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  • 8/16/2019 Movimento 77

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    Claudia Salaris

    IL MOVIMENTO DEL SETTANTASETTE

    Linguaggi e scritture dell’ala creativa  pp. 144 cm. 14x21 (prima edizione: Gennaio 1997)

    Questo studio mette in luce la continuità tra le espressioni delle avanguardie

    artistiche e i modi comunicativi di indiani metropolitani, maodadaisti,trasversalisti e cani sciolti del movimento del ’77. L’autrice è un’esperta instoria e letteratura del futurismo e delle avanguardie artistiche.

    RASSEGNA STAMPA:

    “Millenovecentosettantasette, Attraversare l’avanguardia, Futurismo, Gioco/Impegno, Cento fogli,Dipingersi il volto, La Festa, Fine del lavoro. Titoli (parlanti) di questo bel saggio di una studiosaexpertissima di lettere e arti d’avanguardia. E si capisce che la Salaris è interessata all’aspetto creativo,all’anima futur-dada del (primo) Movimento del ’77 (indiani metropolitani e dintorni): do you remember

    Roma - prima di Lama!, prima! -, università, scritta gigantesca Asor Rosa sei un palindromo? Vent’annifa.” Gabriella Urbani, Avvenimenti, 26 Febbraio 1997

    “In primo piano Claudia Salaris - che è una raffinata studiosa delle avanguardie, in particolare delfuturismo - porta le fiammate effimere quanto intense di quel movimento dai mille rivoli e dalle milleanime che nacque e morì nel ’77: gli sberleffi, i nonsense, il gusto del paradosso, il teatro di strada, i cortei- performances con canti, balli, volti dipinti.” Liliana Madeo, La Stampa, 2 Gennaio 1997

    “L’autrice, esperta di avanguardie artistiche, analizza le innumerevoli pubblicazioni che in quel breve arcodi tempo nacquero e morirono, per proporre un parallelo intrigante col futurismo.” Stefano Galieni, Avvenimenti, 25 Giugno 1997

    “La preoccupazione che emerge nel libro della Salaris sul movimento del ’77 è quella di dare un supportostorico, un riferimento culturale ‘nobile’, in quanto già storicizzato, a un movimento che dal punto di vistacreativo ha prodotto moltissimo per scomparire poi travolto dalla damnatio memoriae degli anni del‘terrorismo’” Carla Pagliero, L’Indice, Ottobre 1997

    “É uno studio colto e puntuale delle pratiche comunicative dell’epoca, intrecciato a precisi riferimenti alleavanguardie artistiche del Novecento e condotto sulle numerose riviste del movimento.” LoredanaLipperini, la Repubblica, 12 Febbraio 1997

    “No, il movimento del ’77 non può essere liquidato, rimosso, solo come l’apice degli anni di piombo. Éstato qualcosa d’importante per una generazione che stava cambiando pelle: stava abbandonando le divisedell’ideologia marxista-leninista per liberare delle energie creative che però, purtroppo, non hanno trovato

    forma. il libro di Claudia Salaris, storica delle avanguardie e del Futurismo, riesce a ricostruire i variframmenti di quell’identità culturale infranta.” Carlo Infante, Letture, Aprile 1997

    “Vent’anni dopo, la rilettura dell’impresa di D’Annunzio a Fiume come invenzione della ‘festa’settantasettina appare molto meno scandalosa di allora, e inserisce questo volume nella scia delle ricerchedi Greil Marcus o Stewart Home sui legami segreti tra le rivolte di questo secolo.” A. Pi., Il Manifesto, 9Febbraio 1997

    RETRO-COPERTINA:

    Sulla scia dell’onda lunga del Sessantotto, in Italia esplose il movimento del Settantasette, assumendocaratteristiche nuove rispetto ai precedenti fenomeni di contestazione giovanile. Tra indiani metropolitani,trasversalisti, maodadaisti, parodisti e cani sciolti, si manifestava infatti una componente creativa che,

    recuperando la lezione delle avanguardie artistiche, metteva in discussione il gergo politico e l’usoconsuetudinario della lingua e della comunicazione. Come notò Umberto Eco, la pratica dellamanipolazione eversiva dei linguaggi e dei comportamenti era uscita dal laboratorio specialistico e dal

