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N 4-5 aprile - maggio 2015 L’INFORMAZIONE – I DIRITTI – LE OPPORTUNITÀ Lettera mensile di informazione a cura del Dipartimento Pari Opportunità e Politiche di Genere UIL EXPO’ 2015: parliamo di povertà e sprechi alimentari, le evidenti disparità del mondo globale: Maria Pia Mannino – M. Grazia Brinchi. Vai a Le angosce dell’uguaglianza Renata Micheli. Vai a Andare oltre il concetto di parità: gli individui hanno bisogno di uguaglianza Maria Grazia Brinchi. Vai a Crisi economica accresce le disuguaglianze. Vai a Aumentate nel 2014 le dimissioni femminili: una su 2 abbandona dopo il primo figlio. Vai a Violenza sulle donne: necessaria la Banca dati Nazionale sul DNA. Vai a

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Page 1: N 4-5 aprile - maggio 2015 L’INFORMAZIONE – I DIRITTI – LE ... · Francia , si doti di una legge contro lo spreco alimentare. Una legge che, ... una solida educazione che eviti

N 4-5 aprile - maggio 2015

L’INFORMAZIONE – I DIRITTI – LE OPPORTUNITÀLettera mensile di informazione a cura del Dipartimento Pari Opportunità e

Politiche di Genere UIL

EXPO’ 2015: parliamo di povertà e sprechi alimentari, le evidenti disparità del mondo globale:Maria Pia Mannino – M. Grazia Brinchi. Vai a

Le angosce dell’uguaglianza Renata Micheli. Vai a

Andare oltre il concetto di parità: gli individui hanno bisogno di uguaglianza Maria Grazia Brinchi. Vai a

Crisi economica accresce le disuguaglianze. Vai a

Aumentate nel 2014 le dimissioni femminili: una su 2 abbandona dopo il primo figlio. Vai a

Violenza sulle donne: necessaria la Banca dati Nazionale sul DNA. Vai a

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ULTIM’ORA

Una donna alla guida dell’Università di Oxford. Vai a

LAVORO : In Italia sono 2321 le donne innovatrici, che ricoprono cariche all'interno delle start up innovative. Vai a

EXPO’ 2015: parliamo di povertà e sprechi alimentari, le evidenti disparità del mondo globale

Maria Pia Mannino – Maria Grazia Brinchi

Si è sempre sostenuto che la liberazione dal bisogno, potesse emancipare gli individui a favore di una diversa e migliore esistenza, fuori dalle sacche della miseria che ha come compagne di viaggio la schiavitù delle persone, l’annullamento della dignità, la soppressione dei più elementari diritti, a partire da quello alla vita e al rispetto della persona. Mantenere interi Stati o classi sociali in situazioni di indigenza spesso non sono azioni imputabili a cattivo governo della cosa pubblica, bensì a un preciso disegno politico tendente a far restare in condizioni di bisogno intere popolazioni onde renderle sottomessi ostaggi di poteri che proliferano sulla loro debolezza negoziale.

Esemplare ciò che sta accadendo in India, con il proliferare delle maternità surrogate, dove il fenomeno sembra aver raggiunto proporzioni gigantesche grazie anche al mercato dell'utero in affitto che è valutato due miliardi di dollari. La causa? Sempre la povertà.

Le donne che accettano di affittare il proprio utero, infatti, versano spesso in condizioni di indigenza e utilizzano il denaro guadagnato per nutrirsi o l'acquisto di una casa o per il pagamento dell'educazione dei propri figli.

E in fatto di alimentazione che è poi il tema dell’EXPO 2015, sappiamo bene come le multinazionali del cibo (Monsanto, Del Monte, Dole, ecc.) da tempo dettino legge imponendo prodotti alimentari provenienti da Paesi del terzo mondo, frutto del lavoro di donne e uomini assolutamente privi di garanzie contrattuali e costretti – per bisogno – ad alienarsi i propri terreni per sopravvivere del poco che sgocciola dalle mense dei paesi maggiormente industrializzati dove queste multinazionali hanno la loro sede legale.

L’alimentazione dovrebbe essere garantita a tutti e purtroppo per molti è ancora un lontano miraggio. Lo è per le madri in affitto indiane, lo è per le popolazioni del Nepal così come per gli affamati che quotidianamente si affacciano alle nostre coste sperando in un futuro diverso.

