Primadi tutto alzati, tu che prima stavi sdraiato a

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dormire. E per questo dice l’Apostolo: Sve-gliati tu che dormi, e dèstati dai morti (Eph.V, 14). L’iniquità vale un talento di piombo.Ma anche a Mosè vien detto: Tu però restaqui (Deut. V, 13). Cristo sceglie coloro chestanno ritti in piedi. Alzati dunque, vieni dicorsa alla Chiesa: qui c’è il Padre, qui c’è ilFiglio, qui c’è lo Spirito Santo.

Egli ti corre incontro, perché ti ascoltamentre stai riflettendo tra te e te nel segretodel cuore. E quando ancora sei lontano, tivede e si mette a correre. Egli vede nel tuocuore, accorre perché nessuno ti trattenga, eper di piú ti abbraccia. Nel correre incontroc’è la sua prescienza, nell’abbraccio la suaclemenza e direi quasi la viva sensibi1itàdell’amore paterno. Gli si getta al collo, persollevare chi giaceva a terra, e per far sí chechi già era oppresso dal peso dei peccati echino verso le cose terrene, rivolgesse nuo-vamente lo sguardo al Cielo, ove dovevacercare il proprio creatore. Cristo ti si gettaal collo, perché vuol toglierti dalla nuca ilgiogo della schiavitú e imporre sul tuo colloun dolce giogo. Non ti sembra che Egli si siagettato al collo di Giovanni, quando questi,col capo rivolto all’indietro stava adagiatosul petto di Gesú? Per questo motivo egli vi-

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de il Verbo, presso Dio, perché fu innalzatofino al punto piú alto del Cielo. Egli ci sigetta al collo, quando dice: Venite a me, voitutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi ri-storerò; prendete il mio giogo sopra di voi(Matt. XI, 28). A questo modo ti si getta alcollo, se tu ti converti.

E ordina di portare la veste bella, l’anel-lo, i calzari. La veste è l’indumento della sa-pienza, col quale gli apostoli ricoprono le nu-dità del corpo, per il fatto che ciascuno se neammanta. E perciò ricevono la veste, per av-volgere la debolezza del corpo con la poten-za della sapienza spirituale. Infatti è statodetto di Colui che è la sapienza: Laverà nelvino la sua veste (Gen. 49, 11). Perciò la ve-ste è un indumento spirituale e un abito nu-ziale. Che cos’altro è l’anello, se non un sug-gello della fede genuina e l’impronta dellaverità? Il calzare invece significa la predica-zione del Vangelo. (…) La predicazione delVangelo, che a quanti sono ben disposti indi-ca la direzione per correre verso le cose cele-sti, è questa: che non dobbiamo camminaresecondo la carne, ma secondo lo Spirito.

Viene inoltre ucciso il vitello grasso, affin-ché, ormai restituito alla partecipazione deimisteri mediante la grazia del sacramento,possa cibarsi lautamente della carne del Si-gnore, che stilla ogni spirituale virtú. Nessu-no infatti deve prender parte ai sacramenticelesti, se prima non teme Dio - e questo è ilprincipio della sapienza -, se non ha conser-vato o ricuperato il suggello spirituale, senon ha annunziato il Signore. Ma chi possie-de l’anello, possiede anche il Padre e il Figlioe lo Spirito Santo, perché Dio lo ha suggella-to. E l’immagine di quest’anello è Cristo, ilquale per di piú ci ha dato come pegno loSpirito nei nostri cuori, affinché sappiamoche questo è il segno proprio di tale anelloche ci vien posto in mano, e col quale si sug-gellano le intime profondità del cuore e leopere che compiamo a servizio degli altri ».

La morale della parabola

Gesù stesso fa l’applicazione della para-bola con queste parole: bisognava far festa erallegrarsi, perché questo tuo fratello eramorto ed è tornato in vita, era perduto ed èstato ritrovato. - In verita vi dico, che vi saràpiù festa in cielo per un peccatore pentito,che non per novantanove giusti che non han-no bisogno di penitenza. Il Padre fa festaperché ha ritrovato il figlio perduto; Dio

Il ritorno del Figliuol Prodigo (Dipinto del Guercino)

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non smette mai di amare le sue creature,egli le aspetta con infinita misericordia fin-ché, contrite, non ritornano a Lui. Commen-ta Sant’Ambrogio: “gioisce il Padre per il ri-torno del peccatore; prima gioisce il Figlioper aver ritrovato la pecora, affinché tu sap-pia che uno solo è il gaudio del Padre e delFiglio, una sola l’operazione del fondamentodella Chiesa (…). Ma anche questo giovaper incoraggiarci al bene, se ciascuno di noicreda che la sua conversione farà piacere al-le schiere degli Angeli, dei quali deve o desi-derar ardentemente la protezione o temer ladisgrazia. Anche tu allora sii motivo di gau-dio per gli Angeli, e si allietino per il tuoritorno”.

Infine ascoltiamo S. Gregorio Magno:« Vi dico che in cielo vi sarà piú gioia per unpeccatore che fa penitenza, che non per no-vantanove giusti che non hanno bisogno dipenitenza (Lc. 15, 7). Dobbiamo considera-re, fratelli miei, perché il Signore proclamiche in cielo vi è piú gioia per i peccatori con-vertiti che per i giusti sempre rimasti tali.Non è forse ciò che noi stessi vediamo e spe-rimentiamo ogni giorno? Per lo piú coloroche sanno di non essere oppressi dai peccati,restano certo sulla via della giustizia, noncommettono nulla di illecito, ma non aspira-no con ansia alla patria celeste e si dannosenza ritegno ad usare le cose lecite, ricor-dando di non aver commesso nulla di illeci-to. E per lo piú rimangono pigri nell’eserci-zio del bene, perché sono troppo sicuri dinon aver mai commesso il male.

Al contrario, spesso coloro che ricorda-no di aver commesso qualcosa di grave, inci-tati dal loro stesso dolore ardono per amoredi Dio, si esercitano in grandi virtú, brama-no le asprezze della santa battaglia, abban-donano tutto ciò che è mondano, fuggonogli onori, si allietano dei disprezzi, ardono didesiderio anelando alla patria celeste. Ricor-dando di essersi allontanati da Dio, cercanodi compensare i danni precedenti coi guada-gni seguenti. Dunque, è piú grande in cielola gioia per un peccatore convertito, che perun giusto sempre rimasto tale, perché ancheil generale in battaglia ama di piú il soldatoche, tornato dopo la fuga, attacca con corag-gio il nemico, piuttosto di quello che mainon ha voltato la schiena, ma mai ha agitoda valoroso. Così l’agricoltore ama piú laterra che, liberata dalle spine, produce messiubertose, di quella che mai fu ricoperta dispine, ma mai fu veramente fertile. (…) Se

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ne può dedurre quanta gioia rechi a Dio ilgiusto che piange le sue debolezze umilmen-te, se dà tanta gioia al cielo l’ingiusto o ilpeccatore che ha commesso il male e lo con-danna con la sua penitenza ».

Questa Parabola è proprio la storia diognuno di noi. Probabilmente tutti siamostati in un momento della nostra vita il “fi-gliol prodigo” che si è allontanato da Diocon il peccato. Ma Dio Padre non ha smessodi amarci, ha aspettato con pazienza il mo-mento di poter esercitare la sua infinita mise-ricordia (il suo cuore di bontà infinita si chi-na sulla nostra miseria naturale) quando,toccati dalla sua grazia e rientrati in noi stes-si, fosse giunto il momento del perdono. Conil sacramento della confessione Dio ci ha da-to il suo perdono assoluto, completo, senzariserve, quando siamo caduti in ginocchiodavanti al ministro di Dio, come il figlio da-vanti al Padre, e abbiamo proferito il nostro“peccavi”! Egli ci ha rialzati, non ci ha tratta-ti da servi o schiavi come meritavamo (solo ildiavolo è un cattivo padrone…) ma ci ha ri-stabiliti nel possesso completo di tutti queibeni che per diritto ci spettavano, in quantofigli di un tale Padre. Oh bontà infinita diDio. Misericordias Domini in æternum canta-bo (Canterò in eterno le misericodie del Si-gnore) (Ps. 88)! Grazie Signore Gesù peraverci tanto amato, per averci tanto perdo-nato! O Dio Padre che aspettate ed accoglie-te il figliuol prodigo fate sì “che Cristo dimo-ri nei nostri cuori per mezzo della fede, affin-ché radicati e fortificati nell’amore, siamo resicapaci di comprendere con tutti i santi, qualesia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e laprofondità, di intendere quest’amore di Cristo[che è il Sacro Cuore] che sorpassa ogniscienza affinché siamo ripieni di tutta la pie-nezza di Dio” (cfr. Eph. III, 17-19).

Bibliografia:

- SANT’AMBROGIO, Esposizione del vangelosecondo Luca, in Opera omnia, BibliotecaAmbrosiana Città Nuova Editrice, Milano- Roma 1978.

- SAN TOMMASO D’AQUINO, Catena Aurea.- S. GREGORIO MAGNO, Omelia XXXIV, 4,

5, III dom. Dopo la Pentecoste. In Omiliesui Vangeli, UTET Torino 1968.

- DOMENICO BERTETTO, Il mistero della Col-pa, secondo S. Tommaso, Pia Soc. S. PaoloAlba CN 1952..

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Della morte pratica, cioè l’istoria di quel che ordinariamente

avviene nella morte degli uomini di mondo.

Sant’Alfonso Maria dei Liguori

Pubblichiamo la fine di questo testo di S.Alfonso Maria dei Liguori, di cui la prima

parte è già stata pubblicata in Sodalitium n. 46(dicembre 1997) pagg. 83-84.

PUNTO IIQuel che accade nel tempo, in cui si prendo-no i Sagramenti.

7. Ecco l’infermo ha fatto già testamento;finalmente dopo otto o dieci giorni dell’infir-mità, vedendo i parenti ch’egli sempre più vapeggiorando, e si accosta la morte, dice alcu-no di loro: “Ma quando lo facciamo confes-sare? È stato uomo di mondo; sappiamo chenon è stato santo!” Bene, ognuno dice che sifaccia confessare, ma non si trova fra di lorochi voglia dare questa nuova amara all’infer-mo. Onde si manda a chiamare il Parroco, oqualche altro Confessore, acciocché essogliela dia; ma quando l’infermo avrà già per-duta tutta o quasi tutta la mente. Viene ilConfessore, si va egli informando da dome-stici dello stato dell’infermità, e poi della vitadell’infermo, e sente che è stato imbrogliatodi coscienza: e secondo le circostanze cheode, trema della salute di quella povera ani-ma. Il Confessore poi, intendendo che l’in-fermo sta all’ultimo, prima di tutto ordina aiparenti, che partano dalla camera dell’infer-mo, e non vi si accostino più; indi si avvicinaad esso e lo saluta: “Chi siete voi?” “Sono ilParroco, sono il Padre tale”.“Che mi coman-da?” “Sono venuto, perché ho saputa la vo-stra grave infermità, se mai voleste riconciliar-vi”. “Padre mio, vi ringrazio, ma la prego oraa lasciarmi riposare, perché sono più notti chenon dormo, e non mi fido di parlare; racco-mandatemi a Dio, e statevi bene”.

8. Allora il Confessore, che ha saputo giàlo stato cattivo dell’anima e dell’infermo, glidice: “Signor tale, speriamo al Signore, allaVergine S.S. che vi liberi da questo male, masi ha da morire una volta; la vostra malattia ègrave, onde è bene che vi confessiate, ed ag-giustiate le cose dell’anima, se mai avetequalche scrupolo; io apposta son venuto”.“Padre mio, io mi ho da fare una confessionelunga, perché sto imbarazzato di coscienza;ma ora non mi fido, la testa mi vacilla, l’af-

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fanno mi impedisce anche di respirare; Padremio, domani ci vedremo, ora non mi fido”.“Ma, Signor mio, chi sa che può succedere,può sovraggiungervi qualche insulto, qualchesvenimento, che non vi dia più tempo di con-fessarvi”. “Padre, non mi tormentate più, iovi ho detto, che non mi fido, non posso.