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    recinto dell’arte per diventare patrimonio d’una generazione di mutanti, cresciuti nella velocitàmassmediatica, che si esprimevano con un linguaggio dissociato, privo di nessi logici, ironico,immaginista. In questa tensione espressiva, subito ridotta al silenzio negli anni di piombo, si rispecchiavanoin modo sia pure confuso e caotico i segni della transizione alla società post-industriale e l’enorme sviluppodelle tecnologie della comunicazione. Gli umori del tempo affiorano dalle riviste del movimento,accomunate dalle stesse graffianti pratiche di scrittura e da nuovi metodi compositivi con cut-up di giornali

    e impaginazione libera dalle gabbie tipografiche.Attraverso un raffronto diretto di testi, da questo studio emerge l’esistenza di una continuità tra i codicidelle avanguardie artistiche e le modalità espressive dei soggetti desideranti del movimento delSettantasette.

    Claudia Salaris è un’esperta della storia e della letteratura delle avanguardie artistiche. Ha pubblicato tral’altro: Storia del Futurismo (1985); Filippo Tommaso Marinetti (1988); Marinetti Editore (1990); Artecrazia (1992); Dizionario del futurismo (1996).

    INDICE:

    Millenovecentosettantasette

    Attraversare l'avanguardiaFuturismoGioco/impegnoCento fogliDipingersi il voltoLa festaFine del lavoro

    UN ESTRATTO:

    Millenovecentosettantasette

    Giunse all'improvviso nel mese più corto dell'anno e presto gonfiò come un fiume in piena, salutato come il

    nuovo Sessantotto. Attraversò la primavera fulmineo e tumultuoso, poi rallentò la sua corsa con l'estate efinì in un grande happening-convegno bolognese alla fine di settembre.Il movimento del Settantasette come tutte le fiammate fu effimero ma intenso, tra occupazioni universitarie,assemblee-festa, autocoscienza collettiva, improvvisazioni, ironia e teatro di strada, cortei-performance concanti e balli, volti dipinti, ma anche una pratica di violenza in piazza come non s'era mai vista prima. Lafoto del ragazzo col passamontagna calato come una celata che, a gambe divaricate, punta una pistola,rimbalzata su tutti i giornali, disse con drammatica e icastica evidenza quale era il carattere di questa ondatadi rivolta, connotata da individualismi sconosciuti alla tradizione della sinistra "regolare", ma forse paradossalmente non distanti dall'intenzionalità oltranzista - certo tutta teorica, metaforica e dunque noncolpevole - dell'"azione surrealista più semplice", che "consiste, rivoltella in pugno, nell'uscire in strada esparare a caso, finché si può, tra la folla" (André Breton, Secondo manifesto del surrealismo, 1930).Difficile è tornare, vent'anni dopo, a quella stagione che è stata messa in ombra dai tragici sviluppi neglianni di piombo. Rimosso, dimenticato spesso dagli stessi protagonisti, questo movimento ha avuto un

    destino ben diverso dal suo antecedente, il Sessantotto, ampiamente recuperato e storicizzato. Già all'epocaqualcuno disse che rispetto a quest'ultimo il Settantasette era il figlio che aveva solo i difetti del padregeniale; né si escluse, nelle prime analisi a caldo, che proprio per il suo spontaneismo libertario essoavrebbe potuto sfociare verso esiti nefasti. Ma come il futurismo (a cui è stato spesso paragonato) non puòessere considerato responsabile dell'avvento del fascismo, così questo movimento non andrebbe giudicatocol senno di poi.A sfogliare le cronache del tempo si ha l'impressione di un periodo remoto, d'un ciclo storico concluso;lontane da noi sono le forze in campo: da un lato il compromesso storico, il governo di solidarietà nazionalecon cui il ceto politico imponeva regole allo sviluppo della società italiana, la linea dei "sacrifici", dall'altroun movimento molecolare che provvisoriamente riunì i non-garantiti, raggruppati nei Circoli proletarigiovanili o nelle università, femministe, organizzazioni autonome, democratico-rivoluzionari eredi delSessantotto, freak ecc., una composizione eterogenea che Alberto Asor Rosa definì la "seconda società",sradicata dalla "prima società", produttiva e garantita ( Le due società, Einaudi, Torino 1977).

