mondo cifa - adozione insieme (marzo 2010)

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EDITORIALE PRIMOPIANO COOPERAZIONE ADOZIONE RUBRICHE 1 Mond Mond o o Adozione Insieme Adozione Insieme EDITORIALE: Non è un reality show... PRIMO PIANO: Infanzia, partecipazione e cittadinanza COOPERAZIONE: Perù: istruzione, lavoro e dignità, Indonesia: partner locale ADOZIONE: Colombia e Guatemala, Questi occhi hanno visto... RUBRICHE: Psicologa: giocare è una cosa seria, Letture: Figlia della guerra Infanzia e Infanzia e partecipazione partecipazione a pagina 5 a pagina 5 Adozione: Colombia Adozione: Colombia e Guatemala e Guatemala a pagina 25 a pagina 25 Giocare è una Giocare è una cosa seria... cosa seria... a pagina 31 a pagina 31 Perù: la dignità Perù: la dignità negli occhi dei bambini negli occhi dei bambini a pagina 9 a pagina 9 ANNO IX - N° 1 - Marzo 2010 - Sped. in abb. post. Legge 662/96, art. 2, Comma 20/c D.C./D.D./Asti - Copia Omaggio

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Il giornale di Cifa Onlus, mensilità di Marzo 2010 - Cifa ONG magazine, March 2010 issue

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EDITORIALE: Non è un reality show...PRIMO PIANO: Infanzia, partecipazione e cittadinanza COOPERAZIONE: Perù: istruzione, lavoro e dignità, Indonesia: partner localeADOZIONE: Colombia e Guatemala, Questi occhi hanno visto...RUBRICHE: Psicologa: giocare è una cosa seria, Letture: Figlia della guerra

Infanzia e Infanzia e partecipazionepartecipazione

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Anno IX - N° 1Marzo 2010

Direttore EditorialeGianfranco Arnoletti

Direttore ResponsabileElena Volponi

Redattori e CollaboratoriGianfranco Arnoletti, Luigi Bisceglia, Daniele De Flo-rio, Giuseppe De Luca, Barbara Di Cursi, Ambra Enrico,Beatrice Gemma, Paola Gramegna, Pierre Legros, Marco Pastori, Gianpietro Schibotto, Ahmad Sofi an.

Fotografi eAmbra Enrico, Tutik Fissore, Michela Fornasero, IFEJANT, Marco Pastori, Marco Scarpati, Taing Thea-rith, Sok Yuon, Silvio Zagli.

Progetto grafi co e impaginazioneDaniele De Florio

StampaBerrino Printer - Torino

EditoreCIFA Onlus - Organizzazione Non GovernativaVia Ugo Foscolo, 3 - 10126 TorinoTel. 011.433.80.59 - 011.430.88.53Fax 011.433.80.29E-mail: [email protected] Sito web: www.cifaong.it

Autorizzazione Tribunale di Torino n. 3633 del 25/02/1986. Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa richiesta in data 27/04/1998. Spedizione in abbonamento postale Legge 662/96, articolo 2, comma 20/c - C.R.P. Asti C.P.O.È vietata la riproduzione anche parziale di testi e illustrazioni. Tutto il materiale ricevuto (testi e fotografi e) anche se non pub-blicato non verrà restituito. Ai sensi della Legge 675/96 sulla tutela dei dati personali, i dati forniti dai sottoscrittori degli ab-bonamenti verranno trattati in forma cartacea ed automatizzata e saranno utilizzati esclusivamente per l’invio del giornale og-getto di abbonamento o di altre nostre testate come copie saggio e non verranno comunicati a soggetti terzi. Il conferimento dei dati è facoltativo ed è possibile esercitare i diritti di cui all’art. 13 facendone richiesta al responsabile trattamento dati: CIFA ONG.

La foto di copertina è di Humberto Grovas.

Sommario

EDITORIALE

Non è un reality show... .....................................pag. 3

PRIMO PIANO

Infanzia, partecipazione e cittadinanza ...........pag. 5

COOPERAZIONE

Istruzione, lavoro e dignità ................................pag. 9Diario: la metropoli assetata ............................pag. 13Focus Cambogia ................................................pag. 15Partner locale: PKPA ........................................pag. 21Tutti i progetti in corso .....................................pag. 24

ADOZIONE

Colombia e Guatemala ....................................pag. 25Questi occhi hanno visto... ..............................pag. 29

RUBRICHE

L’angolo della psicologa ..................................pag. 31Letture ................................................................pag. 34

Contattaci

TORINOVia Ugo Foscolo, 3 - 10126 TorinoTel. 011.433.80.59 - 011.430.88.53Fax 011.433.80.29E-mail: [email protected]

VENEZIAVia Bastia Fuori 4 int. 9 - 30035 Mirano (VE)Tel. 041.570.27.79Fax 041.572.74.69E-mail: [email protected]

ANCONAVia Galileo Galilei, 4 - Falconara (AN)Tel. 071.590.30.00Fax 071.916.63.99E-mail: [email protected]

ROMAVia Machiavelli, 60 - 00185 RomaTel. 06.444.09.91Fax 06.49.38.27.99E-mail: [email protected]

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Non è un reality show...

Cari amici,

Come molti di voi avranno visto o sentito, nel mese di Febbraio è iniziato su La7 un programma tele-visivo che tutti noi speravamo, prima o poi, fosse prodotto: un programma che parlasse di adozioni internazionali, e che affrontasse l’argomento in ma-niera sincera, approfondita e in tutta la sua com-plessità.

Questo programma, che si intitola “Mamma ha preso l’aereo”, è un format completamente nuovo che non si rivolge solo alle famiglie adottive o a quelle che stanno per diventare tali, ma che ha l’ambizione di rivolgersi ad un pubblico più vasto. Un pubblico che spesso non conosce la comples-

sità di un processo adottivo internazionale con tutte le sue diffi coltà, le attese, l’articolata documentazio-ne da produrre e la gioia inesprimibile di quel mo-mento in cui si forma una nuova famiglia.

Con tutti i nostri collaboratori abbiamo deciso un anno fa di aderire a questo progetto, mettendo a di-sposizione degli autori le storie che i protagonisti hanno liberamente deciso di raccontare e la nostra esperienza come ente autorizzato. Questo affi nché i contenuti della cosiddetta docu-fi ction (da non con-fondersi con un reality show, come purtroppo molti

giornali l’hanno defi nita), fossero il più possibile at-tinenti alla realtà.

Ideato dalla Profi le, una casa di produzione ro-mana specializzata in tematiche sociali, “Mam-ma ha preso l’aereo” ci ha conquistati sin dal primo momento.Posso confermare che nella sue autrici abbiamo

“Un format completamente nuo-vo che non si rivolge solo alle famiglie adottive o a quelle che stanno per diventare tali, ma ad un pubblico più vasto, che spesso non conosce la comples-sità di un tema tanto delicato.”

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trovato un interlocutore dalla serietà necessaria e indispensabile a trattare un tema tanto delicato.

Crediamo e speriamo, con questo prodotto tele-visivo, di essere riusciti a sfatare le tante leggende che ancora oggi, purtrop-po, circolano sul mondo delle adozioni internazio-nali. Ma perché abbiamo voluto utilizzare il mezzo televisivo?

Perché è il mezzo più immediato, può raggiun-gere un vasto pubblico e non soltanto gli addetti ai lavori o le famiglie coinvolte in prima persona. Perchè suscita l’interesse mediatico, alimenta il con-fronto e se ben utilizzato può fare “cultura”.

In una televisione pubblica e privata in cui i bam-bini sono spesso utilizzati come veicoli per comu-nicare prodotti o sentimenti standardizzati, una docu-fi ction che parla di adozioni mette sì in risalto

la fi gura del bambino, ma lo rende protagonista nel racconto della sua nuova avventura familiare.

Aldilà di questo impor-tante appuntamento, il Cifa in questi mesi sarà ancora impegnato in una serie di iniziative di ri-levo tra cui voglio ricor-dare un convegno a fi ne aprile a Torino sul tema dell’adozione internazio-nale, a cui parteciperanno numerosi esperti del set-tore, il consueto appun-tamento a Cascina San Michele per raccogliere fondi a favore dei bambi-

ni cambogiani e alcuni altri appuntamenti a livello locale e nazionale su cui vi daremo maggiori infor-mazioni attraverso il nostro sito.

Gianfranco Arnoletti

“In una televisione in cui i bam-bini sono spesso strumentaliz-zati, una docu-fi ction che parla di adozioni mette sì in risalto la fi gura del bambino, ma lo rende protagonista nel racconto della sua nuova avventura familiare.”

UN SMS PER UN SORRISO: GRAZIE!

Vogliamo ringraziare di cuore tutti coloro che hanno offerto il proprio contribuito du-rante la campagna “1 SMS per 1 SORRISO” lanciata da Cifa tra il 23 Novembre e il 3 Di-cembre 2009.

Gli operatori telefonici coinvolti (TIM, Voda-fone, Wind, 3 e Telecom Italia) hanno infatti registrato una ricezione di diverse migliaia di SMS solidali a favore del progetto di Cifa in Cambogia “Anch’io so leggere e scrivere!”

Nell’attesa di ricevere i dati completi, una sti-ma realistica dei proventi della campagna si attesta intorno ai 15mila Euro.

Con il Vostro aiuto, tanti bambini di strada sono fi nalmente tornati a sorridere!

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Infanzia, partecipazione Infanzia, partecipazione e cittadinanzae cittadinanzaUna rifl essione per i vent’anni della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia, celebrati il 20 No-vembre scorso.

Il tema della partecipazione dell’infanzia è diven-tato sospettosamente “di moda”, nei dibattiti colti così come nella “vulgata” del senso comune, fi no alle degenerazioni di certi programmi televisivi, dove i bambini vengono indotti a scimmiottare ciò che non sono, violentati da esigenze commerciali, di “share”, di “esibizio-ne” più che di “parteci-pazione”. Insomma, la presenza dei bambini e degli adolescenti, in quel-lo che potremmo chiama-re il vasto orizzonte dello “spazio pubblico”, socia-le, culturale, massmedio-logico, politico, si realizza

ancora il più delle volte nella forma di un superfi -ciale decorativismo di superfi cie, un minuetto gra-zioso di fi nta cittadinanza, patinata nella modalità di un accondiscendente paternalismo.

Ma la sostanza della proposta di una effettiva e autentica partecipazione dell’infanzia nello spazio pubblico è altra cosa e non è a costo zero, come si illudono tante anime pie o tiepidi riformisti che, mentre aggiustano i tratti delle buone maniere con i bambini, continuano a lasciare inalterati i meccani-smi che quegli stessi bambini li violentano, brutaliz-zano, strumentalizzano, affamano, uccidono.

Partiamo allora dai dati di fatto, e non da una pro-clamazione aleatoria di buone intenzioni. E i dati di fatto ci dicono che la condizione dell’infan-zia nel mondo continua, drammaticamente, a peggiorare. Peggiora per quanto riguarda le neces-sità primarie dei bambini, l’alimentazione, la salute,

“Pensare alla partecipazione dell’infanzia signifi ca rompere con la stereotipata concezione del bambino come essere incom-petente e costoso per la società.”

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la scuola... Ma peggiora anche per quanto riguarda i cosiddetti diritti di seconda o terza generazione, perchè l’infanzia è sempre più vittima di ingranaggi impietosi di emarginazione, sfruttamento, depriva-zione affettiva e invisibilità sociale.