Ma il Confessore, che ha saputo restarvipoca speranza della sua sanità bisogna cheparli più chiaro. “Signor tale, sappiate che lavostra vita sta in fine, vi prego a confessarviora perché domani forse non sarete più vi-vo”. “E perchè?” “Perché così han detto imedici”. Allora il povero infermo cominciaa smaniare contra i medici, e contra i paren-ti: “Ah traditori, mi hanno ingannato: sape-vano ciò e non me l’avvisavano; ah poverome!” Ripiglia il Confessore; e dice: “Signortale, non diffidate per la confessione, bastache dite le cose più gravi, di cui avete memo-ria, vi aiuto io a far l’esame, non dubitate.Via sù cominciate a dire”. Si sforza l’infermoper cominciar la confessione, ma si confon-de, non sa dove dar principio, comincia a di-re, ma non spiegarsi, poco sente, meno in-tende quel che dice il Confessore. Oh Dio aquesto tempo che tali si riducono a trattaredel negozio più importante che hanno, dellasalute eterna! Il Confessore ascolta moltiimbrogli, malabiti, restituzioni di robe, di fa-ma, confessioni fatte con poco dolore, conpoco proposito. L’aiuta come meglio può; edopo molti dibattimenti dice finalmente:“Via su basta, facciamo l’atto di dolore”. MaDio faccia, che non avvenga a quel moribon-do quel che avvenne ad un altro infermo,che capitò in mano del Cardinal Bellarmino,il quale suggerendogli l’atto di Contrizionequegli disse: “Padre non serve affaticarviperché queste cose così alte io non l’intendo”.All’ultimo il Confessore l’assolve, ma chi sa:l’assolve Dio?

9. Dice poi il Confessore: “Orsù apparec-chiatevi a ricevere Gesù Cristo per viatico”.“Ma ora sono quattro, o cinque ore di notte,mi comunicherò domani”. “No, domani forsenon vi sarà più tempo, bisogna che ora pren-diate tutti i Sagramenti, il Viatico, l’EstremaUnzione”. “Ah povero me! (dice l’infermo)dunque già son morto”. Ed ha ragione di dircosì perché questo è l’uso dei medici di farprender il Viatico agli infermi, quando pro-prio stan vicini a spirare, ed han perduti, oquasi perduti i sensi; e quest’inganno è co-mune. Il Viatico si dee dare, sempre che vi èpericolo di morte come dicono comunemen-

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te i Dottori. E qui è bene avvertire quel cheavverte Benedetto XIV nella sua Bolla 53. inEuchol. Graec. § 46. ap. Bullar. tom. 4., chesempreché l’infermo gravi morbo laboratpuò estremarsi. Onde sempreché l’infermopuò ricevere il Viatico, può ricevere ancoral’Estrema Unzione, senza aspettare che stiavicino all’agonia, ed a perdere i sensi, comemalamente si pratica dai medici.

10. Ecco già viene il Viatico, l’infermo insentire il campanello oh come trema! Si accre-sce il tremore, e lo spavento, quando poi vedeentrare il Sacerdote nella camera col Sagra-mento, e guarda d’intorno al letto tante torcieaccese di coloro, che son venuti colla Proces-sione. Il Sacerdote recita le parole del Ritua-le: Accipe Frater Viaticum Corporis Domininostri Jesu Christi, qui te custodiat ab hostemaligno, perducat te in vitam æternam. Amen.E poi lo comunica, mettendogli sulla lingua laParticola consegrata; gli porge appresso unpoco d’acqua, acciocché la trangugi, mentre lefauci dell’infermo sono inaridite.

11. Indi gli dà l’Estrema Unzione, e co-mincia ad ungere gli occhi con quelle parole:Per istam sanctam Unctionem, et suam piissi-mam misericordiam indulgeat tibi Deus,quidquid per visum deliquisti. E poi seguitaad ungere gli altri sensi, le orecchie, le nari-ci, la bocca, le mani, i piedi, ed i reni, dicen-do: Quidquid per auditum deliquisti, perodoratum, per gustum, per locutionem, pertactum, per gressum, per lumborum delecta-tionem. Ed in quel tempo il Demonio va ri-cordando all’infermo tutti i peccati fatti conquei sensi, col vedere, col sentire, col parla-re, col toccare; e poi dice: E bene? Con tantipeccati come puoi salvarti? Oh come spa-venta allora ogni peccato mortale di quelli,che ora si chiamano fragilità umane, e dicesiche Dio non le castiga! Ora non se ne faconto, allora ogni peccato mortale sarà unaspada che trafiggerà l’anima col suo terrore.Ma veniamo alla morte.

Punto III. Quel che accade nel tempo della morte.

12. Dopo dati i Sagramenti, si parte il Sa-cerdote, e si lascia solo l’infermo; il quale do-po quelli resta più spaventato di prima, men-tre vede che tutto ha fatto in gran confusio-ne, e colla coscienza inquieta. Ma già si fan-no vedere i segni vicini della morte: l’infer-mo suda freddo, se gli oscura la vista, e nonconosce più chi gli sta dappresso: non può

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più parlare, gli va mancando il respiro. Allo-ra fra quelle tenebre di morte, va dicendo:“Oh avessi tempo! Avessi almeno un altrogiorno colla mente sana per farmi una buonaConfessione!” Perché il misero della fattamolto ne dubita, non avendo potuto attuarela mente a fare un vero atto di dolore. Mache tempo! Che giorno! Tempus non erit am-plius. Apoc. 10. 6. Il Confessore già tiene ap-parecchiato il libro per intimargli il bando daquesto mondo: Proficiscere anima christianade hoc mundo. L’infermo seguita fra se stes-so a dire: “O anni della mia vita perduti! Opazzo che sono stato!”. Ma quando ciò dice?Quando già sta per lui terminando la scena,quando sta in fine l’olio alla lampada, e già siaccosta per esso quel gran momento, da cuidipende la sua felicità, o infelicità eterna.

13. Ma ecco già gli s’impetriscono gli oc-chi, si abbandona il corpo nel sito cadaveri-co alla supina, si raffreddano le estremità, lemani, ed i piedi. Comincia l’agonia, il Sacer-dote comincia a recitare la raccomandazionedell’anima. Terminata la raccomandazione,il Sacerdote tocca i polsi del moribondo, edosserva che quelli più non si sentono. “Pre-sto, dice, accendete la candela benedetta”.O candela, candela, facci luce ora che siamoin vita; perché allora la luce tua non più ciservirà, se non per più atterrirci. Ma giàall’infermo il respiro si fa più raro e manca:segno che la morte è prossima. Allora il Sa-cerdote assistente alza la voce, e dice al-l’agonizzante, se pur lo sente: “Dì appressoa me. Dio mio soccorrimi, abbi pietà di me.Gesù mio crocifisso, salvami per la tua Pas-sione, Madre di Dio aiutami, S. Giuseppe, S.Michele Arcangelo, Angelo Custode assiste-temi, Santi tutti del Paradiso pregate Dioper me: Gesù, Gesù, Gesù e Maria vi dono ilcuore e l’anima mia”. Ma ecco gli ultimi se-gni della spirazione, il catarro chiuso nellagola, un lamento fievole del moribondo, lalagrima che gli scaturisce dagli occhi. Eccofinalmente il moribondo storce la bocca,stravolge gli occhi, fa quattro pose, ed all’ul-tima aperta di bocca spira, e muore.

14. Il Sacerdote allora accosta la candelaalla bocca, per vedere se vi è più fiato; vedeche la fiamma non si muove, e così si avvedeche già è spirato. Onde dice: “Requiescat inpace”, e poi rivolto ai circostanti dice: “Èmorto; salute a loro Signori, è già andato inParadiso”. È morto? “È morto”. E com’èmorto? Se si è salvato, o dannato, non si sa;ma è morto in una gran tempesta. Questa è

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la morte, che tocca a questi sciagurati, i qua-li in vita ha fatto poco conto di Dio: Morie-tur in tempestate anima eorum. Job. 36. 14.Dice: “Salute a loro Signori, è già andato inParadiso”. Di ognuno che muore, si suoledire: è andato in Paradiso. È andato in Para-diso, se gli toccava il Paradiso; ma se gli toc-cava l’inferno? Salute a loro Signori, se n’èandato all’Inferno. Tutti vanno in Paradiso?Oh quanti pochi ci vanno!

15. Ecco si veste presto il cadavere, primache finisca d’intirizzirsi; si prende la veste piùlogora, giacché presto si ha da marcire insie-me col cadavere. Si mettono due candele ac-cese nella camera, si serra la cortina del lettodove sta il morto, e si lascia. Si manda poi adire al Parroco, che venga presto la mattina apigliare il cadavere. Ecco vengono già la mat-tina i Preti; si avvian l’esequie, nelle quali infine va il morto; e questa è l’ultima passeggia-ta, che ha da fare per la terra. Cominciano acantare i Preti: De profundis clamavi ad te,Domine etc. Frattanto quelli che vedono pas-sar l’esequie, parlano del morto, chi dice:” Èstato un superbo”; chi dice: “Fosse mortodieci anni prima”; chi dice: “Ha avuta fortu-na, si ha fatti li danari, una bella casa, unabella massaria, ma ora non si porta niente”.E frattanto che quelli parlano, il defuntostarà bruciando all’inferno. Arriva alla Chie-sa, si colloca il cadavere in mezzo con sei can-dele, vanno gli altri a mirarlo; ma presto vol-tano gli occhi, poiché il cadavere mette orro-re colla sua vista. Si canta la Messa, e dopo laMessa la Libera; e si conclude finalmente lafunzione con quelle parole: Requiescat in pa-ce. Riposi in pace. Riposi in pace, se è mortoin pace con Dio; ma se è morto in disgrazia diDio, che pace! Che pace! Non avrà pace,mentre Dio sarà Dio. Appresso immediata-mente si apre la sepoltura, si butta in quella ilcadavere, si serra la fossa colla pietra, e si la-scia a marcire, ed esser pascolo de’ sorci, ede’ vermi; e così per ognuno finisce la scenadi questo mondo. I parenti si vestono di lutto,ma prima si applicano a spartirsi le robe la-sciate; gittano qualche lagrima per due o tregiorni, e poi se ne scordano. E del morto chene sarà? Se si è salvato, sarà felice per sem-pre; se si è dannato, sarà per sempre infelice.

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Da Cranmer a Montini. Unconfronto rivelatore di Padre Morerod.

L’Accademia Nazionale dei Lincei e laCongregazione per la Dottrina della Fe-

de hanno recentemente pubblicato gli attidella giornata di studio dedicata a L’aperturadegli archivi del Sant’Uffizio Romano (Ro-ma, 22 gennaio 1998), apertura sollecitata dalprof. Carlo Ginzburg “con una coraggiosalettera (così si esprime il card. Ratzinger) in-dirizzata al Santo Padre, Giovanni Paolo IIad un anno dalla sua elezione alla sede di Pie-tro” (op. cit., p. 185). La domanda ha avuto,seppur dopo tanto tempo, esito positivo, el’archivio del Sant’Uffizio è ora aperto aglistudiosi, “senza distinzione di Paese o di federeligiosa” (p. 97) (Lo stesso Ginzburg si pre-sentava nella sua lettera come “ebreo di na-scita ed ateo”, p. 185). Sempre con l’intentodi divulgare i documenti dell’archivio delSant’Uffizio, è stata presa l’iniziativa di costi-tuire “una Collana di pubblicazioni di testi diArchivio, dal nome ‘Fontes Archivi SanctiOfficii Romani’ edita presso la Casa EditriceOlschki di Firenze, il cui primo volume, daltitolo ‘La validité des ordinations anglicanes’(...) è già oggi a disposizione di tutti” (Mons.Bertone, p. 100). A questo proposito, gli attidella giornata di studio, propongono, da p.103 a p. 127, la presentazione del libro sud-detto, di Padre François von Gunten O.P.,recentemente defunto, ad opera del suo di-scepolo Padre Charles Morerod O.P.

Nel limite di questa breve recensione, milimiterò a trattare dell’intervento di PadreMorerod, ed in particolare degli apprezza-menti di detto Padre riguardanti il nuovo ri-to del sacramento dell’Ordine promulgatoda Paolo VI.