     Non si trattava solo di emarginazione quanto anche di una scelta di autoemarginazione: la critica aicomportamenti sociali, ai valori consuetudinari, alla famiglia (sperimentata già nei centri del proletariatogiovanile, nelle comuni e nelle occupazioni di case), il rigetto dell'obbligo al lavoro fisso erano tuttielementi che conducevano tali strati al di fuori della sinistra ufficiale. Per questo essi incontrarono

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    incomprensione e rifiuto, anche se dopotutto la negazione dell'etica del lavoro non era nuova (vanta illustriantecedenti: da Virgilio a Cristo, da Rabelais a Diderot, fino a R.L.Stevenson e Paul Lafargue, genero diMarx, che esaltò il diritto all'ozio come tempo liberato dalle sordidae artes).Scrittori, filosofi, ideologi intrecciarono sulle pagine dei giornali dialoghi a distanza sulla paura e il sensodi catastrofe che la crisi politica, culturale ed esistenziale stava alimentando. La contrapposizione tra tutoridell'ordine e garantisti, tra consenso e dissenso, tra sì e no al compromesso storico, si trascinò in polemiche,

    che misero l'un contro l'altro intellettuali appartenenti alla stessa area e addirittura allo stesso partito(Leonardo Sciascia, l'"eremita" dissenziente, contro Edoardo Sanguineti, la "sentinella" in difesa del partito). E se Eugenio Montale, dall'alto della sua età e della sua fama, espresse dubbi sulla difesa a oltranzadello Stato - per questo dispiacque a Italo Calvino, ma trovò solidarietà in Sciascia - Norberto Bobbioscrisse sulla inevitabilità di essere pessimisti e Giorgio Amendola bollò invece con il termine di"nicodemiti" tutti gli intellettuali che, non prendendo posizione, si rifiutavano di difendere le istituzioni(dotta metafora derivata da un episodio del Nuovo Testamento, dove si narra della visita a Gesù che uncerto Nicodemo fece di notte per paura).Tutto questo avveniva mentre le principali città erano il teatro di manifestazioni anche violente, a cui ilgoverno rispondeva con lo stato d'assedio e le autoblindo per le strade, e decollava l'improbabile teoria del"complotto", in base alla quale gli eventi di piazza sarebbero stati manovrati nell'ambito di un più generale piano di destabilizzazione. Ma esprimevano solidarietà al movimento Jean Paul Sartre, Michel Foucault,Félix Guattari, Gilles Deleuze, Roland Barthes, Philippe Sollers e altri, firmando un appello contro la

    repressione. E perfino il teorico del "villaggio globale", Marshall McLuhan, di passaggio in Italia, sisforzava di capire quella generazione di mutanti, cresciuti di fronte alla televisione, poco inclini alla letturasolitaria, ma protesi verso l'azione (secondo modalità per altro prefigurate da Marinetti nella sua visionedell'"uomo moltiplicato per opera propria, nemico del libro, amico dell'esperienza personale", in "Contro i professori", 1910).Giungeva ad esaurimento (ma lo si sarebbe capito dopo) la spinta propulsiva del moderno e quell'intrecciodi rivolta e disperazione, creatività e rifiuto della politica, non era che l'ultimo sussulto di un'onda lungarivoluzionaria irrimediabilmente tramontata. Questa contestazione non si poteva inquadrare nelle categoriedei movimenti precedenti, ma si poneva in sintonia con il nichilismo dei punk inglesi, col lugubre "no future" dei Sex Pistols, che cantando l'impossibilità di un futuro riflettevano il clima dell'epoca, queltramonto dell'occidente moderno con i suoi modelli culturali, economici, politici nel passaggio all'era postindustriale.Le culture alternative registrarono più o meno consapevolmente il transito verso una società fredda, sempre