Parlare di partecipazione dell’infanzia è dunque una sfi da, che ci interpel-la in primo luogo su un piano propriamente cul-turale. Pensare, infatti, alla par-tecipazione dei bambini e degli adolescenti, si-gnifi ca rompere con gli schemi mentali di una stereotipata concezione dell’infanzia, basata sul paradigma proprietario, sul paradigma del bambino come essere deprivato, in-competente, prescindibile, quando non decisamen-te solo ed esclusivamente “costoso” e pericoloso per la società.

Si tratta di operare nelle nostre coordinate interiori e in quelle pubbliche una vera e propria rivoluzio-ne copernicana e cominciare a vedere nei bambini e negli adolescenti veri e propri “soggetti”, vale a dire identità private e sociali competenti, imprescindibi-li, dotate di caratteristiche che non sono solo “pro-messe di una futura realizzazione” ma presenzialità

di proposte, di valori, di critiche, di progetti, di do-mande, di risorse.

Dobbiamo cominciare a concepire l’infanzia, in-somma, come un gruppo sociale permanente, capa-ce di inserirsi in un processo attivo di negozazione

e rinegoziazione. I bam-bini e gli adolescenti non sono semplici “macchine triviali” che riproducono passivamente il dato so-ciale, ma attori e protago-nisti di una vera e propria “riproduzione intepreta-tiva”, che è la fondamen-tale conditio sine qua non di ogni discorso e pratica relativi alla partecipazio-

ne infantile.

Su questa base è necessario rinnovare il contratto sociale con l’infanzia. Non basta infatti un’insie-me posticcio di parzialissimi aggiustamenti, non basta nominare tale o quale “difensore dei bambi-ni”, esibire questo o quel parlamento infantile. Si tratta piuttosto di assumere l’infanzia come vero e proprio attore sociale, cui estendere uno statuto di cittadinanza attiva nella prospettiva di una demo-crazia di “alta intensità”. In altre parole il bambino deve essere visto e valorizzato come autentico inter-locutore, tanto nelle pratiche discorsive così come

“Il bambino deve essere visto e valorizzato come autentico in-terlocutore, soprattutto quando si tratta e si decide di questioni che lo riguardano direttamente.”

TAVOLA ROTONDA - 3 FEBBRAIORINGRAZIAMENTI

Un sentito ringraziamento, da parte di Cifa, a tutti coloro che hanno partecipato alla ta-vola rotonda del 3 Febbraio a Milano dal ti-tolo: “Cooperazione internazionale e Diritti dell’Infanzia: rifl essioni, priorità e sfi de per il futuro”.

Un particolare ringraziamento va a Fiammet-ta Casali e Federica Giannotta.

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nelle istanze decisionali, soprattutto quando si trattano questioni che lo riguardano direttamente, sia in un contesto indivi-duale sia in quanto mem-bro di un gruppo sociale depositario di proprie ri-vendicazioni.

Tutto questo suppone un superamento delle tradi-zionali relazioni elitarie, asimmetriche ed ecces-sivamente sbilanciate a favore delgi adulti, e an-che una redistribuzione del potere decisionale, da cui infanzia e adole-scenza sono secolarmente esclusi. Non si tratta di costituire una sorta di “ti-rannia” dell’infanzia, ma più semplicemente di cominciare a riformare real-mente l’assolutismo autoritario e monocratico della società adulta nei confronti dell’infanzia, in modo che i bambini e gli adolescenti diventino autentici soggetti di diritto e non semplicemente benefi ciari passivi tutelati da altri.

In quest’ottica il tema della partecipazione infantile e adolescenziale è strettamente collegato a quello dell’organizzazione dei bambini e della loro capaci-tà di costituirsi come movimento sociale in grado di incidere nei processi decisionali della nostra socie-tà. E da questo punto di vista, forse, l’esperienza più avanzata è quella dei gruppi organizzati di bambini e adolescenti lavoratori in America Latina, in Asia e in Africa.

Da molti anni, ormai, i processi organizzativi dell’infanzia lavoratrice sono riusciti a trasformare una sommatoria di casi individuali nella possibilità e nella realtà di un’azio-ne collettiva che si basa nel riconoscimento di un’identità comune e nel-la comune appartenenza a uno specifi co segmento sociale. In questo modo i bambini e gli adolescen-ti lavoratori diventano autentici attori sociali e la loro “partecipazione” si trasforma in reale pro-tagonismo. Tutto ciò è stato gradualmente conquistato in questi decenni, cominciando con le modeste azioni locali di quartie-re e successivamente ampliando lo spazio pubblico del loro protagonismo sociale fi no a espandersi in

ambiti regionali, nazionali e internazionali, e pas-sando da una semplice visibilità sociale a una vera e propria incidenza politica.

Questi bambini e adolescenti lavoratori organizzati sono anche coscienti di costituire non tanto una sor-ta di avanguardia supponente e autoreferenziale, ma piuttosto una sorta di “anticipazione simbolica” di ciò che potrebbe avvenire in futuro; un’anticipa-zione della possibilità che la società consideri tutti i bambini come soggetti sociali, capaci, socialmente produttivi, partecipi del processo di superamento delle relazioni discriminanti.

In altre parole i bambini lavoratori organizzati stan-no promuovendo un processo di signifi cativa tra-sformazione culturale che non offre benefi ci solo a loro, ma che per tutta l’infanzia favorisce la radica-lizzazione degli statuti democratici e la diffusione pervasiva della cittadinanza, facendo in modo che

“tutti possiamo riappren-dere la condizione umana per quanto si riferisce alla relazione del mondo adulto con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza.” (Alejan-dro Cussianovich).

Il solo fatto che esistano movimenti di bambini e adolescenti lavoratori organizzati pone le basi per un nuovo concet-

to d’infanzia, dal momento che proprio a partire dall’esperienza accumulata a livello internazionale in Asia, Africa e America Latina si è consolidata una critica teorica e pratica al tradizionale, conservatore

“L’esperienza più avanzata sul tema della partecipazione dei mi-nori e sulla loro capacità di or-ganizzarsi è quella dei gruppi di bambini e adolescenti lavoratori.”

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e ancora ampiamente diffuso senso comune degli adulti. Questi movimenti rappresentano una critica a ruoli sociali deterministicamente assegnati, a lin-guaggi che evidenziano un “pensiero unico” e ne-ocolonizzatore di fronte all’infanzia lavoratrice e anche all’infanzia in ge-nerale.

E’ in questo senso che i movimenti organizzati dei bambini lavoratori ci mettono anche in guar-dia contro il rischio di dimenticare e annebbiare la dimensione politica del discorso e della pratica partecipativi. Spesso, in-fatti, si pensa che un’au-tentica partecipazione si possa semplicente otte-nere con qualche modifi -ca comportamentale, con qualche statuto giuridi-co formale benevolmente concesso, insomma con qualche elemosina di coloritura democratica.

E’ invece necessario riaffermare con forza che il tema della partecipazione richiede di affrontare il problema radicale delle ingiuste relazioni elitarie, che hanno origine in un insieme di interessi e rap-porti di potere che obbediscono a una logica di do-minio, emarginazione e sfruttamento. Qualsiasi “partecipazione” che non si collochi nell’orizzonte della trasformazione sociale diventa una falsità storica, che fi nisce per giocare un ruolo

non solo conservatore ma addirittura reazionario.“Partecipazione”, insomma, signifi ca per l’infanzia recuperare l’orizzonte utopico di una società più giusta, se per utopia intendiamo non il sogno im-

potente di qualche anima candida, ma piuttosto il progetto di ricostruzione del senso storico di una società.

Chissà che non sia pro-prio l’infanzia il luogo sociologico dell’incontro tra realismo e utopia, dal momento che i bambini confi gurano una riven-dicazione sociale per trasformare ogni sogno, ogni fantasia, ogni uto-pia in risposte effi caci e concrete. E per questo ci obbligano a un esercizio

storico, permanente e creativo di concretezza poli-tica e allo stesso tempo di palpito umano, estetico, etico, nella ricerca della speranza e della giustizia.

Gianpietro Schibotto

Gianpietro Schibotto è docente all’Università di Bologna, esperto di diritti dell’infanzia e membro della rete Italia NATs, in appoggio ai bambini e adolescenti lavoratori.

Alejandro Cussianovich è pedagogista, docente e fonda-tore di Ifejant, movimento dei bambini e adolescenti la-voratori del Perù.

LA QUALITÀ DI CIFA VIENE CERTIFICATA

Il Cifa ha recentemente ottenuto la certifi cazione di qualità ISO 9001 / 2008 da parte dell’ente di certifi -cazione internazionale Bureau Veritas. La certifi cazione è riferita a tutta l’attività di Cifa, comprensiva del settore adozione e cooperazione internazionale, e si estende alle nostre differenti sedi*.

La sigla ISO 9001 identifi ca un sistema di gestione della qualità che si rifl ette in una maggiore effi cienza e trasparenza della nostra organizzazione. Per il Cifa, si tratta di un importante passo in avanti per fornire una piena garanzia ai bisogni e alle necessità di tutti coloro che sostengono i nostri progetti o che intendo-no intraprendere il percorso di genitori adottivi.

“Abbiamo voluto fortemente conseguire questo tipo di risultato – commenta Gianfranco Arnoletti, Presidente di Cifa – come atto di responsabilità verso i nostri sostenitori e le nostre famiglie. Ci tengo a precisare che siamo l’unico ente autorizzato in Italia ad aver ottenuto la certifi cazione ISO 9001 per tutte le sedi principali.”

*Le sedi certifi cate sono: Torino, Via Luigi Colli 4; Mirano, Via Bastia Fuori 4; Falconara Marittima, Via Galileo Galilei 4.

“I movimenti organizzati dei bambini lavoratori ci impedisco-no di dimenticare la dimensione politica del discorso sulla parte-cipazione infantile. Da questo punto di vista, ‘partecipazione’ signifi ca recuperare l’orizzon-te di una società più giusta.”

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Istruzione, lavoroe dignità

Da più di due anni Cifa collabora attivamente con un’organizzazione peruviana che sostiene i movi-menti dei bambini e degli adolescenti lavoratori (in spagnolo NATs, Niños y Adolescentes Trabajado-res). Quest’inverno abbiamo fatto nuovamente visi-ta a questa organizzazione, di nome IFEJANT, per produrre una valutazione complessiva del progetto e preparare la sua seconda annualità.

Con Ifejant, Cifa ha creato un programma integrale che coinvolge sette scuole sparse in tutto il Perù. Gra-zie a questa collaborazione bambini che vivono a Jaen, nella zona amazzonica, bambini che vivono a Puno o Cajamarca, nelle Ande, e bambini che vivono nelle

zone più povere di Lima hanno oggi delle scuole a loro misura, che permettono loro di continuare ad avere un’istruzione nonostante parte del loro tem-po sia dedicato al lavoro.

Questi bambini hanno infatti intrapreso un cammi-no di formazione, che abbiamo deciso di sostene-re, che non comprende solo l’istruzione “classica” come lo studio della matematica e della lingua, ma in cui la loro stessa condizione di bambini lavora-tori è considerata un’opportunità, un arricchimen-to del percorso formativo. In questo cammino, che

valorizza qualcosa che altri hanno considerato unicamente come una colpa (lavorare mentre si studia) i bambini sono seguiti e appoggiati da adulti che li accompa-gnano, ma che vengono considerati dagli stessi bambini come dei “col-laboratori” nel processo di realizzazione del loro progetto di vita.

“Cifa ha deciso di raccogliere una grande sfi da: aprire un dialogo reale con bambini che vanno dai 3 ai 13 anni di età, alimentando il loro protagonismo e ascoltan-do le richieste con cui vogliono far valere i loro stessi diritti.”

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IL NOME? È UN DIRITTO!