L’Autore, ripercorrendo gli argomenti diLeone XIII e dei suoi teologi che portaronoalla dichiarazione dell’invalidità delle ordi-nazioni anglicane (Apostolicæ curæ, 1896)esamina il difetto di forma, materia e inten-zione in dette ordinazioni. A proposito del-la forma (nella tradizione degli strumenti),egli stabilisce un’inatteso parallelo tra l’ordi-

Recensioni

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nale anglicano del 1552, e quello “promulga-to” da Paolo VI nel 1968: “Anche il ritod’ordinazione usato nella Chiesa Cattolicadal 1969 al 1989 era poco esplicito a proposi-to della dimensione sacramentale del ministe-ro del presbitero. Il rito anglicano del 1552,potrebbe essere soltanto un adattamento pa-storale della liturgia, come quello del Vatica-no II? Gli stessi arcivescovi [anglicani] diCanterbury e di York lo suggeriscono nellaloro risposta a Leone XIII del 1897” (pp.113-114). In nota, Padre Morerod dettagliala difficoltà: “Nel rito d’ordinazione usatodalla Chiesa Cattolica dal 1968 al 1989, nonsi dice esplicitamente che il prete è ordinatoper celebrare i sacramenti (...)” (p. 114, n.48). Nel 1662 gli anglicani aggiunsero al lororito delle parole che andavano in senso cat-tolico: “il P. Franzelin, seguito da LeoneXIII, vedrà in questa aggiunta - di per sébuona - una confessione dell’insufficienzadella formula precedente” (p. 112). Simil-mente, nel 1989, si sentì l’esigenza di com-pletare il rito post-conciliare: “il rito del1989 sviluppa notevolmente la preghiera diordinazione del presbitero per introdurreesplicitamente la dimensione sacramentalenel suo ministero. (...) Ma il rinnovo del ritonon ha totalmente soppresso una certa ambi-guità, cf Pierre Jounel (...): ‘D’una manieraun po’ sorprendente, la preghiera insiste me-no che lo schema di omelia sul carattere sa-crificale della messa” (p. 114, n. 48). L’A.ammette dunque che il nuovo rito di ordina-zione, anche dopo una correzione in sensocattolico, rimane “ambiguo”!

Qual’è, allora, la differenza tra l’ordinaleanglicano del 1552 e quello post-conciliaredel 1969? “È questa la differenza tra il ritoanglicano del 1552 e il rito cattolico (anchesoltanto implicito) del 1969” scrive l’A., citan-do Von Gunten: “(...) Di fatto, la formadell’ordinazione dei sacerdoti, qual’è statapromulgata da Paolo VI non indica esplicita-mente il rapporto al sacrificio eucaristico. Tut-tavia, questa preghiera è l’espressione di unacomunità che insegna che l’ordinazione sacra-mentale conferisce il potere di offrire il sacrifi-cio della messa. Al contrario, le parole dell’or-dinale anglicano non riflettono l’insegnamen-to di una Chiesa che crede che il sacerdozio èpotere di offrire sacramentalmente il sacrificiodi Cristo” (p. 116, n. 53). Di per sé, quindiCranmer avrebbe modificato il rito cattolico,nel 1552, esattamente nella stessa direzioneche Bugnini-Paolo VI nel 1968, creando due

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riti che non affermano “il rapporto al sacrifi-cio eucaristico”. Ma l’ordinale di Cranmer èinvalido. Come può essere valido quello diPaolo VI? L’A. risponde: mediante l’inten-zione ecclesiale. Scrive l’A.: “Il rito del 1552 èstato usato per l’ordinazione di MatthewParker e di tutti i vescovi anglicani fino al1662. È impossibile sapere l’intenzione di tan-te persone. (...) Dal punto di vista dell’inten-zione, è importante conoscere l’intenzionenon soltanto di alcune persone, ma della co-munità nella quale si celebrano le ordinazioni.L’intenzione personale è importante, ma è im-portante soprattutto l’intenzione ecclesiale chesi manifesta durante la liturgia come contestodelle azioni personali. Nel contesto di unaChiesa che crede nel sacramento dell’ordine elo celebra nella sua liturgia, non c’è dunquebisogno di avere paura di un difetto scono-sciuto di intenzione personale, ma dobbiamopresupporre la validità del sacramento. Nelcaso delle ordinazioni anglicane, non possia-mo né dobbiamo conoscere l’intenzione inte-riore né di una né di tante persone individual-mente (“Riguardo al proposito o all’intenzio-ne, essendo di per sé qualche cosa d’interiore,la Chiesa non giudica; ma dal momento che simanifesta all’esterno la Chiesa deve giudicar-lo”, Leone XIII, Denz.-H. 3318). Dobbiamovedere come la liturgia dell’ordinazione, dun-que il rito, manifesta all’esterno l’intenzionedella stessa comunità ecclesiale” (p. 110). Inquesto passo l’A., con qualche confusione acui accennerò, sostiene la teologia dell’inten-zione insegnata da Leone XIII e dettagliata-mente spiegata e difesa da Padre M. L. Gué-rard des Lauriers O.P. (Reflexions sur le nou-vel Ordo Missæ, dattiloscritto, 1977, 387 pp.)e non quella difesa da Mons. Lefebvre, se-condo la quale la validità di un sacramentodipenderebbe dalla fede del ministro! L’in-tenzione del ministro si manifesta nel-l’adozione del rito della Chiesa, che veicolal’intenzione dell’autorità che ha promulgatodetto rito. Per l’A. la cattolicità di Paolo VIgarantisce la validità di un rito ambiguo; perGuérard des Lauriers, un rito ambiguo nonpuò venire da una autentica autorità.

L’A. cerca poi di ribattere al tentativoneo-ecumenista (il “neo” è appposto per ri-cordare il primo tentativo catto-anglicano disostenere la validità dell’ordinale del 1552,tentativo stroncato da Leone XIII) di riconsi-derare la decisione “irreformabile” di LeoneXIII sull’invalidità delle ordinazioni anglica-ne. Ma come poter riformare una decisione

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irreformabile? La via è stata aperta dal cardi-nal Willebrands nel 1985 (p. 118, OsservatoreRomano, 8/3/1986), allora Presidente del Se-gretariato Pontificio per l’unità dei Cristiani.Il collaboratore e successore di Bea non pote-va proporre (esplicitamente) di contraddireApostolicæ curæ (già i vescovi cattolici inglesiricordarono a suo tempo a Leone XIII che laSanta Sede si era più volte pronunciata controla validità degli ordini anglicani, esprimendo iltimore di vedere “la Santa Sede di oggi in con-traddizione con la Santa Sede dei secoli passa-ti” p. 108); cercò quindi di aggirarla. Gli angli-cani avrebbero potuto mantenere il loro rito,mutando la loro dottrina eucaristica: in que-sto caso, mutata la fede della “comunità ec-clesiale”, sarebbe mutata anche “l’intenzioneecclesiale” del rito anglicano, e pertanto si sa-rebbe assicurata, seppur non retroattivamen-te, la sua validità. L’A. non nega la validità diquesta ipotesi, ripresa anche dal successore diWillebrands, Cassidy, anche perché ammessadal suo stesso maestro von Gunten (p. 119 en. 62); l’A. si limita a dimostrare questa viaoggigiorno praticamente inattuabile, poichégli anglicani si sono nuovamente allontanatidalla concezione cattolica del sacramento conl’ordinazione delle donne e l’ammissione de-gli ordini luterani. È la tesi stessa di Wille-brands che mi sembra invece errata e da rifiu-tare, e questo in base a quello che lo stessovon Gunten scrive altrove: “Notiamo che l’er-

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rore dottrinale degli anglicani sul sacramentodell’ordine non avrebbe comportato l’invali-dità delle loro ordinazioni se avessero conti-nuato a utilizzare il rituale in uso fino al 1550.Come si sa, la Chiesa ha sempre consideratovero il battesimo dato nel nome del Padre e delFiglio e dello Spirito Santo, dagli infedeli e da-gli scismatici. Ma nel XVI sec., gli anglicanihanno modificato il rito ‘con lo scopo manife-sto di introdurne un altro non ammesso dallaChiesa e di rigettare ciò che fa la Chiesa’” (p.113, n. 44). Secondo Von Gunten, quindi, lafede (ecclesiale) erronea non invalida il sacra-mento se il rito utilizzato rimane quello catto-lico; non si vede perché una supposta fede ec-clesiale corretta degli anglicani potrebbe mu-tare il valore di un rito non cattolico che vei-cola un’altra fede! Se veramente gli anglicaniarrivassero ad abiurare le loro eresie, dovreb-bero abiurare il rito che le veicola. Né valeavanzare l’argomento di certi riti orientali, odella chiesa antica, anch’essi più o meno espli-citi sulla dottrina eucaristica, come giusta-mente ricorda l’A. (p. 112), che non furonointrodotti per veicolare l’eresia; ma introdurreoggi un rito arcaico insufficiente rispettoall’evoluzione omogenea del dogma, soppri-mendo apposta quanto si era adottato nei se-coli per esplicitare la fede (come si è in partefatto nel 1969 col N.O.M.) non è forse seguirele orme di Cranmer? L’A. dimentica che lariforma liturgica post-conciliare è nata in uncontesto non di ortodossia - come lui preten-de, a garanzia della sua validità - ma di gene-rale eterodossia e crisi della fede, che gettapiù di un dubbio su di un rito che, alla presen-za del card. Ratzinger e di Mons. Bertone, undocente della Pontificia Università Angelicumquale P. Morerod ha dovuto definire “ambi-guo”. Tuttavia, le contraddizioni insite nellaRiforma degli anni ‘60 stanno venendo, sep-pur lentamente, alla luce, cosa della quale tut-ti i buoni cattolici non possono che rallegrarsi.

don Francesco Ricossa

SEGNALIAMO AI LETTORI ALCUNI LIBRI CHEABBIAMO RICEVUTO IN REDAZIONE:

* GIACOMO DA VITERBO, Il governo dellaChiesa (de regimine christiano), a cura di A.Rizzacasa e G.B.M. Marcoaldi, Nardini edi-tore, Firenze, 1993, 430 pp., L. 60.000.

Il Beato Giacomo da Viterbo (1255?-1307/8), agostiniano, scrisse il trattato De re-

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gimine christiano nel 1301-1302 circa, dedi-candolo a Papa Bonifacio VIII. Di questoPapa, infatti, e della sua Bolla Unam Sanc-tam, il futuro arcivescovo di Benevento e diNapoli (fu eletto appunto nel 1302) prendevigorosamente la difesa, seguendo le ormedottrinali dei suoi grandi maestri, san Tom-maso d’Aquino e Egidio Romano. Il lettoremoderno può leggere quindi in italiano (inuna traduzione che non sempre tiene contodella terminologia teologica) uno dei trattatibasilari per una retta dottrina politica cattoli-ca, specialmente per quel che riguarda i rap-porti tra stato e Chiesa, in opposizione allapolitica moderna che nasceva allora alle cortidell’Imperatore o del Re di Francia. Sodali-tium ha già preso parte per la tesi cosiddetta“teocratica”, che altro non è invece che unaretta ed equilibrata difesa dell’armonia e del-la gerarchizzazione dei fini che deve esisteretra Chiesa e Impero. Chi vuol parlare di poli-tica cattolica e di dottrina sociale della Chie-sa può ora andare più facilmente a una dellefonti (medioevali) di tale scuola di pensiero.

* ANGELA PELLICCIARI, Risorgimento dariscrivere. Liberali & massoni contro la Chie-sa. Prefazione di R. Buttiglione, postfazionedi F. Cardini. Ed. Ares, Milano, 1998, 323pp., L. 38.000.

L’autrice è una seria ricercatrice, per cuiabbondano le ricerche d’archivio e le noteprecise in questa sua opera concernente lepersecuzioni legali dello stato subalpino dal1848 al 1855 contro le congregazioni religio-se e, attraverso di esse, contro la Chiesa. LaPellicciari, però, non si limita a un freddoelenco di misure legali (benché già sufficien-temente eloquenti): si schiera con passioneper la Chiesa e contro l’accoppiata “liberali& massoni”, risalendo ai princìpi che hannoprodotto questa persecuzione che ha volutoseparare l’Italia dalla Chiesa. Il libro ha fattoparlare di sé perché dimostra, documenti allamano, l’affiliazione massonica di Cavour.

* IRINA OSIPOVA, Se il mondo vi odia...Martiri per la fede nel regime sovietico. Lacasa di matriona, 1997, 317 pp., L. 18.000.