Gli sprechi alimentare non si conciliano con la sostenibilità economica e ambientale, ed è gravissimo il permanere nei paesi occidentali della cultura dello scarto e del consumo illimitato perché causa e conseguenza dell’aumento della povertà di moltissimi contro il benessere di pochiNella stessa Italia, seppure paese di forte industrializzazione e patria indiscutibilmente riconosciuta del “ben mangiare”, la povertà e la mancanza di

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cibo è una delle più recenti preoccupazioni sociali: si calcola che, solo a Roma, il 4 % della popolazione (114.819 cittadini) vive sotto la soglia di povertà, mentre il 7% (200.934 cittadini) mangia in maniera adeguata solo ogni due giorni. Lo dice il rapporto annuale della Caritas ma lo si avverte anche andando nei mercatini rionali, alla fine della giornata vedendo i numerosi anziani che “trafficano” tra gli scarti della frutta e delle verdure destinati al “cassonetto”.Sempre a Roma, ogni giorno vengono sprecate 20 tonnellate di pane, circa il 10% della produzione totale".

Povertà e sprechi: un binomio osceno che testimonia da un lato l’incapacità di assicurare il necessario a molta parte della popolazione italiana costituita da anziani pensionati e bambini sempre più indigenti, e dall’altro, la comune tendenza al superfluo e l’incapacità a programmare la spesa alimentare giornaliera che spesso, assai spesso, finisce nella pattumiera.

Ogni famiglia getta tra i rifiuti ogni anno circa 49 chili di alimenti; tonnellate di cibo che equivalgono - in soldoni - a otto miliardi di euro l’anno. Una cifra che cresce se aggiungiamo ad essa l’1,4 milioni di tonnellate di prodotti abbandonati nei campi; i due milioni di tonnellate di sprechi derivanti dalla trasformazione industriale e le trecento mila tonnellate di rifiuti della distribuzione commerciale

È urgente, concordando in questo con il ministro all’Ambiente Gian Luca Galletti,

che anche l’Italia, sull’esempio della Francia , si doti di una legge contro lo spreco alimentare. Una legge che, contrariamente ai nostri cugini d’oltralpe, abbia però come filosofia ispiratrice l’insegnamento a non sprecare, dando alle aziende gli strumenti (attualmente non disponibili) per regalare prodotti in scadenza senza conseguenze fiscali.

A fotografare lo sperpero casalingo del nostro Paese, da tempo sta provvedendo il Professore Andre Segré dell’Università di Bologna che attesta che in Italia, il 55% delle famiglie getta avanzi quasi ogni giorno; il 30% tre volte a settimana; il 10% 1,2 volte e solo l’1% quasi mai.

Si compra troppo senza discernimento per le effettive necessità del fabbisogno familiare. Per questo è indispensabile una solida educazione che eviti gli sprechi, non solo alimentari, Una istruzione che vada dall’asilo all’università ritornando alla solida, borghese, se si vuole, cultura del recupero degli alimenti – così fondamentale per l’economia domestica negli anni ‘50/60 - , e dispersa negli anni più recenti

Il mondo occidentale siede su una montagna di rifiuti; nei Paesi del terzo mondo si va in cerca di cibo tra i rifiuti. Siamo di fronte a una ingiustizia macroscopica su cui la speculazione alligna e prospera.

Cultura, informazione per non distruggere il pianeta, sono gli strumenti per ridurre i consumi e chi meglio di una donna può portare la cultura del “non spreco”, del risparmio, all’interno di una famiglia consegnandone il valore alla scuola ? Le donne infatti sono consapevoli che tutto ciò impatta pesantemente sulle fragili economie domestiche, già provate dalla crisi economica.

Ricordando Latouche e la sua “decrescita felice”, occorre che finalmente si produca solo quanto si è in grado di consumare e la popolazione mondiale va educata in tal senso.

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Educare a non dissolvere nei rifiuti i prodotti alimentari significa avere la necessaria sensibilità per combattere tutto ciò che l’uso e l’abuso di questa nostra terra sta producendo in tema di cambiamenti climatici e inquinamento.