“Il fanciullo è registrato immediatamente al mo-mento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e ad essere allevato da essi…” (Convenzione ONU sui Dirit-ti dell’Infanzia, Art. 7)

“Se un fanciullo è illegalmente privato degli ele-menti costituivi della sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adeguata assisten-za e protezione affi nché la sua identità sia ristabilita il più rapidamente possibile” (Art. 8)

Tra i diritti fondamentali dei bambini contenu-ti nella Convenzione del 1989, quello al nome e alla cittadinanza è uno dei più importanti, e sicuramente il primo in ordine...di tempo.

Il certifi cato di nascita è un requisito essenzia-le per ottenere la cittadinanza: agli occhi dello Stato, un individuo che ne è privo “non esiste”, e quindi non può usufruire legalmente dei pri-vilegi e della tutela offerti dalla nazione. Senza una prova di nascita non si ha diritto a essere vaccinati in 20 paesi, non si può essere curati in un ambulatorio medico in 30 paesi, e quasi ovunque non si è ammessi a scuola.

La registrazione anagrafi ca costituisce inoltre lo strumento fondamentale con cui un governo può calcolare e pianifi care scuole, centri sanita-ri e servizi necessari alla popolazione; è inoltre una indispensabile base statistica per monito-rare l’entità del lavoro minorile e di altre forme di sfruttamento dei bambini.

Eppure ogni anno nel mondo un terzo dei ne-onati, circa 40 milioni, non gode di questo di-ritto. Ci sono paesi, come la Sierra Leone, dove soltanto 1 neonato su 10 viene regolarmente registrato; in Etiopia, Somalia, Afghanistan e Cambogia il sistema anagrafi co è semplice-mente inesistente.

Il problema della mancata registrazione è par-ticolarmente sentito in alcuni paesi dell’Ame-rica Latina, dove i bambini legalmente “inesi-stenti” sono in alcuni casi la maggioranza della popolazione infantile.

Il fatto che un bambino non sia in possesso di documenti che ne attestino l’abbandono è un ostacolo insormontabile per la sua adozione le-gale: il gran numero di bambini senza certifi ca-ti legali ha fatto quindi dell’America Latina un territorio di caccia per i traffi canti di bambini.

Nella maggioranza dei casi i bambini non vengono registrati per la carenza di adeguati sistemi per la registrazione delle nascite (so-prattutto nelle zone rurali), oppure perché i ge-nitori ritengono costosa o superfl ua l’iscrizione anagrafi ca, e a volte perché le regole per essere iscritti sono state elaborate appositamente per impedire alle minoranze etniche di acquisire la cittadinanza e godere dei relativi diritti civili e politici. Grave è anche il problema della registrazione per i fi gli di genitori apolidi, rifugiati o profu-ghi: spesso a questi bambini è imposta di fatto l’apolidia, ossia la mancanza di una qualunque nazionalità, circostanza che li espone a qual-siasi arbitrio da parte delle autorità dello Stato ospite.

Il diritto a ricevere un nome e una nazionalità deve valere per tutti i bambini, anche per quel-li nati da coppie in cui uno dei genitori è stra-niero, o quelli nati fuori del matrimonio. Per questo è importante che anche la madre possa trasmettere ai fi gli il proprio cognome e la pro-pria cittadinanza: ma questo è proibito in molti paesi, ad esempio in quelli in cui vige la Sharia, la legge coranica.

Affermare il principio del “superiore interesse del bambino” signifi ca quindi anche eliminare le discriminazioni nei confronti della donna in tema di stato civile.

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Grazie al progetto di Cifa in fase di implementa-zione, un gruppo di persone passate sugli altipiani andini, attraverso la selva amazzonica e nei pressi del lago Titicaca, si ritroveranno insieme per creare una nuova scuola, con una programma innovativo che garantisca a più di seicento bambini cibo, acqua ed istruzione per il terzo anno consecutivo, e anche qualcosa in più.

Con Ifejant e altri colla-boratori, Cifa ha deciso di raccogliere una grande sfi da: parlare con questi bambini (di età variabile tra i 3 e i 13 anni) di Diritti dell’Infanzia e trovare un modo per farglieli “vive-re”, e non solo studiare su dei libri.

Ecco perchè abbiamo aperto a questi piccoli pe-ruviani tanti spazi di protagonismo come la Defen-soria, iniziativa che durante il primo anno di pro-getto ha dato ottimi risultati: uno spazio presente nelle sette scuole coinvolte nel progetto e in cui i bambini potranno recarsi per parlare di problemi, diffi coltà e violazioni dei loro diritti cui possono imbattersi a scuola così come nel proprio ambiente familiare.

Le scuole di Nassae, di Huascar, di San Juan de Lurigancho, di Colibrì Puno, di Colibrì Juliaca e di Villa Alta sono così diventate, con l’intervento di Cifa, degli spazi di protezione per questi bambini ed adolescenti che provengono da strati della popo-lazioni molto poveri o da famiglie disgregate, e che sono a rischio di abban-dono scolastico ma anche a forte rischio sanitario.

Per la prima volta si è passati, dal semplice ga-rantire sussistenza ali-mentare ai bambini coin-volti nel progetto (con le mense scolastiche che forniscono colazione, pranzo e merenda), a una seria presa in carico delle loro condizioni di salute. Grazie al “Programa de salud integral” elaborato da Ifejant, i piccoli John, Lucy e tanti loro compa-gni hanno ricevuto una prima visita dentistica e una visita nutrizionale, e saranno curati come né i

loro genitori, né i sistemi di salute pubblica (da cui sono esclusi) sono in grado di fare.

Come ulteriore novità rispetto al progetto pilota, ci si occuperà anche di quei bimbi che, come Carlos, che hanno manifestato ritardi nell’apprendimento o che hanno subito abusi di qualche tipo, dedicando loro un servizio di attenzione psicologica.

La pratica virtuosa di questo progetto, che Cifa ha voluto fortemente potenziare, consiste nel formare sempre di più e sempre meglio gli inse-gnanti locali affi nché sap-piano dare risposte alle esigenze che solo i piccoli NATs riescono a comuni-care. Contestualmente, si cerca di dare ancora più spazio al protagonismo

dei bambini peruviani, perché siano loro ad inse-gnarci a difendere il superiore interesse del bambi-no in tutti i contesti in cui deve crescere la consape-volezza e l’applicazione di quest’ultimo.

Dati i risultati positivi dell’annualità appena tra-scorsa, il programma integrale di formazione, di alimentazione e di tutela sanitaria e psicologica ri-partirà senza indugi agli inizi di Marzo.

Non dobbiamo dimenticarci che i NATs sono bam-bini che lavorano. La valorizzazione critica di un determinato tipo di lavoro minorile, a certe condi-zioni e a patto che non pregiudichi mai lo svilup-

“Per la prima volta si è passati dal semplice garantire sussistenza alimentare per i bambini coinvol-ti nel progetto ad una seria pre-sa in carico delle loro condizioni di salute, fi siche e psicologiche.”

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po dal bambino, è un’idea che questi piccoli amici ci spiegano nella loro quotidianità con pazienza e dignità; potremo leggere la stessa dignità nei loro occhi quando alcuni NATs ci verranno a trovare anche in Italia, per spiegarci quanto sia importante quello che stiamo facen-do insieme a loro.

Finalmente, con il proget-to NATs, sta avvenendo quello scambio di idee e di esperienze che un progetto di cooperazione dovrebbe sempre darci, per insegnarci a vedere la realtà da un altro punto di vista.

Ecco perché noi del Cifa abbiamo deciso di investire in questa realtà che non solo ci permette di garantire acqua, cibo, salute e istruzione ai bambini lavoratori, ma anche e soprat-tutto dignità.

Abbiamo deciso di credere fi no in fondo in questa sfi da, tanto da integrare la forza di questa esperien-za con un nuovo strumento che ci consentirà di so-stenere le sette scuole che fanno parte del progetto e i piccoli NATs che le frequentano: il sostegno a distanza. Grazie al SAD, tante famiglie italiane po-tranno fornire un aiuto diretto ai singoli bambini coinvolti, aiutandoli a garantire quei diritti che sono loro stessi a chiedere a gran voce.

La seconda fase del progetto di Cifa, unitamente all’implementazione del sostegno a distanza, por-terà la nostra ONG a sostenere 606 bambini e 35 insegnanti, e ad aiutare le comunità di tre diffe-renti regioni del Perù. Il progetto darà a tutti que-

sti bambini una scuola e un’alimentazione di qua-lità, permetterà loro di se-guire corsi di formazione professionale e sul diritto alla salute, garantirà loro l’accesso alla Defensoria e sosterrà a piccole espe-rienze di microcredito ai bambini indirizzandoli verso un futuro migliore. Questa seconda fase sarà l’occasione per far capire a tutti questi piccoli che

credono nella dignità, nel lavoro e nello sviluppo che qualcuno, da molto lontano, sta dalla loro parte e crede fermamente nel loro progetto di vita…

Credetemi, in tre anni di esperienza come responsa-bile dei progetti di Cifa in America Latina, raramen-te mi sono sentita così piena di energia e sicura di contribuire a qualcosa di importantissimo: lottare non solo per la sopravvivenza, ma per i sogni di un bambino.

“La vita è il coraggio di sognare, no?”

Beatrice Gemma

“Abbiamo deciso di integrare l’intervento progettuale con il sostegno a distanza dei singo-li bambini coinvolti, aiutandoli a garantire quei diritti che loro stessi chiedono a gran voce.”

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Diario

Lima, Perù

LA METROPOLI ASSETATA

L’enorme crocifi sso luminoso campeggia sulla col-lina a strapiombo sul mare di Lima. Resto lì a guardarlo quasi intontito. Sono a Barranco, quartie-re di Lima che si affaccia sull’oceano, dove conver-gono molti turisti alla ri-cerca di uno degli angoli più suggestivi della città.

La città sconfi nata che dall’estremo nord all’estremo sud misura 50 km affacciati su un Oce-ano Pacifi co offeso da un assembramento umano il cui numero imprecisato di abitanti varia, a seconda delle fonti, tra gli 8 e gli 11 milioni.Offeso dalle fatiche degli uomini e delle donne, of-feso dal sudore del loro lavoro, offeso dagli scarichi industriali, dai liquami, dal porto.

Oceano Pacifi co. Un crocifi sso vi campeggia sopra. Simbolo della do-minazione che diviene accoglienza per chi giunge dal mare, punto di riferimento per chi percorre 50 km di costa o più. Simbolo di un Paese colonizzato nel nome di Dio.

Lima. Assembramento umano. Assembramento di asentamientos humanos. I quar-tieri più poveri della capitale arroccati sulle colline desertiche del cono nord e del cono sud. Milioni di persone che arrivano in città alla ricerca di cibo, la-voro, dignità. In fuga dalle aree più povere del Pae-se per fi nire in luoghi anonimi, grigi, avvolti da una nebbia che pare essere inamovibile, eterna. Rischia di franare tutto in qualsiasi momento. Eppure non ci si può accampare da nessuna altra parte se si vuole diventare cittadini di Lima. Sono i non luoghi che gli immigrati provano a trasformare in luoghi acco-glienti. Ma è impresa dura.

Dopo anni ed anni di occupazione abusiva del suo-lo pubblico la Municipalidad de Lima ne riconosce l’esistenza, a volte anche la proprietà delle baracche. Quasi mai del terreno. Ma ci vogliono decenni prima che, oltre alle Escale-ras solidares amarillas municipali che agevolano gli spostamenti su terreni scoscesi ed impervi, si possa avere la luce e l’acqua.