L’autrice, unendo alle testimonianze giàconosciute la documentazione divenuta ac-cessibile in Russia, racconta la persecuzioneanticattolica avvenuta in URSS dalla rivolu-zione fino alla guerra (proseguendo la sua in-dagine, in alcuni casi, fino al 1955). Il libro af-fronta solo il caso della Russia in senso stret-to (non tratta, ad esempio, dei cattolici di ritoorientale in Ucraina), dedicando particolare

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attenzione ad alcuni casi ben precisi, comequello dei cattolici tedeschi del Volga, degliinternati nel lager delle Solovki, dei parrocidi San Luigi a Mosca, dei missionari clande-stini del Russicum... Molti furono i martiri e iconfessori della fede, ma la Osipova deveparlare anche di alcuni “lapsi”, tra i quali ilnipote dell’ambiguo filosofo Solo’vev. Ab-bondante la documentazione fotografica emolto utili le schede biografiche conclusive.

* JOHN TEDESCHI, Il giudice e l’eretico.Studi sull’Inquisizione romana. Vita e pen-siero, Milano, 458 pp., L. 60.000.

Nel mese di ottobre, a Roma, è iniziatoun simposio sull’Inquisizione voluto da Gio-vanni Paolo II, in vista di un “mea culpa” del-la Chiesa, autrice di tale instituzione. È per-tanto di attualità la lettura del libro di Tede-schi. L’Autore è infatti uno dei più noti e af-fermati studiosi viventi dell’Inquisizione. Stu-dioso dei riformatori protestanti italiani, egliaccettava come scontata la tradizionale ideanegativa che dell’Inquisizione davano gli sto-rici, quando, nel 1967, iniziò a studiarne lefonti. Ora le sue convinzioni sono espresse inquesta edizione italiana (che rivede ed ag-giorna quella in inglese del 1991) che riuniscein un solo volume numerosi saggi già pubbli-cati a partire dal 1971. L’Autore stesso rias-sume la sua tesi scrivendo: “Sostengo in que-sti saggi che l’Inquisizione non fu un tribunalearbitrario, un tunnel degli orrori o un labirintogiudiziario da cui era impossibile uscire. LaSuprema Congregazione romana vigilava suitribunali provinciali; imponeva la puntualeapplicazione di quella che, per l’epoca, erauna legislazione improntata a moderazione, emirava all’uniformità dei procedimenti. Se digiustizia in senso etico non si può parlare vistoche la Chiesa riteneva di avere il diritto, e anziil dovere, di procedere contro quanti avevanoconvinzioni diverse in tema di religione, si de-ve riconoscere che la giustizia in senso legale,nel contesto giurisdizionale dell’Europadell’inizio dell’età moderna, fu realmente ero-gata dall’Inquisizione romana” (p. 17). PerTedeschi, pertanto, l’inquisizione romana fuun tribunale legalmente giusto. Per un catto-lico, essa fu anche un tribunale eticamentegiusto. E per il lettore colto, Il giudice e l’ere-tico è una lettura moralmente necessaria, pri-ma di poter parlare ancora di Inquisizione.

* TERTULLIANO, Polemica contro i giu-dei, Città Nuova, 1998, 170 p., L. 20.000.

Il testo originale dell’opera di un Tertul-liano ancora ortodosso è Adversus Judæos

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ma, come si avverte a p. 4, “alla tradizionemanoscritta del titolo ‘Contro i Giudei’, l’Edi-tore ha preferito: ‘Polemica con i Giudei’”. Ilmotivo è evidente e, se ce ne fosse bisogno, èesplicitato dalla lunga introduzione (che oc-cupa la metà del volume) di Immacolata Au-lisa. Il testo stesso tuttavia di Tertulliano of-fre ai lettori il comune pensiero degli antichiPadri sul Giudaismo. Occorrerebbe uno stu-dio accurato che mettesse a confronto il pen-siero patristico e quello post-conciliare sullaquestione. Per ora contentiamoci di leggereTertulliano che integra mirabilmente leOmelie contro i Giudei di San Giovanni Cri-sostomo, edite dal nostro Centro Librario.

* VITTORIO MESSORI, Il miracolo. Spagna,1640: indagine sul più sconvolgente prodigiomariano. Rizzoli, 1998, 254 p., L. 28.000.

“Nessun credente avrebbe l’ingenuità disollecitare l’intervento divino perché rispuntiuna gamba tagliata. Un miracolo del genere,che pur sarebbe decisivo, non è mai statoconstatato. E, possiamo tranquillamente pre-vederlo, non lo sarà mai” (Félix Michaud).Vittorio Messori, nel suo ultimo libro, dimo-stra il contrario: i documenti dimostrano chela gamba tagliata e sepolta di Miguel JuanPellicer gli fu miracolosamente restituitadue anni e cinque mesi dopo l’amputazione.In un libro eccezionale, Messori ripercorrela storia cristiana della Spagna, dalla venutadella Madonna del Pilar (nell’anno 40) finoalla Cruzada del 1936-39, ricordando che lacredibilità del cristianesimo si impone a tutticon la forza del miracolo (cf Vaticano I, DS3043: lo rilegga Enzo Bianchi!).

* P. PIETRO LIPPINI O.P., San Domenicovisto dai suoi contemporanei. I più antichidocumenti relativi al Santo e alle originidell’Ordine domenicano, Edizioni StudioDomenicano, Bologna, 565 p., L. 50.000.

* ENNIO INNOCENTI, Epopea italica,Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe, Ro-ma, 1998, p. 180.

Integrazione alla Storia del Potere Tem-porale dei Papi dello stesso autore, dimo-stra, attraverso la storia antica della nostrapenisola, l’indissolubile unione di Italia ecattolicesimo.

* (SAN) ROBERTO BELLARMINO, L’arte diben morire, Piemme, 1998, 271 pp., L. 28000.Scritto nel 1620 dal grande Dottore dellaChiesa, L’arte del ben morire sempre attua-le, perché ancor oggi si muore, e tutti simuore! L’idea centrale del Bellarmino è cheper morire bene occorre vivere bene: per

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questo non si limita a preparare alla mortechi vi è vicino, ma anche chi ancora, presu-mibilmente, ne è lontano. Un libro utilissi-mo e consolante; diffidare solo dell’introdu-zione a questa riedizione.

* GIAMPAOLO BARRA, Perché credere.Spunti di apologetica, ed. Kolbe, 1998, 159pp., L. 22.000. (telefonare al numero0331/680591). Agile libretto di apologetica, dadiffondere specialmente tra i giovani. A partequalche riserva da fare sull’uso di alcuni auto-ri (come Guitton, ad es.), si tratta di un libroche farà del bene. Sulla stessa linea, invitiamoi lettori a richiedere alle edizioni Mimep-do-cete di Pessano (Milano) il loro catalogo di li-bri e video-cassette (tel.: 02/9504075).

* LUIGI GEDDA, 18 aprile 1948. Memorieinedite dell’artefice della sconfitta del FrontePopolare, Mondadori, 1998, 249 pp., L. 32.000.Un atto di devozione verso i grandi Papi dellasua vita, Pio XI e Pio XII, e un atto di accusaverso la Democrazia Cristiana, che rovinòl’Azione Cattolica e disobbedì alla Chiesa. Unlibro che ha profondamente irritato gli eredi diDe Gasperi, scritto da un apostolo in cui l’etànon ha smorzato l’entusiamo.

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* YEHUDA BAUER, Ebrei in vendita. Letrattative segrete tra nazisti ed ebrei. 1933-1945. Mondadori, 1998, 370 pp., L. 33.000.

“Prima della guerra lo stesso Hitler (...)era disposto, per liberarsene, a consentirel’emigrazione di tutti gli ebrei della Germa-nia” ma “quasi tutte le nazioni che avrebberodovuto ospitarli negarono loro l’asilo”.“Scoppiato il conflitto, i negoziati non furo-no interrotti completamente, soprattutto fra il1942 e il 1945 (...)”. L’Autore “ha fondato ilCentro internazionale per lo studio dell’anti-semitismo ‘Vidal Sassoon’ (ed) è uno dei di-rigenti dello Yad Vashem a Gerusalemme”.

* ANTONIO CAPECE MINUTOLO DI CANO-SA, I pifferi di montagna, ed. Controcorrente,Napoli, 1998, 150 pp., L. 10.000. Riedizione,con introduzione e versione in italiano cor-rente di Silvio Vitale, del classico pamphletdel Principe di Canosa, che nel 1820 denunciòe previde l’insurrezione massonica dell’annoseguente.

* ROMANO AMERIO, Stat veritas, ed. Ric-cardo Ricciardi 1997, 172 pagg. L. 25.000.Analisi critica dell’enciclica di GiovanniPaolo II, Tertio Millennio adveniente. È l’ul-tima fatica di Amerio, pubblicata dopo lamorte dell’Autore di Iota unum.

* MASSIMO LUCIOLI, DAVIDE SABATINI,La ciociara e le altre. Il corpo di spedizionefrancese in Italia (1943-1944), ed. Tusculum(c.p. aperta, 00044 Frascati, Roma), 158 pp.,L. 25.000. Documentazione su alcuni criminidi guerra rimasti impuniti, perché commessidai vincitori...

* PIERANGELO MAURIZIO, Il commissarioCalabresi, eroe cristiano, Ed. Pierangelo (Viadella Mendola 212, Roma; tel. 06/3054450),L. 28.000. Mentre Veltroni riabilita i suoi as-sassini, Maurizio ricorda un uomo coraggio-so, vittima dell’odio: un uomo di fede.

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Belgio. Don Stuyver è sempre alla ricercadi una casa e di una chiesa che gli per-

metta di sviluppare il suo apostolato. Que-st’estate, coadiuvato dal parroco di Steffe-shausen, ha predicato per la prima volta gliesercizi spirituali di sant’Ignazio in fiammin-go, anche se solo per tre giorni. Ci auguria-mo che i fedeli belgi, specie di lingua fiam-minga, scoprano sempre più numerosi legrazie singolari degli esercizi. Don Stuyvercollabora anche con don Medina, ed aiuta lereligiose nella scuola di Drogenbos, ove sireca ogni martedì.

Francia. Lavori alla cappella di Annecy,che adesso possiede una bella balaustra. Ilpasso avanti dev’essere fatto a Lione, ovesperiamo di poter presto aprire un oratorio.

Italia. Dal 23 agosto, la Santa Messa per ifedeli del ferrarese è celebrata nella chiesadedicata a San Luigi Gonzaga, presso Alba-rea. I lavori di ristrutturazione non sono fini-ti, e pensiamo di fare una inaugurazione uffi-ciale della chiesetta nel mese di giugno, perla festa di San Luigi. Nel frattempo è stato ri-fatto il tetto e il soffitto della sacrestia, sonostate sostituite le grondaie, è stata messal’acqua corrente, abbiamo comprato i banchiper la chiesa, è stata rimessa la campana (del1740) sul campanile. Altre spese a Milano,dove per ora ci contentiamo di un locale inaffitto in via Vivarini n. 3, nel quale la S.Messa viene celebrata tutte le domeniche al-le ore 10,30. Anche qui il passo si è reso ne-cessario, vista la buona volontà dei milanesi,ai quali spetta la medaglia d’oro per la parte-cipazione agli esercizi spirituali (medaglianera, invece, ai torinesi). Il nuovo oratorio ètutto da arredare, per cui contiamo sul vo-stro aiuto. Una benefattrice, infine, ci ha per-messo di decorare artisticamente gli altari la-terali della chiesa di Verrua.

Apostolato estivo. Anche quest’anno ab-biamo potuto assicurare, grazie a Dio,un’opera di formazione per la gioventù. ARaveau, dal 9 al 23 luglio, bambini belgi,francesi e italiani, dagli 8 ai 13 anni hannopartecipato alla colonia San Luigi Gonzagadella Crociata Eucaristica, diretta da donGiugni, coadiuvato da don Ercoli. Le bam-bine, sotto la guida di don Murro, si sonotrovate a Verrua dal 9 al 18 luglio come

Vita dell’Istituto

Nell’edizione francese di Sodalitium (n. 47)sono stati recensiti, oltre a quelli qui presentati, anche

i seguenti libri editi in lingua francese:

R. P. BARBARA, Oui, j’ai une âme immortelle; Oui, c’est évident, Dieu existe vraiment, Forts dans la Foi,16 rue des Oiseaux 37000 Tours

JEAN DE VIGUERIE

Les deux patries. Essai historique sur l’idée de patrie enFrance. DMM, Bouère 1998. 279 pages.