Si è stimato che se lo spreco alimentare

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fosse uno Stato, sarebbe il terzo inquinatore dopo Cina e Usa. Perché la quantità di anidride carbonica necessaria a portare il cibo sui nostri piatti è pari a 3,3 miliardi di tonnellate e per produrlo si usa il 30 per cento del terreno coltivabile del mondo con una quantità di acqua ogni anno che basterebbe alle esigenze di tutti i cittadini di New York per più di un secolo. Senza contare che il costo calcolato del cibo sprecato è pari a 750 miliardi di dollari.

La crisi economica accresce le disuguaglianze Secondo i dati OCSE Il 5% delle popolazione italiana controlla un terzo della ricchezza nazionale - La crisi ha aggravato le differenze nella distribuzione delle risorse in Italia, con un livello di diseguaglianza che è superiore a quello della media Ocse, portando il 5% più ricco della popolazione a controllare il 32,1% della ricchezza nazionale netta (valore che si riferisce al totale di asset finanziari e non finanziari, meno le passività). E' quanto emerge da un rapporto Ocse sulle diseguaglianze che mostra come a livello di entrate fra il 2007 e il 2011 il 10 % più povero della

popolazione abbia registrato un calo medio annuo del 4% contro appena l'1% del 10% più benestante, un trend che ha portato in questo periodo il livello di povertà a crescere di 3 punti, un aumento fra i più forti dell'area. Il fenomeno è particolarmente evidente fra i bambini (con un'incidenza di povertà del 17% rispetto al 13% della media Ocse) mentre fra gli over 65 il livello è del 9,3% contro una media del 12,6%. L'Ocse evidenzia poi come la disomogeneità della ricchezza sia amplificata dalle condizioni del mercato del lavoro, con un 40% della popolazione che opera in condizioni 'non standard', ovvero con regolari contratti a tempo indeterminato. E le diseguaglianze restano forti, nel mercato del lavoro, fra uomini e donne: solo il 38% di queste ultime ha un lavoro a tempo pieno contro la media Ocse del 52%. In merito al livello di diseguaglianza in Italia l'Organizzazione suggerisce alle istituzioni, fra l'altro, di rivedere il sistema fiscale e degli incentivi, spostando il peso della tassazione dal lavoro al consumo. La crescita delle disparità è comunque un fenomeno comune a tutte le principali economie: come ha sottolineato il segretario dell'Ocse Angel Gurría, "le diseguaglianze fra i paesi dell'Ocse sono al livello più alto da quando abbiamo iniziato a registrarle. E l'esperienza mostra come un elevato livello di disparità danneggia la crescita". In un campione di 18 paesi dell'area Ocse l'1% più ricco della popolazione controllava risorse per il 18% del totale mentre il 40% più povero appena il 3%. (Fonte Mge/AdnKronos)

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Le angosce dell’uguaglianza Renata Micheli

La progressiva integrazione del mondo, la cosiddetta globalizzazione, determina delle conseguenze anche sulla questione della parità che tanto ha appassionato i decenni compresi tra il 70 e il 90 per poi trascolorare in una zona più umbratile nella quale soltanto aspetti parziali, più volta indotti dagli eccessi della quotidianità, che su di essa hanno riverberato gli eccessi di discussioni a volte estenuanti.

Mai come nei giorni che corriamo siamo costretti a prendere atto che l’uguaglianza è un valore, non soltanto universale, ma indivisibile. Questo significa che anche nel nostro ricco occidente il sogno dell’égalité è rimasto a metà strada vuoi per la divaricazione crescente con i parametri raggiunti dalla cosiddetta liberazione dal bisogno, che per secoli ha costituito un limite grandissimo alla conquista della eguaglianza come unità di sintesi della libertà della persona, vuoi perché ovunque, e nel nostro attualissimo presente, milioni di donne sono sottratte al cambiamento inteso come possibilità di compimento del processo di formazione della propria identità. Paura, incertezza sono ancora il sentimento dominante nelle donne dell’occidente, come in quelle del mondo islamico, o in quelle che con i figli avvinghiati scappano dalla loro terra, ed in quelle che sono destinate, ancora bambine inconsapevoli, alla schiavitù del matrimonio o del sesso. Qui non si tratta di sapere discernere o decidere se gli effetti o le