Anzi l’acqua non arriverà mai. Proprio non c’è, non si sa dove andarla a cercare, in mezzo al deserto; e portarla costerebbe troppo. L’acqua si compra e costa cara. E vale un quarto o più delle spese di un mese delle famiglie.

È la mia prima volta in America latina. Quando incontro il nostro partner locale, quando attraverso Lima mi sembra una missione diversa

da tutte le altre. Ifejant è un’organizzazione gio-vane, preparata, con una base teorica solidissima, che trasforma la propria passione per i bambini e per i loro diritti in attivi-tà sociale e politica. Lima non è certo paragonabile alle “mie città”: Phnom Penh, Addis Abeba.

Il miglior pisco sour del-la città si beve al bar del Grandhotel Bolivar, a Lima Centro, in Plaza San

“Ci vogliono decenni prima che, oltre alle scale municipali, si pos-sa avere anche l’acqua nelle peri-ferie. L’acqua, anzi, non arriverà mai, perchè non si sa dove andarla a cercare. L’acqua si compra e co-sta cara, vale un quarto o più del-le spese mensili delle famiglie.”

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Martin. E qui, per la prima volta dopo cinque gior-ni che sono a Lima, una bimba prova a vendermi qualcosa. Sono abituato a bambini che mi chiedo-no o provano a vendermi qualcosa di continuo. Da quando scendo dall’aereo a quando risalgo.

Ma quando vado a visitare gli asentamientos huma-nos insieme a Beatrice tutto torna tristemente al suo posto. Tutto torna ad essere Etiopia, Cambogia, Burkina Faso, Perù. Tutto torna ad essere povertà.

I luoghi, la scarsità di lavoro, la mancanza di ac-cesso all’acqua, l’assenza di energia elettrica, la mancanza di accesso alle cure sanitarie di base, le famiglie numerose, le violenze sui bambini e sulle donne, la sporcizia.

Tutto tristemente al suo posto. Completando quel puzzle di povertà che insieme a quello della ric-chezza smisurata ed ingiusta non manca mai dei pezzi necessari a ricomporsi perfettamente davanti ai nostri occhi.

Marco Pastori

CIFA È SOCIO ADERENTE DELL’ISTITUTO ITALIANO DELLA DONAZIONE

Oltre alla certifi cazione di qualità ISO 9001/2008, il Cifa ha appena ottenuto un altro importante ricono-scimento che testimonia la totale trasparenza e la qualità del meccanismo delle donazioni effettuate da tutti coloro che, con i loro contributi, aiutano a sostenere i nostri progetti.

A seguito dell’esito positivo di un complesso iter certifi cativo, il Cifa è infatti diventato socio aderente dell’Istituto Italiano della Donazione (IID): un ente che, ispirandosi ai valori della fi ducia, trasparenza, correttezza, equità, affi dabilità, indipendenza e imparzialità, incentiva una cultura di correttezza gestio-nale della donazione.

L’IID tutela il diritto dei donatori ad “un’informazione precisa e trasparente, che consenta loro di valutare l’effi cacia degli interventi e l’effi cienza della gestione economica” da parte dell’organizzazione che riceve la donazione.

Cifa, inoltre, adotta la “Carta della Donazione” promulgata dall’IID come proprio codice etico.

Pubblicata nel 1999, la Carta è il primo codice ita-liano di autoregolamentazione per la raccolta e l’utilizzo dei fondi nel Nonprofi t.

E’ questa stessa Carta a sancire un’insieme di regole di comportamento che l’organizzazione nonprofi t aderente accetta per conseguire i suoi scopi di solidarietà, promozione sociale e cultu-rale.

Per maggiori informazioni puoi consultare il no-stro sito www.cifaong.it oppure consultare il sito dell’IID www.istitutoitalianodonazione.it

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Focus Cambogia

La turbolenta storia della Cambogia ha avuto un impatto profondamente negativo sullo sviluppo umano soprattutto per ciò che riguarda donne e bambini. L’alfabetizzazione infantile è la più bassa tra i paesi del Sud Est asiatico. La mortalità da parto è tra le più alte del mon-do. Le strutture sociali e le tradizioni, segnate da lunghe guerre e dall’abi-tudine alla violenza, ma anche caratterizzate dalla centralità della famiglia, dalla religione buddista e dal sacro rispetto per i più anziani, hanno generato un comportamento sot-tomissivo che ha assunto un ruolo determinante in questo contesto sociale.

Opportunità limitate d’istruzione e di forma-zione professionale hanno creato un consistente gruppo di giovani in cerca di lavoro non specia-lizzato. La mancanza di lavoro e l’inadeguatezza del settore agricolo a far fronte ai fabbisogni delle famiglie hanno costretto molti giovani a lasciare le campagne e a cercare lavoro altrove; da qui una mi-grazione irregolare e non uniforme dentro e fuori

dal paese che rende questi giovani prede vulnera-bili di abusi, soprattutto da parte dei traffi canti di esseri umani.

Alcune delle cause comunemente menzionate per spiegare l’emergere di tali abusi in Cambogia in-cludono l’arrivo dell’Autorità Provvisoria delle Nazioni Unite in Cambogia (UNTAC), l’irregolare sviluppo economico dovuto all’infl usso della valu-

ta straniera (la dollarizza-zione dell’economia), la corruzione, la discrimina-zione fra gli stessi cambo-giani (tra chi è povero o ricco e tra chi ha la pelle bianca o nera), la man-canza sempre più consi-stente di terreno agricolo produttivo, la pressione dei debiti, l’assenza di vie sicure e legali per la mi-grazione, l’aumento del turismo.

L’industria del sesso, in precedenza considerata

un fenomeno marginale, illegale e criminale, è ve-nuta ad occupare una posizione strategica e centrale nell’economia della Cambogia e nella sua apertura verso il capitalismo moderno. Lo sfruttamento ses-suale, dunque, è qualitativamente cambiato rispetto alla prostituzione del passato.

Questo fenomeno - che si presenta sotto forma lega-le nei bar e nei karaoke e sotto forma illegale attra-verso il traffi co nazionale e internazionale di donne e minori - genera profi tti di milioni di dollari e trova l’appoggio legale di uffi ciali militari, politici e altri potenti. Pubblici uffi ciali, fra cui una grossa mag-gioranza di funzionari di polizia e dell’esercito, pro-teggono e legalizzano questi affari con ogni mezzo disponibile. L’industria del turismo, comprensiva di catene di hotel internazionali e compagnie ae-ree, trae grandi benefi ci dall’industria del sesso. Il mercato degli scambi sessuali è esploso e migliaia di donne e bambini vulnerabili sono trasformati in merce sessuale e continuamente abusati.

I clienti sono divisi in due gruppi. Il primo è quel-lo internazionale, costituito da gente proveniente dai paesi ricchi e comprensivo dei turisti e del per-sonale delle ONG e delle Organizzazioni Interna-zionali presenti nel paese, che vogliono vivere un esperienza sessuale “esotica” con giovani donne ad un prezzo molto basso. La seconda e più vasta ca-tegoria è composta da cittadini cambogiani con un alto reddito, che si possono permettere prostitute a qualsiasi prezzo come e quando vogliono. Il settore sessuale è oggi diversifi cato, sofi sticato specializza-to, ovvero può far fronte a tutti i tipi di domanda.

“L’industria del sesso in Cam-bogia, in precedenza considerata un fenomeno marginale, illegale e criminale, è venuta ad occu-pare una posizione strategica e centrale nell’economia di que-sto paese e nella sua apertura verso il capitalismo moderno.”

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Il governo cambogiano – in particolare i Ministri dell’Interno e del Turismo, con il supporto delle Nazioni Unite e delle ONG locali - sono impegnati ad attivare leggi che contrastino gli effetti negativi del turismo sessuale e mirino a proteggere le donne e i bambini da ogni tipo di abuso.

Tra queste misure prese dal governo, ci sono del-le nuove leggi contro il traffi co umano. Tuttavia la loro attivazione è incerta e la corruzione dilagante fa sì che la loro applicazione non sia una priorità.

Problemi affrontati dai bambini di strada a Phnom Penh

Il collegamento tra prostituzione e bambini di stra-da è diretto. Abbiamo osservato in prima persona come i ragazzi che vivono in strada, specialmente le ragazzine, cadano molto spesso nella rete della prostituzione. Questa realtà è ancora più evidente nelle aree turistiche dove la possibilità di prostitu-irsi è più alta.

I bambini di strada non hanno accesso a beni pri-mari quali cibo, acqua potabile, vestiti, un riparo. Sono affetti da malattie per lo più curabili quali tu-bercolosi, epatite virale, pidocchi, infestazioni da vermi e tifo, che però spesso sono causa di morte.

Soffrono anche di malattie legate alla malnutrizione quali anemia, cecità notturna, rachitismo e scorbu-to. Col passare del tempo, questi bambini rischiano anche di contrarre e dif-fondere malattie sessual-mente trasmissibili quali sifi lide, gonorrea e AIDS.

Quando cadono vittime del traffi co umano, poi, alcuni sono trasportati all’estero, altri mutilati per guadagnare più soldi. Tutte queste realtà hanno anche un collegamento diretto con l’abuso di so-stanze stupefacenti.

I programmi di protezio-ne e rifugio per il crescente numero di bambini di strada non sono suffi cienti; di conseguenza questi bambini sono abbandonati a se stessi senza aiuto e protezione. In realtà, hanno un disperato bisogno di essere protetti in quanto sono continuo bersaglio di sfruttamento da parte degli adulti. Assassini di minori, pedofi li e negozianti inferociti sono una minaccia costante per questi bambini e le loro vite disperate.

I bambini di strada hanno un estremo bisogno di programmi e servizi di protezione e aiuto; Cifa è

uno tra gli attori più importanti in Cambogia nell’or-ganizzazione e gestione di rifugi e altri programmi umanitari che offrono a questi piccoli un’alternativa alla vita di strada.

Molti di noi combattono tenacemente per la giu-stizia e i diritti dei bam-bini di strada. Siamo co-stantemente presenti sul campo e incoraggiamo il governo cambogiano ad avere un ruolo più attivo e a rafforzare le misure di protezione dell’infanzia.

C’è ancora molto da fare, ma siamo sulla buona strada. Anche Voi lettori potete fare qualcosa di molto importante: infor-marvi. Documentarsi su quanto accade in questi

paesi signifi ca accrescere la propria conoscenza e la propria consapevolezza sui diritti dei bambini e su come questi ultimi vengono violati. E conoscere un problema a fondo è indispensabile per provare a risolverlo.

Pierre Legros

Pierre Legros è esperto di lotta al traffi co e alla prostitu-zione minorile, ed è consulente di Cifa per i nostri pro-getti in Cambogia. Di nazionalità francese, da molti anni vive a Phnom Penh.

“Il collegamento tra prostitu-zione e bambini di strada è di-retto. Quando cadono vittime del traffi co umano, inoltre, al-cuni di loro sono trasporta-ti all’estero, altri mutilati per poter guadagnare più soldi.”

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10126 Torino

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ImpreseArt. 14, decreto legge n. 35/2005: le liberalità in denaro o in natura erogate dalle persone fisiche e da enti soggetti all’imposta sulle società in favore delle O.n.l.u.s. sono deducibili fino al 10% del reddito complessivo e comunque non oltre 70.000 EUR/anno.Art. 100, comma 2, lettera a) d.P.R. 917/86: sono deducibili le erogazioni liberali a favore di organizzazioni non governative, per un ammontare complessivamente non superiore al 2% del reddito d’impresa dichiarato.Art. 100, comma 2, lettera h) d.P.R. 917/86: sono deducibili le erogazioni liberali in denaro, per un importo non superiore a 2.065,83 EUR o al 2% del reddito d’impresa dichiarato, a favore delle O.n.l.u.s.Art. 27, legge 133/99 e d.p.c.m. 20/06/2000: sono deducibili le erogazioni liberali in denaro (o in natura) in favore delle popolazioni colpite da eventi di calamità pubblica o da altri eventi straordinari anche se avvenuti in altri Stati, per il tramite (anche) delleorganizzazioni non governative (non vi sono limiti massimi di deducibilità).