I lettori interessati possono procurarsi l’edizione francesescrivendo alla nostra redazione.

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campo-base, per fare poi numerose escursio-ni nel parco del Gran Paradiso, pernottandoa Canischio nel Canavese. Don Ercoli ha or-ganizzato e diretto due campi per adolescen-ti, uno al castello della Graffinière a Cuon(nella regione di Tours) dal 16 al 23 aprile el’altro a Verrua (sempre come campo-base)con escursioni, anche lui!, sulle montagnedel Gran Paradiso, dal 28 luglio all’8 agosto.Anche in questo caso il campo era “interna-zionale” (Belgio-Francia-Italia). Per faretutto ciò, oltre all’aiuto di Dio, ci vuole quel-lo degli uomini. Che il Signore rimeriti,quindi, quanti ci hanno aiutato. Oltre alleColonie, l’apostolato estivo consiste soprat-tutto negli esercizi spirituali...

Esercizi Spirituali. Il turno straordinariodel mese di maggio si è poi tenuto (dal 27 al30) ma con solo tre presenze; purtroppo, cisono state molte disdette all’ultimo minuto.Durante l’estate si sono tenuti i consuetiquattro turni di esercizi, due a Raveau e duea Verrua. Dal 5 al 10 ottobre, don Schoon-broodt ha predicato gli esercizi ai sacerdotidell’Istituto a Verrua. In tutto, 58 personehanno fatto gli Esercizi da maggio a ottobre.

Seminario. Al rientro dalle vacanzeavremmo dovuto, come ogni anno dall’ormai‘lontano’ 14 gennaio del 1987, riprendere lelezioni per i seminaristi. Così non è stato que-st’anno. Dei 4 seminaristi che restavano dopol’ordinazione di don Ercoli, uno è rimastoprovvisoriamente a casa per motivi di fami-glia e di salute, mentre gli altri tre sono torna-ti nel mondo (l’ultimo il 18 settembre). Poichéd’altra parte alcune domande di entrata in‘seminario’ non sono state accolte, quest’annoci siamo concessi una sorta di ‘anno sabbati-co’. Possiamo quindi fare un primo bilancio:in 11 anni, 25 seminaristi sono entrati in semi-nario. Di questi, uno è in congedo provviso-

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rio, un’altro prosegue gli studi negli Stati Uni-ti, quattro sono stati ordinati sacerdoti nel-l’Istituto e altri quattro lo sono stati altrove,dove essersi separati da noi; gli altri hanno ab-bandonato la carriera ecclesiastica. L’Istitutoè intenzionato (se Dio lo vuole) a proseguirein questo servizio che ha come scopo di darebuoni sacerdoti alla Chiesa, senza abbando-nare però i severi criteri stabiliti dalla Chiesastessa nell’accettazione e nell’esame dei can-didati al sacerdozio.

Conferenze (organizzate dal nostro Cen-tro Culturale e Librario, o con la sua collabo-razione). A Ferrara, presso la Lega Nord,don Ricossa ha tenuto una conferenza sullaMassoneria, venerdì 17 aprile. Presso le Figliedi Gesù di Modena, don Ricossa ha parlatosul tema Ebraismo ed Islam, sabato 23 mag-gio. La conferenza era organizzata dal Movi-mento apostolico ciechi, e presentata da Rug-gero Forlani. Tra i presenti, il cappellano delmovimento e don Giorgio Maffei, di Ferrara.Nella sala delle conferenze del Senato, a Ro-ma, si è svolto il 9 giugno, un dibattito su Tra-dizione occidentale e New Age, organizzatodalla rivista Rivoluzione italiana. Con il no-stro don Curzio Nitoglia, hanno parlato laprofessoressa Cecilia Gatto Trocchi e il sena-tore Riccardo Pedrizzi (Alleanza Nazionale).Ha introdotto l’argomento Carlo Marconi,direttore editoriale della rivista R.I. Il dibatti-to è stato annunciato su Lo Stato e Il Secolod’Italia (9/6/98, p. 16) e sempre il Secolo d’Ita-lia ne ha pubblicato un resoconto l’11 giugno.Il 26 giugno si sono tenute due conferenze.Nella sala consiliare del comune di Ceriale(Savona), ha parlato don Ricossa su Mondia-lismo e Repubblica universale. Chi si nascon-de e cosa ci viene nascosto nel segreto dellelogge massoniche. A Riva del Garda, invece,ha parlato don Nitoglia, presentando il librodi Israel Shahak, Storia ebraica e giudaismo.Il peso di tre millenni (ed. Centro Librario So-dalitium). Il libro di Shahak è stato presenta-to, sempre da don Nitoglia, anche a Vercelli,presso il Circolo G. Guareschi, il 9 ottobre ea Brescia, presso l’Hotel Master, il 23 otto-bre. Il 12 novembre, al Centro comunale dicultura di Valenza, don Ricossa è stato unodei conferenzieri della serata dedicata al te-ma: Espianti-Trapianti. La morte cerebralenon è la morte. Infine, il 18 novembre, donNitoglia ha presentato il libro di E. Ratier, Iguerrieri di Israele (ed. Centro Librario Soda-litium), presso il Circolo Culturale Area diGallarate (Varese).

Escursione in alta montagna durante la colonia organizzata da Don Murro

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Centro librario Sodalitium. In linguafrancese abbiamo ristampato il magnificostudio di Arthur Preuss: Ètudes sur la franc-maçonnerie americaine, un classico ormai in-trovabile (ma sempre attuale) edito a suotempo dalla R.I.S.S. L’edizione è stata se-gnalata dal celebre storico Émile Poulat sullarivista Politica Hermetica, da Emmanuel Ra-tier in Faits et documents (n. 45, 1-15 aprile1998, p. 11), da Lectures Françaises (n. 498,p. 59), dal bollettino librario Pour une croisa-de du livre Contre-révolutionnaire (n. 250,p.7) e dai cataloghi della D.F.T. (p. 18) e dal-la Librairie Roumaine Antitotalitaire (nov.1998, p. 5). Una novità anche l’opuscolo didon Curzio Nitoglia, Dalla sinagoga allaChiesa: le conversioni di Edgardo Mortara,Giuseppe Stanislao Coen ed Eugenio Zolli.Ne ha fatto una bella recensione la rivistabresciana Chiesa viva (n. 295, maggio 1998,p. 18). Infine, dal mese di novembre è a di-sposizione dei lettori la traduzione italiana diun altro libro-inchiesta di Emmanuel Ratiersulle milizie sioniste, intitolato I guerrieri diIsraele. Il Centro librario ha curato un’ap-pendice dedicata al fenomeno delle miliziesioniste (e organizzazioni similari) in Italia. IlCentro Librario è stato presente con un pro-prio stand al salone del Libro di Torino (21-24 maggio). Grazie a chi ci ha aiutato, spe-cialmente ad Alberto, di Roma. Di grandeimportanza la recensione del libro di I. Sha-hak, a firma di Giovanni Santambrogio, pub-blicata sulla prestigiosa rassegna libraria Do-menica del Sole 24 Ore (n. 230, 23/8/98, p.21). “Vade retro, Stato ebraico!”, è il titolodella recensione che così si conclude: “Un li-bro che è una miscela esplosiva”.

Parlano di noi. Lo Stato del 22 ottobre(inserto a Il Borghese, n. 41/98, p. 3) ha in-tervistato don Nitoglia sul tema: Cattolici,partireste in nome della fede? Una crociata

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per il duemila. Don Ricossa è stato intervi-stato alla radio durante il programma diRai-Uno Senza rete, dedicato ai Cattolici e lapolitica (il 27 ottobre). Il n. 5 di Avanguar-dia (maggio 1998, pp. 8-11 e 12-17) pubblicauna recensione del libro di Shahak, a cura diManuel Negri, e l’articolo di don Nitoglia,tratto da Sodalitium, sul Gran Kahal. Rin-graziamo la rivista trapanese, la quale peròmantiene pur sempre un atteggiamento diprofondo dissenso dalle nostre posizioni (cfla rubrica “parlano male di noi”). Il numero299 di Chiesa viva (ottobre 1998) pubblical’articolo di don Nitoglia: Il Gran Kahal: unterribile segreto. Sulla Contre-Rèformecatholique (n. 346, maggio 1998, p. 33) è sta-ta pubblicata integralmente la recensioneche Sodalitium (n. 46 ediz. francese) avevafatto dei tre tomi di Pour l’Église. Quaranteans de Contre-Réforme Catholique, con uncommento dell’abbé de Nantes. Nel numeroseguente l’abbé De Nantes è ritornato sullaquestione (pp. 27-30, ma vedi anche p. 36)con l’articolo Le traditionalisme en examen.“Quel gâchis!”. La CRC ha anche rispostocon una cassetta (20 franchi) o una video-cassetta (100 franchi) intitolata: La Droitedu Seigneur: réponse à Sodalitium: Quel gâ-chis! Di seguito, troverete una nostra repli-ca. Padre Vinson, dans Simple lettre (n. 112,sept.-oct. 1998) espone la nostra posizione(p. 2) e segnala i nostri centri di Messa (p. 4)(molte grazie, Padre!). L’uomo qualunque(11 giugno 1998, pp. 12-13) dedica due gran-di pagine al “tradizionalismo”. Gianandreade Antonellis viene in soccorso del “tradi-zionalismo cattolico” rinchiuso nei “nuovighetti”; Marco Respinti invece (e i nostrilettori non se ne stupiranno) ricaccia conastio e disprezzo tutti i tradizionalisti nelghetto di cui sopra, liquidandoli in due righecome eretici e/o scismatici, per dedicare poitre colonne a fantomatici “tradizionalisti”USA seguaci di von Balthasar, Maritain ovon Hildebrand, e auspicando la collabora-zione con i protestanti (i quali, al contrariodegli aborriti “tradizionalisti”, pare non sia-no eretici o scismatici come gli altri!). DeAntonellis, al contrario, pur con certe ambi-guità e qualche confusione e sconfinamento,presenta effettivamente al lettore un pano-rama del “tradizionalismo cattolico” italia-no, dando largo spazio anche all’IstitutoMater Boni Consilii, e permettendo al letto-re di rivolgersi direttamente alle varie orga-nizzazioni, se desidera saperne di più.

Il libretto sulle “miraco-lose” conversioni dal

giudaismo al cattolicesi-mo di Mortara Coen e

Zolli, scritto da Don Nitoglia

Novità presso il no-stro Centro Librario

(32 pagg. L. 7.000)

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Parlano male di noi. Parla male di noi,ma non troppo, la sezione di Chieti delGRIS, in tre articoli, due dedicati ai “gruppitradizionalisti” (19/19/97 e 26/10/97) e unoall’O.M.S.A. (Ordine missionario per la sal-vezza delle anime, ora Opera della DivinaProvvidenza) del 10/5/98, p. 3, pubblicati suIl nuovo amico del popolo (settimanaledell’arcidiocesi di Chieti-Vasto). In quest’ul-timo articolo, si legge tra l’altro: “Sappiamobene che questo gruppo, e lo abbiamo anchescritto su queste colonne, ha avuto frequenta-zioni con sacerdoti provenienti da gruppi ‘tra-dizionalisti’ come l’Istituto Mater Boni Consi-lii, un’associazione di sacerdoti fuoriusciti dalmovimento lefebvriano che considera ‘vacan-te’ la sede di Pietro. Tali sacerdoti, una voltaconstatate le stranezze dottrinali del-l’O.M.S.A., se ne sono allontanati. In seguitoil gruppo ha contattato i sacerdoti lefebvrianidel Priorato Madonna di Loreto di Spadaro-lo di Rimini che quindi, e saremmo felici diessere smentiti, parrebbero accettare le stessedeviazioni dottrinali rigettate con fermezzadall’Istituto Mater Boni Consilii” (vedi, per laquestione, Sodalitium, n. 46 p. 90). Parla ma-le di noi, pur senza nominarci espressamen-te, Inter multiplices una vox (giugno 1998) inun articolo di tal Giovanni Servodio (unopseudonimo) contro la tesi del “piano giu-daico-massonico” (pp. 16-21). L’autore nonsi limita a negare l’esistenza di un tal piano,ma propone anche una esegesi della SacraScrittura sul problema ebraico in tuttoconforme a quella post-conciliare. Una par-ziale ma sufficiente risposta a Servodio sipuò leggere, paradossalmente, sulla stessa ri-vista (pp. 3-6), laddove essa riporta quanto,con competenza e autorevolezza, scrisse asuo tempo sulla questione Mons. Spadafora.