cause di tale situazione propendano più sul versante della cultura o verso quello della natura (il destino di nascere donna). Il dibattito tra le élite politiche di oggi come in quelle di ieri, e parlo di élite anche femminili, è inficiato infatti da un limite di fondo: il cambiamento è sempre destabilizzante per il sistema. Paradossalmente, infatti, tutto quanto, e a ragione, viene giudicato negativamente, favorisce la formazione di convincimenti collettivi favorevoli ad una stabilizzazione degli status e dei ruoli. La democrazia intesa come trasversalità dei diritti, contribuisce alla destabilizzazione di un ordine che per essere tale deve pur verticalizzarsi verso l’alto. Non esiste democrazia senza leadership, non si dà leadership senza una qualche sorta di autorità e primazia.

Allora? Come procedere per realizzare quella utopia o profezia dello shalom, l’armonia universale, secondo la quale le evoluzioni naturali del sistema, dei sistemi sociali, non sono soltanto il risultato di inevitabili mutazioni temporali o, peggio, casuali e quindi fenomeni non governabili?

Cominciamo con ordine. L’uguaglianza non è una ideologia perché se lo fosse sarebbe costretta a trovare e a scegliersi in continuazione un nemico con il quale confrontarsi e con il quale entrare in competizione. Non è nemmeno una asticella che segna un traguardo indicato ai molti e che soltanto pochi hanno raggiunto.

Dobbiamo piuttosto riconoscere che quando diciamo “uguaglianza” esprimiamo un pensiero e diciamo una parola la più implosiva dei sistema economici, politici, sociali come non ce ne è stata mai uguale e mai ce ne sarà altra tra quelle pronunciate dagli uomini. Vale la pena allora ricordare che essa non sarà mai realizzazione compiuta, conquista definitiva, traguardo raggiunto. Essa è il grimaldello che sconvolge i pensieri e gli assetti, cambia le coscienze, realizza un nuovo ordine mondiale. Un farsi in itinere che troverà sempre dalla sua parte una

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minoranza per la quale vale la pena spendersi.

Le donne conoscono la portata rivoluzionaria dell’uguaglianza perché soltanto le donne conoscono la vera natura dell’antagonismo come sentimento che si genera quando si è fuori: sempre da qualche altra parte, dislocate, a -centriche, pietre di inciampo sulla strada di un cambiamento che perpetua se stesso. Non riconoscere che al centro del nuovo volto del capitalismo c’è quello ormai invecchiato e pieno di rughe dell’uguaglianza, significa stare ferme all’interno di estenuanti dibattiti di “genere”.

Andare oltre il concetto di parità: gli individui hanno bisogno di uguaglianza Maria Grazia Brinchi

Di quante utopie si può nutrire l’uguaglianza tra gli individui? E può essere ridotto a utopia l’anelito di donne e uomini ad una esistenza socialmente equa, politicamente e economicamente sostenibile e, soprattutto, proiettata al riconoscimento del valore della persona quale soggetto irripetibile della grande storia dell’umanità?

La corsa all’uguaglianza parte da molto lontano, da quando cioè, qualcuno – parlando di beatitudini sull’alto di un monte in medio oriente – esplicitamente disse che un individuo, dotato da madre natura di sapienza, intelletto, capacità di discernimento, bellezza, ricchezza……, era uguale al suo simile meno favorito, per cui al mondo non dovevano esserci più schiavi e padroni ma uomini e donne liberi di “esercitare” la loro umanità con il fine meraviglioso di una costante, continua, reiterata crescita personale, alla ricerca di una qualità dell’esistenza che fosse proporzionata alle aspirazioni e ai sogni di ciascuno.

È Utopia, dunque, il desiderio di uguaglianza? È Utopia che le aspirazioni dei popoli trovino uguale accoglienza nel consesso mondiale? O che le diverse fedi religiose abbiano come uguale fine ultimo l’elevazione dell’anima fino al compiacimento di un Essere superiore, Garante della umana identità? Ed è Utopia che donne e uomini vengano considerati uguali tra loro o é, piuttosto, un desiderio irrealizzabile perché tralignato dalla obiettiva diversità tra i sessi?