     più dominata dall'elettronica e dall'informatica. Ebbero il presentimento di una glaciazione. Venute meno lecertezze personali e collettive, l'assenza di un domani induceva a vivere l'attimo presente nella sua effimeraconcretezza, il vivre sa vie del bandito anarchico Bonnot. Negli anni '60, epoca del boom economico, la corrente di controcultura - in cui si collocavano le comunihippy e i movimenti studenteschi col loro carattere antagonistico - aveva espresso sicurezza e fiducianell'avvenire e proprio per questo essa costituiva, in un certo senso, l'altra faccia del benessere. Ma neldecennio seguente mutò radicalmente il quadro di riferimento economico e politico, con la crisi economica,energetica, in cui si ridisegnava uno scenario con una diversa prospettiva di futuro.I gruppi extraparlamentari storici erano andati incontro a una crisi profonda verso la metà degli anni '70: siera sviluppata l'area dell'autonomia, che, uscita dai cancelli dell'officina si allargava al territorio. In questoclima si erano formati i Circoli proletari giovanili, che, investiti dall'urgenza di un nuovo modo di far politica, mettevano al centro dei loro interessi la priorità dei bisogni, recuperando la festa e il concerto rockcome momenti alternativi di socializzazione e praticando nuove forme di contestazione, tra cui la riduzione

    del prezzo dei biglietti del cinema o l'esproprio nei negozi di lusso e supermercati. Reclamando attraverso il paradossale "diritto al caviale" l'accesso al superfluo, i Circoli rifiutavano la politica dei sacrifici, checolpiva non già le classi abbienti ma le masse popolari. L'assedio notturno del "proletariato giovanile" alla prima della Scala, nel dicembre del '76, preceduto da un grande happening alla Statale di Milano, in cuiveniva chiamata a raccolta "tutta la gioventù creativa", al grido di "abbiamo dissotterrato l'ascia di guerra"(come si legge nel manifesto di convocazione), rappresentò l'ouverture  di ciò che stava per nascere. Amettere in allarme le università fu sufficiente una circolare del ministero della pubblica istruzione, chelimitava la liberalizzazione ottenuta con le lotte del Sessantotto, bastò poi un'incursione dei fascistinell'ateneo romano a far prender fuoco alle polveri, la mattina del 1° febbraio. La facoltà di lettere venneoccupata e la rivolta si estese alle università di molte altre città.Confluivano in questa ondata di ribellione le esperienze e riflessioni condotte negli anni precedenti: ilsuperamento della distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, avviato dal femminismo con la messa afuoco del "personale politico", il rigetto dell'impegno politico inteso come volontarismo alienante, la critica

    delle gerarchie, il "rifiuto del lavoro" come unica dimensione dell'esistenza, e dunque la non riducibilitàdella vita all'economia, il bisogno di tempi e luoghi liberati dove comunicare e creare nell'orgoglio della propria alterità, un desiderio di comunismo fatto non solo di "pane" ma anche di "rose".

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    La consapevolezza che il Settantasette rappresentasse uno strappo rispetto al Sessantotto, pur derivandone,induceva il gruppo di Radio Alice a formulare in questi termini un primo bilancio (da un volantino,novembre 1977):

    Il movimento del '77 segna una frattura, parte dal '68 e rompe col '68, segna la fine della teoria del soggettorivoluzionario per lasciare posto ai "mille soggetti", segna la crisi pratica della "forma partito" come forma

    di organizzazione; dalla crisi dei "gruppi" riaffiora la povertà della politica e la ricchezza della vita, dallafine della militanza emerge l'iniziativa autonoma su pratiche specifiche. Mille gruppi, mille forme diorganizzazione adeguate alle pratiche di appropriazione e, tra queste, un terreno della riappropriazione,quello dell'informazione. Sul terreno dell'informazione il movimento scopre la possibilità di approfondire lacrisi della forma partito e inventa nuove funzioni di organizzazione.

    Dopo molti anni, rimproverando alle forze politiche una sordità che impedì di comprendere le potenzialitàantisistema di quella rivolta, Asor Rosa scriverà ("Le due sordità", in L'Espresso, 18 gennaio 1987):

    [...] i partiti si comportarono di fronte al movimento come quei selvaggi che prendono a calci l'onda chesale sulla spiaggia, gridando: "Via, via!"; perché non hanno ancora capito che esiste un fenomeno che,scientificamente parlando, si definisce "marea". Questo, ripeto, valse per tutti i partiti; ma in maniera, senon più cospicua, certo necessariamente più grave per il Pci. [...] Scoprire che anche il Pci metteva innanzi

    a tutto la difesa dell'"ordine costituito" [...] rappresentò invece un trauma per molti. Rammento che lasciagurata "teoria del complotto", con cui la condanna indiscriminata del movimento fu sanzionata, è, cometante altre cose, scomparsa lentamente nel buio, senza essere mai stata seriamente autocriticata. Il 1977,dunque, esprime per me il momento in cui la lacerazione, già latente nel paese, tra forze rappresentate (osovra-rappresentate) e forze poco rappresentate (o nient'affatto rappresentate), tra organizzazione e non-organizzazione, tra sistema dei partiti e realtà sociali marginali (o, per così dire, tradizionalmente noncentrali), esplode in maniera clamorosa.