Reazioni negative alla nostra posizionesu Evola e Guénon anche su Area (maggio1998, pag. 58) in un articolo di Gianfrancode Turris e su Rivista di Studi Tradizionali(n. 87 pagg. 145-161).

La rivista Avanguardia (n. 3, marzo 1998,pp. 22-23) pubblica un articolo (Materialismometafisico e politico nelle posizioni della rivi-sta Sodalitium) di Gioacchino Grupposo cheriassume tutti i pregiudizi anti-cristiani delmoderno neo-paganesimo. L’autore pretenderifarsi, contro il “materialismo” cristiano, alla“tradizione ellenica”. Peccato che della “tra-dizione ellenica” Grupposo prenda, in fondo,soltanto lo gnosticismo, il quale, ancor piùche del neo-platonismo, è erede del giudai-

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smo cabalistico (cf. gli studi di Eric Peterson).Grupposo considera “materialista” il cristia-nesimo, perché concepisce l’uomo comeunione di anima e di corpo, quando già Ari-stotele (che fa pur parte della “tradizione el-lenica”) aveva corretto l’eccessivo idealismodi Platone; poi però Grupposo, che disprezzatanto il corpo, accusa il cristianesimo di “odioviscerale contro il corpo”, e questo solo per-ché predica ascesi e castità (che, evidente-mente, son cose troppo elevate per il nostro“spiritualista”). Grupposo cambia le carte intavola per confondere i suoi lettori: il pantei-smo neo-gnostico che egli propone andrebbebenissimo ai cabalisti di tutti i tempi (quantoall’assioma di Grupposo: “la divinità non sipuò incarnare”, Baruch Spinoza lo sostenevada un bel pezzo). L’articolo di don Nitogliasu Guénon (che con Evola viene definito daAvanguardia “architravi politico-culturali delneo-fascismo”) ha provocato una nuova rea-zione da parte di questa rivista che ha pubbli-cato un articolo possibilista di Francesco Ibba(n. 7/98, pp. 21-23) e una lettera aperta di rot-tura di Roberto Vultaggio (n. 8/98, pp. 21-23), il quale, come al solito, distingue tra unamassoneria “buona” e una “cattiva”. A pro-posito di massoneria, National Hebdo (setti-manale del Front National) scrive (3-9/9/98,p. 7): “Strani apparentamenti. Charlie-Hebdoha pubblicato, a firma del massone emeritoXavier Pasquini, un dossier sulla associazionetradizionalista Travail [sic!], Famille, Pro-priété, nata in Brasile. Noi non vogliamo pro-nunciarci su questa controversa associazione,ma il dossier pubblicato da Charlie è diretta-mente ricopiato da un gruppo tradizionalistaultras, Sodalitium, regolarmente citato in Italiacome il gruppo cattolico tradizionalista piùestremista”. Noi non leggiamo Charlie-Hebdoe non conosciamo Pasquini; non possiamocerto vietare a chicchessia di riprendere delleinformazioni da noi pubblicate, per fini dia-metralmente opposti ai nostri. Invitiamo i re-dattori di National Hebdo a leggere quantoabbiamo già scritto e quanto ancora scrivere-mo sulla TFP e Introvigne, il che permetteràloro di prendere posizione sulla “controversaassociazione”, ricordandosi che i massonipossono nascondersi a sinistra come a destra(e viceversa)... Intanto, un sito internet (chenulla ha a che fare con noi) dedica molto spa-zio alla questione, riprendendo anche moltiarticoli di Sodalitium; lo segnaliamo per i cu-riosi: http://xenu.com.it.net/cesnur/txt/avv1.htm. Sembra che il sito del Cesnur, di

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M. Introvigne, abbia risposto attaccandociviolentemente. Cambiando argomento, an-che i legittimisti ci trattano da estremisti (“larivista Sodalitium è redatta da dei sedevacanti-sti… dei quali si può dir tutto tranne che sianodei moderati”), almeno quelli del Légitimiste(n. 164, giugno 98, p. 4), perché avremmo fat-to “una apologia della lega che confina con lafollia furiosa”, alludendo all’uccisione di En-rico III. Ci piacerebbe conoscere il parere delLégitimiste, che, a ragione, non ama “gli as-sassini”, sull’assassinio di Enrico di Guisa edel suo fratello cardinale... Infine, il Bulletinde l’Occident Chrétien (n. 45) ammette l’erro-re commesso nel n. 39, segnalato nello scorsonumero di Sodalitium, ma questo errore nonfa riflettere i redattori del BOC. Peccato.

L’abbé de Nantes... come visto, parla be-ne e male di noi: merita pertanto una rubricaa parte. Sodalitium è “tra i periodici più intel-ligenti”, i suoi redattori sono “così dotati”. Ilcommento che l’abbé de Nantes fa della no-stra recensione gli strappa una serie di com-plimenti: “Bravo”, “pulchre, recte, optime”,“elogio intelligente e coraggioso”. Altrove, ilmedesimo abbé de Nantes “trova spaventosol’orgoglio di questo pretuncolo [don Ricossa]che si inventa una eresia in cemento armato,dopo la battaglia, per giustificare il suo sci-sma, consumato da un bel pezzo”. Si stenta acredere che si tratti dello stesso autore dellerighe precedenti. E tuttavia… N. (leggere:abbé de Nantes) “non dispera di vedere” “ri-conciliato” il “‘Tradizionalismo’ cattolicofrancese” [e supponiamo anche quello nonfrancese], iniziando con una “riconciliazionefraterna” tra Sodalitium e la CRC: qui fini-scono i complimenti. Ma le nostre posizionisono inconciliabili: ed ecco le critiche di“un’estrema severità”. Se non possiamo ac-cordarci, possiamo almeno capirci, comin-ciando col conoscere bene la posizionedell’avversario. Ora, su questo punto ci sonodei malintesi. E N. stesso che parla di un“malinteso” (n. 346, pag. 33). Vorrei, in que-sto contesto, limitarmi a segnalarli (quelligrandi come quelli piccoli) per aiutare N. ameglio conoscerci, anche se poi ci giudicheràancora con “un’estrema severità”. Comincia-mo con quattro malintesi secondari (almenoper quel che riguarda il nostro soggetto).

1) sulle intenzioni di Sodalitium. La re-censione fatta da R. (leggere: don Ricossa) inSodalitium ripresa e commentata da N. nellaCRC non aveva come scopo di “chiarificarele diverse posizioni e dottrine che si dividono

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il ‘tradizionalismo’ cattolico, in Francia comealtrove”. Si trattava solamente di una recen-sione senza altre pretese (un’analisi di questogenere avrebbe richiesto ben più di una pagi-netta). Così pure, per restare alle intenzionidi R., N. non serve “da strumento” “a un vec-chio regolamento di conti” tra R. e Mons Le-febvre. Il nostro interesse per la posizione diN. (su molte questioni, e soprattuto su quelladell’autorità nella Chiesa) è sincera e disinte-ressata. Come non avevamo l’intenzione di“distruggere” Mons Lefebvre, così non ave-vamo quella di “giudicare” N. Né per esaltar-lo con un “elogio massimo” né per ricoprirlocon “un fiume d’ingiurie”. Il “non amo” (dicui N. ne ha “piene le scatole”) di R. nei con-fronti “dello stile, delle idee politiche, dellaposizione sull’autorità nella Chiesa e della(falsa) mistica di N.” non è “un capriccio” odel “sentimentalismo” derivato da simpatia oantipatia… Si trattava di una formula per evi-tare - per l’appunto - di presentare le opinio-ni di R. come dei dogmi infallibili, per nonsembrare erigersi in “nostro giudice, conun’autorità superiore o persino suprema”.Evidentemente, c’è stato un malinteso…

2) Sulla (falsa) mistica. Si tratta per N., diun “colpo basso, non molto franco”. E quan-do R. parla in seguito “di dottrine e compor-tamenti certamente settari”, ebbene, questoallora “certamente è assassino”. Ecco chiara-mente un altro malinteso. R. stima la misticadi N. “falsa”. Non accenna che a quanto èstato pubblicato nella CRC. Espressamentenon ha voluto pronunciarsi sulle “orribili vo-ci”. Quindi Sodalitium non accusa la CRC diessere settaria, poiché non si interessa alle“orribili voci” in questione. Bisogna dire chenon tutti si sono comportati così.

3) Su una questione di precedenza. “Voimi chiamate ‘uno dei primi e dei più corag-giosi’. Pardon: io fui il primo e il solo ad es-sere coraggioso nel dicembre 1965...” (CRCn. 347, pag. 28). In Francia, sì. Ma R. pensa-va al Messico, per esempio a Padre Saenz.Quindi, uno dei primi e dei più coraggiosi.

4) Sul “Papa eretico”, depositus vel de-ponendus (CRC n. 347, pag. 29, 2a col., pun-to IV), N. si lamenta del fatto che R. lasce-rebbe pensare che per lui, N., il Papa sareb-be un eretico deposto. Niente di tutto ciò.Con la concisione di una recensione, R. scri-ve chiaro e netto che per N. il Papa è un ere-tico da deporre (anche se avrebbe potutoprecisare, lo ammettimo, la posizione di N.,che propone una soluzione un po’ più origi-

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nale). N. non vuole oltrepassare le barrierecanoniche; in questo la tesi di Cassiciacum èd’accordo con lui, senza seguire nessuna del-le posizioni sul “Papa eretico”.

Sodalitium-CRC: dove le nostre strade sibiforcano (infallibilità, magistero, tesi diCassiciacum)

Nel punto 5 della sua analisi (CRC, n.347, Una terza via), N. si rallegra di constata-re che Sodalitium non fa sua la soluzione dimons. Lefebvre e neppure quella dei sedeva-cantisti (completi). “Si sarebbe potuto crede-re che trascinato un vero entusiasmo per ilmetodo canonico del ‘colpisci alla Testa’, donRicossa avrebbe spinto tutte quelle personeversa la nostra lega CRC! (…) Ma no! Unostacolo inatteso si presenta, ed è là che le no-stre strade si biforcano. (…) Ed ecco la rovi-na di tutte le nostre illusioni, in dieci righe. In-comprensibili, illeggibili, ma tanto più catego-riche, infallibili, irrevocabili”. Eh si! In que-sto caso non ci sono solo dei malintesi: lestrade si biforcano realmente. In questa sedenon vogliamo convincere N. (non abbiamomai avuto l’intenzione, nella nostra recensio-ne, di dare una “dimostrazione” in dieci ri-ghe, neanche una “pseudodimostrazione”),ma sottolineare i punti nei quali non ha capi-to la nostra posizione (“illeggibile”!).

I) Sulla distinzione materialiter-formali-ter. Per N. questa distinzione (che pur risaleal card. Gaetano) è una sottigliezza (pag. 30,I col.). Il fatto è che N. non la capisce. I “papimaterialiter”, secondo la nostra tesi espostada N. sono “degli intrusi, forse corporalmente,materialmente (materialiter) seduti sulla Catte-dra di Verità”, “che la occupano indegnamen-te, illegalmente: materialmente”, “ma spiritual-mente sprovvisti o spogliati di ogni autorità”.Capiamo bene che se la tesi di Cassiciacumdicesse ciò, non vi sarebbe alcuna distinzionereale tra la nostra posizione e il sedevacanti-smo totale. Ora, insieme ai sedevacantisti, laTesi sostiene che gli occupanti la Cattedra diVerità sono “spogliati di ogni autorità”. Ma adifferenza dei sedevacantisti non afferma cheessi sono “degli intrusi” che occupano questaCattedra “illegalmente” e solo “corporalmen-te”. Per noi la loro elezione è legale e gli con-ferisce una potenza reale e prossima alla rice-zione dell’autorità.