Occorre sgombrare il campo da un equivoco: l’uguaglianza non riveste lo stesso significato di parità, né è speculare o il contrario della diversità. Anzi, essa trova nelle differenze l’humus più idoneo, e se ne alimenta per cui, nel valorizzare ciò che è diverso o chi è differente per età, cultura, etnia, censo o ceto sociale, l’uguaglianza diviene la speranza realizzata dell’Utopia che spinge l’Umanità in avanti.

I mali del mondo nascono nella e dalla esasperazione – voluta – del conflitto tra le molteplici differenze che prosperano nella società civile globale e, per eliminarli, c’è bisogno assoluto della declinazione del principio di uguaglianza. Come recita la Dichiarazione Universale dei Diritti umani, il riconoscimento della

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dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, “costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”.

Questo, riferito alle libertà individuali, diviene il paradigma su cui misurare il progresso della democrazia nel mondo e il parallelo percorso dell’umanità verso parametri effettivi di equità tra gli individui, con l’obiettivo ultimo del compimento del principio di uguaglianza tra le persone.

Il primo articolo della Dichiarazione dei Diritti, stabilisce il principio che “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti” e prosegue, all’articolo tre, con l’affermazione “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”.

Sulla punta del diritto (vedi l’art. 3 della Costituzione Italiana), dunque, al giorno d’oggi, i conflitti tra le differenze non dovrebbero esistere o, perlomeno, non dovrebbero essere così marcati o esasperati. E, invece, ci troviamo sempre più infognati in una palude di disuguaglianze dove la povertà, la corruzione e il disprezzo della persona sono le forme vecchie e nuove della prevaricazione dei forti sui deboli.

La disuguaglianza effettiva si oppone alla pratica della parità, anima stessa del diritto, se ne fa, anzi, beffe corrompendo il vivere civile e alienando i rapporti tra le persone, tra i sessi, tra le nazioni limitando, fino ad annullarlo, spesso, il valore del principio universale di offrire a tutti gli individui i medesimi punti di partenza, le stesse opportunità.

E allora via le donne; via, dietro agli uomini in un rapporto costante di sussidiarietà se non di dipendenza; via i diversi per colore, per etnia, religione o orientamento sessuale; via, dietro ai benpensanti, impauriti di dover dividere il tanto ricevuto (anche nel godimento dei diritti) con chi quotidianamente è obbligato a ricercare nelle norme l’affermazione del diritto al rispetto dei suoi diritti.

Se questo è il quadro, ecco dunque che è necessario fare una forzatura – innanzitutto culturale - superando la fase della parità tra gli individui (mai completamente realizzata, in verità) per passare al livello superiore dell’uguaglianza sapendo che, nel tendere al principio di égalité la possibilità di un fallimento è sempre presente.

L’uguaglianza, infatti, non è solo un concetto, è un modo d’essere, uno stile di vita, il fine supremo cui giungere; è questo che la rende così speciale perché assai vulnerabile e continuamente negoziabile; essa – per dirla come il Bardo di Stratford-upon-Avon – è fatta della stessa sostanza di cui sono intessuti i sogni. Ma il Sogno, l’Utopia è sempre ciò che spinge l’umanità in avanti, basta crederci, fermamente.

Aumentate nel 2014 le dimissioni femminili: una su 2 abbandona dopo il primo figlio