     Nell'intreccio tra linguaggi d'avanguardia e politica, tra creatività diffusa e azione di piazza, checaratterizzò quel movimento, non pochi osservatori videro subito reincarnarsi lo spettro del futurismomarinettiano e l'oltranzismo antiriformista della sinistra irregolare con Georges Sorel el'anarcosindacalismo, correnti che erano state all'origine del fascismo. Il punto debole fu proprio la politica;infatti il movimento trascinò con sé molta zavorra ideologica, tanto da apparire bifronte per due modi

    d'essere reciprocamente opposti, ma coesistenti: quello dell'ala dura, che introdusse un alto livello diviolenza nel tenere la piazza, e l'altro costituito dai cosiddetti creativi (Indiani metropolitani, maodadaisti,trasversalisti, parodisti ecc.), che posero all'attenzione la questione di un nuovo linguaggio, dicomportamenti e modalità di comunicazione mai visti prima di allora nell'universo della politica.Le pratiche sperimentali di sovversione linguistica delle avanguardie artistiche erano uscite dal laboratoriospecialistico per divenire codice del mondo giovanile politicizzato, lasciando spiazzati non solo i militantitradizionali, ma anche gli esperti del costume e della comunicazione, che tentarono le prime analisi, tra cuiUmberto Eco, il quale subito interpretò la manipolazione linguistica che emergeva dalle espressionicreative dei "nuovi barbari" come "l'ultimo capitolo della storia delle avanguardie" (id., Sette anni didesiderio, Bompiani, Milano 1983).Ma come era avvenuto il travaso di linguaggi dall'alto in basso? Per quali vie e infiltrazioni misteriose siera realizzato il passaggio del codice, per cui le giovani generazioni, allevate nella velocità massmediatica etecnologica, si esprimevano più o meno consapevolmente secondo le indicazioni di Marinetti, Tzara e

    Breton, ovvero con illogicità, sintesi, corti circuiti analogici, automatismi e spontaneità? Maurizio Calvesidisse che era nata un'"avanguardia di massa" ( Avanguardia di massa, Feltrinelli, Milano 1978),sottolineando che se da un lato l'arte stava diventando un genere di largo consumo, dall'altro la protestagiovanile si intrecciava con il bisogno di una creatività diffusa a livello basso. Proprio laddove massima erala distanza dal mondo produttivo, nelle sacche della disoccupazione giovanile o del precariato intellettuale,montava un fronte del rifiuto, che, esaltando la propria separatezza, recuperava più o menoconsapevolmente gli stilemi avanguardistici per farne i modelli di una prassi esistenziale alternativa e daquesto punto di vista era evidente la sintonia con l'estremo fine delle avanguardie, quellodell'autosuperamento, dell'annullamento dell'opera nel vivere e nel fare quotidiano.È utile dunque chiedersi se dopo vent'anni l'ipotesi di una continuità, da intendersi non tanto come identità,che sarebbe assurda, ma come diversità nell'ambito di fenomeni storico-politici certamente dissimili e conmatrici e finalità diverse, possa essere confermata, e al tempo stesso verificare come quella logica delsuperamento dell'arte, tipica delle avanguardie artistiche, a un certo punto sia fuoriuscita dalle secche del

    mercato, investendo i movimenti giovanili.La tendenza al superamento rivoluzionario dell'arte, presente nel futurismo, nel Dada e nel surrealismo,viene portata alle estreme conseguenze dal situazionismo, che riprende alcune tecniche creative delleavanguardie storiche per adattarle alla realtà della metropoli globale (deriva, détournement , gioco,