II) Sul magistero. N. attribuisce a R. ilfatto di attribuire al Papa “una infallibilitàillimitata” (“per meglio sbarazzarsene”). E

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nella maggiore del punto 6 (p. 30) ci attri-buisce un “sillogismo sorprendente”, che sa-rebbe il “nuovo dogma” inventato da R.contro N.: “l’infallibilità del Papa e del Po-polo, assoluta e universale in tutta l’estensio-ne del magistero autentico...” (punto 7).Questo sillogismo sorprende effettivamente,ma sorprende innanzitutto R., poiché non loha mai sostenuto, esattamente come il “dog-ma” inventato... da N., per attribuirlo a R., eaccusarlo più facilmente! I punti 6 e 7 sareb-bero da rifiutare in blocco, poiché sarebbetroppo lungo e complesso discernere il pocodi vero da una moltitudine di errori o di im-precisioni. Limitiamoci a precisare a N. cheR. non sostiene che tutto il magistero auten-tico del Papa e della Chiesa (il “Popolo”non c’entra un bel niente, poiché non inse-gna, ma crede ciò che è insegnato) è infalli-bile, anche se bisogna accettare corde et orequesto magistero semplicemente autentico.Quanto alla nostra posizione sull’infallibi-lità, rinviamo il lettore agli articoli dell’abbéLucien, e a quelli di don Murro in Sodaliti-um, come pure ad una precedente risposta aN., pubblicata in Sodalitium (n. 39 pag. 68).

III) Sui “democristiani”. In una videocas-setta dedicata a Sodalitium, N. ci accusa(perché si tratta effettivamente di una col-pa!) di essere (come tutti i cattolici italiani,ad eccezione di S. Pio X) dei democristiani.Accusa stupefacente, perché è nota a tutti lanostra radicale opposizione alla DemocraziaCristiana di Sangnier, di Murri, di Sturzo, diDe Gasperi, ecc., in quanto la nostra posizio-ne politica fa riferimento piuttosto al cattoli-cesimo integrale. Sola spiegazione possibiledi questa accusa: intendere per “democristia-no” un “non maurrassiano”. Pur pensando,con Pio VI e San Tommaso, che la monar-chia è in principio il migliore dei governi, R.,in effetti, non è maurrassiano. Egli è conLeone XIII e Pio XI, come è con S. Pio X ePio XII, senza essere per questo democristia-no. Questa questione, di per sé secondaria,potrebbe però spiegare perché N. e Mons.Lefèbvre non trovano nessuna difficoltà nel-l’opporsi alla dottrina e agli ordini di qualcu-no che considerano ancora il Papa legittimo,data l’attitudine passata dei cattolici dell’Ac-tion Française nei confronti di Roma.

Conclusione. Spartiamo con la CRC «que-sta attenzione appassionata, portata al “proble-ma” principale “dell’Autorità nella Chiesa”.Perché è dalla sua soluzione che dipende la so-pravvivenza della Cristianità e la salvezza delle

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nostre anime» (pag. 29). Spartiamo con N. latristezza e lo stupore nel constatare il piccolonumero, tra i nostri rispettivi “fedeli”, di colo-ro che vi si interessano (cfr pag. 27 della CRCn. 347). E anche ciò che N. scrive: “Vita inmotu, l’inerzia intellettuale è la morte”: eccoperché si può dialogare con N.! Per il resto, lenostre strade continueranno a biforcarsi, maalmeno si biforcheranno conoscendo noi me-glio la via presa dall’interlocutore.

Piccola risposta a Sub tuum præsidium.In via del tutto eccezionale rispondiamo inbreve a Sub tuum præsidium (n. 56, pag. 44),che il suo direttore, l’abbé Zins, ci ha fattopervenire. Z. (abbé Zins) fa riferimento allerecensioni delle opere dell’abbé Barthe e diChiron pubblicate nel numero 46 di Sodali-tium, edizione francese, lasciando credereche noi condividiamo sostanzialmente leopinioni di questi autori (il che non è vero).Inoltre egli pretende rilevare “un’importanteammissione” laddove scriviamo, a propositodell’opera dell’abbé Barthe: «Il libro termi-na aspettando la soluzione di questa situazio-ne apparentemente senza via d’uscita, solu-zione certa, a causa delle promesse divine, esoluzione che può venire soltanto dalla Chie-sa, cioé dal “Papa” e dai “Vescovi” (o, se-condo la nostra posizione, dalla “gerarchia”materialiter). In questo, siamo d’accordo conl’autore...». Z. pretende vedere in queste ri-ghe l’ammissione seguente: per noi «la Chie-sa è la “gerarchia materialiter”, e quindi an-che, logicamente, la “gerarchia materialiter”è la Chiesa». E da questa “ammissione” - che“bisogna leggere tra le righe” anche se è“scritto nero su bianco” - è facile far deriva-re logicamente le più aberranti eresie, cosache Z. non manca di fare a nostre spese.Purtroppo questa ammissione non è tale. La“gerarchia” materiale non è la Chiesa (do-cente), e ciò fino a che essa resterà “mate-riale”, allo stesso modo in cui un essere inpotenza non è l’essere in atto, fino a che nonpassa dalla potenza all’atto. Ne deriva che leeresie pronunciate dai membri della “gerar-chia” materiale sprovvista di ogni autorità,non possono e non devono essere imputatealla Chiesa. Ma i membri della “gerarchia”materiale possono diventare - domani, in fu-turo - i membri della gerarchia anche for-malmente, una volta ritrattati i propri errori.Allora le loro parole e azioni potranno esse-re attribuite alla Chiesa gerarchica. Chequesta conversione dei membri materialidella “gerarchia” non possa avvenire senza

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l’intervento della grazia, nessuno ne dubita(poiché ogni conversione è opera di Dio); evista la situazione attuale, questa conversio-ne sarà un miracolo almeno morale. Ma chequesto miracolo possa avvenire senza tenerconto della divina costituzione della Chiesa,che per volontà di Dio è fondata su una suc-cessione ininterrotta della gerarchia costitui-ta dai vescovi e dal sommo Pontefice fino al-la fine del mondo, è ciò che i sedevacantisticompleti immaginano alle volte, senza ren-dersi conto di andare in questo modo controla fede. Se la tesi di Z. fosse vera, il mondoavrebbe dovuto finire nel 1958 o nel 1965,con l’estinzione totale della gerarchia e,dunque, della Chiesa. Enoch ed Elia che Z.attende ansiosamente non potrebbero fon-dare che una nuova Chiesa se la precedente,fondata da Gesù Cristo su Pietro e sui suoisuccessori, si è spenta trent’anni fa. Ma ilproblema è così importante che, a Dio pia-cendo, ci torneremo sopra.

(P.S.: Z. dichiara impossibile ogni ritor-no alla legittimità per i vescovi che ricono-scendo Giovanni Paolo II, fanno parte della“chiesa conciliare” (cioè tutti!). Tuttavialeggiamo in S.T.P. n. 11, aprile 1988, un me-se prima delle consacrazioni fatte da Mons.Lefebvre: “Ma è più probabile che Monsi-gnor Lefebvre si metterà nella stessa situa-zione scismatica di Padre Guérard, consa-crando dei vescovi senza autorizzazione esenza dichiarazione preliminare della vacan-za della Santa Sede, dichiarazione che solapotrebbe rendere legittima la sua posizione”(pag. 41). Se abbiamo capito bene, nell’apri-le 1988, Monsignor Lefebvre, durante i col-loqui con il card. Gagnon, non era ancorascismatico e se avesse dichiarato la vacanza

Predicatori ed esercitanti dopo gli Esercizi a Raveau quest’estate

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della sede apostolica la sua posizione sareb-be stata legittima. Perché, essendo una cumJoanne Paulo, Monsignor Lefebvre era an-cora un vescovo cattolico, e perché avrebbepotuto “rendere legittima la sua posizione”dichiarando la sede vacante, allorché questapossibilità (dopo una simile dichiarazione divacanza della Sede) è rifiutata agli altri ve-scovi? Forse perché è stato Monsignor Le-febvre che nel 1978, durante una Messa unacum, ha ordinato diacono l’abbé Zins?).

Ostensione della Santa Sindone. Risie-dendo vicino a Torino, non potevamo certomancare all’appuntamento con la Santa Sin-done, esposta nel Duomo di Torino nei mesidi aprile, maggio e giugno. Il pellegrinaggioufficiale dell’Istituto si è svolto il 7 maggio,ma molti di noi si sono recati più e più voltea pregare davanti a questa straordinaria reli-quia. Molte le visite di fedeli e amici in occa-sione dell’Ostensione; tra i sacerdoti: donSanborn e don Neville, dagli Stati Uniti, Pa-dre Vinson con le Suore di Cristo Re e donMilani con le Suore di Clos-Nazareth (Cre-zan) dalla Francia, don Guépin e don Ro-ger, anch’essi dalla Francia; tra i fedeli, pel-legrini italiani, francesi e austriaci.

Ad multos annos. “Veramente non pensa-vo che foste ancora così numerosi a ricordarvidi me”. Con queste parole Padre Barbara co-

mincia, per gli assenti, il resoconto della ma-gnifica giornata del 20 giugno quando si sonofesteggiati i 60 anni di sacerdozio del reveren-do Padre (fu ordinato il 26 giugno 1938 in Al-geria). “Quando si invecchia, e più ancoraquando la Provvidenza vi mette in prima li-nea, gli amici che vi restano sono un piccolonumero. Qui ancora mi sono reso conto di es-sere circondato da molte persone. Erano ve-nuti da ogni luogo; non solo dall’Italia, dalBelgio e dalla Svizzera, ma persino dall’In-ghilterra”. I sacerdoti erano nove (molti altriavevano inviato i loro auguri) dei quali tredell’Istituto: don Ricossa (diacono durante laMessa, e che ha pronunciato l’omelia), donStuyver (che era suddiacono) e don Cazalas,che assicura abitualmente la Messa nella cap-pella Saint-Michel. Il celebrante (Padre Bar-bara non ha potuto celebrare la Messa) era ilparroco di Steffeshausen, Paul Schoon-broodt, che a sua volta ha festeggiato i qua-ranta anni di sacerdozio proprio quest’anno.“Tra gli amici - scrive ancora il Padre - c’erauna mia anziana parrocchiana di Mahelma(Algeria); l’avevo lasciata fanciulla e l’ho ri-trovata nonna”. Più di centotrenta amici han-no attorniato il Padre per il pranzo allietatoda un concerto di arpa e oboe, il tutto orga-nizzato di nascosto da un’instancabile suorMarie-Bernadette. Don Ricossa ha approfit-tato del suo soggiorno a Tours per intratte-nersi col Padre Barbara sulla sua lunga vita alservizio della Chiesa: pubblicheremo tuttoquesto, in suo onore, in un prossimo numero.

Benedizioni delle case. Dopo le suggesti-ve cerimonie della settimana santa (alle qua-li hanno assistito, come di consueto, degliospiti provenienti da fuori Verrua), i sacer-doti dell’Istituto hanno visitato (quasi) tutti ifedeli per la benedizione pasquale delle ca-se. Ricordiamo anche la benedizione dei lo-cali delle ditte Meat (di Villastellone) e CR(di san Secondo di Pinerolo), nonché laMessa nella cappella della famiglia Bichiri aTetti Rolle di Moncalieri.

Battesimi. Tre in Belgio, amministrati dadon Stuyver, il 13 aprile, il 17 maggio (JacintaDachemans), il 31 maggio (Stefanie Me-skens). Cinque in Francia: il 9 maggio, quellodi Jean-Marie Sinniger, e l’11 ottobre, a An-necy, quello di Hella Waizenegger, ammini-strati da don Murro. A Cannes l’11 luglio,quello di Mathilde Marie Chiocanini ammini-strato da don Nitoglia. L’11 ottobre, quello diThéophane Moreau e il 28 novembre quellodi Louis Cazalas, amministrati da don Cazalas.

Il volto del Signore sulla Santa Sindone. Quest’anno c’è stata l’ostensione a Torino

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Prime comunioni. A Maranello, l’11aprile (Pasqua): Alberto Cesari. A Crézan,il 19 aprile: Bernard Langlet. A Gradizza(Ferrara), il 24 maggio, Alessandro e Simo-ne Moschetta. A Torino, il 31 maggio, MariaTeresa Durando, Elena Sardi, CamillaTheodorou. A Sabbioncello San Pietro (Fer-rara), il 14 giugno, Beatrice Moschetta. AdAnnecy, il 26 luglio, Luca Radice.