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Sono aumentate nel 2014 le donne che si dimettono dal lavoro e, tra loro, più di una su due lo fa dopo la nascita del primo figlio perché l'occupazione lavorativa e esigenze di cura dei figli sono 'incompatibili'. Emerge dal monitoraggio annuale svolto dall'Ufficio della consigliera nazionale di parità e dalla direzione generale per l'Attività Ispettiva del ministero del Lavoro, che Labitalia è in grado di anticipare e che sarà diffuso il 4 giugno. Il rapporto evidenzia che nel 2014 si sono registrate dimissioni e relazioni consensuali di 26.333 lavoratrici e lavoratori (+11,27% rispetto alle 23.666 del 2013). Ma il dato riguarda per la quasi totalità (85%) delle madri: sono ben 22.480 le dimissioni delle mamme (+5,62% rispetto alle 21.282 dell'anno precedente), mentre il numero dei lavoratori padri che si sono dimessi o hanno consensualmente risolto il rapporto di lavoro appare piuttosto contenuto (3.853). Alla base dell'abbandono del posto di lavoro o della transizione verso una soluzione più favorevole (cosa che ha interessato però solo meno di un quarto delle dimissionarie), e in alcuni casi anche verso il lavoro sommerso, oltre alla congiuntura economica, c'è "una persistente difficoltà di conciliare i tempi di vita e di lavoro", soprattutto nella fascia di età tra i 26 e i 35 anni (età del 57% di chi si dimette dal lavoro). E la gran parte delle donne che si dimette dal lavoro lo fa dopo la nascita del primo figlio: ben 14.379 lavoratrici hanno abbandonato un lavoro dopo la prima maternità. I motivi, che sono stati raccolti attraverso una rilevazione che ha cercato di scavare a fondo tra le lavoratrici, sono sostanzialmente quattro: l'incompatibilità tra il lavoro e la cura dei figli, l'elevata incidenza dei costi di assistenza al neonato, il mancato accoglimento al nido, l'assenza di parenti di supporto. Quello che il monitoraggio evidenzia è che le donne di fronte alle difficoltà di

conciliazione tra tempi di lavoro e tempi di cura 'stringono la cinghia' e preferiscono prendersi cura a tempo pieno del loro bambino a scapito di reddito e carriera. Ed è corretto parlare di 'bambino' e non 'bambini' perché la media della natalità nel nostro Paese è di meno di due bambini a famiglia: è di 1,37. Dunque, quella che dovrebbe essere una priorità, cioè il lavoro, viene rimandata nel tempo. Dall'esame del report, risulta inoltre confermata la distribuzione delle risoluzioni consensuali e delle dimissioni nei vari settori produttivi, con una decisa concentrazione in quelli dove è più alto il tasso di presenza femminile: Servizi (10.038 dimissioni, pari al 38% del totale, in lieve diminuzione a fronte delle 10.219 nel 2013), Commercio (8.816, 33% del totale, 7.786 convalide nel 2013) e Industria (4.544, 17% del totale, 4.043 convalide nel 2013). (Fonte Adnkronos/Labitalia)

Violenza sulle donne: necessaria la Banca dati Nazionale sul DNA

A seguito una indagine effettuata da ADN Kronos, si è saputo che, a Milano, i cosiddetti kit anti stupro finiscono tra i rifiuti speciali. E così, chi subisce violenza e si sottopone all’esame previsto per legge, non sa che la prova peritale dell’avvenuta aggressione ( che dovrebbe essere conservata per cinque anni in freezer presso l’Istituto di Medicina Legale ), spesso finisce nella pattumiera e, dunque inservibile.

Le cause? L’inesistenza di una banca dati nazionale del DNA, prevista per legge già dal 2009 e mai attuata, costringendo, conseguentemente, l’Istituto di Medicina legale – per necessità di spazio - la cosiddetta regola degli avvicendamenti per cui i reperti dei casi di violenza sessuale più vecchi (per intenderci, quelli risalenti agli anni 2009/2013) vengono distrutti per fare largo, nei congelatori, a quelli più recenti. E così vanno in fumo le prove di aggressioni violente, lasciando impuniti centinaia di aggressori.

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In tutto il mondo l’esame del DNA è il fulcro di una indagine per stupro. L’Italia rappresenta l’eccezione – a nostro avviso – più mortificante e se vogliamo che il nostro Paese guardi al problema violenza sulle donne con l’attenzione, la sensibilità e la cura che tale tematica merita, è tempo che vengano messe in atto tutte le risorse politiche, strumentali ed economiche necessarie.

Si fa un gran parlare di applicazione delle norme della Convenzione di Istanbul, cercando di dare al Paese linee guida cogenti per arginare i fenomeni di violenza sulle donne. Da ultimo è stato riproposto dal Governo l’ennesimo Piano Nazionale Antiviolenza - peraltro bocciato dalla Task Force delle Associazioni maggiormente impegnate in materia e dai Dipartimenti Pari Opportunità e Politiche di genere di CGIL, CISL, UIL - e, poi, ci si perde nel classico bicchiere d’acqua perché non esiste a livello nazionale uno strumento essenziale come quello della Banca dati sul DNA.