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Partner locale:PKPA, IndonesiaNell’ottobre del 2009 un grave terremoto ha colpi-to l’isola di Sumatra, in Indonesia, causando molte centinaia di morti e distruggendo interi villaggi.

A partire dal giorno successivo alle scosse il PKPA, nostro partner locale in Indonesia, si era già attivato per organizzare squadre di soccorso ma soprattut-to per andare in cerca di bambini dispersi o rimasti senza genitori, evitando che diventassero preda del traffi co di minori.

In questo numero di Mondo Cifa, il direttore ese-cutivo del PKPA ha descritto la sua organizzazione e il modo in cui questa affonda radici sempre più solide nella società indonesiana.

Il PKPA ha collaborato con Cifa nella realizzazione del progetto “Scuole contro la marea” a Nias, una del-le isole più violentemente colpite dallo tsunami del 2004, occupandosi della ricostruzione di due edifi ci scolastici. Oggi, insieme a Cifa, collabora a formare gli insegnanti che operano nelle stesse scuole.

Uno sguardo complessivo sul PKPA

Il PKPA, acronimo di Pusat Kajian dan Perlindun-gan Anak (che signifi ca Centro per lo Studio e la Protezione dei Bambini) è un’organizzazione non governativa indonesiana fondata il 21 Ottobre 1996 a Medan, nella Sumatra del Nord (e oggi con uffi ci secondari ad Aceh, Nias e Jakarta) che si occupa di tutela dell’infanzia e di prevenzione del traffi co di minori.

Il PKPA è un’organizza-zione uffi cialmente rico-nosciuta in Indonesia, una vera e propria istituzione locale.Interrogati sulle sue ori-gini i fondatori del PKPA, tra cui si annoverano at-tivisti per i diritti umani e professori universita-ri, hanno risposto che la semplice ratifi ca della Convenzione per i Dirit-ti dell’Infanzia da parte dell’Indonesia non sarebbe bastata a cancellare con un colpo di spugna tutti i problemi correlati alla tu-tela dei diritti dei bambini nel paese, ma che piut-tosto costituiva lo stimolo a impegnarsi in questo campo con uno sforzo ancora più grande. Da questa consapevolezza alla costituzione del PKPA, il passo è stato breve.

Anche se il PKPA focalizza i suoi programmi nella sola Indonesia, spostando saltuariamente la propria attività verso i paesi confi nanti in relazione ai cir-cuiti del traffi co minorile, l’organizzazione coopera costantemente con altre ONG, istituzioni e indivi-dui all’estero. Uno sguardo complessivo sull’attività del PKPA si può esplicare nei tre punti che seguono, e su cui procederemo ad una spiegazione più dettagliata:

1 - Focalizzazione delle aree tematiche d’interven-to2 - Defi nizione delle aree geografi che d’intervento3 - Interventi specifi ci

Focalizzazione delle aree tematiche d’intervento

A partire dalla sua fonda-zione nel 1996, il PKPA ha sempre lavorato con bam-bini e con donne in stato di

diffi coltà, focalizzandosi principalmente su:

- Bambini di strada, bambini in condizioni di pover-tà, bambini vittime di abuso e/o coinvolti in traffi co e prostituzione; - salute riproduttiva e HIV/AIDS in bambini e ra-gazze incinte;

“La ratifi ca della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia in Indonesia non ha rappresentato la fi ne dei problemi correlati alla tutela dei bambini, quanto piut-tosto uno stimolo ad impegnarsi ancora di più in questo campo.”

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- servizi basilari per la tutela della salute e preven-zione della malnutrizione;- riduzione dei rischi causati da disastri naturali e gestione delle scuole in zone disastrate come la Su-matra del Nord, Nias, Aceh e Giava Centrale;- interventi di microcredito e stimoli alle attività generatrici di reddito per le madri e le famiglie dei bambini di strada e attenzione alle questioni con-cernenti i matrimoni infantili.

Nato durante il regime dittatoriale di Soeharto, il PKPA ha dovuto superare non poche diffi coltà per potersi affermare sul territorio, per superare le pressioni che i militari esercitarono su tutte le ONG indonesiane nel 1998 e per vincere la “crisi di confi -denza” che ha fatto chiudere i battenti a numerose organizzazioni dopo la caduta del regime.

Defi nizione delle aree geografi che di intervento

Come già accennato, il PKPA lavora in Indonesia e collabora con istituzioni, ONG e singoli individui all’estero. La sua attività era inizialmente concen-trata nella Sumatra del Nord, ma già in breve tempo si estese ai distretti di Deli Serdang, Langkat e Serdang Bedagai.

Per rispondere al forte terremoto e allo tsunami mortale ad Aceh e Nias nel 2004, il PKPA iniziò a lavorare anche in queste due aree.

Ad Aceh, il PKPA lavora in alcune zone quali Banda Aceh, Aceh Besar, Maulaboh e l’isola di Simeleue, mentre sull’isola di Nias lavora nei distretti di Nias del Nord e Nias del Sud. Nel 2005, in collaborazione con una ONG malese, il PKPA ha salvato molte ra-

gazze indonesiane traffi cate verso la Malesia e altri stati del Sud Est asiatico.

L’interesse per il problema del traffi co minorile ha fatto sì che il PKPA si svincolasse progressivamente dalla pianifi cazione tradizionale delle aree geogra-fi che di intervento, in modo da poter monitorare più agevolmente i circuiti “transregionali” e “tran-snazionali” della tratta di bambini, intervenire con maggiore effi cacia dove e quando necessario, oltre ad occuparsi in maniera più completa della tutela dei diritti dell’infanzia in Indonesia.

Interventi specifi ci

1. Lobby per le politiche dell’infanzia in Sumatra del Nord. Dopo l’approvazione della Convenzione sui Diritti dell’Infanzia in Indonesia, il PKPA è stato capofi la di una serie di campagne di sensibilizza-zione sui diritti dell’infanzia. In collaborazione con altre otto organizzazioni del-

la società civile con sedi a Medan, il PKPA ha con-dotto azioni di lobby af-fi nché l’esecutivo locale approvasse la Bozza di Regolamentazione della Sumatra del Nord sull’Eli-minazione del Traffi co di Donne e Bambini.

2. Costruzione di impegni globali. Il PKPA ha parte-cipato a conferenze e mee-ting a carattere internazio-nale sul tema del traffi co e dello sfruttamento sessua-

le dei minori nel Sud-Est Asiatico.

3. Sostegno ai bambini di strada di Medan. Fin dal 1998 il PKPA ha lavorato con i bambini di strada che frequentavano zone “a rischio” di Medan, quali una stazione degli autobus e un mercato tradiziona-

“L’attività del PKPA si è pro-gressivamente svincolata dalla tradizionale pianifi cazione del-le aree geografi che dell’inter-vento, in modo da occuparsi di questioni ‘transnazionali’ come la tratta dei bambini.”

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le. All’inizio del programma di intervento, le attivi-tà parascolastiche per i bambini venivano svolte di-rettamente sulla strada. A seguito dell’alto interesse per l’apprendimento manifestato dagli stessi bam-bini coinvolti, unito al de-siderio di rendere l’istru-zione più duratura ed effi cace, nel 2003 il PKPA ha costruito un centro di accoglienza in cui tra i 50 e i 400 bambini l’anno rice-vono l’istruzione di base.

4. Salvataggio di bambi-ni traffi cati e sfruttati nei bordelli. In collaborazione con la Polizia Indonesiana e con altre forze locali e internazionali, il PKPA è intervenuto in operazioni di salvataggio di bambini traffi cati verso la Malesia. Tra il 2000 e il 2008, inol-tre, ha assistito più di 500 ragazze di età compresa tra i 7 e i 18 anni che sono state vittima di abusi ses-

suali. Il PKPA ha incoraggiato l’adozione di leggi più severe per punire gli sfruttatori.

5. Missioni umanitarie. A seguito di disastri naturali quali lo tsunami del 2004 o il terremoto del 2009, il PKPA ha condotto mis-sioni umanitarie ad Aceh, Nias e Giava Centrale per monitorare la situazione dell’infanzia, distribuire generi di prima necessità, consentire ai bambini di-spersi di ritrovare le pro-prie famiglie e impedire l’insorgere di fenomeni di traffi co e sfruttamento.

Ahmad Sofi an

Ahmad Sofi an è direttore esecutivo del PKPA e coordinatore di una coalizione di organizzazioni che. in Indonesia, si battono contro lo sfruttamento sessuale a fi ni commerciali dei bambini.

SOSTIENI UN BAMBINO IN ETIOPIA. COSTRUISCI IL SUO FUTURO CON NOI

In Etiopia ci sono 100 bambini che hanno bisogno di te.

Cifa ha appena lanciato un nuovo programma di sostegno a distanza indirizzato a bambini di Addis Abeba, la capitale dell’Etiopia. Si tratta di bambini che, oltre a vivere in condizioni di grande povertà, sono costretti a confrontarsi con la piaga del virus dell’AIDS.

I farmaci retrovirali potrebbero aiutare questi bambini a condurre una vita normale e prevenire così il rischio dell’emarginazione sociale a cui vanno quotidianamente incontro. I loro genitori, tuttavia, quan-do sono presenti, non dispongono delle risorse economiche per sostenere il costo delle cure e spesso non hanno nemmeno la possibilità di mandarli a scuola.

Insieme a te, il Cifa vuole ridare a questi bambini la speranza di poter vivere come tutti gli altri bambini. Attivando un sostegno a distanza potrai accompagnare un bambino verso l’età adulta, fornendogli il cibo, le medicine necessarie e la possibilità di avere accesso all’istruzione primaria.

Per rafforzare l’azione del SAD, inoltre, Cifa ha in-serito questi 100 minori nel nuovo progetto di coo-perazione “Insieme contro l’AIDS”. In questo modo, i bambini avranno la sicurezza di essere sostenuti a distanza da una famiglia italiana e contemporanea-mente di ricevere tutti i benefi ci dell’azione proget-tuale attivata in loco.

Ora tocca a te. Attiva un sostegno a distanza in Etiopia!

Cifa Onlus - SAD, Via Foscolo 3, 10126 Torinowww.cifaong.it - [email protected] - 011 43 44 133

“All’inizio del programma di in-tervento per bambini di strada a Medan, le attività parascolastiche si svolgevano direttamente sulla strada. In seguito, è stato costitui-to un centro di accoglienza dove ogni anno ricevono l’istruzione di base tra i 50 e i 400 bambini.”

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Tutti i progettiin corsoCifa si è impegnato in 13 Paesi del mondo nella rea-lizzazione di progetti di emergenza, progetti di co-operazione di medio-lungo termine e programmi di sostegno a distanza.

Oggi abbiamo progetti e sostegni a distanza in corso in 10 paesi dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa.

CAMBOGIAAnch’io so leggere e scrivere!Il progetto assicura l’istruzione primaria a 85 bam-bini di strada o ad alto rischio di emarginazione sociale. Ai piccoli benefi ciari vengono assicurate cure mediche e alimentazione adeguata. Adottan-do forme di educazione informale, si previene l’ab-bandono scolastico e si facilita il reinserimento nelle scuole.