Matrimoni. Il 25 luglio, a Raveau, donGiuseppe Murro ha benedetto le nozze diAlexis Bontemps e Claire Langlet. L’omeliaè stata tenuta dall’abbé Hervé Belmont.Quest’ultimo, ha benedetto a sua volta lenozze di Gilbert Cort van der Linden e

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Catherine Garot il 5 settembre a Tours, nel-la cappella Saint-Michel. Infine, nella chiesadi Cantavenna (Alessandria), si sono uniti inmatrimonio il 3 ottobre Domenico Splendo-re e Cinzia Garancini, milanesi, che hannopreparato il “gran passo” con gli EserciziSpirituali di Sant’Ignazio, fatti nel mese diagosto. A tutti gli sposi, le felicitazioni e gliauguri di Sodalitium.

Defunti. Don Stuyver ha amministratol’estrema unzione a Maurice Moens (28 mar-zo) e Luc Laremans (26 maggio), in Belgio.Don Thomas Cazalas ha celebrato a Méri-gny, l’11 maggio, i funerali della signora Mo-nique Rabany, piamente deceduta l’ottomaggio col conforto dei SS. Sacramenti. Eravedova di Jacques Rabany, uno dei primi epiù decisi difensori della fede nella crisi at-tuale, e uno dei più fedeli collaboratori di Pa-dre Barbara. Il 18 maggio è improvvisamentemancato Angelo Arturo Castelli, già sindacodi Verrua Savoia. Riconoscenti per i beneficiricevuti, i sacerdoti dell’Istituto si sono recatiin casa del defunto per la recita del rosario.L’Istituto era molto legato a GenevièvePons, nata Roffidal, che il Signore ha chia-mato a Sé, circondata dalle preghiere edall’affetto dei suoi, il 9 giugno. Nata in unafamiglia da sempre in prima linea nell’apo-stolato degli Esercizi di Sant’Ignazio, legatis-sima ai C.P.C.R. di Chabeuil, la signora Ponsaveva consacrato la sua vita all’educazione

Don Medina e Don Ercoli sulle Alpi con i giovani

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cristiana dei figli, educazione che pur essen-do aperta verso l’esterno, portava l’improntadella sua vita modellata interamente sul notoPrincipio e Fondamento ignaziano. Ella èstata tra i primi e più attivi difensori dellaMessa e della fede. Ogni anno, la famigliaPons passava alcuni giorni presso di noi aVerrua e a Raveau, facendo parte veramentedella nostra “famiglia spirituale”. Da lungotempo malata, si è preparata a fare una buo-na morte facendo un’ultima volta gli Esercizicol marito (da Padre Vinson), ricevendol’estrema unzione il 23 aprile a Crézan dadon Murro, comunicandosi spesso in viatico,l’ultima volta il 7 giugno. Don Ricossa ha ce-lebrato la Messa da Requiem nella chiesaparrocchiale di Ollioules, il 12 giugno, e donGiugni ha officiato il funerale a Ollioules enel cimitero di Saint Jeannet. Il giorno stesso,a Cannes, don Giugni amministrava l’estre-ma unzione alla madre del signor Chiocanini,che ha sempre frequentato la Cappelladell’abbé Delmasure finché ha potuto (aveva102 anni). L’abbé Seuillot ne ha celebrato leesequie il 22 giugno. Funerali di Mme Vi-gand, l’otto luglio, celebrati da don Cazalas.Era deceduta il 6 luglio. Il 21 luglio è morta aTours, a 91 anni, Angèle Barbara nata Lou-vat, e don Ricossa ne ha celebrato i funeralinella Cappella Saint-Michel il 27 seguente.Cognata di Padre Barbara, seppe, con la suadiscrezione, col suo tatto e la sua fede, ripor-

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tare il marito alla pratica religiosa e pure alfervore, diventando entrambi due “colonne”della cappella saint-Michel e due preziosicollaboratori di Padre Barbara, al quale van-no le condoglianze di tutti noi. Il 4 agosto,don Murro e don Giugni hanno celebrato ifunerali di Mlle Geneviève de Maubec, dece-duta a Crézan (era ospite delle Suore diClos-Nazareth) il primo agosto. Don Ricossale aveva amministrato l’estrema unzione findall’otto luglio. Il 18 ottobre è morta la mam-ma del nostro caro seminarista Christ, Gode-live Vanderberghe. Nel 1994 era rimasta ve-dova di Christiaen Van Overbeke. I genitoridi Christ erano ferventi cristiani, grandi lavo-ratori, anime apostoliche di grande fede e diesempio per tutti. Don Stuyver, che le avevaamministrato tutti i sacramenti (l’estrema un-zione il 3 e il viatico, per l’ultima volta, il 17),ha celebrato i funerali di Godelive VanOverbeke il 24 ottobre, nella chiesa parroc-chiale di Erpe (il 21 aveva sostituito don Me-dina per un funerale a Charleroi). Noi tuttisiamo particolarmente vicini a Christ e aisuoi cari in questo momento doloroso. Ricor-diamo infine il dott. Renato Carnaghi, mortoil 7 maggio. Si era allontanato da tempo, manon dimentichiamo l’amicizia e la generositàcon la quale ci seguì fin dal sorgere del no-stro Istituto. Che il Signore abbia misericor-dia di questi e di tutti i fedeli defunti, che rac-comandiamo alle vostre preghiere.

Preghiera per i bisogni della S. Chiesa, composta dalla Santità di Pio VI

Signore, io vi raccomando la Santa Chiesa, sposa vostra e Madre mia. Ricordatevi, che voi spargeste il vostro Di-vin Sangue, perché Ella fosse senza macchia e senza ruga. Deh! Piacciavi di purificare e santificare i di lei

membri, togliendone ogni scandalo ed ogni peccato. Non permettete mai ch’Ella sia depressa o avvilita. Voi reggete-la, Voi conservatela, Voi esaltatela presso tutte le nazioni e dilatatela per tutto il mondo: Ut Ecclesiam tuam sanc-tam regere et conservare digneris, te rogamus etc. Pater Ave e Gloria.

Signore, prendavi compassione della infelice Cristianità. Questo è il campo, che Voi e i vostri Apostoli seminatecolla dottrina Evangelica. Ma vedete quanta zizzania di errori vi abbia sparso sopra il comune nemico! Oh quantipopoli e quanti regni sono infetti di eresie e di perniciose dottrine! E chi può sradicare questa maligna zizzania, chesempre più tenta con orgoglio di opprimere il buon grano della cattolica verità? Ah! Che altri non lo può fare se nonvoi che siete onnipotente. Voi umiliate tanti eretici che turbano la vostra Chiesa, e fate che sbandino ogni errore,tutti gli uomini con viva fede credano Voi, a Voi ed in Voi, né mai si allontanino punto da quanto ella insegna do-versi credere ed operare: ut inimicos Sanctæ Ecclesiæ humiliare digneris, te rogamus audi nos. Pater, Ave e Gloria.

Signore, Voi nascendo portaste in terra la pace, e per bocca degli Angeli l’annunciaste agli uomini. Deh! Voiche siete il Principe della pace, infondete negli animi dei principi cristiani spirito di onore e di concordia, e fateche reggano i governi santamente e con giustizia i loro sudditi. Riconciliate inoltre ed unite i cuori di tutti i fedelicon il santo nodo di carità e di amore, per cui tutti uniti difendano la cattolica religione dai suoi nemici: ut regi-bus et principus cristianis, pacem et veram concordiam donare digneris, te rogamus audi nos. Pater, Ave e Gloria.

Sommo ed eterno Pastore Gesù Cristo, Vi raccomando il Vostro Vicario in terra e nostro Sommo Pontefice.Voi reggetelo, voi illuminatelo, Voi confortatelo, Voi difendetelo, Voi assistetelo a ciò che possa governare benela Santa Chiesa. Oremus pro Pontifice Nostro N.N. Dominus… Pater, Ave e Gloria.

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SS. MESSE

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- Non si fanno abbonamenti a “Sodalitium”. Il nostro periodico viene inviato gratuitamente atutti coloro che desiderano riceverlo.- Preghiamo tutti coloro che, per qualsiasi motivo, non desiderano ricevere “Sodalitium” di co-municarlo gentilmente alla nostra redazione.- Il nostro Istituto Mater Boni Consilii ed il suo periodico “Sodalitium” non hanno altri introitiche le vostre offerte senza le quali non possono vivere.

Offerte:• Sul Conto della Banca CRT Ag. di Brusasco Cavagnolo, conto 1802189/26 intestato all’Asso-ciazione Mater Boni Consilii.• Sul Conto Corrente Postale numero 24681108 intestato a “Sodalitium”, periodico dell’Asso-ciazione Mater Boni Consilii.

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“Sodalitium” PeriodicoLoc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) presso CMP TORINO NORDTel. 0161.839.335 - Fax 0161.839.334

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RESIDENZE DEI SACERDOTI DELL’ISTITUTO

ITALIA: Verrua Savoia (TO) Casa Madre. Isti-tuto Mater Boni Consilii - Località Car-bignano, 36. Tel. 0161.83.93.35. Nei giorni fe-riali, S. Messa alle ore 7,30. Tutte le domeni-che S. Messa ore 18,00. Benedizione Eucari-stica tutti i venerdì alle ore 21. Il primovenerdì del mese, ora santa alle ore 21.

FRANCIA: Mouchy Raveau 58400 - La Charitésur Loire. Tel. (+33) 03.86.70.11.14. Perma-nenza assicurata soltanto durante i mesi estivi.

Tours. don Thomas Cazalas: presso l’associazio-ne Forts dans la Foi. Cappella St Michel, 29rue d’Amboise. S. Messa tutte le domenichealle ore 10,30. Tel.: (+33) 02.47.64.14.30. o(+33) 02.47.39.52.73. (R. P. Barbara).

BELGIO: Dendermonde. don Geert Stuyver: Ka-pel O.L.V. van Goede Raad Sint-Christia-nastraat 7 - 9200. Tel.: (+32) (0) 52/21 79 28. S.Messa tutte le domeniche alle ore 8,30 e 10.

ALTRE SS. MESSEITALIA

Ferrara: Chiesa S. Luigi, Via Pacchenia 37 Alba-rea. S. Messa tutte le domeniche alle ore 17,30.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Firenze: Via Ciuto Brandini, 30, presso laProf.ssa Liliana Balotta. SS. Messe la lª e la 3ªdomenica del mese alle ore 18,15 e confessionidalle ore 17,30.

Maranello (MO): Villa Senni - Strada perFogliano - Tel. 0536.94.12.52. S. Messa tuttele domeniche alle ore 11. La 3ª domenica delmese S. Messa alle ore 9.

Milano: via Vivarini 3. S. Messa tutte le domeni-che alle ore 10,30. Per informazioni Tel.:02.6575140 oppure rivolgersi a Verrua Savoia.

Roma: Oratorio S. Gregorio VII. Via Pietrodella Valle 13/b. S. Messa la 1ª e la 3ª dome-nica del mese, alle ore 11.

Torino: Oratorio del S. Cuore, Via Thesauro3 D. S. Messa il primo venerdì del mese alleore 18,15 e confessioni dalle ore 17,30. Tuttele domeniche, confessioni dalle ore 8,30, S.Messa cantata alle ore 9,00; S. Messa letta alleore 11,15. Catechismo il sabato pomeriggio.

Valmadrera (CO): Via Concordia, 21- Tel. 0341.58.04.86. SS. Messe la lª e la 3ª domenica delmese alle ore 18, e confessioni dalle ore 17,30.

FRANCIAAnnecy: 11, avenue de la Mavéria. SS. Messe la

2ª e la 4ª domenica del mese alle ore 10 econfessioni dalle ore 9,00. Tel.: (+33)4.50.57.88.25.

Cannes: N.D. des Victoires, 4, rue Fellegara. S.Messa la 2ª e 4ª domenica del mese alle ore 10,15.

Lione: (2ème) 36, rue Comte. S. Messa la 2ª e la 4ªdomenica del mese alle ore 17, e confessioni dal-le ore 16,30. Tel.: (+33) 4.78.42.14.79.