Suggeriamo al Ministro Lorenzin di attivarsi affinché i decreti attuativi della norma sulla creazione della Banca dati sul DNA facciano il loro percorso. Ne varrà un vantaggio non solo per le vittime di violenze sessuali ma tale esame potrà corroborare con una prova certa i moltissimi episodi di criminalità tuttora irrisolti.

ULTIM’ORA

Una donna alla guida dell’Università di Oxford

Per la prima volta nei suoi 800 anni di storia l'Università di Oxford verrà guidata da una donna. Si tratta della professoressa Louise Richardson, 56 anni ed esperta di terrorismo, che sta per assumere la carica dirigenziale più alta di 'vice-chancellor' (vice-rettore), mentre il 'chancellor' (rettore) è un titolo solo onorifico attribuito a grandi personalità.

Nata in Irlanda, Richardson era in precedenza alla guida dell'Università di St Andrews in Scozia. La sua nomina appare scontata sebbene manchi ancora il via libera della Congregation, l'assemblea con compiti legislativi dell'ateneo. "Non vedo l'ora che arrivi il giorno in cui la nomina di una donna non sia più una notizia", ha affermato Richardson. (fonte Ansa)

LAVORO : In Italia sono 2.321 le donne innovatrici, che ricoprono

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cariche all'interno delle start up innovative.

Complessivamente rappresentano più del 18% del totale. La maggior concentrazione di donne innovatrici si trova nelle start innovative lombarde (23% sul totale nazionale), seguita da Emilia Romagna (12,3%) e Lazio (11,2%).

E sono poco meno di 150mila le invenzioni del nuovo millennio. Sono state infatti 147mila circa le domande di invenzioni e brevetti depositati dal 1 gennaio 2000 ad oggi in Italia, di cui 45mila in Lombardia, circa un terzo del totale. E' quanto emerge da elaborazioni dell'Ufficio Studi della Camera di commercio di Monza e Brianza, resi noti oggi in occasione della presentazione del Premio Itwiin 2015, giunto alla settima edizione, promosso dall'associazione ITWIIN-Italian women inventors & innovators e organizzato in collaborazione con il Coordinamento dei comitati per l'imprenditoria femminile lombardi, UniCredit, InnovHub e con il patrocinio di Unioncamere.

Il premio Itwiin è rivolto a imprenditrici, libere professioniste, ricercatrici, ricercatrici-imprenditrici, titolari o socie di spin-off che operino in tutti i campi scientifici, ingegneristici, tecnici e tecnologici, con particolare riferimento a salute e life sciences, Ict, energia, ambiente, ma anche arte e artigianato, moda, design, formazione. Particolare importanza sarà rivolta ai risultati in campo food, agro, bio, ambientale.

Cinque le categorie del premio nazionali, migliore inventrice, migliore innovatrice, donna eccezionalmente creativa, capacity building e alta formazione, e da quest'anno tre menzioni speciali riservate alle imprenditrici lombarde assegnate dal coordinamento regionale dei Cif lombardi.

La premiazione della miglior inventrice e della miglior innovatrice, oltre alle menzioni speciali, avverrà nel corso di una cerimonia pubblica che si svolgerà il 9 ottobre a Milano presso la sede di UniCredit. ''Ogni giorno il nostro impegno - ha dichiarato Mina Pirovano, presidente del Coordinamento dei comitati per l'imprenditoria femminile lombardi e del Comitato per l'imprenditoria femminile della Camera di commercio di Monza e Brianza- è finalizzato a far sì che le donne ricevano il giusto riconoscimento all'interno della società, delle istituzioni e della vita economica, anche se nella pratica, nella vita quotidiana, le donne hanno saputo fare di più, andando oltre gli stereotipi di genere e utilizzando a loro vantaggio la tecnologia".