CAMBOGIAVia del CampoIl progetto vuole migliorare la condizione dell’in-fanzia a Poum Thmey, quartiere a luci rosse alla periferia di Sihanoukville. Ai bambini benefi ciari verrà garantita protezione, assistenza medica e pro-grammi di educazione alternativa, proteggendoli dal rischio di un ingresso nel mercato della prosti-tuzione minorile.

ETIOPIAInsieme contro l’AIDSIl progetto intende migliorare le condizioni di vita di bambini e ragazzi affetti da virus HIV apparte-nenti a famiglie povere, le quali non possono soste-nere le spese per le cure dei fi gli né tantomeno per la loro istruzione scolastica.

ETIOPIASostegno alle ragazze madriIl progetto, realizzato nell’area urbana della capita-le Addis Abeba, è fi nalizzato alla cura e alla tutela di giovani ragazze madri i cui bambini sono frutto di violenze. L’obiettivo è quello di reinserire le ra-gazze nella società, infondendo la consapevolezza di essere genitori.

FILIPPINEOgni bambino ha diritto a una famiglia!La presenza di un nucleo familiare è essenziale per la crescita e lo sviluppo di un bambino. Per questo motivo il progetto di Cifa si impegna a trovare ge-nitori affi datari per 115 bambini di strada, oppure a riallacciare i contatti con le loro famiglie d’origine.

INDONESIAScuole contro la mareaLa popolazione indonesiana non si è ancora ripresa completamente dal violento tsunami del 2004. Cen-tinaia di scuole sono andate distrutte, e il Cifa ne ha ricostruite due nella provincia di Nias. Oggi, in collaborazione con il nostro partner locale, Cifa or-ganizza corsi di aggiornamento per gli insegnanti e attività educative per i bambini.

PERÙScuola, lavoro, dirittiIl progetto offre un percorso educativo informale e di qualità a bambini che non hanno mai frequentato la scuola o che l’hanno abbandonata. Ai bambini è inoltre offerto pieno sostegno alimentare e sanita-rio. Il Cifa si relaziona con i NATs, vere e proprie organizzazioni di bambini e adolescenti peruviani che si tutelano e sostengono vicendevolmente.

THAILANDIAEmergenza BirmaniaIn Thailandia ci sono enormi campi profughi di per-sone scappate dalla Birmania, che vivono tra mille diffi coltà. Il nostro progetto fornisce assistenza ali-mentare e una prima formazione scolastica a 2000 dei bambini che vivono in tre di questi campi.

VIETNAMAiuto e protezione - Igiene e saluteCon l’istituzione di progetti paralleli, il Cifa inten-de migliorare la condizione di vita di molti bambini che abitano nelle aree rurali del Vietnam, e che ri-sultano esposti al rischio di violenze e abbandono, ma anche di gravi malattie.

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Colombia e Guatemala

COME È CAMBIATA L’ADOZIONE?

Colombia e Guatemala: due paesi separati da tre ore di volo ma due mondi che, per quanto riguar-da l’adozione internazionale, non potrebbero essere più lontani.

Colombia, Instituto Colombiano de Bienestar Familiar, l’ente centrale da cui dipendono tutte le adozioni, nazionali e internazionali, e tutto ciò che ruota at-torno al “supremo interesse del minore”, laddove per supremo interesse si intende anche tre o quattro anni per dichiarare adotta-bili dei fratellini abbando-nati o tolti alla famiglia per abuso o maltrattamenti.La stessa responsabile ado-zioni, signora Ilvia Ruth, che incontro nel suo uffi cio all’ICBF, ammette che que-sto sta diventando il grave problema che attanaglia il

sistema di tutela dei minori in Colombia. L’ICBF lavora con 68 enti stranieri di cui 18 italiani e si oc-cupa di 60.000 bambini in varie situazioni, tra cui 28.000 in istituto ma non adottabili e 8.700 con ca-ratteristiche speciali tra cui 3.000 fratelli.

Questa, in numeri, la situazione dell’ICBF, che all’atto pratico si traduce in tempi di attesa lunghis-simi per minori piccoli e sani e tempi più brevi per minori con disabilità recuperabili con interventi (o terapie di recupero) e gruppi di fratelli che vanno dai 2 ai 12, 13 e anche 14 anni.Prima di dichiarare un minore adottabile la madre, o chiunque ne abbia la tutela, ha quattro possibili-tà di appello e fra ognuna di queste passa un tem-

po imprecisato, ovvero i bambini crescono in istituto e poi per loro è sempre più diffi cile tro-vare una famiglia che li accolga.L’ICBF è un edifi cio a più piani con decine e decine di persone che si occupano di minori, tut-

“Prima di dichiarare un mino-re adottabile, chiunque ne abbia la tutela ha quattro possibilità di appello e fra ognuna di que-ste passa un tempo imprecisato”

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ORAdozione

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ti psicologi e assistenti so-ciali, tutti con un compito ben preciso e circoscritto; evidentemente, però, que-sto non è suffi ciente. La dott. Ruth ammette: “Le cose ora stanno cambiando ma non abbastanza in fret-ta… Abbiamo ancora tanta strada da fare…”

La Colombia è sempre stata un paese amato dalle cop-pie per la documentazione affi dabile e dettagliata dei bambini che vi si adottano. I minori vengono abbina-ti in base all’età dei futuri genitori e quindi la coppia giovane sa di poter conta-re sull’abbinamento di un bimbo piccolo. Questa, almeno, era la prassi fi no ad un paio di anni fa. Ora i bambini piccoli sono sempre meno, vanno prioritariamente alle coppie colombiane e la coppia giovane accettata per un mi-nore piccolo, in realtà, invecchia nell’attesa.

Ogni paese che abbia ratifi cato la Convenzione dell’Aja sancisce che il minore ha diritto a rima-nere nel suo paese e che la coppia locale che vuole adottare un bambino ha diritto alla scelta. La scelta di una famiglia colombiana, come prevedibile, si orienta quasi sempre su bambini piccoli. Se venire in Italia a 13 anni e rimanere in Co-lombia a 18 mesi sia “nel miglior interesse del mi-nore” è ancora da vede-re (e su questo la dott.sa Ruth conviene) ma que-sto tipo di processo selet-tivo, tuttavia, avviene in quasi tutti i paesi.

Una discriminazione ri-spetto all’età sarebbe ancora accettabile ma ritengo lo sia meno quando si parla di minori con problemi sanitari o qualche disabilità anche reversibile: in questi casi, le coppie locali spariscono completamente e a quelle stranie-re si richiede l’accettazione di minori più grandicelli e con diversi problemi. Sono quelli che hanno più bisogno di una famiglia, è vero, ma rimane diffi cile accettare che questo loro bisogno non sia nemmeno contemplato in patria e debba contare solo per ge-nitori stranieri.

La Colombia ha anche un’altra realtà che è quella delle Casitas o istituti privati. Qui i bambini sono un

numero limitato per ogni Casitas, sono conosciuti uno per uno dal direttore e da tutti coloro che ci la-vorano e sembrano vivere una realtà migliore, an-che se sempre conseguente ad un abbandono. Qui ci sono sia neonati che bambini grandicelli, ma il leit motiv è sempre lo stesso: “Noi cerchiamo genitori per bambini grandicelli o per gruppi di fratelli” o addirittura “Noi vogliamo solo coppie che adottino bambini grandi, gruppi di fratelli o bambini mala-ti”.

Ma quanto sono malati, ci si chiede? La risposta è che si tratta di “bambi-ni con disabilità che pos-sono migliorare ma non guarire”. Se faccio notare che sui forum italiani si scrive ben altro, allora ci si trincera dietro ad un signifi cativo silenzio o di-niego.

Le Casitas, che in passato sono state demonizzate come luogo di “acqui-

sto” di minori, in realtà mi sono sembrate normali luoghi in cui ci sono dei bambini adottabili, luoghi che svolgono le procedure attraverso l’ICBF e che richiedono in modo trasparente un contributo-donazione alla coppia che adotta. Tale contributo viene utilizzato per poter mantenere i bambini, dal momento che la maggior parte di questi enti sono privati e quindi senza contributi dello stato.

Scorretto adottare nelle Casitas? A me non sembra: anche queste ospitano bambini bisognosi, bambini che aspettano una famiglia e sanno che quest’ulti-ma arriverà da lontano, da un paese in cui la gen-

”In Colombia è necessario pen-sare a bambini che hanno fi no a 8 o 9 anni, bambini adegua-tamente preparati ad incontra-re i loro nuovi genitori anche attraverso appuntamenti via skype con tanto di telecamera.”

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te è diversa (ma che non sanno quanto e come). E infatti Jose, 8 anni, scuretto, capelli ricci, di origine sicuramente afro-americana, quando mi incontra mi chiede se arrivo dalla Cina. Jose vuole una fami-glia cinese “per migliorare la razza”. Perché? “Per mettere insieme la forza dei neri e l’intelligenza dei cinesi”. Purtroppo ho dovuto dire a Jose che non ero cinese, mi ha sorriso e con una leggera alzata di spalle, come a dire “pazienza”, ha proseguito il suo cammino verso l’edifi co principale dell’istituto.

Anche qui, comunque, è necessario pensare a bam-bini che hanno più di 5, 6 anni e che arrivano ad avere 8 o 9 anni, bambini adeguatamente preparati ad incontrare i loro nuovi genitori anche attraverso appuntamenti via skype con tanto di telecamera, insomma lontani dallo stereotipo del neonato a cui ancora troppo spesso sono legate le nostre coppie.

Io ero in un alberghetto frequentato da coppie adot-tive e con me, in quei giorni, erano presenti: una coppia svizzera che, dopo 5 anni di attesa, era lì da 60 giorni e stava adottando una bimba di 9 mesi con displasia alle anche; una signora americana che adottava un bimbo di 4 anni con una leggera sin-drome di down e il cui marito era tornato a casa dopo 15 giorni perché avevano altri due fi gli biolo-gici e uno russo adottato a cui badare; un’altra cop-

pia americana che adottava 4 sorelle di età fra 3 e 10 anni. E questo è quanto.

In Guatemala siamo ancora un passo indietro.

Il CNA, Consejo Nacional de Adopciones, è un orga-nismo già costituito ma ancora privo di un regola-mento; non ha ancora stabilito come accreditare le agenzie per l’adozione internazionale, ma sembra ben intenzionato a voler lavorare con l’Italia anche se solo con 2 enti. Il dato forse preoccupante è che per questo paese gli enti italiani autorizzati sono dieci.

Questa, ormai, è la realtà del panorama delle ado-zioni internazionali in Italia: gli enti autorizzati in ogni paese sono tantissimi e questo genera una vera e propria lotta, senza esclusione di colpi, per ottene-re l’accreditamento.

Spesso mi viene chiesto perché in Italia ci sono così tanti enti accreditati (mai nessuno sa veramente quanti sono; quasi sempre, nella testa del mio in-terlocutore, “tanti” vuol dire 15 o 20, ma cosa pen-serebbe se sapesse che in realtà sono 76?). Io non so dare una risposta defi nitiva, e ogni volta la spie-gazione che cerco di fornire non sembra soddisfare nessuno. Almeno, non quanto io vorrei.

COLOMBIA: FOCUS SANITARIO

a cura di Paola Gramegna

In Colombia il sistema sanitario è migliorato notevolmente a partire dagli anni ‘80, ma ancora adesso una grande percentuale di popolazione non riesce ad accedervi. I bambini pagano il prezzo più alto in termini di esclusione dal sistema sanitario: si stima che a più di 3 milioni di bimbi non sia consentito l’accesso alla sanità pubblica.