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     psicogeografia). Il futurismo voleva gli "artisti al potere", il surrealismo ha poi indicato la viadell'"immaginazione al potere" e il situazionismo traduce questa rivendicazione nella logica dei movimenti,svolgendo per altro un ruolo significativo nel '68 e influenzando, attraverso la mediazione della culturaunderground  e del "negazionismo", il movimento del '77, dove questo pensiero, fino a quel momentosotterraneo e minoritario, si manifesta in atteggiamenti di massa, negli slogan ironici degli Indianimetropolitani, nel gusto per il paradosso, nel denunciare il mondo illusionistico dei mass-media, nel leggere

    i meccanismi del consenso.Da questo punto di vista l'esplosione creativa del '77 può essere considerata come l'ultimo falòdell'avanguardia. Dopo tale data, infatti, le avanguardie (in alto) diverranno piuttosto la meta perrivisitazioni nostalgiche e recuperi citazionistici, ponendosi come un evento lontano e inevitabilmenteconcluso, da riattraversare con la fascinazione della memoria, e (in basso) filtreranno come revivalnell'universo giovanile (dalla musica al fumetto), nella pubblicità, nel design e nella moda.Le espressioni creative del Settantasette rappresentano l'estremo tentativo di superare quella separazionetra piano della creatività e livello dell'esistenza sul fronte della trasformazione sociale.Attore di questo mutamento, sostenevano i teorici dello stesso movimento, era il nuovo proletariato dellacreatività e dell'intelligenza, che sentiva come centrale la liberazione del tempo umano dalla necessità dellavoro industriale, resa possibile dallo sviluppo dell'automazione. L'analisi aveva non pochi punti dicontatto con analoghe ipotesi avanzate da Marinetti, che aveva scritto in "Al di là del Comunismo" (1920,in id., Teoria e invenzione futurista, Mondadori, Milano 1968, p. 422):

    Il proletariato dei geniali, collaborando collo sviluppo del macchinario industriale, raggiungerà quelmassimo di salario e quel minimo di lavoro manuale che, senza diminuire la produzione, potranno dare atutte le intelligenze la libertà di pensare, di creare, di godere artisticamente.

     Pensare, creare, godere, termini tornati d'uso nella rivoluzione desiderante del '77, assieme allo slogan"lavorare meno lavorare tutti", un'idea che nella lunga durata non è risultata poi così velleitaria (comeinvece all'epoca sembrava), dato che oggi viene recuperata dagli economisti tra le soluzioni possibili per bilanciare sul piano sociale i rischi dello sviluppo.Le radici culturali del movimento affondavano in un amalgama di marxismo rivisitato con le teorie espresseda Guattari e Deleuze ne L'anti-Edipo, tra recuperi del pensiero negativo (anche attraverso la rilettura di Nietzsche fatta dallo stesso Deleuze), l'aggancio al dada-surrealismo e al futurismo, nella interpretazione diMajakovskij, che rappresentò il tentativo di superamento dell'arte nell'ottica rivoluzionaria, represso dallo

    stalinismo. Scriveva Bifo (Franco Berardi) nell'articolo "Dalla masse alle masse" (in A/traverso, febbraio1977):

    Il dadaismo voleva rompere la separazione fra linguaggio e rivoluzione, fra arte e vita. Rimaseun'intenzione perché Dada non era dentro il movimento proletario, e il movimento proletario non era dentroDada. [...] Il maoismo ci indica il percorso dell'organizzazione non come ipostatizzazione del soggetto-avanguardia, ma come capacità di sintetizzare i bisogni e le tendenze presenti nella realtà materiale.

    Lo sviluppo dell'informazione, la diffusione delle reti di comunicazione, che allora trovava nelle radiolibere un primo esempio d'applicazione sperimentale, sembravano i mezzi atti a rendere possibile la vecchiautopia dell'avanguardia di abolire la separazione tra arte e vita quotidiana. Lo noterà Bifo a dieci anni daquella esperienza ( Dell'innocenza. Interpretazione del settantasette, Agalev edizioni, Bologna 1989, p. 64):

    Secondo l'ipotesi maodada, dunque, lo sviluppo delle forme di comunicazione, lo sviluppo delle tecnologie postindustriali e la diffusione delle reti di comunicazione [...] rende possibile l'inverarsi della vecchia utopiadadaista: abolire l'arte/abolire la vita quotidiana, abolire la separazione tra arte e vita quotidiana. Tramite ladiffusione di tecnologie comunicative pervasive e policentriche, questo progetto diveniva realizzabile, praticabile da parte di soggetti proliferanti di base. Un vasto movimento fece propria questa intuizione, edin maniera forse troppo spontaneista cominciò a tradurla in realtà.