"E proprio la tecnologia, più delle leggi, è riuscita a superare i pregiudizi verso le donne e a spingere inventrici, innovatrici e imprenditrici verso quella parità culturale che da troppo tempo nel nostro Paese è stata rinviata a data da definirsi. . (Adnkronos/Labitalia)

LAVORO : Crescono gli occupati e, dato rilevante, crescono le donne occupate

Sgravi contributivi e riforma del lavoro ma anche probabilmente un accenno di ripresa economica tirano la volata alla crescita degli occupati che ad aprile segnano un balzo di 159.000 unità su marzo. L'aumento é dovuto principalmente al calo degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-104.000) mentre i disoccupati diminuiscono di 40.000 unità e il tasso scende di 0,2 punti al 12,4%. Dati positivi arrivano anche dal primo trimestre con 133.000 posti in piu' e 145.000 disoccupati in meno rispetto a un anno prima, grazie soprattutto alla permanenza al lavoro della fascia di età piu' anziana che ha subito la stretta delle regole per l'accesso alla pensione. Ecco

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in sintesi la fotografia Istat sulla situazione del mercato del lavoro.

OCCUPAZIONE FEMMINILE - Ad aprile si è verificato un boom della crescita dell’occupazione femminile che è aumentata di 159.000 unità rispetto al mese di marzo, +0,9% contro il + 06% degli uomini .

Differenze ancora più accentuate su base tendenziale (+261.000 occupati il dato complessivo) con 187.000 donne in più al lavoro (+2%) a fronte di 74.000 maschi in più (+0,6%). Rispetto ad aprile 2014 l'aumento dell'occupazione ha pescato tra gli inattivi, diminuiti di 328.000 unità

LIEVE MIGLIORAMENTO PER GIOVANI: Il tasso di disoccupazione giovanile scende ad aprile di 1,6 punti percentuali rispetto a marzo ma aumenta di 0,3 punti su aprile 2014 attestandosi al 40,9%. Se si guarda al primo trimestre il tasso di disoccupazione dei giovani scende dal 46,2% al 44,9%

PIU' ANZIANI AL LAVORO: nel primo trimestre a fronte di 133.000 occupati in più nel complesso si registra un aumento di 267.000 unità al lavoro nella fascia degli over 55 soprattutto grazie all'irrigidimento delle regole previste dalla riforma Fornero per l'accesso alla pensione (con un tasso di occupazione che sale in un anno per la fascia 55-64 anni dal 44,9% al 47,5%). Mentre si riduce il tasso di occupazione per la

fascia 15-34 anni aumenta lievemente quello della fascia 18-29 anni (dal 33,5% al 33,7%).

RISALE OCCUPAZIONE ANCHE A SUD: L'occupazione nel primo trimestre cresce dello 0,6% nel complesso con una punta al Sud (+0,8% pari a 47.000 unità in più), un aumento dello 0,6% al Nord e un +0,3% al Centro. Nel Sud comunque il tasso di occupazione resta di oltre 20 punti inferiore al Nord (al 41,7% contro il 64,1%) mentre il tasso di disoccupazione è più che doppio (il 20,5% a fronte del 9% del Nord e del 13% complessivo). Nel complesso il tasso di disoccupazione nel trimestre è al 55,5%.

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PIU' STRANIERI CHE ITALIANI: l'aumento dell'occupazione nel primo trimestre ha Riguardato prevalentemente gli stranieri con 83.000 occupati in più (+50.000 per gli italiani). Il tasso di occupazione degli stranieri però diminuisce dal 57,4% del primo trimestre 2014 all'attuale 57,1%.

CRESCONO AGRICOLTURA E SERVIZI,GIU' INDUSTRIA: gli occupati in agricoltura aumentano nel primo trimestre del 6,2% con 45.000 unità in più su aprile 2014. Gli occupati nell'industria in senso stretto flettono dello 0,9% (-42.000 unità) mentre nel terziario si registra un aumento dell'1% (+147.000 unità).

CRESCE LAVORO DIPENDENTE, SOPRATTUTTO A TERMINE:

Nel primo trimestre il lavoro dipendente e' aumentato di più di quello indipendente (+0,7% tendenziale a fronte di un +0,5%). Gli occupati dipendenti sono cresciuti di 107.000 unità mentre gli indipendenti hanno segnato un +25.000 unità. Il lavoro dipendente permanente è aumentato di 36.000 unità (+0,2%) mentre quello a termine è cresciuto di 72.000 unità (+3,5%). Il lavoro dipendente resta al 75% del totale (65,3% il lavoro dipendente permanente in calo dal 65,6% del primo trimestre 2014). (fonte ANSA)

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Numero 4-5 2015

Redazione M. Grazia BrinchiStefania GalimbertiGisella Mei

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