In Colombia la violenza rimane uno dei problemi principali per la salute pubblica dei suoi abitanti, oltre ad essere la prima causa di mortalità. Oltre il 20% degli abitanti si trova sotto la soglia di povertà e più di 1 milione di bambini tra i 5 e i 17 anni sono costretti ai lavori forzati o arruolati nei gruppi armati.A questo si aggiunge l’uso della droga e lo sfruttamento sessuale, anche di minori, oltre all’HIV/AIDS come 5a causa di morte tra la popolazione in età lavorativa.Un’altra piaga del paese è rappresentata dai bambini di strada, un fenomeno sfortunatamente sempre in crescita.

Altri gravi problemi sono l’accesso all’acqua potabile e il grado di contaminazione dell’ambiente do-vuto all’uso eccessivo di prodotti chimici per le coltivazioni. Sono estremamente diffuse le malattie tra-smesse dagli alimenti e dall’acqua, per esempio l’amebiasi, le malattie diarroiche e la brucellosi. È alto il rischio di epatite B (5-20% ), seguono le epatiti A e C.

In alcune zone della Colombia la malaria è endemica, si sono visti casi di febbre gialla, dengue, rabbia e lebbra. Altre malattie che si possono riscontrare sono quelle trasmesse dagli artropodi.Malnutrizione, anemia, rachitismo, carenza di iodio e fosforo, malattie infettive respiratorie (anche tu-bercolari), gastroenteriche e cutanee sono abbastanza comuni nei bambini colombiani.

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Il Guatemala è stato per tanti anni artefi ce di adozio-ni al limite della legalità con gli Stati Uniti. Quando non ha potuto più fare fi nta di nulla, ha “chiuso” la porta in modo totale. Ora i bambini negli Hogares aumentano, crescono di età e vengono cercate fami-glie guatemalteche che li adottino. Non le trovano, o meglio ne hanno trovate 84 in un anno laddove ne servirebbero a centinaia.

Credo sia diffi cile pensa-re alle adozioni nazionali in un paese che non ha il problema dell’infertilità ma semmai quello della povertà, e quindi l’impos-sibilità di dar da mangia-re ai propri fi gli.

Quest’anno, per esempio, il Guatemala è vittima di una fortissima carestia causata dalla siccità e nella zona sud-est del paese i bambini stanno comincian-do a morire di fame. Si prevede che il peggio arrivi il prossimo gennaio, quando si sentiranno gli effetti del secondo raccolto mancato. La conseguenza del malcostume locale e delle azio-ni degli americani è ora la “paura delle propria ombra”; il CNA non si muove per non sbagliare, e nel suo immobilismo sembra aspettare che le cose si risolvano da sole. Il regolamento attuativo del-la ratifi ca dell’Aja è pronto e attende solo la fi rma

del ministro. Potrebbe essere pronto nel momento stesso in cui leggerete questo articolo, dopodiché dovrebbero rendere pubblica la procedura per ac-creditare gli enti. I bambini adottabili saranno divi-si in quattro liste “de espera”: bambini fi no a cinque anni, bambini oltre i cinque anni, gruppi di fratelli

e bambini con problema-tiche sanitarie. In questa ultima lista ci saranno tutti i tipi di malattia e/o disabilità fi sica e mentale, gravi e non gravi. Chiaramente la prima li-sta sarà prioritariamente per le adozioni nazionali e le altre per le adozioni internazionali. Anche in questo caso, dunque, si chiede alle coppie stra-

niere di accogliere bambini grandi e con problemi sanitari, risolvibili e non. Si ha la sensazione che il Guatemala non sia alla ricerca di famiglie, ma di buoni samaritani per bambini indesiderati non solo dai loro genitori ma dall’intero sistema paese.

Cosa si può portare a casa da un viaggio così?

Le informazioni necessarie a migliorare la situazio-ne in Colombia e a creare un nuovo inizio in Guate-mala; la consapevolezza che è già stato fatto molto per la preparazione delle nostre coppie ma che si deve ancora fare tanto per avvicinarsi al concetto basilare dell’adozione internazionale, che consiste in un’“ampia disponibilità ad accogliere un mino-re” e non in una semplice domanda di adozione. I paesi offerenti sono ancora molto lontani da questo concetto; per loro, il cammino da fare è ancora lun-go e non è detto che riescano a percorrerlo, almeno per ora, perché la mancanza di fi gli biologici è un problema che non riguarda loro stessi ma i paesi in-dustrializzati.

Per questo il Cifa deve aiutare sempre di più le sue coppie in questo cammino di disponibilità verso i bambini realmente bisognosi di una famiglia nel mondo. L’adozione internazionale non è una serie di nume-ri e di date; almeno, non è solo quello, ma è soprat-tutto comprensione che il fi glio adottivo è uguale a quello biologico “solo nell’amore che noi avremo per lui” ma che in tutto il resto è “diverso”... Perché non avrà più bisogno che gli si cambino i pannoli-ni, avrà una storia passata che non si può ignorare, probabilmente non sarà il primo della classe e non farà il medico o il notaio. Sarà però un fi glio a cui daremo tanto amore e che ci ricambierà in questo come e quanto saprà, anche in conseguenza di ciò che avrà vissuto prima.

Ambra Enrico

“L’adozione internazionale non è una serie di numeri e di date [...] ma comprensione del fatto che il fi glio adottivo ha una storia pas-sata che non si può ignorare.”

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Questi occhihanno visto...

ESSERE UN VOLONTARIO DI CIFA

È da poco più di un anno che ho il privilegio di es-sere annoverato tra i volontari del Cifa.

In questo lungo anno molti dei nostri amici (miei e di mia moglie) e compagni di avventura durante il percorso adottivo, che abbiamo intrapreso nel 2006 e che abbiamo com-pletato nel 2008, mi han-no chiesto: “Com’è il Cifa visto dal di dentro?”.

Non ho mai risposto trin-cerandomi dietro al fatto che era da troppo poco tempo che operavo all’in-terno del Cifa. In verità, a volte, ho avuto anche la percezione che dietro la domanda si nascondesse la curiosità di sapere se all’interno dei cosiddetti Enti Autorizzati ci fossero interessi diversi rispetto a quanto pubblicamente affermato.

Oggi ritengo di poter ri-spondere a ragion veduta e lo voglio fare pubblica-mente per il tramite del nostro giornale.

Inizio con il dire che quanto viene detto du-rante i corsi di formazio-ne Cifa a tutte le coppie è decisamente riduttivo rispetto a quanto vie-ne effettivamente fatto dall’organizzazione stes-sa. Ciò accade perchè du-rante i corsi si tendono a privilegiare gli argomenti che vedono come diretto protagonista “il bambi-no” e la sua futura nuova famiglia, piuttosto che argomenti fi nalizzati a mettere in luce i punti di eccellenza che il Cifa può vantare. Nel Cifa operano mol-te persone tra volontari,

professionisti, dipendenti e collaboratori a vario ti-tolo. Ho avuto modo di appurare che tutti operano con un unico spirito: mettere in atto tutte le azioni e assumere tutte le iniziative possibili fi nalizzate ad aiutare uno o più bambini bisognosi di aiuto in qua-lunque modo e forma nel mondo.

Ho potuto constatare che, molto spesso, tutti all’in-terno del Cifa prestano la loro attività andando ben oltre al mandato ricevuto (il ruolo di “tesoriere” che mi è stato assegnato mi ha permesso di poter appu-rare che non è certo l’aspetto economico che stimola questa abnegazione al lavoro).

Spesso il tempo che i vari operatori dedicano al Cifa oltre al normale orario di lavoro per i dipendenti, o a quanto si è convenuto con i professionisti, o a quanto si è ipotizzato con i volontari, viene “ruba-to” alle rispettive famiglie e alla vita privata.

Il tutto con sacrifi cio an-che dei familiari, a cui oc-correrebbe a volte dedica-

re un pensiero. Il familiare spesso non gode delle gratifi cazioni che, a volte, un operatore del Cifa ri-

“Tutti operano con un uni-co spirito: mettere in atto tut-te le azioni e assumere tutte le iniziative possibili fi nalizzate ad aiutare uno o più bambini bisognosi di aiuto in qualun-que modo e forma nel mondo.”

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ceve anche solo nel vedere realizzato un progetto e/o nell’incontrare una famiglia che ha accolto un bambino, o a volte anche solo nel vedere una foto con il sorriso di un bambino. Non posso tuttavia nascondere che non vi siano momenti di confronto in cui non emergano diver-genze o nascano contrasti tra i vari soggetti che ope-rano all’interno del Cifa.

E’ altresì vero che questi momenti servono anche a fare in modo che le de-cisioni che vengono poi assunte risultino equili-brate e soprattutto ade-guate alla potenzialità del momento.

Il venire meno di tali con-trasti rischierebbe di far assumere decisioni che nel lungo periodo possono poi rivelarsi sbagliate e mettere a rischio la sopravvivenza dell’Ente, con le conseguenze che ne deriverebbero a discapito dei bambini (i quali non potrebbero più benefi ciare dell’aiuto derivante dalle iniziative di cooperazione o dell’opportunità di entrare a far parte di una fami-glia disposta ad accoglierli.)

Tutto ciò ha permesso al Cifa di diventare in trent’anni di attività un punto di riferimento non solo per i genitori adottivi ma anche per le istitu-zioni che delegano molte delle loro attività agli Enti Autorizzati e soprattutto un punto di riferimento per molte organizzazioni che nel mondo contribu-

iscono ad aiutare i bam-bini e con le quali il Cifa collabora per sostenere iniziative di cooperazio-ne.

Termino questo mio in-tervento ringraziando tutti coloro che hanno contribuito a rendere il Cifa quello che oggi è di-ventato ed auspicando di non avere più ragione di esistere, un giorno, per-ché non ci saranno più bambini nel mondo che

necessitino di un aiuto.

Fino ad allora il Cifa comunque ci sarà, spero anche con il mio modesto contributo e di tutti coloro che desiderino spendersi in questa meravigliosa espe-rienza, anche se impegnativa, che è il volontariato.

Giuseppe De Luca

“Spesso si parla poco del Cifa perchè durante i corsi, natu-ralmente, si tendono a privile-giare gli argomenti che vedo-no come diretto protagonista il bambino e la sua futura fami-glia piuttosto che l’ente in sé.”

CONSUNTIVO ADOZIONI - ANNO 2009

Cifa si conferma il primo ente italiano per numero di adozioni internazionali effettuate nell’anno 2009: si tratta di un dato molto po-sitivo pensando anche che, compatibilmente alle nostre vision e mission, abbiamo contribu-ito a dare una nuova famiglia a tanti bambini che ne erano privi.

Il numero di coppie che hanno adottato con Cifa nel 2009 resta pressoché invariato rispet-to al 2008: 258 contro le 266 del 2008. In ter-mini di bambini adottati, tuttavia, nel 2009 il nostro ente ha registrato un leggero aumen-to: 333 bambini contro i 319 dell’anno prece-dente.

Aumenta, in media, il numero di bambini adottati da ogni famiglia: si è passati da 1,20 per famiglia a 1,29 (con un incremento del 7,5%). Aumenta anche l’età media dei bam-bini adottati (da 4,7 a 5,2 anni): molte più fa-miglie sono state disponibili ad accogliere un bambino “grande”.

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L’angolodella psicologa

GIOCARE È UNA COSA SERIA!

Mutuo una frase coniata da altri perché in poche parole esprime fi no in fondo ciò che vorrei raccon-tare in questo breve articolo: il gioco non è solo di-vertimento ma uno strumento di apprendimento, di conoscenza del mondo, di socializzazione, di espressione dei propri vissuti interiori…

Il gioco rappresenta un’attività altamente for-mativa in quanto capace di coinvolgere più di-mensioni della persona stessa: motoria, cognitiva, relazionale, sociale.

Attraverso di esso il bam-bino può agire in un cam-

po di esperienza nel quale sperimentare se stesso e i propri limiti.

Lo psicologo Jean Piaget, noto per i suoi studi sullo sviluppo cognitivo nell’età infantile, ha riconosciu-to nel gioco una funzione importante per la matu-razione dell’intelligenza, individuando fasi diverse nel gioco che si accompagnano alla maturazione del bambino:

I giochi percettivi - motori, caratteristici del perio-do del senso motorio che va dalla nascita ai due anni circa; attraverso questi giochi (afferrare gli oggetti, gettarli lontano, manipolarli…) il bambino comin-cia ad esplorare l’ambiente, comincia ad apportare

i primi cambiamenti nella realtà che lo circonda, a delineare i confi ni tra sé e l’altro. Quante volte ab-biamo vissuto questa se-quenza: io ti do il biberon (o il cucchiaio, o un sona-glio), tu lo butti per terra ridendo, io lo raccolgo, tu lo butti nuovamente per

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ORRubriche

“Quante volte abbiamo vis-suto questa sequenza: io ti do il biberon, tu lo butti per ter-ra ridendo, io lo raccolgo, tu lo butti di nuovo per terra...”

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terra… Credo che chi ci sia passato possa serena-mente dire che, se non fosse la nostra irritazione (e il mal di schiena) a farlo cessare, questo gioco potreb-be durare in eterno!

I giochi simbolici (com-piuti tra i due e sette anni circa), nei quali l’oggetto “può diventare” altro, dove c’è lo spazio per mettere in scena una real-tà inventata, dove il bam-bino può sperimentare il “fare come se”.

Tutti abbiamo assistito a scenette dove il mestolo si trasforma in possente spada, la tovaglia in un mantello magico, la spaz-zola diventa un microfo-no… Tutto ciò permette al bambino di accedere alla fantasia, di perfezionare il linguaggio verbale, di raccontare storie, di sperimentare situazioni nuove in un contesto che è “protetto” perché è quello della fi nzione. Attraverso il gioco simbolico il bambino può mettere in atto i suoi confl itti interni, può rap-presentare il dolore, la rabbia, l’aggressività che a parole può far fatica ad esprimere.

I giochi di regole, che dopo i sette/otto anni di-ventano i giochi che impegnano maggiormente i

bambini, i quali sono sempre più orientati verso la socializzazione, la condivisione con gli altri, la spe-rimentazione delle regole e dei limiti ad esse con-nesse.

Risulta quindi evidente come il gioco sia alta-mente importante per la crescita del bambino svolgendo una funzione strutturante dell’intera personalità. Mediante il gioco il bam-bino fa esperienza di persone e oggetti, arric-chisce la memoria, studia cause ed effetti, rifl ette sui problemi, perfeziona il vocabolario, impara a controllare le sue reazioni emotive e adatta il pro-

prio comportamento ai modelli culturali del suo gruppo sociale. Il gioco aiuta il bambino a padro-neggiare i propri sentimenti che talvolta sono trop-po impetuosi e diffi cili ad esprimere a parole; at-traverso la simbolizzazione può imparare a gestire rabbia, collera, amore, paura, tristezza in situazioni attenuate rispetto a quelle che hanno scatenato tali eventi.

Il gioco è quindi necessario al completo sviluppo del corpo del bambino, del suo intelletto e della sua personalità. Alla luce di tutto ciò, quale altro stru-

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SEDE DI TORINOTel. 011.43.08.867Lunedì ore 10-13rivolgendosi alla Dott.ssa Cinzia RiassettoGiovedì ore 10-13rivolgendosi alla Dott.ssa Barbara Di Cursioppure scrivendo a [email protected]

SEDE DI ANCONATel. 071.59.03.000Mercoledì ore 10-13rivolgendosi alla Dott.ssa Mara Magnanioppure scrivendo a [email protected]

SEDE DI VENEZIATel. 041.57.02.779Giovedì ore 10:30-12:30rivolgendosi alla Dott.ssa Paola De Piccolioppure scrivendo a [email protected]

“Spesso, osservando i giochi dei bambini adottati, possia-mo conoscere qualcosa del loro passato, della loro storia, del-la loro precedente esperienza in famiglia o in istituto, oppu-re capire come vivono l’inseri-mento in questa nuova realtà.”

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nell’apposito spazio sulla tua dichiarazione dei redditi.

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mento è migliore del gio-co per comunicare con i bambini?

…E i bambini adottati?

Giocando con i nostri bambini possiamo avere un canale comunicati-vo immediato e sempre aperto, non veicolato ne-cessariamente dalla pa-rola; questo è di partico-lare importanza quando la barriera della lingua limita ancora lo scam-bio verbale (pensiamo ai primi incontri, al rientro a casa…) Attraverso il gioco e il comportamen-to non verbale legato ad esso, non solo i genitori possono conoscere molto dei fi gli, ma sono i bambini stessi che cominciano a farsi un’idea di come sono “questi due”. Fanno attenzione a come ci sediamo, a come ci avvicinia-mo a loro, a come tentiamo di coinvolgerli; spesso, per comunicare con il proprio fi glio, è molto meglio sedersi per terra, mettersi ad “altezza bambino”, sporcarsi con le tempere, lasciarsi pettinare e così via piuttosto che parlare perfettamente il cinese, il russo, il portoghese…

Giocando con i bambini impariamo a conoscerli, a capire le loro tensioni interne, i loro confl itti, le ten-denze inconsce e spesso inconsapevoli; osservan-do i loro giochi e ascoltando i loro dialoghi spesso possiamo conoscere qualcosa del loro passato, della loro storia, della loro precedente esperienza in fa-miglia o in istituto oppure di come vivono l’inseri-mento in questa nuova realtà. È importante ricordare come le esperienze pregres-se infl uenzino la capacità di giocare dei bambini; coloro che hanno vissuto in situazioni deprivate possono non avere avuto tempo e modo di giocare, e l’esperienza ludica può essere molto limitata. Un noto psicoanalista che si è sempre occupato di in-fanzia ha sottolineato come situazioni di stress (tra cui l’abbandono) possano inibire lo sviluppo della fantasia, della creatività, delle capacità di concen-trazione...

È fondamentale che i genitori tengano presenti tali aspetti in modo da misurare l’esperienza di gioco sulla base di ciascun bambino; bisogna prestare at-tenzione alla qualità e alla quantità di giochi da pre-sentare al bambino. Offrire troppi giochi o giochi troppo diffi cili può mettere fortemente in diffi coltà il bambino che non riesce a prestare la giusta con-centrazione agli stimoli presentati o non è all’altez-

za di rispondere a stimoli troppo complicati. Non a caso, chi è già passato nel processo dell’abbinamen-to, ricorda quanto tempo viene dedicato al primo incontro con il bambino e ai giochi da portare con sé e da presentare al proprio fi glio: questo per evi-tare che, in un momento emotivamente pregnante, si sottovaluti l’importanza degli strumenti utilizzati per entrare in relazione con il proprio bambino.

Giochi inadatti possono mettere profondamente in diffi coltà sia il bambino nell’affrontare compiti ina-deguati alla sua esperienza, sia i genitori nei con-fronti delle proprie aspettative.Non dimentichiamoci, poi, che attraverso il gioco riscopriamo anche un po’ di noi stessi, riconnetten-doci alla nostra parte infantile che spesso è un pò troppo sopita…

Visto il tema, quale migliore chiusura se non una fi lastrocca?

Diritto al gioco (B. Tognolini)

Fammi giocare solo per giocoSenza nient’altro, solo per pocoSenza capire, senza imparareSenza bisogno di socializzareSolo un bambino con altri bambiniSenza gli adulti sempre viciniSenza progetto, senza giudizioCon una fi ne ma senza l’inizioCon una coda ma senza la testaSolo per fi nta, solo per festaSolo per fi amma che brucia per fuocoFammi giocare per gioco

Barbara Di Cursi

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Letture

FIGLIA DELLA GUERRA di Juliet Lac(titolo originale: War Child)

“Chiedo ai miei lettori di ricordare alcune cose.Ricordate che abbiamo tutti la nostra umanità in comu-ne, e che questo basta.Ricordate che dobbiamo trattarci l’un l’altro con rispetto.Ricordate che non siamo qui per prendere, ma per dare.E ricordate soprattutto, che la vita è sacra.”

Con queste parole fi nisce il libro di Juliet Lac, ma queste non dovrebbero essere verità con cui fi nire una storia, bensì punti da cui iniziare ogni volta che vogliamo fare qualcosa.

Di Vietnam negli ultimi quarant’anni si è parlato molto ma lo hanno fat-to gli altri, soprattutto gli americani, coloro che questo paese lo hanno co-nosciuto, vissuto e tratta-to da padroni, ma che in realtà padroni non erano.

Erano invece coloro che hanno fatto tutto ciò che volevano ignorando i basi-

lari principi con cui la Lac ha terminato il suo libro.Il libro è la storia di un popolo e della sua essen-za, la sopravvivenza, raccontata attraverso gli occhi di una bambina nata nel 1976 a Ben Tre, a sud di Saigon, ovvero l’autrice stessa. A cinque anni la sua vita è già sconvolta e a poco più di dieci è una fra le tante boat people che lasciano il paese in cerca di un futuro.

In Asia, America, Europa e poi nuovamente in America, Juliet vive la sua odissea in compagnia della madre. Attraverso i suoi occhi cogliamo lo sradicamento dalla sua terra e la diffi coltà ad am-bientarsi nella sua nuova patria.Attraverso i suoi occhi scopriamo la personalità di una madre minuscola nel fi sico quanto forte nella

volontà, una madre che riuscì a portarla fuori dall’inferno del Vietnam. Una madre che, nono-stante la grande forza e l’intraprendenza, è sem-pre alla ricerca di un uomo perché non riesce a separarsi da una cultura millenaria in cui la donna è colei che fatica, colei che combatte per la sopravvi-venza sua e di tutta la fa-miglia ma che, in quanto donna, non è comunque nulla se non l’appendice della vita di un uomo.

All’inizio Juliet ripete lo stesso schema e gli stessi errori ma alla fi ne riesce a riscattarsi in quanto don-na e individuo a sé stante. Il prezzo che paga è altis-simo, all’inizio ne è addirittura piegata, ma poi que-sta piccola donna riparte a testa alta alla conquista della propria vita e della propria dignità femminile.

Per i genitori di tante bambine e bambini vietnami-ti credo che questo sia un libro che aiuta a capire la caparbietà dei loro fi gli. Dieci anni o magari una vita trascorsa in Italia non potranno mai cancellare i segni di una tradizione e di una cultura che va ben oltre l’educazione ricevuta, una tradizione che at-traverso il “sangue” e il richiamo di tutti coloro che sono presenti nell’albero genealogico dei loro fi gli adottati li rende ancora così forti nella loro volontà. Una volontà che spesso chiamiamo cocciutaggine, ma che è la stessa dote che li ha visti profughi, fug-giaschi, boat people, ma mai vinti.

Loro sono rimasti fermi nel proprio paese ripetendo negli anni gli stessi gesti negli stessi luoghi dall’alba al tramonto, mentre gli altri, gli stranieri, sono arri-vati, hanno creduto di piegarli e soggiogarli ma poi sono dovuti partire.

Ambra Enrico

“Attraverso gli occhi di Juliet viviamo la sua odissea in com-pagnia della madre. Una madre che, forte abbastanza da riusci-re a portarla fuori dall’infer-no del Vietnam, non riusciva a sentirsi nulla se non l’appen-dice nella vita di un uomo.”

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